#sequestridipersona
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wolfman75 · 7 months ago
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Rati (nome di fantasia), aveva solo 14 anni quando le furono somministrate iniezioni di ormoni in modo che sembrasse più adulta. E’ stata costretta a prostituirsi con decine di uomini al giorno. I suoi clienti? Da conducenti di risciò a impiegati e manager. Quando la polizia ha fatto irruzione nel postribolo nel quale era rinchiusa ha arrestato gli sfruttatori mentre i clienti sono stati rilasciati con un semplice avvertimento. E il giorno dopo, tutto è ricominciato come prima. A Nagpur, popolosa città dello Stato centro-occidentale di Maharashtra, una coppia è accusata di aver comprato una neonata di appena 12 giorni. Secondo gli inquirenti, a vendere la piccola è stata la stessa madre attraverso un’intermediaria. Il prezzo? 50.000 rupie, poco più di 600 euro. Mohammad Kalam (25 anni), di Lucknow, nello Uttar Pradesh, componeva a caso numeri di telefono alla ricerca di possibili “prede”. Nell'ottobre scorso è riuscito a convincere una ragazza di 16 anni ad incontrarlo. Una volta in casa, la giovane è stata sequestrata dall'uomo con la complicità della moglie. Kalam è stato fermato dalla polizia mentre cercava di vendere la sedicenne lungo una strada che conduce a Delhi.
Ogni anno in India si verificano migliaia di rapimenti e casi di traffico di minori. Accade ovunque, nelle metropoli come nelle piccole città. Bambini sequestrati mentre si trovano a casa oppure nelle stazioni dei treni e degli autobus. Ridotti alla schiavitù di lavori umilianti, avviati alla prostituzione o costretti a mendicare per la rete di criminali. Dai dati diffusi dal National Crime Records Bureau indiano emerge che nel 2016 sono stati rapiti 54.328 minori. Di questi, più di 21mila hanno meno di 16 anni. Se sommati ai bambini scomparsi negli anni scorsi si arriva ad un numero ancora più impressionante: 85.100. La polizia è riuscita a ritrovarne quasi la metà, ma oltre 41mila bimbi indiani sono tuttora dispersi. Secondo l’agenzia governativa responsabile di raccogliere e analizzare i dati relativi ai crimini commessi in India, tra le cause dei rapimenti spiccano il lavoro forzato, la prostituzione minorile e altre forme di sfruttamento sessuale infantile. Tra i più colpiti dal fenomeno del traffico di bambini ci sono il Bengala Occidentale e il Maharashtra, uno degli Stati più popolosi che compongono la federazione indiana. L’anno scorso sono stati più di 15mila le vittime di questo odioso commercio, di cui quasi la metà minorenni.
“Dietro alla maggior parte dei rapimenti o dei casi di bimbi dispersi ci sono racket organizzati”, ha dichiarato Rishi Kant, attivista dell'Ong Shakti Vahini. “C’è un intermediario che chiede al rapitore di sequestrare un determinato numero di bambini. Una volta individuati – ha spiegato Kant – i piccoli vengono prelevati in diverse zone del Paese e poi consegnati ad un’altra persona che effettua il pagamento”. Un giro d’affari milionario che non si ferma di fronte a nulla. Il destino dei bimbi rapiti è terribile: quasi l’80% delle vittime delle tratta finisce stritolato negli ingranaggi della prostituzione o della pornografia infantile; per costringerli a vendere il proprio corpo i piccoli subiscono violenze brutali, compresi gli stupri. Come ha denunciato Shaina Nana Chudasama, portavoce del Partito del Popolo Indiano, nelle case chiuse gli uomini pagano 100 rupie (poco più di un euro) a cambio di relazioni sessuali con i minori. Per punire severamente anche i clienti, Chudasama ha lanciato una raccolta firme su change.org che ha già raggiunto oltre 100mila adesioni.
Gli abitanti dei villaggi rurali sono i soggetti maggiormente vulnerabili. I criminali sfruttano proprio la povertà e la mancanza di posti di lavoro come “esca” per attirare le loro vittime. Un altro dei metodi usati dai trafficanti sono le finte promesse di matrimonio. Molte ragazze, una volta accettata la proposta di lavoro, di solito come collaboratrice domestica, semplicemente svaniscono nel nulla, inghiottite in una spirale di sfruttamento e abusi. Gli effetti sui minori rapiti e costretti alla prostituzione sono tremendi: lesioni fisiche, un alto rischio di gravidanze indesiderate, tubercolosi, contagio di malattie sessualmente trasmissibili che spesso risultano fatali.
Le notizie dei rapimenti e delle violenze sessuali sui bambini trovano un grande risalto sulla stampa indiana e la popolazione è indignata per i casi che continuano a venire alla luce. L’ultimo episodio risale solo a pochi giorni quando una bimba di sei anni è stata rapita da casa sua, violentata, torturata e poi uccisa da un ignoto aggressore a Hisar, nello stato di Haryana. Il governo indiano, da parte sua, ha lanciato nel 2015 un sito web dove i cittadini possono segnalare la sparizione di un minore così come dare informazioni utili al suo ritrovamento. E da due anni è in discussione un progetto di legge che prevede pene fino a 14 anni di carcere per i trafficanti nonché la riabilitazione delle vittime. La legislazione attuale, infatti, non distingue tra chi è responsabile dello sfruttamento e il minore sorpreso prostituendosi, considerandoli entrambi come criminali. La creazione di un fondo contro il traffico, la registrazione obbligatoria delle agenzie di collocamento che reclutano i lavoratori domestici e la possibilità di dare una nuova identità ai minori abusati completano il pacchetto di misure.
In India, in soli 6 anni i reati contro i minori sono aumentati di quasi il 300%. Per Stuti Kacker, presidente della commissione nazionale per la protezione dei diritti dell'infanzia, è necessario affrontare questioni come la povertà, la disoccupazione e le disparità economiche e di genere, che sono le principali ragioni di ogni forma di traffico di esseri umani. “Abbiamo bisogno di proteggere i nostri bambini dalla violenza e dalla criminalità – ha aggiunto Kacker – individuare e colmare il divario economico che consente ai trafficanti di operare e formulare un piano d'azione multi settoriale per combattere il traffico di bambini”.
Mentre i politici indiani cercano di contrastare il fenomeno, ogni giorno a Mumbai 5 bambini sono rapiti e ogni ora di 10 minorenni indiani si perdono completamente le tracce. La metà di loro non verranno più ritrovati.
Autore: @fanpage
Fonte Articolo: https://www.fanpage.it/esteri/india-l-inferno-delle-bimbe-rapite-riempite-di-ormoni-e-stuprate-da-decine-di-uomini/
youtube
In relazione sempre all'argomento: https://youtu.be/MFaDHgXPbUg?si=ya5rslA4j-uZk_a3
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wolfman75 · 7 months ago
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Paul Kenneth Bernardo (Toronto, 27 agosto 1964) e Karla Leanne Homolka (Port Credit, 4 maggio 1970) noti anche come "Barbie & Ken", sono una coppia di assassini seriali canadesi; uniti da una relazione coniugale, sono responsabili di tre omicidi e di numerosi stupri, avvenuti nel corso degli anni ottanta e primi anni novanta.
Paul Bernardo nacque a Toronto nel 1964, dopo il matrimonio combinato dei suoi genitori; aveva anche una sorella. Suo padre, Kenneth Bernardo, era un uomo violento che picchiava la moglie Marilyn, la tradiva con altre donne e commetteva molestie sessuali ed atti di persecuzione a danni di minorenni; arrivando persino a stuprare la figlia. In seguito ad una discussione, Marilyn tornò dai suoi e rincontrò il padre biologico di Paul. Nonostante tutto questo, Paul crebbe come un ragazzo brillante, iniziando a studiare Scienze economiche e contabilità. La madre, che non sopportava più il marito, cadde in depressione e diventò obesa.
Bernardo era in realtà un figlio illegittimo che la madre concepì quando era con il suo primo fidanzato; la madre svelò il fatto al figlio quando aveva 16 anni, nel 1980; da questo momento in poi, Paul nutrì un odio atroce verso di lei, arrivando a litigarci e ad insultarla in modo molto pesante; lei lo ricambiava. Bernardo divenne poi ossessionato dalla sessualità e iniziò a collezionare materiale pornografico; successivamente si mise a spiare le ragazze che si spogliavano e infine passò agli stupri; tra una violenza e l'altra, contrabbandava sigarette.
