#è forse questo il paradiso?
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due batuffoli amorosi bellissimi stupendi arrivati da mia zia; vi amo già così tanto che non avete idea 🐻❄️🐻🥹💘 Kira - Daisy 🫶🏼
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ma scusate ma che significa che lei va all'aeroporto con umberto mentre marcello la aspetta e la cerca? raga questa soap mi ha tolta dieci anni della vita non ha senso NON HA SENSO
#anna speaks#anna (re)watches her italian soap opera#il paradiso delle signore#adelaide tesoro mio per una donna così intelligente fai le stupidagini proprio enormi eh#se questo è la fine di barberasmo certo che sopravvivrò ma mi farà tanto male#forse non devo preoccuparmi tanto perché gli sceneggiatori fanno sempre così e forse poi sarà tutto bene#ma per ora la situazione è preoccupante
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Pistacchione
"Branco di maledetti sfigati" penso tra me e me mentre scelgo di prendere le scale normali, quelle statiche, invece di quelle mobili. Opto per l'opzione sana e sportiva che mi permette di giudicare gli altri e la loro sedentarietà, schiavi delle macchine, pigri, larve. Io sono un uomo migliore, pieno di virtù che mi riconosco giusto un secondo prima di infilarmi in pasticceria e concedermi il più burroso cornetto ripieno al pistacchio che i soldi possono comprare.
Sono dovuto tornare in ospedale, gli occhi hanno ceduto nuovamente. Quello che mi fa ridere è che ieri ho fatto la comparsa in un film. Non era previsto. Ero al corrente di alcuni conoscenti alle prese con questo progetto “cinematografico” ma non pensavo mi avrebbero mai chiamato. Non fosse che avevano il ruolo perfetto per me. "Hai voglia di fare la comparsa e stare seduto in sala d'attesa di un ospedale?". Sembrava veramente fatto apposta. L'ho scritto non so quante volte che uno dei miei più grandi talenti è saper sfruttare i tempi morti e ora l'ho fatto davanti a una cinepresa. Mentre attoruncoli dalle dubbie capacità provavano a ripetere le loro battute io facevo il Paziente n.5, intento a leggere un libro. Un occhio più attento noterà che sto leggendo il mio stesso libro. Un piccolo easter egg che ho inserito per farmi ridere quando guarderò il film. Se gli occhi saranno ancora con me, altrimenti me lo farò raccontare.
Stamattina sono seduto per davvero in ospedale e realmente sto aspettando non che qualcuno urli "azione!" ma che mi dicano cosa fare. Dopo quasi vent'anni ancora mi costringo a non perdere la speranza e dare agli altri la possibilità di dirmi cosa fare, perché se fosse per me saprei benissimo cosa fare.
Mentre arrivava la metropolitana ho guardato lo spazio che c'è tra la motrice e i binari. Se mi butto sotto ma in aria cambio idea e mi rannicchio e mi faccio piccino piccino, riesco a sopravvivere? Riesce a passarmi sopra senza recare alcun danno? Voglio sempre calcolare che ci sia per me la possibilità di tornare indietro sui miei passi, soprattutto quando si tratta di decisioni importanti. Questi pensieri non mi spaventano più perché ho imparato a conoscermi. Sono troppo codardo per fare qualcosa di definitivo. Accetto il lento deterioramento e la fine come inevitabile conseguenza che non posso controllare e mi piace così perché adoro dare la colpa agli altri. Mi immagino a parlare con San Pietro alle porte del paradiso e dire: - Eh no, mi scusi, ma lei mi deve fare entrare, ok che sono stato per tutta la vita un egoista, bastardo e pure vigliacco, ma ha ben visto come è andata a finire, ho allontanato tutti, il mio gatto mi schifa, ho pure perso i capelli e non ho fatto tutto lo sport che ho sempre promesso di fare perché mi sono accettato così come sono e per questo sono stato punito con una morte orribile che non ho scelto! Quindi, mio caro Pietruccio, lei mi deve fare entrare, me lo merito! - Ma veramente qua leggo che la morte è stata causata da soffocamento per eccesso di cornetti al pistacchio… - Suvvia sono dettagli! - …mentre praticava il decimo atto di onanismo della giornata. - Il suo capo non le ha insegnato a perdonare?
Il regista ieri mi ha detto che sono davvero bravo a recitare quello che aspetta di venire chiamato da un dottore. Ho accettato il complimento con un certo orgoglio. Un tempo avrei dovuto combattere contro il mio egocentrismo per essere stato messo sullo sfondo invece di diventare uno dei protagonisti, probabilmente quello più sguaiato e tendente ad urlare. Invece ora guardo queste persone recitare e provarci un sacco a risultare convincenti e sono soddisfatto del mio invecchiamento che mi ha fatto scendere a compromessi con le mie aspettative.
