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Scoprite I 5 Migliori Mercatini Di Natale In Europa Con Un Jet Privato
Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, l’atmosfera magica dei mercatini di Natale inizia a riempire l’aria in Europa. Ma perché accontentarsi di un viaggio tradizionale quando si può elevare la propria esperienza visitando questi incantevoli mercatini con stile – in jet privato? In questo articolo vi porteremo alla scoperta dei cinque migliori mercatini di Natale in Europa che potrete esplorare nel massimo del lusso e della comodità, assaporando lo spirito della stagione.
1. Vienna, Austria – Mercatino di Natale di Rathausplatz
Vienna, la capitale dell’Austria, è rinomata per la sua ricca storia, la sua splendida architettura e, durante il periodo natalizio, per il suo straordinario mercatino di Natale di Rathausplatz. Arrivare a Vienna con un jet privato non solo vi fa risparmiare tempo, ma vi offre anche un ingresso esclusivo in questo mondo magico.
Il Mercatino di Natale di Rathausplatz è un capolavoro di decorazioni festive, con una gigantesca pista di pattinaggio su ghiaccio, alberi splendidamente illuminati e oltre 150 bancarelle che offrono delizie e regali artigianali. Dalle caldarroste al vin brulé, questo mercatino offre un vero assaggio delle tradizioni natalizie austriache.
2. Strasburgo, Francia – Christkindelsmärik
Strasburgo, spesso chiamata la “Capitale del Natale”, ospita uno dei mercatini di Natale più antichi e pittoreschi d’Europa, il Christkindelsmärik. Arrivare a Strasburgo con un jet privato vi permette di scoprire l’affascinante architettura medievale e i canali della città prima di immergervi nello spirito natalizio.
Il mercato, sullo sfondo della splendida Cattedrale di Strasburgo, offre una serie di tesori per le vacanze. I visitatori possono esplorare le tradizioni natalizie alsaziane attraverso l’artigianato e le prelibatezze regionali. Non perdete l’occasione di assaggiare i famosi biscotti bredele e il vino caldo speziato.
3. Norimberga, Germania – Christkindlesmarkt di Norimberga
Norimberga, situata nel cuore della Baviera, in Germania, ospita il Nuremberg Christkindlesmarkt, uno dei mercatini di Natale più famosi e tradizionali del mondo. Volare a Norimberga con un jet privato vi permette di sfruttare al meglio la vostra visita a questa incantevole città.
Il Christkindlesmarkt di Norimberga è rinomato per i suoi giocattoli artigianali, gli intricati ornamenti e le deliziose salsicce di Norimberga. L’atmosfera medievale della città, unita allo spirito di festa, la rende una meta imperdibile durante le festività natalizie.
4. Budapest, Ungheria – Fiera di Natale di Budapest
Budapest, con la sua splendida architettura lungo il fiume Danubio, offre un’esperienza unica di mercatino di Natale. La Fiera di Natale di Budapest, che si tiene di fronte alla Basilica di Santo Stefano, è un gioiello della stagione natalizia in Ungheria.
Arrivare a Budapest con un jet privato è l’introduzione perfetta a questa città di terme e grandezza. Alla Fiera di Natale si possono acquistare regali e oggetti d’artigianato tradizionali ungheresi, assaporare torte da camino e vin brulé, assistere a concerti festosi e pattinare sul ghiaccio.
5. Praga, Repubblica Ceca – Mercatini di Natale di Praga
Praga, con la sua fiabesca Piazza della Città Vecchia, si trasforma in un paese delle meraviglie invernale durante il periodo natalizio. Volare a Praga con un jet privato vi assicura un arrivo in grande stile e pronto a esplorare gli incantevoli mercatini della città.
I Mercatini di Natale di Praga offrono una miscela di tradizioni natalizie ceche e di stile internazionale. Potrete acquistare splendidi ornamenti in vetro di Boemia fatti a mano, assaggiare i dolci tradizionali cechi come il trdelník e assistere a presepi e cantanti dal vivo.
Esplorare i migliori mercatini di Natale in Europa a bordo di un jet privato aggiunge un tocco di opulenza alle vostre vacanze. Dalla Rathausplatz di Vienna alla Piazza della Città Vecchia di Praga, ogni mercatino offre una miscela unica di spirito festivo, tradizioni locali e delizie artigianali.
Viaggiare con un jet privato non solo fa risparmiare tempo, ma migliora anche l’esperienza complessiva, permettendovi di immergervi completamente nella magia della stagione. Quest’anno, quindi, prendete in considerazione l’idea di portare le vostre avventure natalizie a un livello superiore e scoprite la gioia dei mercatini di Natale in Europa nel lusso.
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Invisible°Show presenta Radio Hito
Canti per lingue sconfinate
- Signore, deve tornare a valle. Lei cerca davanti a sé ciò che ha lasciato alle spalle.
(Giorgio Caproni, Conclusione quasi al limite della salita)
domenica 8 ottobre 2023
ore 17:30
Invisible°Show presenta:
Radio Hito (Bruxelles)
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Antonella Bukovaz (Topolò)
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Posti limitati: per sapere il luogo esatto e prenotarsi scrivi a [email protected]
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RADIO HITO
Radio Hito è la voce musicale dell'artista e scrittrice Y-My Zen Nguyen, nata nel 1985 a Les Ulis, in Francia, da famiglia italo-vietnamita. È docente di educazione artistica alla Haute école des Arts du Rhin di Strasburgo e co-curatrice della rivista di poesia La tête et les cornes insieme a Benoît Berthelier, Maël Guesdon e Marie de Quatrebarbes. Ha studiato incisione, tipografia e pianoforte classico in Francia, Svizzera, Inghilterra e Paesi Bassi. La sua musica, nata “dall'intuizione e dalla necessità di fare di tutto un ritornello”, coglie testi e ispirazioni da versi di poeti nelle loro traduzioni italiane – in particolare, del messicano Octavio Paz e dell'argentina Alejandra Pizarnik. Ha inciso le sue canzoni perlopiù su audiocassetta, in tiratura limitata: Ascoltami (2019), Non Solo Sole (Midi Fish, 2020) e Voce Lillà (Kraak, 2021). Vive e canta tra Bruxelles, Parigi e Strasburgo.
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ANTONELLA BUKOVAZ
Originaria di Topolò-Topolove, borgo sul confine italo- sloveno, Antonella Bukovaz è poetessa, autrice teatrale e performer. Dal 1995 ha partecipato a diverse rassegne di arte contemporanea in Italia e in Slovenia, e dal 2005 si dedica alle interazioni tra parola, suono e immagine. Presente nell'antologia Einaudi Nuovi poeti italiani, 6 (con Storia di una donna che guarda al dissolversi di un paesaggio, premio Antonio Delfini 2009), le sue poesie – apparse su riviste web e cartacee (il Verri, Alfabeta, In pensiero…) - sono state tradotte in sloveno, tedesco, inglese, francese e arabo. Ha pubblicato Tatuaggi (Lietocolle, 2006); al Limite (Le Lettere, 2011; con dvd), in collaborazione con il video maker Paolo Comuzzi e con il musicista Antonio Della Marina; i librini koordinate (pulcinoelefante, 2015) e Guarda (pulcinoelefante, 2015); 3X3 parole per il teatro_3X3 besede za teater (ZTT-EST, 2016), raccolta dei testi scritti per il teatro sonoro di Hanna Preuss (per la quale è stata autrice e attrice nelle opere S.E.N.C.E, Sonokalipsa e Pavana za Antigono, con rappresentazioni a Lubiana, Trieste, Kyoto e Cagliari); casadolcecasa_domljubidom (Miraggi, 2021; menzione speciale al premio Rilke), e Compagnevole animale (B#S edizioni, 2022). È inoltre autrice di Tra_in between_Mèd, premio Kristal 2017 al Festival di Letteratura di Vilenica. Collabora con l'elettrorumorista Eva Sassi Croce, con cui ha realizzato le performance casadolcecasa, Lessico elettronico,Utopia del rumore (tributo all'Arte dei rumori di Luigi Russolo),e Femminilizzazione del mondo. Sempre con E.S.Croce ha realizzato una video-lettura da Osip Mandel'stam (Viaggio in Armenia) e con il musicista e artista sonoro Claudio P. Parrino un'audio installazione da un poema di Evgenij A. Evtušenko (La stazione di Zima). Tra i molti altri musicisti e artisti del suonocon cui ha lavorato – tra i quali Marco Mossutto, Teho Teardo, Antonella Macchion - collabora stabilmente con il trombettista Sandro Carta, insieme a cui trova continue dimensioni sonore a testi propri e di altri autori. Ha contribuito alla realizzazione di Stazione di Topolò-Postaja Topolove, per la quale ha curato soprattutto la sezione letteraria Voci dalla sala d’aspetto, ed è stata presidente dell’associazione che ha organizzato tutte le 29 edizioni del festival. Da sempre, insegna in lingua slovena nella scuola bilingue di San Pietro al Natisone-Špeter.
youtube
http://www.ozkyesound.altervista.org/UTOPIADELRUMORECDR.html
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"La prima volta che incontrai Giulietto Chiesa fu in una casa del Popolo a Firenze, a metà degli anni ’80. Ero appena rientrato dal mio primo viaggio nell’Afghanistan occupato dall’Armata Rossa, e vidi sui muri della città universitaria le locandine di un convegno sul ruolo sovietico nel paese asiatico. Alla conferenza i capoccia del PCI locale difendevano l’intervento dei Russi, “portatore di civiltà e progresso”. Giulietto Chiesa prese la parola, e con le lacrime agli occhi accusò gli altri relatori di faziosità, di non essere capaci di un giudizio onesto. “In Afghanistan i comunisti stanno compiendo un massacro aberrante, mettetevelo in testa. Altro che civiltà: stiamo distruggendo un paese ricchissimo culturalmente in nome di un’idea di progresso totalmente avulsa da quella società”. La platea mugugnò, fischiò, accusò Giulietto di essere un revisionista. Le solite femministe mostravano totale insensibilità nei confronti della popolazione civile afghana, che moriva sotto i bombardamenti dei compagni. A loro interessava che un giorno le donne afghane potessero uscire di casa con dei vestiti diversi, che potessero truccarsi e rivendicare il potere del loro utero. Fui ovviamente colpito dalla onestà di Giulietto Chiesa. Che qualche anno dopo incontrai di nuovo. Per un gioco del destino proprio a Kabul, nei giorni insanguinati della resa dei conti tra regime comunista afghano e mujaheddin islamici. Anche lì diede prova di libertà intellettuale, condividendo quei momenti in piena solidarietà con un fascista come il sottoscritto, collaborando da vero amico nella ricerca delle storie da raccontare la sera, lui scrivendo al suo giornale e io mandando immagini e servizi in televisione. L’ultima volta lo vidi a Strasburgo, quando lo incrociai nei corridoi del Parlamento Europeo, dove ero con uno dei leader della resistenza Karen. Volle che gli raccontassi la storia di quel popolo, e mi abbracciò incoraggiandomi a continuare il sostegno alla lotta per la loro autodeterminazione. Mi abbracciò da comunista e da uomo libero. Non mi stupisco che la notizia della sua scomparsa venga liquidata in pochi secondi dagli organi di stampa, a partire da quelli di sinistra. Da quei postriboli in cui finanza apolide e melma comunistoide copulano come consanguinei pervertiti. Dal loro seme non nasce quella libertà alla quale Giulietto Chiesa molte volte dimostrò nei fatti di essere devoto."
