#è stata proprio una bellissima lettura
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Oggi alle 17.51 mi sono ricordata di una lettura del purgatorio di dante nella biblioteca della chiesa di San Francesco di cui avevo visto ieri la locandina, che sarebbe incominciata alle 18. Così ho inforcato la bicicletta e mi sono precipitata là. Non vi dico l'emozione che è stata, mi sono commossa almeno quattro o cinque volte. L'incontro era incentrato sulla parola "Natura", sviluppata a partire dal canto xxviii del purgatorio. C'era una studiosa di dante che ha fatto una introduzione, un attore che ha letto il canto, e poi c'era l'intervento di una ambientalista, nonché presidentessa del WWF. Ecco, questa si presenta come una signora un po' anziana, tutta vestita di verde, con i capelli lunghi lisci che un po' le nascondevano il volto, insomma, un personaggio incantato. Ha detto delle cose meravigliose, ha parlato di come dovremmo tutti vedere il mondo con gli occhi delle api, come lei ha imparato a fare vivendo con esse sempre a contatto. Ha parlato di come lei, alla sua età, stia prendendo una laurea in medicina forestale: discuterà la tesi a novembre, proprio sui luoghi del suo paese di origine. Ha parlato del "terzo paesaggio", di come la nostra visione umana condanni parti di pianeta che invece che annientate andrebbero lasciate respirare. E soprattutto ha parlato di una cosa bellissima, ovvero del linguaggio delle piante. Le piante infatti si trasmettono messaggi attraverso molecole volanti, che hanno un effetto palliativo e anche antidolorifico sull'essere umano. A parte il contenuto in sé, sono rimasta commossa dalla passione e dal sentimento che i discorsi di queste due donne trasmettevano. È stato così emozionante. Insomma, un incontro meraviglioso in un posto altrettanto meraviglioso.
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Appunti di genere I: Wraeththu
(Sì, il blog vive ancora. Il ritmo è calato molto per un mix di mancanza di cose da segnalare e vicende nella vita vera.)
Come ho già segnalato in altri post, sono una grande appassionata di New Weird. È stata in effetti questa passione piuttosto precoce che mi ha convinto a dare una chance alla lettura in inglese durante i primi anni delle superiori, visto che la probabilità di trovare qualche libro appartenente ad un sottogenere del fantasy diverso dagli high fantasy di stampo tolkeniano (stampo di qualità perlomeno altalenante, mi tocca aggiungere) in una qualunque libreria in Italia era molto bassa: il primo libro che lessi così fu The Year of Our War di Swainston, che cementò la sicurezza che questo genere fosse stato pensato proprio per chi come me era ossessionata dal leggere di cose che non avrebbe mai potuto immaginare da sola e vederle prendere vita con una minuzia e una precisione straordinarie. Poi Swainston scrisse, ahimè, anche altri libri, ma ormai lanciatissima iniziai a leggere quasi tutta la narrativa fantastica che mi interessava in inglese.
Vabbè, momento nostalgia a parte, anche se tra la Trilogia dell’Area X e qualche libro del Bas-Lag di Miéville qualcosa si è mosso, ci sono ancora tantissimi autori recenti che rimangono lontani dal fare il loro debutto sugli scaffali delle librerie nostrane, ma per il consiglio di oggi ci tenevo a segnalare la serie di un’autrice che è a tutti gli effetti una delle madrine (se non LA madrina) di questo sottogenere e che ha ancora meno chance di altri di arrivare anche qua in Italia: la trilogia Wraeththu di Storm Constantine, pubblicata tra il 1987 e il 1989 e tutt’ora inedita in Italia. Nonostante non mi informi spesso sul background di un autore prima di dargli una chance, qualche notizia su Storm Constantine mi ha convinto che si trattava di un tipo interessante: intanto perché quello è il suo vero nome, cambiato all’anagrafe dopo anni di pubblicazioni sotto pseudonimo, e poi perché da tutto quello che ha fatto in vita, dal sostegno alle fanfiction delle sue opere alla gestione di siti e wiki dedicati ai suoi mondi fantastici, traspare un genuino amore per i fan e un’idea della scrittura come atto comunitario che è relativamente peculiare tra gli autori che leggo. La stessa premessa della serie di cui volevo scrivere oggi – che una razza priva di genere, bellissima e letale, rimpiazzi a poco a poco gli umani – deriva dai look androgini delle band che frequentava in gioventù; senza ulteriori indugi, dunque, le mie impressioni su una serie che fa tante cose in modo mediocre o addirittura pessimo, ma che ne fa almeno altrettante in maniera interessante.
Come specificavo appena sopra, la trilogia di Wraeththu parte dall’idea che alle periferie di una civiltà umana ormai in lento declino si sviluppi una mutazione, inizialmente circoscritta a pochi individui, che ne modifichi il corpo e i sensi in maniera talmente radicale da creare una nuova specie: i Wraeththu, persone dotate di organi femminili e maschili, androgini d’aspetto e incredibilmente forti e resistenti, con abilità magiche e occulte che permettono loro di utilizzare telepatia, piromanzia e altri incantesimi molto più oscuri; l’intera trilogia è incentrata sul lento percorso che i Wraeththu compiono per ereditare la Terra – dai rapimenti di adolescenti dalle famiglie nelle periferie per trasformarli, alle guerre brutali condotte sotto il segno della conquista, fino ai tentativi di convivenza con quegli umani che si ostinano a non voler cedere il passo a questa razza che è chiaramente migliore di loro sotto tutti gli aspetti. Giusto?
La copertina della raccolta di tutti e tre i libri. L’influenza punk è piuttosto evidente.
È rimarchevole il fatto che tutti e tre i libri si svolgano in momenti dell’avanzata molto diversi tra loro, e che lascino impressioni assai differenti sui Wraeththu coinvolti nelle vicende raccontate: il primo libro, The Enchantments of Flesh and Spirit, segue i viaggi di Pellaz, ragazzo fuggito assieme al Wraeththu Cal e iniziato rapidamente in un mondo fatto di piccole tribù sparse, che sono tutte più o meno apertamente ostili agli uomini ma che raramente hanno la forza di opporsi alle città più grandi e ben organizzate; sopravvivono grazie a fragili reti commerciali, furti e saccheggi e l’occasionale zuffa con gli abitanti delle zone isolate in cui gli uomini stanno iniziando a temere questa massa di guerrieri che hanno al loro fianco sciamani con strani poteri e una resistenza sovrumana. L’ultimo libro, che ha per protagonista Cal e il suo compagno di viaggi Panthera, dettaglia invece grandi insediamenti con culti, tradizioni e strutture sociali proprie e una società largamente abituata a considerare normalità tutte quelle caratteristiche Wraeththu che erano aliene o disturbanti ai Wraeththu stessi durante i primi anni delle loro trasformazioni; il risultato è effettivamente una cronaca dell’ascesa al potere di una nuova specie, che si trova a confrontarsi con due quesiti fondamentali che ne segnano l’intero percorso: che cosa dobbiamo fare dei nostri corpi ora che non esiste più alcuna differenza tra uomini e donne? E se siamo davvero così superiori agli uomini, saremo in grado di costruire qualcosa di meglio di quello che hanno fatto loro?
La risposta – anzi, le risposte – alla prima domanda è sicuramente uno dei motivi per cui ho deciso di parlare sul blog di questa trilogia, nonostante i suoi numerosi difetti. I Wraeththu sono a tutti gli effetti descritti come una razza che nasce dall’unione di aspetti maschili e femminili: senza peli, privi di seno e con genitali sia maschili che femminili (espressione imprecisa ma comprensibile, data l’età del testo), sono il ritratto di una bellezza androgina, a tratti anche un po’ patinata e occasionalmente perfino un filo ridicola, considerando quanto tempo i personaggi indugiano ad ammirarsi allo specchio e reciprocamente. Ma se si scrosta un po’ la patina da belli maledetti che evoca il minaccioso spettro di Twilight è evidente che l’interesse di Constantine è ben distante da quello di creare una nuova specie di Gary Stu (si dice ancora Gary Stu? Mi sento anziana) su cui far beare inesistenti schiere di fangirl, ma è piuttosto un modo di esplorare la psiche di un mucchio di giovani adolescenti che si trovano di punto in bianco in un corpo che è molto lontano dalla mascolinità che avrebbero dovuto raggiungere con la fine della pubertà.
Sì, perché la particolarità della mutazione che tramuta gli umani in Wraeththu è che sembra essere una mutazione esclusivamente maschile: i tentativi di trasmutare le donne falliscono tutti, e non incontriamo un solo Wraeththu che dichiari di essere stata una ragazza; il risultato è che, sebbene i Wraeththu siano a tutti gli effetti “l’unione di principi maschili e femminili”, il risultato della trasformazione che inizia a infettare le periferie è quello di un branco di giovani confusi che ragionano esattamente come ragionavano da ragazzi e faticano a lasciar andare quelle dinamiche di genere che caratterizzavano tutti i loro rapporti, compresi quelli sessuali. L’esempio più evidente fin dal primo libro è quello di Cal: un ragazzo gay spaventato dalle donne che da Wraeththu non riesce a scrollarsi di dosso quei rigidi ruoli che avevano caratterizzato le sue relazioni fino al momento della trasformazione e che ripropone in tutte le sue relazioni le stesse dinamiche di sottomissione e dominazione che aveva vissuto durante la sua vita umana.
C’è anche un ttrpg! Non l’ho provato, anche perché credo sia quasi impossibile da reperire, ma giocare con quest’ambientazione dev’essere molto divertente.
Alcune delle pagine più belle sono dedicate ai rapporti tra i Wraeththu e le donne. Alcune di loro, affascinate dai Wraeththu e spesso un po’ invidiose di quella trasformazione che ha cambiato gli uomini da loro signori e padroni nella società maschilista in cui avevano vissuto fino a quel momento a entità a cui riconoscono una sorellanza precaria, vivono affiancando i Wraeththu aspettando che l’umanità sparisca lentamente dalla terra, convinte di rinascere nel principio femminile che costituisce la metà della nuova specie; altre però sperimentano subito la brutalità di alcune tribù Wraeththu, che non appare affatto diversa da quella umana: le donne nelle zone raggiunte dalla tribù dei Varr vengono uccise o schiavizzate, considerate poco più che animali incapaci di ascendere allo stadio successivo dell’evoluzione dell’umanità, e trattate con modalità per nulla diverse, se non peggiori, da quelle della società patriarcale in cui avevano vissuto fino a quel momento. È anche e soprattutto da questi scorci di inaspettata violenza e crudeltà che l’immagine perfetta dei Wraeththu inizia ad incrinarsi e qualche crepa inizia ad insinuare il sospetto che per essere una razza perfetta, al di sopra di ogni meschinità umana, molti Wraeththu si stiano comportando come tutti i conquistatori umani prima di loro.
L’incapacità Wraeththu di lasciar andare le emozioni, le passioni e i temperamenti umani ancora e ancora produce società, costumi e dinamiche identiche a quelle che avevano giurato di lasciarsi alle spalle: queste ipocrisie sono descritte molto bene da Constantine, ed è dunque sorprendente che non sia capace di risolverle in maniera soddisfacente. Il terzo libro della trilogia è sicuramente il più debole per tanti motivi (vedi i paragrafi successivi), ma uno di essi è la mancanza di una costruzione coerente che leghi assieme tutti questi momenti molto belli in cui il percorso dei Wraeththu per diventare qualcosa di più degli umani viene sfidato dalla loro incapacità di far funzionare in armonia quel loro nuovo corpo intriso di magia e nuove potenzialità e la loro mente ancora saldamente ancorata agli schemi del vecchio mondo. Forse uno degli esempi più lampanti in questo senso è l’utilizzo dei pronomi in questa serie: tutti i Wraeththu parlano di sé al maschile, ma pionieristicamente una donna di nome Kate suggerisce a Pellaz che non sembra il modo giusto di parlare di una creatura che non è né uomo né donna; questa idea viene ripresa ancora un paio di volte e avrebbe potuto avere conseguenze interessanti all’interno delle dinamiche di genere della storia, ma viene poi persa definitivamente con il passare delle pagine e nel terzo libro non viene mai più menzionata.
Insomma, la trilogia è al suo meglio quando i suoi personaggi si immergono a fondo nelle contraddizioni di una specie che dovrebbe esistere al di là di tutto ciò che è umano ma che continua a vivere come se fosse tale – anzi, a ben vedere, spesso e volentieri (ma non sempre) come se fosse ancora maschio. Non c’è dubbio, dunque, che i personaggi migliori siano quelli in cui tali contraddizioni brillano particolarmente: la maggior parte del secondo libro, cioè The Bewitchments of Love and Hate, è dedicata alla famiglia della nobiltà Varr da cui Pellaz e Cal avevano soggiornato brevemente durante il libro precedente; è composta da Terzian, il capo della tribù, il suo compagno Cobweb, salvato da Pellaz e Cal da una ferita mortale e riportato alla corte dei Varr, e il figlio Swift, uno dei primi Wraeththu di seconda generazione. Ma la relazione tra i primi due personaggi, che dovrebbe essere uno dei fulgidi esempi di perfezione Wraeththu, immune da gelosie, dinamiche di potere patriarcali o debolezze umane che privano i rapporti della loro bellezza e li trasformano in catene con cui legarsi a vicenda, sono invece l’esempio perfetto di come questi ex-uomini fatichino a lasciar andare la binarietà che ha caratterizzato tutta la loro vita precedente: Cobweb, dai capelli fluenti alla “maternità” imposta, è in una posizione sociale e politica che fatichiamo a distinguere da quella di tutte le donne del “vecchio mondo” e nel momento in cui cerca di ricavare a corte un potere e una posizione al di là del proprio ruolo i sussurri dei Varr lo bollano come un mistico – anzi, come una strega. In maniera del tutto speculare, Terzian è l’archetipo perfetto del barbaro conquistatore: virile al massimo grado, con capelli corti e fisico scolpito, incapace anche solo di considerare la gravidanza o anche solo il ruolo di soume (chi utilizza le parti “femminili” durante il sesso), si comporta esattamente come farebbe un qualsiasi signore di un feudo con sudditi da da sfamare, terre da conquistare e popoli da sottomettere. Il lento ma inesorabile disfacimento di queste dinamiche di potere, grazie alle scelte di Swift e agli influssi destabilizzanti di Cal, di cui Terzian si innamora perdutamente, costituisce forse le pagine più belle dell’intera trilogia e un altro motivo per cui, se non tutti e tre i libri, almeno i primi due meritano l’attenzione di chiunque sia interessato alle tematiche appena descritte.
Storm Constantine in the flesh. Specifico che questa è una delle sue foto più sobrie, ma purtroppo le altre avevano una pessima risoluzione.
Purtroppo, come ripetutamente accennato, la trilogia è ben lontana dall’essere perfetta. Non mi soffermerò troppo sullo stile di scrittura, che pur cadendo troppo spesso in un lirismo fine a sé stesso e a tratti anche un po’ patetico, mostra quello che deve mostrare e non ostacola attivamente la lettura – non un gran complimento, me ne rendo conto, ma non mi sento di dire nulla di più positivo; tuttavia, i veri problemi che squalificano questa trilogia dall’essere godibile per una fetta non indifferente degli appassionati di fantasy sono quelli di worldbuilding e di scelte narrative della seconda metà dell’ultimo libro, The Fulfilments of Fate and Desire. È evidente che Storm Constantine ha scritto delle vicende dei Wraeththu per parlare di sesso, di relazioni e d’amore, non certo per dettagliare con cura minuziosa una mappa di una civiltà perfettamente coerente, e sono dunque disposta a perdonare una certa quantità di vaghezza e di imprecisione relativamente alle modalità con cui avviene la conquista Wraeththu. Tuttavia, questa quantità viene ampiamente superata in molte parti della trilogia, in cui non è affatto chiaro a che livello di avanzamento tecnologico siano gli esseri umani per non resistere all’avanzata Wraeththu, quanto della tecnologia del vecchio mondo venga perso con la loro presa di potere (e soprattutto perché), o anche solo in che modo funzioni la magia Wraeththu in modalità più specifiche di “perché la trama vuole così”, che spesso conduce ad apparenti incoerenze circa quello che i personaggi sono in grado di fare in qualsiasi momento della storia. Oltretutto, quando Constantine entra più nello specifico circa i dettagli dell’ambientazione fornisce elementi spesso poco coerenti con quello che abbiamo visto fino a quel momento (vedi: le armi nucleari), problema che stride molto con la minuzia con cui è invece in grado di creare religioni, mitologie e usanze, nelle poche occasioni in cui sceglie di focalizzarsi su di esse.
A questi problemi si aggiunge un terzo libro – incentrato sul viaggio di Cal verso un destino mistico che sembra chiaramente fondamentale per l’ascesa dell’intera specie ad un livello superiore di esistenza – che si conclude con una risoluzione anticlimatica e colma di una spiritualità vuota di contenuto che viene invece spacciata come una trasformazione epocale, come se fosse cambiato tutto quando a conti fatti non è cambiato proprio un bel niente; nemmeno le interessanti (seppur limitate nello spazio che occupano) descrizioni delle tribù dello Jaddayoth formatesi a seguito della caduta dei vecchi insediamenti Wraeththu, che alludono a nuove modalità di comprendere l’unione Wraeththu dei principi maschili e femminili, o la ripresa di punti di vista femminili in una chiave assai promettente bastano a salvare quest’ultimo libro dalla mediocrità.
La conclusione inevitabile di questo mio consiglio è quella che ormai accompagna buona parte dei miei post: se il New Weird vi appassiona e volete scoprire uno tra i libri fondanti di questo genere, o se vi affascina l’idea di leggere una delle prime storie fantasy che racconta di genere e di sesso in maniera meno binaria rispetto alla norma del tempo (peggio di LeGuin, d’accordo, ma il confronto è crudele) buttatevi! Magari vi interesseranno solo i primi due libri, che sono comunque abbastanza completi da non lasciare l’amaro in bocca anche se deciderete di fermarvi lì: anche così, buona lettura.
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Sono passati cinque anni, da quando tutto è cominciato in una stanza luminosa di nubi, dove leggevamo Madame Bovary e mangiavamo cioccolatini da un piatto rosso come il vino, tutti i giovedì mattina. Dell'implacabile monotonia della nostra vita quotidiana non è cambiato quasi nulla. Io invece sono cambiata, in un certo senso. Ogni mattina, quando sorge il solito sole, quando mi sveglio e mi metto il solito velo davanti al solito specchio per uscire e diventare ancora una volta parte di quella che chiamano realtà, penso anche a un'altra "me", nuda sulle pagine di un libro: in un mondo di fantasia, fissa e immobile come una statua di Rodin. E così rimarrò finché mi terrete nei vostri occhi, cari lettori.
Leggere Lolita a Teheran, Azar Nafisi
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no ti prego ho bisogno di più yandere kuroo😩😩
Tutti noi abbiamo bisogno di queste piccole cose nella vita ;) Comunque volevo ringraziarti per aver sopportato la lunghissima attesa, detto ciò, buona lettura @thxt-rav3n <3
════════ *. ·: · .☽✧✦✧☾. ·: ·. *════════
𝐀𝐧𝐢𝐦𝐞: ハイキュー!! [Haiykyu!!]
𝐏𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨/𝐢: Tetsurō Kuroo
𝐏𝐫𝐨𝐦𝐩𝐭: Type of Yandere
AVVERTIMENTI: relazione malsana, rapimento esplicito, accenni di morte, perdita di coscienza, temi NS//FW, ossessione, stalking, cannibalismo implicito.
• Kuroo è una persona senza rimorsi, non ha paura di prendere ciò che vuole. "Il fine giustifica i mezzi", si ripeterà quando spunta un altro nome annotato sul retro del suo libro di chimica, proprio quello che ti ha prestato durante una lezione.
• La sua pazienza apparentemente infinita si basa sui costanti e perpetui pensieri secondo i quali finalmente riuscirebbe a cullare dolcemente la tua forma nella sua presa di acciaio.
• Ha una lista ordinata delle persone che per lui si sono spinte un po' troppo oltre, una lista di luridi ratti che hanno osato cercare di rovinare la tua meravigliosa "regalità".
• Dopotutto, anche un re solitario ha bisogno di governare con una bellissima regina al suo fianco, giudicando coloro che sono indegni di respirare.
• Potresti urlare, scalciare, dimenarti contro le corde strette contro la tua figura attesa sul suo letto, e lui osserverebbe solamente, sorridendoti amorevolmente dalla sedia della scrivania.
• smack*, prova a capirmi... Tesoro, se non la smetti di urlare sarò costretto a fare cose di cui tu ed io potremmo pentirci...>
• Non preoccuparti della tua famiglia, dei tuoi i morti non possono cercarti. Nessuno verrà per te. Una volta scomparsa, è come se non fossi mai esistita al di fuori di quella casa, tutto perché Kuroo ha messo una particolare attenzione alle potenziali minaccie contro la vostra relazione. Per quanto avrebbe voluto la benedizione dei tuoi genitori, non credo possa più averla...
