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Sotto il cappuccio nero
di Luca Bufarini (foto dell’autore e di Alberto Marchegiani)
La via è silenziosa. L’illuminazione elettrica è assente. Tra due file di fedeli, oscure figure incappucciate avanzano, illuminate solo dalle lanterne agganciate a lunghi bastoni. Un coro intona una nenia:
“Deh! Voi sentite/Sassi pungenti/ I miei lamenti: Pietà! Pietà!”.
Un rumore metallico, di ferro che sbatte sul legno. Ritmicamente.
La passione e la morte di Cristo sono il punto di svolta dell’anno liturgico cattolico. Cristo muore sulla croce perché sia compiuta la volontà di Dio, il padre, che lo ha fatto nascere allo scopo di resuscitare dai morti. Se il vangelo (o meglio i vangeli) fossero un film, la passione e la morte di Cristo sarebbero il climax prima del finale distensivo, nella gloria eterna, con la resurrezione, l’ascensione al cielo con le trombe angeliche e la luce divina che promana dalla volta celeste.
A Osimo esiste una confraternita che si occupa, dal 1837, anno della sua fondazione, di tenere in vita lo svolgimento degli ancora più antichi riti (probabilmente risalenti al tardo medioevo) del Venerdì santo, giorno appunto in cui si celebra la passione e la morte di Gesù. Si tratta della “Confraternita della pia unione del Cristo morto” (d’ora in poi, solo “la Confraternita”).
Come sappiamo, se c’è una cosa che la Chiesa cattolica è in grado di fare molto bene, è organizzare riti suggestivi, intrisi di simboli, misterici in certe loro fasi, in grado di scatenare nel fedele un sentimento capace di far sentire più vicini a Dio, quasi di fargli percepire la sua voce, bisbigliante, lungo la schiena. La teatralità e la ritualità, d’altronde, sono sempre state legate sin dai tempi antichi, e nel rito che stiamo per andare a vedere c’è, anche solo storicamente, una forte componente teatrale: di fatto, la stessa nascita della rappresentazione della passione di Gesù Cristo, la via crucis, e le 14 stazioni, si può inquadrare nel teatro; un teatro medievale, certo, per un popolo analfabeta che doveva essere istruito alla conoscenza delle sacre scritture. Ancora oggi, la processione del Venerdì santo di Osimo non ha perso la sua componente teatrale, e si svolge nello stesso modo ogni anno grazie all’operato della Confraternita, fondata appunto per preservarne la tradizione, e si può ben affermare che rientra a pieno titolo nel novero dei riti più suggestivi del cattolicesimo in tutto il centro-nord Italia.
Ma andiamo con ordine: il martedì della settimana santa conosciamo, all’interno della cattedrale di Osimo, il Priore della confraternita, il professor Raimondo Lombardi, 83enne, che ricopre tale carica dal 1978. Il “prof.” come lo chiamano gli altri confratelli, mentre sono in corso le operazioni di montaggio del cataletto dove verrà deposto il Cristo morto, si rivela un tipo molto disponibile e alla mano. Ci illustra l’imponente carro funebre su cui Gesù compirà il suo viaggio verso il simbolico sepolcro. Il cataletto prende man mano corpo, mentre alcuni membri della confraternita ne compiono il montaggio. Alto da terra circa tre metri, sarà ornato di tutta una serie di paramenti (risalenti al XVIII secolo) che recano i simboli della passione e le frasi pronunciate da Cristo prima di spirare. Non è proprio come montare una scaffalatura dell’IKEA: il modo in cui vengono assemblate le parti in legno e le decorazioni è un’operazione che si tramanda fin dall’inizio del suo utilizzo, cioè quasi 150 anni fa; lo stesso Priore ci mostra un foglietto scritto di sua mano, con su indicati i lati specifici per la collocazione dei paramenti.
Sorgono alcune difficoltà dovute all’età: l’incastro di una colonna di legno del baldacchino si è gonfiato e non aderisce bene con la base; è necessario limarla. Prima che faccia buio, comunque, il cataletto sarà pronto; adornato con le stoffe settecentesche, il letto funebre e i quattro angeli di cartapesta (anch’essi settecenteschi) agli angoli. La confraternita va veramente fiera di questo imponente oggetto che un tempo veniva trasportato, per le due ore della processione, in spalla, tramite la forza di otto uomini, richiedenti, a quanto ci dicono, un’ausiliaria propulsione “a fiasco de vì” nei momenti di pausa. Oggi invece, la stoffa nera nasconde il telaio e la meccanica di una fiat 1500 a cui, dopo una breve esperienza con motorizzazione a scoppio negli anni ‘60, è stato innestato un motore elettrico, alimentato da tre batterie. E manovrata da un omino nascosto lì sotto.
Il giorno seguente si svolge, sempre nella Cattedrale, una messa solenne in onore dei defunti della Confraternita, ed abbiamo la prima occasione di assistere alla vestizione dei confratelli nell’adiacente battistero. I membri della Confraternita, durante le celebrazioni, vestono il “sacco”, una tunica completamente nera, con cappuccio a punta, cui sono applicati due fori per gli occhi. Una corda bianca stringe il bacino, e ad essa è intrecciato un rosario. Il cappuccio tuttavia verrà calato solamente il Venerdì, dopo la morte di Cristo sulla croce. Non sono in molti a partecipare a questa messa. Circa una trentina su 282 membri. Il grosso parteciperà più che altro alla processione del venerdì. Al termine della messa, la confraternita procede in processione verso la cappella del crocifisso sulle note del Vexilla Regis, cantata dal coro della Confraternita.
Alcuni confratelli assistono alla messa del mercoledì santo per i defunti della confraternita
Infine, arriva il centrale momento del Venerdì santo, il motivo stesso dell’esistenza della Confraternita della Pia unione del Cristo morto. Quando arriviamo in Cattedrale è già in corso, nel primo pomeriggio, la “messa delle tre ore di agonia”, nella quale viene rivissuta la passione di Cristo sulla croce. La chiesa è gremita di fedeli. Sull’altare, sono disposte sette alte candele allineate, che corrispondono alle sette frasi pronunciate da Gesù durante la crocifissione e la successiva agonia. Sotto il crocifisso sono state trasportate le statue settecentesche di cartapesta della Madonna, di Maria Maddalena e di San Giovanni apostolo. Il momento è solenne: il coro, a cui si aggiungono alcuni elementi della prestigiosa accademia lirica di Osimo, esegue i canti scritti appositamente dal compositore osimano Domenico Quercetti (1845-1928). Ogni candela viene spenta da un membro della Confraternita al termine dell’omelia relativa alla parola del Signore. Poi, terminata l’ultima omelia, sulle parole “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito”, l’ultima candela viene spenta, e con essa si spengono tutte le luci all’interno della cattedrale. Sembra davvero che si sia fatto buio su tutta la terra. Cala un grave silenzio, Cristo è spirato. Le campane suonano a morto lenti rintocchi. Il tempo pare essersi fermato. Il solo rumore, oltre alle campane, è quello delle timide macchine fotografiche che scattano fotografie indiscrete.
Il momento in cui Cristo muore: le luci all’interno della cattedrale vengono spente e cala il silenzio, mentre le campane suonano a morto.
La messa termina, ma non il rito. La Madonna e le altre statue vengono portate nella navata laterale: saranno più tardi portate in processione.