Gli stupri iniziarono dal 4 maggio 1987: era solito appostarsi nei pressi delle fermate del bus di sera; aspettava che si avvicinassero delle ragazze e, al momento propizio, le assaliva e le costringeva ad un rapporto orale o anale; in un'occasione, arrivò quasi a strangolare una vittima. Le ragazze avevano dai 15 ai 22 anni. Alla fine del percorso scolastico, si laureò alla University of Toronto a Scarborough nel 1987. Trovò un lavoro come contabile in una banca; il 17 ottobre dello stesso anno conobbe Karla Homolka in un ristorante a Scarborough.
Karla Leanne Homolka nacque il 4 maggio 1970, prima di tre figli di una famiglia normale (il padre era un rappresentante di oggetti di arredamento ed aveva un carattere molto amorevole e la madre era una donna autorevole e sicura); il cognome lo ereditò dalla madre di origine ceca. Crebbe in modo regolare e imparò ben presto a parlare, camminare e leggere; ereditò dal padre l'asma. Nel marzo 1971 nacque la sorella Lori e il 1º gennaio 1975 la sorella Tammy.
La sua famiglia si stabilì ufficialmente nel 1978 a St. Catharines. Da ragazza, Karla aveva un'intelligenza molto elevata, tant'è che da piccola sapeva fare molte più cose dei suoi coetanei; amava i libri e coltivava la passione per gli animali. Era una bella ragazza, bionda e attraente, ma crescendo diventò testarda e aggressiva, ed incominciò ad avere frequentemente rapporti sessuali.
Da adolescente divenne un'appassionata di lettura e il suo genere preferito era l'occulto; aveva anche altre passioni, tra cui la musica e il canto. Ogni tanto ebbe dei problemi a relazionarsi con i fidanzati: ci litigava e cadeva in depressione, sviluppando tendenze suicide. Comunque questi problemi a relazionarsi non erano assolutamente gravi. Iniziò a lavorare part-time in un negozio/clinica di animali vicino ad un centro commerciale.
Il 17 ottobre 1987, a 17 anni, conobbe Paul Bernardo in un ristorante a Scarborough. Quando Bernardo entrò a far parte della vita della famiglia di Karla, la sorella Tammy, di 12 anni, prese subito in simpatia il giovane. Era molto affezionata a lui, da quanto si può vedere dalle videocassette girate dai familiari di Karla.
Paul e Karla si innamorarono subito; in particolare, Karla era rimasta rapita dalla sua bellezza e dalla sua eleganza; divenne ossessionata da lui e ne parlò molto bene alla sua famiglia. Nei giorni a venire, Paul si intrattenne in alcuni giochi erotici sadici con Karla: lei avrebbe dovuto fingere di essere la vittima di uno stupratore; Paul l'avrebbe ammanettata e violentata, nonostante le sue preghiere.
Continuò anche a fare lo stupratore seriale; nel 1988 contava 13 violenze sessuali ai danni di ragazze. Karla sapeva dei suoi soprusi, ma taceva; preferì restargli accanto, non lo voleva lasciare o denunciare. Paul iniziò anche a stuprare Karla; la prima volta fu nel 1988; si pentì di averlo fatto e, in lacrime, le disse che gli dispiaceva e che non l'avrebbe più fatto. Dall'anno successivo ricominciò con più violenza.
Tra uno stupro e l'altro, le tolse la verginità prima del matrimonio; da quel momento lui si sentì in diritto di “esigere un risarcimento morale”; decise quindi di prendersi anche la verginità di Tammy Lyn Homolka (1º gennaio 1975 - 24 dicembre 1990), la sorella minore di Karla, stuprandola. Lui riferì l'idea alla promessa sposa, che non si ribellò alla proposta. La verginità di Tammy gli sarebbe dovuta essere data come “regalo di Natale”. Karla iniziò a progettare lo stupro e rubò dei sedativi dalla clinica per animali; per testarne l'efficacia, li provò sugli animali e ne vide gli effetti. Poi si esercitò ad usare una fotocamera, che sarebbe servita nell'operazione.
La sera del 23 dicembre 1990, circa sei mesi prima di sposarsi, Tammy fu invitata a cena a casa di Paul e Karla; l'alotano, un potente sedativo, era stato mescolato con il cibo e con il bere; lei, mangiandolo, lo assunse e si addormentò sul divano poco dopo. Mentre Karla le teneva uno straccio imbevuto di altro anestetico sul viso, Paul iniziò a praticarle del sesso anale e vaginale (il tutto mentre i familiari di Karla dormivano), il tutto corredato da alcune fotografie.
Improvvisamente (mentre Karla aveva un rapporto sessuale violento con Paul) Tammy si mise a vomitare, forse per overdose da medicinale, e incominciò a soffocarsi con il proprio vomito: la bile le aveva tappato la gola fino a non farla più respirare; probabilmente la testa era completamente sdraiata, e questa posizione non le avrebbe fatto espellere il vomito. Karla provò a girarle la testa, ma fu tutto inutile.
I due chiamarono subito il 911 e camuffarono la morte come un incidente. Tammy venne caricata su un'ambulanza e portata nel St. Catharine General Hospital, dove i medici provarono a rianimarla, ma fu dichiarata morta alcune ore dopo, verso le 2 della vigilia di Natale, soli 8 giorni prima di compiere 16 anni. I genitori di Karla, già sconvolti dalla morte della figlia, non sospettarono minimamente che potesse essere colpa dei due ragazzi, come anche non dubitarono gli inquirenti; il caso verrà in seguito archiviato come “un incidente a seguito di una sbronza”: forse i medici, che non si erano insospettiti, non fecero l'autopsia al cadavere. Sul viso erano presenti dei segni di ustione da medicinale. Le tracce di liquido seminale erano state lavate da Karla, quindi l'ipotesi di stupro era lontana.
Il 27 dicembre 1990 Tammy venne sepolta. Sia Paul che Karla scrissero due biglietti per la giovane defunta, nei quali essi appaiono assai desolati per la sua morte. Il 20 luglio 1993, alla riesumazione del corpo di Tammy, all'interno della bara venne trovato un biglietto contenente l'invito a nozze per il matrimonio di Karla e Paul.
Paul, a seguito dell'omicidio, incolperà Karla di avere fatto morire il suo “giocattolo sessuale”, esigendo quindi una sostituta. Dopo alcune ricerche gli trovò il “giocattolo” ideale, un'adolescente di nome Jane, la quale assomigliava vagamente a Tammy. Questo sarebbe stato il “regalo di nozze”. Karla fece amicizia con Jane e si conquistò la sua fiducia; un giorno la invitò a casa di Paul; lei la seguì e si mise a mangiare dolci e bere molto alcol misto ad halcion, un medicinale.
Una volta addormentata, chiamò Paul, che era ignaro della sorpresa. In mezzo all'euforia costrinse la fidanzata a copulare con Jane; successivamente toccò a lui: ebbe un altro rapporto vaginale ed anale; le tolse la verginità. Il tutto fu corredato da una registrazione. Finito lo stupro, la misero a letto. Lei si svegliò il giorno dopo: sentiva dei dolori, ma non si ricordava nulla del giorno prima; sapeva solo di essersi ubriacata e addormentata. Paul rimase contento dal fatto, e pensò di sposare Homolka, nonostante non fosse più vergine.
L'11 giugno 1991 un giovane ragazzo di soli 15 anni di nome Christopher Evans morì a causa di un incidente stradale, assieme ad altri tre adolescenti. La comunità, sconvolta da quanto accaduto, era quindi in lutto. Una giovane ragazza coetanea di Christopher, di nome Leslie Mahaffy (5 luglio 1976-16 giugno 1991), figlia di una maestra e di un oceanografo (il quale mestiere era aspirato anche da parte della giovane), il 14 giugno, la sera prima del funerale del ragazzo, si recò presso l'agenzia di pompe funebri per la veglia in compagnia di altri ragazzi.
Durante la cerimonia cercò di consolare i suoi amici e, dopo l'evento, assieme ad un gruppo di ragazzi, si recò nel bosco per bere. Alle 2.00 del mattino del 15 giugno si recò presso casa sua assieme a questi ultimi, con l'obiettivo di trascorrere ancora un po' di tempo insieme, ma accidentalmente si chiuse fuori di casa dalla porta sul retro; ciò risultò essere un problema per la giovane Leslie, in quanto i suoi genitori avevano chiuso la porta principale perché stanchi del comportamento ribelle della ragazza.
La giovane, infatti, nonostante fosse una ragazza gentile e avesse un buon rapporto con il fratellino Ryan e con i suoi genitori, pare conducesse una vita sregolata rubando talvolta nei negozi (venne colta in reato di taccheggio in un minimarket per 3 volte durante i mesi di marzo e aprile 1991) e marinando la scuola. Secondo alcuni, a volte si dava al “sesso facile”, andava molto a spasso con gli amici e tornava a casa tardi. Quella sera era uscita di casa promettendo che sarebbe tornata a casa entro le 23, ma i suoi genitori, vedendo che a quell'ora la giovane non era ancora tornata, decisero di farle imparare la lezione chiudendole la porta principale.