•<Fa nulla, tanto io e lei eravamo già destinati a stare insieme~ Ora, chi altro devo giustiziare?>
• Potrebbe o meno eccitarsi alla vista di te legata così strettamente, stretta come lo sono i suoi pantaloni in questo esatto momento, osservandoti e avvicinandosi verso di te con modo predatorio.
• Ma se lo respingessi, lui farebbe, con il volto solitamente scherzoso attraversato da una piccola smorfia seguito da un lampo di riluttanza, marcia indietro. Dopotutto non vuole che tu lo odi.
• Anche se non gli importa davvero.
• Tu sei quel piccolissimo remore di sanità mentale che lo tiene ancora saldo alla realtà impedendogli di dare inizio ad uno spargimento di sangue; non gli interessa davvero che tu stia fingendo di amarlo per ingannarlo, può vederlo, sei un libro aperto; ma basta che tu non abbia nessun altro e che lui ti abbia vicino.
• Non sapresti mai che sul letto su cui sei così beatamente addormentata per lo sfinimento, Kuroo si sia toccato con una frequenza assurda. Doveva trovare un qualche tipo di sfogo. Capisci?
• La vita con lui sarebbe una giostra.
• Non in senso buono, questo lo devo chiarire.
• Un giorno potrebbe essere un vero gentiluomo con te e di inondati di migliaia di attenzioni, e quello dopo ancora potrebbe ignorarti spudoratamente, così sarai tu quello che chiede la sua attenzione.
•<Cosa dici mia regina? Heh, e qui ho pensato per un momento di essere io quello che chiede in questa relazione, ma alla fine lo vedi che sei sempre stata tu? >
• Sarebbe inutile dire che subdolamente creerebbe una dipendenza dal suo essere, e ti farebbe piano piano associare le buone parole con il piacere per cui imploravi.
• Ormai non sa nemmeno se sei un essere umano o se sei stata addestrata come un cane.
• Ma meglio così.
• È inutile dire che la sindrome di Stoccolma ti colpirà come un treno a kilometri orari.
• Ti comporti bene? Sorpresa, ha preparato solo per te il tuo piatto preferito e potrai guardare la televisione con lui! [ovviamente solo le repliche delle sue partite e solo le sue inquadrature]
• Ti comporti male?
• <Oya? Hmm, ok, momento della punizione, non faccio io le regole.>
• Alla fine sarai solo un guscio vuoto di quello che eri una volta, la tua personalità scomparirà insieme alla speranza di andare via, fino al punto di ricordare e dare retta solo alla sua voce e al suo viso.
•<Un piccolo prezzo da pagare per la felicità, mia cara.>
═════════*.·:·.☽✧✦✧☾.·:·.*═════════
Kuroo aveva finalmente deciso di slegare le corde attorno ai polsi e alle caviglie, ritenendo che tu sia stata abbastanza buona e decidendo così di farti girare per casa vostra.
Calò la notte e con essa, Kuroo si addormentò con te tra le sue forti braccia, lasciandoti poco o nessuno spazio per muoverti. Improvvisamente, un rumore proveniente dall'esterno della casa svegliò l'uomo allora dormiente e, ancora stordito dal brusco risveglio, si alzò dal letto.
Rovistò nel cassetto ed estrasse un coltello da macellaio, quello stesso coltello che aveva usato per marchiarti durante i vostri momenti intimi.
E tu, facendo finta di dormire, ascoltasti il piccolo monologo del tuo amorevole fidanzato.
>
Tranne che prima di andare a dormire, a causa del caldo estivo, aveva lasciato i lucchetti della finestra abbastanza aperti per fare passare un po'd'aria; il tutto pensando che non potessi mai uscire dalla sua presa d'acciaio durante la notte.
Questa sua piccola dimenticanza poteva essere essere la tua occasione d'oro per scappare finalmente da questo Inferno in terra;
ti avvicinasti di scatto verso la finestra, aprendola completamente e respirando finalmente un assaggio di libertà.
Ma in qualche modo... il tuo cervello e il tuo cuore continuavano ad ostacolare la formazione di un piano di fuga.
Kuroo aveva sempre fatto cose che ti avrebbero messo a tuo agio, ed aveva persino tollerato tutti gli insulti e gli insulti che gli avevi lanciato quando ti aveva rapito per la prima volta! Ti ha persino dato la tua privacy quando ne avevi bisogno, ed inoltre non ti avrebbe mai permesso di andare in cucina perché, diceva, c'erano troppi oggetti taglienti e pericolosi con cui potevi farti male, sostenendo che potresti bruciarti con i fornelli scottanti! Ma soprattutto... Dato che oramai sono tutti morti, tutti si saranno dimenticati di me... Kuroo aveva ragione, a nessuno importa davvero di me a parte lui.
Chiudesti di scatto la finestra, bloccando al meglio i lucchetti.
Quel minuto di esitazione da parte tua fu abbastanza per il tuo ragazzo per ritornare in camera con le vesti macchiate di sangue. Ormai eri abituata a quel colore ed a quell'odore ferroso; anche tu hai provato quel brivido sotto la sua ala, ponendo fine alla vita di tua madre.
Non era così male.
Il rosso gli dona.
Avvicinandosi alla tua figura, prese rudemente i tuoi avambracci, pensando che finalmente avesse avuto la conferma della tua infedeltà, ma vedendo i lucchetti chiusi in modo goffo, sciolse rapidamente la sua presa ed invece la sostituì con un dolce abbraccio, cullandoti mentre diverse lacrime scorrevano liberamente sulle tue guance.
<Amore, finalmente.. finalmente potremo essere ciò che abbiamo sempre desiderato, e domani potremo cucinare la carne appena acquisita per cena.>
Disse leccando le lacrime dalla guancia e baciando le scie che queste avevano prodotto sulla tua pelle. Dopodiché aggiunse:
<Ma sai quanto le tue lacrime mi eccitano~>
════════ *. ·: · .☽✧✦✧☾. ·: ·. *════════
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Sono ormai al terzo anno di superiori e da quando sono entrata in questa scuola mi sono sentita un po' fuori luogo.
Le mie compagne sono per la maggior parte delle ragazze intelligenti, brave a parlare, interagiscono molto in classe, simpatiche, divertenti e durante le interrogazioni ed i compiti danno sempre il meglio di loro.
Io invece non ci riesco e a volte mi sento immatura rispetto a loro.
Per di più ho sempre avuto un carattere chiuso e quando si tratta di parlare in pubblico non riesco a dare il meglio di me. Questo lato così insicuro posso dire di averlo quasi superato del tutto da ormai un anno, ma ci sono volte in cui mi sento esattamente così.
Invece, durante i temi faccio fatica a scrivere ciò che penso, passo il tempo a fissare il foglio bianco sperando arrivino idee e quando arrivano mi sembrano sempre sbagliate.
Non mi ritengo una persona stupida. Leggo e mi piace, solo che mi sembra di non avere mai tempo e ultimamente finisco a fare altro piuttosto che dedicarmi alla lettura, vorrei tanto avere un vocabolario fornito e completo. Lo studio molte volte mi pesa e non sempre sono preparata come vorrei.
Insomma, quando sono in classe per lo più me ne sto in silenzio e guardo al resto della mia classe con una certa desolazione. Rispetto a loro mi sento molto meno interessante e simpatica e a volte mi ritengo anche cattiva nei giudizzi verso di loro. Insomma sono un po' combattuta.
Io vorrei essere in grado di esprimermi in classe, dire la mia, poter interagire di più anche con i miei compagni senza vergogna, senza paura di risultare noiosa, perché so che anch'io so essere divertente. Difatti a casa sono completamente un'altra persona, divertente, allegra, solare, simpatica, ironica. Cosa che a scuola faccio fatica a manifestare.
Ho quattro compagne in classe con cui vorrei poter legare di più, sto facendo il possibile per riuscire ad aprirmi completamente, vorrei lasciarmi andare, non aver paura di dire la mia opinione su qualsiasi cosa. Con loro ci parlo, ci scherzo anche, ma ci sono dei momenti in cui mi ritrovo a sorridere per finta.
Sono riuscita discretamente ad inserirmi nel gruppo, ma non sono del tutto soddisfatta, so che potrei fare di meglio. Vorrei che fossero mie amiche. Penso mi considerino già come un'amica, ma vorrei arrivare al punto da poter uscire qualche volta con loro. Tipo ogni sabato sera loro vanno l'una a casa dell'altra e io mi ritrovo a vedere le foto che pubblicano sui social e mi sento sbagliata, a volte scoppio a piangere perché ho la sensazione di essere fuori posto, terribilmente sola. Ma anche se mi invitassero non saprei come comportarmi.
Per anni ho avuto da sempre un carattere chiuso, e ho avuto non poche difficoltà, vedo le altre che sono completamente disinvolte e le invidio, quando sono con loro ho la tremenda paura di risultare ridicola per ogni cosa che dico e che faccio, riesco a sbloccarmi solo con la gente che mi conosce da molto, o con chi mi ispira fiducia, voglio cambiare.
Sapresti darmi un buon consiglio su come affrontare questa questione e su come migliorarmi? Su come potrei maturare un po' di più, imparando anche a spingermi un po' in mezzo alla folla senza troppa paura?
Insomma il mio obbiettivo sarebbe riuscire a fare un intervento intelligente, ben fatto e che non suoni banale come preso dalle frasi dei baci perugina
Ciao tesoro,
il tuo messaggio mi ha dato una scarica elettrica, un brivido, perché mi ci rivedo tantissimo in te. È come se tornassi diciassettenne, su quel banco freddo, così grande. A me sembrava sempre grandissimo, perché seduta al mio posto mi sentivo lontanissima da tutti. Talmente distante da credere che li stessi guardando da un’altra stanza. Come se io, all’interno della classe, non esistessi. La mia presenza era al contempo di troppo e superficiale. Era come se non ci fosse mai spazio per me. E l’unica cosa che potevo fare era la spettatrice dei successi altrui.
Certo, l’italiano e la filosofia erano le materie in cui eccellevo, e qualche soddisfazione me la davano eccome. Ma anche tantissimo stress, perché avevo come l’impressione che, se non fossi stata la prima della classe in quelle, allora nessuno avrebbe notato la mia esistenza.
E comunque ero a un liceo scientifico col potenziamento di chimica e fisica, per le quali ero totalmente negata. E mi sentivo sempre così stupida. Così lenta di comprendonio. Così... sbagliata. Perché ero io l’unica che arrancava? Che passava ore sui libri per non prendere mai nemmeno una misera sufficienza?
Le persone che ti vogliono bene ti dicono “non è la tua materia”, ma alla lunga, quando passano mesi e poi anno, a sentirsi sempre gli ultimi, a non essere mai gratificati, a fallire compito dopo compito, il tuo carattere si logora e nella tua mente si forma come un blocco.
Questo per dirti che capisco perfettamente ciò che provi. E la situazione che stai cercando di cambiare. Anche io ho sempre avuto un carattere chiuso e introverso e, proprio come te, terrorizzata di rovinare un’amicizia appena nata, o per pura di essere giudicata, non mi esprimevo mai. Non svelavo i miei pensieri. Non mi lanciavo nei dibattiti. Facevo una cosa orribile che, a pensarci ora, mi suscita solo un profondo disgusto; restavo passiva.
Vedi cara, il modo in cui ti tratti è il modo in cui insegni agli altri a trattarti, e perciò tutti i miei compagni mi trattavano passivamente. Non mi mancavano di rispetto, ma talvolta la mia esistenza era come un’ombra. Un nome dimenticato nell’elenco.
Le cose sono cambiate. Perché ho lavorato su me stessa. Ho accettato i miei limiti e ho potenziato le mie virtù. Tu l’hai già fatto, perché a differenza mia, hai capito prima che vali e che gli altri meritano di conoscere la tua parte più estrosa, solare, che illumina e scalda. Ed è proprio questa la strada giusta.
Accettarsi, amarsi, conoscersi... prendere coscienza delle proprie capacità è essenziale. Il secondo passo è mettere in atto il tuo potenziale. Non è facile e sarà un percorso lungo, ma la fatica varrà la pena.
Tu sei fatta così e sei bellissima, e l’unico modo che hanno gli altri di conoscerti è quando tu sciogli il tuo guscio ed esci allo scoperto. Perciò invia quel messaggio, chiedi a quell’amica di uscire, proponi un’idea che ti balena nella testa da mesi, esprimi un tuo giudizio, cerca qualcuno che abbia i tuoi interessi e chiedigli qual è il suo quadro preferito è perché, e l’ultimo libro che ha letto.
Cerca chi ama le stesse cose che ami te, perché i vostri interessi comuni vi legheranno. E con quel gruppo di ragazze: non avere paura di perderle. Loro stanno intravedendo in te qualche briciola di quella tua personalità che a scuola si spegne e appassisce. Dagli la possibilità di assaporarti di più, non solo le briciole.
Abbi fede in te. Ripetiti ogni mattina che vali e che farai grandi cose. Che meriti di essere felice. Che la vita è unica e non bisogna sprecarla. La nostra mente è pagina: se la riempi di pensieri positivi, la tua vita inizierà a cambiare.
Io ci ho messo anni, per diventare la persona che sono ora. E continuo a combattere contro la mia timidezza e la mia paura ogni giorno. Certo, non le devi ANNIENTARE, perché è pur sempre una tua caratteristica, un tratto che qualcuno un giorno amerà. Ma non deve mai impedirti di essere felice. Allora, in quel caso, va ridimensionata.
Spero di essere stata di aiuto cara. Ti auguro il meglio. Vedrai che legando con quelle ragazze anche la scuola diventerà più leggera. Perché ti sentirai amata, nonostante i compiti e le interrogazioni. E questo farà la differenza
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Gruvia week 2021 ~ April 4th ~ Tears.
Allerta spoiler per chi non è al passo con le scan on-line (attualmente al capitolo 78) della 100YQ (anche se un po' di avvenimenti le ho modellate un po' a mio piacimento) buona lettura, e buona Gruvia week <3
Qualche dedica perché sì:
Questa one shot è dedicata alle Gruvia shippers che ho conosciuto da quando, nell'ormai lontano 2019, entrai ufficialmente nel mondo delle fanfiction come scrittrice ("scrittrice" insomma...) e che mi hanno fatto sclerare in tutti i modi possibili, facendomi un po' "virtualmente compagnìa" con l'amore per le opere d'animazione giapponese. L'aver conosciuto, anche se solo attraverso uno schermo, così tante persone, in quasi due anni che sono in giro per i siti di fanfiction, mi rende davvero felice. Grazie a questo ho iniziato a fare cose di cui nemmeno mi credevo capace, come migliorarmi nel disegno, scrivere nel rating rosso o anche solo scrivere e far leggere le mie fic a qualcuno che non fossero solo amici e parenti stretti, "esponendomi" un po' di più attraverso internet. Davvero, grazie a tutti voi, che non elenco solo perché siete davvero così tanti che non voglio rischiare di dimenticare qualcuno. E anche perché se no le note diventano un papiro assai più lungo della fanfiction stessa. Quindi solo una cosa: GRAZIE A TUTTI QUANTI!
Bene! Ora lascio la scena ai nostri Gruvia, ci rivediamo alla fine❤️
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Se avesse dovuto descrivere la sua vita in una parola, quella più giusta sarebbe stata lacrime...
Lacrime versate per tutto: Per quei bambini che non volevano mai stare con lei, perché ogni giorno con la piccola Juvia significava pioggia.
Per quel ragazzo che, stanco di non poter mai godere di un giorno di sole in compagnia della sua ragazza -o forse semplicemente stanco di lei- l'aveva lasciata, incurante dell'ennesimo macigno che posava sul suo cuore, già abbondantemente appesantito dal senso di colpa per via di quel potere tanto grande quanto fuori controllo.
Ma in quel momento era proprio quello stesso sole che le si stava posando sulla pelle, riscaldandola e guarendo ferite vecchie di anni...
Guardava la propria mano, tenuta stretta da quella di quel moretto senza maglietta -eppure le era sembrato che l'avesse fino a pochissimi istanti prima- e col marchio della propria gilda sul petto scolpito. Attraverso i raggi che gli arrivavano dalle spalle, coprendo in parte la vista dei suoi lineamenti, la ragazza riuscì a vedere l'espressione seria e determinata del mago. La teneva stretta, senza accennare a lasciarla andare, rischiando di cadere con lei nel vuoto. La teneva stretta come se la sua vita fosse la cosa più importante di tutto, come se lei fosse più importante di tutto.
E sì, lo era eccome, più importante di tutto.
Quasi non sembrava che fossero due nemici intenti a lottare, come invece era stato fino a poco prima...
"Non vincerai!" urlava il moro, completamente zuppo dalla testa ai piedi, sotto la pioggia incessante che si chiedeva da dove diavolo arrivasse.
"Shin shin do..." ripeteva invece, quasi fosse uno strano mantra di cui lui ignorava l'esistenza, la padrona delle acque che aveva di fronte. "Juvia ha già vinto, gli Element Four dovevano solo catturare Lucy Heartphilia, ma la gilda di Fairy Tail non accetta la sconfitta..." continuava, mentre tornava quell'espressione così fastidiosa sul volto pallido. Ogni tanto usciva fuori uno strano sorriso, che gli fece seriamente chiedere se avesse davanti la stessa persona o se fosse sotto il controllo di qualcuno che si divertiva a darle quegli sbalzi d'umore.
Però, doveva dire che, a parte tutto, era forte... accidenti se lo era!
Non che ne dubitasse, faceva parte del gruppo di maghi più forte di Phantom Lord e il suo potere magico, da quel che sentiva, era molto alto. Sapeva di avere un'avversaria temibile davanti.
Lo aveva messo davvero in difficoltà e poche volte gli era accaduto. Era una sua avversaria eppure non riusciva a trovarle un solo difetto -forse uno sì, l'espressione impassibile, come se niente le interessasse, che le albergava la maggior parte del tempo sul volto e che, non sapeva perché, lo infastidiva non poco, facendogli preferire di gran lunga il sorriso che la sostituiva ogni tanto in quegli strani sbalzi d'umore- che potesse fargliela odiare. Non che quella fosse la definizione giusta dei suoi sentimenti verso i propri avversari, ma di solito, o almeno il più delle volte, gli era indifferente il motivo per cui qualcuno agisse in un modo o in un altro. Poche erano le occasioni in cui si interessava davvero a qualcosa oltre che sconfiggere chi voleva fare del male alla sua famiglia, e quella ragazzina dai grandi occhioni azzurri rappresentava decisamente una di quelle eccezioni...
Schivò, appena in tempo e non senza difficoltà, un attacco della ragazza -la donna della pioggia, così la chiamavano, ma lui vedeva solo una ragazzina alla mercé di qualcuno troppo codardo per combattere in prima persona, spinta da chissà quale motivo o, più probabilmente, da nessuno in particolare- e riuscì ad evitare un'onda d'acqua che lo avrebbe spinto giù da quel tetto se lo avesse preso. La pioggia continuava a cadere sulle loro teste, innervosendolo più di quanto non facesse già l'intera situazione.
Phantom Lord aveva distrutto la loro casa, e non voleva lasciar andare Lucy, progettando di riportarla da suo padre. E così, mentre Natsu si occupava del Dragon Slayer del metallo, Elfman del tizio che controllava la terra -non ricordava come si chiamasse e non gli importava nemmeno- a lui era toccata quella ragazzina, che in verità gli sembrava una di quelle bamboline di porcellana. Di quelle imbacuccate con abiti eleganti, carine con quei boccoli, ma con l'espressione vuota, troppo vuota...
"Shin shin do..." fu l'ultima cosa che Gray sentì uscire dalle labbra appena un po' rosee dell'azzurra, poco prima di essere travolto da un altro attacco, che stavolta lo prese in pieno, spingendolo davvero quasi giù dal tetto. Quasi, perché sembrava che quella massa d'acqua puntasse a farlo indieteggiare o, al massimo, lasciarlo a terra senza sensi.
Almeno da quello che sentiva: Il potere magico di quell'attacco era di molto inferiore a quello emanato dalla ragazza.
Al limite della pazienza e sinceramente stanco di quello scontro che non portava a nulla -se non il nervoso che gli prendeva nel vederla così impassibile- il ragazzo ghiacciò in un sol colpo tutta l'acqua attorno a loro. Persino la pioggia si era congelata, e questo smosse, finalmente, qualcosa nel volto di Juvia, che si corrugò in un'espressione di stupore, facendo ghignare interiormente il mago del ghiaccio. Almeno non era più così vuota adesso...
In poche mosse -non affatto facili, e ancora una volta il ragazzo convenne col fatto che fosse davvero forte- riuscì a sconfiggere la ragazza, che però rischiò di cadere lei dal tetto, evitandolo solo perché il moro era stato abbastanza lesto da afferrarle la mano in tempo.
