#è pure israeliana
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In azienda.
Giovane: che dici, gliene dico quattro? Io: potresti, ma non sono convinto della riuscita della cosa, per il semplice fatto che non te la giochi ad armi pari, potrebbero esserci conseguenze. Giovane: me ne sbatto il cazzo, adesso mi sentono! Io: OK
Partono email come se fossero gli auguri aziendali per le feste di Natale, solo che il contenuto non è proprio quello della festa.
Dopo un paio di giorni ...
La verità? Sono almeno un tre anni buoni che mi rompo pure il cazzo di dire te l'avevo detto, mi scoccio proprio, le cose le dico una volta sola, io ho già i miei casini. Anzi, meno vengono a chiedermi consigli, meglio è.
#è pure israeliana#si vede che ci nascono col cazzo da fuori questi#le avevo consigliato di fare UNA COSA SOLA e SEMPLICE#invece ha fatto la masta di festa#e mo' ti tieni le inculate sore'
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La farsa più disgustosa che io abbia mai visto. Con l'Italia che da aperto supporto ad Israele e Trump. Che vende le cazzo di armi ad Israele. Ma facciamo la facciata con la cantante Palestinese che si tiene per mano con quella Israeliana perché la guerra è brutta 🥺 E PERCHÉ NON FAR PARLARE ANCHE IL PAPA, COSÌ PER NON FARCI MANCARE NIENTE NELLA TRIADE DIO, PATRIA E FAMIGLIA e già che ci siamo pure un saluto romano.
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Della serie, i post impopolazzari sono il mio pane: piatto ricco mi ci ficco volentierissimo. Si parla di GENOCIDI.
Il post si basa su un principio fondamentale generale: se vogliamo far propaganda vale tutto, ma se invece vogliamo continuare a capirci, le parole che usiamo sono importanti.
[Inciso/disclaimer: tutte le guerre sono merda e tutte le vittime sono da piangere, buoni e kattivi (chi lo sia lo decide il vincitore, anche se da un po' di tempo il mainstream media fa di tutto per far casino e imputtanare una regola odiosa ma almeno chiara e certa, oltre che antica più di Ramses).]
Stabiliamo la baseline di raffronto: andiamo a dare un'occhiata al campionato mondiale del GENOCIDIO, quello degli ebrei in Europa tra 1936 e 1945. Ecco i freddi numeri ( dati via Holocaust Encyclopedia: Jewish Losses during the Holocaust by Country, su encyclopedia.ushmm.org):
Se ne ricava che in totale il 63% degli ebrei residenti nell'Europa continentale sparì: 6.192.507 mal contati su una popolazione preesistente stimata in 9.780.000. Come? De fame e de fredo, come càpita in tempi cupi un po' a tutti, sostiene il nazicommie d'ordinanza. Si ma non solo (sarcasmo): fu GENOCIDIO non casuale ma spintaneo, organizzato e gestito. Ecco la fredda contabilità:
Questa è Storia. Oggi si usa molto la parola GENOCIDIO riguardo ai palestinesi, in particolare per Gaza. Anche qui, andiamo in par condicio ai freddi numeri senza pietismi:
Popolazione di Gaza nel 2012: 2,142 milioni; vittime di guerra SECONDO HAMAS&SOCI (unwra, mainstream media europide): 50.000 circa. Pari al 2% della popolazione.
Un numero enorme, anche se include i terroristi uccisi mescolati alla popolazione. Teniamolo pure per buono, fingiamo di crederci, così la feccia laida alla Albanese dell'Onu/Unwra complici e correi si acquieta e non inizia a menarla.
Fingiamo ulteriormente che la feccia laida abbia ragione nel sostenere che si tratta di reazione esagerata israeliana a chi, la notte del 7 ottobre, soffriva d'insonnia e non se n'è rimasto a casa sua. Comunque sia, 'sti esagerati giudei avrebbero eliminato, secondo i provocatori del disastro, il 2% della popolazione, fatto esecrabile fin che si vuole ma altra cosa dal 63%, dai sei milioni e fischia dissolti dai nazi. Le dimensioni contano: giratela come volete ma resta fatto evidente incontrovertibile che un GENOCIDIO sia un altro tipo di sport da questa pur esecrabile cosa in atto a Gaza. Spiaze.
Quindi, sciacquarsi abbondantemente la bocca prima di usar termini inappropriati e fuorvianti. Again, un solo morto è sempre troppo ma per capire e capirsi bisogna usare il neurone, le parole=logos=pensiero che si usano sono importanti.
L'effetto peggiore non è tanto che l'uso delle parole ad cazzum avveleni i pozzi come fa, quanto che causa dipendenza assuefatta instupidita parossistica autoconvincente in chi le usa, solo fastidio per i sapiens nel senso etimologico che s'imbattano in codesti tossici.