Tre confratelli pongono la croce tra le mani della Maddalena
È il momento in cui la Confraternita diventa realmente protagonista: Cristo viene deposto dalla croce e avvolto nel sudario, mentre il cataletto è trasferito dalla navata laterale a quella centrale. L’organo suona. I neri incappucciati discendono le scale dell’altare col Cristo morto tra le braccia, così che i fedeli, già in fila, possano baciarne i piedi.
Terminata l’adorazione dei fedeli nel sudario, il crocifisso deposto viene infine trasportato all’interno del cataletto e coperto da un velo bianco traforato. I credenti escono finalmente dalla cattedrale illuminata da fioche luci. Nel frattempo la Confraternita compie gli ultimi preparativi per la processione.
Sono le 18 e 30 quando ci si sposta nella chiesa sconsacrata di San Filippo, di fronte ai giardini. Un edificio a pianta quadrata, in stile barocco con un tocco decadente. È qui che infine i confratelli si raduneranno tutti per raccogliere le offerte interne, per vestirsi, e per ricevere gli oggetti da portare in processione. Piano piano, col passare dei minuti, sempre più persone arrivano, e l’ambiente si riempie. Una macchia nera si allarga all’interno dell’ormai non più sacro edificio.
Ci si arrovella su chi c’è e chi manca, perché a ciascuno viene assegnato un oggetto. Tramite un microfono si chiede se c’è il tale confratello. La caciara comincia ad essere impressionante: da un lato il coro prova parti delle Orme sanguigne; da ogni parte si chiacchiera, ci si rivede spesso dopo un anno. I più anziani stanno seduti, in attesa. Seduti verso una parete, sono radunati i bambini, consegnati ad alcuni membri più adulti che li guideranno durante la processione. Poi vengono assegnati gli oggetti. Prima il bastone della Confraternita, poi i lampioni e le battistangole. Queste ultime sono uno strumento pressoché sconosciuto ai nostri giorni; eppure un tempo, prima che si diffondessero le campane (VIII-IX secolo), si faceva uso di strumenti come questi per richiamare i fedeli alla celebrazione religiosa. E fino all’altro ieri venivano usate ancora durante la settimana santa, perché, da tradizione, le campane non dovrebbero suonare fino a Pasqua. Il loro suono costituisce una delle peculiarità della processione di Osimo.
I lampioni adagiati sull’altare della chiesa di S. Filippo. Verranno poi consegnati ai confratelli, a seconda del ruolo che essi svolgono in processione
Due tipi di battistangole
Fin qui abbiamo dato rilevanza ai riti, agli abiti, alle tradizioni. Ma si rischia così forse di dimenticare che sotto il cappuccio nero vi sono donne e uomini. Ma non solo: anche molti bambini e adolescenti hanno deciso di far parte di questa associazione religiosa. Si è già accennato anche al ragguardevole numero delle persone che vi aderiscono: ben 282. Ciò potrebbe far pensare che anche se gli iscritti sono tanti, non è detto poi che tutti partecipino alla processione del Venerdì santo; eppure ci dicono da più parti che c’è gente, originaria di Osimo ma trasferita da un pezzo, che ritorna da fuori regione per prendere parte a questo antico rito.
Il Priore della Confraternita, il prof. Lombardi ci spiega che nel 1978 quando ottenne la carica si contavano 65 di confratelli. Come è stato possibile questo exploit? E soprattutto come si spiega un attaccamento simile ad una associazione religiosa, quando la tendenza in tutto l’occidente è la fuga (o, per essere meno cattivi, la disattenzione) per il rito ecclesiastico?
Chiediamo dunque al prof. Lombardi come si entra a far parte della confraternita, e se vi si entra più che altro per una questione di tradizione familiare, dato che è una cosa che storicamente viene tramandata da genitore a figlio, oppure se vi siano, e in che proporzione vi sono, gli ingressi spontanei.
“Una parte è la famiglia, ma è circa il 35%. Molto spesso vi si entra spontaneamente, oppure tramite amicizia con qualcuno che già ne fa parte, tramite invito con lettera, ecc. Poi ci sono i bambini soprattutto che sono attratti.” Allora chiediamo al professore se vi sia anche un fattore meramente estetico che porti uno a unirsi alla Confraternita: “Più che altro, direi che è per la tradizione. Credo che non ci sia osimano che non abbia pensato almeno una volta nella vita di vestirsi da saccone. È una cosa molto sentita in città, ed è visto come lo svolgimento di un servizio importante.”. Per quanto riguarda il lato tecnico, chiunque può far parte della Confraternita: basta compilare un modulo.
Ciò che più ci interessa sapere però è il lato umano; i motivi per cui si entra a far parte di questa associazione. Ancora Lombardi: “è una componente di fede, storia e tradizione; la fede viene prima, perché se manca quella… e poi ci sono storia e tradizione: c’è l’attaccamento della popolazione a questa processione. Anche quando piove, si esce lo stesso e si fa un percorso più breve: i più scaramantici dicono che se non esce la processione l’annata andrà male. E difatti, solamente due volte, da che vi è memoria, la processione non si è svolta: nel 1934, quando vi fu un acquazzone impressionante, e nel 1944, e io me lo ricordo, quando i tedeschi non la consentirono”.
Sempre a proposito dei motivi ispiratori alla partecipazione, un altro confratello più giovane del Priore, ci dice che l’adesione alla Confraternita è una cosa che una volta che inizi a fare non la lasci mai: “io ne faccio parte da quando avevo cinque anni, e ne sono passati più di trenta. L’ho fatto coi legamenti strappati o mezzo zoppo, ma cerco di non mancare mai”.
Questa risposta in particolare colpisce, perché, se la si guarda bene, non dà una vera motivazione per cui si fa parte della Confraternita. Dice solo che una volta che si decide di farlo, lo si fa e basta. Credo che seppure semplice, una affermazione simile nasconda la consapevolezza che risiede in ciascuno dei membri della Confraternita della Pia unione del Cristo morto: la consapevolezza di svolgere un servizio fondamentale per la comunità che solo loro possono svolgere. Una consapevolezza riassumibile con “se non noi, chi?”.
Il fatto di svolgere tale servizio non trova le proprie ragioni soltanto nella fede, seppure sicuramente vi si trovino le radici più profonde; trova quelle ragioni anche (e, forse, soprattutto) nella tradizione, nell’affezione reciproca che c’è tra la cittadinanza, che vuole la sua affascinante processione plurisecolare, e la Confraternita, che vuole che la cittadinanza partecipi. Ritorniamo al già citato dualismo ritualità/teatralità: il pubblico vuole il suo spettacolo; chi fa lo spettacolo vuole che ci sia il suo pubblico.
Chiediamo al prof. Lombardi come vede la Confraternita tra 50 anni. Un po’ pensieroso risponde: “Questo è un bel problema. La Confraternita negli ultimi 40 anni si è molto ingrandita. Se negli anni ‘50 e ‘60 la quasi totalità dei confratelli era composta da uomini, molti provenienti dalla campagna e inviata dai proprietari terrieri, noi abbiamo fatto due cose fondamentali: riaperto alle donne negli anni ’80, quasi completamente scomparse nel dopoguerra, ma per le quali era previsto che potessero partecipare fin dal primo statuto del 1837 (oggi le donne sono quasi il 40% dei membri della Confraternita), e abbiamo compiuto un’operazione capillare nelle scuole. E oggi abbiamo dal ragazzino della scuola elementare e media, fino a quello delle superiori.”