Un giorno, dopo anni di lotta, io e le mie aspettative ci siamo seduti al tavolo e abbiamo iniziato una discussione accesa. Io continuavo a far loro presente che se certe cose non accadono e non sono mai accadute, forse allora, non è sbagliato lasciar perdere, che la speranza è l’ultima a morire quando si tratta di film o racconti per bambini, ma per noi è meglio non dico ucciderla, però farle fare una vacanza a tempo indeterminato. Le aspettative mi hanno ascoltato, anche perché, alla luce dei fatti e del continuo finire ridimensionate un po’ ne avevano le palle piene. Abbiamo trovato un accordo. Abbiamo accompagnato la speranza in aeroporto, dandole un telefono per le emergenze. Ora mi sa che è a Bali, da qualche parte in spiaggia a farsi massaggiare i lunghi capelli da un influencer senza scrupoli. Io e le mie aspettative siamo tornati a casa, abbiamo parlato dei piani futuri e trovato numerosi accordi impensabili su carriera, musica, amore, famiglia, autoerotismo. È stata una trattativa estenuante ma ci siamo riusciti. Ora hanno le dimensioni di un criceto e le ho sistemate sotto alla mia scrivania in una gabbietta piena di paglia. Sono così carine quando si svegliano e si mettono a girare sulla ruota e non vanno da nessuna parte, proprio come nella realtà. Corrono veloci veloci e la ruota gira e gira ma stanno ferme, che spreco di energie! Poi scendono dalla ruota, ci guardiamo soddisfatti e tornano in letargo.
Oggi ho preso il telefono per scrivere un messaggio alla speranza, mentre sta in spiaggia a Bali. Siccome ne ho bisogno le ho chiesto “Andrà tutto bene vero? Mi daranno una nuova terapia che finalmente funzionerà?” e niente, nessuna risposta per qualche ora. Poi si è acceso lo schermo del telefono. “Certo, certo, andrà tutto alla grande. Io invece mi sono infilata un attimo in un megacasino cioè, devi aiutarmi, magari se puoi mandarmi un po’ di soldi, devo pagare non so quanto un influencer che mi ha rifilato una marea di prodotti per capelli promettendomi che avrebbero risolto il problema della calvizie e niente, poi le cose sono sfuggite di mano, pensavo di riuscire a corcarlo di legnate da sola e invece tutti quei muscoli erano veri e non generati da una IA, ora mi ha rinchiuso nella sua cantina e se non pago non mi lascia uscire, quindi dai, in onore dei vecchi tempi, mandami uno dei criceti con banconote di piccolo taglio”.
In ospedale ancora non hanno detto il mio nome. Ancora aspetto. Lunedì tornerò in terapia, non più psicanalisi però. Normale psicologia temo. In tedesco poi. Non tanto perché sento di averne bisogno ma per riattivare il superpotere passivo aggressivo supremo che oramai non posso più usare, quello che mi faceva dire con orgoglio: “Sai, secondo me dovresti provare ad andare in terapia cioè, io ci vado, secondo me farebbe bene anche a te”. Mi manca essere snob e dire agli altri cosa fare. Adesso nessuno mi da ascolto, nemmeno sulla qualità dei cornetti al pistacchio (dato che uno di loro mi ucciderà). Si tratta solo di capire quale sarà l'ultimo. Quello di un’ora fa, o quello che mangerò non appena uscirò dall’ospedale? Chi lo sa! Suspance!
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Sapevate che… nella Divina commedia c’è una frase che pochi conoscono ma è la più bella definizione di amore mai data in tutta la storia della letteratura!
Ecco, siamo nel terzo Cielo del Paradiso. E a un certo punto Dante mentre parla con lo spirito di un beato, Folchetto da Marsiglia, usa questa parola «intuarsi»: «s’io m’intuassi, come tu t’inmii». Intuarsi è una parola straordinaria! Ma cosa significa?
Significa entrare nel cuore e nella mente dell’altra persona. Da due diventare uno. Intuarsi non significa annullarsi nell’altra persona, ma indossare, anche per un istante, la sua pelle, la sua anima. E permettere all’altro di fare lo stesso con noi. Perché l’amore è questo: reciprocità. Tendere la mano verso l’altro. Entrare dentro l’altro. Solo chi ama conosce e solo chi conosce ama. Intuarsi esprime qualcosa che noi abbiamo perduto, il senso delle relazioni tra le persone. La forza del «noi». In una società che sa dire soltanto «io», abbiamo bisogno di tornare a «intuarci» l’uno nell’altro.
Ma questa parola racchiude anche un altro segreto, come «Inforsarsi». O «il bellissimo «insemprarsi», star dentro l’eternità, o ancora «incielarsi»diventare tutt’uno con il cielo. Cosa hanno in comune queste parole? Ecco, quando Dante usa la parola «inforsarsi» non dice soltanto sono in forse ma sono «dentro» il forse. Perché l’unico modo per capire e amare è essere «dentro» le cose.
Come quando fai l’amore. Essere dentro una sensazione, uno stato d’animo, un’emozione con tutto te stesso, fino a diventare quell’emozione. Fino a sentirla con ogni fibra del tuo essere, della tua mente e del tuo cuore. Capite ora la bellezza di queste parole? In un’epoca di superficialità estrema, di relazioni poco profonde, di sentimenti vuoti, in un’epoca in cui ci teniamo sempre a distanza e siamo lontani dal cuore delle cose, Dante ci ricorda l’importanza di sentire intensamente. Di amare fortissimamente. Straordinario, no?