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visto video di tizio sardo geologo che mi fa spaccare ma onestamente sull'eolico ha toppato alla grande like bro lo sappiamo tutti che l'eolico inquina meno del carbone non serve la scienza, ma l'ignorare volutamente tutte le altre ragioni dietro le proteste è da rincoglioniti quasi quanto l'unione sarda che fomenta le proteste stesse. Abbiamo praticamente la più grande raffineria d'Europa in casa, yet la benzina la paghiamo più del resto degli italiani; produciamo energia elettrica in abbondanza yet le nostre bollette sono mediamente più care del resto d'Italia. Qui non si tratta di voler rimanere ancorati al carbone, si tratta di smettere di essere trattati come colonia italiana. Le basi NATO sono in maggioranza qui e continuano a distruggere il territorio, mare e terra compresi, non abbiamo ritorno per l'energia che produciamo perché ce la prendiamo in culo, per non parlare del resto. Vogliamo pure ignorare che la principale azienda che vuole schiaffarci le pale in casa è israeliana? Già solo per questo dovrebbe partire l'indignazione generale, ma per uno che qualche storia fa ha esordito con "le aziende fanno le aziende è normale che vogliano guadagnare" non mi aspetto altro. Il rispetto del territorio solo quando ci fa comodo I see. Questi sardi meritano di espatriare e non tornare mai più, che continuino a leccare il culo a Roma e a Bruxelles i guess, ma chi cazzo vi vuole lmao inutili come zerbini sempre
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Che la misura fosse ormai colma, bastavano i numeri a certificarlo: 42mila palestinesi morti (compresi 18mila bambini) in un anno di guerra – pardon, di invasione militare israeliana nella Striscia di Gaza – quale bilancio evidentemente sproporzionato della risposta di Tel Aviv al vile attacco di Hamas del 7 ottobre dell’anno scorso. Ma se non bastassero i numeri a documentare la sete di vendetta, ormai del tutto fuori controllo, di Netanyahu ci ha pensato ieri il suo esercito a ricordarcelo, aprendo il fuoco contro alcune postazioni Unifil nel sud del Libano, ferendo due caschi blu, di nazionalità indonesiana, dell’Onu e distruggendo le telecamere di sorveglianza negli avamposti italiani delle basi prese di mira. Una situazione paradossale: il grande alleato degli Stati Uniti – e degli alleati degli Usa, Unione europea e Italia comprese – che da un anno a questa parte sta spargendo impunemente sangue a Gaza e che, dopo aver bombardato anche Siria, Yemen e Iraq, ha varcato con i carrarmati pure i confini del Libano mentre si prepara ad attaccare l’Iran, ha aggiunto all’elenco dei danni collaterali le basi Unifil gestite dall’Italia. Spingendo il ministro della Difesa, Crosetto, che ieri ha convocato l’ambasciatore israeliano, ad ipotizzare “un crimine di guerra”. Sebbene dall’incidente – per così dire – è difficile aspettarsi chissà quali conseguenze nelle relazioni diplomatiche tra Tel Aviv e Roma. Che finora, a parte qualche dichiarazioni di circostanza sulla necessità di garantire la sicurezza dei civili, non ha mai preso una posizione netta di condanna contro il responsabile della carneficina in atto in Medio Oriente. Così come accaduto a Bruxelles con un altro nostro alleato. Quando si è scoperto quello che tutti fingevano di non sapere, e cioè che a sabotare in mare aperto il gasdotto Nord Stream che collega la Russia alla Germania non era stato Putin ma gli ucraini con il supporto di alcuni paesi nordeuropei. Un atto di guerra in piena regola contro un’infrastruttura strategica per tutta l’Ue. Ma a Zelensky e Netanyahu si perdona tutto. Se conviene agli americani a noi non resta che metterci sugli attenti. E dire signorsì!
Che begli alleati! - La Notizia
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Post da frittomistocto: “Attuale governo quando deve fare finta di non essere fascio mentre compie azioni palesemente da fascio (tipo installare software israeliani per spiare via whatsapp giornalisti al posto dei criminali)”
https://t.me/Davidesbulletinboard/21937Questa situazione che giorni fa è stato scovato lo spyware dell’azienda israeliana (e te pareva) Paragon Solutions sugli smarfonini di giornalisti italiani particolarmente critici contro il governo, e nel mentre quest’ultimo non dice praticamente una parola, è allucinante al punto tale che ne, per quanto ne volevo parlare, mi passa proprio pure la voglia… Ma…
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Non bisogna essere dei filosofi teoretici per capire che, se hai a cuore la sorte dei palestinesi, Donald Trump è peggio pure di Gengis Khan, figuriamoci di una tradizionale Amministrazione democratica che, fin dai tempi di Bill Clinton, lavora per una soluzione “due popoli, due Stati” e per limitare le azioni militari del governo estremista di Benjamin Netanyahu.
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![Tumblr media](https://64.media.tumblr.com/0aaf65356f9eabcb9b978ce2c6b31a6f/d5b5db9abf2752eb-dd/s1280x1920/0d9c4ebb4c0916c8b0bcb231b05d5e706e12b30d.jpg)
«Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate». Abbiamo letto il rapporto Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel. Lo abbiamo letto con fatica e orrore: in esso sono riportate, crude e asciutte, le descrizioni esplicite rilasciate da decine di sopravvissuti, soccorritori, testimoni oculari degli stupri, delle torture, delle mutilazioni inferte alle vittime e degli omicidi compiuti da Hamas il 7 ottobre. Vittime, cioè madri e figlie, donne fatte a pezzi dallo stupro di massa dei terroristi.
