#unione degli opposti
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La rosa è un simbolo intrinsecamente complesso, capace di evocare molteplici significati sia celesti che terreni. La sua ambivalenza riflette la dualità dell’esistenza umana, incarnando concetti contrastanti come perfezione celeste e passione terrena, tempo ed eternità, vita e morte, fertilità e verginità.
In alchimia, la rosa rappresenta la saggezza e l’Opera alchemica stessa, con il rosarium che simboleggia la rinascita spirituale dopo la morte del materiale.
#significato dei fiori#rosa rossa#immagini belle#simbolismo#rose#immagini di fiori#spiritualità#amore passionale#perfezione#eternità#alchimia interiore#simboli alchemici#rinascita#anima#unione degli opposti#pensiero del giorno blog
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I poli opposti
I poli opposti si attraggono e nella loro unione nasce l’Amore Sublime.
L’uomo è la più elevata delle creature. La donna è il più sublime degli ideali.
L’uomo è il cervello. La donna è il cuore.
Il cervello genera la luce, il cuore l’amore.
La luce feconda, l’amore risuscita.
L’uomo è forte per la ragione. La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.
L’uomo è capace di tutti gli eroismi, la donna di tutti i martiri.
L’eroismo nobilita, il martirio sublima.
L’uomo è un codice. La donna è un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L’uomo è un oceano. La donna è un lago.
L’oceano ha la perla che adorna; il lago la poesia che abbaglia.
L’uomo è l’aquila che vola. La donna è l’usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio; cantare è conquistare l’anima.
L’uomo è un tempio, la donna è il sacrario.
Davanti al tempio ci scopriamo il capo, davanti al sacrario c’inginocchiamo.
L’uomo è posto dove termina la terra; la donna dove comincia il cielo.
Victor Hugo
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I POLI OPPOSTI
di Victor Hugo I poli opposti si attraggono e nella loro unione nasce l’Amore Sublime.L’uomo è la più elevata delle creature. La donna è il più sublime degli ideali.L’uomo è il cervello. La donna è il cuore.Il cervello genera la luce, il cuore l’amore.La luce feconda, l’amore risuscita.L’uomo è forte per la ragione. La donna è invincibile per le lacrime.La ragione convince, le lacrime…
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I poli opposti si attraggono e nella loro unione nasce l’Amore Sublime.
L’uomo è la più elevata delle creature. La donna è il più sublime degli ideali.
L’uomo è il cervello. La donna è il cuore.
Il cervello genera la luce, il cuore l’amore.
La luce feconda, l’amore risuscita.
L’uomo è forte per la ragione. La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.
L’uomo è capace di tutti gli eroismi, la donna di tutti i martiri.
L’eroismo nobilita, il martirio sublima.
L’uomo è un codice. La donna è un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L’uomo è un oceano. La donna è un lago.
L’oceano ha la perla che adorna; il lago la poesia che abbaglia.
L’uomo è l’aquila che vola. La donna è l’usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio; cantare è conquistare l’anima.
L’uomo è un tempio, la donna è il sacrario.
Davanti al tempio ci scopriamo il capo, davanti al sacrario c’inginocchiamo.
L’uomo è posto dove termina la terra; la donna dove comincia il cielo.
Victor Hugo
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I poli opposti
I poli opposti si attraggono e nella loro unione nasce l’Amore Sublime.
L’uomo è la più elevata delle creature. La donna è il più sublime degli ideali.
L’uomo è il cervello. La donna è il cuore.
Il cervello genera la luce, il cuore l’amore.
La luce feconda, l’amore risuscita.
L’uomo è forte per la ragione. La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.
L’uomo è capace di tutti gli eroismi, la donna di tutti i martiri.
L’eroismo nobilita, il martirio sublima.
L’uomo è un codice. La donna è un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L’uomo è un oceano. La donna è un lago.
L’oceano ha la perla che adorna; il lago la poesia che abbaglia.
L’uomo è l’aquila che vola. La donna è l’usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio; cantare è conquistare l’anima.
L’uomo è un tempio, la donna è il sacrario.
Davanti al tempio ci scopriamo il capo, davanti al sacrario c’inginocchiamo.
L’uomo è posto dove termina la terra; la donna dove comincia il cielo.