Franco Nerozzi
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“In Gold We Trust”: dialogo con Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre. Ha portato 11 milioni di persone davanti a Van Gogh, Vermeer, Monet…
L’arte è il racconto della vita e lui Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre, emotività, pop e management ha passato la sua raccontare l’arte. Organizzando esposizioni, portando in Italia capolavori, scrivendo saggi, allestendo spettacoli teatrali. Maestri celebri, opere-icona, impressioni, Impressionisti e code impressionanti. Ogni mostra, un successo. Anni fa su Facebook spuntò un gruppo denominato «Quelli che vogliono diventare Marco Goldin». Alcuni critici contestano le sue scelte mainstream, ma lui tira dritto sulla sua linea, quella che parte da Treviso, dove è nato, nel 1961, e passa dalla laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia con tesi su Roberto Longhi scrittore e critico d’arte (110 e lode), lungo 400 esposizioni curate dal 1984 a oggi, attraversa la sua società di produzione di mostre – «Linea d’ombra» a là Conrad – e arriva dove vuole. Alla fine Goldin è l’unico che può ottenere certe opere da musei stranieri e certi finanziamenti dai privati. Di lui si fidano sindaci, direttori, collezionisti, prestatori, sponsor e pubblico. In «Gold» we trust.
Lui ha creduto nella passione e nelle arti-star. E unendole ha creato, a suo modo, un capolavoro. Portare tutti a vedere le sue mostre. Perché prima di essere le mostre su Van Gogh, su Gauguin, su Monet, le mostre curate da Goldin sono un modo di presentare se stesso attraverso i quadri di Van Gogh, di Gauguin, di Monet… Non sono mostre su. Ma mostre di. Marco Goldin. Uno che ti vien voglia di dirgli come Dino Risi a Nanni Moretti spostati, e fammi vedere la mostra.
Lei, le mostre d’arte, vorrebbero che le vedessero tutti.
Mi piace immaginare che le opere d’arte debbano essere appannaggio di un pubblico largo. E sono convinto che la cultura sia prima di tutto racconto e emozione, abbinati all’erudizione.
I suoi avversari storcono il naso davanti alle «emozioni».
Non è una guerra. Non ci sono avversari. Qualcuno separa scientificità e popolarità. Invece per me stanno insieme. Perché una mostra non può fare 300mila visitatori? Perché – invece che allineare uno dopo l’altro dei quadri – non creare un racconto?
Con le sue mostre ha raccontato i grandi temi del viaggio, dello sguardo, del paesaggio e della notte. Cosa sceglie?
Forse il paesaggio. Sono una grande sportivo, da quando avevo 15 anni. Mi alleno molto. Ciclismo, sci d’alpinismo, fondo. Discipline che ti preparano alla fatica e che ti permettono di stare a contatto con la natura. Amo talmente tanto stare all’aperto da ricercarlo anche al chiuso. Ho una passione per la raffigurazione della Natura. Ecco perché ho curato tante mostre sul paesaggio. Collego lo spirito e il lavoro.
Quando inizia per lei il racconto dell’arte?
Mia nonna dipingeva. A otto anni facevo il modello nel suo atelier, in un’altana veneziana di Treviso. Sono cresciuto respirando olio e trementina.
Da allora è stata una linea retta?
No, al liceo i miei interessi erano di tipo letterario. Scrivevo, leggevo poesia. Poi, iscritto a Lettere a Ca’ Foscari misi nel piano di studi Storia dell’arte contemporanea perché all’epoca con quell’esame potevi insegnare alle superiori, non si sa mai. Lì incontrai Giuseppe Mazzariol. Un professore molto particolare: entrava in aula un quarto d’ora dopo e andava via un quarto d’ora prima, ma le sue lezioni erano indimenticabili.
Il tipo di insegnante che ti affascina raccontando.
Ecco. Il suo corso era su Paul Klee, artista che peraltro oggi non amo particolarmente. Ma è lì che è iniziato tutto. Poi ho cominciato a scrivere per un settimanale di Treviso, città dove negli anni ’80 c’erano moltissime gallerie private: ogni settimana s’inaugurava una mostra. Ho iniziato così, frequentando i vernissage e i pittori. Poi ho cambiato piano di studi.
E la vita.
Sì, anche se in quel momento non lo sapevo. Comunque da allora l’arte è vita, passione, lavoro.
E business.
Nel mio lavoro ha avuto qualche successo, certo. In ogni caso non sono mancate perdite, anche pensati a volte.
Prima mostra curata?
Ottobre 1984, avevo 23 anni. In 35 anni di attività ho curato 400 mostre, cioè 11-12 all’anno, una al mese. Ma la media è così alta perché quando ero più giovane e lavoravo soprattutto sulla pittura italiana del ’900 tenevo un ritmo di 30-35 mostre all’anno, contemporaneamente su più sedi, pubblicando anche il catalogo. Me ne rendo conto: era una follia. Da tempo ne faccio una, al massimo due all’anno.
Curriculum?
Dal 1988 al 2002 ho diretto la Galleria comunale di Palazzo Sarcinelli a Conegliano. Dal 1988 al 2003 ho curato molte esposizioni per la Casa dei Carraresi di Treviso. Dal 1998 ho iniziato un ciclo di grandi esposizioni nel Veneto, Torino, Brescia, Bologna, in particolare sulla pittura francese dell’Ottocento. Ho insegnato allo IULM di Milano. Dal ’91 al ’95 ho scritto recensioni per il Giornale, con Montanelli e con Feltri.
Nel 1996 fonda «Linea d’ombra».
È la mia società che si occupa di organizzare mostre sia di ambito nazionale che internazionale.
Quanti visitatori, da allora?
In 23 anni 11 milioni di persone in tutto. Ho ottenuto prestiti da 1.200 fra musei, Fondazioni e collezioni private di tutti i cinque Continenti, per un totale di oltre 10mila opere portate in Italia, di 1.054 artisti diversi. Per nove anni una delle mie mostre è stata la più visitata d’Italia. E per quattro volte si è classificata tra le prime dieci più viste al mondo.
Numeri record, ma che non le sono stati perdonati.
Invidia? Chissà, qualcuno mi ha fatto passare come quello che ha banalizzato l’arte, ma ci sono in giro tante mostre pessime eppure nessuno ha avuto critiche così feroci.
Ci soffre?
No. Mai fatto mostre per calcolo, solo quelle che mi piacevano.
Il suo secolo d’elezione è il ’900.
In ambito italiano sì. Ma le più note restano quelle su Monet, gli Impressionisti, Van Gogh…
Alla Gran Guardia a Verona ha appena inaugurato “Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky”.
È l’esempio di quanto la passione prevalga sul business. Così come quella su Rodin lo scorso anno. Organizzare una mostra su Giacometti è antieconomico. Produrre questa mostra costa due milioni. C’è uno sponsor privato, che abbassa il rischio di impresa, pagando un quinto dei costi. Il resto dovrebbe arrivare dai biglietti di ingresso. Ci perderò…
Perché?
Perché tradizionalmente le mostre sulla scultura non funzionano. La gente ama guardare i quadri, non le statue.
Però la fa lo stesso.
È una mostra che sognavo da quando andavo all’università. Giacometti è il primo artista internazionale del ’900 che ha attirato la mia attenzione. È stato uno dei miei primi “amici” artisti, fin dagli anni dell’università quando giravo i musei di tutta Europa, e vedevo i suoi disegni prima ancora che le sue sculture. Di lui mi ha sempre colpito la sua forza della verità. Lui diceva: “L’arte mi interessa molto, ma la verità mi interessa infinitamente di più”.
Cosa significa?
Che prima devi essere una persona vera di fronte alle persone, agli oggetti, al paesaggio che vuoi ritrarre. E dopo, verso l’arte. Il risultato sono le sue sculture uniche. Le guardi, eccole qui: la Grande femme debout, L’Homme qui marche. Quella è la Femme de Venise che fu esposta nel 1956 alla Biennale di Venezia e che riscosse un successo incredibile.
Di critica. Ma perché al grande pubblico le sculture non piacciono?
Perché la gente ama il colore. E nelle sculture non c’è. Tutto qui. È il motivo per cui Van Gogh è stra-amato dal grande pubblico e Giacometti nonostante le valutazioni stellari resta poco conosciuto. Da una parte un colore urlato, dall’altra una forma che fa pensare. Tra le due cose, dal punto di vista dell’empatia dello spettatore medio, non c’è gara.
E infatti nel 2020 farà un’altra mostra su Van Gogh.
A Padova, su Van Gogh e il suo tempo. Per farle capire come si può intercettare l’interesse del pubblico prima di aprire una mostra, le racconto questo. Sulla pagina Facebook di Linea d’ombra stiamo postando alcune foto delle opere che porteremo in mostra. Bene. L’autoritratto col cappello di feltro, stranoto, è stata la prima immagine pubblicata. Poi abbiamo messo in rete un paesaggio di Arles con i mandorli in fiore. La seconda opera ha avuto il doppio dei like rispetto alla prima. Cosa significa? Che tra un ritratto, anche iconico, e un paesaggio, suscita più emozioni il paesaggio.
È per questo che gli Impressionisti fanno sempre boom?
Certo. Perché gli Impressionisti hanno dipinto il paesaggio al suo grado massimo di bellezza.
“L’impressionismo e l’età di Van Gogh” del 2003 a Treviso totalizzò 600mila visitatori. Un record.
Nel 2005 presentai poi 80 Van Gogh e 70 Gauguin tutti insieme, una cosa da Metropolitan. Risultato: 541mila biglietti. A Brescia…
Per fare una mostra di successo cosa serve?
Primo: studiare.
Secondo?
Le relazioni internazionali. Spesso servono più dei soldi».
La sua prima conoscenza “giusta”?
Tanti anni fa. Un giovane curatore del Musée d’Orsay di Parigi, conosciuto qui in Italia, Radolphe Rapetti, che poi andò a lavorare a Strasburgo. Fu lui a presentarmi il direttore dell’Orsay, Henry Loyrette. Io stavo organizzando una mostra dedicata a Roberto Tassi, un grande critico dell’arte e grande scrittore, al pari di Longhi e Testori. Avevo in mente una grande mostra, con prestiti internazionali: tra l’altro Tassi, morto nel 1996, era molto apprezzato in Francia. Quando spiegai a Loyrette il progetto, mi disse: cosa ti serve? Prendi questo, un Cézanne, e questo, un Degas, e questo, un Monet… Tutti artisti sui quali Tassi aveva scritto molto. E così, io, piccolo provinciale di Treviso, me ne andai dal museo d’Orsay con in tasca la promessa di prestiti eccezionali. Successivamente Loyrette divenne direttore del Louvre…
E visto il successo della mostra su Tassi, fu più facile ottenere altri prestiti anche da lì.
All’estero ti giudicano anche sui numeri che fai. Portare a una mostra 200mila visitatori non è come portarne 50mila. Per i musei è un investimento in termine di immagine.
Eravamo arrivati al secondo fattore di successo. Il terzo?
Assolutamente la qualità delle opere: a volte si annunciano mostre con nomi altisonanti ma con quadri modesti.
E poi?