A cinque mesi dal massacro di 1.200 persone e dal rapimento di altre 254 (cittadini israeliani e stranieri – donne, uomini, bambini, neonati e anziani portati nella Striscia di Gaza) oggi, vigilia dell’8 marzo e delle celebrazioni delle conquiste e dei diritti della donna, molte esponenti del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo parteciperanno alla maratona oratoria organizzata dall’associazione Setteottobre a Roma per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse quel sabato nero su centinaia di israeliane.
Nessuno ha manifestato per loro. Nei giorni seguenti la mattanza, il grido delle femministe israeliane che pure da una vita combattono per i diritti delle donne di Gaza (Tempi ne aveva parlato qui e qui aveva raccontato la condizione delle donne sotto Hamas) è stato accolto da silenzio, minimizzazione quando non evasione e manipolazione dei fatti. Donne come Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, si sono sentite completamente tradite «dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ho lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre».
Il suo podcast era stato rilanciato da Haaretz, il giornale della sinistra israeliana più citato quando c’è da attaccare Israele ma non quando le sue donne chiedono aiuto: «Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Solo allora Un Women aveva cancellato un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas. Condanna che dall’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere non è mai arrivata. E nemmeno dalle “sorelle” femministe e transfemministe che in risposta al 7 ottobre erano scese in piazza contro la potenza di Israele «colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese». Ospite del programma di dibattito politico Paroles d’Honneur in Francia Judith Butler ha definito il 7 ottobre «un atto di resistenza armata» contro Israele.
Oggi l’Onu ammette che ci sono prove degli stupri commessi da Hamas, che ci sono «motivi ragionevoli» per ritenere che i terroristi abbiano commesso «torture a sfondo sessuale» e riservato altri «trattamenti crudeli e inumani» alle donne durante l’attacco. Ci sono anche «fondati motivi per credere che tale violenza possa ancora essere in corso», ha detto Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale in guerra inviata in Israele e Cisgiordania dal 29 gennaio al 14 febbraio. Il suo team, che non ha fatto sconti nemmeno al trattamento riservato dagli israeliani ai prigionieri palestinesi, ha raccolto le testimonianze degli ostaggi rilasciati e dai riscontri effettuati l’Onu si dice in possesso di «informazioni chiare e convincenti» che donne e bambini siano state sottoposte a stupri e torture e che gli abusi potrebbero proseguire sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
La delegazione ha confermato le violenze in tre luoghi: nell’area del festival musicale Supernova, lungo la strada statale 232 che collega Gaza ai kibbutz, e al kibbutz Re’im. Il rapporto è naturalmente parziale e ammette che nei kibbutz Kfar Aza e Be’eri il ritrovamento, tra troppi cadaveri carbonizzati, di tutte quelle donne «svestite, legate e uccise» farebbe pensare a violenze e torture nonostante i primi soccorritori si siano dedicati a salvare i superstiti e non a raccogliere prove. Il Centro di Patologia Forense di Shura, base militare vicina a Tel Aviv, lo ha ribadito più volte: identificare i corpi delle famiglie trucidate a Kfar Aza e Be’eri in molti casi ha richiesto settimane.
Il 21 febbraio l’associazione dei centri antistupro d’Israele consegnava però alle Nazioni Unite un plico di circa 40 pagine. Bisogna leggerlo per provare disgusto e pietà per quanti in questi mesi si sono dedicati a distinguo partigiani o bollato l’inchiesta del New York Times, durata due mesi e dedicata proprio agli stupri del 7 ottobre, «propaganda filoisraeliana», «accozzaglia di testimonianze, non di prove», tentativo di «disumanizzare il nemico». Il rapporto dimostra chiaramente che non si è trattato di violenze casuali, isolate o sporadiche, ma di stupri frutto di una chiara strategia operativa. I modelli di “azione“ sono stati ripetuti, identici, in ciascuna delle zone di attacco: il festival Supernova, le case private nei kibbutz in prossimità di Gaza, e pure nelle basi dell’esercito israeliano. Le violenze si sono consumate anche durante il rapimento di 254 persone nella Striscia.
Molti degli stupri, subiti da donne ferite da armi da fuoco e coltelli, sono stati compiuti in gruppo, con la violenta partecipazione dei terroristi. Spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a dei testimoni – mariti, familiari o amici – così da moltiplicare il dolore e l’umiliazione delle vittime e di chi voleva loro bene. Così al festival Supernova, dove i terroristi hanno dato la caccia a giovani ragazze e ragazzi in fuga, trascinandole per i capelli, uccidendo le vittime dopo o perfino durante lo stupro.
Numerose e diverse testimonianze danno conto delle stesse pratiche sadiche usate dai terroristi. Qui è d’obbligo l’avviso ai lettori più impressionabili di non proseguire nella lettura dell’articolo. Molti dei corpi delle vittime di crimini sessuali sono stati trovati infatti legati, i genitali brutalmente mutilati da coltelli e colpi d’arma da fuoco, in alcuni casi dall’inserimento di armi. I terroristi non si sono limitati a sparare; hanno tagliato e mutilato anche gli organi sessuali e altre parti del corpo delle vittime con coltelli, lame seghettate, taglierini.