Allora domandiamo direttamente al Priore se ci sarà ancora la Confraternita tra 50 anni: “Sì! Io credo di sì. Spero e mi auguro di sì. I ragazzetti ci sono, quindi…” Un altro lì vicino aggiunge: “Sì! E ci sarà ancora il professor Lombardi tra 50 anni”.
È ormai l’ora. Il sole sta tramontando e i confratelli si spostano in massa dalla chiesa di San Filippo alla vicina cattedrale, portando già in mano i lampioni ancora spenti, i bastoni, le battistangole. La gente è già schierata su due file ai lati della via, altri attendono dove capita, molti con le piccole candele ornate con un paralume colorato. Nel sagrato, mentre vengono accese le candele dei neri lampioni ottocenteschi, l’illuminazione elettrica si spegne, e così avviene in tutto il centro storico, ora illuminato solo da flebili fiammelle disposte lungo i muri degli edifici, e dalle candele in mano ai fedeli. Tutto è pronto: il cataletto, le statue di cartapesta, ben tre croci diverse vengono portate, come tradizione vuole, sempre dai membri di una stessa famiglia.
Finalmente la processione del Cristo morto parte. Uomin, donne e bambini incappucciati discendono verso la piazza al rumore delle battistangole. Più sotto la banda attende di unirsi alla processione, accompagnata da alcuni confratelli che illumineranno i loro spartiti con le lanterne. Passano i lampioni neri. Poi la grossa croce con la scritta “O crux Ave spes unica”; poi il coro, che canterà le Orme sanguigne. L’altra croce con la scritta “In hoc signo vinces”. La statua della Maddalena, i misteri della passione portati dai chierichetti su piatti bianchi. Sfila il clero, seguito dalla Reliquia della Sacra spina. Quasi alla fine, ecco il Cristo morto nello straordinario cataletto illuminato da due file di lampade, seguito dalle autorità civili e militari, e, ovviamente, dalla statua della Madonna addolorata e da quella di San Giovanni. Alla fine il popolo dei fedeli.
È un treno lunghissimo di persone, statue, luci e oggetti sacri. Quando il capo della processione arriva nella piazza del Comune, la coda deve ancora uscire dalla cattedrale.
La prima parte della processione si caratterizza per essere, per così dire, musicata: si alternano le battistangole col coro che canta i lamenti della via crucis. Poco più indietro la banda suona due marce funebri diverse: quella di Chopin e l’altra di Quercetti. Dopodiché tutto tace e si sfila in silenzio e nella semioscurità. Quando passano gli oggetti sacri si propaga come una ola di segni della croce tra i fedeli astanti.
Questo silenzio assume tratti quasi inquietanti nelle vie più strette del percorso, dove gli unici fedeli sono quelli affacciati alle finestre degli alti palazzi. Ha del sublime l’immagine di queste figure completamente nere, spiriti oscuri che reggono lanterne, anch’esse nere, le quali creano giochi di ombre totalmente instabili.
Il giro dura quasi due ore. Poi moltissimi si riversano nella cattedrale, per ascoltare l’omelia del cardinale. I lampioni della Confraternita svettano nel corridoio centrale tra le due panche. Il cataletto ha condotto Cristo nel suo immaginario sepolcro.
Il cataletto, si accinge a fare il suo rientro nella cattedrale
Il rito è completo, ci si avvia verso casa. Chi a piedi, chi in auto. Le vie si svuotano mentre ci si fa gli auguri di Buona Pasqua.
Anche quest’anno, così come è stato per quasi due secoli, la Confraternita della Pia unione del Cristo morto ha svolto il suo ruolo nella celebrazione del Venerdì santo. “Tutto è compiuto”. Almeno fino al prossimo anno.
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Prossimamente il terzo numero di Pènk Magazine. Vi porteremo nell’oscuro e intrigante mondo di una delle confraternite religiose più affascinanti del centro Italia, che porta avanti una tradizione antichissima.
Restate connessi -----> https://penkmagazine.tumblr.com/
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Come e perché gli italiani (e non solo) si sono innamorati di Vladimir Putin
di Luca Bufarini
Nelle ultime due settimane sui social si sono scatenate le più varie reazioni nei confronti dello Stato Islamico (che adesso va di moda chiamare Daesh, anche se sembra un detersivo), a seguito degli ignobili attacchi di Parigi. Tra i link e le notizie condivise, una in particolare ha attirato la mia attenzione:
Dato che mi sembrava una cazzata, ho fatto una breve ricerca, scoprendo che in effetti era una cazzata.
Scavando un po’ più a fondo nel webbe, ho trovato che la frase “Perdonare i terroristi spetta a dio, portarli a lui spetta a me”, viene detta in maniera simile, in un film del 2004 con Denzel Washington, e, ancora più indietro, è stata attribuita nel 2002, dopo l’11 settembre, a Norman Schwarzkopf, ex generale (ormai deceduto) dell’esercito americano, già stratega della prima guerra del Golfo. Anche in quel caso tuttavia, la frase non era in effetti stata detta in prima persona da colui al quale era stata attribuita. In realtà, a quanto pare, tutto sembra originarsi da una frase che girava nei campi di addestramento degli ufficiali americani dell’esercito negli anni ’80; o, più semplicemente, in qualche film d’azione scrauso.
In ogni caso, il fatto che girino notizie di questo tipo su Putin è il sintomo di una tendenza sempre più forte nell’ultimo periodo: l’ascesa del presidente russo nel cuore degli italiani, quale unico leader mondiale che dimostri di avere le palle. È persino nato un fan club su facebook che presenta contenuti molto interessanti.
Credo che difficilmente non abbiate notato questa tendenza, dato che le bacheche di facebook sono intasate da post con Putin che fa cose da cazzone. Alcuni giorni fa, per esempio, mi è apparso in bacheca questo video illuminante.
youtube
A parte il montaggio divertente e la canzone trascinante, ho iniziato a domandarmi se sia cambiato qualcosa nel modo in cui l’opinione pubblica italiana vede Vladimir Vladimirovic Putin, e, dando per scontato che la risposta sia sì, mi sono chiesto soprattutto perché questo sia avvenuto.
Di certo, gli attentati di Parigi ci hanno sconvolto tutti nel profondo, e a fronte di un simile attacco nel cuore dell’Europa, l’opinione pubblica (o comunque una sua parte) si aspettava una reazione forte e decisa dai propri leader. Cosa che, invece, non è avvenuta. Nel caos di opinioni e di frasi di circostanza dei politici, la gente ha visto un solo uomo ergersi a baluardo del mondo “civilizzato” contro il terrorismo islamico: quest’uomo.
La nuova definizione di “uomo”. Foto via linkiesta
Questa ascesa formidabile si può forse spiegare se la si confronta con la corrispondente discesa nel baratro della considerazione della gente nei confronti degli Stati Uniti (e della NATO) a seguito di tutta una serie di insuccessi clamorosi in politica estera: Iraq, Afghanistan, Libia, Siria. Per un motivo o per un altro, l’opinione pubblica ha avvertito che la politica americana ha portato il caos in questi paesi e, cosa ancora più pesante, che tutti questi insuccessi hanno favorito il sorgere del fondamentalismo islamico, il quale, come ciliegina sulla torta, ha portato la guerra nel cuore dell’Europa.