Certo, i grandi nomi aiutano, quelli che la gente riconosce. Monet, Van Gogh, Cézanne, Gauguin, Renoir, Degas, Manet, Courbet… O Picasso, o Vermeer…
Vermeer. Goldin è «quello» che portò “La ragazza con orecchino di perla” in Italia.
Grazie alle relazioni internazionali costruite negli anni. Era il 2011. Mi chiama il direttore del museo Kröller-Müller di Otterlo, con il quale ho rapporti di amicizia da vent’anni. Mi dice: Lo sai che chiudono il museo Mauritshuis all’Aia per restauri? Per due anni faranno viaggiare una selezione delle opere in giro per il mondo. Ti interessa? Immaginati se non mi interessava! Faccio di tutto. Vado all’Aia. Mi dicono che la Ragazza andrà solo in Giappone e negli Usa. Occasione persa, mi dico. Poi però nel 2012 il direttore del Mauritshuis mi ricontatta dicendomi che hanno deciso di aggiungere una tappa, ma le richieste sono tantissime, però ricordandosi che ero stato il primo a farsi avanti mi offre la possibilità, a patto che la città fosse importante. E mi dà tre giorni di tempo. Sufficienti per accordarmi con Bologna. Dove l’ho portata.
A Palazzo Fava, nel 2014. Fu la «mostra delle mostre».
Battuto ogni record. In media abbiamo avuto 3200 entrate al giorno, e mai un giorno sotto i 2mila, nemmeno al lunedì. Fu la mostra più visitata nel 2014 con 342mila visitatori in soli cento giorni. E sì che gli ingressi erano contingentati per via delle dimensioni di Palazzo Fava.
Qualità, grandi nomi. E Il resto?
Il resto è comunicazione.
Campo in cui Lei è il numero uno.
Non lo sono, davvero. Però ho capito presto che la sola comunicazione istituzionale non basta. L’arte va raccontata al pubblico, e le mostre ai giornalisti.
Lei è stato il primo a non fare le conferenze stampa seduto, ma nelle sale con la stampa al seguito.
Se è per quello nel 2001 e 2002 per due mostre alla Casa dei Carraresi a Treviso noleggiai un aereo e portai cento giornalisti nei musei di Oslo e Edimburgo per vedere le collezioni da cui sarebbero arrivate alcune delle opere esposte. Da allora lo faccio spesso. Prima di aprire la mostra su Van Gogh a Padova, l’anno prossimo, porto tutti a Otterlo, in Olanda, al museo Kröller-Müller dove si trova una delle maggiori collezioni di Van Gogh al mondo.
Ripeteranno che sarà la solita mega mostra blockbuster. Molto d’effetto e poco scientifica.
E io ripeterò che invece si possono tenere insieme emozione e scientificità. Tra me e un erudito l’unica differenza è il modo in cui raccontiamo la stessa materia. E comunque, prima di criticare senza avere visto, meglio vedere e poi parlare. A Padova si vedranno prestiti assolutamente sorprendenti, altro che mostra blockbuster.
Dicono che Lei si prepara in maniera maniacale sia per curare una mostra sia per scrivere un saggio.
Per questa mostra su Giacometti ho preso centinaia di pagine di appunti. E poi vado sempre nei luoghi in cui gli artisti hanno creato, per provare a capirli meglio, per vedere le cose come le vedevano loro, per cercare un’empatia. Mentre preparavo la mostra sono stato al passo del Maloja tra la Val Bregaglia e l’Engadina: volevo camminare sui sentieri sui quali aveva passeggiato Giacometti, guardare i paesaggi che ha dipinto: il Lago di Sils, il ghiacciaio del Forno, i picchi coperti di abetaie… Solo se vedi quegli alberi snelli e slanciatissimi capisci da dove arrivano gli uomini e le donne filiformi delle sculture di Giacometti. È con questo spirito che nasce la mostra. E che la rende diversa da tutte le altre.
Oggi invece dicono che le mostre siano tutte uguali. Anzi: che l’Italia è diventata un mostrificio.
Un po’ è vero. E poi negli ultimi anni la qualità si è abbassata decisamente. Gli enti pubblici hanno sempre meno soldi, gli sponsor privati sono in fuga, portare grandi opere e grandi nomi in Italia costa troppo, si offre sempre meno, si fanno esposizioni con cinque opere belle e 50 modeste, il pubblico è meno invogliato, si riduce il numero di biglietti e l’intero circuito delle mostre va in crisi.
La sua mostra più bella?
Forse “America! Storie di pittura dal Nuovo Mondo” al Museo di Santa Giulia a Brescia, 2007-08. Tre anni di lavoro, venti viaggi negli Usa: per raccontare il mito della Frontiera, degli spazi immensi, della vita degli indiani e dei cowboy, esposi 250 quadri prestati da 40 musei americani, più altrettanti pezzi fra fotografie d’epoca e oggetti rituali dei nativi. Una cosa mai fatta prima da noi. A una settimana dall’apertura della mostra c’erano già 80mila prenotazioni. Abbiamo chiuso a 205mila. La Tate di Londra e Amsterdam, sullo stesso tema, erano arrivati a 100mila biglietti.
Allora lei attivò una micidiale macchina di eventi per attirare pubblico: reading, film, concerti, testimonial: Mike Bongiorno, Dan Peterson, Battiato, Salvatores, Volo…
La comunicazione è importante. Ma non puoi comunicare il niente. Se hai qualcosa di bello, lo devi raccontare al meglio, tutto qui.
Luigi Mascheroni
*La presente intervista è la versione integrale di quella apparsa il 16 dicembre 2019 su ‘il Giornale’, in quel caso tagliata per ragioni di spazio, e pubblicata col titolo: “Posavo per mia nonna pittrice. Ora curo mostre da record”.
L'articolo “In Gold We Trust”: dialogo con Marco Goldin, il Signore Grandi Mostre. Ha portato 11 milioni di persone davanti a Van Gogh, Vermeer, Monet… proviene da Pangea.
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Un po’ Francia e un po’ Germania, non solo per la sua posizione sul fiume Reno, che segna il confine con la Germania, ma anche per la sua storia. Strasburgo è stata a lungo contesa tra le due nazioni. Per quasi mille anni è stata parte territorio dell’Impero Germanico finché nel 1681 Luigi XIV la occupò e la fece fortificare. Alla fine della Guerra Franco-Prussiana del 1870 torno in mano ai tedeschi; nel 1919 fu nuovamente annessa alla Francia e tornò di nuovo tedesca durante la Seconda Guerra mondiale, dal 1940 al 1945.
Da allora, non è solo una città francese ma anche l’emblema di un’Europa che si è combattuta per secoli e che oggi sembra aver trovato la pace, almeno militare, anche se non proprio una stabilità concreta. Non è stata scelta quindi a caso come Capitale europea sede di 3 importanti istituzioni: il Parlamento europeo, la Corte dei diritti dell’uomo e il Consiglio d’Europa.
Strasburgo, capoluogo del Grand Est, conta quasi 300.000 abitanti, Patrimonio dell’Umanità UNESCO sin dal 1988, rappresenta il tipico fascino alsaziano. Attraversata da una serie di canali e corsi d’acqua che formano la cosiddetta Grande Île, l’isola sulla quale sorge il centro storico.
Oggi Strasburgo una città affascinante, autentica e cosmopolita, anche grazie a quella doppia identità franco-tedesca che per secoli l’ha straziata, che alla fine le ha donato quel mix mash up di architetture e tradizione, per non parlare dell’incrocio delle due cucine quella francese raffinata e quella tedesca consistente e calorica e dei vini della regione, amabili ma decisi, vi basterà entrare nelle famose “winstubs”, una sorta di enoteca, per apprezzarli al meglio.
Per visitare Strasburgo al meglio è d’obbligo perdersi nei suoi vivaci vicoli medievali, nell’antico quartiere Petite France e li passeggiare sulle rive del fiume Ill, ma anche salire sul campanile della cattedrale e dai 142 metri di altezza ammirare i tratti caratteristici della città vecchia e i suoi singolari tetti, molto ripidi perché custodiscono soffitte a più piani, e infatti sono quasi tutti dotati di abbaini.
Vi troverete davanti una città interessante, ricca di arte e di storia e vi sarà subito chiaro perché gli “Strasbourgeois” siano così tremendamente orgogliosi della loro città e del suo notevole patrimonio architettonico.
Io ho adorato Strasburgo, l’ho visitata ben 3 volte e per tre anni consecutivi: la prima volta durante un viaggio in Alsazia, la seconda durante un viaggio in Germania nella confinante Foresta Nera e dintorni e la terza mentre ero diretta nella Champagne, partita in auto dall’Italia è stata la tappa della prima notte.
Ma vediamo nel dettaglio cosa offre Strasburgo ai viaggiatori:
LA CITTÀ VECCHIA
Strasburgo è una città incantevole nella sua interezza, ma la zona definita “Città Vecchia” vanta senza dubbio un fascino caratteristico e pittoresco. Andare alla scoperta del centro storico di Strasburgo è la prima cosa da fare in città per comprenderne la sua suggestiva e incantevole atmosfera. La Città Vecchia rappresenta l’Alsazia del passato, quella delle medievali case a graticcio con le loggette sulle mensole, le finireste a piccoli riquadri di vetro, le gallerie in legno e i piani superiori ad aggetto (consentiti in Alsazia anche dopo il 1681 benché banditi nel resto della Francia). Abitazioni dal fascino peculiare ognuna a modo suo e, nell’insieme, un meraviglioso quadro.
LA CATTEDRALE DI NOTRE DAME
Una visita a Strasburgo non può che cominciare dalla Cattedrale, una delle più alte espressioni del gotico in Europa, definita da Victor Hugo “prodigio di grandezza e leggiadria”. La straordinaria e imponente Cattedrale di Notre Dame, è senza dubbio l’emblema della città. La sua costruzione iniziata nell’anno 1015 con uno stile romanico, venne in seguito continuata con uno stile gotico fino a quando, nel 1439, i lavori vennero sospesi. Il risultato è comunque stupefacente, i 142 metri della sua guglia, meravigliano i viaggiatori. Dalla guglia si gode uno spettacolo straordinario sulla Grande-Ile e su tutta Strasburgo. La Cathédrale Notre-Dame, tra il XVII e il XIX secolo, fu l’edificio più alto del mondo. La facciata, con il suo portone scolpito, è una sorta di Bibbia raffigurante diversi episodi della vita di Gesù. Anche all’interno la cattedrale, seppur caratterizzati da un arredamento semplice e sobrio, è ugualmente suggestiva, grazie alle vetrate colorate, all’Orologio Astronomico del 1572 che ogni giorno alle 12.30 mette in moto un meccanismo con Cristo Benedicente, la processione degli Apostoli e un gallo che canta 3 volte e infine, davanti all’orologio, c’è il Pilastro degli Angeli con 3 ordini di statue.
PIAZZA DELLA CATTEDRALE
Piazza della Cattedrale è il fulcro del centro storico dove affacciano alcuni degli edifici più importanti della città. Oltre alla Cattedrale, da cui prende il nome, catturerà la vostra attenzione la Maison Kammerzell, la bella casa di Strasburgo che un ricco commerciante di formaggi fece costruire su alcune botteghe in pietra (ancora visibili). La parte superiore, che ospitava l’abitazione e il magazzino è realizzata tutta in legno e decorata con animali, guerrieri, figure grottesche. Oggi nella casa c’è un famoso ristorante. All’angolo con la casa c’è la Farmacia del Cervo del 1268, la più antica di Francia.