La ragazza, allora, disse ai suoi amici di non preoccuparsi e che avrebbe risolto la situazione abbastanza in fretta. Si recò presso un telefono pubblico e chiamò a casa di una sua amica allo scopo di non svegliare i suoi genitori e di dormire da lei, per poi andare insieme al funerale di Chris il giorno dopo. Rimase al telefono fino alle 2.30 senza però riuscire nel suo intento, decidendo allora di tornare presso la sua abitazione e di svegliare la madre, pur di non rimanere fuori al buio.
Fu proprio in quel momento che Bernardo, intento a rubare delle targhe di automobili per il contrabbando di sigarette, incontrò Leslie, invitandola a salire in macchina per prendere una sigaretta. Entrata nell'abitacolo, iniziò a minacciarla e le fece coprire bene gli occhi con una felpa, e la condusse a casa sua, dove lo attendeva Karla; la casa distava 53 km. Portata nell'appartamento, le bendò gli occhi e, tra sue le urla e le canzoni di Bob Marley e David Bowie, iniziò a sodomizzarla; lo stupro fu nuovamente filmato con una fotocamera. Secondo i due assassini, alla giovane venne dato un orsetto di peluche per sostenere le aggressioni.
Intanto, la mattina del 15 giugno, al funerale di Chris Evans, la madre, non trovando Leslie in chiesa chiamò la polizia. La ragazza non si presentò nemmeno a scuola il 17 giugno (il giorno dopo la sua morte), dove avrebbe dovuto sostenere un esame di matematica. Gli amici pensarono che non fosse pronta, nonostante avesse detto ai suoi amici l'opposto.
Durante la notte tra il 15 e il 16 giugno, dopo che venne tenuta come ostaggio per ben 24 ore, Leslie venne drogata da Paul con alte dosi di Halcion (la stessa droga che venne usata da Bernardo per sodomizzare Tammy) e successivamente strangolata con un cavo elettrico. Tuttavia riuscì nel suo intento solo ad un secondo tentativo, dopo che durante la prima la giovane perse solamente i sensi. Il cadavere venne quindi nascosto in cantina.
Secondo altre dichiarazioni, Bernardo disse che, mentre egli si trovava fuori dalla stanza, intento a preparare l'auto dove avrebbe liberato Leslie, la giovane morì per le eccessive dosi di droga. Disse inoltre che prima era viva, e se ne accorse quando la prese in braccio per caricarla in macchina. Fu allora che sia lui che Homolka entrarono nel panico e tentarono di farle la respirazione artificiale, senza però successo.
La mattina dopo la coppia invitò a cena i genitori di Homolka e la sorella Lori, e per poco non venne scoperto il cadavere di Leslie. La madre di Karla, infatti, aveva intenzione di scendere giù in cantina per prendere delle patate. Paul si offrì per non scomodare la suocera, e la scoperta venne evitata. Dopo che la famiglia di Karla se ne andò, la coppia recuperò il cadavere e Paul smembrò il corpo con una sega circolare in una tenda di plastica; i vari pezzi vennero mescolati con del cemento e "smaltiti" nel lago Gibson.
Nei giorni successivi all'omicidio, i genitori di Leslie continuarono a pensare che la figlia fosse scappata, tant'è che il 18 giugno sua madre Debbie autorizzò l'arresto di sua figlia in caso di allontanamento volontario. Quando, due settimane dopo la scomparsa della giovane, al compleanno della madre, la figlia non si fece sentire, i genitori erano convinti che Leslie non avesse (o non potesse avere) l'intenzione di chiamarli, senza preoccuparsi di dar loro informazioni. Pochi mesi prima era scappata di casa per due settimane e venne ritrovata in una stanza d'albergo in compagnia di un ragazzo più grande di lei, entrambi sotto effetto di stupefacenti.
Gli amici della ragazza, i quali parteciparono alla veglia, diedero molte informazioni utili agli inquirenti. Gran Vanderveek, il fidanzato di Leslie, litigò con la giovane alle 4 del pomeriggio del 14 giugno per non essere passato a trovarla a casa: vide successivamente la ragazza intenta a consumare un hamburger poco dopo nel centro commerciale della zona. Martian McSweeny, un suo amico, passò con lei la sera della veglia funebre; assieme si recarono con il gruppo di ragazzi presso il bosco per bere. Martian inoltre non vide Leslie preoccupata alle 2 quando si accorse di aver saltato il coprifuoco che le fu imposto dai suoi genitori. L'ultima testimone fu Amanda, l'amica cui Leslie telefonò presso la cabina pubblica alle 2.30 per andare a dormire, senza però avere successo. Quando Martian non la vide al funerale, tuttavia non si allarmò, in quanto convinta che Leslie si fosse cacciata in qualche guaio con i genitori.
Il 29 giugno, una coppia in canoa scoprì nel lago i pezzi di cemento, i quali erano stati preparati male e, se aperti, mostravano delle parti del corpo. In alcune ore la polizia recuperò una spalla, un piede e un torso; il cadavere fu ricomposto; attraverso l'apparecchio dentale riuscirono ad identificarlo come quello di Leslie.
Lo stesso giorno Paul e Karla si sposarono, con un matrimonio sontuoso e con 150 ospiti. I genitori di Karla non poterono versare una grande somma di denaro per il matrimonio di loro figlia in quanto vennero già spesi per il funerale di Tammy pochi mesi prima. Il padre di Karla brindò durante il taglio della torta in memoria della figlia, ma Karla cambiò velocemente argomento per brindare agli sposi. Karla aveva 21 anni e Paul quasi 27.
Un giorno Karla, dopo aver invitato ancora Jane, della quale aveva ormai conquistato la fiducia, provò ad ucciderla pur di compiacere Paul, ma lui la fermò e la minacciò di divorziare. Lo sposo, rimasto senza vittime da stuprare, ripiegò su una ragazza americana consenziente. Dopo che ripartì dal Canada per andare negli Stati Uniti, rimase nuovamente a mani vuote. Vedendo che la tensione si stava accumulando, Karla decise di procurare un altro “giocattolo” per Paul: ci teneva che non divorziasse, gli rivolgeva una grande attenzione.
Circa 10 mesi dopo l'omicidio di Leslie, il 16 aprile 1992, la coppia individuò la terza vittima nel parcheggio della chiesa di St. Catharine: era una ragazza canadese quasi 16enne di nome Kristen French (10 maggio 1976-19 aprile 1992). Dopo la tragica morte di Leslie, Kristen diceva a tutte le sue amiche di non fidarsi degli sconosciuti e di prestare attenzione a chiunque.
Quel giorno Kristen stava passeggiando da sola per strada, quando Karla, alla guida della sua macchina, uscì dall'abitacolo con una mappa in mano e si avvicinò alla ragazza, dicendole di essersi persa. Mentre le chiedeva delle informazioni stradali, le puntò addosso un coltello e la costrinse a salire in macchina. In quel momento Paul scese dalla macchina e salì dietro, riuscendo così a tenere sotto controllo Kristen, minacciandola che le avrebbe tagliato la gola. La ragazza venne bendata ed ammanettata e portata nella loro casa, dove vennero staccati i telefoni e chiuse porte e finestre. Alcuni testimoni assistettero alla scena, ma non capirono bene cosa stesse succedendo (altri dissero di aver visto la ragazza a bordo di una macchina Camaro, totalmente differente rispetto a quella di Karla).
Dopo l'arrivo in casa, Paul la violentò. Dalle registrazioni pervenute si vede che arrivò al punto da orinarle in faccia e schiaffeggiarla con il pene, inserendogli una bottiglia di vino nell'ano, almeno per 40 volte. Kristen, pensando che sarebbe sopravvissuta, si piegò al loro volere. Dopo lo stupro, Paul uscì di casa per 30 minuti e Kristen scongiurò Karla di risparmiare la vita. Ma lei decise di non aiutarla, in quanto i coniugi avevano agito a viso scoperto e la ragazza sarebbe stata un testimone abbastanza scomodo, avendo visto sia la casa che il cane della coppia. Dopo che Paul tornò a casa, accese la televisione, nella quale apparve l'edizione straordinaria del telegiornale dove venne lanciato un appello del padre della ragazza, il quale scongiurava i rapitori di risparmiare sua figlia e di riportarla a casa sana e salva.