Il rapporto «resta tuttora in una forma preliminare. Nei mesi e negli anni a venire, a seconda delle scelte dei sopravvissuti, potremmo essere in grado di fornire una storia più completa ed esplicita delle aggressioni sessuali del 7 ottobre», scrivono gli autori. Prove iniziali, raccolte secondo i princìpi etici dei centri antistupro e pertanto provenienti solo da fonti verificate, nonché scevre dalle informazioni e confidenze delle sopravvissute che ancora non hanno la forza di denunciare (o che riguardano le violenze ai danni di ostaggi che avranno il diritto di decidere se raccontare o meno la loro storia una volta liberati), ma che già avvalorano la tesi dello stupro sistemico. La violenza sessuale in guerra a breve e lungo termine non è materia da stoytelling: è codificata da parametri precisi, il trauma ha implicazioni fisiche e non solo psicologiche.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza del festival e che hanno fornito gli stessi resoconti dai nascondigli: stupri collettivi, donne mutilate di arti superiori, o inferiori, mutilazioni degli organi genitali, gravi ferite della zona pelvica, ferite procurate durante gli stupri e culminate in omicidi.
Quelle dei medici legali che hanno analizzato i resti e dei soccorritori che hanno raggiunto le case dei kibbutz e dei villaggi nel Negev occidentale: donne spogliate nelle loro stanze o alla presenza dei parenti, segni di sperma, coltelli conficcati nei genitali. Quelle dei residenti che si sono assunti il compito di identificare i corpi dei vicini, corpi con organi intimi esposti e vestiti strappati. C’è chi ha filmato incredulo i ritrovamenti per avvalorare la propria testimonianza.
C’è l’inchiesta del New York Times sui 24 corpi abusati sessualmente a Be’eri e Kfar Aza, mani legate, biancheria abbassata, disseminati intorno alle case o appesi agli alberi, e ci sono i racconti spaventosi delle donne rilasciate da Hamas su quanto accade nei tunnel, dove i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in «burattini tirati da fili».
Dai nascondigli vicini alla strada 232 i sopravvissuti del Festival hanno assistito alle violenze di ragazze contemporaneamente stuprate da un uomo e mutilate da un altro, pugnalate durante le violenze, violentate anche dopo la morte. Segnalati più e più stupri di gruppo, commessi da otto, dieci, in un caso perfino dodici terroristi. I soccorritori parlano di bacini spezzati dalle ripetute violenze. Come di fratture delle ossa pelviche delle donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane, violentate nei kibbutz davanti ai parenti, i cadaveri di madri e figlie accanto a quelli di chi inerme ha assistito alle violenze. I volontari raccontano di una coppia nuda, legato l’uno all’altra, lei stuprata, e di donne abusate con coltelli nelle parti intime.
Non sono stati risparmiati gli uomini, mutilati dei genitali, denudati e bruciati. «I colpi di arma da fuoco hanno preso di mira gli organi sessuali. Lo abbiamo constatato molte volte. I terroristi avevano un’ossessione per gli organi sessuali». Pallottole sparate al seno e ai genitali, insieme alla sistematica mutilazione di questi ultimi, ha spiegato Shari Mendes, che ha lavorato alla base Shura per identificare i cadaveri. Ci sono casi di amputazione dei seni con un taglierino, oggetti appuntiti inseriti nell’ano e seghette usate per le penetrazioni e altri scempi dovuti forse alla mancanza di tempo per uno “stupro completo”. «Il New York Times ha riferito di aver visto la foto del corpo di una donna con dozzine di chiodi conficcati nelle ginocchia e nel bacino».
Non erano venuti solo per catturare e uccidere. Hamas nega le violenze e le brutalizzazioni che pure i suoi accoliti hanno orgogliosamente filmato e diffuso. «Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare», ha scritto Nicoletta Tiliacos sul Foglio. «Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale».
Silenzio durante la manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre, silenzio durante quella del 24 febbraio a Milano, entrambe promosse da Non una di meno, che ha accusato Israele di genocidio “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. «Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà».
Facendo seguito all’appello “Non si può restare in silenzio”, arrivato a diciassettemila firme che chiede di definire quelli del 7 ottobre come crimini contro l’umanità e di perseguirne i responsabili a livello internazionale, Setteottobre ha presentato formale richiesta di indagini all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia. Oggi alle 18, a Piazza Santi Apostoli a Roma, si chiede un 8 marzo anche per le donne di Israele, un 8 marzo per le madri e figlie uccise quel sabato nero e per il rilascio di quelle ancora detenute insieme a uomini, bambini e anziani, nei tunnel di Hamas.