"Lascia cadere Juvia... hai vinto... lei è una nemica della tua gilda..." era quello il suo destino ormai. A Phantom Lord una degli Element Four che veniva battuta da una fatina era una vergogna, e quella stessa gilda che le aveva dato una casa tempo addietro l'avrebbe adesso ripudiata. Tanto valeva morire no?
Gray cosa stesse farneticando quella ragazzina non lo capiva, ma una cosa gli era chiara: Non sapeva distinguere un avversario da un nemico...
"Abbiamo combattuto e ti ho sconfitto, questo non fa più di noi due avversari..." le disse prima di tirarla su e, quando la vide al sicuro, inginocchiata sulle tegole rossastre e senza più il rischio di cadere di sotto, si concesse un sospiro di sollievo. "Il mio obbiettivo è un po' come il tuo, non avevi motivo per combattermi perché il tuo interesse era obbedire agli ordini..." allo sguardo sorpreso dell'altra rispose con un mezzo ghigno che -lui non lo sapeva- causò l'ennesimo scompenso all'altezza del petto di Juvia...
"Dovevi catturare una mia compagna e nient'altro... allo stesso modo io devo riportarla a casa nostra, nient'altro... meno ancora lasciar morire qualcuno..." spalancò gli occhioni color oceano e solo in quel momento si rese conto di avere il viso sì bagnato, ma non dalla sua stessa pioggia...
Guardando in alto si accorse che il sole -no, non se l'era immaginato, non era una specie di miraggio che le si era presentato negli ultimi attimi di vita- non era più coperto dai nuvoloni grigi, e ora splendeva in modo quasi accecante...
Era così che splendeva di solito? Juvia non lo sapeva, non perché non lo avesse mai visto o non avesse mai provato il calore di quella enorme e lucente stella, ma perché era passato così tanto tempo da quando aveva vissuto quella sensazione sulla pelle, che ormai l'aveva completamente dimenticata, arrivando quasi a pensare che non esistesse più. Non per lei almeno...
Era passato tanto di quel tempo dall'ultima volta che il cielo era stato sereno in sua presenza, tanto di quel tempo da quando quel calore che sembrava penetrarle fin dentro le ossa, rimarginando tutte le ferite del suo animo, le aveva sfiorato la pelle diafana l'ultima volta...
Perché hai salvato Juvia?
Quelle parole premevano per uscire, erano proprio lì, sulla punta della lingua, pronte a lasciare le labbra carnose dell'azzurra. Ma si arrese all'incredibile sensazione di benessere che sentiva in tutto il corpo. Era stanca, stremata, eppure si sentiva bene. E che c'era di male, dunque, nel lasciarsi cadere distesa, chiudere gli occhi e riposare un po', godendosi quella bellissima sensazione appena ritrovata?
"Sai, Juvia stava davvero male..." gli aveva detto Lucy, ancora con quell'uniforme addosso, mentre tornavano in quella che era stata la casa che i due avevano condiviso per quei sei mesi. Il cuore gli tremava al solo pensiero che avrebbe rivisto la bluetta. Era andato via da solo perché sapeva che, se lo avesse seguito, si sarebbe messa in pericolo, e non poteva, non doveva permetterlo.
Non lei, che in quegli anni, così come in quei sei mesi, gli era stata accanto accettando tutto, anche la sua indifferenza...
Se ci fosse stata Ur lo avrebbe riempito di scappellotti fino a renderlo ancora più idiota di quanto già non fosse, e avrebbe fatto bene. "Ha pianto tanto per te..." continuò la ragazza, che non nascose una punta di rabbia, forse la stessa che aveva messo in quello schiaffo. Probabilmente non era stato solo il pensiero che avesse tradito la gilda o le sue parole di finto disprezzo a spingerla a quel gesto, e una piccola parte di lui sapeva che quel dolore, ancora un po' persistente, alla guancia sinistra era nulla in confronto a quello che aveva inferto all'azzurra. "Era stremata... quando l'abbiamo incontrata è svenuta... se non fosse stato per Natsu si sarebbe fatta male..." aveva evitato di dirlo, ma lui glielo aveva letto negli occhi che quel più di quanto non gliene abbia già fatto tu era sulla rimasto sulla lingua, pronto ad uscire, ma consapevole di quanto già lui stesso sentisse il peso della colpa che albergava nel petto, per nulla intenzionato a lasciarlo in pace.
Lo aveva capito da solo, quando se li era ritrovati davanti, che se non fosse stato per il rosato nemmeno Lucy si sarebbe trovata lì, e nessuno di loro sarebbe stato sulla strada di casa, pronto a far rinascere Fairy Tail. "Spero solo che si riprenda..." concluse la bionda, e lo sapevano entrambi -forse anche il fiammifero, che cavalcava pochi passi più avanti- che non si riferiva solo alla salute fisica della ragazza...
Era un idiota!
Pensava di agire per il meglio e tenerla al sicuro ma le aveva causato solo altra sofferenza...
"Siamo arrivati!" disse il rosato quando giunsero alla dimora che lui conosceva fin troppo bene. Il timore gli attanagliava le viscere, eppure uno strano fremito dentro lo spingeva sempre di più a voler entrare...
E così mentre Wendy li accoglieva alla soglia, pregando loro di non fare rumore, poiché che la maga dell'acqua si era appena addormentata, il moro non poteva evitare di rimirare quella casa che sì, gli era mancata da morire, così come la bluetta, che riposava tranquilla sotto le coperte marroncine. Aveva le gote arrossate e il candido panno sulla fronte gli indicava che avesse la febbre. "Juvia-san ha bisogno di riposo, non dovete assolutamente svegliarla..." sussurrò loro la ragazzina dai codini blu-violetti. "Io ho finito alcune erbe che potrebbero servirmi nel caso la febbre dovesse risalire, vado a fare un po' di scorte..." continuò, senza che il moro l'ascoltasse molto in realtà, assorto com'era a guardare la ragazza addormentata. "Ti accompagno io Wendy! In due faremo prima." intervenne la bionda. Il bosco lì vicino poteva nascondere molte insidie e non poteva permettere che la piccola vi si addentrasse da sola. Inoltre, tra non molto sarebbe subentrata la sera ed era meglio che rientrassero il prima possibile. Presero due cestini di vimini, uscendo dalla porta e, poco prima di chiuderla, la testolina della piccola Dragon Slayer si affacciò per salutare. "A dopo ragazzi, e Gray-san ..." non attendendo che si voltasse, non lo avrebbe fatto, troppo preso dalla bluetta. "Sono felice che tu sia tornato..." sorrise sincera, chiudendo definitivamente la porta e lasciando la maga dell'acqua alle cure dei due nakama.
Il moro prese posto sulla sedia accanto al letto senza spiccicare parola, mentre il rosato osservò il cielo, appena un po' rossastro per l'imminente tramonto, dalla finestra e, dopo qualche minuto di silenzio, si decise a dirgli ciò che gli più premeva in quel momento...
"Non puoi restituirle i mesi che ha passato da sola..." non parlava solo per lui, ma anche per sé stesso, lo aveva capito il moro. Anche lui aveva lasciato qualcuno pensando di fare la cosa giusta, finendo però col ferire ulteriormente chi voleva proteggere. Lo ascoltò in silenzio, era certo che lo dicesse per il bene di entrambi. Era uno di quei momenti in cui frecciatine e rivalità erano bandite dalla conversazione. "Ma puoi fare in modo che quello che passerà insieme a te sia così bello da oscurare almeno in parte il dolore di questi mesi..." era un consiglio che aveva intenzione di seguire, e giurò a sé stesso -insieme al rosato. Lo sapevano entrambi, e mai si sarebbero derisi a vicenda per ciò- in quello stesso istante, che avrebbe reso ogni momento con lei indimenticabile. Serviva anche a lui, dopo così tanto tempo lontani...
"Vado a cercare Lucy e Wendy, non svegliarla..." annunciò Natsu dopo un po', notando il tramonto sempre più vicino. "E rivestiti ghiacciolo!" sbuffò in un finto rimprovero, non voltandosi nemmeno, perché lo sapeva benissimo che si era già tolto il mantello nero -ne aveva sentito il fruscìo mentre scendeva, carezzando la pelle nuda del moro- che l'altro indossò di nuovo mugugnando uno dei suoi coloriti insulti al suo indirizzo, decretando, in parte, un ritorno alla quotidianità della loro famiglia, facendo ghignare il Dragon Slayer. Quello rappresentava un altro passo in avanti sulla strada della ricostruzione della gilda, la cui fine sarebbe stata sancita solo dal sorriso di Luce...
Uscì, seguendo col suo olfatto il profumo fruttato della maga celeste, mentre Juvia si agitava appena sotto le coperte, facendo scivolare sul cuscino il panno, ormai quasi asciutto, che lui raccolse e raffreddò un poco coi propri poteri, rimettendolo al suo posto e risistemando meglio le coperte perché stesse più comoda e non prendesse freddo. Quella di poco prima era una promessa che avrebbe iniziato a mantenere sin da subito...
Le lacrime a bagnarle il volto, e la bionda che, munita di fazzoletti, gliele asciugava cercando di non far colare il mascara sul candido abito a sirena, con la scollatura a cuore ad incorniciare il prosperoso seno, completato dal lungo strascico e dal velo che scendevano sinuosi verso il pavimento, ripiegandosi ai piedini della bluetta, avvolti nelle bianche décolleté tacco dieci. "Calmati, cerca di respirare. Pensa che tra poco sarai sposata con l'uomo che ami e che ti ama e non puoi farti vedere col trucco sbavato. È il tuo giorno, il vostro giorno, e devi essere perfetta!" cercava di tranquillizzarla, non riuscendo molto bene nell'intento. "L-Lucy-san parla facile, lei ha g-già passato questo momento, o-ormai è solo un ricordo..." era vero, almeno in parte. Erano passati sette anni da quando avevano ricostruito la gilda, e appena cinque da quando Natsu aveva preso coraggio e, una volta conclusasi la missione dei cento anni, le aveva detto ciò che tra loro era rimasto un po' in sospeso con quel staremo insieme per sempre giusto? prima di partire per quell'avventura, conclusasi con la sconfitta dei draghi sacri. Ma non era lontano quel ricordo. Era ancora vivido e, ogni volta che ci ripensava, lo stomaco le si attorcigliava come quel ventisei Luglio di ormai un lustro fa...
"E-E se Gray-sama si accorgesse che ha fatto un errore? S-Se vedendomi così si r-rendesse conto di... d-di non voler passare l-la vita c-con Juvia?" continuava tra i singhiozzi, non riuscendo a fermare il petto dal suo muoversi a scatti nel seguire il pianto della bluetta. "Luce tra poco inizia la marcia nuziale!" si affacciò alla porta il Dragon Slayer del fuoco, con un piccolo bambino biondo in braccio, vestito di tutto punto come il padre, con uno smoking nero identico a quello del rosato, che se ne stava zitto e buono, mezzo addormentato e con la testa placidamente posata sulla spalla del padre, a sonnecchiare del dolce dormi-veglia che lo aveva catturato nei suoi appena tre anni...
"Natsu!" non urlò eccessivamente per non svegliare il piccolo. "Potevamo essere nude! Avviati, tra poco arriviamo!" gli avrebbe tirato volentieri una delle sue décolleté rosse dal letale tacco dodici, abbinate al monomanica lungo fino alle caviglie e col profondo spacco lungo la coscia destra, se solo non ci fosse stato il piccolo Igneel di mezzo...
Il ragazzo sparì dietro la porta di legno che portava alla sala della gilda -dove si sarebbe tenuta la cerimonia- per non rischiare di avere a che fare con una Lucy furiosa. Corse ad avvertire il moro, certo che lui avrebbe potuto aiutare. Era stato ottuso per troppo tempo, e non che lui potesse fargli la predica certo, ma almeno si era sbrigato prima, mentre il moro si era dichiarato appena pochi mesi dopo di lui con Lucy. Non avrebbe mai smesso di ridere per quella scena: Sembrava avesse il suo stesso ghiaccio nelle mutande -l'unica cosa rimastagli miracolosamente addosso- e il rosato aveva immortalato il tutto col Lacryma. Adesso si stava per sposare, e lui non poteva che essere più felice per l'amico...
"Allarme crisi pre-matrimoniale polaretto! Mi sa che devi intervenire se non vuoi restare come un baccalà ad aspettare all'altare!" il moro s'irrigidì, cominciando a marciare come un soldatino verso la porta di legno massello dietro la quale c'erano la sposa e la sua damigella d'onore. "Non entrare però! Io ho evitato una scarpa killer solo grazie a questo ometto qui!" carezzò la testolina bionda di suo figlio, che mugugnava di tanto in tanto qualcosa nel leggero sonno che andava e veniva. "E no! Non te lo presto! Fatti il tuo se ci tieni ghihahah!" se ne andò ridacchiando a sedere accanto a Levy e Gajeel, in attesa che la cerimonia iniziasse per affidare loro Igneel prima di andare all'altare al posto dedicato al testimone dello sposo...
"Così va meglio!" batteva le mani, soddisfatta per l'essere riuscita a far cessare le cascate dai grandi occhi blu che, ancora un po' lucidi, si facevano truccare di nuovo, riaggiustando col mascara il distastro scampato per un pelo, quando... "Juvia... ascolta io-" "Gray, tu provaci solo ad entrare e giuro che ti tiro il beauty dietro! Intesi?" la voce della bionda lo interruppe. Che avevano tutti quanti quel giorno? Era abbastanza certa che il colpevole fosse quella testa rosa, con cui poi avrebbe fatto i conti a fine giornata...
"Non entro, ma devo dirti una cosa Juvia! Ti chiedo solo di ascoltarmi..." quando aveva sentito il rosato dirgli della classica crisi pre-matrimoniale aveva sentito le gambe cedere, ma si era fatto forza, avanzando verso quella porta. Ci aveva già pensato lui, e in abbondanza, ad allungare il brodo, e capiva bene che i dubbi della sua sposa potessero dipendere soprattutto da questo. Ma vi avrebbe porto rimedio e subito...
Ottenuto il permesso di parlare dalla voce della bluetta, iniziò con quel discorso per nulla previsto.
"Juvia... senti io non sono bravo con le parole, e credo si sia capito... anche quando mi sono deciso a parlare chiaro..." lo ricordò con un dolce sorriso la ragazza: Balbettava e per questo, poco prima, l'aveva portata in un posto appartato -salvo poi scoprire, pochi minuti dopo, grazie alle battutine del rosato e del metallaro, che l'udito dei Dragon Slayer era molto più sviluppato di quanto credessero- e le aveva dedicato parole così dolci che la ragazza pianse -per la prima volta di felicità- di fronte a quel di Gray così inaspettato, così suo. Come suo era il cuore della bluetta, ormai arresasi all'idea di dimenticarsi di lui dopo tanto tempo passato a cercare di farsi notare.
Ma quel giorno il moro le aveva invece consegnato ufficialmente il proprio di cuore...
"Non ho idea di che dirti Juvia..." era vero. Non sapeva cosa dire, sebbene il cuore traboccasse di parole e sentimenti da poter esprimere, lui era sprovvisto delle prime. Dei secondi però, ne aveva in abbondanza, tutti dedicati a quella dolce ragazzina dagli occhioni color mare. "Potrei dirti che ti amo, ma la verità è che non sarebbe vero!" sussultò, facendosi aria con le mani -che aveva appena coperto coi candidi guanti lunghi fino a poco sopra i gomiti- per evitarsi di piangere. Glielo aveva detto anche quella volta, e facendola spaventare così tanto che per poco non svenne. Per fortuna non successe, perché le parole successive le fecero lacrimare gli occhi e sorridere a trentadue denti. "Juvia io per te ho pianto! E solo il cielo sa quanto preferirei farmi battere dal fiammifero spento anziché piangere!" ricordava poche volte di aver pianto e poteva contarle senza difficoltà sulle dita di una sola mano.
Quando Deliora aveva distrutto la sua vita insieme al suo villaggio. Quando Ur si era sacrificata per permettergli di vivere la sua vita senza il peso del rancore e della sete di vendetta. Quando, dopo aver ritrovato suo padre, lo aveva perso subito, e proprio per mano di quella bellissima donna che gli stava per concedere l'onore di divenire sua moglie -era certo che Silver, ovunque fosse, era libero, non più schiavo di quella forza maligna che lo aveva reso nemico del suo stesso figlio- e che era arrivata addirittura a sacrificare la sua vita più volte.
Aveva pianto quando l'aveva stretta tra le braccia, inerme e ricoperta di sangue e ferite. Aveva pianto sì, e per Gray Fullbuster era tutto dire...
Ogni lacrima che aveva versato nella vita corrispondeva ad una ferita incisa per sempre in quel muscolo in mezzo al petto. Lo stesso che, negli anni, si era imposto sul suo carattere glaciale, sciogliendo il freddo e invisibile scudo con cui proprio il suo cuore era stato ricoperto negli anni. E solo grazie a quella ragazzina che si era sacrificata più volte, per Cana durante la battaglia di Fairy Tail, e anche per lui, arrivando ad attentare alla propria vita per salvare quella di uno stupido ghiacciolo nudista...
"Il fatto è... il fatto è che se ti perdo un'altra volta sento che non ce la posso fare! Non di nuovo. Solo il pensiero che possa succedere, anche nel peggiore degli incubi, mi fa star male da morire!" aveva il fiatone, lo si sentiva benissimo nella sua voce. Aveva poggiato la fronte alla porta, allentandosi la cravatta nera abbinata allo smoking gessato. Più pensava che lei potesse decidere di non sposarlo più -se lo sarebbe meritato, aveva passato troppi anni a tenerla lontana, era naturale che si stancasse di lui- e più sentiva il petto cedere.
"Gray-sama... Juvia ti ama da... da neanche lei sa bene quanto tempo..." si era avvicinata alla porta, posandovi una mano guantata, mentre l'altra -la sinistra, che sotto la candida stoffa di seta nascondeva il piccolo diamante dell'anello con cui l'aveva chiesta in sposa- se ne stava sul petto, all'altezza del cuore. La voglia di abbassare la maniglia e togliere quell'ostacolo per abbracciarlo era tanta, ma una Lucy, che definire furiosa era un eufemismo -di lì a poco avrebbe commesso un omicidio, e che rimanesse lei vedova o uno di loro due ancora prima di pronunciare il fatidico sì, poco importava- le faceva segno di non aprire per nessun motivo. La catenina della sua borsetta rosso fuoco era perfetta per strangolare qualcuno...
"Anche Juvia ha pianto... ha pianto tanto... talmente tanto che le sue lacrime cadevano persino dal cielo..." era vero, e non doveva permettere loro di affacciarsi ai suoi occhi, non adesso!
"Ma Juvia ha smesso quel giorno in cui tu le afferrasti la mano, tenendola stretta e salvandola da un vuoto ben più grande di quello a cui Juvia sarebbe stata destinata a cadere se non ti fossi sporto per prenderla..." il nodo in gola si sentiva distintamente, e il ragazzo fece una fatica enorme per non spalancare quella porta e farle affondare il viso nel proprio petto per raccogliere le sue lacrime...
"Tu facesti vedere il sole a Juvia... in tutti i sensi... la facesti sentire una persona e non qualcosa che porta solamente pioggia e tristezza... e nemmeno qualcuno di completamente inutile se avesse fallito..." ora il trucco stava per colare a Lucy, ma resisteva valorosamente facendosi aria come aveva fatto poco prima la bluetta. E nemmeno la rabbia e la successiva emozione le avevano impedito di registrare il momento col suo Lacryma. Un Gray così romantico non era certo roba di tutti i giorni...
"Quel giorno tu hai insegnato a Juvia che anche lei poteva provare sulla sua pelle la felicità..." quel dieci Settembre rappresentava la sua rinascita, e lei avrebbe conservato quella data segnata sul più affidabile dei calendari, il suo cuore. "Gray... Juvia ti ama!"
Era tornato a respirare regolarmente, bevendo ogni parola come un assetato beveva l'acqua dopo giorni e giorni nel deserto. Un balsamo di vita, indescrivibilmente benefico, che aveva avuto il potere di calmarlo in poco tempo...
Sorrise e... "Allora, Juvia Loxar, mi vuoi sposare?" ridacchiò, ma la risposta l'aspettava davvero. Impaziente come la prima volta che glielo aveva chiesto, a casa sua, dove la ragazza era venuta per una cena intima, e lo aveva visto d'improvviso alzarsi e andare in camera sua, frugare in un cassetto del comodino, e tirare fuori una scatolina di velluto blu. Gliel'aveva porta non riuscendo a spiccicare parola. La ragazza, una volta realizzato il tutto, lo aveva abbracciato di slancio, posando la scatolina sul comò e, beh, poi erano finiti a perdersi tra ansiti e gemiti. Un sì sussurrato -ma non per questo non convinto, anzi!- mentre si incamminavano insieme, ancora una volta, sulla via della passione, gli aveva fatto apparire un sorriso dolce. Di quei pochi che dedicava solo a lei, perdendosi nel mare dei suoi meravigliosi occhi...