Victor Hugo
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Mercoledì 1 giugno 2022 ore 21,30
Diretta Facebook e YouTube
“Nel Salotto di Anna” con Anna Tamburini Torre e Umberto Di Grazia.
“LA COSCIENZA GLOBALE…UN LINGUAGGIO COMUNE PER UNIRE!”
Umberto Di Grazia
Ricercatore psichico e sensitivo, dall’età di diciotto anni vive in prima persona fenomeni di confine della mente umana, che vanno dall’introspezione con retrocognizioni e precognizioni, alla telepatia, ai fenomeni PK, all’archeologia intuitiva.�In particolare, ha affinato il fenomeno dello sdoppiamento (O.O.B.E., Out Of Body Experience).
Umberto Di Grazia, nato a Viterbo, romano d’adozione, è un ricercatore e un sensitivo di fama internazionale, che ha dedicato la sua vita allo studio e alla sperimentazione nell’ambito della Ricerca Psichica e dei suoi fenomeni, per le relative applicazioni a scopo sociale.
Vari, negli anni, i suoi studi e specializzazioni, tra le quali: ”ex ufficiale meteo dell’Aeronautica Militare Italiana (con nomina a capitano con decorrenza dal 01.01.1994), diplomato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, regista e scrittore”.
Per le sue facoltà è stato studiato da importanti gruppi e organizzazioni di ricerca, con cui ha collaborato per anni, tra questi: il ‘Mobius Group’ di Los Angeles, fondato da Stephan Schwartz, membro della Royal Geographical Society, Consulente del Massachusetts Institute of Technology e del Research and Analysis of Naval Operations-USA e dall’antropologo e ambientalista Brando Crespi, coordinatore delle strategie di Pro-Natura International e l’Institut fur Grenzgebiete der Psychologie und Psychohygiene di Friburgo in Germania. Per quest’ultimo ha compiuto, con il dr. Elmar Gruber, numerosi esperimenti, ricerche e lunghe spedizioni di studio all’estero. Grazie al bagaglio di esperienze e conoscenze ha messo a punto un suo particolare metodo per la visione a distanza.
In Italia, per tre anni, Maria Immacolata Macioti, titolare della cattedra di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma, ha studiato il suo lavoro e ne ha pubblicato i risultati nel libro: “Fede, Mistero, Magia: lettere a un sensitivo”, divenuto testo d’esame. Collabora inoltre correntemente con il criminologo Francesco Bruno del Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica della stessa Università.
Di Grazia ha effettuato importanti scoperte archeologiche, sia con l’équipe del Mobius Group in America, sia per conto proprio in Italia. Tra i ritrovamenti più importanti del nostro Paese vi sono: la città protostorica sommersa di Ustica, il Tempio dell’Amore di Roccasinibalda, il Tempio delle Ypsilon di Torre Spadina presso Capranica e diversi siti etruschi nel viterbese. Attraverso i fenomeni di sdoppiamento ‘O.O.B.E’ e i sogni ‘lucidi’, Di Grazia ha fatto anche importanti precognizioni, come la sciagura aerea di Tenerife nelle Canarie del 1977 e l’attentato al presidente americano Reagan, in seguito al quale fu invitato a lavorare con organizzazioni di ricerca negli Stati Uniti.
Le sue facoltà gli permettono di essere in contatto con una dimensione di ‘presente-continuo’, dove le leggi costruite dalla logica sembrano ribaltarsi, per poi unirsi in una forma di raro equilibrio. Ciò lo ha portato a mettere in pratica l’idea, studiata anche da C.G.Jung, di “Unione degli Opposti”, “che in realtà sono complementari e necessari per arrivare alla sintesi e alla centralità”, spiega Di Grazia “mentre al risveglio si arriva con l’attenzione per ogni gesto e ogni vibrazione del campo energetico, entrando in contatto con l’inconscio e il suo bagaglio di informazioni positive, indispensabili per giungere all’armonia e all’equilibrio con il tutto”.�Ha così messo a punto il metodo della Biostimolazione®, con esercizi di meditazione, di posture e movimenti con suoni e ritmi, che ha chiamato: Tecniche dell’Unione e del Risveglio®.