Fonte: https://www-tempi-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.tempi.it/i-seni-amputati-col-taglierino-cosi-hamas-ha-stuprato-le-donne-israeliane/amp/?amp_gsa=1&_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D
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Israele 2002
Mo' vi racconto come sono inciampata nella questione palestinese io, una trentina di anni fa. L'ho già raccontato in passato ma ogni tanto ci ripenso. Perché io non sono nata imparata, non ci sono arrivata attraverso la politica, non ne sapevo nulla più di ciò che si sa leggendo distrattamente i giornali, ci so' capitata per sbaglio. Perché la mia idea, quell'estate di una vita fa, era di andare in Israele.
Era l'epoca in cui ero intrippatissima con la psicoanalisi, divoravo Freud e compagnia, andai a un convegno su Cesare Musatti a Milano che mi piacque molto e mi lessi pure i suoi libri. Tra i quali uno, "Ebraismo e psicoanalisi", mi intrigò particolarmente. Era pure l'epoca in cui leggevo tutto di Philip Roth e, per farla breve, quando quell'estate andai al CTS per cercare di capire dove andare in vacanza, vidi il volo per Israele in offerta e lo presi.
I primissimi giorni a Tel Aviv, tutto bene o quasi. Atmosfera interessante, ostello fricchettone, cose da fare, ero a mio agio. Poi andai a Gerusalemme e cambiò tutto. Ed è che i palestinesi, a Tel Aviv, non li avevo proprio visti. A Gerusalemme li vedevo eccome, e non venivano trattati bene. Trasudava tensione quella città: coloni in giro con la pistola nella cintura e l'aria arrogantissima, soldati di leva da tutte le parti col fucile in spalla, gente con la mania di chiedermi, amichevole: "Sei ebrea?" per poi allontanarsi senza una parola alla mia risposta negativa, chissà perché. Di fronte a non so quale monumento della città vecchia vidi una bimba israeliana che si era persa e piangeva. Cercai di aiutarla, nei dintorni c'era solo un signore dall'aria ortodossa, gli portai la bimba spiegandogli la situazione e lui, senza mai guardarmi in faccia, mi disse secco di lasciargliela e andarmene, che ci avrebbe pensato lui. Me ne andai preoccupata, senza sapere se avevo fatto bene ma rassegnata a essere scacciata. Tante piccole scene che trasmettevano malessere. Una processione cristiana e un paio di israeliani che sputano nel vederla passare. E ovviamente i palestinesi, dicevo. Un mondo a parte, e decisi di cacciarmici dentro.
Andai nei Territori con due o tre compagni di ostello in un taxi palestinese il cui conducente mi raccontava che lui, nato a Gerusalemme da genitori, nonni e bisnonni di Gerusalemme, non poteva avere nessun passaporto se non quello giordano, e lui in Giordania non c'era mai stato. Seduto davanti, accanto a lui, un altro ragazzo palestinese. I soldati israeliani ci fermano al posto di blocco, questo ragazzo si impiccia con la giacca e tarda a tirare fuori i documenti, il soldato gli tira una tremenda botta in faccia col calcio del fucile. Così, per niente. Davanti a noi tre stranieri seduti dietro e agghiacciati. E il palestinese zitto, non una reazione, estrae infine i documenti e glieli dà. E quello fu il mio "benvenuta nella vita dei palestinesi" e il momento in cui mi resi conto che no, non me lo avevano spiegato così, ciò che succedeva là.
Sono passati trent'anni, ho mille ricordi sovrapposti di ciò che vidi nei Territori ma uno mi è rimasto stampato nel cervello per sempre, nitidissimo: una giovane mamma palestinese con in braccio una bimba di due o tre anni con una gonnellina bianca a balze. La bimba aveva, da un lato, 'sti riccioli neri stretti in un codino e, dall'altro lato della faccia, nulla. Metà faccia era completamente bruciata, non aveva neanche l'orecchio. I coloni avevano buttato bottiglie incendiarie nella loro casa mentre erano seduti a tavola e quello era il risultato.
Io ho una rara malattia genetica che si chiama porfiria: ci si convive, normalmente è del tutto asintomatica. Ci sono occasioni in cui si attiva, però, causando crampi addominali fortissimi che possono durare giorni. Può attivarsi se prendi farmaci controindicati, se non assumi abbastanza carboidrati o, anche, in situazioni di stress elevato. Io tornai dai Territori e mi misi a letto. I crampi mi durarono sei giorni, che il preoccupatissimo vecchietto palestinese dell'ostello trascorse curandomi con litri di tè.
Poi continuai il mio viaggio - lo racconto meglio in un vecchio post che metto qua sotto - e infine arrivai a Eilat, nel sud. Un cesso di posto con pretese di modernità, incongruente, la voglia di fuggire subito. Il mio ostello era gestito da un ragazzone ebreo di origine yemenita che voleva portarmi non so dove con la sua jeep per il weekend. Io gli dissi che avevo sentito parlare bene di un posto chiamato Dahab, oltre la frontiera egiziana. Lui, schifatissimo, mi disse che lì mi sarei presa il colera, che era un postaccio sozzo, di lasciare perdere e andare con lui. Al mio diniego, alzò le spalle e fece: "Well, there are winners and there are losers", nel senso che rifiutare il suo invito era da losers.