Guendalina Middei - Professor X
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Mentre gli stranieri osannano questo paese manco fosse il paradiso in terra, spesso i giapponesi lo fanno peggio di quello che realmente è.
Ora, forse sono io che sono esagerata, ma tra un paese dove parlare di stupro, femmicidi, palpate ecc è una cosa all'ordine del giorno, mi spiegate il "PERICOLO" di un pervertito che potrebbe farmi la foto alle mutande mentre sono sulle scale mobili o mentre sto facendo pipì al bagno?
Forse sono io quella strana, ma finché uno è pervertito, ma mi guarda sbavando da lontano o anche parlandomi da vicino senza toccarmi o forzarmi, sti grandi cazzi, per me non è un pericolo e può anche fotografare le mie mutande quante volte vuole.
Invece qui la considerando una cosa gravissima, schifosissima (e lo è, per carità di Dio) e soprattutto PERICOLOSA.
Io l'unica cosa di cui ho paura dell'uomo europeo e che con la forza mi costringa a fare quello che vuole lui, anche se da sobria. Mi fa paura perché non riuscirei a contrastarlo nemmeno con la forza.
Invece questi mi sembrano così pappamolle che, uno, se usassero la forza, credo di averne abbastanza per fargli più male di quanto ne farebbero a me e, due, non credo avrebbero le palle di toccare una che non è strafatta di alcol.
I giapponesi vivono in una bolla in cui il pericolo è sovradimensionato a livelli assurdi. Ed è per questa ragione che sono totalmente scemi e senza cervello: sono come dei bimbi straviziati.
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Sapevate che… nella Divina commedia c’è una frase che pochi conoscono ma è la più bella definizione di amore mai data in tutta la storia della letteratura!
Ecco, siamo nel terzo Cielo del Paradiso. E a un certo punto Dante mentre parla con lo spirito di un beato, Folchetto da Marsiglia, usa questa parola «INTUARSI»: «s’io m’Intuassi , come tu t’inmii». Intuarsi è una parola straordinaria! Ma cosa significa?
Significa entrare nel cuore e nella mente dell’altra persona. Da due diventare uno. Intuarsi non significa annullarsi nell’altra persona, ma indossare, anche per un istante, la sua pelle, la sua anima. E permettere all’altro di fare lo stesso con noi. Perché l’amore è questo: reciprocità. Tendere la mano verso l’altro. “Entrare dentro l’altro”. Solo chi ama conosce e solo chi conosce ama. Intuarsi, esprime qualcosa che noi abbiamo perduto, il senso delle relazioni tra le persone. La forza del «noi». In una società che sa dire soltanto «io», abbiamo bisogno di tornare a «intuarci» l’uno nell’altro.
Ma questa parola racchiude anche un altro segreto, come «Inforsarsi». O «il bellissimo «insemprarsi», star dentro l’eternità, o ancora «incielarsi», diventare tutt’uno con il cielo. Cosa hanno in comune queste parole? Ecco, quando Dante usa la parola «inforsarsi» non dice soltanto sono in forse ma sono «dentro» il forse. Perché l’unico modo per capire e amare è essere «dentro» le cose.
Come quando fai l’amore. Essere dentro una sensazione, uno stato d’animo, un’emozione con tutto te stesso, fino a diventare quell’emozione. Fino a sentirla con ogni fibra del tuo essere, della tua mente e del tuo cuore. Capite ora la bellezza di queste parole? In un’epoca di superficialità estrema, di relazioni poco profonde,di sentimenti vuoti, in un’epoca in cui ci teniamo sempre a distanza e siamo lontani dal cuore delle cose, Dante ci ricorda l’importanza di sentire intensamente,
fino ad amare fortissimamente..❤️🔥
~Guendalina Middei (professor X)
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“ Il mio mondo, la mia Terra, è una rovina. Un pianeta rovinato dalla specie umana. Ci siamo moltiplicati e ci siamo ingozzati e abbiamo combattuto finché non è rimasto più nulla, e poi siamo morti. Non abbiamo controllato né gli appetiti né la violenza; non ci siamo adattati. Abbiamo distrutto noi stessi. Ma prima abbiamo distrutto il nostro mondo. Non rimangono più foreste sulla mia Terra. L’aria è grigia, il cielo è grigio, fa sempre caldo. È abitabile, è ancora abitabile, ma non come questo mondo. Questo è un mondo vivo, un’armonia. Il mio è una dissonanza. Voi Odoniani avete scelto un deserto; noi Terrestri abbiamo fatto un deserto…