Lavorando per molti anni con oltre 2000 persone, ha ottenuto notevoli risultati: circa il 40% ha manifestato particolari ipersensi, assolutamente non registrati prima. Molti di loro hanno migliorato la propria qualità di vita, superando problemi anche gravi e ponendosi con maggior incisività con se stessi, gli altri e la vita. Successivamente, su un campione di 50 soggetti, che aveva seguito per un anno un corso di tecniche, il professor Mario Bruschi del Dipartimento di Fisica dell’Università La Sapienza, ha eseguito una serie di esperimenti basati su rigorosi protocolli scientifici, che hanno dato un risultato sorprendente, il migliore verificatosi in questo settore per un singolo esperimento e l’unico in Italia.
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Come la Qabalah ed il vero Tantra, anche l’Alchimia mira ad unificare gli opposti,
in primo luogo il Maschile ed il Femminile che devono fondersi nella coppia. Tale
traguardo è uno dei beni maggiori cui si possa aspirare; infatti, la dualità non
risolta, specie quella sessuale, porta a conflitti più o meno latenti, ma
permanenti. La personalità si espone a gravi difficoltà anche in campi diversi.
Il processo alchemico si divide in diverse fasi. Nella prima, detta Opera al Nero o
Nigredo, chiamata anche Putredo, da “putrefazione”, si devono abbandonare le
identità egoiche già stabilite in quanto potrebbero impedire l’effettiva unione
che va realizzata ad ogni livello. Questa fase consiste nel cercare e riconoscere i
propri limiti e difetti che emergono più facilmente confrontandosi con il partner.
Ciò induce una sensazione di depressione psicologica, di abbandono e di morte.
Senza questa esperienza dolorosa non è possibile iniziare il processo di
trasmutazione di sé stessi. All’inizio del rapporto, le due polarità non sono
ancora compatibili del tutto, l’unione, il Composto non è ancora “stabile”, i due
partner sono ancora troppo carichi delle rispettive specificità, problemi ed
aspettative, della propria aggressività. La sensazione dolorosa che si vive è analoga a quella dei livelli più bassi dello Scorpione, che infatti è anche il Segno
della rinascita spirituale.
Questo stadio fa sempre paura, ognuno dei due partner teme di esser fagocitato,
di perdere le sue prerogative. Da un punto di vista psicologico, è una vera e
propria morte, un cessare di essere ciò che si era. Nigredo è la scoperta delle
parti oscure di sé stessi; quelle parti che da soli non si era in grado, o non si
aveva la volontà, di riconoscere come proprie, si possono non vedere od illudersi
di non avere. Uno dei vantaggi del rapporto, sta nel fatto che i due partner si
fanno reciprocamente da specchio, mostrando i rispettivi lati oscuri. La
Putrefazione, deve durare solo quel tanto che serve a riconoscere e a prendere
coscienza di ogni possibile negatività.
Dopo la sofferenza dell’oscurità e della caduta, viene una fase di gioia, di ascesa,
di redenzione. La notte precede il giorno, proprio come insegna il libro della
Genesi nella descrizione della Creazione: fu sera e fu mattina. Il nuovo giorno è
l’Albedo; dal Nero si passa al Bianco, il colore dell’Amore e della Grazia. Anche lo
Zohar insegna che “non c’è Luce se non quella che viene dalle tenebre.”
La fase finale che segue l’Albedo è detta Rubedo per il suo colore Rosso. Si
potrebbe pensare che questo colore rappresenti un momento negativo opposto
al Bianco precedente; infatti Rosso è il colore del sangue e dell’aggressività
marziana. Ma in questo caso è positivo, come anche la Qabalah insegna, il Bianco
dell’Amore altruistico deve temperarsi con il Rosso della Forza. Se il Rosso è
applicato assieme al Bianco perde le sue connotazioni negative. Nel caso
specifico del rapporto di coppia, Rubedo è il fuoco dell’unione, la passione;
l’eccitazione è senza dubbio positiva quando conserva la dolcezza dell’amore.
Un amore solo bianco rischierebbe di appiattirsi in una passività “acquosa” che
tocca la coscienza, ma non la trasforma. Equivale a quel senso di ripetitività che
può subentrare con il passare degli anni. L’amore solo bianco diventa facilmente
un’abitudine, finché, come la neve, si scioglie lentamente. Il Rosso è l’eccitazione
della scoperta, la forza mai sopita ed indomita che trasforma. Quando il Rosso
delle emozioni agisce da solo può esser molto negativo; se però viene dopo od
assieme al Bianco, è il miglior stimolante per il rapporto.