Paul cambiò canale e continuò a stuprare la ragazza, torturandola per circa altri tre giorni. Il 19 aprile, Karla si ricordò dell'invito dei genitori al pranzo di Pasqua e decise di andare con suo marito, non prima però che Paul girasse un altro video con la ragazza. Dopo l'ennesima violenza sessuale, la ragazza venne legata con un cavo elettrico che le strinse anche il collo, morendo così soffocata. Pare che venne presa anche a martellate mentre provava a fuggire. Non si è mai riusciti a capire chi dei due l'avesse realmente uccisa (vennero infatti poi raccontate due versioni assai contrastanti: Paul sostenne infatti che mentre era fuori casa, Kristen provò a fuggire e Karla la colpì ed in seguito la strangolò, mentre la moglie raccontò che fu lui ad uccidere la ragazza, strangolandola la mattina di Pasqua).
Il cadavere fu spogliato, pulito dello sperma di Paul, rasato per non lasciare tracce del tappeto, e buttato ancora integro in una fossa a Burlington, situata a 45 minuti da St. Catherines. Venne ritrovato dalla polizia alcuni giorni dopo, il 30 aprile; era stato lavato e i capelli le erano stati tagliati per impedirne l'identificazione. Venne ritrovato molto vicino al cimitero dove venne sepolta Leslie, 9 mesi prima. Le autorità non collegarono gli omicidi tra loro e pensarono che fossero opera di assassini differenti e non di un assassino seriale perché Kristen non venne fatta a pezzi. I testimoni dissero alla polizia di averla avvistata l'ultima volta al parcheggio della chiesa, dove una donna la costrinse a salire su una macchina; quando gli chiesero il modello, loro si ricordavano "una Camaro" e non una Oro Nissan 240SX. In ogni caso, venne presa la targa.
Dal 1987, mentre Paul si dedicava agli stupri di Scarborough, il detective Steve Irwin e la polizia aprirono le indagini. Nel Natale dello stesso anno, una ragazza stuprata fornì l'identikit dell'aggressore, unico per tutti gli stupri: era quello di Paul Bernardo. L'identikit non venne diffuso. Successivamente trovarono anche il modello della sua auto: era sempre quella di Paul.
Nel maggio 1990 venne diffuso l'identikit con la stampa: chiunque avesse trovato lo “stupratore di Scarborough”, avrebbe ricevuto 150.000$ di ricompensa; all'incirca nel novembre dello stesso anno molti amici riferirono alla polizia che l'uomo descritto nell'identikit aveva una forte somiglianza con Paul. La manovra rese le indagini più lunghe e difficoltose perché arrivarono molte segnalazioni. Tra di esse si contava quella del direttore della banca per cui lavorava Paul, la quale però si perse in mezzo all'intricata matassa.
In laboratorio arrivò anche lo sperma dello stupratore; 230 sospetti vennero chiamati per gli esami: tra di essi c'era Paul. Lo sperma coincideva con quello di 5 persone, tra cui lui. Intanto, forse vedendo che le indagini si erano intensificate, lui aveva smesso di stuprare; vista la pausa, gli agenti rinviarono il caso all'aprile 1992.
Sfuggì alla polizia molte volte, nonostante avesse tutte le prove contro. Si spostò a vivere a San Catharines, dove commise i delitti. Aveva cambiato nome, da “Paul Kenneth Bernardo” a “Paul Teale”; il cognome lo trovò guardando un film. L'FBI intervenne dopo il terzo omicidio: dopo un po' di tempo, identificò Bernardo come il proprietario dell'auto dell'assassino. La polizia lo convocò per l'interrogatorio, che arrivò a un nulla di fatto. Nel 1992 venne riaperta la pratica dell'analisi dello sperma; le analisi tardarono molto e, invece di concludersi subito, finirono nel febbraio 1993: ricomparve per l'ennesima volta Paul. Il detective Irwin non lo volle arrestare, ma lo mise sotto sorveglianza.
Nel 1992 Bernardo aveva rincominciato a picchiare la moglie. I genitori di Karla lo costrinsero a divorziare il 5 gennaio 1993 dopo che videro che era stata pestata con una torcia e aveva riportato varie lesioni alle costole; lei fino all'ultimo aveva taciuto: erano stati i colleghi di lavoro che avevano avvertito i genitori dopo che l'avevano vista in un pessimo stato. Karla si trasferì in un altro luogo.
Gli agenti di polizia arrivarono a lei e la convocarono per alcuni interrogatori, durante i quali non parlò mai. Si confidò però con un suo zio, che chiamò la polizia, con la quale finalmente la ragazza cominciò a collaborare in cambio di uno sconto di pena. Il 17 febbraio 1993, dopo alcuni giorni di sorveglianza, Paul fu finalmente arrestato. Il 19 febbraio, durante la perquisizione di casa sua, gli agenti trovarono un diario e sei filmati che documentavano le violenze sessuali ai danni delle ragazze assassinate; solo allora Jane scoprì di essere stata violentata nel sonno.
Nel 1995 i due vennero processati: Homolka fu condannata a scontare 12 anni di carcere per complicità e altri reati minori; il 1º settembre Bernardo fu condannato all'ergastolo per tre omicidi e quindici stupri (secondo la moglie, sarebbero in realtà più di 30); è stato incarcerato in una piccola cella d'isolamento nel Penitenziario di Kingston. La sua casa fu demolita ed il terreno venduto. Karla avrebbe potuto essere liberata sulla parola tre anni dopo, nel 1996, ma il tribunale stabilì che, nonostante avesse avuto una buona condotta, poteva ancora essere pericolosa.
Homolka fu rilasciata il 4 luglio 2005. Qualche mese dopo le furono tolte 14 restrizioni sulla libertà. L'anno successivo non le permisero di cambiare nome in Emily Tremblay. Nello stesso anno negli USA uscì un film biografico sulla coppia che scatenò molte polemiche. Successivamente la donna si è risposata con un altro uomo nel 2007 ed ha avuto dei figli. Bernardo invece si trova tuttora in carcere.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Paul_Bernardo_e_Karla_Homolka
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wolfman75 · 7 months ago
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«Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate». Abbiamo letto il rapporto Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel. Lo abbiamo letto con fatica e orrore: in esso sono riportate, crude e asciutte, le descrizioni esplicite rilasciate da decine di sopravvissuti, soccorritori, testimoni oculari degli stupri, delle torture, delle mutilazioni inferte alle vittime e degli omicidi compiuti da Hamas il 7 ottobre. Vittime, cioè madri e figlie, donne fatte a pezzi dallo stupro di massa dei terroristi.
A cinque mesi dal massacro di 1.200 persone e dal rapimento di altre 254 (cittadini israeliani e stranieri – donne, uomini, bambini, neonati e anziani portati nella Striscia di Gaza) oggi, vigilia dell’8 marzo e delle celebrazioni delle conquiste e dei diritti della donna, molte esponenti del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo parteciperanno alla maratona oratoria organizzata dall’associazione Setteottobre a Roma per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse quel sabato nero su centinaia di israeliane.
Nessuno ha manifestato per loro. Nei giorni seguenti la mattanza, il grido delle femministe israeliane che pure da una vita combattono per i diritti delle donne di Gaza (Tempi ne aveva parlato qui e qui aveva raccontato la condizione delle donne sotto Hamas) è stato accolto da silenzio, minimizzazione quando non evasione e manipolazione dei fatti. Donne come Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, si sono sentite completamente tradite «dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ho lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre».
Il suo podcast era stato rilanciato da Haaretz, il giornale della sinistra israeliana più citato quando c’è da attaccare Israele ma non quando le sue donne chiedono aiuto: «Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Solo allora Un Women aveva cancellato un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas. Condanna che dall’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere non è mai arrivata. E nemmeno dalle “sorelle” femministe e transfemministe che in risposta al 7 ottobre erano scese in piazza contro la potenza di Israele «colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese». Ospite del programma di dibattito politico Paroles d’Honneur in Francia Judith Butler ha definito il 7 ottobre «un atto di resistenza armata» contro Israele.
Oggi l’Onu ammette che ci sono prove degli stupri commessi da Hamas, che ci sono «motivi ragionevoli» per ritenere che i terroristi abbiano commesso «torture a sfondo sessuale» e riservato altri «trattamenti crudeli e inumani» alle donne durante l’attacco. Ci sono anche «fondati motivi per credere che tale violenza possa ancora essere in corso», ha detto Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale in guerra inviata in Israele e Cisgiordania dal 29 gennaio al 14 febbraio. Il suo team, che non ha fatto sconti nemmeno al trattamento riservato dagli israeliani ai prigionieri palestinesi, ha raccolto le testimonianze degli ostaggi rilasciati e dai riscontri effettuati l’Onu si dice in possesso di «informazioni chiare e convincenti» che donne e bambini siano state sottoposte a stupri e torture e che gli abusi potrebbero proseguire sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
La delegazione ha confermato le violenze in tre luoghi: nell’area del festival musicale Supernova, lungo la strada statale 232 che collega Gaza ai kibbutz, e al kibbutz Re’im. Il rapporto è naturalmente parziale e ammette che nei kibbutz Kfar Aza e Be’eri il ritrovamento, tra troppi cadaveri carbonizzati, di tutte quelle donne «svestite, legate e uccise» farebbe pensare a violenze e torture nonostante i primi soccorritori si siano dedicati a salvare i superstiti e non a raccogliere prove. Il Centro di Patologia Forense di Shura, base militare vicina a Tel Aviv, lo ha ribadito più volte: identificare i corpi delle famiglie trucidate a Kfar Aza e Be’eri in molti casi ha richiesto settimane.