LA PETITE-FRANCE
La Petite-France è la parte meglio conservata del centro storico, la più romantica e la più fotografata. Qui per molti secoli hanno vissuto i mugnai, i conciatori e i pescatori del paese. Le dimore a graticcio sono rimaste quelle dei secoli XVI e XVII, con tetti spioventi, le finestre a filo d’acqua e i davanzali rigorosamente colmi di fiori. I fienili e le antiche botteghe sono oggi negozi di souvenir, ma questo non toglie nulla al fascino del luogo. Le chiuse dei due bracci del fiume Ill permettevano ai battelli provenienti dal Reno di risalire il fiume giungendo sino alle porte di quasi tutte le retrobotteghe. Il nome Petite France deriva dal nome di un ospedale che si trovava qui un tempo.
Uno degli angoli più visitati e fotografati della Petite-France è i “Ponts Couverts” (ponti coperti) che hanno conservato il nome anche se hanno perso le coperture nel 1700. Le torrette da cui sono dominati servivano da bastioni per la difesa nel caso di attacchi alla Repubblica di Strasburgo.
Nella zona un’altra delle eccezionali opere di Vauban (l’ingegnere militare che ho citato in arti articoli sulla Francia per le sue opere, in particolare in Bretagna) ed la Diga Vauban, una casa-diga progettata con l’idea di utilizzare l’acqua per inondare tutta la parte sud di Strasburgo in caso di attacco da parte del nemico. Bellissima col buio. In cima alla diga c’è un belvedere da cui godersi la vista sui ponti e sui tetti di Strasburgo. Dista circa 1 km dalla Cattedrale.
I MUSEI
Palais del Rohan Si trova a pochi metri dalla Cattedrale e ospita tre importanti musei: Belle Arti, Arti decorative e il Museo archeologico. Originariamente costruito per alloggiare i principi vescovi. La visita inizia nei sotterranei dove nel Museo archeologico viene raccontata la storia dell’Alsazia, dai cacciatori di mammut alla civiltà gallo-romana. Il Museo di arti decorative racconta e custodisce le ricchezze dei Cardinali di Strasburgo: porcellane, sculture, quadri, vasellame, oreficerie. Il museo più importante del Palazzo è quello di Belle Arti, tra i più importanti d’Europa, propone un’interessante percorso dalla nascita della pittura al 1870. L’Italia è ben rappresentata, per la verità la Toscana è il Veneto sono ben rappresentate, con Raffaello, Giotto, Filippino Lippi e Botticelli (i toscani), e Veronese, Canaletto, Tiepolo, Cima da Conegliano (i Veneti). Presenti anche molte opere di artisti spagnoli: Zurbaran, Murillo, Goya, El Greco e dell’olandese Van Dyck e del fiammingo (nato in Germania) Rubens. Il 1800 è rappresentato da opere di pittori francesi tra i quali Corot, Courbet Delacroix e Chasseriau. Si trova nei pressi della Cattedrale.
Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea Il Museo, che si trova nei pressi della Diga Vauban, prosegue il percorso artistico del Museo di Belle Arti (sopra) che si ferma al 1870.
Qui sono rappresentati i movimenti più importanti degli ultimi 140 anni: impressionismo, postimpressionismo, arte del novecento, fauvismo, espressionismo, surrealismo e oltre. Della raccolta permanente fanno parte opere di Monet, Picasso, Kandinsky, Duchamp, Ernst e un’intera galleria dedicata a Gustave Doré. Oltre alla collezione permanente, il museo ospita mostre temporanee sulle tendenze artistiche attuali.
Se siete in visita è d’obbligo salire sulla terrazza a prendere un caffè mentre ammirate i paesaggio sulla Petit-France e sui Ponti Coperti. Dista 1,3 dalla Cattedrale.
Musée de l’Œuvre Notre-Dame (Museo dell’Opera di Notre-Dame) Si trova di fronte la Cattedrale in Place du Château, è un piccolo museo che raccoglie il meglio dell’arte medievale e rinascimentale di Strasburgo, dell’Alsazia e di tutto l’Alto Reno.
Il museo merita la visita per: la Testa di Cristo proveniente da Wissembourg, considerata la più antica vetrata figurativa conosciuta; il dipinto degli “Amanti Defunti” una macabra rappresentazione di una coppia ancora in piedi ma già attaccata dai vermi che vuole offrire una riflessione sulla vanità e la fragilità dell’amore, della gioventù e della bellezza; la coppia di statue che rappresentano la afflitta e vinta Sinagoga (l’ebraismo) e la Chiesa, serena e vittoriosa; e il dipinto con Santa Caterina e Maria Maddalena di Conrad Witz uno dei più importanti pittori tedeschi.
PONT DU CORBEAU
La struttura del Pont du Corbeau, in arenaria rosa e pietra, ha assunto l’aspetto che ha ora nel 1890. Fino ad allora il ponte era conosciuto con un nome macabro Schindbrücke (ponte di tortura), ciò perché in questa zona della città avvenivano le esecuzioni pubbliche e i condannati venivano gettati nel fiume Ill legati a sacchi di terra.
Gabbie di metallo poste alle estremità del ponte servivano per esporre pubblicamente i truffatori minori come: l’oste che tagliava il suo vino con l’acqua o il panettiere che imbrogliava sul peso del pane. Gli imbroglioni, insomma.
Negli edifici del ponte anche un museo, il Museo Storico della città dal 1920. Riaperto nel 2007, era stato chiuso vent’anni per ristrutturazione. Il museo racconta la storia urbanistica della città attraverso il suo carattere politico, economico, sociale e culturale, attraverso una raccolta di oggetti civili e militari, dipinti, disegni e sculture dal Medioevo al XVIII secolo. Nonostante un patrimonio di oltre 200.000 oggetti, i visitatori possono ammirarne solo 1.650.
Dietro l’edificio, la Place du Marché-aux-Cochons-de-Lait (Piazza del mercato dei maialini da latte). Nella piazza diversi ristoranti e le famose enoteche/cantine, le winstubs dove fermarsi a fare tappa enoica. La piazza e la vicina Rue du Maroquin meritano la visita anche per le case a graticcio, tra le più belle della città che conferiscono al quartiere un aspetto da cartolina.
LE ISTITUZIONI EUROPEE
La visita qui non è certo per rendere omaggio alle istituzioni europee, almeno per molti, la visita è consigliata per ammirare i palazzi in cui sono ospitati il Parlamento Europeo, il Consiglio e la Corte europea dei diritti dell’uomo per il loro aspetto architettonico. Si trovano lungo le rive dell’III, affluente del Reno. Grazie alla presenza di queste istituzioni Strasburgo è di fatto la Capitale d’Europa.
Il Parlamento Europeo si visita solo in gruppo, non è prevista la visita individuale, la richiesta è sempre consistente quindi, se siete interessati, conviene prenotare con molto anticipo attraverso il sito del Parlamento.
Il Palazzo del Consiglio d’Europa è visitabile sia in gruppo con visite guidate che in autonomia, con delle limitazioni (solo gli spazi pubblici). Per info, date, orari consultate il sito Internet.
Anche per la Corte europea dei diritti umani richiede una prenotazione obbligatoria per minimo 15 persone. Verificare sul sito.
STRASBURGO IN BATTELLO
Strasburgo è una città sull’acqua, interamente costruita sulle acque del Reno e dell’III, pertanto per avere una prospettiva diversa è consigliato in giro in battello. Chi mi segue sa che sono una fan delle città sull’acqua, attraversate da corsi d’acqua, dei luoghi bagnati dall’acqua, mare, Oceano in genere. Quindi non posso che consigliare il giro in battello. I battelli della compagnia Batorama partono dal molo vicino alla Cattedrale e offrono due diversi percorsi: Strasburgo storica e Petit-France. Il tour della Strasburgo storica dura 70 minuti ed è disponibile tutti i giorni dell’anno, da 4 a 22 corse al giorno a seconda del periodo al costo di euro 9,60. Il tour della Petite-France dura 45 minuti e offre una sola corsa al giorno al costo di euro 7,20. Per info su imbarco, orari e altro visitate il sito
QUARTIERE L’ORANGERIE
Un elegante quartiere, non troppo distante dal centro della città, dove si trovano alcune delle più belle ville della città e le maggiori ambasciate estere. Oltre a questo la peculiarità del quartiere è l’enorme parco de l’Orangérie, risalente alla fine del XVII secolo, dove furono piantati 138 alberi di aranci, da questo il suo nome. Nel polmone verde di Strasburgo non mancano simpatiche specie animali, la metà ideale per gli amanti delle passeggiate nella natura “in città” o per chi vuole rilassarsi in un angolo bucolico. Dista 1,5 km dal centro (Cattedrale) ed è raggiungibile in 20 minuti a piedi.
QUARTIER KRUTENAU
Situato tra il centro città e i quartieri universitari è oggi un quartiere giovane e vivace ma con una storia antica, questa zona un tempo era attraversata da canali e abitata da pescatori e battellieri. Nel quartiere infatti si fondono in perfetta armonia tradizione e modernità. Tra i vicoli del quartiere, dove affaccino case ed architetture dall’aria retrò, si trovano gallerie d’arte, boutique di moda e molti locali dove assaggiare le specialità culinarie locali. Dista 800 metri dal centro (Cattedrale) è raggiungibile in 10 minuti/un quarto d’ora a piedi.
ORTO BOTANICO DELL’UNIVERSITÀ DI STRASBURGO
L’area dell’Orto Botanico dell’Università di Strasburgo offre oltre seimila specie botaniche, una serra rigogliosissima, alberi imponenti e secolari, la visita è un’occasione unica per conoscere al meglio le meraviglie floreali del territorio ma non solo quelle. La visita è gratuita ed è aperto dalle 14.00 alle 16.00. Dista 1,5 km dal centro (Cattedrale) e ci si arriva in 20 minuti a piedi.
Questi i miei suggerimenti ma Strasburgo, per quanto piccola, ha comunque molto altro da offrire, come tutta l’Alsazia, date un’occhiata anche a quest’articolo, sui villaggi da non perdere e programmate una visita.
Strasburgo: cosa vedere nella capitale d’Europa Un po’ Francia e un po’ Germania, non solo per la sua posizione sul fiume Reno, che segna il confine con la Germania, ma anche per la sua storia.
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È ora di dirlo, chiaro e netto. A dire la verità non è la prima volta che lo faccio, ma ora lo farò fuor di denti: l’Islam è, per sua stessa natura, contro ogni forma di democrazia, rispetto dei diritti umani, inclusi quelli religiosi, politici, civili, sessuali, qualunque cosa decente abbia prodotto la nostra (tanto vituperata da alcuni stessi suoi membri, che evidentemente non hanno la minima idea della storia del mondo) civiltà occidentale.