Emerge così la necessità di una sintesi di tutte le fasi, devono esser vissute e
superate nell’ordine indicato, a cicli ripetuti e successivi, a livelli sempre più
elevati.
L’Alchimia, conciliando la pratica della trasmutazione dei metalli con la ricerca
ed il perfezionamento interiori, fu sempre tenuta in grande considerazione nella
cultura ebraica. Già nel Sepher ha-Zohar troviamo numerose immagini di
ispirazione alchemica, probabilmente il suo autore ben conosceva la tecnica
della Arte Regia. I sette tipi d’oro menzionati in un celebre passo, sono una
metafora delle Sephiroth; il trascolorare del metallo prezioso allude ai diversi
tipi dell’energia Divina, sino al culmine di Binâ, indicata con il termine di Oro.
https://templari.myblog.it/2009/05/25/qabbalah-ed-alchimia/
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~JOՏℍႮᗅ ℳᗅℱℱℰI & ℍႮℕƬℰℛ ℂOOK~ •aвoυт roleplay мeмeѕ• 《 Perché assomigli ad un rinoceronte con la coda mozzata? 》 • ԹӀɑϲҽ: яανєиfιяє'ѕ ѕтяєєтѕ • †ïmε: ιи тнє αfтєяиσσи [ 16l05l20 ] �� ★·.·´¯`·.·★ 𝕗𝕝𝕒𝕤𝕙𝕓𝕒𝕔𝕜 ★·.·´¯`·.·★ #Ravenfirerpg
Il giovane Maffei aveva passato l'inferno negli ultimi tempi, eppure sapeva che non avrebbe potuto continuare così. Doveva tornare a vivere la sua vita, doveva tornare ad essere il solito Joshua, quello che era prima di cambiare, prima di chiudersi in sé stesso e di apparire strano agli occhi di tutti, eppure...nemmeno lui sapeva chi fosse veramente. In così poco tempo tutto era cambiato nella sua vita e non se ne dava una spiegazione. A volte si sentiva così confuso, così solo... No, lui non era solo, aveva i suoi amici, e si sa, i veri amici non ti lasciano mai. Di lì a pochi giorni una di questi avrebbe compiuto gli anni. Si chiamava Janel ed era molto importante per il ragazzo. I due si conoscevano da molto tempo, per essere precisi, sin dall'infanzia, ed egli avrebbe fatto di tutto pur di vederla felice e non solo regalandole oggetti materiali, bensì donandole il suo affetto, il suo amore. Quel giorno decise /infatti/ di uscire e andare a fare una passeggiata lungo la via dei negozi, affinché potesse prenderle un pensierino per il suo compleanno. In realtà non aveva idea di cosa farle, con le donne non ci sapeva fare molto e aveva sempre timore di sbagliare, di prendere qualcosa che magari non era di loro gradimento, nonostante potesse conoscere i loro gusti. Quando vide un negozio di gioielli, però, egli non ci pensò due volte ad entrare. Era vero, aveva visto indossare raramente gioielli dalla ragazza, ma un bracciale non sarebbe stato così male. Ci sarebbero state occasioni dove lo avrebbe potuto indossare, giusto? [ ... ] Uscito dal negozio, Joshua si sentì finalmente soddisfatto di aver trovato un regalo da donare prossimamente alla Ferguson. Si ritrovava a percorrere la strada di ritorno verso casa, quando improvvisamente una voce, che pareva provenire dietro di sé, lo fece fermare sui suoi passi. Stava dicendo a lui? Il suo tono sembrava familiare, ma non ne era del tutto sicuro. Dunque decise di girarsi, riconoscendo subito il ragazzo che aveva parlato. Oh sì, stava dicendo veramente a lui, dato che il suo sguardo era rivolto solo che a lui. 《 Non ti ricordavo così simpatico. Cosa vuoi, Hunter? 》 Joshua era sempre stato un tipo pacifico, ma nonostante la sua posizione neutra in politica, aveva comunque dei nemici ( solitamente se eri un Maffei, eri "condannato" ad essere giudicato ), tuttavia aveva inquadrato quel ragazzo e aveva capito come si divertisse a "torturare" le sue vittime per lo stile. In quel caso, il veggente non era sicuro si trovasse lì per ribadirgli il concetto di "moda", piuttosto per prenderlo in giro riguardo la sua famiglia di appartenenza. Hunter Adam Cook * Hunter poteva essere definito come “quello strano eppure da una certa eleganza”. La definizione, seppure a prima vista sembrava una vera e propria baggianata raccontata da qualche