"Gray-sama... Juvia... sì... sì Gray, voglio sposarti!" ridacchiò, rispondendo convinta. Con il suo Gray lo sarebbe stata sempre...
Un altro sorriso -come se avesse fatto altro oltre a quello per tutto il tempo che lei gli aveva parlato. Aveva riso tutto il tempo come un bambino in un negozio di caramelle, a cui avevano detto di mangiare quanto volesse- gli comparve sulle labbra, prima di trasformarsi in una smorfia di dolore per via della presa di Erza, che lo aveva raggiunto e afferrato per la cravatta, quasi strangolandolo nel risistemargliela e trascinarlo via, dopo aver informato le due donne che la marcia nuziale sarebbe partita dopo poco.
"Ci vediamo tra cinque minuti ragazze. Tu vieni con me!" e andò via, avvolta nel suo abito color ametista, riuscendo a non scomporre lo scarlatto chignon nel tenere fermo il moro, intento a dimenarsi, smettendo di farlo solo quando fu sull'altare che era stato allestito per la cerimonia. La rossa fece segno a Gajeel di avviarsi. Avrebbe accompagnato la sposa all'altare, il vecchio Master aveva insistito per farlo lui, ma avevano preferito farlo stare tranquillo a godersi la cerimonia, con suo nipote Laxus -l'attuale Master- da officiante, e Gajeel a percorrere la navata con la sposa.
Chi meglio di lui?
Avevano iniziato insieme a conoscere il significato della parola famiglia, era giusto che vivessero insieme anche quel passo così importante. D'altra parte, Juvia era stata la sua prima -e unica per tanto tempo- amica. L'unica con cui aveva abbandonato -di poco ovviamente- la sua aria da duro. L'unica che aveva trattato decentemente nella gilda di Phantom Lord. L'unica che aveva pensato a lui quando aveva trovato una nuova, vera, famiglia...
La sposa uscì a braccetto dell'energumeno -Lucy si era già posizionata sull'altare, sorridendo dolce al sei bellissima mimato dalle labbra del Dragon Slayer del fuoco- e seguita dalle altre damigelle, oltre che dagli sguardi dei loro cari. Da Natsu, in piedi accanto a Gray, e Igneel, seduto vicino alla maga del Solid Script, che non toglievano gli occhi di dosso a Lucy -il primo con pensieri decisamente meno casti e innocenti del secondo, ormai ben sveglio e praticamente in adorazione per la sua mamma, ma entrambi con un pensiero comune: Bellissima- a Levy e i due gemelli Redfox -fieri che il loro papà ricoprisse quel ruolo così importante- e la marcia nuziale partì, fermandosi pochi istanti dopo, quando la bluetta raggiunse il moro, sorridendogli con amore, e ampiamente ricambiata.
Se quella era la ricompensa a tutte le lacrime versate in passato, beh, valeva ogni singola goccia...
"Vedrai come piangerai quando ti batterò polaretto ghihahah!" ridacchiò il rosato, prima di beccarsi uno scappellotto dal biondo Master, prima che egli iniziasse la cerimonia...
[4694 parole]
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Angolo autrice.
Buonasera a tutti! (Da me, in Italia sono ancora le 23:45 del 4 Aprile, quindi penso vada bene, ma non lo so)
Non sono riuscita a tradurla in tempo (e forse è meglio così, non sono brava in inglese😳)
Bene, come ho detto, questa è la prima volta che partecipo alla Gruvia week, e spero sia solo l'inizio di una lunga serie di edizioni. Beh, che dire? Spero che la fic sia stata di vostro gradimento, e grazie per averla letta.
Alla prossima!🖤💙
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Promessi vampiri
Promessi vampiri - The dark side -
🌕🌕🌕🌑🌑
Autrice: Beth Fantaskey
Genere: romance fantasy
Prezzo: 7.90
Trama:
La protagonista Jessica si trova catapultata in una nuova realtà dopo che alcuni segreti gli vengono svelati: scopre di esser stata adottata, i suoi genitori biologico sono i capostipiti di un clan dei vampiri. A rivelarglielo è Lucius uno straniero che si era trasferito nella scuola di Jessica che altri non è che il suo promesso sposo.
Mia Opinione:
Questo libro ammetto di averlo preso solo per la bellissima copertina e perché avevo voglia di leggere qualcosa sui vampiri e che dire il primo l'ho amato e divorato in un paio di giorni è bellissimo con una scrittura molto veloce e semplice ma che allo stesso tempo riesce a emozionare, i personaggi sono descritti bene e non sono mai piatti.
Ha un punto debole purtroppo ed è il secondo libro che ho faticato a finire e che ho trovato molto noioso ma comunque nell'insieme è una lettura fresca ma cupa molto veloce che io personalmente consiglio quando non si ha molto tempo in quanto la storia è originale e ha una trama piena di colpi di scena (il primo).
Ps. Sinceramente io consiglio di leggere il primo libro e basta in quanto potrebbe essere scambiato per un autoconclusivo.
Pps. Se proprio leggetelo solo per Lucius non vene pentirete.
Ordine di lettura: promessi vampire, promessi vampiri the dark side.
Storia 🌕🌕🌕🌑🌑
Personaggi 🌕🌕🌕🌗🌑
Scrittura 🌕🌕🌕🌕🌕
Reperibilità 🌕🌕🌕🌑🌑
Copertina 🌕🌕🌕🌕🌕
Finale 🌕🌕🌑🌑🌑
Lo rileggerei?
SI e NO il primo libro molto volentieri il secondo ci penserei un attimo quindi nel complesso SNI
By ade3ff
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The Hunger Games
Scheda informativa
Titoli originali: The Hunger Games, Catching Fire, Mockingjay
Autore: Suzanne Collins
Copertine: Lions Gate Film Inc. per il primo libro, Tim O'Brien per il secondo e il terzo libro
Traduzione: Fabio Paracchini, Simona Brogli
Editore: Bruno Mondadori
Prima Pubblicazione: primo libro: 2009; secondo libro: 2010, terzo libro: 2012
Pagine: primo libro: 370; secondo libro: 376; terzo libro: 420
Prezzo: € 14,90 per il primo libro, € 17,00 per il secondo e il terzo libro
Trama
Hunger Games
Quando Katniss urla "Mi offro volontaria, mi offro volontaria come tributo!" sa di aver appena firmato la sua condanna a morte. È il giorno dell'estrazione dei partecipanti agli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno da Capitol City con una sola regola: uccidi o muori. Ognuno dei Distretti deve sorteggiare un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni che verrà gettato nell'Arena a combattere fino alla morte. Ne sopravvive uno solo, il più bravo, il più forte, ma anche quello che si conquista il pubblico, gli sponsor, l'audience. Katniss appartiene al Distretto 12, quello dei minatori, quello che gli Hunger Games li ha vinti solo due volte in 73 edizioni, e sa di avere poche possibilità di farcela. Ma si è offerta al posto di sua sorella minore e farà di tutto per tornare da lei. Da quando è nata ha lottato per vivere e lo farà anche questa volta. Nella squadra c'è anche Peeta, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa di farcela. Lui è determinato a mantenere integri i propri sentimenti e dichiara davanti alle telecamere di essere innamorato di Katniss. Ma negli Hunger Games non esistono gli amici, non esistono gli affetti, non c'è spazio per l'amore. Bisogna sapere scegliere e, soprattutto, per vincere bisogna sapere perdere, rinunciare a tutto ciò che ti rende Uomo.
La ragazza di fuoco
Non puoi rifiutarti di partecipare agli Hunger Games. Una volta scelto, il tuo destino è scritto. Dovrai lottare fino all'ultimo, persino uccidere per farcela. Katniss ha vinto. Ma è davvero salva? Dopo la settantaquattresima edizione degli Hunger Games, l'implacabile reality show che si svolge a Panem ogni anno, lei e Peeta sono, miracolosamente, ancora vivi. Katniss dovrebbe sentirsi sollevata, perfino felice. Dopotutto, è riuscita a tornare dalla sua famiglia e dall'amico di sempre, Gale. Invece nulla va come Katniss vorrebbe. Gale è freddo e la tiene a distanza. Peeta le volta le spalle. E in giro si mormora di una rivolta contro Capitol City, che Katniss e Peeta potrebbero avere contribuito a fomentare. La ragazza di fuoco è sconvolta: ha acceso una sommossa. Ora ha paura di non riuscire a spegnerla. E forse non vuole neppure farlo. Mentre si avvicina il momento in cui lei e Peeta dovranno passare da un Distretto all'altro per il crudele Tour della Vittoria, la posta in gioco si fa sempre più alta. Se non riusciranno a dimostrare di essere perdutamente innamorati l'uno dell'altra, Katniss e Peeta rischiano di pagare la vita...
Il canto della rivolta
Contro ogni previsione, Katniss Everdeen è sopravvissuta all'Arena degli Hunger Games. Due volte. Ora vive in una bella casa, nel Distretto 12, con sua made e la sorella Prim. E sa per sposarsi. Sarà una cerimonia bellissima, e Katniss indosserà un abito meraviglioso. Sembra un sogno... Invece è un incubo. Katniss è in pericolo. E con lei tutti coloro a cui vuole bene. Tutti coloro che le sono vicini. Tutti gli abitanti del Distretto. Perché la sua ultima vittoria ha offeso le alte sfere, a Capitol City. E il presidente Snow ha giurato vendetta. Comincia la guerra. Quella vera. Al cui confronto l'Arena sembrerà una passeggiata. Che gli Hunger Games abbiano fine.
Recensione
La prima volta che lessi la trilogia avevo sedici, diciassette, diciotto anni. Proprio come la protagonista del romanzo dispotico qui presentato. Ma, da allora, rilettura dopo lettura, rilettura dopo rilettura, questa trilogia è rimasta nel mio cuore. Pare strano, visto che è la cruda narrazione di una storia altrettanto cruenta, raccontata in prima persona dalla protagonista Katniss Everdeen. Ma non ci si può non innamorare dei personaggi, sopravvivere agli Hunger Games insieme non solo a Katniss ma, anche, a sua sorella Prim e a sua madre, al suo migliore amico Gale, al ragazzo del pane Peeta, e a tutti gli altri. Perché, nonostante sia una lettura in prima persona, nonostante vi sia solo il punto di vista di Katniss, la trilogia è strutturata in maniera tale da cercare di comprendere tutti i punti di vista dei personaggi. Seppure, inoltre, sia una trilogia ambientata in futuro dispotico, fa riflettere su una cosa: è questo il mondo che vogliamo?
Valutazione
★★★★★ 5/5
Note aggiuntive
Dalla trilogia di romanzi è stata tratta una tetralogia di film. Il primo film è stato girato da Gary Ross, mentre negli ultimi tre il regista è Francis Lawrence. Il cast è rimasto invariato, e nonostante le piccole imperfezioni del primo film è una saga cinematografica che vale i suoi cinque punti di valutazione totali sotto tutti gli aspetti, grazie anche alla presa in mano del film proprio da Francis Lawrence.
Il 19 maggio 2020, sia negli Stati Uniti sia in Italia, è uscito il prequel The ballad of songbirds and snakes.
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Abbi Cura Di Me
Sono di nuovo Milena e sono qui di nuovo ad ammorbarvi con le mie cazzate. Premettendo che la sere dei duetti mi sono addormentata male prima di vedere Ermal (poi ho guardato da YouTube e che magia ragazzi, pura magia) e che al momento dovrei star facendo tutt'altro, ringrazio quella buona anima di Cristicchi per averci detto che Ermal e Fabrizio si sono abbracciati ieri e mi appropinquo ad usare questa bellissima canzone come titolo per una cazzatina che pensavo di dover assolutamente scrivere dato l’anniversario. E quindi, con la mia cioccolata al caramello salato e il mio panda mug heater, il cuor non si spaura e sono pronta! Colgo inoltre l’occasione per ringraziare le 324 persone che sono qui a leggere le mie stronzate. Vi voglio bene. Buona lettura!
Ermal sta cercando Fabrizio.
Gira per i camerini di Sanremo, guardando le facce degli ospiti e dei partecipanti, in cerca di degli specifici lineamenti che però non ritrova in nessuno dei visi che incontra con lo sguardo
Alcuni di loro gli fanno quasi tenerezza, particolarmente i più giovani: si aggirano per le stanze con i visi smunti e le labbra strette, le mani strette a pungi per non farle tremare. Non che altri siano messi meglio: chi più chi meno, avvertono tutti la tensione della competizione, lo stress e la stanchezza di quei giorni dove il sonno è un lusso che non possono concedersi a lungo.
Ad Ermal viene quasi da sorridere al ricordo dell’anno prima, quando era lui che girellava come una bestia in trappola in tondo in quel camerino che gli sembrava opprimente e soffocante, quasi claustrofobico, le pareti che si stringevano attorno a lui come alla sua gola, impedendogli di respirare. L’ansia e la paura che l’avevano preso allo stomaco insieme alla rabbia per le accuse di plagio e che l’avevano fatto rimettere mentre Fabrizio gli scostava i capelli dal viso e gli accarezzava la schiena, preoccupato; gli sguardi altrui sul suo viso stanco e smunto, gli amici che gli davano una pacca sulla spalla e lo rassicuravano e altri che non osavano fare molto di più che guardarli da lontano come se fossero un disonore per la competizione o come se provassero pena per loro
Ma era tutto passato e alla fine avevano vinto ed ora, ad un anno di distanza, si trovano lì per accompagnare altri amici sul palco.
E’ un peccato che Fabrizio non canterà con lui e Simone, ma capisce il suo bisogno di stare vicino a Niccolò. Se ci fosse stato Cordio su quel palco, avrebbe avuto una bella gatta da pelare a sua volta dato che probabilmente l’altro gli avrebbe fatto la stessa richiesta.
Con quel pensiero si avvia verso il camerino di Niccolò, in cerca dei due romani.
Bussa delicatamente alla porta e quando ottiene il consenso del più giovane-che mormora “avanti” con voce sottile e tremula-apre delicatamente l’uscio, sporgendovi il capo.
“Ciao” lo saluta, sorridendogli appena, anche se i suoi occhi volano a percorrere la stanza rapidamente e non è senza delusione che si rende conto che Fabrizio non c’è “Bizio?” chiede, guardando il ragazzo che si sta nervosamente passando una mano tra i capelli scuri, scompigliandogli, con già addosso un completo bianco. Non sembra particolarmente nervoso a primo impatto, ma il piede che tamburella senza sosta sul pavimento e le mani incapaci di stare ferme in grembo dicono in realtà il contrario: è in ansia e come dargli torto. E’ il palco di Sanremo, quello, ed è in gara con i big e canterà con Fabrizio quella sera. Da quel che ha potuto vedere è stato bravo a gestire il palco dell’Ariston fino a quel momento, ma ciò non toglie che l’agitazione pre performance sia legittima e totalmente normale da parte sua. Una parte di lui si sente quasi in colpa per non avergli nemmeno chiesto come sta.
“Sta fuori” gli risponde lui dopo essersi schiarito la voce e essersi leccato le labbra secche “E’ venuto a cercarti” gli fa presente Niccolò ed Ermal annuisce, sorridendo appena
“Grazie” gli mormora in risposta “Scusa se ti ho disturbato” aggiunge e poi si avvicina. L’altro lo guarda, curioso, e rimane sorpreso quando gli posa una mano sulla spalla, annuendo “Sta’ tranquillo, che sei bravo” lo rassicura “Andrai bene. Sali sul paco, fai un respiro e canta. C’è Bizio lì, e ci sono tutti quelli che ti vogliono bene con te, anche se non fisicamente. Dai su” dice, dandogli un’altra piccola pacca “In bocca al lupo”
“Grazie” replica Niccolò con qualche secondo di ritardo, mentre lui si è già avviato verso l’uscita “E...ermal?” lo richiama, cosa che lo fa voltare con curiosità “Fabbrì... voglio dire... Fabrizio” balbetta il ragazzo “Era contento, di vederti. Io... insomma m’ha detto che...ecco. Cioè un po’ ‘o pensavo già però m’ha proprio spiegato e... E... cioè... niente te volevo dire che... so contento. Cioè non che io c’entri qualcosa ma sembra felice con te per cui... ecco” tartaglia, imbarazzato, improvvisamente rosso in viso, cosa che fa sorridere ancora di più Ermal, che gli fa un leggero cenno d’assenso, riconoscente “A dopo. Vai e spacca, mi raccomando” lo saluta, uscendo e riprendendo la sua esplorazione.
Prosegue, sempre più frustrato di non trovarlo
Dove mai puo’ essere finito?
Si avvicina circospetto a Drigo, provando a chiedergli se l’ha visto, ma l’altro scuote il capo in segno negativo e rispondendogli che no, non ha visto Fabrizio
Continua a girellare, sempre più nervoso: scorge un sacco di persone, ma non lui. C’è Motta, gli Zen Circus, Arisa, ma di lui nemmeno l’ombra. Gli viene il sospetto che sia uscito a fumare, ma quando riesce a sporgere il capo dalla porta non lo trova tra i volti di chi, appoggiato al muro, fuma nervosamente o pacificamente le proprie sigarette. Nei visi avvolti dal fumo e dalla luce pallida del pomeriggio, Fabrizio non c’è.
E’ non senza una punta di delusione che ricaccia la capoccia dentro, sospirando e ricominciando a gironzolare in cerca del compare.
Alla fine, dopo altri dieci minuti decide di tornarsene in camerino dato che Simone lo sta aspettando e non è nemmeno giusto da parte sua abbandonarlo con un “Scusami un attimo, vado a salutare Fabrizio e torno” e sparire mezz’ora senza, per altro, ottenere nulla. Si vedranno dopo, gli tocca.
“Ermal”
Ecco, a proposito di Simone, lo sta chiamando. Con il viso già contrito nella richiesta di perdono per il ritardo dietro a cui maschera il proprio fastidio e la propria delusione si volta, ma le parole gli muoiono in gola nel momento stesso in cui pronuncia la prima s delle sue scuse
Infatti, non appena si è voltato i suoi occhi hanno colto due cose: la prima sono stati i capelli di Simone, sempre voluminosi, e la seconda è stata la sagoma della persona che gli camminava a fianco, tenendo quella sua tipica andatura
E’ già vestito, con i pantaloni neri che gli avvolgono perfettamente le gambe, la maglia con gli inserti scuri che sembra essergli dipinta addosso da quanto gli calza a pennello e la giacca che sembra essersi stata cucita direttamente su di lui tanto è perfetta e gli sta bene. Quel colore gli dona, pensa, ma non ha troppo tempo di farci caso perché Fabrizio si apre in un sorriso che, lo sa, è palese specchio di quello che sente formarsi sul proprio viso, luminoso e enorme
Ermal sente il cuore acceleragli bruscamente nel petto: vorrebbe corrergli incontro, urlare il suo nome e gettargli le braccia al collo; posare le sue labbra sulle sue, sentire le sue mani stringerlo e le sue braccia circondarlo, ma si tiene fermo sul posto usando tutta la forza di volontà che ha, ondeggiando appena sui talloni mentre gli altri due gli si avvicinano
“Ermal” lo saluta Fabrizio mentre cammina verso di lui. Sorride, Ermal, notando come gli occhi altrui gli stiano scorrendo addosso con maliziosa fretta ma anche lenta delizia, felice di vederlo quanto probabilmente lo è lui. E poi, mentre lo guarda e si fa sempre più vicino, alza le braccia, lentamente, allargandole in una richiesta chiara come il sole a cui adempie subito, colmando quei pochi passi con un piccolo sprint e gettandosi in quell’abbraccio che lo stringe non appena si ritrova con il petto premuto contro quello altrui e il viso al lato del suo, il mento posato sulla sua spalla e le braccia strette attorno a quel corpo che più di una notte ha circondato con le proprie membra e stretto a sé
“Bizio” saluta di rimando, senza nemmeno più fare caso al fatto che ormai usa sempre quel soprannome
Si abbracciano, stringendosi in silenzio, godendo solo l’uno della presenza dell’altro e di quello scudo di intimità fatto dai loro corpi uniti che si sono costruiti attorno, immuni a chiunque, intorno a loro, li guardi
Si stringono e respirano un po’ meglio, sentendo l’aria espandere comunque i loro polmoni compressi dalla presa e pure se non riescono a farlo decentemente è meglio del solito perché stare insieme fa sembrare tutto più facile e l’ossigeno non è solo ossigeno, ma anche aria permeata dal loro profumo, e respirare non è solo un atto fisico e meccanico, ma anche un atto del cuore e della mente
Stanno meglio, quando sono insieme, e questo è quanto
Non possono fare molto altro davanti a tutti, ma quel contatto è sufficiente perché si dicano tutto quello che dovevano
La mano di Fabrizio gli accarezza dolcemente la schiena, scorrendo sul tessuto della sua giacca, mentre le dita di Ermal rimangono arpionate alla stoffa, che stringono come se avesse paura di sentirlo svanire sotto al suo tocco
Sospira Ermal, e chiude gli occhi, appoggiandosi meglio a lui, sfregando appena il viso contro la sua spalla
“Mi sei mancato” bisbiglia e subito la voce di Fabrizio accarezza il suo orecchio con un bisbiglio dolce, basso e roco che ha la forma delle parole “anche tu”
“Era venuto a cercarti nel nostro camerino” sorride Cristicchi che, nel rispetto loro, si è tenuto a un paio di passi di distanza, senza invadere la privacy da quel momento tanto pubblico quanto intimo “te l’ho portato non appena ho capito dove fossi andato”
Ermal annuisce, ringraziandolo con un sorriso e uno sguardo che gli lancia da sopra la spalla di Fabrizio.