Laggiù noi sopravviviamo, come voi. La gente è resistente! C’è quasi mezzo miliardo di noi. Una volta ce n’erano nove miliardi. Puoi vedere ancora dappertutto le vecchie città. Le ossa e i mattoni vanno in polvere, ma i piccoli pezzi di plastica no… anch’essi non s’adattano. Noi abbiamo fallito come specie, come specie sociale. Noi siamo qui, ora, a trattare da pari a pari con le altre società umane sugli altri mondi, soltanto grazie alla carità degli Hainiti. Essi vennero da noi; essi ci portarono aiuto. Costruirono navi e ce le donarono, in modo che potessimo lasciare il nostro mondo rovinato. Ci trattano gentilmente, caritatevolmente, come un uomo forte può trattare uno malato. Sono un popolo molto strano, gli Hainiti; più antichi di qualsiasi altro; infinitamente generosi. Sono degli altruisti. Sono spinti da un sentimento di colpa che noi non riusciamo neppure a capire, nonostante tutti i nostri crimini. Essi sono spinti, in tutto ciò che fanno, io credo, dal passato, dal loro interminabile passato. Ebbene, abbiamo salvato il salvabile, e organizzato una sorta di vita nelle rovine, su Terra, nell’unico modo in cui la si poteva organizzare: centralizzazione totale. Totale controllo sull’uso di ogni acro di terreno, ogni pezzo di metallo, ogni grammo di carburante. Totale razionamento, controllo delle nascite, eutanasia, coscrizione universale nella forza lavoro. L’assoluta irreggimentazione di ciascuna vita per raggiungere la meta della sopravvivenza razziale. Eravamo arrivati a questo, quando giunsero gli Hainiti. Essi ci portarono… un po’ più di speranza. Non molta. Noi l’abbiamo oltrepassata… Noi possiamo soltanto guardare a questo splendido mondo, a questa vitale società, a questo Urras, questo paradiso, dall’esterno. Siamo capaci solo di ammirarlo, e forse di invidiarlo un poco. Non molto. “
Ursula K. Le Guin, I reietti dell'altro pianeta, traduzione di Riccardo Valla, Collana Narrativa di anticipazione n.6, Editrice Nord, 1976¹, pp. 299-300.
[1ª Edizione originale: The Dispossessed: An Ambiguous Utopia, Harper & Row, New York City, 1974]
#letture#leggere#citazioni letterarie#fantascienza#distopie#Ursula K. Le Guin#ambiente#ambientalismo#specie umana#fantascienza utopica#romanzi#libri#pianeta Terra#ecologia#questioni ambientali#ecologismo#inquinamento#resilienza#letteratura americana del '900#armonia#adattamento#natura#letteratura fantascientifica#passato#futuro#speranza#vita#sistema capitalistico#sopravvivenza#capitalismo
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Quando un amore fa male e rimane bloccato in gola, succede che le lacrime diventano parole. Si raccolgono notti insonni e strisce di foto che ancorano la memoria in quel luogo ed in quei momenti pieni di urla dell’anima e silenzi, di segreti e desideri più intimi, dove ci si può uscire solo con la poesia. E quello che ci si chiede spesso è perché quella persona è diventata indimenticabile. Quando si impara ad amare si disimpara a dimenticare. Allora, con sensibilità e molta profondità, si fa dell'arte della scrittura un viaggio verso le rotte del proprio inferno fino a raggiungere quel paradiso dove la magia diventa poesia e la poesia diventa persona. Non tutto il dolore è per sempre, anche se finché lo sentiamo, finché la nostra anima è lacerata, possiamo creare arte… Un'arte che forse ci rende eterni, come quell'amore che non scompare dall'anima, o forse un'arte per il mondo, come questo scritto che ha una personalità singolare di tanti che si rivedono nel leggerlo!
Cit.
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TESTIMONI
Salvi per caso
LILIANA SEGRE, La memoria rende liberi
Da anni, ogni volta che mi sento chiedere: "Come è potuto accadere tutto questo?", rispondo con una sola parola, sempre la stessa. Indifferenza. Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all'ombra di quella parola. Per questo ho voluto che fosse scritta nell'atrio del Memoriale della Shoah di Milano, quel binario 21 della Stazione Centrale da cui partirono tanti treni diretti ai campi di sterminio, incluso il mio.
PRIMO LEVI, Se questo è un uomo
Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, all'alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare.
HANNAH ARENDT, La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme
Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità. Aveva chiesto una bottiglia di vino rosso e ne aveva bevuto metà. […] Era completamente padrone di sé, anzi qualcosa di più: era completamente se stesso. Nulla lo dimostra meglio della grottesca insulsaggine delle sue ultime parole. […] Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.
Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.
ELIE WIESEL, La notte
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i mei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
Ormai non mi interessavo ad altro che alla mia scodella quotidiana di zuppa, al mio pezzo di pane raffermo. Il pane, la zuppa: tutta la mia vita. Ero un corpo. Forse ancora meno: uno stomaco affamato. Soltanto lo stomaco sentiva il tempo passare.
ETTY HILLESUM, Diario 1941-1943
Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.
BRUNO BETTELHEIM, Sopravvivere
La nostra esperienza nei campi di concentramento non ci ha insegnato che la vita non ha senso, che il mondo dei vivi è un grande bordello, che bisognerebbe vivere secondo le primordiali esigenze del corpo, ignorando le creazioni della cultura. La nostra esperienza ci ha insegnato che per disgraziato che sia il mondo in cui viviamo, la differenza che esiste tra di esso e il mondo dei campi di concentramento è grande come quella tra la notte e il giorno, tra l'inferno e il paradiso, tra la morte e la vita.
PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati
Definirlo "nevrosi" [quello stato di perenne disagio del prigioniero] è riduttivo e ridicolo. Forse sarebbe più giusto riconoscervi un'angoscia atavica, quella di cui si sente l'eco nel secondo versetto della Genesi: l'angoscia inscritta in ognuno del "tòhu vavòhu", dell'universo deserto e vuoto, schiacciato sotto lo spirito di Dio, ma da cui lo spirito dell'uomo è assente: non ancora nato o già spento".
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Continua
"Buonanotte luna bella... vorrei essere lì con te e vivere il tuo tempo". Si illumina il cellulare, era un suo messaggio dopo che lo avevo ignorato per qualche giorno dopo quell'incontro, dopo che ero scappata da casa sua. Luna era il mio soprannome perché ne ero da sempre stata affascinata.
Decisi di continuare a ignorarlo, inutile dire che comunque quella sera a casa sua aveva scaturito in me qualcosa, ma ero troppo imbarazzata, mi ero comportata da ragazzina e non trovavo coraggio di fare nulla. Quella notte non dormii, per cui decisi di andare a mare il giorno dopo, lì riuscivo a schiarirmi le idee. Ogni volta che avevo pensieri, in qualunque stagione, al tramonto mi recavo sulla spiaggia, mi mettevo in riva, a tre passi dal toccare l'acqua, mi sedevo e guardavo le onde del mare. I miei pensieri venivano presi man mano che ogni onda si infrangeva sulla spiaggia: l'onda arrivava, prendeva il mio pensiero, lo portava con sé e me lo restituiva più leggero, in modo che io potessi accettarlo, sopportarlo o risolverlo.
Dalla gioia e dal senso di benessere che mi recava quel posto, postai una foto di quel bellissimo mare mosso al tramonto. In pochi minuti un messaggio: "ti raggiungo?", era lui, "lo riconosci?" gli risposi, perché era una spiaggia molto grande, collegata a quella di una città turistica per mezzo di un bosco, io mi infilavo tra tutti quegli alberi senza mai perdermi. Lí non sapeva mai arrivarci nessuno senza di me, per questo da ragazzina lo chiamavo "il mio posto". "Arrivo" risponde prontamente. Non sapevo bene cosa fare, come comportarmi, cosa dire, in risposta ai suoi comportamenti e alle sue parole. Il cuore prese a battermi forte, il tempo passava veloce, sentii una macchina poco lontana, ero sicura che fosse già arrivato: mi girai, era dietro di me. Rimasi rannicchiata seduta a terra, tenendomi le ginocchia con le braccia, lui si siedette dietro di me, con le gambe aperte per farmici stare in mezzo e stare più vicino a me. Mi toccò la spalla a mo' di carezza leggera, forse anche lui non sapeva cosa fare ma sentivo il suo desiderio, quello che avevo spezzato e lasciato in sospeso qualche giorno prima. Si accorge e mi fa presente che avevo il cuore che batteva all'impazzata allora mi giro e mi prende la mano "so che in questi momenti hai bisogno di un contatto con la realtà, ci sono io qui, mi senti?". Mise la mia mano sul suo petto, continuava a sfiorarla, ad accarezzarmi le dita, il mio sguardo si addolcì e con l'altra mano mi accarezzava la spalla, poi scese giù verso la schiena e un brivido mi percorse tutta, lui sorrise. Pian piano il suo viso si avvicinò al mio, mi baciò il collo, poi la mandibola e, passando per la guancia, si fermò all'angolo destro della mia bocca. Sapeva che il mio punto debole era quello, lasciarmi con la voglia per farmela crescere dentro. Si allontanò e io lo guardai con l'espressione di chi sta per toccare il paradiso con un dito ma non ci arriva... Mi avvicinai alla sua bocca perché ne volevo ancora, ma fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: mi baciò appassionatamente sulle labbra. Lui non baciava mai la bocca, credo che in vita sua l'abbia fatto poche volte, lo vedeva come un atto molto intimo e solo quando pensava di essere totalmente innamorato e perso di quella persona si lasciava andare.
Gli chiesi perché in quel momento, perché a me e lì... "mi sono ricordato di quello che mi avevi detto del toccarsi le mani. Ti ho sfiorato le dita perché so che per te è più intimo di una scopata. L'ho fatto perché stava crescendo in me il desiderio di averti addosso e so che questo è il modo di fartelo capire, sto cercando di avvicinarmi al tuo linguaggio, di avvicinarmi a te. Voglio che inizi a desiderarmi come ti desidero io perché da quella sera io ho perso la testa, non faccio altro che pensarti, in questi 10 anni io non ho smesso di pensarti, sapevo che in te c'era qualcosa di diverso, di speciale. C'era un motivo se non c'è mai stato un punto tra noi, solo tante pause più o meno lunghe". Mi guardò neglio occhi, in modo profondo e penetrante, io non sapevo cosa dire, cercavo anche di distogliere lo sguardo affinché nessuno dei miei pensieri potesse essere colto da lui. Interruppe il silenzio: "Ti va di venire di nuovo da me questa sera?".