scemo qualsiasi, non era nient’altro che il dipinto, o forse meglio il vero vestito di Hunter, quello cucito addosso con le cellule mezze umane, quello cucito su misura per sempre. A Ravenfire molti l’avevano sempre definito strano, lo chiamavano così addirittura, ma egli aveva fatto delle sue stranezze un cavallo di battaglia. Gay affetto da socializzazione estrema, personalità fantasiosa, un artista pronto ad interessarsi di politica. Questo era Hunter Adam Cook. Lo era sempre stato anche quando si chiamava soltanto Hunter, in verità. Ebbene si, quel ragazzo era un mix di molteplici cose che soltanto lui conosceva davvero, d’altronde nessuno aveva compreso bene qual era stata la sua storia all’estero per circa sette anni né cosa l’aveva spinto ad andar via. La realtà in cui Hunter viveva era composta dallo shopping, dalla bellezza e dallo shopping, ma forse questo l’avevamo già detto! Sorrise, pensando al fatto che lo shopping era davvero qualcosa di estremamente importante, una ripetizione su questo fronte non avrebbe mai fatto male! Ed eccolo che, con un gesto elegante della mano, le proprie dita si assicurarono della perfezione dei suoi capelli unti di gel e mai fuori posto. La giacca, rigorosamente rosa antico risaltò il bracciale color arcobaleno che aveva sul posto mentre i suoi pensieri sembravano essere stati rapiti, /ironicamente/ rapiti. Davanti a sé si era ritrovato il giovane Maffei, quello che sembrava avere un culetto da Dio, ma che in fin dei conti era soltanto un cane bastardello, anzi un rinoceronte per quanto si era ingrassato! Una risata leggera e nessun atto intimidatorio. Era un mezzo Price e i Price avevano sempre preferito l’eleganza e la sottigliezza di un rasoio. Inclinò appena il capo, adesso il viso esprimeva /finta/ empatia. * « Oh, tesoro, dovresti provare qualche prodotto per la cellulite. Non vorresti mica essere preso in giro al lago! Sei ingrassato ultimamente, è vero? Mi dispiace COSÌ tanto.. » * Si, “evoglia!” come diceva qualche suo amico italiano. * Joshua Maffei Approfittatore. Così lo avrebbe definito Joshua, se solo si fosse concesso del tempo per dargli attenzioni, perché erano attenzioni, quelle che voleva il giovane, oltre al voler essere riconosciuto come "Price" nonostante il veggente sapesse non fosse del medesimo sangue. Cugino, nipote? Poco gli importava, se non quasi per niente. Sospirò. Quel suo tono lo infastidiva, come lo infastidiva il suo modo di parlare. Sembrava come se lo stesse facendo apposta, come se lo stesse provocando al fine di farlo...arrabbiare? No, Joshua non avrebbe risposto a modo, non gli avrebbe dato quella soddisfazione, anzi, forse lo avrebbe assecondato, o forse lo avrebbe provocato lui stesso. 《 Oh sì, mi servirebbe proprio. Me ne consigli qualcuno? Probabilmente andare in palestra cinque giorni a settimana non è del tutto sufficiente. Dici che dovrei fare degli extra? 》 Hunter Adam Cook * Erano troppo diversi quei due, due meri opposti pronti a battibeccare per sempre eppure, dietro a quel fare così diverso vi era qualcosa che li univa: la politica. Hunter era consapevole di questa linea di unione, ma allo stesso tempo comprendeva che quella stessa linea di unione era il sinonimo di uno scontro bello e buono. La cosa che infastidiva di più Hunter era praticamente cosa? Ah, già, nient’altro che l’essere stesso del piccolo Maffei. Non riusciva a comprendere come lui potesse ancora amare se stesso in quel modo. Secondo Hunter aveva bisogno di cambiamento, enormi cambiamenti a dire il vero. * « Oh certo! Mhh... il migliore per te dovrebbe essere lo iodase lato B... Perfetto, direi. E.... per la palestra, sì, vacci 5 giorni e fai gli squat. Fatti insegnare da una donna, però. Sono più cool in fatto di sederi. » * Finì con un occhiolino * Joshua Maffei Come tutti, anche il giovane Maffei non era perfetto, sia fisicamente, sia caratterialmente. Sin da bambino, mingherlino e timido com'era, egli non era visto di buon occhio dagli altri coetanei. Solo crescendo aveva imparato ad apprezzarsi, solo crescendo aveva imparato a capire chi potessero essere i suoi amici: coloro che non lo giudicavano, coloro che non lo sfruttavano per la fama di suo padre. Era persino cresciuto con ideali del tutto diversi dalla sua famiglia. Era un Maffei, ma non provava odio verso i suoi cosiddetti nemici. In quel momento era solo il Cook che, per qualche motivo a lui sconosciuto, lo stava stuzzicando con i suoi modi alquanto irritanti. 