Il 21 febbraio l’associazione dei centri antistupro d’Israele consegnava però alle Nazioni Unite un plico di circa 40 pagine. Bisogna leggerlo per provare disgusto e pietà per quanti in questi mesi si sono dedicati a distinguo partigiani o bollato l’inchiesta del New York Times, durata due mesi e dedicata proprio agli stupri del 7 ottobre, «propaganda filoisraeliana», «accozzaglia di testimonianze, non di prove», tentativo di «disumanizzare il nemico». Il rapporto dimostra chiaramente che non si è trattato di violenze casuali, isolate o sporadiche, ma di stupri frutto di una chiara strategia operativa. I modelli di “azione“ sono stati ripetuti, identici, in ciascuna delle zone di attacco: il festival Supernova, le case private nei kibbutz in prossimità di Gaza, e pure nelle basi dell’esercito israeliano. Le violenze si sono consumate anche durante il rapimento di 254 persone nella Striscia.
Molti degli stupri, subiti da donne ferite da armi da fuoco e coltelli, sono stati compiuti in gruppo, con la violenta partecipazione dei terroristi. Spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a dei testimoni – mariti, familiari o amici – così da moltiplicare il dolore e l’umiliazione delle vittime e di chi voleva loro bene. Così al festival Supernova, dove i terroristi hanno dato la caccia a giovani ragazze e ragazzi in fuga, trascinandole per i capelli, uccidendo le vittime dopo o perfino durante lo stupro.
Numerose e diverse testimonianze danno conto delle stesse pratiche sadiche usate dai terroristi. Qui è d’obbligo l’avviso ai lettori più impressionabili di non proseguire nella lettura dell’articolo. Molti dei corpi delle vittime di crimini sessuali sono stati trovati infatti legati, i genitali brutalmente mutilati da coltelli e colpi d’arma da fuoco, in alcuni casi dall’inserimento di armi. I terroristi non si sono limitati a sparare; hanno tagliato e mutilato anche gli organi sessuali e altre parti del corpo delle vittime con coltelli, lame seghettate, taglierini.
Il rapporto «resta tuttora in una forma preliminare. Nei mesi e negli anni a venire, a seconda delle scelte dei sopravvissuti, potremmo essere in grado di fornire una storia più completa ed esplicita delle aggressioni sessuali del 7 ottobre», scrivono gli autori. Prove iniziali, raccolte secondo i princìpi etici dei centri antistupro e pertanto provenienti solo da fonti verificate, nonché scevre dalle informazioni e confidenze delle sopravvissute che ancora non hanno la forza di denunciare (o che riguardano le violenze ai danni di ostaggi che avranno il diritto di decidere se raccontare o meno la loro storia una volta liberati), ma che già avvalorano la tesi dello stupro sistemico. La violenza sessuale in guerra a breve e lungo termine non è materia da stoytelling: è codificata da parametri precisi, il trauma ha implicazioni fisiche e non solo psicologiche.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza del festival e che hanno fornito gli stessi resoconti dai nascondigli: stupri collettivi, donne mutilate di arti superiori, o inferiori, mutilazioni degli organi genitali, gravi ferite della zona pelvica, ferite procurate durante gli stupri e culminate in omicidi.
Quelle dei medici legali che hanno analizzato i resti e dei soccorritori che hanno raggiunto le case dei kibbutz e dei villaggi nel Negev occidentale: donne spogliate nelle loro stanze o alla presenza dei parenti, segni di sperma, coltelli conficcati nei genitali. Quelle dei residenti che si sono assunti il compito di identificare i corpi dei vicini, corpi con organi intimi esposti e vestiti strappati. C’è chi ha filmato incredulo i ritrovamenti per avvalorare la propria testimonianza.
C’è l’inchiesta del New York Times sui 24 corpi abusati sessualmente a Be’eri e Kfar Aza, mani legate, biancheria abbassata, disseminati intorno alle case o appesi agli alberi, e ci sono i racconti spaventosi delle donne rilasciate da Hamas su quanto accade nei tunnel, dove i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in «burattini tirati da fili».
Dai nascondigli vicini alla strada 232 i sopravvissuti del Festival hanno assistito alle violenze di ragazze contemporaneamente stuprate da un uomo e mutilate da un altro, pugnalate durante le violenze, violentate anche dopo la morte. Segnalati più e più stupri di gruppo, commessi da otto, dieci, in un caso perfino dodici terroristi. I soccorritori parlano di bacini spezzati dalle ripetute violenze. Come di fratture delle ossa pelviche delle donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane, violentate nei kibbutz davanti ai parenti, i cadaveri di madri e figlie accanto a quelli di chi inerme ha assistito alle violenze. I volontari raccontano di una coppia nuda, legato l’uno all’altra, lei stuprata, e di donne abusate con coltelli nelle parti intime.
Non sono stati risparmiati gli uomini, mutilati dei genitali, denudati e bruciati. «I colpi di arma da fuoco hanno preso di mira gli organi sessuali. Lo abbiamo constatato molte volte. I terroristi avevano un’ossessione per gli organi sessuali». Pallottole sparate al seno e ai genitali, insieme alla sistematica mutilazione di questi ultimi, ha spiegato Shari Mendes, che ha lavorato alla base Shura per identificare i cadaveri. Ci sono casi di amputazione dei seni con un taglierino, oggetti appuntiti inseriti nell’ano e seghette usate per le penetrazioni e altri scempi dovuti forse alla mancanza di tempo per uno “stupro completo”. «Il New York Times ha riferito di aver visto la foto del corpo di una donna con dozzine di chiodi conficcati nelle ginocchia e nel bacino».
Non erano venuti solo per catturare e uccidere. Hamas nega le violenze e le brutalizzazioni che pure i suoi accoliti hanno orgogliosamente filmato e diffuso. «Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare», ha scritto Nicoletta Tiliacos sul Foglio. «Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale».
Silenzio durante la manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre, silenzio durante quella del 24 febbraio a Milano, entrambe promosse da Non una di meno, che ha accusato Israele di genocidio “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. «Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà».
Facendo seguito all’appello “Non si può restare in silenzio”, arrivato a diciassettemila firme che chiede di definire quelli del 7 ottobre come crimini contro l’umanità e di perseguirne i responsabili a livello internazionale, Setteottobre ha presentato formale richiesta di indagini all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia. Oggi alle 18, a Piazza Santi Apostoli a Roma, si chiede un 8 marzo anche per le donne di Israele, un 8 marzo per le madri e figlie uccise quel sabato nero e per il rilascio di quelle ancora detenute insieme a uomini, bambini e anziani, nei tunnel di Hamas.
Fonte: https://www-tempi-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.tempi.it/i-seni-amputati-col-taglierino-cosi-hamas-ha-stuprato-le-donne-israeliane/amp/?amp_gsa=1&amp_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D
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wolfman75 · 7 months ago
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Pedro Alonso López, soprannominato il Mostro delle Ande (Santa Isabel, 8 ottobre 1948), è un serial killer colombiano. È uno dei serial killer più sanguinari della Colombia assieme a Luis Alfredo Garavito e Daniel Barbosa.
Pedro Alonso Lopez nacque a Tolima, in Colombia, l'8 ottobre 1948. Era il settimo dei tredici figli di Benilda Lopez de Castañeda, una prostituta. L'infanzia gli fu infelice a causa delle pessime condizioni di vita, della povertà estrema e per il comportamento violento, iracondo e autoritario della madre. Inoltre proprio in quegli anni cadeva il periodo della Violencia, che consisteva in una insurrezione sociale scoppiata poco tempo prima a causa del delitto a sfondo politico di Jorge Eliécer Gaitán Ayala, leader del Movimento Populista, avvenuto il 9 aprile 1948. Nell'arco di 10 anni la Violencia farà più di 200.000 vittime; il tasso di omicidi era altissimo e la gente non poteva passeggiare sicura per strada.
A 8 anni venne cacciato di casa: era stato scoperto dalla madre mentre molestava la sorella minore. Riuscì a trovare la via per tornare a casa ma, il giorno successivo, con un autobus lo abbandonò a più di 200 miglia di distanza da casa.