Totale sfiducia nei confronti di Obama. Totale sfiducia nei leader europei, alleati numero uno degli Stati Uniti. Incapacità assoluta nel gestire le crisi nel medio oriente e nei paesi della Primavera araba.
Mettiamoci pure il fatto che Putin fosse contrario alla cacciata di Gheddafi, mettiamoci pure la guerra Ucraina, il referendum in Crimea e le sanzioni economiche contro Mosca, dimostratesi controproducenti per la stessa economia europea.
Il successo di Putin presso una grande parte della popolazione si spiega così praticamente da solo.
L’insicurezza e l’incapacità, anche solo avvertita, dall’opinione pubblica nei confronti dei leader occidentali, ha prodotto il totale affidamento a Putin per quanto riguarda la difesa dal terrorismo fondamentalista.
E se non bastasse tutto questo, siamo sinceri, Putin è un gran figo. Fa il bagno coi delfini, è campione di Judo, è un uomo d’azione, ex KGB, fa uso di armi da fuoco, ed è un duro. È innegabile che agli italiani in generale piacciono questo tipo di uomini forti, sicuri, sfrontati (Mussolini, Berlusconi). E vaffanculo se facciamo discorsi astratti, tanto lo sapete che è vero.
No... Non c’è proprio confronto con gli altri leader che dovrebbero rappresentarci.
Vi metto un’altra foto esemplificativa:
Proprio l’unione tra il personaggio d’azione e il personaggio politico che ha condotto il primo intervento militare contro l’IS hanno portato, probabilmente, al dilagare di bufale e contenuti inventati che girano nel web, e che vengono condivisi da persone che credono siano veri, tipo questa foto qui sotto (sic…).
La cosa sconfortante di tutto questo è che, a quanto pare, a nessuno frega un cazzo di cosa sia successo in Russia a livello di diritti civili e democrazia, in questi 15 anni di governo di Putin.
E anche se lo sapete già, o non vi frega, appunto perché Putin vi salverà dai terroristi, ve lo dico lo stesso.
Putin ha fatto cambiare la costituzione in modo da poter tornare ad essere presidente dopo due mandati; alla scadenza di questi, egli fu eletto capo del governo, in quanto non poteva essere rieletto presidente; oggi riveste di nuovo la carica presidenziale grazie alla modifica costituzionale apportata durante la presidenza di Medvedev (uomo di sua fiducia);
Fare il giornalista in Russia è più mortale dell’attacco di un orso bruno della Siberia: 122 giornalisti sono morti in Russia dal 2000 ad oggi; la Russia è al 152esimo posto su 180, per libertà di stampa, secondo Reporters Without Borders;
Tre delle Pussy Riot sono state condannate nel 2012 a due anni di carcere per aver girato un video di loro che cantano, dentro una chiesa, una canzone in cui chiedono alla madonna di liberare la Russia da Putin; sono poi state liberate nel 2013, assieme ad altri dissidenti, alcuni mesi prima delle olimpiadi di Sochi;
Per quanto riguarda i diritti LGBT, nel 2013, è stata promulgata una legge secondo cui è un atto criminale tenere un gay pride, parlare in difesa dei diritti degli omosessuali, o distribuire materiale che promuova le richieste dei gay o propagandare l'idea che le relazioni gay sono uguali a quelle etero. È stata anche vietata la produzione di materiale che in qualunque modo propaganda ai minori rapporti sessuali non convenzionali. Molti gay sono stati arrestati a seguito di questa legge. (Eppure conosco gente in Italia a cui non dispiacerebbe avere anche qui una legge del genere)
Ma forse tutto questo importa poco per chi non è direttamente coinvolto o interessato a questioni interne alla Russia. La figura che emerge dalla confusione di tv, giornali e internet, è quella di un Putin cazzone, un figo, uno con due palle così. Sembra che Vladimir abbia ormai preso il posto che nell’immaginario collettivo aveva Chuck Norris, quale entità invincibile, capace di ogni cosa ed infallibile. Putin ha conquistato il cuore anche di molti americani, giocando, paradossalmente, proprio sulla figura del macho da film di azione americano. Solo che Putin non è il protagonista di un film d’azione; è il presidente della Russia, e l’uomo più potente del mondo (secondo Forbes, per il terzo anno di fila).
Alla luce di quanto sta avvenendo non mi sorprenderebbe se la popolarità di quest’uomo salisse ancora. Aspetto con ansia anche le barzellette riciclate: laddove prima c’era Chuck Norris, adesso basta inserire Vladimir Putin.
Vladimir Putin è dietro di te mentre leggi quest’articolo.
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Al porto di Ancona vendono pesce e regalano vaffanculo
di Luca Bufarini (foto dell’autore e di Alberto Marchegiani)
Di notte, si sa, escono allo scoperto alcune delle creature più strane che fanno parte di quella fetta di esseri viventi chiamata umanità. Punkabbestia, drogati, vagabondi, alternativi, spacciatori, clubber, metallari, e chi più ne ha più ne metta. Ma visto che noi non abbiamo interesse a raccontarvi storie che ruotano intorno a soggetti di questo tipo (sarebbe troppo banale per una rivista con una vocazione underground come la nostra) ci è venuta la brillante idea di andare a vedere che succede nel cuore della notte in quel del porto di Ancona, al molo sud, dove i pescherecci tornano dal mare con il loro viscido e bagnato carico, che viene subito portato al mercato (davanti al molo) e messo all’asta.
Quando il mio socio mi ha proposto di andare a fare delle foto al mercato del pesce alle 3 della mattina devo ammettere che ho ostentato un certo scetticismo. In effetti temevo che nessuno ci avrebbe cagato; o comunque che saremmo stati di impiccio alla gente che svolgeva il proprio lavoro. Tuttavia, in mancanza di opportunità migliori, e vista la paraculaggine che deve comunque distinguerti se vuoi scrivere un articolo e fare delle foto a sconosciuti, ho accettato di buon grado.
Per cui alle 3 spaccate eravamo al molo sud. C’era già un gran fermento: i pescherecci erano rientrati e il pesce era stato portato dentro lo stabile del mercato. Parcheggiamo le macchine e avverto il mio socio che fumerò una sigaretta; poi andremo. Lui naturalmente non mi aspetta e, attaccato dal morbo della fotografia d’assalto, inizia a scattare verso le persone che stanno facendo cose marinaresche o pulendo i pescherecci.
Esempi di cose marinaresche
Il tempo di fare due foto e un vecchio coi baffi e la cuffia che stava tirando una cima, lo manda subito affanculo. Per la precisione gli dice “Mametevaiaffanculo co sta machinetta?”. In quel momento capisco che è valsa la pena di alzarsi alle 2 e mezza del mattino. Poi prendo anche io la macchina fotografica.
“Mametevaiaffanculo co sta machinetta?”
Fuori dal mercato incontriamo due signori anziani, che scopriamo essere un pescatore old-school e un armatore. Entrambi tranquilli e simpatici. Dopo la precedente esperienza col vecchio sulla banchina, considero già una vittoria che non ci mandino a cagare a questo punto.
