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«Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate». Abbiamo letto il rapporto Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel. Lo abbiamo letto con fatica e orrore: in esso sono riportate, crude e asciutte, le descrizioni esplicite rilasciate da decine di sopravvissuti, soccorritori, testimoni oculari degli stupri, delle torture, delle mutilazioni inferte alle vittime e degli omicidi compiuti da Hamas il 7 ottobre. Vittime, cioè madri e figlie, donne fatte a pezzi dallo stupro di massa dei terroristi.
A cinque mesi dal massacro di 1.200 persone e dal rapimento di altre 254 (cittadini israeliani e stranieri – donne, uomini, bambini, neonati e anziani portati nella Striscia di Gaza) oggi, vigilia dell’8 marzo e delle celebrazioni delle conquiste e dei diritti della donna, molte esponenti del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo parteciperanno alla maratona oratoria organizzata dall’associazione Setteottobre a Roma per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse quel sabato nero su centinaia di israeliane.
Nessuno ha manifestato per loro. Nei giorni seguenti la mattanza, il grido delle femministe israeliane che pure da una vita combattono per i diritti delle donne di Gaza (Tempi ne aveva parlato qui e qui aveva raccontato la condizione delle donne sotto Hamas) è stato accolto da silenzio, minimizzazione quando non evasione e manipolazione dei fatti. Donne come Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, si sono sentite completamente tradite «dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ho lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre».
Il suo podcast era stato rilanciato da Haaretz, il giornale della sinistra israeliana più citato quando c’è da attaccare Israele ma non quando le sue donne chiedono aiuto: «Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Solo allora Un Women aveva cancellato un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas. Condanna che dall’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere non è mai arrivata. E nemmeno dalle “sorelle” femministe e transfemministe che in risposta al 7 ottobre erano scese in piazza contro la potenza di Israele «colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese». Ospite del programma di dibattito politico Paroles d’Honneur in Francia Judith Butler ha definito il 7 ottobre «un atto di resistenza armata» contro Israele.
Oggi l’Onu ammette che ci sono prove degli stupri commessi da Hamas, che ci sono «motivi ragionevoli» per ritenere che i terroristi abbiano commesso «torture a sfondo sessuale» e riservato altri «trattamenti crudeli e inumani» alle donne durante l’attacco. Ci sono anche «fondati motivi per credere che tale violenza possa ancora essere in corso», ha detto Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale in guerra inviata in Israele e Cisgiordania dal 29 gennaio al 14 febbraio. Il suo team, che non ha fatto sconti nemmeno al trattamento riservato dagli israeliani ai prigionieri palestinesi, ha raccolto le testimonianze degli ostaggi rilasciati e dai riscontri effettuati l’Onu si dice in possesso di «informazioni chiare e convincenti» che donne e bambini siano state sottoposte a stupri e torture e che gli abusi potrebbero proseguire sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
La delegazione ha confermato le violenze in tre luoghi: nell’area del festival musicale Supernova, lungo la strada statale 232 che collega Gaza ai kibbutz, e al kibbutz Re’im. Il rapporto è naturalmente parziale e ammette che nei kibbutz Kfar Aza e Be’eri il ritrovamento, tra troppi cadaveri carbonizzati, di tutte quelle donne «svestite, legate e uccise» farebbe pensare a violenze e torture nonostante i primi soccorritori si siano dedicati a salvare i superstiti e non a raccogliere prove. Il Centro di Patologia Forense di Shura, base militare vicina a Tel Aviv, lo ha ribadito più volte: identificare i corpi delle famiglie trucidate a Kfar Aza e Be’eri in molti casi ha richiesto settimane.
Il 21 febbraio l’associazione dei centri antistupro d’Israele consegnava però alle Nazioni Unite un plico di circa 40 pagine. Bisogna leggerlo per provare disgusto e pietà per quanti in questi mesi si sono dedicati a distinguo partigiani o bollato l’inchiesta del New York Times, durata due mesi e dedicata proprio agli stupri del 7 ottobre, «propaganda filoisraeliana», «accozzaglia di testimonianze, non di prove», tentativo di «disumanizzare il nemico». Il rapporto dimostra chiaramente che non si è trattato di violenze casuali, isolate o sporadiche, ma di stupri frutto di una chiara strategia operativa. I modelli di “azione“ sono stati ripetuti, identici, in ciascuna delle zone di attacco: il festival Supernova, le case private nei kibbutz in prossimità di Gaza, e pure nelle basi dell’esercito israeliano. Le violenze si sono consumate anche durante il rapimento di 254 persone nella Striscia.
Molti degli stupri, subiti da donne ferite da armi da fuoco e coltelli, sono stati compiuti in gruppo, con la violenta partecipazione dei terroristi. Spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a dei testimoni – mariti, familiari o amici – così da moltiplicare il dolore e l’umiliazione delle vittime e di chi voleva loro bene. Così al festival Supernova, dove i terroristi hanno dato la caccia a giovani ragazze e ragazzi in fuga, trascinandole per i capelli, uccidendo le vittime dopo o perfino durante lo stupro.