《 Ah sì? E vorresti venire a controllare il mio lavoro o cosa? 》 Hunter Adam Cook * Non vi era niente nel giovane Cook che non fosse vanità, finta cordialità e controllo delle proprie abilità linguistiche, soprattutto in quel momento che aveva un Maffei di fronte. Come un Capuleto ed un Montecchi, i due shakespeariani ragazzi utilizzavano il loro disprezzo per difendersi, la loro lingua per attaccare e la loro intelligenza per prevenire la ferocia dell’altro. Se da un lato, il Maffei faceva trasparire le sue agognate imperfezioni, dall’altro, vi era un Price acquisito le cui imperfezioni sembravano essere diventate perfezione, o forse meglio, eterna vanità. Hunter era ben consapevole dei suoi difetti, ne aveva anche a bizzeffe eppure cercava in ogni modo di non far trasparire quello che potesse essere in realtà, d’altra parte, l’immagine era tutto. L’immagine esteriore, il suo sorriso, la sua intelligenza, il suo nome erano tutti elementi che non potevano sfigurare. Non poteva farlo perché era imparentato con i Price, ma non solo: il vero motivo era un altro, era ben più profondo e radicato, ma quella non era la sede giusta per ricordare o per riflettere. A quella domanda, il giovane Cook accennò una risata. * « Mhh.. Non sono un personal trainer, ma riconosco i fisici ben fatti e ben tenuti, curati. Vuoi anche per caso il passaggio in palestra, Maffei? » Joshua Maffei Vanitoso e superbo, così poteva sembrare il Price agli occhi di chi veniva considerato suo nemico. Eppure Joshua percepiva che quel comportamento fosse solo frutto di un controllo ben saldo delle proprie azioni, solo pura finzione per apparire superiore rispetto al Maffei che, senza alcun problema, si riteneva da lui stesso uguale a tutti gli altri. A dirla tutta, egli non conosceva la storia di Hunter, non conosceva affatto lui. Chissà se, un giorno, il Price si fosse lasciato alle spalle tutto quell'odio che provava nei suoi confronti, chissà se sarebbe mai arrivato il momento in cui i due avrebbero parlato in modo civile. Probabilmente solo il tempo ed il destino l'avrebbe deciso. 《 Ora dovrei tornare a casa, ma se poi vorrai seguirmi in palestra, non sarò io a fermarti. 》
/Fine <3
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La Via iniziatica dell’Amore
Cosa è l’Amore, se non quella forza che “move il Sole e le altre Stelle” ?
Cos’é che ci attrae dell’altro? Qual è la legge che governa l’attrazione?
Perché siamo incapaci di resistere al calore di quella passione, anche se abbiamo paura di bruciarci? e perché accettiamo di rischiare di soffrire? forse poiché sentiamo che solo l’amore può creare un’Unità facendoci fondere con ciò che sembra ci manchi?
Proviamo a capirlo con i Tarocchi…
Chi sono io, se non quel Matto, un numero zero, pieno di possibilità ma ancora incompleto? Un Pellegrino “nel mezzo del cammin di nostra vita” che va in cerca del Suo Amore?
Disponendo le Lame in 3 file di 7 tappe,
incontriamo la carta degli “amanti”, salendo sui tre livelli di esperienza, i tarocchi ci presentano una particolare sequenza simbolica dai tratti alchemici.
Gli amanti = Conjunctio Oppositorum
La morte = Nigredo
Il giudizio = Solutio
Gli Amanti – Congiungere gli Opposti
Cupido è pronto a scoccare la sua freccia verso la Musa. Scocca l’Amore, l’agente trasformante. E’ in atto la scelta.