Sono nostri nemici, nemici mortali di qualunque cosa non rientri nel loro libro sacro, che NON è interpretabile e emendabile in nessun modo: se non ci credete, anime belle, sono decisamente e totalmente cazzi vostri; informatevi o meno, non fa nessuna differenza. E del terzomondismo novecentista in cui ancora credete ciecamente, per cui loro sarebbero proletari esattamente come voi, loro se ne sbattono: siamo tutti uguali, tutti cani infedeli, alcuni da usare e sfruttare per meglio sottometterci poi. E se li paragonate al Cristianesimo, che qualche passetto avanti l’ha fatto, per sua scelta o per la volontà di stati laici e democratici che qui in Occidente sono nati, e per la maggior parte sono ancora solo qui, manco vi rispondo, anzi no, andate a cagare.
Sono pochi, sono radicalizzati, sono lupi solitari, non cambieranno le nostre abitudini, sono cose con cui dobbiamo imparare a convivere, occorre che nelle loro moschee i sermoni (o come caspita si chiamano, affari loro) vadano enunciati nella lingua del paese dove sono situate, bisogna educare, integrare, assimilarci e, magari, meticciarci, bisogna evitare atteggiamenti di insofferenza e di esibizione di nostre tradizioni religiose o, peggio, d’odio da parte nostra, per non indurli in tentazione (Dio, perdonami di questa citazione) di accopparci come cani infedeli.
Ancora dubbi? Andate a toglierveli, che ne so, in Pakistan, magari chiedendo ad Asia Bibi che ne pensa della libertà religiosa nei paesi islamici e, se magari credete che sia prezzolata dal capitale o dal Vaticano, andate, andate in giro con croce al collo e col vostro cane, diciamo nero, al guinzaglio, andate a predicare il Vangelo esattamente nello stesso modo che i barbuti fanno dalle nostre parti col loro libro sacro, andate e fatemi sapere … ah, sì, dimenticavo: ho idea che non ci vedremmo per un bel po’ di tempo.
E voi, animalisti incazzati, andate a vedere che fanno, qui accanto a voi, con la loro festa dell’Eid Al Adha, voi che gridate al macello e cominciate a berciare come tanti piccoli Savonarola per le macellerie ad ogni agnello pasquale che vedete in vetrina. Andate e informatevi sul modo che hanno loro di macellarli. Ma di questo, manco una parola, eh?
Ma chi se ne sbatte, il tempo dei sofismi e dei ragionamenti pacati è finito, e l’hanno fatto finire loro, gli islamici voglio dire, e voi, già citate anime belle, che manifestate e protestate al minimo alzo di sopracciglio di un maschio (di etnia indoeuropea, ariano per intenderci) come apprezzamento verso una donna e vi girate dall’altra parte, o riuscite perfino a minimizzare, di fronte a raccapriccianti fatti di cronaca, se commessi da individui di etnia africana o mediorientale (vedi gli stupri di Rimini dell’agosto ‘17, gli infami assassinii di Pamela e Desirée), più millanta altri fatti criminali di cronaca, fatti che, vale davvero la pena di ricordare, non sarebbero mai successi se agli autori non fossero state allegramente aperte le porte d’Italia, permesso di rimanere vita natural durante e garantito un mantenimento a sbafo.
Il clima di odio e paura che le destre e la Lega hanno e stanno creando? Errore: il clima di odio e paura l’avete creato voi, eh, sì, proprio voi, cari amici di sinistra e cattolici buonisti, non regolamentando gli arrivi incontrollati degli sbarcanti, non comunicandone i numeri fuori controllo e l’eventuale numero massimo delle persone da ospitare, passando sotto silenzio i costi dei mantenimenti di baldi giovanotti (la stragrande maggioranza, contro minoranze sparute di donne e minori), argomentando senza criterio di fughe dalle guerre quando, se questa cosa fosse stata vera, altro costoro non sarebbero potuti essere chiamati che vili codardi, avendo abbandonato al loro tragico destino di assassinii, stupri, schiavizzazione, saccheggi e altro i loro genitori, fratellini e sorelle, nonni e via col parentado, sottraendo anche loro i risparmi per pagarsi il viaggio verso il Bengodi europeo, soprattutto italiano, direi, coprendo loschi affari con le cooperative locali (vi ricorda niente Massimo Carminati e mafia capitale?) e opache ONG, che altro si è visto che non erano che traghetti diretti Libia/Italia, giustificando occupazioni illegali di stabili, avendo più un occhio di riguardo per i non Italiani che per i cittadini regolari, sia per quanto riguarda gli emolumenti che per i crimini commessi, insistendo oltre ogni decenza per l’approvazione dello ius soli, che altro non era che un modo per trovare nuovi voti per le imminenti elezioni del marzo ‘18, sapendo benissimo che i vecchi li avevate ampiamente persi.
In pratica, finché avete potuto avete nascosto sotto il tappeto tutto quanto sopra. Poi il tappeto non è più riuscito a contenere quanto ci avevate infilato sotto e le cosucce sono venute alla luce. Salvini & Co. questi scheletri nell’armadio non li hanno certo creati, gli autori siete decisamente voi e, questo sì, della cosa ne hanno approfittato, hanno cavalcato l’onda del malcontento popolare che voi stessi avete provocato, se ne sono ampiamente giovati sotto il profilo elettorale e di successivi consensi.
E giuratemi sui vostri figli, se li avete, o su quel che vi pare che non vi viene il minimo dubbio, la minima esitazione, la seconda occhiata al prossimo mediorientale che incrociate per strada o su un mezzo pubblico, con cui magari condividete il condominio, con cui lavorate insieme (dei ricchi radical chic non mi occupo, certo loro non vanno sui bus, non vivono nei condomini e il lavoro, se lo fanno, non è certo alla catena di montaggio).
Ve ne rendete conto? Macchè, lo so benissimo, Non siete altro che comunisti di Pavlov®, che gridate in riflesso condizionato al fascista al minimo accenno di opinioni diverse dalle vostre; non fate neanche più ridere, guardate.
E adesso, viva sempre la libertà di parola e di manifestazione, andate a esporre le vostre tesi di accoglienza senza se e senza ma e di integrazione, andate pure liberamente e, ovviamente, senza censure, andate a dirle alle famiglie delle vittime dell’infame musulmano e dei feriti ricoverati in ospedale, tra cui, con la faccia da culo che vi ritrovate, pure ai parenti del povero Antonio Megalizzi, il giornalista italiano che si ritrova una pallottola nel cervello. Andateci pure, infami.
E manco un ripensamento, manco un dubbio, manco una resipiscenza: fate, fate pure, che col vostro atteggiamento da struzzi con la testa sotto alla sabbia siete i migliori fiancheggiatori, i perfetti utili idioti di quelli che vogliono fare di tutta l’erba un fascio (paragone azzeccato e voluto) e cacceranno o tenteranno di cacciare tutti i non Italiani, buoni e no, sbarcati e residenti regolari da anni, magari in retate simili a quelle di tragica memoria, come nell’autunno 1943 a Roma. Teste di cazzo, imbecilli, ciechi, nella migliore delle ipotesi tonti alla Forrest Gump! E, se siete troppo giovani per averli visti, ecco i cartelli esposti un tempo in tanti piccoli esercizi di paese: questo succederà, e gran parte sarà stata solo colpa vostra.
P.s.: e fate un pensierino anche su che avrebbero fatto, e hanno già fatto in situazioni simili, paesi del cosiddetto socialismo reale, come nel Xinjiang in Cina, furbacchioni.
Ri-p.s.: siete peggiori di lui, che almeno nella sua testa bacata ha accoppato gente perché crede in qualcosa di trascendente. Voi, invece, siete solo dei consapevoli e volenterosi complici di tanta nefandezza.
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Jorge Fraile Iturralde sta scontando 25 anni di carcere per la collaborazione con un gruppo armato, possesso di esplosivi, danni e tentata strage, in carcere dal novembre dello scorso anno presso la prigione di Badajoz.
ETA: muro contro muro tra Strasburgo e Madrid per l’avvicinamento del volontario Jorge Fraile Iturralde
Come riportato dalla Corte di Strasburgo nel 2016, l’ETA (Euskadi Ta Askatasuna), nell’arco dei negoziati, ha richiesto un cambiamento di prigione per essere più vicino alla sua famiglia a Durango (Vizcaya), sostenendo che la difficoltà di un viaggio di 700 chilometri per la moglie e la figlia e i suoi genitori, di età avanzata, che non erano mai stati in grado di fargli visita a Badajoz, devono essere portate a soluzione. Ciononostante, le loro domande sono state respinte dalla Corte Nazionale di Madrid, che continua a fare dietrofront sul passaggio chiave dell’intero processo di risoluzione, rappresentato dall’avvicinamento dei prigionieri della formazione basca verso le galere di Euskal Herria, sottoponendo a continue sollecitazioni la tenuta stessa della fragile “tregua permanente” dell’ETA. Il tribunale, da far suo, sostiene che la politica generale penitenziaria applicata ai membri dell’ETA e la lealtà del detenuto nei confronti del gruppo terroristico, non lascerebbero spazio per l’avvicinamento del detenuto politico.
Ha anche tenuto conto del fatto che secondo i rapporti del carcere hanno dimostrato che “Fraile Iturralde aveva avuto contatti regolari con parenti e amici intimi”. La Corte Costituzionale ha quindi respinto la richiesta ritenendo che il mantenimento della distanza non rappresentava una violazione dei diritti fondamentali, perché l’etarra basco, Jorge Fraile Iturralde, contrariamente all’appello presentato alla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) relativo alla decisione arbitraria ed eccessivamente formale dei tribunali spagnoli. Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha emesso il suo giudizio sul ricorso per il trasferimento da Badajoz ai Paesi Baschi aprendo il sipario de facto sull’ennesimo braccio di ferro tra Strasburgo e Madrid in tema Etxerat dei detenuti della storica formazione armata di sinistra, europea.
da lesenfantsterribles.org
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Di Maio e Di Battista in viaggio in auto verso Strasburgo. Uno fa le curve a destra e l'altro a sinistra.
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BASILEA IN TOUR A DUE RUOTE.
Come scoprire un’ideale rete personale di percorsi attraverso Basilea?
I percorsi più brevi attraverso la città se si vogliono percorrere percorsi veloci o piacevoli se si ha abbastanza tempo.
Con la mappa ciclabile di Basilea
si ottiene una rapida panoramica per ciclisti nella città elvetica. Ad esempio, si troveranno parcheggi per biciclette più grandi, pompe per biciclette, strade con poco traffico, pendenze e tratti dove la bicicletta non è consentita. La più grande raccolta di piste ciclabili promette bikemap ovvero un’applicazione e un portale che illustra al meglio i 4,6 milioni di piste ciclabili in tutto il mondo. Non importa come ci sii trovi sulla strada, che si tratti di bici da corsa, city bike o e-bike.
Grazie alla funzione di ricerca, si puo’ tenere traccia delle cose.
bikemap è disponibile anche come app per iOS e Android quando si è in giro. I ciclisti possono percorrere in tutta tranquillità lungo un percorso adatto attraverso Basilea: è possibile il proprio percorso in base alla propria andatura se sia questa tranquilla, normale o veloce. E con la funzione "5 minuti in bici", la mappa mostra quanto si può arrivare in bicicletta in 5 minuti (o 10, 15, 30 minuti) dal punto di partenza. Comodo per un giro veloce.
Potete trovare molti suggerimenti per la Svizzera e in particolare per l'area di Basilea su Baselland Tourism.