Lopez da quel momento visse vagabondando per strada, tirando avanti con piccole elemosine e furtarelli in mezzo al pericoloso clima da guerra civile. Un giorno Pedro venne avvicinato da un vecchio che, con la scusa di aiutarlo, lo rapì e lo sodomizzò per ore. Superata l'esperienza, un anno dopo si spostò a Bogotà (la capitale della Colombia), dove venne trovato e adottato da una coppia di americani benestanti. Venne così mandato a scuola, ma all'età di 12 anni subì un abuso sessuale da un insegnante. Pedro così scappò dalla famiglia americana con un po' di soldi con sé e tornò per strada. Un po' di tempo dopo iniziò la sua carriera criminale, che lo porterà ad essere un abilissimo ladro di automobili. Nel 1958 il periodo della Violencia finì e il clima stava tornando alla normalità.
Nel 1969, all'età di 21 anni, venne arrestato dalla polizia e condannato a sette anni di reclusione per furto d'auto. Due giorni dopo il suo arresto fu violentato da quattro detenuti. Da lì a poco si vendicò tagliando la gola a tre di essi con un coltello rudimentale. Così gli vennero aggiunti altri due anni di carcere. Nel 1978 uscì dal carcere. Lopez era impazzito a causa dell'infanzia bruciata, della figura di sua madre, degli stupri ricevuti, degli omicidi e del carcere. Aveva sviluppato inoltre una forma di misoginia: infatti odiava le donne, che gli ricordavano la figura della madre. Non si sposò mai e divenne dipendente da riviste di pornografia esplicita. Dalla Colombia si spostò in Perù, dove tornò ad uccidere.
Come indicato sopra, Pedro Lopez uccideva per misoginia; le vittime erano tutte donne, ragazzine o bambine. Solitamente le attirava a sé cercandole in giro e pedinandole, per poi conoscerle meglio, diventandone il fidanzato e regalando loro qualcosa, ad esempio uno specchietto o piccoli oggetti. Poi le attirava con una scusa banale in un luogo isolato senza che sospettassero di nulla e lì le assaliva stuprandole selvaggiamente per ore. Infine nel giro di cinque o quindici minuti le strangolava a mani nude mentre le guardava negli occhi, cosa che lo eccitava molto. Tutti gli omicidi avvenivano di giorno o all'alba, ma non di notte: secondo lui il buio gli impediva di vedere bene il momento dell'omicidio. Spesso controllava se le vittime fossero realmente morte o aspettando che riprendessero i sensi o mettendo loro davanti al viso uno specchietto: se si condensava, voleva dire che respiravano ancora e che dovevano essere nuovamente soffocate.
Dopo averle uccise passava delle ore in compagnia del cadavere. A volte li accumulava e li faceva sedere su una tavola imbandita, gli offriva del tè e ci chiacchierava amichevolmente. Quando si stancava li seppelliva in fosse scavate già pronte, spesso in gruppi di 3 o 4 morti perché, secondo lui, amavano la compagnia. Infine tornava ancora ad uccidere con il ritmo di circa tre o più uccisioni a settimana.
In Perù uccise almeno 100 donne appartenenti alle varie tribù Indios. Poi venne scoperto dalla tribù indigena degli Ayacuchos mentre cercava di violentare una bambina di 9 anni. Gli indigeni lo catturarono e lo seppellirono nel terreno, lasciandogli scoperta la testa. Se non fosse intervenuta una missionaria americana che spiegò agli Ayacuchos che la sua morte era irreligiosa, lo avrebbero cosparso di un liquido che attirava gli insetti e l'avrebbero fatto sbranare vivo.
Gli Ayaucuchos consegnarono Lopez alla polizia, che reputò di poco conto l'affare con la tribù indigena e lo deportò in breve tempo in Ecuador. Così fu libero di girare indisturbato tra la Colombia e l'Ecuador, uccidendo in qualche anno 100 donne in Colombia e almeno 110 nell'Ecuador. Solo in quel momento la polizia si allarmò a causa delle decine di morti e sparizioni di giovani donne proprio dove passava Lopez; ciò nonostante si attribuirono le sparizioni al mercato nero della prostituzione e Lopez non venne mai arrestato, sia a causa della conclusione dell'indagine sbagliata sia per il suo affinato modus operandi. Come nel caso di Luis Alfredo Garavito, un colombiano che uccise almeno 140 bambini, rimase imprendibile per molto tempo. Ma anche lui si fece arrestare nell'Ecuador per un banale errore. Era l'aprile del 1980.
Pedro Alonso Lopez si fece bloccare e arrestare dopo un fallito tentativo di rapimento e stupro ai danni di una bambina di 10 anni di nome Maria: la madre, Carlina Ramon Poveda, aveva notato il killer mentre si allontanava con la figlia nella zona del mercato. Le sue urla attirarono i presenti, che lo fermarono. In carcere si rifiutò di rispondere alle domande degli investigatori. Era già sospettato di 4 omicidi. Le vittime, i cui cadaveri vennero trovati in una fossa a seguito di uno straripamento ad Ambato, erano state strangolate così forte che gli occhi erano schizzati fuori dalle orbite; il ritrovamento era avvenuto l'anno prima.
Solo dopo un po', con l'aiuto di un padre missionario, venne fatto confessare: raccontò alla polizia gli oltre 100 omicidi del Perù, i 100 della Colombia e gli oltre 110 dell'Ecuador, la sua infanzia e il suo modus operandi. La polizia era un po' scettica di fronte ad un numero così alto di omicidi: vista la diffidenza nei suoi confronti, accompagnò gli agenti in alcuni dei luoghi dove aveva seppellito alcune delle sue vittime: nel solo Ecuador se ne trovarono in poco tempo 53 che, aggiunti agli altri 4 di cui era sospettato e ai 3 commessi in carcere, erano almeno 60. Gli altri 40 circa non vennero trovati, nonostante Lopez avesse accompagnato i poliziotti nei loro luoghi di sepoltura; è normale che succeda ciò: il territorio è sempre soggetto a frane e forti alluvioni, che disperdono i corpi.
Gli oltre 200 omicidi consumati in Perù e in Colombia non vennero mai trattati poiché Lopez non venne estradato dall'Ecuador.
Nel 1980 si svolse il processo: Pedro Alonso Lopez venne sentenziato colpevole di almeno 110 omicidi e, nonostante il suo fanatismo mentale, venne giudicato capace di intendere e di volere. Lopez era quindi sano di mente. La pena prevista era il carcere a vita: nell'Ecuador non esiste la pena di morte. Mentre si trovava in carcere ad Ambato, concesse alcune interviste, che hanno contribuito a farlo conoscere e a ispirare documentari sulla sua controversa figura; la più famosa è quella concessa al giornalista Ron Laytner nel gennaio 1999. In queste interviste afferma continuamente di essere “L'Indimenticabile Uomo del Secolo”, con i suoi oltre 310 omicidi, e che sarebbe stato rilasciato presto per la sua buona condotta; le altre sono state pubblicate sul Chicago Tribune (13 luglio 1980), sul Toronto Sun e sul Sacramento Bee (21 luglio 1980), in altri giornali nordamericani e su altre pubblicazioni.
Il 31 agosto 1994 venne rilasciato dal carcere, ma la polizia lo riarrestò come immigrato clandestino; le autorità lo portarono in un centro psichiatrico a Bogotà, in Colombia dove gli fu fatta una perizia psichiatrica, che stabilì che era sano di mente. Nel 1998 è stato nuovamente liberato su cauzione e deportato al confine colombiano.
Una settimana dopo la polizia lo ha trovato nuovamente in Ecuador: lo ha allontanato per la seconda volta.
Nel 2002 le autorità gli hanno attribuito un nuovo omicidio, ma Lopez nel frattempo aveva fatto perdere le sue tracce; non si sa se sia vivo o morto.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Pedro_Alonso_L%C3%B3pez
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wolfman75 · 7 months ago
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questo articolo avrete il dubbio, come me, su cosa effettivamente arrivi sulle nostre tavole. Non sono certamente un fobico, ma qualche volta mi è capitato di pensare a quale carne effettivamente ci venda il macellaio all’angolo, se ci dia maiale o carne di cane, o ancora peggio, carne umana. Ormai non dovremmo stupirci di nulla: proprio recentemente sui giornali è apparsa la notizia di carne infettata dal virus HIV; prima di questo si è parlato di carne di ratto servita in alcuni ristoranti cinesi; ancora prima di carne di serpente al posto di quella di coniglio …
Ricordate quella volta in cui la carne aveva un sapore strano? Siete davvero sicuri di non aver mangiato carne di qualche animale insolito spacciata per vitello o maiale? E non vi è mai passato per la testa che almeno una volta nella vita potreste aver comprato un panino con all’interno carne umana? Questo articolo vi dimostrerà che può succedere!