Anche Simone sorride, le dita incrociate davanti a sé e lo sguardo che indugia verso il basso, probabilmente per non disturbarli troppo anche se, discretamente, non può fare a meno di osservarli di sottecchi ogni tanto
Rimangono lì per qualche minuto, dondolandosi appena sul posto, senza dire nulla, in quella stretta che agli occhi altrui ora sta diventando anche fin troppo lunga e imbarazzante ma a loro non importa perché, lo sanno, hanno bisogno di sentirsi e quando sarà sufficiente lo decideranno solo loro
Alla fine, Fabrizio scivola piano all’indietro, ma non si tira su a sufficienza per guardarlo in faccia, almeno non prima di avergli stampato un bacio leggero e discreto, ma comunque sentito, in quel punto dietro l’orecchio che è solo suo e che ha rivendicato tutto per sé.
Un brivido lo attraversa appena a quel gesto mentre si tira leggermente indietro, rendendosi conto solo in quel momento di essersi teso verso di lui più che poteva, quasi sforzandosi per stargli il più vicino possibile, annullando così quello spazio tra loro che, seppur esiguo, faceva sempre male come quando si componeva di chilometri
Non erano mai abbastanza vicini, mai, non con i vestiti addosso e senza essere uniti e anche in quel modo a volte gli sembrava di essere distante anni luce da lui, di trovarsi vicino a un universo bellissimo ma per lui inaccessibile
Tira appena su con il naso a quel pensiero e all’idea che hanno un’intera serata davanti prima di potersi concedere ancora qualche ora di totale e profonda intimità, ma nonostante ciò sorride a Fabrizio, guardandolo adorante e sa che deve essere quasi imbarazzante visto dall'esterno ma il fatto che lui ricambi quello sguardo da sottone basta ad annullare tutto il resto e a fargli ignorare chiunque abbiano attorno
È solo allora, dopo qualche altro secondo, che Simone si schiarisce appena la voce, per richiamare la loro attenzione mentre, cautamente e appena ingombrante nella sua imbarazzata tenerezza, si avvicina per posare una mano sulla spalla di ermal, cautamente. Un tocco leggero e delicato, quasi timoroso
“Io vado un attimo...” mormora, facendo un generico cenno verso un indefinito punto “Puoi tornare in camerino, se vuoi. Starò via una decina di minuti”
Ermal sorride, grato, annuendo appena: lo sa che quello è il modo di Simone di lasciargli un po’ di intimità in uno spazio nascosto agli occhi del mondo in cui possono, finalmente, salutarsi a dovere e il fatto che l’altro gli offra così spontaneamente quella possibilità gli scalda il cuore nel petto.
“Va bene” annuisce, posando piano la mano sulla schiena di Fabrizio mentre si volta, spingendolo appena verso il camerino “Ci vediamo tra poco” asserisce, iniziando già ad allontanarsi mentre Cristicchi annuisce, facendo ondeggiare la massa riccioluta di capelli che ha sulla sommità della testa.
Percorrere quei pochi metri lentamente gli costa fatica.
Ermal vorrebbe correre, verso quel camerino. Vorrebbe fiondarcisi dentro trascinandosi Fabrizio appresso, per poter così arrivare subito alle sue labbra, ma sa che non possono farsi vedere mentre se la danno a gambe ridendo come due ragazzini ebbri d’amore per andare a chiudersi dentro a un camerino. Sarebbe troppo ovvio, il perché.
Per cui si costringe a mantenere un’andatura dignitosa, rilassata, anche se per ogni secondo in più che bruciano in quella sorta di passeggiata di fuoco gli fa accelerare il cuore nel petto e aumenta la bruciante urgenza di avere ciò che sta aspettando
Lanciando un’occhiata a Fabrizio, si rende conto che anche lui non è messo esattamente meglio: cammina con fare appena impacciato, guardandosi mestamente attorno e posando saltuariamente lo sguardo su di lui.
Incrocia gli occhi con i suoi nocciola lucidi e ardenti, colmi di un qualcosa di indefinibile che però è capace di smuovere ogni sua più piccola e microscopica parte e che ritrova sempre ogni volta che fissa lo sguardo nel suo
Stringe appena la presa delle dita sulla stoffa della sua giacca, arricciandole, mentre finalmente scorge la porta del loro camerino
Suo e di Simone, certo
L’anno scorso, invece, era loro loro, suo e di Fabrizio, ma ora che quello può esserlo anche solo per qualche minuto gli va bene lo stesso
Non appena posa la mano sulla maniglia sospira, spalancando la porta e quasi spingendovi dentro Fabrizio, che si volta per guardarlo appena accigliato da quella foga, per poi entrare a sua volta e chiudersela alle spalle
Il tonfo che fa quando la sbatte con un po’ troppa veemenza forse non ha ancora finito di risuonare che già a colmare il silenzio è il rumore del leggero sospiro che ha la forma del nome di Fabrizio e che Ermal emette mentre, subito, gli afferra i bordi della giacca e lo attira verso di sé, posando finalmente le labbra sulle sue.
C’è una certa irruenza in quel gesto, ma non per questo vi manca una agrodolce e disperata dolcezza, una sorta di agognata tenerezza che si accompagna alla felicità del rivedersi e al bisogno di sentirsi
Fabrizio non ci pensa un attimo a stringerlo a sé, una mano che corre sulla sua schiena e premervi fermamente contro e l’altra che si infila nei suoi ricci, le dita che vi si incastrano e stringono, tirandoli appena, il dolore che gli attraversa il capo che è gradito quanto la forma delle sue labbra stampata sulle proprie.
Le loro bocche si muovono dolcemente l’una sull’altra, fameliche quanto appaganti, avide nel chiedere ma generose nel donare, e non appena Fabrizio schiude la propria Ermal fa lo stesso, concedendogli accesso nella propria e cercandolo nella sua, le loro lingue che si intrecciano subito, quasi a volersi accarezzare anche loro.
Anche una mano di Ermal è finita tra i corti capelli castani di Fabrizio, alla base della nuca, e le sue dita lunghe e sottili si muovono appena, grattando con affetto il suo cuoio capelluto, come se invece di un uomo fosse un grosso gatto
Sospirano piano, rubandosi e restituendosi l’aria, riluttanti perfino all’idea di allontanarsi per respirare e in quei sospiri nascondono sussurri che hanno la forma del nome altrui, di un dolce chiamarsi e di un rassicurarsi sul fatto che sì, si sono mancati in egual misura, di quella mancanza che ti toglie il fiato e che ti fa dolere il petto ad ogni battito. Quella che anche quando sei circondato da persone ti fa sentire sempre un po’ solo, che non sai scrollarti di dosso in un abbraccio amico quanto in un letto vuoto per metà; quella che fa sembrare ogni spazio un’immensità, pure quel mezzo millimetro che intercorre tra i loro corpi il più possibile premuti insieme
Si mormorano che non vedevano l’ora di rivedersi e che sì, l’attesa infine vale sempre la pena di essere sopportata se poi porta a quel momento e per quanto dura diventi ogni giorno di più l’importante è che ora sono lì, l’uno tra le braccia dell’altro.
Si spiegano che si vogliono bene e si riconfermano che si amano e tutto questo non se lo dicono semplicemente a voce, ma se lo imprimono addosso, sulla pelle, con le mani che accarezzano e stringono, che dolcemente percorrono ogni spazio dell’altro a volerlo reimparare a memoria per l’ennesima volta, pure se in mezzo, questa volta, ci sono i vestiti a fargli d’ingombro.
Se lo dicono con le bocce che baciano quella altrui quanto il suo viso, le labbra di Fabrizio che stanno posando infiniti baci sulle sue guance, sul suo mento, sul suo collo; dietro le orecchie, sulla fronte corrugata, perfino sulla punta del naso.
Se lo dicono senza dirselo, perché tra loro è sempre stato così e spesso le parole sono state più un intralcio che un aiuto perché non hanno bisogno di tirar fuori certi concetti vocalmente quando basta uno sguardo o un tocco per capirsi
Come quando Fabrizio l’aveva rassicurato passandogli una mano sulla schiena o quando gli aveva stretto la mano alla vittoria. Quando l’aveva abbracciato, quando l’aveva sostenuto. Quando c’era, semplicemente c’era, nel bene e nel male.
Ed Ermal aveva fatto lo stesso, toccandolo piano con fare rassicurante quando a Lisbona sapeva che era nervoso, facendolo ridere nel momento in cui gli aveva posato la mano sul ventre, in segno di scherzoso ma sincero affetto.
Come quando avevano fatto l’amore la prima volta e allora si erano scritti sulla pelle in punta di dita ogni cosa che non avevano avuto le parole per dirsi, percorrendosi, imparandosi e amandosi, imprimendosi addosso ogni sentimento provato, ogni grazie e ogni scusa, sussurrandosi sui corpi baci e sospiri che valevano più di ogni superflua parola.
Si sono sempre presi cura l’uno dell’altro in quel periodo e hanno continuato a farlo anche poi, ogni giorno sempre di più, ed Ermal sapeva quanto Fabrizio si fosse preso cura della sua anima e del suo cuore, di quanto li avesse risanati e rimessi insieme, alleviando il dolore, medicando quelle ferite che vi si erano aperte fino a quando non avevano smesso di sanguinare e si erano, pian piano, richiuse, lasciando solo delle immaginarie cicatrici che a volte pizzicavano un po’ ma che comunque non erano più fonte di un costante e profondo dolore, debilitanti quanto difficili da chiudere.
Si erano presi cura l’uno dell’altro in quel percorso, abbracciando le paure e le sicurezze altrui, placandole quando potevano o semplicemente restandogli accanto in sostegno. Si erano curati a vicenda e si erano fatti bene, tanto bene e questo era innegabile a chiunque li conoscesse. Insieme avevano accettato ciò che avevano davanti, passo dopo passo, imparando ad accettarsi anche a vicenda e facendo di tutto per sostenersi e supportarsi, per aiutarsi e incoraggiarsi, gioendo ad ogni traguardo, facendosi forza ad ogni sconfitta e quando il loro viaggio professionale era finito avevano continuato a farlo da amici e da amanti, senza mai lasciarsi andare.
Fabrizio lo spinge lentamente indietro ed Ermal si lascia guidare fino a quando la sua schiena non tocca il muro, una mano di Fabrizio che si posa sul suo fianco mentre l’altra tira appena i ricci scuri per fargli inclinare la testa e baciarlo meglio, potendo così anche raggiungere il suo collo, cosa che lo fa sospirare
Ma Ermal non accetta a lungo quelle attenzioni perché subito lo riporta alle sue labbra, quasi con la stessa disperazione di un assetato che vuole bere alla fonte che ha a portata di mano
Scorre la mano più in basso, fino alle sue natiche, cosa che fa ridacchiare Fabrizio mentre, con fare piuttosto sbrigativo e bucchino, gli infila una gamba tra le sue, facendolo sussultare e gemere appena.
E’ solo quando devono staccarsi per forza di cose per respirare che aprono gli occhi, guardandosi, aprendosi immediatamente in due sorrisi luminosi quanto tremuli per le lacrime che sentono pizzicare negli occhi e che tentano in ogni modo di rimandare indietro.
Ermal tira appena su con il naso, prendendogli il viso tra le mani e carezzandolo con i pollici, tirandosi appena indietro dalla sua gamba contro la quale, in realtà, vorrebbe invece sfregarsi, ma c’è luogo e tempo per ogni cosa
“Simone starà per tornare” mormora, tirando appena su con il naso “E non possiamo traumatizzarlo così come non possiamo sparire a lungo” soffia, posandogli un leggero bacio sulla guancia ruvida per la barba
Fabrizio lo guarda ma, dopo qualche istante, annuisce, comprensivo, tirandosi indietro con la gamba
“C’hai ragione” mormora, carezzandogli dolcemente il fianco e portandogli l’altra mano sul viso
E’ con un sorriso che Ermal si appoggia al suo palmo ruvido e caldo della sua mano, sospirando leggermente
“Ci rifacciamo appena finiamo, va bene?” chiede, sorridendo ancora di più quando lo vede annuire “mi eri mancato così tanto” sussurra poi
“Anche tu” mormora Fabrizio in risposta, la voce bassa e roca mentre i suoi occhi gli scorrono dolcemente sul viso, donandogli un abbraccio che va oltre al fisico e che ha più a che fare con l’anima
“Ermal” mormora poi, con gli occhi lucidi, più di prima, e il tono che trema appena “Io voglio-” soffia, tirando su con il naso.
“Lo so” lo interrompe, carezzandolo più energicamente “Stanotte” mormora Ermal “Stanotte ce ne prendiamo cura, di questa cosa. Promesso. Tiriamo via tutto quello che fa ancora male” gli promette, baciandolo poi piano piano
Dopo un istante Fabrizio si tira su, annuendo, guardandolo quasi con gratitudine per la sua rassicurazione
Ermal ricambia dolcemente quello sguardo, continuando ad accarezzarlo
Lo sanno entrambi che hanno bisogno, ancora una volta, di prendersi cura l’un dell’altro, di levarsi di dosso quel dolore schiacciante e di ritrovarsi uniti del tutto, una volta di più.
Se lo aspettavano, certo, ma quando la porta si apre timidamente e delicatamente, sobbalzano tutti e due, voltandosi, incapaci però di staccarsi a dovere e per fortuna è solo Simone che scivola nel camerino, sorridendogli impacciato
“Mi spiace interrompervi” mormora lui, tormentandosi appena le mani “Ma Fabrizio, ti stanno cerando” ammette, guardandoli con un sorriso che trasuda scuse
Ermal sorride appena di rimando, sospirando stancamente ma comunque annuendo
“Va bene” mormora “Grazie Simone” soffia, mentre anche Fabrizio annuisce
“Grazie. Mo’ sarà meglio che vada” mormora, guardando Ermal che, di nuovo, compie un leggero cenno d’assenso
Esita un attimo, lanciando un’occhiata a Simone che sta guardando insistentemente una lampadina rotta sul soffitto come se fosse la cosa più interessante del mondo, e poi si china in avanti per posare un’ultima volta le labbra sulle sue, in un bacio casto e leggero ma ricolmo di così tanto significato che probabilmente pure l’altro può sentirlo.
Ermal sospira, socchiudendo gli occhi mentre accetta quel bacio, sentendo un brivido che non ha nulla a che fare con l’eccitazione percorrerlo, e quando Fabrizio scivola indietro lo accompagna nel movimento, le sue mani che lo accarezzano mentre si allontana e lui che sembra volerlo seguire per non staccarsi da lui
Ma alla fine Fabrizio si allontana e lui lo lascia fare, sospirando pesantemente, quel macigno che aveva addosso che torna a pesargli parzialmente sulle spalle
“Ci vediamo dopo” promette Fabrizio, guardandolo un’ultima volta prima di scivolare via.
Quando la porta si chiude dolcemente alle sue spalle, Ermal si lascia andare a un leggero singhiozzo, che è quasi stupito lui stesso di sentirsi uscire dalla gola
“Scusa” mormora, all’indirizzo di Simone che, seppur un po’ stupito, scuote il capo e si affanna per tendergli un fazzoletto
“Non preoccuparti” dice rassicurante “E’ stato bello vedervi riabbracciarvi è stato... emozionate” mormora a mezza voce “Si capisce che vi volete bene e... non lo so, mi avete smosso qualcosa dentro. Fare parte di quell’istante, anche se da esterno, è stato più di quanto avrei immaginato” gli mormora, carezzandogli piano una spalla, mentre Ermal si soffia il naso e ricaccia indietro le lacrime “Penso che voi siate l’esempio migliore di quel che intendo con cura” mormora poi dopo un istante di silenzio, ed Ermal volta il capo nella sua direzione, stupendosi quando lo trova con gli occhi appena lucidi
“Si vede che ci siete sempre l’uno per l’altro, anche quando non siete lì fisicamente” mormora a mo’ di spiegazione Simone “Si percepisce, il vostro affetto, e in quell’abbraccio si percepivano tante cose... tutte molto belle. Vedi per me la cura non è solo una cosa fisica, ma anche una cosa dell’anima e non è fatta da grandi gesti, quanto da piccoli particolari. Semi, che si piantano e coltivano con piccoli gesti d’amore che gli consentono però di sbocciare e prosperare. Questo intendo, quando dico che niente è più grande delle piccole cose: non servono cose eclatanti, per prendersi cura di un’altra persona. Basta un sorriso, un gesto d’affetto. Basta esserci, sia fisicamente che non. Questo, è il vero miracolo. Ho la sensazione che siate quel tipo di persone che capiscono a fondo cosa vuol dire che non esiste giorno che sia uguale a ieri e che per questo siate davvero capaci di dare valore a ogni singolo attimo. Come in quell’abbraccio di prima: in un istante, ci avete messo un universo intero” gli sorride, prima di tirasi su “Si capisce che avete coltivato la vostra amicizia, insieme a tutto il resto. Che avete superato le difficoltà che avete trovato insieme e insieme siete andati oltre. Oltre alle.. come dite voi? le vostre stupide guerre” cita “Avete costruito un ponte tra i vostri due mondi e tra i vostri cuori, riuscendo a costruirne uno ancor più grande tra voi e le persone. Le avete unite come vi siete uniti voi. Siete un bell’esempio di cosa sia l’amore, in qualsiasi forma lo si voglia guardare” asserisce prima di sospirare
“Comunque, ora dobbiamo andare” osserva “Ce la fai?” gli chiede dolcemente
Ermal annuisce, gettando il fazzoletto nel cestino e raddrizzandosi a sua volta, commosso dalle parole rivoltegli “Sì, grazie” mormora, prima di ricomporsi, regalandogli poi un sorriso mentre si avvicina “Adesso” afferma, mettendogli le mani sulle spalle con fare solenne “tocca a me prendermi cura di te e della tua canzone, per cui andiamo” afferma, guardando Simone sorridergli di rimando mentre mette piano le mai sulle sue braccia
“E di questo, io ti ringrazio. So che lo farai bene” lo rassicura “E sarei onorato di dire di aver trovato un nuovo amico” gli rivela, guardandolo annuire e mormorare “anche per me sarebbe un onore” prima di sistemarsi appena la giacca, togliendo le mani da lui
“Andiamo allora” mormora, uscendo dal camerino con Ermal a seguito
E mentre camminano in silenzio l’uno affianco all’altro, Ermal sa che prima tocca a Simone e che deve resistere solo qualche ora prima di potersi prendere cura anche di Fabrizio
Ma come sempre, varrà la pena aspettare.
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Ma sono l'unica a cui "Quando ti stringo forte" sembra un sacco rivolta ad Ermal? Soprattutto le frasi "la vita ci è cambiata veramente, come è giusto che sia. I grandi cambiamenti fanno sempre un po' paura" e "cambia la distanza mentre passa il tempo". Poi va beh al "quando ti stringo forte" non posso fare altro che pensare ai loro abbracci. Ovviamente è solo una mia opinione e un mio pensiero non dico che debba essere per forza così, prima che inizino come al solito gli insulti di chi la 1/2
2/2 pensa diversamente ahaha. Mi piacerebbe, se ti va, sapere la tua opinione in merito perchè le tue analisi mi piacciono sempre veramente tanto. Ovviamente se non ti va di rispondere o dire cosa ne pensi sei liberissima di non farlo e ti ringrazio comunque😘
Mi hai scritto questa ask in modo molto carino, non posso fare altro che ringraziarti tanto e risponderti :)
Però prima voglio ricordare a tutti che, come hai detto anche tu, stiamo parlando di opinioni, che sono personali, soggettive. Specialmente sulle canzoni, nelle quali da sempre le persone vedono cose diverse che li fanno identificare in esse. In quanto soggettive le opinioni possono essere anche assurde e sbagliate, ma siccome in questo caso parliamo di canzoni e di rapporti umani positivi, che non vanno a offendere nessuno e non fanno male a nessuno, e sono espresse su una piattaforma in cui gli interessati non ci sono, non voglio imporre nulla ma pretendo rispetto. Ignoratemi, bloccatemi se non siete d’accordo, ma evitate di portare tutto questo su tw. Siate matur*. Prendete tutto questo come headcanon/fanon, perchè questo vuole essere.
Scusa l’interruzione Anon, torniamo ad argomenti più interessanti.