Gli facciamo alcune domande sulla pesca in generale e otteniamo delle risposte altrettanto generali. Chiediamo poi se sarebbe possibile imbarcarci su un peschereccio per fare delle foto ma ci rivelano che, oggigiorno, ci sono regole strettissime e multe salatissime di 4000 euro se beccano un’imbarcazione con sopra qualcuno che non ha un regolare contratto di lavoro. “Non è più come prima”. Peccato.
Finalmente entriamo dentro il mercato vero e proprio. Un posto decisamente affollato; un pavimento bagnato, e pieno di bancali con sopra pile e pile di cassette di pesci e molluschi delle più varie specie. Per la prima volta in vita mia vedo le famigerate pannocchie fresche che si muovono e si dimenano nelle cassette. Ogni volta che qualcuno le compra fresche fa il figo: “Ho fatto le pannocchie, erano buonissime e freschissime. Quando le ho prese si muovevano ancora, pensa te!”. Mai che ti invitino a mangiarle.
Squilla mantis, comunemente detta pannocchia (o panocchia, o cannocchia, o canocchia, o come cazzo la chiamate voi)
Mentre rimango affascinato da questo grande obitorio di pesci e molluschi, scorgo il mio socio parlare con un uomo e una donna. Mi avvicino e lo sento dire “Guardi, se è un problema cancello la foto”, e l’uomo con cui parlava “No, no, non fa niente se è per un articolo. Basta che non siete sbirri”. Ancora, si avverte un clima di tensione. Tutti sembrano agitati e non capisco il perché. Poi però parliamo.
Aver attaccato bottone con questi due è stata una buona idea. Ci dicono che sono moglie e marito, e che quest’ultimo sta lì per vendere. Mentre lui si dilegua, ci fermiamo a parlare con la signora, che ci racconta un po’ di cose sul mercato. Anche qui, scopriamo una certa insofferenza per tutta una serie di regole introdotte dall’UE, regole che sembrerebbero essere irragionevoli e insensate “Se vendi un pesce lungo un centimetro in più di quanto è previsto ti fanno la multa”. Inoltre tutto il pesce pescato deve finire all’asta, perché va fatturato; quindi, anche se avanzassero alcune cassette toccherebbe venderlo a prezzi stracciati ai commercianti, mentre sarebbe impossibile venderne ai privati.
Per cui con grande delusione scopro che non posso comprare il chilo di pannocchie che avevo promesso a mia madre.
Per finire, la violazione di tali regole comporta l’obbligo di pagare una multa di 4000 euro.
A questo punto ci chiediamo se 4000 euro si debba pagare per qualsiasi violazione nel mondo della pesca, o costituisca uno standard universale della sanzione peschereccia. E ci chiediamo pure se il motivo per il quale tutti sono così incazzati e diffidenti nei nostri confronti sia un generale malessere nei confronti delle regole imposte dall’Unione Europea e dai (a quanto ci dicono) numerosi controlli. In generale, sembra si rimpiangano i bei vecchi tempi andati.
Passiamo all’asta.
Entriamo dunque nell’altra sala, dove arrivano i bancali con le pile di cassette, le quali, una ad una, vengono poste su dei rulli, visibili da tutta una serie di persone sedute nelle gradinate tutto intorno. In alto, tre tabelloni, con i prezzi che scorrono, e le offerte. Sembra Wall Street, ma con il pesce in mezzo.
A differenza di quanto uno potrebbe pensare, l’asta non si svolge secondo le modalità tipiche. Infatti si tratta di una cosiddetta asta al ribasso, cioè si parte da un prezzo alto, e via via si scende finché qualcuno sulle gradinate non fa un offerta. Anche l’offerta, non si fa alzando la mano o gridando quanto si offre. Si ha un semplice telecomando (tipo quello di un cancello automatico) e si preme. Devo dire che è abbastanza penoso a livello di atmosfera. Sentire strilli e urla per fare offerte avrebbe sicuramente reso più infernale il clima, e quindi più affascinante.
Una volta vendute, le cassette passano, sui rulli, nell’ultima sala, dove vengono smistate e poi caricate nei furgoni
Proprio quando iniziavamo a credere di poter trovare delle persone non del tutto ostili, ecco il ritorno alla realtà: ci avvicina il direttore, che con la scusa stronza che non indossavamo gli scarponi obbligatori, ci fa sloggiare. Ogni resistenza è inutile.
Alle 3.45 la nostra avventura poteva ritenersi già conclusa.
Tornando a casa in auto, le vie erano ancora deserte. Mi rendo conto allora che mentre la città dorme, prima che le strade si intasino di autobus e macchine, prima che le persone vadano negli uffici, all’università, o nei bar del corso, un’altra città nella città vive, mettendo in azione un circolo che parte dal mare e finisce nel tuo piatto quando pranzi o ceni. Centinaia di persone che vivono nella notte, che lavorano, si fanno concorrenza, e bestemmiano come dannati, e che, evidentemente, non ne vogliono sapere di due rompicoglioni che vanno a fare foto e domande.
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Ho analizzato i gusti dei marchigiani in fatto di porno
di Luca Bufarini
Quali sono i siti porno preferiti dai cittadini marchigiani? Quali le parole più cercate? Queste le domande fondamentali a cui cerchiamo di rispondere oggi. Ma andiamo con ordine e parliamo degli strumenti all’avanguardia che abbiamo utilizzato.
Per questa fantastica ricerca ci siamo serviti del meraviglioso strumento di google trends, che analizza le parole cercate su google in un certo periodo di tempo.
Il presupposto da cui siamo partiti, è che di solito, per collegarsi ad un sito porno, uno lo cerca tramite google; per cui diciamo che scrivere “pornhub” piuttosto che “xhamster” sul motore di ricerca più usato al mondo è indice del fatto che uno poi si colleghi al sito che ha cercato. A meno che non vada a guardare la pagina di wikipedia relativa. Ma ci sembra decisamente improbabile.
Il periodo di tempo che abbiamo scelto è relativo agli ultimi 5 anni, per cui da luglio 2010 a luglio 2015.
La nostra analisi si divide in due parti:
la prima è relativa ai siti porno più cercati;
la seconda alle categorie di video porno più cercate;
I siti porno sono quelli che generalmente sono indicati tra i più visitati in italia. Nell’ordine:
xhamster
xvideos
youporn
pornhub
youjizz
Premesso poi che solitamente Google non è un mezzo con cui cercare categorie di video porno, abbiamo cercato alcune parole di base che, a nostro parere, celano più o meno la chiara volontà di vedere un certo tipo di risultati. Ecco le parole:
milf
anal
porno italiano
amatoriale
blowjob
I risultati? Non mancano le sorprese.
Fanesi e Osimani sembrano essere i più abituali frequentatori di siti porno.
A jesi amano i blowjob mentre Ancona e Macerata sono una mezza delusione. Urbino nemmeno in classifica…
Ma andiamo a vedere nel dettaglio.
I siti
Rispetto al dato nazionale, le ricerche dei marchigiani sono sostanzialmente identiche. Si registra un calo negli ultimi cinque anni di youporn, sembra ci sia un tendenziale livellamento in atto, come se ci si stesse avviando ad un’era in cui ogni fetta della popolazione si affeziona ad un sito particolare e continui a visitare sempre quello.
Ma passiamo a vedere ancora più nel dettaglio il dato relativo ai siti cercati.
Xhamster
Osimo, Fano e Fermo sul podio. I cari amici osimani molto probabilmente hanno apprezzato la rapidità e la vastità del sito; il criceto vi guarda.