L’amore è fusione alchemica con ciò che ci manca, ci fa fondere con l’altro e sembra promettere felicità. La congiunzione è Eros che unisce il maschio e la femmina, Marte e Venere sperimentano il possesso.
Va in scena la prima fase per unire gli opposti, il primo passo verso la vera Unione. Siamo pronti per un altro livello di esperienza..
Virgilio psicopompo sussurra:
“Amore, acceso di virtù, sempre altro accese, pur che la fiamma sua paresse fore“.
La passione bruciante arde senza controllo. La fusione disintegra, non siamo più quelli di prima.
Salendo nella disposizione delle carte, troviamo la conferma nell’arcano “Senza nome”
“ Amor condusse noi ad una morte”
sussurrano Paolo e Francesca al sommo poeta
La Morte – Nigredo, l’Opera al Nero
Saturnina notte buia e fredda … la passione è svanita, restano le ceneri di ciò che siamo stati prima dell’incontro. Resta il dolore. Una voragine, una selva oscura. Il Matto ha smarrito la “diritta” Via. Sembra L’Inferno.
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”
Procedendo verso l’alto, arrampicandoci oltre le fiere e i draghi, appare “la matassa luminosa del cielo notturno, i visi rivolti verso l’alto. Puro fumo di nubi luminose che fluiscono lente attraverso la luna”.
Il chiarore illumina il percorso. Tutto ci appare diverso, nuovo, scevro da ogni aspettativa.
“Puro e disposto a salir alle stelle”
E’ Il Giudizio – Solutio, l’Opera Minore
La rinascita..
Il bianco di una pagina nuova, tutta da scrivere.
Il percorso iniziatico del Matto, ci ha fin qui insegnato che cercavamo nell’altro ciò che ci mancava. Purificandoci con il dolore abbiamo compreso che proiettavamo in un altro Essere ciò che giaceva nascosto dentro di noi dietro il buio delle nostre stesse ombre.
L’amore ci ha mostrato la strada verso il paradiso.. La vera unione degli opposti.
L’unità ci appare come un perfetto incastro di opposti. Yin e Yang, femminile e maschile.
C’e’ ancora molta strada da fare per far sbocciare la Rosa Rossa e realizzare la Grande Opera della nostra vita nel Mondo; ma ora con noi c’è Beatrice, non più musa…ma guida. Abbiamo raggiunto la nostra Anima.. soave bellezza emersa dalle acque femminili del nostro Essere.
Lei ci invita ad evolvere seguendo quella forza che fa vibrare ogni cosa…
“amore, che muove il sole e le altre stelle”.
Laura Primavera
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L'OPERA CELESTE DI LUCA FALACE ________ Pag. 278 e 279 Editore: Iemme Edizioni - Terza Ristampa "Nel romanzo ________ "Nel romanzo alchemico "L'opera celeste" il mito si fonde con il simbolo, così come l'essere con l'avere, lo spazio con il tempo e l'arte con la scienza, in altre parole il tema di fondo è rappresentato dall'unione degli opposti. Questa complementarietà è il segno che rimanda ad un significato ultimo che l'essere umano, nel nuovo millennio, deve ancora riconoscere. Questa unione alchemica se funzionasse nell'uomo contemporaneo allora si rifletterebbe sull'intera società. Ci sarebbe così l'unione del pensiero materialista con quello spirituale. L'unione del pensiero consumistico e materiale occidentale, con quello conservatore e spirituale orientale. L'equilibrio dei due opposti; tra l'Avere e l'Essere. Questa unione porterebbe pace e serenità su tutto il pianeta Terra. Gli antichi archetipi presenti nell'Opera si rivelano in uno scenario attuale e sincronico, nel quale le prospettive temporali delle leggende evocate, si uniscono in una sorta di collettiva eterna fusione mitologica rivolta al bene, all'unione e alla fratellanza universale". Luca Falace Copertina flessibile: 280 pagine ISBN-108897776086 ISBN-13978-8897776086 Editore: Iemme Edizioni Terza Ristampa (19 febbraio 2013) PRIMA EDIZIONE: settembre 2005. 3 N° TOTALE DELLE EDIZIONI DE "L'OPERA CELESTE" LE 12 RIVELAZIONI, GIÀ PUBBLICATE NEL 2005, PRESENTI NEL LIBRO L'OPERA CELESTE DI LUCA FALACE Prima edizione anno 2005. _________________ #sincronicità #libro #libri #music #yoga #coronavirus #nocovid #book #books #leggere #instalibri #libromania #librichepassione #librisulibri #leggeresempre #poetry #libreria #bookworm #read #manoscritti #editoria #scrivere #biblioteca #bookstragram #scrittori #autore #autori #booklover #arte #arts https://www.instagram.com/p/CAJduS9BDip/?igshid=1swl50ilz3x2x