Tipo che vedo Ermal in varie canzoni, anche e soprattutto non nel senso della ship, ed è una cosa che mi ha colpito subito e che mi ha fatto pensare a quanto profondo sia il loro rapporto, quanto grande sia la stima e l’affetto che Fabrizio sente per lui, che considera un fratello, non solo un fratello minore da proteggere ma un Fratello di anima, un’anima affine. Proprio Fabrizio ha detto che Ermal gli ha ridato l’ispirazione in un periodo in cui non ne aveva, proprio Fabrizio ha parlato della luce di Ermal, della sua forza da combattente, proprio Fabrizio ha detto che Ermal è uno dei pochi a cui si sente davvero legato e l’ha chiamato amico intenso, come se amico e basta non fosse abbastanza, proprio Fabrizio ha dichiarato pubblicamente, ad Assisi, che Ermal sarebbe stata la prima persona a cui avrebbe fatto ascoltare i suoi brani nuovi, proprio Fabrizio ha recentemente definito il loro legame indissolubile.
Tutto questo per me ha un grandissimo valore e lo vedo riflesso in piccole cose in vari brani.
Per quanto riguarda Quando Ti Stringo Forte e non solo, so bene che Fabrizio ha dichiarato che le canzoni d’amore che ha scritto sono per i suoi bimbi ed è una cosa bellissima, ma penso anche che (IPOTETICAMENTE PARLANDO) le canzoni abbiano diverse chiavi di lettura, e che possano essere ‘applicate’ in altri modi, e che nel caso di questa ed altre alcuni dettagli si possano vedere dedicati non ad un/a bimbo/a ma ad una persona adulta, per così dire.
Ascoltando Quando Ti Stringo Forte è inevitabile pensare ai loro abbracci, al modo che Fabrizio ha di stringere Ermal a sé, a tutte le volte in cui sono rimasti così, avvinghiati l’uno all’altro, isolati dal resto del mondo, nella loro bolla. “E mi sembra che la vita sia bellissima quanto ti stringo forte” fa proprio pensare a loro. Anche “la vita ci è cambiata veramente, come è giusto che sia. I grandi cambiamenti fanno sempre un po’ paura" e “cambia la distanza mentre passa il tempo”…che mi fanno pensare ad un rapporto che è cambiato in modo inaspettato e che mi ricordano un po’, come tematiche, Un’Altra Volta Da Rischiare (“Sono quello che non ti aspettavi Ma che forse in fondo ci speravi” e “In fondo è tutto da scoprire”) che è un po’ tutta incentrata sul salto nel vuoto che è l’amore.
Anche “ma tu sei sempre qui a salvarmi da me stesso” e “a salvarmi dall’abisso”, che rimandano a Portami Via, scritta per Anita, mi ricordano Ermal, e tanto. Mi fanno pensare a Ermal che gli ha ridato ispirazione e voglia di fare quando non ne aveva, ed era il nemico di sé stesso, e alla luce di Ermal, in contrasto con l’abisso, col buio insomma, in cui ho già detto, ho l’impressione che lui si consideri spesso.
Comunque la cosa che più mi fa pensare a Ermal non è nelle parole ma nella musica. Nei dischi di Ermal l’ultima canzone ha sempre un finale strumentale piuttosto complesso e d’atmosfera. QTSF è l’ultima canzone del disco di Fab e ha un finale strumentale d’atmosfera, e questa cosa non ricordo l’abbia fatta in altre canzoni, non in questo modo almeno, e mi ricorda proprio Ermal. Come se fosse una sorta di tributo musicale a lui, e questa cosa non ha niente a che vedere con la ship ma con la stima e ammirazione che prova per Ermal, e ok che è un headcanon ma non mi sembra strano che un musicista faccia un tributo ad un altro musicista che gli ha ridato l’ispirazione.
Quindi si Anon, non potrei essere più d’accordo con te :)
English Translation:
Am I the only one who sees Quando Ti Stringo Forte as very related to Ermal? Especially the lines “la vita ci è cambiata veramente, come è giusto che sia. I grandi cambiamenti fanno sempre un po’ paura” (=life really changed for us, as it’s supposed to be. Big changes are always a little scary) and “cambia la distanza mentre passa il tempo” (=the distance changes as time goes by). And ofc “quando ti stringo forte” (=when I hold you tight) I can’t help but think of their hugs. Ofc it’s just my opinion and I’m not saying it has to be this way, just in case anyone sees this differently lol. I’d like to have your opinion on his (…)
Disclaimer: we’re talking opinions, subjective stuff especially on songs, that are always seen in different ways from different ppl, to the point of identification. Since these opinions aren’t harmful to anyone tho, and they’re being discussed on a personal blog, on a platform they don’t use, I want to be respected. So if you disagree block me or whatever. And take all this as headcanon, not as law, cause that’s what it is.
I do see Ermal in various songs tbh, even in non shippy songs, and I was very impressed by this because I thought about how deep their bond is, how great the affection and admiration Fab feels for Ermal, that he sees as a younger brother but also a Brother in a soul affinity sense. Fab himself said Ermal gave him inspiration in a moment he had none; he himself talked about Ermal’s light, about him being a fighter, he himself said Ermal is one of the very few people (in the music business) he really loves and he called him intense friend as if just friend wasn’t enough; he himself publicly declared in Assisi that Ermal would be the first one to listen to his new songs; he himself said his and Ermal’s is an indissoluble bond.
All this has a great value to me and I see it reflected in little details in many songs.
I know QTSF as all love songs from this cd are for his sons as Fabrizio said, and I love it very much, but I also think that, hypothetically speaking, songs can be written and can have different interpretations. And again, this is a personal opinion and interpretation, nothing more. Headcanons. ok?
Listening to QTSF I can’t help but think about their hugs, the way Fab holds Ermal tight, to every time they stayed like that, glued to each other, isolated from everyone else, in their bubble. “E mi sembra che la vita sia bellissima quanto ti stringo forte” (= And I think that life is very beautiful when I hold you tight) makes me really think about them, as well as the lines you mentioned.
Also “ma tu sei sempre qui a salvarmi da me stesso” (=but you’re always here to save me from myself) and “a salvarmi dall’abisso” (=to save me from the abyss) remind me of Ermal. I know they also refer to Portami Via’s theme, and PV is dedicated to Anita, but still I also think of Ermal giving him inspiration and willpower when he had no more, so he was his own enemy, and to Ermal’s light, contrasting with the abyss, with the darkness in which, I said already, I have the impression he sometimes considers himself.
Tbh the thing that makes me think of Ermal the most isn’t in the words but in the music. in Ermal’s cds the last song has a complex instrumental ending. QTSF is the last song in Fab’s cd and it has an instrumental ending, and I can’t remember another like that in his songs. As if it were a musical tribute to him, and imo this makes a lot of sense and not necessarily in a shippy sense but for an artist paying a tribute to another artist he admires, an artist who gave him inspiration.
So yes Anon, I agree with you :)
#amicy di twitter: screenshottatemi stocazzo <3#pensieri metamoro#pensieri fabrizio moro#quando ti stringo forte#metamoro headcanon#vediamo se così non mi rompono il cazzo#dato che certe rotture di cazzo io non le dimentico#Anonymous#louder for ppl in the back: io! penso! un’opinione! personale! un headcanon! che so bene! non essere legge e verità!#e se qualcuno! si attacca! a questa cosa! come se non potessi! esprimere! la mia opinione! sul mio blog!#è un fascista! di merda! anche se afferma! di votare! a sinistra! perchè di fascista! ha il cervello!
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Le ali sotto i piedi di Cesare Cremonini
Una canzone somiglia a un rebus. È una specie di tragitto invisibile e intricato da portare a termine. In certi casi è matematica e segue determinate leggi o convenzioni. In altri è soltanto magia, mistero, evocazione. È proprio come sbrogliare il nastro di una musicassetta che si è intrecciato in mille nodi e grovigli inestricabili. È necessario seguire il proprio istinto, ma allo stesso tempo bisogna applicare una logica ferrea.
Una canzone è come il relitto di una nave, tenuto nascosto dal mare per millenni. Portarlo in superficie, ripulirlo dalle incrostazioni che si sono formate e l’hanno ricoperto nel corso del tempo è il lavoro di un artista. Scrivere è questo.
“Le ali sotto i piedi” è l’autobiografia ironica e spensierata di Cesare Cremonini uscita in una nuova edizione per Mondadori. Quando ti offrono su un piatto d’argento qualcosa che ha a che fare con qualcuno che adori è inevitabile lasciarsi catturare solo dalle premesse ed immergersi in una storia che è capitata parallela alla tua.
Alzi la mano chi, da adolescente, non è mai stato costretto da un amico con la passione della musica ad ascoltare centinaia di volte un suo pezzo inedito o ad assistere a ogni sua esibizione pubblica: alla fine non c’era passaggio di accordi che non conosceste a memoria, imprevisto che non foste in grado di prevedere. E voi sempre lì, sotto il palco. Con uno sguardo complice rivolto all’insù e la convinzione che se lui ce l’avesse fatta, per un indefinibile riflesso, parte di quella vittoria sarebbe stata anche vostra. Cesare Cremonini, bolognese fino al midollo, è sempre stato “quello sul palco” sin da quando, undici anni e tanta voglia di libertà, era costretto a esibirsi al pianoforte di casa davanti agli amici dei genitori. In questo libro sincero, ironico e commovente, ci racconta il suo percorso, che ha il sapore di una piccola fiaba moderna, con tutte le sue magie. La scoperta della musica grazie a due miti baffuti – suor Ignazia e Freddie Mercury –, la nascita quasi miracolosa delle canzoni, la lotta per realizzare i propri sogni quando tutti spingono perché il ragazzo metta la testa a posto. E poi i momenti difficili, i guai, le sofferenze. Fino all’incontro importante, quello che darà una svolta alla storia. E il ragazzo bolognese, incredulo ma più determinato che mai, a soli diciannove anni si ritroverà a volare in vetta alle classifiche, con ai piedi le stesse ali che, in sella a una Vespa, lo continuano a portare sui colli della sua città.
La musica ha sempre avuto una parte molto importante nella mia vita, mi ha accompagnato nei momenti peggiori e mi ha rallegrato in quelli migliori. È una delle costanti che mi hanno permesso di superare cotte adolescenziali, di intrattenermi nei lunghissimi viaggi in macchina direzione Caserta per qualsiasi tipo di vacanza e di sottolineare i momenti più irrazionali. Da adolescente riempivo il diario di scuola con citazioni tratte dalle mie canzoni preferite, ne scrivevo i testi fino a impararne a memoria e le canzoni che ricordo di più sono naturalmente quelle imparate in quei pomeriggi assolatissimi passati a scorrazzare sulla bici o in giro per il paese con il lettore cd. Uno dei primi cd che ho acquistato è stato quello dei Lunapop che mi accompagna da tantissimo, io me lo ricordo quel Festivalbar del 2000 (ridateci il Festivalbar!) così puramente anni 90 vinto dalla band capitanata da Cremonini con Qualcosa di grande (potrei cantarla a memoria, of course). Cesare Cremonini è una di quelle cotte musicali che ancora conservo, tant’è che lo scorso 21 novembre sono andata a vederlo cantare dal vivo ed è stata un’emozione unica.
Cremonini bolognese d’hoc è davvero un animale da palcoscenico, che buca il palco e arriva dritto al pubblico, suonando piano, chitarra, semplicemente cantando, semplicemente lui con i suoi difetti, con la z inesistente degli emiliani, la sua timidezza e la sua irruenza. In questa autobiografia il cantautore bolognese racconta i suoi primi passi per realizzare il suo sogno, vivere di musica. Un ragazzino esuberante, poco incline allo studio, cresciuto troppo in fretta, con un unico chiodo fisso. Fin dalla prima lezione di pianoforte Cremonini è fermamente convinto di che quella è la cosa che lo sostiene, che lo fa sentire vivo, che lo porterà a realizzarsi, nonostante avesse tutti contro. È uno tenace, che non si lascia scoraggiare dai rifiuti, che non smette di chiedere, di migliorare, anche quando Walter Mameli gli dice si vuole lavorare con lui. È uno umile Cremonini che fa sempre un passo indietro, che in fondo quando uno è un bravo ragazzo lo dimostra sempre, anche quando non sembra. Ed è questo in fondo che mi piace di Cremonini la sincerità dei suoi testi, il sound melodico, la sua spontaneità, il suo crederci sempre. Lui al pianoforte (lui al pianoforte in completo scuro nel video di Poetica è tanta roba). Lo sto ascoltando anche adesso mentre scrivo queste righe in un giro completo che a distanza di vent’anni mi tiene ancora compagnia.
Il particolare da non dimenticare? Una vespa rossa (inevitabile, no?)…
C’è sempre da ringraziare molte persone perché il successo di un artista non è mai solo il suo, perché puoi avere tanto talento ma non riuscire comunque a sfondare. Di Cremonini resterà sempre la spensieratezza, la passione e l’amore che prova per il suo lavoro. E tantissime canzoni bellissime.
Buona lettura guys!
Ringrazio immensamente l’ufficio stampa di Mondadori per avermi regalato la bellissima opportunità di leggere questo libro in cambio della mia onesta opinione.
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Opinione: Carol, di Patricia Highsmith
Therese, 19 anni, è un'apprendista scenografa che, per raggranellare qualche soldo, accetta un lavoro temporaneo in un grande magazzino durante il periodo natalizio. Il suo rapporto sentimentale con Richard si trascina stancamente, senza alcuna passione tra voglia di coinvolgimento e desiderio di fuga: anche il viaggio che hanno progettato in Europa ora la intimorisce. In una gelida mattina di dicembre, nel reparto giocattoli dove lavora, compare una donna bellissima e sofisticata, in cerca di doni per la figlia. I grigi occhi della sconosciuta catturano Therese, la turbano e la soggiogano e d'un tratto la giovane si ritrova proiettata in un mondo di cui non sospettava nemmeno l'esistenza. È l'amore che le due donne si apprestano a vivere.
° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° ° °
Probabilmente non lo avrei mai nemmeno degnato di uno sguardo se non fosse stata la lettura scelta da una Swappina per lo Swap3.0. Ci ho messo un bel po' prima di obbligarmi ad aprirlo e mettermi a leggerlo (ho sempre libri in arretrato e li usavo come scusa), ma alla fine di tutto non mi è proprio dispiaciuto. Lo stile non fa molto per me, risulta lungo e noioso in alcuni pezzi, ma la trama è interessante. I personaggi (purtroppo) no! La protagonista è Therese, una giovanissima donna orfana e che sta cercando di trovare il suo posto nel mondo. E' una scenografa, ma per ora lavoro in quel settore non lo riesce a trovare e per poter tirare avanti accetta un posto in un grande magazzino della città durante il periodo natalizio. Sarà durante una giornata che si imbatterà in una donna davvero attraente e sofisticata, che si rivolge a lei per un regalo da fare alla figlia. Therese ne resta così colpita che quella donna diventa un'ossessione per lei. Così forte da mandarle un biglietto di auguri, nonostante le abbia parlato solo per pochi istanti. Un gesto che le cambierà la vita, poiché le permetterà di ricontrare e conoscere Carol, e di entrare nel suo mondo, facendosi travolgere. Therese è profondamente immatura, spesso si comporta in maniera sciocca ed avventata; è giovane ma non è molto credibile per una ragazza che si è ritrovata a dover crescere da sola. Il rapporto con Carol la porta a spingersi oltre in molte situazioni, buttandosi a capofitto senza pensare a niente. Per fortuna però la vedremo maturare durante le pagine, quando la realtà si abbatte su di lei e la scaraventa col culo a terra, portandola a riflettere su se stessa. Carol viene descritta sempre con modi quasi altezzosi, è sempre ben curata e sembra vivere in una bolla tutta sua, nonostante alcuni problemi che scopriremo durante il romanzo. Anche lei la vedremo cambiare durante le pagine, ma lentamente e solo verso la fine ci sarà davvero visibile qualcosa. Ci verrà presentato anche Richard, il fidanzato di Therese, con cui però lei non si trova così bene; si capisce che prova profondo affetto, ma pensare ad una vita insieme proprio non ci riesce; lui è di famiglia benestante e vive la vita in maniera diversa, cosa che lei sente giorno dopo giorno, e questo peso si fa sempre più pesante. Porta avanti questa relazione senza decidersi su come comportarsi, finché sarà il destino a prendere la scelta. Non voglio addentrarmi troppo nei dettagli, vanno scoperti (nel bene e nel male) durante la lettura. Come (però) avrete capito non mi è piaciuto molto, purtroppo. Un romanzo d'amore atipico, per molti punti di vista; un romanzo che parla di crescita e di scelte. Non lo sconsiglio, perché nel complesso è il mio gusto che ha storto il naso, come romanzo resta buono e ben scritto. Se vi incuriosisce, provate. from Blogger https://ift.tt/2DVqVKD via IFTTT
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🇮🇹 In ritardo, ma ecco la recensione di oggi. Un libro nato da wattpad e portato in libreria da @sperlingkupfer scritto da @chewiehey intitolato Doctor Dream. Tra sogno e incubo è solo il primo volume. È un romance ambientato, pensate un po - perdonate la ridondanza - in ambiente ospedaliero. Ma a parte questo è anche un libro ricco di mistero, di messaggi enigmatici e di avventura e pericolo per la nostra protagonista. Inizialmente, dopo aver letto la trama, pensavo fosse un libro adult, con scene spicy etc, sapete cosa intendo. Insomma la trama faceva intendere proprio quello. Ma durante la lettura ho notato un romance soft, che si faceva sempre più intenso pagina dopo pagina, ma con ritmi lenti, aggiungendo un tassello dopo l’altro nei momenti giusti senza affrettare le cose. La nota misteriosa cresceva sempre di più, ma di scene spicy nulla. Vi dirò, questa nota cadenzata della narrazione mi ha fatto piacere il libro molto di più. Alla fine poi ci sarà quella scena che da, diciamo, il genere al libro. Ma il fatto che tutto non sia stato affrettato, che dietro sia stata costruita una trama complessa, ben fatta, capace da sola di tenere il lettore attaccato alle pagine, per me è stato il dettaglio che mi ha fatto innamorare di questa storia, di questi personaggi. Tante volte però avrei voluto urlare contro Charlotte per la sua stupidaggine e testardaggine. Ad un certo punto, quando esce con Cindy, nonostante Hayden le abbia chiesto di non uscire sola etc, perché la sua vita potrebbe essere a rischio, avrei tanto voluto urlare, di nuovo per le stesse ragioni. Però ho anche pensato al lato positivo, se lei fosse rimasta uccisa Hayden sarebbe libero da ogni pensiero, no? Ah, non è così che funziona?? Mi dicono dalla redazione che non potrei avere Hayden nemmeno se volessi perché non è vero… Cose da pazzi!! Voi cosa avreste pensato al posto mio? Se volete leggere la recensione completa vi rimando al blog 😉 Comunque la mia valutazione è di ⭐⭐⭐⭐⭐, e se li è meritate tutte anche perché è ambientato nella mia città preferita, in cui ho anche trascorso una bellissima estate, Boston. (at 𝘽𝙤𝙨𝙩𝙤𝙣, 𝙈𝙖𝙨𝙨𝙖𝙘𝙝𝙪𝙨𝙚𝙩𝙩𝙨) https://www.instagram.com/p/CW3n_stL69x/?utm_medium=tumblr
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Sword of Drossel「Storia Breve」(Traduzione Italiana)
Storia: Roletta
Lyrics, Musica, Video: Oster Project
Illustrazioni: Gaga (ガガ)
× [ Introduzione e Personaggi ]
× Traduzione basata sulla versione di Kokoro no Vocaloid.
ATTENZIONE: La storia ruota attorno ad un amore incestuoso tra fratello e sorella. Nella storia breve sono presenti una scena che anticipa uno stupro, manifestazioni di follia e, da parte di lui, scene masochistiche e affermazioni morbose. Sconsiglio la lettura alle persone particolarmente sensibili.
Nota: No, non ho idea del perché nessuno (compreso Letzel) abbia mai detto la verità a Drossel e si siano addirittura inventati la storia del tradimento.
Sword of Drossel 「Storia Breve」
In mezzo a questo soffocante odore di sangue, riesco a sentire calore.
Non riesco nemmeno a sentire le grida acute e i boati delle persone intorno a me, perché tutto ciò che posso fare è soltanto essere intossicato da questo sentimento.
Ah ah, non vedevo davvero l'ora che questo giorno arrivasse.
«Sorella...»
Oggi ho reincontrato mia sorella maggiore, che ho abbandonato molto tempo fa.
Per promuovere la ricchezza di questo paese (nemico), è stato indetto un ballo. Ho saputo che mia sorella, allora nel suo paese natio, era stata invitata. Seppi dunque che, di lì a breve, l'avrei incontrata qui.
Da quanto tempo, Sorella. Sei bellissima come allora. I suoi occhi verdi sono limpidi come se vedessero attraverso ogni cosa. Ho visto quegli occhi folli, ho trattenuto il respiro.
一一Ahimè.
La spada tra le mani di mia sorella ha trafitto il mio corpo. La follia di mia sorella ha trafitto il mio petto, dandomi un dolce piacere.