Numerose e diverse testimonianze danno conto delle stesse pratiche sadiche usate dai terroristi. Qui è d’obbligo l’avviso ai lettori più impressionabili di non proseguire nella lettura dell’articolo. Molti dei corpi delle vittime di crimini sessuali sono stati trovati infatti legati, i genitali brutalmente mutilati da coltelli e colpi d’arma da fuoco, in alcuni casi dall’inserimento di armi. I terroristi non si sono limitati a sparare; hanno tagliato e mutilato anche gli organi sessuali e altre parti del corpo delle vittime con coltelli, lame seghettate, taglierini.
Il rapporto «resta tuttora in una forma preliminare. Nei mesi e negli anni a venire, a seconda delle scelte dei sopravvissuti, potremmo essere in grado di fornire una storia più completa ed esplicita delle aggressioni sessuali del 7 ottobre», scrivono gli autori. Prove iniziali, raccolte secondo i princìpi etici dei centri antistupro e pertanto provenienti solo da fonti verificate, nonché scevre dalle informazioni e confidenze delle sopravvissute che ancora non hanno la forza di denunciare (o che riguardano le violenze ai danni di ostaggi che avranno il diritto di decidere se raccontare o meno la loro storia una volta liberati), ma che già avvalorano la tesi dello stupro sistemico. La violenza sessuale in guerra a breve e lungo termine non è materia da stoytelling: è codificata da parametri precisi, il trauma ha implicazioni fisiche e non solo psicologiche.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza del festival e che hanno fornito gli stessi resoconti dai nascondigli: stupri collettivi, donne mutilate di arti superiori, o inferiori, mutilazioni degli organi genitali, gravi ferite della zona pelvica, ferite procurate durante gli stupri e culminate in omicidi.
Quelle dei medici legali che hanno analizzato i resti e dei soccorritori che hanno raggiunto le case dei kibbutz e dei villaggi nel Negev occidentale: donne spogliate nelle loro stanze o alla presenza dei parenti, segni di sperma, coltelli conficcati nei genitali. Quelle dei residenti che si sono assunti il compito di identificare i corpi dei vicini, corpi con organi intimi esposti e vestiti strappati. C’è chi ha filmato incredulo i ritrovamenti per avvalorare la propria testimonianza.
C’è l’inchiesta del New York Times sui 24 corpi abusati sessualmente a Be’eri e Kfar Aza, mani legate, biancheria abbassata, disseminati intorno alle case o appesi agli alberi, e ci sono i racconti spaventosi delle donne rilasciate da Hamas su quanto accade nei tunnel, dove i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in «burattini tirati da fili».
Dai nascondigli vicini alla strada 232 i sopravvissuti del Festival hanno assistito alle violenze di ragazze contemporaneamente stuprate da un uomo e mutilate da un altro, pugnalate durante le violenze, violentate anche dopo la morte. Segnalati più e più stupri di gruppo, commessi da otto, dieci, in un caso perfino dodici terroristi. I soccorritori parlano di bacini spezzati dalle ripetute violenze. Come di fratture delle ossa pelviche delle donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane, violentate nei kibbutz davanti ai parenti, i cadaveri di madri e figlie accanto a quelli di chi inerme ha assistito alle violenze. I volontari raccontano di una coppia nuda, legato l’uno all’altra, lei stuprata, e di donne abusate con coltelli nelle parti intime.
Non sono stati risparmiati gli uomini, mutilati dei genitali, denudati e bruciati. «I colpi di arma da fuoco hanno preso di mira gli organi sessuali. Lo abbiamo constatato molte volte. I terroristi avevano un’ossessione per gli organi sessuali». Pallottole sparate al seno e ai genitali, insieme alla sistematica mutilazione di questi ultimi, ha spiegato Shari Mendes, che ha lavorato alla base Shura per identificare i cadaveri. Ci sono casi di amputazione dei seni con un taglierino, oggetti appuntiti inseriti nell’ano e seghette usate per le penetrazioni e altri scempi dovuti forse alla mancanza di tempo per uno “stupro completo”. «Il New York Times ha riferito di aver visto la foto del corpo di una donna con dozzine di chiodi conficcati nelle ginocchia e nel bacino».
Non erano venuti solo per catturare e uccidere. Hamas nega le violenze e le brutalizzazioni che pure i suoi accoliti hanno orgogliosamente filmato e diffuso. «Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare», ha scritto Nicoletta Tiliacos sul Foglio. «Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale».
Silenzio durante la manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre, silenzio durante quella del 24 febbraio a Milano, entrambe promosse da Non una di meno, che ha accusato Israele di genocidio “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. «Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà».
Facendo seguito all’appello “Non si può restare in silenzio”, arrivato a diciassettemila firme che chiede di definire quelli del 7 ottobre come crimini contro l’umanità e di perseguirne i responsabili a livello internazionale, Setteottobre ha presentato formale richiesta di indagini all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia. Oggi alle 18, a Piazza Santi Apostoli a Roma, si chiede un 8 marzo anche per le donne di Israele, un 8 marzo per le madri e figlie uccise quel sabato nero e per il rilascio di quelle ancora detenute insieme a uomini, bambini e anziani, nei tunnel di Hamas.
Fonte: https://www-tempi-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.tempi.it/i-seni-amputati-col-taglierino-cosi-hamas-ha-stuprato-le-donne-israeliane/amp/?amp_gsa=1&_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D
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