Continua
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Scenario (reale)
Scegli il problema, reale, da risolvere.
Lo dipingi come problema non solo reale ma prioritario, in modo da sopravanzare ogni altro problema, da richiedere priorità massima (i dati? Son lì, evidenti, pronti per essere incosciamente manipolati ooops volevo dire messi in evidenza, come ogni dato che si rispetti).
La priorità, nella mente adolescente talebana come si conviene oggi, diventa ASSOLUTA. Ciò significa che il problema da risolvere si ingigantisce e si afferma come prioritario anche rispetto a LEGITTIMI INTERESSI divergenti. "Senza se e ma", è la frase rivelatrice.
Van quindi limitati, anzi aboliti, non solo i comportamenti direttamente problematici ma anche abitudini e comportamenti definibili come indirettamente colposi, collaterali, financo arrivare ad eliminare possibilità di guadagni, di SOPRAVVIVENZA DI PERSONE in determinati contesti.
Risultato: Pol Pot in Cambogia (2,5 milioni di morti), Holodomor in Ucraina (anche di più) etc.etc di Stalin o Mao in Cina o le Soluzioni Finali - ma che vuoi che sia quel costo in cambio del raggiungimento del Paradiso Equo e Solidale in Terra, garantito.
Chissà perché m'e venuto in mente tutto questo, dopo aver discusso con un paio di adolescenti quarantenni svedesi portatrici sane non asintomatiche di VISION ZERO, cioè assolutamente decise a metter immediata fine alle morti per incidenti stradali: un vero fottutissimo problema articolato e complesso, chi parla ci ha rischiato la pelle più volte. Beh loro sono decisissime, ci lavorano con le Autorità delle loro città, han le SOLUZIONI FINALI costi quel che costi (per capirci, ben oltre i 30kmh: è solo un punto di partenza) e chi dubiti o si sottragga dalla lotta E' PARTE DEL PROBLEMA. Da risolvere, senza se e ma.
Forse li associo perché trovo non ci sia NESSUNA DIFFERENZA tra le mentalità? Non solo io: "Cosa vi inquieta così tanto della purezza, Guglielmo?" La fretta, Adso" (da Il nome della rosa).
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è forse questo il paradiso?
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Non mi ero mai seriamente posta la domanda su quale fosse l'idea di fondo di un romanzo. Per dirla francamente, io pensavo che si raccontasse una storia in cui far confluire tante esperienze ed idee; in parte, resto ancora di quest'opinione. Del resto, leggendo I fratelli Karamazov, si capisce bene che Dostoevskij ha riversato nel romanzo tante idee, al punto da rendere ogni personaggio voce d'un ininterrotto dialogo tra posizioni, tesi, modi d'intendere la vita. Ora, quasi tutti i romanzi che noi percepiamo come "moderni" e maturi vivono di questa pluralità, con la quale siamo ormai abituati ad immaginare - chissà se a ragione - che l'autore volesse dire: non c'è una sola verità, solo punti di vista. Nei casi più fortunati, la polifonia delle voci contribuisce a dare a noi, lettori ed osservatori, una certa quale idea di questa verità, perché, vedendo la vicenda dall'esterno e fuori dal tempo interno del racconto, possiamo ricondurre le informazioni solo parziali in possesso dei personaggi ad un affresco più oggettivo e unitario. Nei casi più pessimisti, la visione della realtà è volutamente frammentaria e l'autore ci impedisce di mettere assieme le tessere del mosaico in una figura distinta. Non so dove Il figlio di Philipp Meyer, che sto leggendo, vada a parare tra questi due (semplificati), possibili esiti del romanzo moderno: se dalla parte, come credo, d'una verità inattingibile, o da quella di un lavoro che l'autore confida il lettore sia pienamente in grado di portare a termine, quello di capire. Anche lì, ci sono molti diversi punti di vista, per ora piuttosto autistici e non dialogici, per cui ogni personaggio è una monade che gli altri non possono, non vogliono, non hanno gli strumenti per capire.
L'idea di fondo, per ora, pare la creazione e la sopravvivenza: un riproporsi della questione dei vinti di verghiana memoria, ovviamente non perché Meyer abbia copiato Verga, che forse nemmeno ha letto, ma perché alla fine mi pare il gran nodo del Novecento - soprattutto post-bellico - e, in generale, il nodo che il socialismo ha portato in luce: quello della sopraffazione. È giusto accettare il modello della natura, dove regna e si riproduce il più forte? La natura, infondo, funziona. Non dovremmo dunque funzionare anche noi seguendo il suo esempio? O vogliamo fare di più che funzionare? Come si fa a funzionare senza agire con violenza? Come purificarsi dal peccato positivista, dall'idea delle magnifiche sorti e progressive in nome delle quali si è versato tanto sangue? Siamo condannati a rimanere inermi pur di non fare il male - visto che, come ebbe a dire Paolo di Tarso, il bene che io voglio quello non faccio; il male che io non voglio, quello faccio - oppure, se agiamo, ad accettare la violenza che la nostra azione inferisce al mondo? Tutti questi interrogativi mi sembrano al cuore di molte opere del Novecento, mentre quelle del Duemila hanno quasi accettato l'assunto che azione è violenza, e violenza è male - sebbene, poi, soffrano morbosamente il fascino di quella violenza che, temendola desiderano.