Xvideos
Fano, Senigallia e Macerata; praticamente tutte e tre le città, ai massimi livelli tra i visitatori di Xvideos, il sito pornografico più visitato al mondo nel 2010
Youporn
Il sito porno per antonomasia viene invece snobbato dai Fanesi, che evidentemente si sentono troppo sofisticati per un sito così mainstream. Al primo posto a sorpresa Polverigi che con i suoi circa 4000 abitanti è stata capace di generare in 5 anni il traffico più alto di ricerce di youporn; seguita a ruota da Chiaravalle e poi Ancona sul gradino più basso del podio.
Pornhub
Ancora Fano, che apprezza il sito più visitato d’America, staccando di 9 punti Jesi al secondo posto e Senigallia al terzo
Youjizz
Osimo di nuovo in vetta alla classifica, seguita da Polverigi, che a questo punto possiamo considerare un paese di amanti dei siti più visitati. Completa il podio Chiaravalle, che sembra piazzata ottimamente in tutte le classifiche
Le parole più cercate
A farla da padrone è il termine Milf, che d’altronde costituisce un leitmotiv del porno sul web 2.0 da sempre. Negli ultimi tempi sembra esserci una tendenziale risalita fino al secondo posto della ricerca di “porno italiano” ai danni del, comunque sempreverde, “Anal”. Nei cinque anni, invece, si scava una buona fetta delle ricerche il termine blowjob, dimostrando anche una certa internazionalizzazione del pubblico marchigiano.
A sorpresa invece notiamo che, a fronte di un buon piazzamento nelle categorie dei siti, gli amici chiaravallesi stentano a comparire nelle classifiche delle parole più cercate. Forse preferiscono direttamente cercare nel sito, ma comunque qeusto non toglie nulla ai magnifici risultati ottenuti sopra (anche se, rispetto a Polverigi, che è tre volte meno la popolazione di Chiaravalle, diciamo che c’è qualcosa da recriminare).
Si fa notare, finalmente, anche Ascoli, stabilmente nelle posizioni top di queste classifiche. Il sud della regione ottiene anche ottimi risultati con Civitanova Marche e San Benedetto del Tronto. Vediamo i dettagli.
MIlf
I fanesi, ancora, si piazzano primi anche nella ricerca delle parole chiave su Google. Categoria questa che è anche tra le più cercate a livello nazionale, ma che in base ai dati di trend, è meno ricercata nel capoluogo di regione, Ancona, che nemmeno appare in classifica. Ottimo risultato di Civitanova, che si fa vedere sul podio, seguita da Senigallia.
Anal
Ancora Fano. Ancora loro. La città in provincia di Pesaro si aggiudica decisamente il trono di capitale del porno nelle Marche.
Porno Italiano
I civitanovesi si dimostrano senz’altro i più patriottici, andando a cercare direttamente, senza mezzi termini, quello che vogliono vedere. Viva l’autarchia! Menzione d’onore anche per Jesi, sul secondo gradino del podio.
Amatoriale
Fano al primo posto, senza tante sorprese, e nemmeno più parole con cui possiamo congratularci. Al secondo posto San Benedetto, complimenti, anche se, sinceramente, ci aspettavamo di più nel risultato globale. Al terzo posto finalmente Fermo, città che ci è sembrata un po’ sottotono nel corso di tutta la ricerca.
Blowjob
La città di Federico II e Valentina Vezzali si conquista di prepotenza il primo posto in questa speciale categoria di ricerca. Complimenti davvero, perchè cercare su google blowjob non è una cosa che ti viene pensata così di primo getto.
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Hanno trasformato la notte bianca di Senigallia nel family day
di Luca Bufarini
Sabato scorso a Senigallia c’era il tradizionale appuntamento della festa della Rotonda, anche conosciuta dai più come notte bianca.
Chi negli anni scorsi ci ha bazzicato un po’, si porterà nel cuore il ricordo di un evento che ha regalato grosse soddisfazioni a tutti coloro che il giorno della festa, già la mattina si svegliavano pensando “stasera me sfascio” e simili. Grosse soddisfazioni erano puntuali anche per tutti i bar del lungomare, che facevano soldi a palate, per quelli del 118 che hanno potuto sostenere corsi intensivi su “come si affronta un coma etilico?”, ed infine non manca una menzione d’onore per madre natura, nelle vesti del litorale, che la domenica mattina si risvegliava pieno di bottiglie, bicchieri e quanto altro (quindi soddisfazioni pure per quelli del comune che dovevano ripulire).
La notte bianca 2013. Foto via viveresenigallia.it
Ma, nonostante questi piccoli incidenti di percorso, la notte bianca di Senigallia era un evento speciale. Per una notte tutto era legittimo, e si respirava costantemente un’aria da fine del mondo, una vera e propria apocalisse alcolica, dove l’unica cosa che contasse era bere fino a che la misura non fosse colma. Anzi no, si beveva e basta senza badare alla misura. Inoltre, si poteva assistere a scene che non si vedevano in nessun’altra festa.
Anche il tuo amico più serio, quello più con la testa sulle spalle, per una notte si prestava a perdere la dignità tutta in una volta. Perché? Perché la notte bianca era sinonimo di sfascio, di bottiglie dell’acqua “blues” dell’eurospin riempite con intrugli fatti dai tuoi amici che si improvvisavano baristi (di merda); la costante litania delle ambulanze in sottofondo era la regola, così come i gruppetti di gente finita che si radunava attorno all’ambulanza arrivata sul posto del misfatto, dove si prendeva per il culo il tipo o la tipa che si sarebbe risvegliato/a al pronto soccorso. Passavi ore interminabili davanti al bagno: tu che dovevi pisciare, mentre dentro la gente vomitava pure l’anima.
Questa era la notte bianca di Senigallia, un carnevale estivo dove ogni cosa era ammessa.
Ma perché sto parlando al passato? Perché, cari aficionados, la notte bianca di Senigallia è molto cambiata. Non è più lei.
È terribile.
Tutto è cominciato venerdì mattina, quando è stato presentato alla stampa l’evento. Il sindaco Mangialardi sembra irremovibile:
“E’ una festa che non c’entra niente con la Notte Bianca.”
Cosa?
“Facciamo decisamente a meno di quegli eccessi, ma allo stesso tempo non abbiamo pensato ad una festa elitaria ma ad un evento per tutti”.
Nel frattempo sono state date disposizioni per squadre antisballo, così come le chiama il Corriere Adriatico, col compito di controllare la vendita di alcolici ai minori e ragazzini con zaini sospetti.
Il giocattolo in quel momento si è rotto. I cattivi propositi di tanti ggiòvani, che già da una settimana pensavano a quella che sarebbe stata la loro più epica bomba, frantumati in un attimo da un sindaco che, chiaramente, non sapeva quello che stava facendo.
In effetti, andando a guardare il programma dell’evento, non ci sono dubbi. Tra gli altri figurano:
La maratona musicale Bach 330 sulle banchine del porto dalle 6 della mattina alle 24;
Caccia al tesoro alla Rocca Roveresca per i bambini dai 7 ai 15 anni;
Proiezione in via Carducci del film muto Cenere sonorizzato live da un complesso jazz.
Concerto della banda cittadina.