La scena si sta distorcendo, la mia vista sfocando, sono con mia sorella, mia sorella mi stava cercando. Con le sue mani tremanti, serra la presa prima di conficcare la sua spada più a fondo nel mio petto, con l'espressione di chi sta per piangere da un momento all'altro.
«Ah ah, Sorella...»
.
Quel giorno lasciai il mio paese natio.
Mio padre, il re di questo regno, si era ammalato; ovviamente il regno vicino, che cerca di accumulare potere e influenza prendendo di mira il nostro paese, è qualcosa di inevitabile.
In cambio della pace, ci venne richiesta una sola cosa: mia sorella maggiore Drossel.
Questa era la situazione. Anche se ero molto giovane, riuscii a vedere attraverso questa richiesta.
«Lascia che io prenda il suo posto.»
«Letzel... In ogni caso, persino in simili circostanze, Drossel diverrà sua moglie. Ma se tu prendi il suo posto, finirai per vivere una vita da prigioniero, lo capisci?»
«Sì, lo capisco... ma, anche se questo è il caso, andrò. Non lascerò che la mia preziosa Sorella faccia un simile sacrificio per questo paese...»
Fu una decisione avventata. Chiesi a mio padre (sua Maestà) di negoziare questa mia proposta con il detto regno vicino. Era per il bene della mia quasi-uguale Sorella, che è sempre stata con me per tutta la vita, fin dalla nascita. Non importava dove fossimo, noi saremmo sempre stati insieme. Mia Sorella ha sempre protetto questo debole, malaticcio, timido me.
«Letzel! Perché... perché te ne stai andando!?»
Da una parte ascoltai le grida acute di mia sorella maggiore, dall'altra non la guardai negli occhi mentre camminavo senza voltarmi. Nascosi i pugni serrati, talmente stretti da far sbiancare le nocche sotto i guanti, strinsi i denti e mi trattenni dal mostrare la mia espressione pronta a scoppiare.
«Letzel! Io non... Non abbiamo fatto una promessa!? Abbiamo promesso di proteggere la nostra madrepatria... Perché!? Finché noi due siamo insieme... Se anche ci succedesse qualcosa, staremmo bene... Non sei stato tu a dirlo!?»
Il suo pianto disperato mi trafisse il cuore.
Ma avevo già preso la mia decisione.
Non ero più un principe. Da quel giorno in poi, sarei stato conosciuto come il protettore di questo paese... Letzel, il Cavaliere.
Anche se lei mi avesse odiato, sarebbe andato bene. Aveva tutto il diritto di sentirsi così.
Anche se tutto ciò che fosse rimasto nel cuore di mia Sorella sarebbe stato odio, tutto ciò che potevo fare era sperare che lei trovasse la felicità.
.
I giorni nel paese vicino equivalsero all'Inferno.
Mi era stata assegnata una stanza più simile ad una cella, una stanza nelle zone più remote del castello, dove nessun'anima mi avrebbe mai seguito, ed ero odiato dagli abitanti della città per il mio vedermi come uno straniero. Ma, più di tutto, ciò che era più difficile da sostenere era la presenza di quell'uomo...
«Oh... Quindi tu sei Letzel, uh...»
Il suo nome era Ravi, ed era il principe primogenito di questo paese.
Lucenti capelli neri, occhi neri, un sorriso gentile che si formava sempre agli angoli delle labbra. Unito all'atteggiamento elegante di un vero principe, i cittadini si fidavano di lui. Nonostante il fisico apparentemente sottile, ero consapevole del fatto che nascondesse un corpo molto forte, come se se lo fosse guadagnato con l'allenamento.
Ah ah, che principe eccezionale, almeno all'apparenza.
«Vieni con me.»
L'uomo rivelò qualcosa che non aveva mai permesso agli altri di vedere, un sorriso ridicolo mentre agitava la mano verso di me. Quando esitai e abbassai la testa, l'uomo sembrò subito di fretta. Espirai appena, coprendomi con le dita, prima di camminare verso di lui.
一In un attimo一一
«Ah...»
«Ah ah.»
Afferrato in qualche modo dal colletto, fui spinto contro di lui prima che la sua mano si avvolgesse attorno alla mia, stringendosi. Dimenai il mio corpo e opposi resistenza, quando l'uomo fece una risata soddisfatta.
«Guarda come sei agitato...»
«... Smettila...»
Protestai con forza nonostante la gola serrata, e sentii che l'uomo aumentò di molto la stretta attorno al mio collo. Non potevo far altro che annaspare per il dolore.
«Ah... Ah...»
«Non dovresti implorare qualcosa come "Ti prego, non farmi questo"? Hai davvero compreso qual è la tua posizione, ora? Non male per un gemello, somigli molto a Drossel.»
«...»
Trattenni il respiro. A sentirlo pronunciare il nome di mia Sorella, non potei far altro che lanciargli un'occhiataccia, ma i suoi occhi sembravano pazzi di gioia.
«Questa tua espressione non è male... È un'espressione che mi piace. Tu... Ho sentito che hai preso il posto di tua sorella come prigioniero, giusto?»
«... Come fai a sapere...»
«La persona che ha acconsentito alla sostituzione di Drossel, chi altro l'avrebbe potuto fare?»
Sul viso dell'uomo si formò un sorriso distorto prima che l'altra sua mano facesse per accarezzarmi il collo con fare scherzoso; in un gelido istante, sembrò che volesse graffiarmi o che smaniasse di farmi male alla guancia.
«Farsi obbedire da quell'incapace del tuo vecchio non è stato facile, sai? Non importava cosa io dicessi, era testardo quando si trattava di esaudire la mia richiesta di darmi Drossel.»
La mano dell'uomo serrò la presa sulla gola, facendo contorcere il mio corpo dal dolore. Ma rese l'uomo più soddisfatto man mano che proseguiva.
«Ehi, non cercare di scappare, eh? Solo perché sei prigioniero qui, non vuol dire che non alzeremo un dito su quel paese vicino (la vostra patria).»
——Inutile dire che Drossel non faceva eccezione.
Sentendo questa frase sussurrata all'orecchio, sentii il sangue andarmi alla testa. Di fronte ai miei occhi, tutto era tinto di rosso. Non appena sollevai la testa, colsi l'opportunità per alzare la mano, mi liberai di quella dell'uomo, notai la sua espressione allegra. Proprio quando fui sul punto di abbassare la mano, lui afferrò e torse il mio debole polso, lasciando che il dolore mi irrigidisse il corpo, seguito da un dolore intenso intorno al collo.
«Ah...ah ah!?»
Mi morse il collo.
Il dolore troppo intenso mi fece spingere l'uomo con forza, ma invece fui io a finire spinto a terra, sul pavimento duro.
«Ah ah, che pena, Letzel. Devi aver pensato di venire qui come prigioniero per proteggere la tua preziosa sorella maggiore. Ma che tu scelga di sacrificarti o meno, il risultato non cambierà mai. La tua fine sarà comunque il momento in cui la principessa sarà finalmente imprigionata.»
L'uomo si leccò il sangue all'angolo delle labbra e rise.
«Ah ah, non piangere, Letzel... Per quanto il tuo venire qui come prigioniero non abbia alcun significato, questo potrebbe cambiare a seconda delle tue azioni, sai? Sai anche tu quanto sono influente in questo paese, vero?»
Il dolore mi fece piangere. Prima che le lacrime potessero cadere lungo le guance, lui le asciugò rispettosamente. Trattenne le lacrime sulle dita, come se volesse leccarle. Guardò dall'alto la mia faccia distorta dall'umiliazione, e rise più allegramente.
«Cosa... Cosa vuoi...»
«Cosa voglio? Oh, ecco——»
——te.
L'uomo alzò la gamba e non esitò a schiacciarla contro l'addome.
«Ah, cough...»
Quel dolore troppo intenso fece tremare il mio corpo, mentre l'uomo rideva allegramente, prima di darmi un calcio. L'impronta sul mio viso lasciò un graffio, e del sangue iniziò ad uscirmi dal naso. L'odore del sangue che si spandeva nella mia bocca mi fece tossire. L'uomo ghignò, mi afferrò il colletto e mi costrinse a rialzarmi; fui spiazzato, così l'uomo si piegò e mi spinse contro il muro.
«Ehi, Letzel...»
La sua mano pulì la mia guancia destra. L'altra mano andò alla vita, le gambe arrivarono tra le cosce. Per sussurrarmi all'orecchio, avvicinò il mio corpo al suo. Anche se non volevo, riuscii a sentire il suo calore.
«Sono solo. In questo paese, non c'è un'anima che voglia conoscermi, figurarsi capirmi. Mi danno le responsabilità di un bellissimo principe, ogni giorno, nulla è cambiato. È irritante, sai? Sono annoiato, ah. Gli esseri umani sono quel tipo di creature che si aspettano sempre un cambiamento. Giocare ogni giorno con lo stesso giocattolo finisce per annoiarti a morte, al punto da volere qualcosa di nuovo con cui giocare.»
La lingua dell'uomo raggiunse il collo, lasciando una traccia umida.
Serrò i denti e continuò a leccare. Tra il freddo del muro gelido e il calore dell'uomo, tutto quello che sentivo era disgusto.
«Sei pazzo, Letzel. L'espressione nei tuoi occhi è simile alla mia. Non è un male... è solo questione di tempo prima che tu venga avvinto dalle catene della pazzia. A quel punto, non sarai più in grado di capire niente.»
«… Ah…»
Con una risata fredda, l'uomo mi morse l'orecchio con violenza, provocandomi un dolore insopportabile. Ero certo di star sanguinando. Sembrava che lui stesse bevendo il mio sangue mentre mi leccava l'orecchio, prima che la sua lingua andasse sempre più a fondo.
«Ehi, facciamo un patto. Se accetti di diventare una mia cosa, allora non alzerò un dito sul paese vicino. Lo stesso vale per Drossel.»
L'uomo apparve con un sorriso spregevole mentre mi sussurrava all'orecchio. Quel che provavo per questa possibilità senza scelta aveva raggiunto il punto di essere solo disgusto.
«Il problema è che mi annoio facilmente... e, se mi annoiassi, non potrei prometterti che non prenderei un nuovo giocattolo. Il fatto che tu non voglia diventare una mia cosa è un problema irritante. Sai cosa fare per evitare questa situazione, vero? Oh, Letzel...»
La lingua salì sul mio viso, la mano sulla vita sembrò voler toccare tutto il mio corpo, il suo calore si avvicinava, era troppo caldo. Senza sapere come, la sua lingua invase la mia bocca e, proprio quando pensai stesse per passare alle labbra, mi morse.
«Uh... Ah...»
Faceva male.
Il sapore del sangue si diffuse nella mia bocca. Per quanto dovessi sopportare questa umiliazione, la risposta alla sua domanda era solo una.
Sì, quello era l'unico modo per proteggere mia Sorella.
«Da oggi in poi, sarai una mia proprietà. Vero?»
.
——Il me dalla visione contaminata dalla disperazione cadde tra le rose.
Il profumo dolce mi intorpidì il cervello e rilassò il mio corpo ghiacciato.
«Sorella...»
Era il roseto in cui mi ero imbattuto. Silenziosamente collocato nel giardino nelle profondità del castello, quel posto era diventato il luogo dove cercavo rifugio.
Non importava quanto amaro o doloroso fosse, avrei resistito. Mi sono aggrappato a questo pensiero per vivere fino ad oggi. Anche se stavo ancora vivendo con questa umiliazione, a ripensarci, era stata solo una questione di tempo prima che mi sentissi intorpidito e perdessi ogni sentimento. Il suono, la vista e tutto ciò che mi circondava non avevano più importanza.
L'unica cosa che mancava era solo un piccolo dettaglio.
«Sorella...»
Soltanto la sorella che stava nel nostro paese natio. Era il mio unico pilastro di forza. Se io ero lì per proteggerla, allora questo era tutto ciò che chiedevo. Le lacrime che avrei dovuto versare sulle mie guance si erano già asciugate. Mi sentii un po' fiero di questo. Durante la nostra gioventù, venivo sempre sgridato da Drossel. Diceva che se amavo così tanto piangere, non sarei mai diventato un bravo Principe.
Il gesto che ho fatto è stato abbastanza degno di un principe e di un cavaliere?
Toccai la spilla scintillante sul mio petto.
Quella spilla mi fu data da Drossel durante la nostra gioventù. Stavamo girovagando a palazzo e, in una stanza in cui non eravamo mai entrati prima, avevamo trovato una spilla verde bluastra.
«È fantastica, Letzel! È così splendente e brillante...»
«È bellissima, vero...»
«Sì, è davvero carina!»
La spilla emise un bagliore bianco splendente. Dal mio punto di vista, Drossel era molto più bella e attraente della spilla che stava guardando.
«Letzel. Metti questa spilla.»
«Eh? Sei sicura?»
«Sì, perché sei stato tu a trovarla!»
Mi mise in mano il cofanetto della spilla. Due gemme blu-verdi brillarono dentro la scatola.
«In realtà questa spilla è in due pezzi, ovviamente hanno un significato. Questa gemma è probabilmente una giada. La giada è una gemma che non può mai essere rotta. Si dice che sia "forte come una catena", non può mai spezzarsi. Proprio come me e Letzel.»
Drossel concluse la sua spiegazione con un sorriso e il suo sorriso fece accelerare il mio cuore.
«Quindi lascerò che Letzel tenga le due spille, così che non possano mai essere separate e possano stare insieme per sempre. Non perderle mai, eh! Questo è il nostro giuramento.»
«... Sì!»
Annuii docilmente, prima di stringere la scatola tra le mie braccia. Da quel giorno, ho fatto tesoro di quelle due spille.
Fino al giorno in cui ho lasciato il mio paese natio.
Ora ho soltanto una delle spille, l'altra è insieme a Drossel. Il giorno prima che me ne andassi, gliel'ho consegnata mentre stavamo parlando. Non so se, quando le ho dato quella spilla, Drossel fosse consapevole del motivo dietro il mio gesto, del perché le avessi dato quella spilla quella notte.
Onestamente, non mi importava se avesse capito o meno il motivo per cui gliel'avevo consegnata in primo luogo, né se lei l'avesse gettata; ma una parte di me, con un piccolo barlume di speranza, desiderava che si rendesse conto del significato dietro il mio gesto.
Suppongo di essere stato avido per aspettarmi così tanto da lei, uh...
«Sorella...»
.
Se ora chiudo gli occhi, riesco ancora a ricordare chiaramente l'aspetto della mia adorata sorella maggiore e la sua voce come quella di un tordo.
Da quando l'ho lasciata, quel giorno, ho rinchiuso il mio cuore in quel sorriso che non cambia mai.
——Forse è per questo.
«Letzel.»
La voce che chiamò il mio nome mi fece alzare la testa.
Come circondata da rose rosse appena sbocciate, la mia adorata sorella maggiore era lì, in piedi.
«Sorella.»
«Letzel.»
Era senza dubbio la voce di mia Sorella. I suoi riccioli dorati, i suoi occhi azzurri, il suo fiocco rosso sul vestito, non potevo sbagliarmi.
«Ah ah, Sorella... Sorella!»
La abbracciai forte. La mia testa affondò tra i suoi capelli morbidi e inspirai il dolce aroma di rose. Ah, questo è il profumo di mia sorella maggiore.
«Ti amo...»
Le spine della rosa si spezzarono, le mie guance cominciarono a grondare sangue. La leggera puntura delle spine non mi aveva fatto trasalire dal dolore, anzi, era piacevole. Continuai a tenerla stretta, sbriciolandomi la pelle.
.
Dopo aver aperto gli occhi, di fronte a me stava una rosa. Una normalissima rosa. Non mia sorella maggiore.
Comunque, anche così, andava bene.
Provavo un amore irrefrenabile per le rose macchiate del mio stesso sangue.
«Ah, com'è piacevole.»
La strinsi più forte e mi godei i petali di rosa e le spine che mi circondavano.
Anche se era solo una normalissima rosa, non importava, perché per me quella rosa era come mia sorella maggiore. Anche se era un'illusione, la mia adorata sorella era ancora lì.
Solo questo mi appartiene, la mia unica amata.
Dalle numerose ferite provocate dalle rose cominciò ad uscire sangue, che tinse le rose rosse di un rosso più intenso di quello naturale.
«Finalmente si stanno mescolando...»
Mia Sorella e me.
Il sangue che scorreva aveva macchiato la rosa. Il rosso che trabocca da se stesso e il rosso della rosa stessa si erano intrecciati, come se fossero finalmente diventati una cosa sola.
Il confine del mio corpo scomparve, mi sembrava di starmi gradualmente sciogliendo come i miei sensi.
Ah, siamo una cosa sola. Ora, mia sorella ed io siamo una cosa sola.
Aprii gli occhi e vidi Drossel d'innanzi a me con un sorriso. Ogni volta che accarezzavo la sua guancia teneramente, il corpo sentiva un leggero dolore. Il profumo delle rose mi consumava, mi anestetizzava, paralizzava la mia mente, com'era piacevole.
«Sorella... Sorella...»
Ah ah, finché sarà per proteggere questa persona, qualunque cosa dovrò subire, potrò pazientemente tollerare qualsiasi cosa.
Colsi la rosa, come in un bacio, ne presi un morso, aveva un sapore dolce.
Ah, ah, è il profumo di mia Sorella... di Drossel.
Leccai il sangue che gocciolava sulla rosa, prima di baciarla.
«Drossel...»
.
Si sente ovunque gente in modo disordinato, il rumore e il caos. Il lampadario era bello e abbagliante in questa sala da ballo, eppure le persone sono prese da un panico più grande.
Tuttavia, non le sentivo affatto.
Tutto quel che sentivo era una spada conficcata a fondo nel mio petto, stretta tra le mani tremanti di mia sorella maggiore.
Com'è calda.
L'aroma di rose circonda il mio corpo. Il calore del venire toccato e il calore emanato da me, tutto ciò che riesco a percepire è il calore. Tossisco un po', così dalla mia bocca esce molto sangue. La spilla che indosso sul petto cade sul pavimento, producendo un suono spezzato. È stato il colpo che ha sferrato prima a spezzarla.
Il mio legame con mia Sorella è già distrutto.
«Sorella...»
Sussurro appena, e il corpo tra le mie braccia trema. Lo abbraccio con più forza.
«Sorella...»
Nessuna risposta. Ma riesco ad avere chiara una cosa.
Mia Sorella è senza dubbio qui. Tra le mie braccia.
Ho atteso questo giorno fin dalla mia partenza. Il giorno in cui sognavo di incontrarla di nuovo. Ho perso il conto di quante volte mi è mancata mia sorella.
——Le emozioni traboccano.
«Ah ah, Sorella... mia adorata, adorata Sorella.»
Drossel sembrava stesse per piangere da un momento all'altro. Ovviamente, volevo asciugarle le lacrime, ma non riuscivo a muovere del tutto le mani.
Questo corpo che trema appena non sta più obbedendo ai miei comandi.
Lei deve aver vissuto una vita orribile. Dopo che me ne sono andato, la vita di mia sorella maggiore deve essere stata piena di dolore.
In questo paese vicino, sono sempre stato in grado di sentire in che stato di deterioramento fosse la nostra patria, che mi piacesse o meno. La principessa che è stata tradita dal proprio fratello e che è rimasta sola. Il padre, il re, che muore prima di lei, e lei non ha nessuno su cui fare affidamento per affrontare la sua solitudine.
Afflitta da una simile angoscia, ma costretta a mostrarsi coraggiosa per governare il paese e fare affidamento sulla forza dei cittadini, tutto questo, so come si è sentita. Era una questione di tempo prima che questo portasse a una guerra.
Chissà cosa stava pensando mia sorella quando ha deciso di venire in questo paese. Mentre ci ripenso, il mio petto si stringe, ma——
«Ah ah, come sei adorabile.»
Ora mia sorella è qui. Tra le mie braccia. Mentre conficca la sua spada nel petto di suo fratello minore e trema appena. Quel che ora occupa il suo cuore è probabilmente rimorso.
«Capisco...»
Percependo la follia negli occhi di mia sorella, l'affetto esplode dentro di me. A portare mia Sorella a quel punto è stata sicuramente una forma di follia. Il fuoco infernale della pazzia si è risvegliata in un attimo, ha dominato le sue azioni.
L'errore commesso da mia sorella mi sembra un sogno.
La sua espressione sembra dirmi che non sarebbe dovuta finire così.
Non si poteva fare nulla per rimediare, nessuno poteva fermare questo, questa passione.
Lei è proprio come me, ha gli stessi folli sentimenti per me. Ah, che bello.
La spada che attraversa il mio corpo sembra contenere i sentimenti di mia sorella riguardo se stessa, sempre più profondi, fino ad essere una cosa sola con me. Stavano distruggendo il mio corpo, i sentimenti di mia Sorella...
«Co...cough...»