Passai la frontiera a piedi e con le mani alzate mentre una soldatessa mi abbaiava contro chiedendomi se ero armata. Qualche metro dopo vidi per la prima volta l'Egitto, nella forma di un grasso poliziotto egiziano che dormiva beato, nella sua uniforme bianca, all'ombra della guardiola. E, mentre mi guardavo attorno alla ricerca di qualcuno abbastanza sveglio da timbrarmi il passaporto, sentii che la tristezza mi scivolava via di dosso per la prima volta dopo un mese di angoscia.
L'Egitto mi accolse così, col paradosso buffo dei due diversi stili alla frontiera e il regalo di un'ondata di serenità che non se ne è mai più andata in tutto il tempo che, per i successivi trent'anni, ci ho trascorso.
Di Israele mi rimase la presa di coscienza di un'ingiustizia che non avevo mai nemmeno immaginato, non di quella portata. Di una violenza capillare, di una mostruosità quotidiana ai danni di gente innocente che viveva in un incubo. A pochi chilometri, persino a pochi metri da altra gente che, invece, viveva benone facendo finta di nulla.
Poi ci sono anche tornata, ci portai pure mia figlia ragazzina. Che ne uscì come ne ero uscita io, e infatti adesso è lì a distruggersi il fegato e a fare l'attivismo che può per i palestinesi.
Fa bene alla consapevolezza, andare in Israele. Si imparano un sacco di cose.
@
Lia Haramlik De Feo
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30 ott 2023 11:06
SE ISRAELE VUOLE LA PACE DEVE FERMARE GLI INSEDIAMENTI DEI COLONI NELLE TERRE CHE DOVREBBERO COSTITUIRE LO STATO PALESTINESE - OGGI SONO QUASI 700 MILA E VENGONO INCENTIVATI DALLO STATO E SOSTENUTI DALLE ORGANIZZAZIONI EBRAICHE AMERICANE - LA LORO MISSIONE DI “EBRAICIZZARE” LA TERRA CON OGNI MEZZO E’ FRUTTO DELL’INCROCIO PERICOLOSO TRA IL NAZIONALISMO SIONISTA LAICO E LA DESTRA RELIGIOSA XENOFOBA: PER MOLTI OSSERVATORI, L’ASSASSINIO DI YTZHAK RABIN NEL 1995, CHE VOLEVA LA PACE IN CAMBIO DELLA RESA DI PARTE DELLE TERRE, È FRUTTO DI QUEL CONNUBIO PERVERSO… -
Estratto dell’articolo di Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
All’inizio parve una cosa da niente, un atto un poco folle da parte di un gruppetto di ebrei religiosi particolarmente originali e tanto innamorati della terra d’Israele: affittare poche stanze nell’hotel A-Naher Al-Khaled nel centro di Hebron per celebrare assieme alle loro famiglie la Pasqua ebraica del 1968.
Il governo laburista di Levi Eshkol in principio storse il naso, dai giorni seguenti la travolgente vittoria del giugno 1967 si era deciso che i «territori occupati» ai danni di Giordania, Egitto e Siria (eccetto Gerusalemme Est che era stata subito annessa) andavano preservati intatti, per poter renderli agli arabi in cambio della pace e del pieno riconoscimento di Israele.
Ma poi erano arrivati i «no» dei nemici, le trattive si prolungavano, il neonato Olp lanciava attentati […] E poi c’era l’euforia della vittoria e la suggestione molto romantica nell’idea di «colonizzare la terra» […]. Di diverso c’era il carattere religioso dei nuovi coloni, li guidava un certo rabbino Mosge Levinger, […] lontano dal sionismo socialista. Se questo predicava la necessità tutta laica di lavorare la terra per creare «l’ebreo nuovo» in grado di difendersi da solo, Levinger parlava invece di riportare gli ebrei alle regioni che erano state dei regni di Israele prima della distruzione del Secondo Tempio.
I primi lo facevano con il fucile e l’aratro, i secondi si riferivano in termini teologici a una missione per volontà di Dio. Ma c’era un secondo argomento proposto da Levinger che andava a toccare nel profondo le sensibilità di leader politici e militari laburisti come Golda Meir, Ytzhak Rabin, Moshe Allon e Moshe Dayan: lui voleva portare la sua gente sia a Hebron, dove nel 1929 la popolazione palestinese aveva ucciso 69 ebrei, che nella vicina Kfar Etzion, località simbolo della guerra del 1948, quando l’esercito giordano e i volontari palestinesi trucidarono 127 combattenti dell’Haganah e membri di kibbutz locali che pure stavano arrendendosi.
[…] Quella prima Pasqua fu però un passo irreversibile. Perché Levinger e i suoi il giorno dopo si rifiutarono di partire. […] alla fine il compromesso fu di abbandonare il centro di Hebron (dove sarebbero tornati con un colpo di mano dieci anni dopo) e sistemarsi in una base militare semiabbandonata sulla collina che sovrasta la città. Era nato l’insediamento di Kiriat Arba, che da allora rimane il cuore pulsante dei coloni oltranzisti. […] il quartier generale dei «Gush Emunim», il blocco dei fedeli, che aveva come missione prima quella di «ebraicizzare» la terra con ogni mezzo, a qualsiasi prezzo, anche minacciando, derubando, persino uccidendo la popolazione palestinese. Quando si proclama che «Dio lo vuole» poi diventa molto difficile fare compromessi.