E Outdooractive ha messo insieme per voi i 10 tour in bicicletta più belli di Basilea e dintorni. Sul sito Web è possibile filtrare in base alle proprie esigenze, ad esempio se il percorso è adatto alle famiglie o quali bei ristoranti ti aspettano. Promettenti tour attraverso gli affascinanti paesaggi dei cantoni di Basilea Città, Basilea Città, Soletta e Argovia sono disponibili su velotouren.ch e su Schweiz Mobil trovate itinerari locali e regionali e interessanti resoconti di viaggio. Con un po’ di tempo a dsposizione (otto giorni per la precisione), è possibile pianificare una vacanza in bicicletta sulla pista ciclabile del Reno da Basilea a Strasburgo su velotrek.ch.
E se si sta cercando una connessione, si troverà un gruppo consolidato di amici di bici da corsa alla Pro Velo a Basilea a cui si è i benvenuti.
Per i lavoratori dipendenti o pensionati vi è anche un'ampia varietà di offerte sul sito web di Basel Velotour, con ciò traendo ispirazione da brevi clip che consentono di guidare attraverso Basilea e la regione in sella alla propria bicicletta.
Nel prossimo “numero”, alcuni suggerimenti per coloro ai quali piace camminare!
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L’Alsazia una tra le regioni più belle delle Francia
In un incontro tra il mondo germanico e quello latino, l’Alsazia presenta per il turista un mosaico di colline, di montagne, di pianure; costellate di castelli, di vigneti e di villaggi tipici, come Riquewihr o Hunspach. Il Parco naturale regionale dei Ballons des Vosges si presta a infinite passeggiate, come anche il Parco naturale regionale dei Vosges del Nord.
L’Alsazia fa parte di quelle regioni di carattere, classificate fra le più belle di Francia, che hanno saputo preservare un’identità fondata sull’arte di vivere e sulla loro storia.
A Strasburgo, ad esempio, all’ombra della celebre Cattedrale Notre-Dame, gli innamorati vanno a passeggio nel quartiere della Petite France mentre, gli amanti della cultura, vanno alla scoperta di musei , fra cui il Museo di Belle Arti. Anche Colmar promette un soggiorno ricco di sorprese, dal bel Museo d’Unterlinden al fascino pittoresco della Petite Venise, simboleggiato per esempio dalla Maison Pfister.
Mulhouse offre scoperte emozionanti di cui: il Museo Nazionale dell’Automobile, la Città del Treno e il Parco Zoologico e Botanico. Dal Museo Vauban al Memoriale dell’Alsazia-Mosella, dal Castello dell’ Haut-Koenigsbourg al Castello dell’ Hohlandsbourg, passando per il Monastero del Mont Sainte-Odile.
Ma non è tutto, il savoir-faire gastronomico e le tradizioni artigianali dell’Alsazia sono protagoniste di numerose fiere quali: Fiera dei vini d’Alsazia, Fiera di Mulhouse e la Fiera europea di Strasburgo.
Siete appassionati d’arte e di cultura? Il Festival Internazionale di Colmar, Léz’arts scéniques o Pisteurs d’étoiles vi emozioneranno. L’Alsazia è perfetta anche per essere scoperta con tutta la famiglia: il Parco Bioscope, la Volerie des Aigles, dove volano le aquile, o la Montagna delle Scimmie appassionano infatti grandi e piccini.
Gastronomia, vini, città e villaggi di charme, senso dell’accoglienza : l’Alsazia è tutto questo
Ecco si seguito 3 spot da non perdere in Alsazia
I 30 anni del festival internazionale di Colmar
Colmar, La Petite Venise
La fama del Festival Internazionale di Colmar ne fa il ritrovo estivo per tutti gli appassionati. Il Festival, la cui direzione artistica è affidata al famoso direttore d’orchestra Vladimir Spivakov, viene regolarmente inserito fra i 10 migliori festival del mondo dal New-York Times.
Il Festival presenta ogni anno una programmazione gioia degli amanti della musica classica. Ogni anno, il tema portante è l’omaggio a un grande musicista, permettendo di affrontare tutti i repertori e riscoprire grandi classici. Correte a scoprire quale sarà il tema di questa trentesima edizione.
La biblioteca umanista di Selestat – patrimonio mondiale dell’UNESCO
A metà strada tra i grandi centri intellettuali dell’Italia e dei Paesi Bassi, Selestat gioca un ruolo chiave. La sua scuola latina, è stata una delle più rinomate del Sacro Romano Impero Germanico e ha formato nel corso di un secolo centinaia di allievi. Testimonianza unica e inimitabile di questa storia, è la biblioteca della scuola latina e quella del saggio. Beatus Rhenanus, inserita dal 2011 nel Patrimonio UNESCO. La biblioteca è oggetto di ristrutturazione e sarà riaperta in giugno. L’opera di ristrutturazione è stata affidata all’architetto Rudy Ricciotti. L’ampliamento e la ristrutturazione sono volti a cercare il corretto equilibrio fra storia e modernità..
La nuova museografia creata dall’Atelier A Kiko et Mosquito sarà poi un viaggio impressionante nel cuore dei libri del pensiero umanista. Appuntamento a giugno 2018 per l’inaugurazione.
Viaggio al museo Lalique. L’arte del vetro in Alsazia
“Lavorerei instancabilmente (…) con la volontà di realizzare qualcosa di nuovo e creare qualcosa che non sia mai stato visto prima“. René Lalique
L’arte delicata di René Lalique si racconta a Wingen-sur-Moder, in un museo in cui la museografia assomiglia a colui che l’ha ispirata inventandosi dal 1921. In questo scrigno di verde nei Vosgi del Nord, il Museo Lalique, non lontano dal sito di produzione Lalique, è un gioiello dedicato alla famosa marca di gioielli e oggetti decorativi. È un posto tutto da scoprire, che racconta la delicata arte di René tra oggetti preziosi, disegni e tanto altro.
Che dire, l’Alsazia vi aspetta. Buon Viaggio.
Luca Ferri
Maggiori Info: https://www.tourisme-alsace.com/ www.tourisme-mulhouse.com/ www.alsace.com/ www.festival-colmar.com www.bibliotheque-humaniste.fr www.musee-lalique.com/ http://atout-france.fr/ https://www.france.fr/fr
Alsazia. Musei, festival & patrimoni Unesco L'Alsazia una tra le regioni più belle delle Francia In un incontro tra il mondo germanico e quello latino, …
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Dalla pazza settimana a Wisła ad un pullman fermo in mezzo all'autostrada con 30 bambini dentro. Da un viaggio per Strasburgo interrotto a Milano ancor prima di cominciare ad un mese di "guerra" ad Arenzano. Ma potrei andare avanti. / Vai, @spatolaalberto, e insegna ai belgi come andare alla Coop di Arenzano per fare spesa per 50 persone per poi tornare con dieci lampadine in offerta che «Matte non puoi capire che colpo ho fatto». E devo ancora capirlo 💡 / Genova does it better. In bocca al lupo, vez! / (Foto accuratamente scelta del preciso momento in cui probabilmente realizzavamo con i nostri occhi la stronzata che stavamo per fare di lì a poche ore) https://www.instagram.com/p/CBsZKEmoPRn/?igshid=5gnoz60kf3pj
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Londra, Praga, Porto, Barcellona e Strasburgo raccontate da exapt italiani che qui hanno trovato il loro percorso creativo https://ift.tt/3gSeOxl Viaggio in Europa con giovani artisti Londra, Praga, Porto, Barcellona e Strasburgo raccontate da exapt italiani che qui hanno trovato il loro percorso creativo Londra, Praga, Porto, Barcellona e Strasburgo raccontate da exapt italiani che qui hanno trovato il loro percorso creativo
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20 GEN 2020 13:40IVA ALL'80 (OGNI ANEDDOTO È UN ROMANZO) - ''MI PENTO DI ESSERMI RIFATTA IL NASO E DELLA COPERTINA DI 'PLAYBOY'. TELEFONAI ALL’UNICO GIORNALAIO DI LIGONCHIO SCONGIURANDOLO DI NASCONDERE TUTTE LE COPIE: MIA MADRE MI AVREBBE RIEMPITA DI BOTTE. MENÒ MIA SORELLA PERCHÉ…'' - ''SONO ENTRATA IN POLITICA PER VENDICARE MIO PARE. SI CANDIDÒ E PRESE UN SOLO VOTO, IL SUO. NEANCHE QUELLO DELLA MOGLIE. LA PRESE PER IL COLLO E LEI... - WALTER CHIARI MI DISSE 'STASERA NOI DUE FACCIAMO L'AMORE'. PENSAVA MI OFFENDESSI''
Aldo Cazzullo per il ''Corriere della Sera''
Il naso di Iva Zanicchi.
«Dopo due femmine, mio padre Zefiro voleva il maschio. Arrivai io. Per tre giorni rifiutò di vedermi. Poi scoprì che ero identica a lui. Le mani, i piedi, il sorriso. Il naso».
L’aquila di Ligonchio.
«Le mie sorelle mi chiamavano Pinocchio. Un complesso terribile. Lo superai solo quando cantai a Sanremo Zingara, con i capelli raccolti in una treccia e il naso bene in vista. Solo allora me lo sono rifatto».
Soddisfatta?
«È una delle due cose di cui mi pento nella vita. Mi sono amputata una parte di me. Un pezzo della mia identità».
L’altra cosa?
«Quando prima di compiere quarant’anni posai nuda su Playboy. Vidi la copertina e fui presa dal panico. Telefonai all’unico giornalaio di Ligonchio scongiurandolo di nascondere tutte le copie: mia madre Elsa mi avrebbe riempita di botte».
A quarant’anni?
«Se è per questo, mamma picchiò mia sorella Maria Rosa il giorno delle nozze: non voleva più sposarsi».
La convinse?
«Mia madre pesava 114 chili ed era convincente».
Lei, Iva, è nata in questi giorni, ottant’anni fa.
«L’inverno del 1940 fu il più nevoso della storia. La strada per Vaglie di Ligonchio, il paese di mamma, mille metri sull’Appennino, era bloccata. Che poi non era una strada ma una mulattiera. Nonno Adamo scese in slitta a prendere l’ostetrica, detta e guff, il gufo, perché era così brutta che i bambini appena messa fuori la testina non volevano più uscire. Ma e guff si rifiutò di mettersi in viaggio sotto la neve».
E sua mamma?
«Fece tutto da sola. Stava mungendo le mucche. Sono nata in una stalla: come Gesù. Non escludo che mi abbia deposto nella mangiatoia».
Il suo primo ricordo?
«Pippo. L’aereo che andava a bombardare la centrale elettrica. Scappai di casa per vederlo. L’aviatore mi fece un cenno di saluto, che ricambiai. Poi lo raccontai a mamma. Che mi riempì di botte».
E suo padre?
«Era prigioniero dei tedeschi, in un campo vicino a Dresda. Tornò che pesava 40 chili. Io mi ero immaginata un eroe: vidi uno scheletro che aveva un piede in una scarpa rotta e l’altro in uno zoccolo. Rimasi delusissima. Piansi per due notti: anche perché prima nel lettone con la mamma dormivo io, e adesso dormiva lui. La terza notte arrivò da me con una carta da zucchero, piena giustappunto di zucchero: “Questo è per te, non dirlo alle tue sorelle” mi sussurrò. Da quella notte fu il mio babbo».