Nessun riferimento a feste in spiaggia; nessun riferimento a banchetti speciali di alcolici, né ad un qualche evento sponsorizzato da Varnelli; nessun riferimento a niente che non possa essere inserito in un ipotetico Family Day da fare a Senigallia. L’unico evento che potrebbe richiamare lo spirito della vecchia festa è il dj set con quel marpione di Albertino in piazza della rotonda, a partire da mezzanotte e mezza. E tuttavia solo fino alle 2. No, non ci siamo.
Con animo disfattista, ci siamo dunque avventurati a Senigallia la sera della festa. Appena arrivati, subito la sorpresa: abbiamo trovato il posto per la macchina al primo colpo, praticamente a due passi dal centro. E siamo arrivati lì alle dieci e venti, in un orario che si presume debba essere il peggiore per il traffico. La cosa era decisamente incredibile, e la mia rassegnazione di stare tre ore in macchina era svanita in un nonnulla.
Arrivato in centro, bisogna dire che il corso era discretamente pieno dato che i negozi erano aperti. Davanti a Calzedonia incontriamo gente di nostra conoscenza. Dopo alcune chiacchiere, gli diciamo che abbiamo intenzione di andare verso il lungomare, a cercare di documentare un po’ lo sfascio. A quel punto, incuriositi ci chiedono: “Ma perché? Che c’è stasera?”.
“…”
Ecco dove l’amministrazione comunale è riuscita ad arrivare quest’anno: non rendere la gente nemmeno conscia del fatto che la festa in cui si trovano sia effettivamente la notte bianca. Complimenti, davvero, ottima strategia per evitare gli eccessi.
Verso la Rocca quindi. La piazza è praticamente frequentata da gente che sta seduta o che passeggia tranquillamente con i bambini, forse soddisfatti della caccia al tesoro che si è tenuta dentro l’antica fortezza, forse semplicemente si godono la tranquillità che regna sovrana; avverto il tutto con un certo grado di angoscia.
Dietro la Rocca, un insolito angolo (che a dire il vero si era già visto lo scorso anno, sempre lì, ma non ricordo a quale evento) in cui vi sono degli uccelli notturni rapaci tipo gufi, civette e barbagianni. Bambini in visibilio.
Sarebbe tutto molto interessante se non fosse che dovrebbe essere la notte bianca.
Attraversato il sottopassaggio eccoci finalmente davanti alla rotonda. Tutte le mie preoccupazioni, i miei sospetti si rivelano fondati: sono le 11 e mezza, ma Senigallia è uguale ad ogni altro sabato sera, con la differenza che c’è un po’ più di gente. La fauna in quel momento è composta da:
Minorenni esaltati senza motivo che camminano avanti e indietro sul lungomare;
Gente di 20/30 anni annoiata, in coppia o in gruppo;
Famiglie con bambini e passeggini allegati;
Coppiette che non sanno perché si trovano lì;
Quelli che si dedicano alla notoria attività del “muretto” ovvero stare seduti e guardare la gente che passa per poi prenderla in giro per come è vestita;
Anziani;
Fighetti;
Gente col risciò che rompe il cazzo;
Asiatici che cercano di vendere i cappelli bianchi e le cose che si illuminano (anche loro mi sono sembrati alquanto sconsolati quest’anno).
Buco 14. Il bar della Terrazza Marconi.
In pochissimi hanno comprato il classico cappello bianco.
Frustrazione e amarezza hanno colpito anche gli ambulanti che un tempo facevano affari d’oro vendendo queste cazzate; quando ancora tutto sembrava una novità.
Direi che questo potrebbe essere il simbolo diella notte bianca 2015
Ci dirigiamo verso quella che sembra essere l’unica festa superstite che si tiene sulla spiaggia, nei pressi del Mascalzone o giù di lì.
La prima cosa che vedo è questo nonno figo che balla l’unico a regalarci una qualche soddisfazione (seppur minima):
La festa è moscia, e la musica è di merda. Vado a vedere verso il chioschetto dove vendono gli alcolici, ma non sembra affatto affollato come sarebbe giusto che fosse. Ovunque ci sono degli energumeni (le squadre antisballo del corriere adriatico?), e l’esaltazione di alcuni sembra sinceramente forzata; la maggior parte di questi esaltati è composta da minorenni che dubito abbiano mai visto seriamente una notte bianca come si deve.
Il gruppo di gente ballerina impazzisce perché mettono su la canzone di quello che “stava buscando”.
Un padre di famiglia esce dalla folla danzante con un bambino sulle spalle. È sinceramente troppo e decidiamo di andare.
È quasi mezzanotte, quindi si va a vedere i fuochi d’artificio. Sulla strada per la rotonda incontriamo un altro tizio di nostra conoscenza. Gli esterno la mia insoddisfazione per la notte bianca di quest’anno. La sua risposta mi conferma che non ho per niente preso un abbaglio:
“Ah, perché questa è la notte bianca?”.
Il tizio che non sapeva di essere alla notte bianca. “Posso farti una foto?” “No.”
I fuochi sono discreti, anzi forse sono addirittura belli, ma la mia amarezza è tale che sentire qualche botto non cambia la situazione. Finiti i giochi pirotecnici, il grosso della gente inizia ad andare; fondamentalmente è il momento in cui chi ha una famiglia, un po’ di amor proprio, o una certa età, lascia l’evento e torna a casa.Di solito questo era il momento in cui partiva la notte bianca vera, quella più estrema.
Ma niente da fare, la festa non decolla. Andiamo a documentare il Verdementa che non credo di aver mai visto così vuoto.
E poi basta. Nell’aria si sente per l’ennesima volta la canzone di quello che “stava buscando”...
Ce ne andiamo. Non credo serva altro da dire. Sì, insomma, Albertino dj inizia a suonare ma, sticazzi; l’atmosfera che si vive è sempre quella di una qualunque festa, e sinceramente, nel complesso, mi ero rotto i coglioni.
La notte bianca che conoscevamo non esiste più. La festa che per lunghi anni è servita ai ragazzi provenienti da mezza regione ad emanciparsi da una specie di provincialismo di base, facendoci sentire più vicini, se non più fighi, a quelli della riviera romagnola, è scomparsa, e al suo posto c’è un family day democristiano che accontenta tutti e non offende nessuno. Non che avremmo goduto nel vedere gente in stato confusionale o in coma etilico, intendiamoci. Ma questa festa ha perso un po’ di quello slancio cazzaro e trasgressivo che la contraddistingueva, risultando sicuramente più noiosa.
Nel frattempo il sindaco e la giunta dichiarano il successo: “Aver ripensato il format della Festa della Rotonda ha premiato la città”, e ancora “La “notte della Rotonda” e la “notte rosa” sono state il simbolo di un’attenta programmazione della nostra offerta turistica verso i più giovani e non solo, facendo sposare divertimento e cultura senza eccessi o trasgressioni. Le scelte della nostra amministrazione comunale di ripensare e rivedere la “notte della Rotonda”, oscurata da quella “notte bianca”, così nominata per sottolineare più lo sballo che gli eventi culturali offerti, è stata premiata dalle più di 50 mila presenze registrate e che hanno visto uno spettacolo straordinario di luci e musica che riesce ad arrivare a tutte le fasce turistiche: Senigallia la “città di tutti” e dei “turismi”.”
Forse hanno ragione loro; forse era tutto troppo eccessivo. Sta di fatto che, quest’anno, la notte bianca ci è mancata.