Ecco, io non vorrei riproporre questo tema, diciamo, dell'innocenza perduta e irrecuperabile; mi pare un po' trito, ormai, e seguirlo non porta più da nessuna parte. Non c'è più altra risposta da dare, alla galleria di tormentose domande sul tema, che un filosofico: grazie al cazzo. Grazie al cazzo, dico, che l'azione è violenza; grazie al cazzo, quindi, che se si vuol far qualcosa del mondo e di sé bisogna agire, e no, non con l'ipocrita scusa dei rivoluzionari, e cioè che questo sarà l'ultimo atto di sangue con il quale si redimerà tutto il male del mondo, per cui la violenza è giustificatissima nell'ottica di un futuro paradiso - sia esso politico, civile o religioso. Se c'è una cosa che ha portato bene all'uomo, mi pare, non è affatto la contrizione, ma il desiderio. Non me ne vogliano i cristiani: la loro religione, del resto, ha due tratti fondamentali, uno molto bello, l'altro fastidiosissimo; questo è la contrizione, spesso di circostanza, quello è l'aspirazione alla vita eterna. Il desiderio di non morire del tutto, la fame che ha l'umanità di andare al di là del tempo, mi pare una cosa così bella, così innocente, così indiscutibile, comune a quasi ogni tempo e cultura, che mi pare proprio l'unica questione su cui vorrei imperniare qualsiasi lavoro letterario, se ne avessi le capacità.
Cose terribili sono state fatte per tramandare il proprio nome e il proprio sangue alle generazioni successive; ma cose bellissime, cose umanissime, cose estremamente giuste sono state fatte proprio con la stessa idea.
Non è l'odio per la vita umana che può salvare l'uomo, la sua letteratura, l'ecumene; io ho questa pretesa che sia il desiderio per cui l'uom s'etterna.
Si fa pur fatica, del resto, per etternarsi, ma non è una fatica imbecille, per amore della fatica di per sé, né una fatica disperata: è fatica di creazione, che si ingegna come si ingegna un astronauta a fare davvero la cosa più intelligente ed utile per sopravvivere all'immensità dello spazio.
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La creazione del cane
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(La scena si apre sul Paradiso Terrestre. Ci sono piante lussureggianti, cascatelle d’acqua, ninfee, leoni, elefanti, caimani e zanzare. Sulla scena, in piedi, vicini l’una all’altro, Eva e Adamo.)
EVA: Adamo, hai portato fuori il cane? ADAMO (la guarda interrogativo): Cane, quale cane? EVA (comincia ad irritarsi): Il nostro cane! ADAMO (didascalico): Ma noi non abbiamo un cane! EVA (irritata): Tutti hanno un cane! ADAMO (come sopra): Ma se qui ci siamo solo tu ed io! EVA (come sopra): Ecco, sempre pronto a contraddirmi. Vuoi che litighiamo di nuovo? ADAMO (conciliante): Ma no, cara, non è per contraddirti, ma qui non c’è nessun cane. EVA (come sopra): Oh, ma va’ al diavolo! SERPENTE (scende serpeggiando giù dall'albero): Mi ha chiamato? EVA: Fila via, tu: entri solo al prossimo atto! SERPENTE: Ah, scusate (serpeggia sull'albero, mogio, mogio) EVA (ad Adamo): Hai visto? Hai messo scompiglio nel Giardino. Quello ha pure fatto l’entrata sbagliata, ora lo senti il Regista! DIO (svegliandosi): Eh? ADAMO: Cosa? EVA: Che dice? DIO: Meditavo e mi è parso di sentire invocare il mio nome ADAMO ed EVA (all’unisono): No, no. Continui pure a meditare. EVA (ad Adamo): Senti… ADAMO: Cosa c’è? EVA: Ma… e il cane? ADAMO: Ancora il cane? Quando ti metti in testa una cosa…. Sei proprio cocciuta: non abbiamo cani qui! EVA: Io lo voglio ADAMO (sconsolato): Già EVA (fa una bizza): Lo voglio, lo voglio, lo voglio! ADAMO (fa spallucce): Non ci posso fare niente, è colpa del Regista. DIO (si sveglia di nuovo): Eh? Che c’è? Mi si nomina ancora invano laggiù? EVA (sommessamente): No, è per il cane… DIO (che sa tutto): Quale cane? Non ci sono cani costì. ADAMO (gongolando, rivolto a Eva): Ecco, vedi, che ti dicevo! EVA (a bassa voce, rivolta ad Adamo): Sta invecchiando, allora: si è dimenticato di crearlo… DIO (che sente tutto): Mi sono dimenticato? EVA (umile): Ehm … sembrerebbe… DIO: Mah, ho perso la lista delle cose da fare, può darsi…. Non sono più attento come un tempo. (Rivolto a se stesso) Forse ho fatto male a crearlo, il Tempo, ma qui devo fare sempre tutto da solo, e qualche volta… ADAMO ed EVA (si guardano, scuotendo la testa, senza parlare) DIO (tuonando): Eccovi il cane! CANE (compare tra Adamo ed Eva, fa qualche passo, si avvicina all’Albero del Bene e del Male e fa pipì) SERPENTE: Attento, mi hai schizzato tutto! CANE: (sorride, compiaciuto)*. EVA: Adamo, questo cane non mi piace. ADAMO (rivolgendo lo sguardo in alto): Oh Santo Cielo! DIO, SERAFINI, CHERUBINI, TRONI, DOMINAZIONI, VIRTÙ, POTENZE, PRINCIPATI, ARCANGELI e ANGELI (in coro): Eh? Che c’è? ADAMO (fa un passo avanti sul proscenio): Qui non ne usciamo più. Vogliamo chiudere il sipario e passare al secondo atto?