A lungo gli Imi, gli internati militari in Germania, non trovarono il coraggio di raccontare quel che avevano subito.
«Anche mio padre all’inizio non ne parlava mai. Poi ci disse che stava morendo di fame, ed era uscito per scavare qualche patata. Fu bastonato a sangue e condannato a essere fucilato il mattino dopo. La notte un vecchio riservista lo nascose e gli salvò la vita. Capii che mio padre era davvero un eroe. Lo scrissi in un tema. Il maestro mi rimproverò: per lui esistevano solo i partigiani. Ma anche quella di mio padre e degli altri prigionieri fu Resistenza».
E i nonni?
«Il nonno paterno, Antonio, era andato in America a cercare fortuna. Tornò più povero di prima. Faceva il boscaiolo nel Montana; arrivò la grande crisi del legname. L’altro nonno, Adamo, aveva fatto la Grande Guerra. Sua madre, Desolina, aveva un’osteria e una voce potentissima, da soprano drammatico: venivano dai paesi attorno per ascoltarla. Una domenica arrivò uno da Parma che voleva portarla in città a studiare canto e a conoscere Verdi, che era ancora vivo. Il suo fidanzato, mio bisnonno Lorenzo, per gelosia si oppose. In cambio lei si fece sposare. Morì cantando come un usignolo».
Che nome è Desolina?
«In paese non c’era un nome da cristiano. Una ragazza si chiamava Brandina. Un’altra Nicola: quando obiettarono al padre che era un nome da maschio, rispose che finendo per “a” doveva essere per forza un nome da femmina. Mio zio si chiamava Pronto, anche se tutti lo chiamavano Veraldo: che non era granché, ma era pur sempre meglio di Pronto. Mia zia Argentina chiamò le figlie Italia e Emilia. In compenso tutte le donne del paese avevano voci bellissime. In chiesa era commovente sentirle cantare, senza musica, in modo celestiale».
E lei?
«Io avevo una voce un po’ mostruosa, da contralto. Il prete mi sgridava: Iva canta piano, che copri gli altri bambini».
È vero che da piccola rischiò di morire?
«Avevo la febbre a 42 per un ascesso. Le zie tentavano di consolare mia madre: “Iva non ce la farà, ma avremo un angelo che pregherà per noi in paradiso…”. Sentii e feci il gesto dell’ombrello. Altro che angelo…».
La sua carriera comincia con il Disco d’oro di Reggio Emilia.
«Lì conobbi Gianni Morandi, che era fuori concorso perché troppo giovane, e una ragazza che portava un cappellino con veletta: Orietta Galimberti».
Orietta Berti?
«Lei. Insieme cantammo a Sala Baganza, Parma. L’impresario ci fece uno scherzo feroce: disse ai musicisti che in camerino c’erano due entraineuse a disposizione, Orietta e Iva. Entra il pianista, mi chiede “tu sei Orietta o Iva?”, e mi scaraventa sul letto. Scoppiai a piangere: “Allora aveva ragione mamma, a dire che le cantanti sono tutte puttane!”. Lui ci rimase malissimo. Si chiamava Angelo. Diventò il mio primo fidanzato».
Fu la sua prima volta?
«Niente sesso. Mamma non voleva. Persi la verginità a 27 anni, con l’uomo che ho poi sposato: il figlio del proprietario della casa discografica Ri-Fi».
Fu alla Ri-Fi che incontrò Mina?
«Più che Mina, incontrai la sua scia. Una volta le vedevo le gambe, l’altra volta la nuca. Era già una star; eppure non mi ha mai potuto soffrire. Un anno Mina era in Messico, e Antonello Falqui mi propose di aprire Studio Uno con una canzone, subito dopo Carosello: una roba da 25 milioni di spettatori. Mina interruppe la tournée e si precipitò in Italia: “Se prendete quella ragazzotta, perdete me”. Mi cacciarono».
Ma lei cosa pensa di Mina?
«Tecnicamente è stata la più grande. L’ho sempre ammirata ma non l’ho mai temuta: quando dovevo aprire l’ugola dal vivo, non ce n’era per nessuno. Così, quando mi proposero un duetto con lei al Lido di Venezia, accettai subito. Mina rifiutò. Fui sostituita da Claudio Villa».
Con Claudio Villa lei vinse il suo primo Sanremo, nel 1967.
«Ricordo ancora le urla: “Si è ammazzato Tenco!”. Preparai la valigia: ero convinta che avrebbero sospeso il festival. E avrebbero dovuto farlo. Una rivista mi propose la copertina, se fossi andata a deporre rose rosse sulla sua tomba. Li mandai a quel paese».
E Ornella Vanoni?
«Ogni volta a Sanremo trovava il modo di gettarmi nel panico. Stavo per salire in scena e mi faceva: ma come ti hanno truccata, ma quanto ti sta male quel vestito… A me però è sempre stata simpatica».
Nel 1969 lei rivinse con Zingara.
«Oggi mi farebbero cantare: “Prendi questa mano, rom…”».
Perché ha fatto politica?
«Per vendicare mio padre. Si candidò per il Psdi: prese un solo voto, il suo. Neanche quello della moglie. Lui la afferrò per il collo, furibondo. Lei rispose: “Non posso andare all’inferno per colpa tua!”. Il parroco le aveva prospettato le fiamme eterne se avesse votato, non dico comunista, ma socialdemocratico».
Come ricorda il primo incontro con Berlusconi?
«Mi avevano offerto un sacco di soldi per condurre una trasmissione. Rifiutai. Mi invitò a casa sua. Andai in bicicletta — abitavo già qui a Lesmo, vicino ad Arcore —, decisa a chiedere il triplo. Mi portò in un teatrino con il pianoforte. Pensai: ora mi tocca cantare. Cantò lui, per un’ora. Mi affascinò. Parevo Fracchia. Firmai alla cifra che mi avevano proposto».
È rimasta celebre una telefonata di Berlusconi mentre lei era in tv da Gad Lerner: “Iva, si alzi ed esca da quel postribolo!”.
«Quella sera tutti attaccavano Silvio, e io lo difendevo. Ma quando Lerner mi chiese della Minetti, risposi che di lei non mi importava nulla. Berlusconi non stava guardando; la Minetti purtroppo sì, e lo avvisò. Così lui fece quella scenata. Ovviamente rimasi in studio. Qualche giorno dopo ci fu una festa di Forza Italia. Le donne mi guardavano con disprezzo: “Tu cosa ci fai qui? Non ti vergogni?”. Silvio invece mi abbracciò: “Iva, come mi difendi tu non mi difende nessuno!”».
Cosa dovrebbe fare ora?
«Liberarsi da molte delle persone che lo circondano. Parlargli è diventato impossibile. Oggi per me Berlusconi è Piersilvio. Che si sta dimostrando un bravissimo imprenditore».
Come finisce in Emilia?
«Tutti dicono che vincerà la destra. Ma io conosco gli emiliani. Certi contadini hanno ancora il ritratto di Stalin. Secondo me alla fine la sinistra tiene».
Lei per chi voterebbe?
«Io di sinistra non sono, ma guardo le persone. Ho visto in tv la Borgonzoni e non mi è piaciuta. Questo Bonaccini ha governato bene. Perché non riconfermarlo?».
Di Salvini cosa pensa?
«Tutti lo accusano di essere un fannullone. Ma io me lo ricordo a Strasburgo: votava al mattino, andava a fare un comizio in Lombardia, e il mattino dopo era di nuovo lì».
A dire il vero era un noto assenteista.
«È una persona di cuore. Molto affettuoso con i figli: li portava pure al Parlamento europeo, ce li mostrava orgoglioso. Certo, a volte è un po’ eccessivo. Ma l’immigrazione va regolata».
È vero che lei è stata in tournée in Iran con Lando Buzzanca?
«Lui era un divo. Ma la vera star era Moira Orfei, amatissima dagli iraniani, che adorano il circo. Erano gli ultimi giorni del regime, l’impresario sputava sul ritratto dello Scià. Me ne andai in tempo. Moira Orfei rimase. Scoppiò la rivoluzione e perse il circo».
E Walter Chiari?
«Partiamo in tournée nel 1974 e lui mi fa, con il tono con cui si chiede un drink: “Stasera noi due facciamo l’amore”. E perché? “Lo faccio con tutte le attrici. Così si crea una sintonia e lavoriamo meglio”. Dissi di no. Lui si stupì molto: “Sia chiaro però che te l’ho chiesto!”. Pensava mi offendessi. Quella sera ci raggiunse sua madre, una vecchiettina molto simpatica: “Gli hai detto di no al mio Walter? Brava! Finalmente una brava ragazza!”. “Avrà mica parlato con mia mamma?”. “Certo che ho parlato con tua mamma!”».
Si racconta di un suo flirt con Alberto Sordi.
«Mi telefonava a ogni compleanno per farmi gli auguri. Quando facevo Canzonissima, ogni sabato sera mi mandava i fiori con un biglietto carino. Poi mi invitò a Bologna per fare da madrina alla prima del Presidente del Borgorosso football club; il padrino era Beppe Savoldi, il centravanti. Morivo di vergogna: tutti pensavano che fossi l’amante di Sordi. All’epoca ero astemia; quella sera comincio a bere. Mi ritiro in camera, sento bussare: è Alberto, che mi invita nella sua suite. Ci vado. Inevitabilmente lui mi sbatte sul letto; ma non riesce a slacciarmi il vestito, attillatissimo. “Vado di là a spogliarmi” gli sussurro; e fuggo».
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Copio e incollo questo commento, con le modifiche opportune, che già avevo usato per la notizia della strage di Strasburgo:
È ora di dirlo, chiaro e netto. A dire la verità non è la prima volta che lo faccio, ma ora lo farò fuor di denti: l’Islam è, per sua stessa natura, contro ogni forma di democrazia, rispetto dei diritti umani, inclusi quelli religiosi, politici, civili, sessuali, qualunque cosa decente abbia prodotto la nostra (tanto vituperata da alcuni stessi suoi membri, che evidentemente non hanno la minima idea della storia del mondo) civiltà occidentale.
Sono nostri nemici, nemici mortali di qualunque cosa non rientri nel loro libro sacro, che NON è interpretabile e emendabile in nessun modo: se non ci credete, anime belle, sono decisamente e totalmente cazzi vostri; informatevi o meno, non fa nessuna differenza. E del terzomondismo novecentista in cui ancora credete ciecamente, per cui loro sarebbero proletari esattamente come voi, loro se ne sbattono: siamo tutti uguali, tutti cani infedeli, alcuni da usare e sfruttare per meglio sottometterci poi. E se li paragonate al Cristianesimo, che qualche passetto avanti l’ha fatto, per sua scelta o per la volontà di stati laici e democratici che qui in Occidente sono nati, e per la maggior parte sono ancora solo qui, manco vi rispondo, anzi no, andate a cagare.
Sono pochi, sono radicalizzati, sono lupi solitari, non cambieranno le nostre abitudini, sono cose con cui dobbiamo imparare a convivere, occorre che nelle loro moschee i sermoni (o come caspita si chiamano, affari loro) vadano enunciati nella lingua del paese dove sono situate, bisogna educare, integrare, assimilarci e, magari, meticciarci, bisogna evitare atteggiamenti di insofferenza e di esibizione di nostre tradizioni religiose o, peggio, d’odio da parte nostra, per non indurli in tentazione (Dio, perdonami di questa citazione) di accopparci come cani infedeli. Continuate ad autoingannarvi, poveri illusi.