Comincio con le stesse parole del killer, Joe Metheny, intervistato in prigione poco tempo dopo la sentenza.
«Ti dirò di me, di quello che sono adesso, cioè da quando sono bloccato in prigione. Ho 48 anni, peso circa 205 kg, ma questo non è solo grasso. Sono qui in questa cella da quasi otto anni, ma quando qualcuno è condannato a diverse pene di vita senza possibilità di liberazione anticipata il tempo non è più importante.
Merito di essere qui perché mi ha processato gente giusta che ha fatto giustizia. Ha! Ha! Sono stato condannato solo per due omicidi e un rapimento; lei però mi è sfuggita …
Per il primo omicidio sono stato condannato a vita senza la possibilità di richiedere un rilascio anticipato; per il secondo mi hanno dato la pena di morte e per tre anni ho atteso nel braccio della morte in Maryland. Alla fine hanno cambiato la mia condanna e mi hanno dato un’altra condanna a vita senza alcuna liberazione.
Ho ucciso sette persone, tre uomini e quattro donne. Due uomini li ho fatti a pezzi con la mia ascia sotto un ponte nel sud di Baltimora; sotto lo stesso ponte ho ucciso altre due donne e un uomo che stava pescando: lui era nel posto sbagliato nel momento sbagliato. La polizia ha controllato quel posto circa tre anni dopo, quindi non hanno trovato nulla per condannarmi per quegli omicidi.
La mia frenesia assassina era motivata da un desiderio di vendetta, ma il gusto del sangue mi ha anche dato la meravigliosa sensazione di potere ogni volta che privavo qualcuno della sua vita.
Tutto è iniziato nel luglio 1994. Al tempo lavoravo come camionista. Una notte sono tornato a casa e quando ho aperto la porta e acceso la luce ho notato che non c’era più niente: la mia donna ha preso tutto, incluso mio figlio, e mi ha lasciato.
Avrei anche accettato la sua fuga, ma lei mi ha preso il mio figlio di 6 anni. L’avrei pagata per scomparire dalla mia vita: tutto quello che doveva fare era portare mio figlio a mia madre e poi tutto sarebbe andato bene.
Sei mesi più tardi ho saputo che viveva in un’altra parte della città con qualche idiota che la stava imbottendo di droghe. Sono stati beccati per il possesso e l’uso di quelle schifezze e mio figlio è stato portato via perché lo trascuravano e lo hanno picchiato. Così ho raccolto tutto il mio odio per i due che hanno fatto male a mio figlio e sono andato a cercarli. Ho saputo da qualcuno che erano sotto quel ponte e stavano dormendo con i senzatetto che erano lì.
Non erano lì, ma ho trovato due nani che avevano visto insieme a loro. Li ho fatti a pezzi e credo che nemmeno se ne siano accorti.
Quella stessa sera ho attirato sotto il ponte la prima cagna. Ho cercato di farmi dire dove fosse mia moglie, ma lei ha detto che non sapeva niente, quindi l’ho picchiata, l’ho violentata e l’ho uccisa. Ho gettato il suo corpo nei cespugli e sono andato a cercare un’altra cagna. Ho fatto la stessa cosa di quella precedente, ma quando l’ho gettata in mezzo ai cespugli ho notato un nero che mi stava guardando. Così ho preso un tubo metallico che era nella spazzatura e gli ho spaccato il cranio. Alla fine ho gettato tutti nel fiume …
Era una notte davvero difficile per me: cinque omicidi in circa sette ore. Due settimane e mezza dopo sono stato arrestato e accusato di aver ucciso i due nani con l’ascia. Ho trascorso quasi 18 mesi di carcere a Baltimora, in attesa del processo. Il processo è durato una settimana ed è stato chiuso per mancanza di prove.
Ho attirato ancora due puttane nel mio rimorchio, ma nemmeno loro sapevano dirmi nulla di mia moglie. Le ho uccise e ho fatto a pezzi i loro corpi; ho tagliato la carne e l’ho messa nei contenitori e poi nel congelatore.
Nei fine settimana aprivo un piccolo bar su ruote e vendevo sandwich di maiale e carne di manzo: mi dicevano tutti che erano buonissimi anche se non sapevano che in mezzo a quei panini c’erano i pezzi di quelle puttane. La carne umana ha un sapore simile alla carne di maiale e se mescolate questi due tipi di carne nessuno sente la differenza.
Tutto è andato bene finché non ho finito la carne speciale. Così ho invitato un’altra puttana sul mio rimorchio. Ho cominciato a strapparle i vestiti e lei iniziò ad urlare, ma oltre a me non c’era nessuno che la sentisse. E io me la ridevo.
Mi sono voltato per un secondo e quello è stato il mio errore, perché quella troia è riuscita ad uscire dalla porta prima che potessi agguantarla. Quella cagna si arrampicò sui pallet del giardino come una scimmia e saltò oltre il recinto, dove un ragazzo si fermò e la portò alla stazione di servizio, dove hanno chiamato la polizia. Sapevo che i poliziotti erano in zona, ma me la presi con calma: ho preso i suoi vestiti, ho preso le chiavi e sono uscito. Non ho fatto in tempo a tornare a casa che è arrivata un’auto e uno sbirro ha tirato fuori una pistola dicendomi di sdraiarmi per terra. È così che finisce la storia.
Mi hanno arrestato. L’unica cosa che mi rammarica è che non ho ucciso i due figli di puttana che volevo uccidere. Questa è la mia storia, terribile ma vera. Quindi, la prossima volta che scendete in strada e notate un barbecue su ruote che non avete mai visto prima, ricordate questa storia prima di mangiare il vostro panino. Non potete sapere cosa state mangiando davvero. Ha! Ha!»
Questo lungo monologo riassume effettivamente i crimini di Joseph Roy Metheny. Durante l’ultimo processo, quello per l’assassinio di Cathy Ann Magaziner, Metheny confessò di averla uccisa nel 1994 e fornì tutti i dettagli per ritrovare ciò che restava del suo corpo, ovvero le parti non utilizzate per i suoi “speciali” sandwich di carne e seppelliti in un bosco poco distante dal suo luogo di lavoro. Metheny stesso supplicò il giudice di dargli la pena di morte, ma i suoi avvocati riuscirono a convincere in appello la giuria che il suo era stato un omicidio senza scopo di furto (un’aggravante che consente di deliberare la pena di morte) e la sua pena si tradusse in una seconda condanna all’ergastolo.
Metheny stava già scontando una condanna all’ergastolo per l’omicidio di Kimberly Spicer nel 1996 e 50 anni di carcere per tentato stupro e sequestro di Rita Kemper, la ragazza che scappò dal suo rimorchio e riuscì ad andare alla polizia.
Vi risparmio in questo caso tutta l’infanzia di Joe Metheny, anche perché, stando alle dichiarazioni della madre Jean, non ha mai avuto traumi tali da sviluppare il mostro che è diventato da adulto. Veniva descritto come intelligente e non si tirava indietro dai lavori pensanti. La morte del padre quando era piccolo non lo segnò particolarmente e una volta terminato il servizio militare si diede subito da fare per guadagnarsi da vivere.
I colleghi di Metheny lo descrissero come una persona comune, ovviamente molto più imponente degli altri, ma anche in caso di litigi nessuno avrebbe mai pensato che avesse potuto uccidere qualcuno.
Il caso di Metheny ha però un punto oscuro: la moglie non ha mai rilasciato dichiarazioni in merito e oggi non si sa dove viva. Nelle dichiarazioni dell’assassino è evidente che anche dopo anni di prigione mostrava un risentimento verso la sua compagna colpevole di essere scappata di casa, ma ci sarebbe da capire se gli omicidi, il cannibalismo e la vendita di carne umana siano scaturiti dalla rabbia o da una perversione di Metheny al di là della ragione.
Termino l’articolo facendo un po’ di ordine sugli eventi, perché del monologo di Metheny si capisce poco il lasso temporale.
Metheny ha dichiarato di aver iniziato ad uccidere nel 1994, dopo la fuga della moglie. Gli omicidi di quella notte non sono mai stati provati perché si indagò quasi quattro anni dopo su di loro, ma in quell’anno fu trovato il corpo mutilato della 28enne Toni Lynn Ingrassia lungo la Interstate 95, a breve distanza dalla società di trasporti per cui lavorava Metheny. L’uomo fu sospettato anche di quell’omicidio, ma non trovarono prove sufficienti ad accusarlo (sebbene in carcere rivendicò anche quell’omicidio).
Nel 1995, Metheny attirò le prostitute Cathy Ann Magaziner, 45 anni e Kimberly Spicer, 26 anni nel suo rimorchio dove le violentò, le strangolò e le fece a pezzi per mangiarne alcune parti e rivenderne altre sotto forma di panini di carne.