(Cala il sipario)
[*] I cani sorridevano, nel Paradiso Terrestre. È da quando ne sono usciti che hanno smesso.
Ispirato ad Achille Campanile.
Immagine: Luca Cranach, particolare da: Paradiso Terrestre (1530)
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L'amore di Violet Evergarden
l'amore non può essere inteso sulla terra, sulla terra c'è sempre un senso duale che divide la percezione di tutto ,
sulla terra non viene bene assimiliato il senso dell'amore , per questo il finale di Violet Evergaden è a libera interpretazione , Una libera interpretazione che però fa assaggiare cosa potrebbe essere l'amore , in questo modo si lascia spazio al pensiero platonico e dantesco dell'amore che poi si ritorva in paradiso: Per me il finale di Violet evergarden è un nesso di tutto ciò ,si ...Violet vede di nuovo la persona davanti a se che ama , ma non c'è certezza e questo vuole dire di vedere oltre l'amore che è il terreno . E un amore superiore sicruamnte come quello che di notte sentiamo nei sogni o nei nostri pensieri più profodni , Forse vuole anche dire che non possiamo sentire nella vita l'amore con la persona che davvero amiamo perchè vederlo con la mente e come siamo abituati a vederlo non è amore , solo l'immaginazione può fare tutto.
Ed è questo il modo in cui finisce Violet.
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alcune frasi asperse da contesto da Fantasmi, di Cerami: «basta scoprire la tranquillità una volta ed è finita. è la doccia che uccide l'allegria, sono il dentifricio alla menta, la penombra delle imposte mezze chiuse, dell'abat-jour posata sul pavimento» / «il povero è uno straniero in casa propria» / «un vago odore di sessantotto stagnava nell'aria» / «un'intensa fanciulla che corre scapigliata nel silenzio» / «ritornava profumata d'orto» / «il bacio fu così lungo che si addormentarono labbra contro labbra» / «con raffinatissima, bizantina intelligenza» / «l'aria era fresca, saporita di gerani» / «ma lei non deve pensare alla potenza dei regnanti o dei magnati, dei maghi o chissà chi. deve pensare alla potenza di un albero, ecco, alla potenza di un albero» / «penso che sia un errore rincorrere, migliorare gli altri. chi ce lo dà questo diritto? e perché mai dovrebbe essere un dovere, chi ce lo ha imposto?»
alcune altre frasi asperse da contesto da Fantasmi, di Cerami, pt II: «era confinato dietro una linea invisibile che raccoglieva cittadini a cui nulla poteva mai capitare tranne le sciagure» / «si incistava, metteva radici» / «si chiese se la gioia per un pericolo scampato non spinga le anime innocenti a caccia di rischi» / «aveva un sorriso onesto e profumava di funerale» / «tutti e tre finirono nei versi dell'ecclesiaste dove si dice che i vivi sanno almeno che moriranno mentre i morti non sanno proprio niente» / «la casa era pulita pulita, ordinata e senza soprammobili, profumata di caldo» / «aprii con il cuore in bocca» / «di conseguenza lasciava che mi muovessi da solo, salvo farsi trovare sempre a braccia aperte sotto il burrone»
alcune altre frasi ancora asperse da contesto da Fantasmi, di Cerami, pt III: «perché la difformità fa tanto paura agli uomini, perché è tanto insopportabile? forse perché coincide con la deformità» / «perché i ragionamenti, si sa, scavano dove è inutile scavare e dimostrano tutto e il contrario di tutto» / «altro pensiero: basta volerlo e si esiste anche da soli» / «la realtà non sarà mai come la vogliono le parole» / «accorata fin quasi alla smanceria» / «insieme rubavano paradiso anche ai minuti» / «ho paura di non essere più capace di soffrire. ogni tanto ci penso e mi allarmo» / «aveva sognato le montagne che respirano»
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