[…] Ehud Sprinzak, uno degli storici locali più attenti alla destra israeliana: «La maledizione per il nostro popolo è stata la vittoria del 1967, quando il nazionalismo sionista laico impadronendosi dei luoghi santi ebraici si è sposato con la destra religiosa xenofoba». Per molti osservatori, l’assassinio di Ytzhak Rabin nel 1995, che voleva la pace in cambio della resa di parte delle terre, è frutto di quel connubio.
Negli anni Settanta la colonizzazione proseguì in modo semiclandestino […] I coloni tendevano a mettersi nelle basi militari, che poi lentamente diventavano loro. La svolta fu però con la «mapach», la rivoluzione alle elezioni del 1977, quando il Likud di Menachem Begin andò per la prima volta al governo soppiantando l’egemonia laburista. Da allora la colonizzazione del Golan e soprattutto della Cisgiordania sono diventate priorità […] Poco prima dell’intifada, […] dicembre 1987, i coloni erano circa 200.000.
[…] sostenuti specie dalle organizzazioni ebraiche americane, i coloni continuarono a crescere proprio in quelle terre che avrebbero dovuto costituire lo Stato palestinese. Nel 2005 Ariel Sharon ritirò i 15.000 coloni di Gaza lasciando capire che la Cisgiordania era tutta loro. I governi di Netanyahu li hanno sostenuti con ogni mezzo: oggi sembrano una presenza irreversibile. Secondo il censimento Onu del marzo 2023 sono circa 700.000 (di cui 230.000 a Gerusalemme Est) e le colonie in Cisgiordania sono 279 […]
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perché il lucca comics è patrocinato dall'ambasciata israeliana e pure quella statunitense raga WHAT?
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“Nili”, l’unità d’élite israeliana incaricata di uccidere i capi di Hamas
Un’unità speciale dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence israeliana per gli affari interni, per colpire i leader della Brigata Nukhba, lo squadrone di Hamas ritenuto responsabile del massacro del 7 ottobre scorso. Il nome in codice è “Nili”, acronimo della frase biblica in ebraico “Netzah Yisrael Lo Yeshaker” (Samuele 15:29) ovvero “la gloria di Israele non mentirà”. Che ha pure un riferimento…
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Storture economiche
(Chi ha la pazienza di seguirmi, sa che raramente parlo di calcio: lo faccio, a volte, per parlare in realtà d’altre cose). La Juventus è in crisi nera, anzi nerissima. Dopo la sconfitta in terra israeliana, la società ha voluto confermare l’allenatore. O meglio ha dovuto farlo. Esonerarlo le costerebbe troppo. Perché nel calcio c’è una stortura che non credo sia presente altrove. Io assumo un allenatore per tre anni, diciamo. Se si licenzia da solo, non succede mica nulla. Anzi, siamo tutti quanti belli contenti. Ma se lo licenzio io prima del tempo, mi tocca pagargli lo stipendio fino a quella che avrebbe dovuto essere la scadenza prevista dal contratto. A me sembra un’assurdità. Ti sbatto fuori perché non hai rispettato l’accordo stipulato con me, e devo pure continuare a darti dei soldi (non mi risulta infatti che nel mondo del calcio esista l’inadempienza contrattuale: se così fosse queste mie parole sarebbero più che superflue). Figuriamoci se lo facessero anche in altri settori. Si farebbero licenziare tutti. Perché sarebbero pagati senza far nulla. Oddio, quello succede già. Ma è un altro discorso.
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COME SVILISCONO QUALSIASI CRITICA A ISRAELE
Mi presento: antirazzista, antifascista, da sempre fautore del socialismo, approdato all'anarchismo sociale un anno e mezzo fa, dopo aver letto gli scritti di Malatesta e Berneri. Come potete immaginare, la mia distanza da fascisti, nazisti dell'Illinois e suprematisti si può misurare in milioni di Parsec. Bene, ciò premesso, sentite cosa mi è capitato oggi. Oggi ho scritto un post critico verso Israele. Qualcuno di voi l'avrà pure notato. L'ho riportato anche su Tumblr, dove mi è arrivato un commento in inglese che mi ha definito "nazi". So che questa strategia viene usata spesso da persone che considero vigliacche e in malafede, per svilire qualsiasi opinione diversa dalla loro. Una persona saggia al posto mio non se la prenderebbe. Ma io non sono una persona saggia. Sono ansioso, ipocondriaco, ossessivo compulsivo, permaloso e soggetto ad attacchi di rabbia che smaltisco con fumo, alcol e cibo ipercalorico. Quindi voglio sfogarmi con qualche osservazione: 1. Sono italiano e critico aspramente le azioni dello stato italiano (con un certo accanimento, bisogna riconoscerlo). Allo stesso modo può capitarmi di criticare vicende e circostanze riguardanti altri paesi, comprese ovviamente le azioni abominevoli dello stato di Israele. 2. Sono uno che fa un uso attento e consapevole del linguaggio: su Facebook o in privato uso la parola "israeliano" (in espressioni come "polizia israeliana", "primo ministro israeliano", "esercito israeliano", "governo israeliano"), per riferirmi a istituzioni e soggetti di uno stato. E lo faccio proprio per distinguere le mie osservazioni da quelle di ben altro genere. Io non critico MAI etnie. Io critico stati, governi, istituzioni e divise. Posso anche criticare la società israeliana, così come critico la società italiana. 3. Mi sono documentato sulla questione palestinese. Tra le mie fonti c'è anche Amnesty International. Consiglio a voi che usate in modo arbitrario e grottesco il termine "nazi" di leggere i report di Amnesty. Così vi farete un'idea delle atroci sofferenze del popolo palestinese. Considerate nazi anche Amnesty?