Il 19 dicembre 1996 Joe Metheny, ormai 41enne, fu arrestato per il sequestro, il tentativo di stupro e il tentato omicidio della 37enne Rita Kemper. Le indagini sul luogo dei fatti portarono al ritrovamento dei resti del corpo decomposto di Kimberly Spicer, che furono trovati sotto un rimorchio nei pressi dell’azienda.
Fu condannato a morte il 13 novembre 1998, ma la sua pena fu commutata in appello al carcere a vita il 24 luglio 2000.
Joe Roy Metheny nella sua prigionia ha confessato di aver ucciso 10 persone nella zona di Baltimora e di averlo fatto anche per mangiare carne umana e servirla nel suo barbecue su ruote ai suoi clienti del weekend.
Metheny è morto proprio di recente , il 5 agosto 2015 all’età di 62 anni: è stato trovato accasciato a terra da una guardia carceraria nel Maryland, dove stava servendo due condanne a vita. La morte sarebbe avvenuta per infarto.
Fonte: https://www.ilparanormale.com/serial-killer-e-delitti/joe-metheny/
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wolfman75 · 7 months ago
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Joachim Georg Kroll (Zabrze, 17 aprile 1933 – Rheinbach, 1º luglio 1991) è stato un serial killer tedesco. Fu soprannominato "Il cacciatore della Ruhr" e "Il cannibale della Ruhr", dalla regione in cui colpì. Commise almeno 14 omicidi tra uomini, donne e bambini, usando armi bianche, o strangolando le vittime. Cannibale pedofilo e necrofilo, fu condannato all'ergastolo per otto omicidi.
Nato a Hindenburg (l'odierna Zabrze), provincia dell'Alta Slesia, figlio di un minatore, Kroll era il sesto di nove figli. Al termine della seconda guerra mondiale, durante la quale suo padre fu fatto prigioniero di guerra, la famiglia di Kroll si trasferì nel Land della Renania Settentrionale-Vestfalia. La sua infanzia è stata costellata da numerosi problemi di inadeguatezza: faceva spesso la pipì a letto anche in tarda età ed era un pessimo studente.
Cominciò ad uccidere nel 1955, dopo la morte della madre. La prima vittima fu la diciannovenne Irmgard Strehl, violentata e uccisa in un fienile nei pressi del villaggio di Walstede. La successiva fu la dodicenne Erika Schuletter, stuprata e strangolata a Kirchhellen nel 1956. Tre anni dopo, il 17 giugno 1959, uccise Klara Tesmer nei boschi vicino a Rheinhausen. Alla sedicenne Manuela Knodt, violentata e uccisa nei pressi di Bredeney a sud di Essen, furono asportate parti di carne dalle natiche e dalle cosce. Circa nel 1960, Kroll si trasferì a Duisburg dove trovò lavoro come inserviente ai bagni della Mannesmann. Successivamente trovò impiego presso le industrie Thyssen e andò ad abitare al n. 24 di Friesenstrasse, Laar, un distretto di Duisburg. Fu in questo periodo che riprese a uccidere. Riempì il suo appartamento di riviste pornografiche e bambole gonfiabili, spesso strangolandole con una mano mentre si masturbava.
Poco attraente, quasi completamente calvo, troppo nervoso e timido per avere rapporti consensuali con donne di qualsiasi genere, finì per darsi allo stupro e all'omicidio.
8 febbraio 1955; Irmgard Strehl, 19 anni, violentata e pugnalata a morte. Il suo cadavere smembrato venne ritrovato in un fienile a Lüdinghausen.
1956; Erika Schuletter, 12 anni, violentata e strangolata a Kirchhellen.
17 giugno 1959; Klara Frieda Tesmer, 24 anni, stuprata e uccisa nei boschi vicino Rheinhausen. Un meccanico del luogo, Heinrich Ott, fu arrestato e incolpato del crimine. Si suicidò impiccandosi in cella.
26 luglio 1959; Manuela Knodt, 16 anni, violentata e strangolata nel parco cittadino di Essen. Strisce di carne furono prelevate dalle sue natiche e cosce.
23 aprile 1962; Petra Giese, 13 anni, violentata e strangolata a Dinslaken-Bruckhausen. Per questo crimine fu arrestato Vinzenz Kuehn.
4 giugno 1962; Monika Tafel, 12 anni, uccisa a Walsum. Strisce di carne furono prelevate dalle sue natiche. Walter Quicker fu arrestato per il delitto. Fu in seguito scarcerato, ma si suicidò per la vergogna in ottobre.
3 settembre 1962; Barbara Bruder, 12 anni, rapita a Burscheid. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
22 agosto 1965; Hermann Schmitz, 25 anni, e la fidanzata Marion Veen furono aggrediti mentre si erano appartati in auto a Duisburg-Großenbaum. Hermann (unica vittima maschile di Kroll) fu pugnalato a morte, la ragazza riuscì a fuggire.
13 settembre 1966; Ursula Rohling, 20 anni, strangolata nel parco di Foersterbusch vicino Marl. Il suo fidanzato, Adolf Schickel, si suicidò dopo essere stato incolpato dell'omicidio.
22 dicembre 1966; Ilona Harke, 5 anni, violentata ed affogata in un fosso a Wuppertal.
12 luglio 1969; Maria Hettgen, 61 anni, violentata e strangolata a casa sua a Hückeswagen.
21 maggio 1970; Jutta Rahn, 13 anni, strangolata mentre tornava a casa da una stazione ferroviaria. Per questo crimine fu arrestato Peter Schay ma fu poi rilasciato.
8 maggio 1976; Karin Toepfer, 10 anni, stuprata e strangolata mentre si recava a scuola a Voerde.
3 luglio 1976; Marion Ketter, 4 anni. Parti del suo corpo erano state cucinate da Kroll quando la polizia lo arrestò a casa sua.
Kroll decideva molto attentamente i luoghi dove avrebbe colpito, uccidendo nello stesso posto solo in poche occasioni e a distanza di anni. Questo fatto, unito alla coincidenza della presenza di numerosi assassini operanti nella medesima zona all'epoca, gli facilitò l'impunità. Kroll sorprendeva le proprie vittime e le strangolava subito. Dopo spogliava i cadaveri e indugiava in atti di necrofilia, spesso masturbandosi sui corpi delle vittime. Infine, mutilava i corpi tagliando via pezzi di carne che avrebbe mangiato a casa in seguito.
Nel 1967 Kroll si stabilì per breve tempo a Grafenhausen, dove divenne amico di molti bambini della zona che cominciarono a chiamarlo "zio".
Un pomeriggio attirò una bambina di dieci anni in un campo con la promessa di mostrarle un coniglietto, ma invece le fece vedere delle immagini pornografiche sperando che si eccitasse sessualmente. La ragazzina invece fuggì spaventata. Kroll se ne andò in tutta fretta da Grafenhausen il giorno stesso, prima che la polizia potesse fare indagini in merito, ma questa volta rischiò parecchio e si fermò per circa due anni tornando a colpire solo nel luglio 1969. Il 3 luglio 1976, Kroll venne arrestato per il rapimento e omicidio di una bambina di quattro anni di nome Marion Ketter. Mentre la polizia stava indagando casa per casa chiedendo informazioni, un vicino di casa di Kroll approcciò un agente dicendogli che Joachim si era lamentato del fatto che le tubazioni di un bagno ai piani superiori della loro abitazione erano otturate da della "interiora", e quando la polizia mandò un idraulico a controllare, egli trovò nelle tubature dei polmoni di bambino e altri organi. La polizia si presentò quindi a casa di Kroll, e durante la perquisizione rinvenne parecchi sacchetti di plastica contenenti pezzi di carne umana nel frigorifero, e sul fornello, dentro una pentola che bolliva, una mano di bambina condita con carote e patate.
Kroll venne immediatamente arrestato.
Joachim Kroll confessò l'omicidio di Marion Ketter e di altre 13 vittime, fornendo dettagliati resoconti della sua attività di killer nei precedenti vent'anni.
Kroll ammise anche di praticare il cannibalismo di tanto in tanto, per risparmiare sul conto del droghiere. In carcere, sperò di ottenere l'infermità mentale ma fu invece incriminato per otto omicidi di primo grado, più un ulteriore tentato omicidio. Nell'aprile 1982, dopo un processo durato 151 giorni, fu condannato all'ergastolo. Analisi successive al suo arresto gli assegnarono un quoziente intellettivo di 76: si tratterebbe di uno dei serial killer meno intelligenti della storia.
Nel 1991 morì in carcere a causa di un infarto a Rheinbach.
Fonte: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Joachim_Kroll
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