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Cosa ho visto a Castelluccio in una domenica durante la fioritura.
di Luca Bufarini
A Castelluccio ho visto un sacco di fiori. Fine.
Questo racconto che potrebbe sembrarvi così poco esaltante, in realtà lo sarebbe molto; se solo fosse vero. Il vedere un sacco di fiori è l’unica cosa che conta quando si decide di andare a Castelluccio nei giorni della fioritura. Ma vedere un sacco di fiori e tornarsene a casa raccontando di aver visto solo un sacco di fiori, credo sia una benedizione concessa solo a chi si alza di buona lena (tipo alle 4, barra 4 e mezza del mattino) e parte alla volta della “piana” in un bel giorno in mezzo alla settimana.
Fortunatamente, invece, io ho avuto l’occasione di andarci di domenica. Precisamente domenica 5 luglio, uno dei giorni più caldi dell’anno, partendo da casa alle 7 (durata viaggio previsto secondo google maps: 2 ore e sei minuti), avendo dormito sì e no 4 ore in un letto rovente e sudaticcio.
Oltre a queste, inutili, note di colore, il viaggio è stato tranquillo, finché arrivati a Visso ci scappa la solita sosta colazione (più cagata). Dopodiché occorre fare un percorso di circa 20 chilometri in cui se hai culo puoi fare colin mcrae rally, ma se sei sfigato come me, ti ritrovi a dover fare una serie di tornanti dietro una corriera piena di anziani che probabilmente stavano preoccupandosi del fatto che l’aria condizionata del bus non facesse loro venire qualche malanno. Ma avrebbero fatto meglio a preoccuparsi delle centinaia di maledizioni che ho lanciato lungo il tragitto.
Scavallato il monte, finalmente davanti agli occhi si srotola la Piana. Una lunga discesa, e poi la salita verso Castelluccio. Fin qui tutto tranquillo. Si supera la piazzetta, già discretamente affollata e poi la discesa, verso il parcheggio.
Ora, io non sto qui a fare il nostalgico hipster dell’escursione montana, nel senso che non voglio assolutamente dire che ormai ci va troppa gente, e non ne vale la pena. Voglio solo esternare la mia sorpresa, nel vedere a quasi millecinquecento metri d’altezza, in una pianura in cui non c’è nulla per chilometri, un traffico della madonna che manco fossimo all’Auchan in un sabato pomeriggio. A natale.
Tra parentesi, ci tengo a sottolineare la folta presenza di motociclisti. Tutti evidentemente appassionati dei percorsi montani, tra cui anche uno con una Honda cbr 600 rr con livrea Repsol e tuta integrale, che si divertiva a sgasare come se fosse al Mugello mentre invece stava solo facendo fatica a sopravanzare nel traffico.
Scene da gironi infernali con macchine a destra, a sinistra, moto che ti passano sopra. Stai così attento a non prendere sotto nessuno o a rigare la macchina, che nemmeno puoi girarti e accorgerti che nel frattempo sei praticamente in mezzo al giardino dell’eden. O almeno nella sua parte fiorita. Questa è l’assurdità di andare a Castelluccio di domenica, nei giorni della fioritura.
Parcheggiato in un campo rom (o almeno sembrava tale) pieno di caravan e camper. Inizia la scampagnata. E la scampagnata inizia proprio in mezzo a quel traffico in cui si era immersi fino a 5 minuti prima, dato che occorre fare un cinquecento metri di strada tra autobus, e altri autocicli e motocicli. La puzza di smog è impressionante. Sembra di stare in centro, a Bombay alle 6 del pomeriggio. Ci tengo a far sapere che non era la prima volta che andavo a Castelluccio. Mai vista né sentita una roba del genere.
Ma finalmente, eccoci faccia a faccia con i campi fioriti. Devo ammettere che è veramente uno spettacolo straordinario. Immense distese viola e rosse si stagliano su tutta la piana; il Vettore a destra, Castelluccio davanti, e dietro ancora tappeti fioriti e, in lontananza, tra la leggera foschia delle 10 del mattino, i monti Sibillini.
Fantastico. Tant’è che inizio a fare qualche foto. Come non immortalare questa magnificenza? Solo che dopo un po’ mi accorgo che non sono l’unico. Abbagliato da cotanta bellezza mi sono lasciato trascinare e non mi sono accorto che tutti stavamo praticamente facendo la stessa foto alla stessa cosa, cioè il campo di fiori coloratissimi con, sullo sfondo, la collina su cui poggia Castelluccio. A quel punto mi sono sentito facente parte di una categoria di persone che odio da sempre: quelli che, quando visiti una mostra o un museo, si mettono a fare le foto ai dipinti (i più coraggiosi si fanno pure i selfie).
In effetti si tratta di un tema annoso: come dare un tocco personale ad un qualcosa che sta lì e basta, che vive nella sua immutabilità? Certo, non è che quando ci mettiamo a fare le foto dei girasoli, o del mare al tramonto eccetera, diamo chissà quale tocco personale. Sono foto fatte e rifatte, in tutte le salse, da centinaia di migliaia di persone. Difficilmente si potrà aggiungere qualcosa di nuovo. Ma almeno in quei casi ti levi uno sfizio, in solitudine. Vai a fare le foto dei girasoli per provare cosa riesci a fare, e non ti preoccupi di “madonna che palle ste foto dei girasoli, bastah” perché sei da solo e ti fai i cazzi tuoi. Invece a Castelluccio, quel giorno, in quella selva di obiettivi telescopici, bastoni per selfie e macchinette ultracostose, io mi sono sentito uno che fotografa un quadro ad una mostra. A che scopo fare una foto di un paesaggio che è reperibile ovunque, e ne esistono migliaia di copie uguali, ed altrettante sicuramente migliori delle foto che ti troverai a fare?
È stato in quel momento che ho capito che quel giorno non avrei (solo) fotografato i campi, ma avrei fotografato e raccontato l’incredibile ammasso umano che si accalca a millecinquecento metri di altezza per fotografare (e farsi i selfie con) simpatici fiorellini colorati. A che scopo? Non lo so nemmeno io, ma nel momento in cui ho visto una folla in un campo che fotografa la stessa cosa, tutto ciò mi è sembrato così futile ed eccessivo. È stato uno di quei rari momenti in cui la società ci appare nella sua essenza più moderna, un momento oserei dire rappresentativo dell’evoluzione tecnologica di questi anni: dal viaggio in pulmino dei pensionati, passando per l’esplosione della fotografia amatoriale, e arrivando al selfie stick.
A questo punto conviene comunque rivelare che le foto dei simpatici fiorellini le ho fatte anche io. Sì, perché proseguendo attraverso i sentierini che costeggiano i campi di lenticchie, ti ritrovi in quella situazione di solitudine relativa di cui dicevo prima. In questi frangenti, in una sorta di autoerotismo compulsivo, puoi scattare tutte le foto che vuoi e poi sentirti in colpa dopo per aver perso tempo a fare foto di merda.
Solo alla fine di tutto, ho capito che uno spettacolo del genere, proprio come un dipinto, non va fotografato: bisogna tenere la macchina nella borsa, piuttosto che nelle mani, perché si rischia di perdere, guardando solo con gli occhi del medium, un vero e proprio dipinto tridimensionale che non va solo guardato, bensì osservato, scrutato e ammirato.
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