Ancora dubbi? Andate a toglierveli, che ne so, in Pakistan, magari chiedendo ad Asia Bibi che ne pensa della libertà religiosa nei paesi islamici e, se magari credete che sia prezzolata dal capitale o dal Vaticano, andate, andate in giro con croce al collo e col vostro cane, diciamo nero, al guinzaglio, andate a predicare il Vangelo esattamente nello stesso modo che i barbuti fanno dalle nostre parti col loro libro sacro, andate e fatemi sapere … ah, sì, dimenticavo: ho idea che non ci vedremmo per un bel po’ di tempo.
E voi, credete che mi sia dimenticato di voi, animalisti incazzati, ma andate un po’ a vedere che fanno, qui accanto a voi, con la loro festa dell’Eid Al Adha, sì, proprio voi che gridate al massacro e cominciate a berciare come tanti piccoli Savonarola per le macellerie ad ogni agnello pasquale che vedete in vetrina. Andate e informatevi sul modo che hanno loro di macellarli. Ma di questo, manco una parola, eh?
Ma chi se ne sbatte, il tempo dei sofismi e dei ragionamenti pacati è finito, e l’hanno fatto finire loro, gli islamici voglio dire, e voi, già citate anime belle, che manifestate e protestate al minimo alzo di sopracciglio di un maschio (di etnia indoeuropea, ariano per intenderci) come apprezzamento verso una donna e vi girate dall’altra parte, o riuscite perfino a minimizzare, di fronte a raccapriccianti fatti di cronaca, se commessi da individui di etnia africana o mediorientale (vedi gli stupri di Rimini dell’agosto ‘17, gli infami assassinii di Pamela e Desirée), più millanta altri fatti criminali di cronaca, fatti che, vale davvero la pena di ricordare, non sarebbero mai successi se agli autori non fossero state allegramente aperte le porte d’Italia, permesso di rimanere vita natural durante e garantito un mantenimento a sbafo.
E il famoso clima di odio e paura che le destre e la Lega avrebbero creato e stanno alimentando? Errore: il clima di odio e paura l’avete creato voi, eh, sì, proprio voi, cari amici di sinistra e cattolici buonisti, non regolamentando gli arrivi incontrollati degli sbarcanti, non comunicandone i numeri fuori controllo e l’eventuale numero massimo delle persone da ospitare, passando sotto silenzio i costi dei mantenimenti di baldi giovanotti (la stragrande maggioranza, contro minoranze sparute di donne e minori), argomentando senza criterio di fughe dalle guerre quando, se questa cosa fosse stata vera, altro costoro non sarebbero potuti essere chiamati che vili codardi, avendo abbandonato al loro tragico destino di assassinii, stupri, schiavizzazione, saccheggi e altro i loro genitori, fratellini e sorelle, nonni e via col parentado, sottraendo anche loro i risparmi per pagarsi il viaggio verso il Bengodi europeo, soprattutto italiano, direi, coprendo loschi affari con le cooperative locali (vi ricorda niente Massimo Carminati e mafia capitale?) e opache ONG, che altro si è visto che non erano che traghetti diretti Libia/Italia, giustificando occupazioni illegali di stabili, avendo più un occhio di riguardo per i non Italiani che per i cittadini regolari, sia per quanto riguarda gli emolumenti che per i crimini commessi, insistendo oltre ogni decenza per l’approvazione dello ius soli, che altro non era che un modo per trovare nuovi voti per le imminenti elezioni del marzo ‘18, sapendo benissimo che i vecchi li avevate ampiamente persi.
In pratica, finché avete potuto avete nascosto sotto il tappeto tutto quanto sopra. Poi il tappeto non è più riuscito a contenere quanto ci avevate infilato sotto e le cosucce sono venute alla luce. Salvini & Co. questi scheletri nell’armadio non li hanno certo creati, gli autori siete decisamente voi e, questo sì, della cosa ne hanno approfittato, hanno cavalcato l’onda del malcontento popolare che voi stessi avete provocato, se ne sono ampiamente giovati sotto il profilo elettorale e di successivi consensi.
E giuratemi sui vostri figli, se li avete, o su quel che vi pare che non vi viene il minimo dubbio, la minima esitazione, la seconda occhiata al prossimo mediorientale che incrociate per strada o su un mezzo pubblico, con cui magari condividete il condominio, con cui lavorate insieme (dei ricchi radical chic non mi occupo, certo loro non vanno sui bus, non vivono nei condomini e il lavoro, se lo fanno, non è certo alla catena di montaggio).
Ve ne rendete conto? Macchè, lo so benissimo, Non siete altro che comunisti di Pavlov®, che gridate in riflesso condizionato al fascista al minimo accenno di opinioni diverse dalle vostre; non fate neanche più ridere, guardate.
E adesso, viva sempre la libertà di parola e di manifestazione, andate a esporre le vostre tesi di accoglienza senza se e senza ma e di integrazione, andate pure liberamente e, ovviamente, senza censure, andate a dirle alle famiglie delle vittime dell’infame musulmano e dei feriti ricoverati in ospedale, tra cui, con la faccia da culo che vi ritrovate, pure ai parenti del povero Antonio Megalizzi, il giornalista italiano che si ritrova una pallottola nel cervello che è morto innocente. Andateci pure, infami.
E manco un ripensamento, manco un dubbio, manco una resipiscenza: fate, fate pure, che col vostro atteggiamento da struzzi con la testa sotto alla sabbia siete i migliori fiancheggiatori, i perfetti utili idioti di quelli che vogliono fare di tutta l’erba un fascio (paragone azzeccato e voluto) e cacceranno o tenteranno di cacciare tutti i non Italiani, buoni e no, sbarcati e residenti regolari da anni, magari in retate simili a quelle di tragica memoria, come nell’autunno 1943 a Roma. Teste di cazzo, imbecilli, ciechi, nella migliore delle ipotesi tonti alla Forrest Gump! E, se siete troppo giovani per averli visti, ecco i cartelli esposti un tempo in tanti piccoli esercizi di paese: questo succederà, e gran parte sarà stata solo colpa vostra.
P.s.: e fate un pensierino anche su che avrebbero fatto, e hanno già fatto in situazioni simili, paesi del cosiddetto socialismo reale, come nel Xinjiang in Cina, furbacchioni.
Ri-p.s.: siete peggiori di lui, che almeno nella sua testa bacata ha accoppato gente perché crede in qualcosa di trascendente. Voi, invece, siete solo dei consapevoli e volenterosi complici di tanta nefandezza.
#italia#strasburgo#attentato di strasburgo#terrorismo#terrorismo islamico#islam#corano#diritti umani#diritti civili#islam e diritti civili#attentati islamici#libertà di parola
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Stoccarda è senza dubbio la città tedesca conosciuta ai più per ospitare le case automobilistiche di Mercedes e Porsche ma non tutti sanno che offre degli spunti meravigliosi per un week end o un long week end di autunno.
Stoccarda (Stuttgart) è il capoluogo del Baden-Württemberg. Una delle maggiori attrazioni è la centrale Schlossplatz, un’ampia piazza pedonale con al centro la statua della Concordia, dove si affaccia il monumentale Neues Schloss, il Castello Nuovo fatto erigere a partire dal 1746 per volere del Duca Carl Eugen von Württemberg come risposta del Ducato del Württemberg alla reggia di Versailles. Insieme al castello uno dei monumenti più interessanti è la Fernsehturm (Jahnstraße 120), la prima Torre della televisione eretta nel mondo (1954-1956) ed in seguito presa a modello da altre città come Monaco, Berlino e Vienna. E’ alta 217 metri. Un veloce ascensore porta nella terrazza panoramica dove si può godere una vista sulla città, le colline che la circondano, la Foresta Nera e, meteo permettendo, fin sulle Alpi.
Una grande attrattiva internazionale è rappresentata dai musei dell’automobile: il Mercedes-Benz Museum e il Porsche Museum, tappe irrinunciabili non solo per gli appassionati delle due case automobilistiche. Nel museo della Mercedes-Benz (Mercedesstraße 100, chiuso il lunedì) viene illustrata la gloriosa storia dagli inizi fino ai progetti futuri, a partire dalle prime automobili al mondo, costruite da Karl Benz e Gottlieb Daimler, fra cui la prima Mercedes. Nel biglietto d’ingresso è compresa l’audioguida. Il museo della Porsche (Porscheplatz, chiuso il lunedì), inaugurato nel 2009, presenta oltre 80 modelli tra i quali i celeberrimi 356, 550, 911 e 917, da non perdere.
La manifestazione principale è la Cannstatter Volksfest, la festa della birra nata nel 1818 come ringraziamento per il grande raccolto ottenuto dopo un lungo periodo di carestia. La festa dura due settimane (27 settembre-13 ottobre 2019) e inizia generalmente una settimana dopo l’Oktoberfest di Monaco.
Per gli amanti dell’arte La Staatsgalerie (Konrad-Adenauer-Str. 30-32) è il maggiore museo d’arte di Stoccarda e tra i più prestigiosi della Germania. Comprende l’ala antica, realizzata nella prima metà dell’Ottocento, con una ricca collezione di opere dal XIV al XIX secolo e l’ala nuova, aperta nel 1984 e dedicata alla pittura del XX secolo. Si trovano opere di Canaletto, Memling, Rembrandt, del movimento del Blaue Reiter, Picasso, Beckmann, Schlemmer, Beuys e Kiefer. Nel Kunstmuseum (Kleiner Schlossplatz 1) sono custodite alcune delle più famose opere di Otto Dix come “La grande città” e “Ritratto della danzatrice Anita Berber”.
I dintorni della città sopratutto dall’alto regala nuove prospettive e panorami. Ancora meglio se i punti di osservazione si conquistano a piedi salendo le “Stäffele”, ripide gradinate che un tempo servivano ai vignaioli per raggiungere più rapidamente il centro città. A Stoccarda si contano tra le 400 e le 600 Stäffele, balsamo per la vista e ottimo esercizio per mantenersi in forma. Una volta giunti in cima, il panorama sulla città ripaga di tutte le fatiche, e non mancano le occasioni per provare i vini, le birre e l’ottima gastronomia sveva. Sono 407 i gradini che dalla piana di Stoccarda portano alla collina della Karlshöhe. Una fatica ricompensata dalla bellezza del posto, dove ci si immerge in un parco in stile romantico inglese, tra alberi dal fitto fogliame, piccoli corsi d’acqua e belle fontane in pietra. L’ariosa terrazza del Biergarten Tschechen & Söhne, ombreggiata da grandi alberi e dove i locali vengono per uno spuntino o un aperitivo, è il luogo ideale per godere del meraviglioso panorama su Stoccarda. Ti ho reso curioso? Allora che ne pensi di visitare Stoccarda? Vieni in agenzia per definire i dettagli del viaggio con me. Ti ricordo che se hai qualche giorno in più Baden Baden e Strasburgo sono dietro l’angolo.
www.nutviaggi.it
Stoccarda: una città tra vino e birra…. Stoccarda è senza dubbio la città tedesca conosciuta ai più per ospitare le case automobilistiche di Mercedes e Porsche ma non tutti sanno che offre degli spunti meravigliosi per un week end o un long week end di autunno.
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