[L’Ideota]
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Posted @withrepost • @ester.castano01 Forza, raccontatemela ancora, questa storia dell’occupazione che non esiste. Poi spiegatelo pure a lei però e alla sua infanzia negata. Qui è Qalqilya, la città del mare (a 12 chilometri dalla costa) a cui è proibito vedere il mare, addossata alla ‘linea verde’ imposta dall’amministrazione israeliana. E questo è il muro della vergogna. • #Qalqilya #palestine #report #journalism #journalismphotography #wall #muri #child #children #childhood #travelphotography #travelgram #picoftheday #pictureoftheday 💔💔 https://www.instagram.com/p/CIm4GzSg6OU/?igshid=12ik47awy1j4q
#qalqilya#palestine#report#journalism#journalismphotography#wall#muri#child#children#childhood#travelphotography#travelgram#picoftheday#pictureoftheday
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ciao! ^^senza voler alzare polveroni, mi piacerebbe comprendere meglio il tuo punto di vista sulla svezia (quello sull'estonia mi sembra lampante XD). Nel senso,a me brucia molto di più il culo perchè Netta ha portato una canzone semplice e catchy e ha avuto la pretesa di dire che era a tema sociale, profonda ecc (con solamente 2 frasi vagamente social-justice), mentre la svezia si, aveva una canzone del cazz, ma è rimasta umile nel suo trash senza spacciarla per qualcosa di più aulico e solenne
allora la cosa è che a me della canzone di netta sia chiaro non frega assolutamente niente e anzi diciamolo pure che tanto siamo in ita, la musica per me è meh assolutamente perché quel genere non mi tira e i testi pseudo body positivity li odio tutti a prescindere per ragioni abbastanza irrazionali quindi figurati a me non piace manco per nulla MA: è originale (o almeno c’ha un suo stile), lei ha una personalità (che può piacermi o meno) e se è per quello la gente pensa che anaconda e cosetta lì meghan trainor chi cazzo si ricorda com’era la canzone erano COSE A TEMA SOCIALE e a sto punto pure lei può esserlo - cioè per me è meh ma se canzoni tipo questa cantate da una che è evidentemente un tipo non convenzionalmente attraente servono per far capire alla gente che se sei una donna sovrappeso puoi piacere a tutti/puoi piacerti e/o possono essere empowering per gente sovrappeso alla fine bella per tutti. (spoiler: da persona che con l’argomento ci ha passato anni di seghe mentali sopra per me è nope ma vabbe lì dovrei andare nel personale e lo so che è assolutamente irrazionale come cosa quindi X°D) cioè non mi piace ma è catchy con una *personalità* nel bene o nel male e lei è un tipo e ci ha comunque messo un minimo di impegno.
gli svedesi invece sono anni che si presentano con canzoni assolutamente 100% MEH (per dire a me manco piaceva quella con cui hanno vinto nel... 2016 credo che invece piaceva a tutti ma era proprio NA NOIA per me almeno) dove nove volte su dieci manco si impegnano perché sanno che si beccano i voti dei nordici a prescindere per non so che cazzo di motivo, con cantanti assolutamente blandi (cioè, te la ricordi la faccia dello svedese? io no, e manco di quella che aveva vinto in azerbaijan) di cui ti posso salvare il mans che però per me era proprio... meglio come presentatore va X°D, e pure se il pubblico li cazzia le giurie continuano sempre a dargli un fottio di voti immeritatissimi sempre a loro mai agli altri nordici (per di a sto giro norvegesi e soprattutto danesi meritavano ma TANTO di più) per..... la canzonetta sciallissima che davvero manco mi ricordo come faceva? quella di netta almeno me la ricordo pure se non mi piace XD cioè è una questione di principio, se mi devi votare la *qualità* la svezia non era manco top ten, e pure l’anno scorso mi pare avesse fatto top five sempre non meritandolo manco per niente PER I VOTI DELLE GIURIE e la cosa mi brucia, fosse popolare evabbe, ma che la giuria quality dà quel fottio di voti agli svedesi per il niente totale è molto peggio che non se vince l’israeliana con la canzoncina catchy che per alcune persone alla fine è empowering e che evidentemente ce crede ecco XD
poi ripeto a me non piaceva manco la canzone israeliana ma quella svedese era proprio un insulto, manco ce hanno provato ecco XD
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