Sangue esce dalla mia bocca. Vedendo il sangue dalla bocca e dal corpo contaminare il corpo di mia Sorella, mi ricordo di quella rosa sbocciata nel roseto, quella sensazione di essere una cosa sola.
«Voglio essere una cosa sola con te, Sorella...»
Usai l'unica parte del mio viso che riuscivo a muovere per strofinarla contro il suo, di viso, lasciando che le lacrime di mia Sorella bagnassero le mie guance. La faccia di mia Sorella è ovviamente macchiata di rosso, grazie al mio sangue.
«Fondiamoci in una cosa sola.»
Che pena.
Che amore pietoso.
«Alla fine non sono riuscito a proteggerti, mi dispiace.»
Qui è dove mi sono riunito a Drossel. Drossel è stata convocata qui, in questo paese, per una ragione, e sono stato in grado di capirla solo in seguito.
A questo punto, credo che il nostro paese... sia completamente andato in rovina.
Alla fine non sono diventato un buon principe o re, uno che avrebbe dovuto essere lo scudo che riesce a proteggere la sua patria. Ma, per quanto abbia fallito in questo, l'unica cosa che devo ancora essere in grado di proteggere è mia Sorella.
«Ah ah... Drossel.»
Mi sento nel mezzo di una folle anestesia di rose, tutto ciò che sento è amore.
Fondiamoci gradualmente, per recuperare le parti vuote di noi.
Forzo la mia mano rigida e indolenzita. Il braccio tremante lotta con le sue ultime forze mentre raggiunge la spada appesa alla mia vita. Ogni volta che il mio corpo si contorce, sento che la spada di Drossel penetra più a fondo dentro di me. Tiro fuori la mia spada.
«Drossel, ti proteggerò sempre. Non ti lascerò mai più. Staremo insieme per sempre.»
La spilla brilla sul petto di mia Sorella. Come i nostri occhi, è blu e ora è rossa per il mio sangue.
Va bene così, ora noi due siamo uno, per sempre insieme.
Allontano la spada per un momento. Non la lascerò da sola.
I grandi occhi di Drossel sono ancora limpidi e bellissimi.
Non temere, anch'io sto diventando pazzo.
«Ti amo.»
Sono certo di non essere riuscito a dirlo ad alta voce.
Ho sussurrato l'amore con il sangue, prima di affondare finalmente la spada.
—— Ah ah, voglio diventare una cosa sola con te.
—— Giuriamoci amore eterno, per l'eternità e oltre.
.
In mezzo a tutte le persone in fuga, soltanto un uomo era rimasto immobile.
L'uomo guardò i corpi di Letzel e Drossel. In quel momento, non era sicuro di cosa dominasse la sua mente, se gioia, tristezza, o forse...
«Nobile Ravi, vi prego, venite subito via da lì.»
«Taci.»
Come per tagliare le parole del suo subordinato, si avvicinò ai suddetti corpi. Sembrava che si stessero abbracciando con forza, come se i due defunti stessero dicendo a chiunque che, anche da morti, nulla sarebbe cambiato tra loro due, facendolo sentire male.
L'uomo notò allora qualcosa di brillante nella pozza di sangue. Era una giada distrutta. Anche senza una memoria prodigiosa, non gli ci volle molto a capire cosa fosse. Erano le spille che Drossel e Letzel indossavano sempre. Anche se loro due si erano divisi, avevano continuato a portare sul petto quella cosa.
«Dannazione.»
Sputò quella frase e raccolse i pezzi della giada. Quei piccoli pezzi emanavano una luce verde bluastra. Nulla era cambiato dalla creazione della spilla e della sua forma.
«Che bella.»
——Somiglia ai tuoi occhi.
In passato, era solito complimentarsi così con Drossel. In quel momento, osservando la persona che amava ormai morta, cominciò a riflettere se quel complimento fosse inteso per Drossel fin dall'inizio, o se fosse inteso per Letzel, solo lui lo sapeva. No, nemmeno lui ne aveva la minima idea.
Fissò i frammenti.
Drossel provava un amore profondo per la sua patria. Nonostante avesse perso suo padre, il suo re, e nonostante fosse stata tradita da suo fratello minore, era stata comunque in grado di governare il paese da sola. Sostenuta da questo, era il suo modo di infondere patriottismo nella sua gente. Ma le cose non erano andate come voleva, il suo amore per la madrepatria era diventato sempre più caotico, fino al punto che non passò molto tempo prima che, lentamente, le tenebre profonde inquinassero il suo cuore.
Perché, perché, si era chiesto fino alla fine, per sistemare il suo cuore pieno di dubbi, Drossel non aveva scelto nessun'altro se non la sua controparte: il fratello che l'aveva abbandonata molto tempo prima, quello che era partito per il paese vicino, Letzel.
Perché, senza di lui, lei non era niente.
Era come se avesse perso metà di se stessa. Non importava cosa facesse, niente sarebbe mai stato perfetto, non importava quanto ci provasse. Di conseguenza, in mezzo a tutto ciò, i suoi pensieri, inconsciamente impazziti con il passare del tempo, i suoi sentimenti affettuosi si erano trasformati in odio. Il profondo amore che aveva per suo fratello si era trasformato in un odio di egual misura, facendole commettere quell'atto mostruoso.
D'altra parte, Letzel era profondamente innamorato di lei. Per il bene del loro paese natio, per il bene del popolo, si è sacrificato perché la cosa per lui più importante non era nient'altro che lei. Non importava quanto sarebbe stato inquieto, né quanto sarebbe stata solitaria la vita nel paese vicino, se fosse stato per Drossel, sarebbe stato disposto a sopportare tutto quanto. Il suo cuore, che avrebbe dovuto tremare dal dolore, era stato sostituito dall'amore per sua sorella, un amore così grande che, in seguito, lo aveva reso così folle, i suoi sentimenti per Drosell erano diventati la sua più oscura perversione, senza che Letzel se ne rendesse conto. La sua perseveranza in quell'amore era poi diventata sempre più aggressiva, e lunghi anni di separazione avevano infine lasciato una profonda traccia di odio e risentimento verso il cuore della principessa, distorcendo il suo amore per lei.
Ironia della sorte, i sentimenti sfuggevoli di quelle due persone erano di nuovo collegati, ma attraverso la morte. E questa volta, sarebbe stato davvero per l'eternità e oltre.
Ah ah, lui stesso non poteva vedersi come uno di quei frammenti. Non importava come si cercasse di separare quelle due persone, non sarebbe mai potuto diventare uno di loro. Tutto ciò che poteva diventare era un comune spettatore.
Che odio.
La mano che stringeva il frammento si serrò con forza. Il bagliore verde bluastro riflesso fece sì che la fiamma nera bruciasse il suo cuore. Ah, che bello.
«Eh... ah ah.»
Giada limpida come cristallo. Composta di un qualche tipo di follia, si sarebbe dovuta consumare da sola. Allora, lasciami diventare più pazzo di quanto sia mai stato, così che io dimentichi tutto.
«Ah...»
Baciò la gemma.
«È stato divertente incontrarvi entrambi.»
Quindi la portò alla bocca e la ingoiò. Aveva il sapore del sangue fresco. Il sapore di Letzel e Drossel.
Raccolse un pezzo alla volta dalla pozza di sangue e li inghiottì. I frammenti di due persone che si mescolavano l'un l'altro avevano un sapore davvero dolce. Ad ogni singolo pezzo di giada che veniva in contatto con la sua gola, un'ondata di calore invadeva il suo intero corpo.
Non può essere fermata. Questa follia che consuma lentamente.
«Da oggi in poi, entrambi sarete di mia proprietà——vero?»
Senza ricevere alcuna risposta, si chiude il sipario che narra la storia di un uomo che cammina verso la follia.
La risata che echeggia nella città non finisce. L'odore soffocante del sangue ancora avvolge quell'uomo. Solo le rose nel cortile, lontane, rimangono magnifiche.
.
Knight of Letzel
C'era una volta, nella città di un paese ricco, un ragazzo che viveva in un castello.
Il suo nome era "Letzel".
Era il principe di un paese vicino che, in giovane età, venne in queste terre.
~
Il principe venne qui di sua volontà, come ostaggio, per proteggere la sua desolata madrepatria.
Non si lamentava per la sua situazione infelice, ma pensava ad una certa ragazza.
Era sua sorella maggiore ed erano nati insieme nella loro madrepatria.
Quando pensava a sua sorella gemella, di nome Drossel, riusciva a sopportare il duro e crudele trattamento che ancora riceveva in queste terre.
~
Il principe amava sua sorella.
Il pensiero di essersi separato da lei quando erano soltanto bambini lo condusse alla pazzia
Ma, più difficile era, più il suo amore per lei si faceva profondo.
Fu allora che realizzò che i sentimenti che aveva per lei erano ben lontani dall'amore che provava per la sua famiglia.
Il principe provava dei sentimenti anormali per sua sorella.
~
Nelle profondità del palazzo, nel giardino segreto, dove il principe passeggiava di nascosto
Stavano le rose, a cui il principe aveva dato il nome di sua sorella.
Il principe parlava del suo amore per sua sorella mentre baciava le rose.
~
"Ah, se verrà il giorno in cui potrò vederti di nuovo"
"Voglio diventare una cosa sola con te."
"Voglio parlarti di quel che è successo mentre eravamo separati e voglio essere sicuro che tu venga a conoscenza del mio amore."
"Lascia il tuo dolce, ammaliante corpo tra le mie braccia e lascia che lo baci ancora e ancora."
~
Era così folle d'amore che amava anche le spine delle rose che gli pungevano le dita.
Seguendo con la lingua il sangue rosso che gocciolava, il principe bramava la sorella
E giurò di amare la brillante spilla di giada che sua sorella gli aveva regalato quando erano bambini.
.
Sword of Drossel
C'era una volta, in una terra lontana, una principessa.
Crebbe libera e bella come un tordo, quindi le fu dato il nome "Drossel".
Grazie a quel nome, divenne una ragazza bella e intelligente.
~
La principessa aveva un fratello gemello
Ma suo fratello tradì il loro Paese e fuggì in un Paese vicino.
La principessa soffrì per il tradimento di suo fratello.
Il dolore scorreva insieme alle lacrime e andava incessantemente trasformandosi in odio.
Un'oscurità profonda calò sulla sua mente.
~
Un giorno, arrivò un invito ad un ballo nel Paese vicino.
La principessa andò nel Paese vicino con il cuore colmo di un profondo odio
E, finalmente, incontrò suo fratello, che non era cambiato affatto.
~
La sua voce nostalgica e una sensazione di calore per il suo aspetto più maturo infiammarono l'odio della principessa.
"Non posso perdonarti per avermi tradita"
La principessa estrasse dal petto una spada d'argento,
La punta, inondata dal suo odio, si conficcò in profondità nel cuore di suo fratello.
~
Riflesso nei suoi occhi c'era solo il rosso brillante del sangue che usciva dal suo corpo morente.
L'espressione di suo fratello le apparve all'improvviso, e aveva un sorriso gentile che la principessa conosceva bene.
~
"Perché stai sorridendo?"
~
Gli occhi della principessa si riempirono di lacrime.
La principessa abbracciò forte il corpo esanime di suo fratello.
Una sensazione fredda sulla punta delle dita. Sul petto di suo fratello c'era una spilla, quella che lei gli aveva dato molto tempo prima.
La principessa spalancò gli occhi e lanciò un grido silenzioso.
~
Alla fine, la principessa capì.
Che quello non era il futuro che lei sperava.
Che un minuscolo ingranaggio fuori posto aveva causato un errore enorme.
Che non avrebbe potuto cancellare ciò che aveva fatto in un momento di impulsività.
Il vestito bianco della principessa era diventato cremisi prima che lei se ne rendesse conto.
Era come se lei stesse brillando
Con gli occhi bagnati e la spilla di giada che colorava il petto di suo fratello.
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. ❙ 𝐒𝐚𝐟𝐢𝐲𝐚 & 𝐕𝐞𝐫𝐨𝐧𝐢𝐜𝐚. ❙ 𝟏𝟏𝐭𝐡 𝐀𝐩𝐫𝐢𝐥, 𝐑𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞 𝐕𝐢𝐫𝐠𝐢𝐧𝐢𝐚. ❙ #𝐫𝐚𝐯𝐞𝐧𝐟𝐢𝐫𝐞𝐫𝐩𝐠 « Porti il nome di un velo della religione cristiana, mentre il secondo nome appartiene a una sovrana molto famosa eppure il tuo giudizio si basa sulla mera fortuna. La dea bendata. » Safiya inclina il capo e sorride sorniona, non sta giudicando nessuno, questo deve essere chiaro. « L'otto è il ba, in cinese. E questo numero essendo molto simile al simbolo dell'infinito viene avvicinato ai significati di prosperità e ricchezza. Se lo accosti al colore rosso, poi, sarai super fortunata. Le spose in Cina si vestono di rosso, in effetti. » Safiya è sempre stata presa in giro per ciò che le piace: conoscere miti, leggende e fiabe. Forse può sembrare strano, ma è sempre stata sicura che da queste derivasse parte della realtà che li avvolge ora. E poi, proprio lei che è una dood perché non dovrebbe crederci? « Comunque, sicura che sia un otto? A me sembra... Non so, forse un fiore. »
Veronica Artemisia L. Maffei
Appassionarsi di miti e leggende era un qualcosa che era diventato straordinariamente naturale per la giovane milanese che, da quando s'era trasferita a Ravenfire, aveva ben presto compreso che non tutto era come si pensava. Tante erano le cose che aveva dovuto comprendere, infinite erano poi quelle che credeva fossero solamente supposizioni di una mente fantasiosa, eppure era tutto vero. Le storie che aveva letto toccavano diverse culture, come quella orientale. Intenta a discutere con quella ragazza di ciò che entrambe vedevano, Veronica era pressoché certa che quello disegnato fosse un otto. « Perché non dovrebbe esserlo? » Chiese prima di ricordarsi che poco prima la giovane avesse rimembrato le origini del suo nome. Si ritrovò così ad aggrottare appena la fronte, un'espressione quasi pensierosa aleggiò sul bel volto della Maffei che si rivolse nuovamente alla ragazza. « Sembra che tu sappia molto di più di quello che dai a vedere. I nomi li ha scelti mia madre, nonostante ormai qui a Ravenfire mi chiamino semplicemente Veronica... Come fai però a sapere tutte queste cose? »
Safiya Aada N. Santana
« Perché è sbavato. Vedi? I tratti non sembrano essere così... ben delineati, ecco. Voglio dire, se lo guardi da una prospettiva diversa, pare un fiore, non un otto. Questo mi fa pensare che potrebbe avere un altro significato. » Certo, se fosse un fiore bisognerebbe comprendere quale fiore potrebbe essere e quale significato avrebbe. Insomma, sarebbe un lavoro immenso persino per lei che conosce più o meno tutto di queste cose. Inclina il capo cercando di comprendere meglio, ma le sembra davvero troppo sbavato per essere certa al cento per cento. « Oh. » Deve essere sincera, non si aspettava certamente che l'altra fosse attenta alle sue parole. Insomma, molte volte la gente pensa che lei blateri e ormai pare averci fatto l'abitudine. « Mi piace informarmi delle persone che vivono a Ravenfire. Si scoprono tante cose interessanti. Se, invece, ti riferisci alla mia passione per le leggende e via dicendo, diciamo che ho trovato molto conforto nella lettura e nello studio, da adolescente e non solo. » Scrolla le spalle, la giovane, ma non è certa ( per nulla! ) che questo sia un argomento facile da definire e da continuare.
Veronica Artemisia L. Maffei
Era incuriosita da quella figura che sembrava saperne così tanto di miti e leggende. Sapeva che Ravenfire portava con sé una storia di misteri e ombre, ma sapeva anche che in mezzo a tale oscurità vi erano anche spiragli di luce. Vi erano bellezze che potevano essere osservate per un tempo che appariva quasi infinito, e una delle caratteristiche di Veronica era il saper riuscire a scovarle, come in quel caso. Continuò ad osservare il disegno sotto le indicazioni della sconosciuta, ma più le osservava più credeva di conoscere ciò che stava guardando.
« E quale potrebbe essere questo nuovo altro significato? »
Domandò alzando un sopracciglio in un'espressione decisamente più perplessa. Era così concentrata in quel semplice dibattito che la giovane italiana non si rese nemmeno conto di conoscere la giovane.
« A quanto pare sei una continua scoperta, sai anche come mi chiamo ma io non conosco il tuo nome... Beh, abbiamo una passione comune allora. »
Safiya Aada N. Santana
« Mi piacerebbe dire che si tratti di un fiore di loto, ma credo sia più un girasole, comunque un fiore di buon auspicio, se può consolarti. » Sa anche essere delicata Safiya, non solo la doodd che in molti dovrebbero temere. La vendetta fa parte del suo piano, certamente, ma non è solo questo. La giovane è in grado di dividere. Sa quando è il momento di essere sé stessa nella natura cattiva. E sa quando essere sé stessa nella natura buona. E per il momento è giusto che sia tranquilla. L'altra non rappresenta una minaccia per lei, non ancora. « Mi chiamo Safiya. Safiya Santana. » Diciannove anni di puro chaos vorrebbe aggiungere, ma non le sembra il caso spaventare qualcuno di appena conosciuto. Poco importa che conosca per filo e per segno i nomi di molti ( se non tutti ) gli abitanti della città. « Sono contenta. Voglio dire, molto spesso la gente pensa che avere determinate passioni sia da sfigati. » Scrolla le spalle e si mordicchia le labbra scarlatte. « Credo sia una cosa piuttosto stupida, ma tant'è! »
Veronica Artemisia L. Maffei
Era interessante poter parlare con la giovane che in quel momento sembrava delineare i tratti di una persona eclettica, e decisamente fuori dall'ordinario. Tante erano le persone a Ravenfire che si potevano dire essere fuori dal comune, Veronica lo sapeva, ma sapeva anche che stare sulle proprie le avrebbe senz'altro giovato. Sorrise la milanese nell'apprendere quella risposta così pronta e sicura di sé. « Probabilmente è più da sfigati non avere passioni rispetto ad altri, e scommetto che sono gli stessi che criticano il più delle volte... » Si ritrovò così a scrollare le spalle la Maffei mentre ripensava anche alle critiche che spesso le rivolgevano in merito al suo utilizzo dei social network. Umettò poi le labbra prima di voltare lo sguardo nuovamente sul loro argomento di discussione ma con la mente decisamente altrove. Spesso e volentieri pensava a come sarebbe stata la sua vita se non si fosse trasferita dall'altra parte del mondo, ma tutto in lei le gridava che Ravenfire era la miglior scelta che potesse avere. « Speriamo sia davvero allora di buon auspicio... Ma com'è che sai tutte queste cose? »
Safiya Aada N. Santana
« Mi piace studiare. E ho una passione per miti, leggende, fiabe... Parole e significati. Sono una sorta di nerd delle parole e della storia. Anche se ho scelto un percorso lavorativo differente. » Queste passioni per cui è stata presa in giro tanto spesso non sono mai scemate e, anzi, al massimo hanno finito solo per spingerla ancora di più verso ciò che tanto ama. E l'hanno anche resa vendicativa certo! Questa però è tutta un'altra parentesi. « Al tuo servizio, quando vuoi. La gente mi sottovaluta per via del mio aspetto. Lo ha sempre fatto. Prima perché ero grassa e brutta. Ora perché sono bella. Eppure la conoscenza mi permette sempre di ribaltare i risultati. » Alza le spalle. Quando era in carne, indossava l'apparecchio, i suoi capelli erano super secchi e l'acne non le dava tregua, gli altri erano stati terribili. Inoltre era stata timida ( un tempo che ora non riconosce nemmeno ). Cose per nulla vincenti. Con la crescita era diventata bellissima e... Pronta a rimettere tuttibin riga.
Veronica Artemisia L. Maffei
Era realmente incuriosita la giovane italiana da quella conoscenza così approfondita riguardo ai miti e alle leggende, soprattutto perché sapeva che in qualche modo era qualcosa che anche lei avrebbe dovuto sapere. S'era trasferita alcuni anni prima a Ravenfire, e benché conoscesse molte cose, e la vera realtà della città, vi erano ancora alcune cose che le erano all'oscuro. Si limitò poi così ad accennare un sorriso Veronica prima di fare un semplice cenno del capo in segno di comprensione. « La gente spesso si ferma all'apparenza senza realmente scavare ciò che c'è in superficie. » Affermò con convinzione la Maffei. Quante volte era caduta lei stessa nei luoghi comuni, quante volte l'avevano considerata solamente un bel faccino ma privo di contenuti? Scosse poi il capo la giovane prima di rendersi conto di aver parlato con Safiya più tempo di quanto non le fosse concesso. « Dovresti chiamarmi qualche volta, potremmo perfino uscire se ti andasse... Ti lascio il mio numero di telefono, okay? E' meglio che vada adesso... Ci vediamo! » Lasciò il suo numero di telefono rendendosi conto che la giovane non era poi così strana, non più di quelle persone che ormai avevano fatto di Ravenfire la propria casa.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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