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22.07.2019 -CANE BIANCO PLANETARIO, KIN 10, nel giorno di Maria Maddalena. Unione degli opposti nel passaggio tra dualità a complementarietà per far cessare ogni tipo di conflitto. Questa la frequenza a disposizione oggi a cui sintonizzarsi. Il Cane Bianco e’ Puro Amore Incondizionato. Lasciamoci avvolgere attraendo nella vita il senso di appartenenza a qualcosa di più grande. Siamo tutti Figli della stessa Madre Galassia. In lak’ech! #oracolidelsincronariogalattico #tzolkin #webstagram #inlakech #astrologiaintuitiva https://www.instagram.com/p/B0OHOHlItqy/?igshid=2i2gws9l6ls8
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Introduzione
Con questo saggio si prosegue uno studio sull’Apocalisse di Giovanni, sviluppato in un mio articolo dal titolo “Missione Uomo – La porta stretta dell’Apocalisse di Giovanni“.
Il nuovo tema proposto si incentra sul mistero che avvolge il versetto 13,18 dell’Apocalisse, in particolare sul «numero della bestia […] seicentosessantasei».
Figura 1: Signorelli. Duomo di Orvieto. Cappella San Brizio. Particolare Predica e fatti dell’Anticristo.
Traggo dal suddetto mio articolo alcune nozioni introduttive che spiegano sommariamente lo scopo del libro dell’Apocalisse, poiché è stato continuamente considerato come profezia della fine del mondo, invece non è propriamente così che va interpretato.
In questo libro sacro, presente e futuro sono come uniti fra loro, e anche se è tutto scritto al futuro, il suo scopo è verosimilmente rivolto al presente, cioè si parla del futuro per parlare del presente. E poi occorre chiedersi che senso ha una così lunga e complicata disamina escatologica, come questa del libro dell’Apocalisse in esame, tutta orientata su un percorso che ci presenta una serie di fatti sulla presunta fine del nostro mondo, quando la stessa cosa è annunciata nella sua cruenta catastroficità dall’apostolo Matteo nel suo Vangelo 24,1-48? Quasi a vederla come fatti reali del nostro pianeta, a differenza della descrizione analoga prodotta nel libro dell’Apocalisse di Giovanni che è espressa in modo simbolico.
Notare che, se il libro dell’Apocalisse è stato suggerito a Giovanni da un angelo su incarico di Gesù, come di un passamano, il Vangelo di Matteo è stato invece suggerito direttamente da Gesù.
Non mi dilungo su questo tema della destinazione del libro dell’Apocalisse, rimandando il lettore al saggio suddetto “Missione Uomo – La porta stretta dell’Apocalisse di Giovanni“, dove viene spiegato in modo particolare ogni cosa che conduce alla persuasione che in realtà non si tratta di fatti profetici sulla fine del mondo e altro che vi attiene naturalmente, pur mostrando connotazioni che caratterizzano in modo spirituale la fine del mondo.
Altra cosa importante è la comprensione della catechesi legata a questo mistero sulla «bestia» che è di «terra» rifacendoci ancora a quanto spiegato nel citato mio articolo che riprendo per intero.
La porta stretta dell’Apocalisse di Giovanni
Figura 2: Bessarabia. XVIII sec. La pecora smarrita.
Una cosa nuova mai posta sul conto dell’Apocalisse di Giovanni evangelista, una “porta stretta” che si lega alla nota parabola della “Pecora smarrita di Gesù” raccontata nel Vangelo secondo Matteo (18,12-14) e nel Vangelo secondo Luca (15,3-7).
Leggiamo la parabola di Luca per intravedervi il nesso in questione:
«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.»
A prima vista è arduo capire dove e come trovare il supposto nesso sulla “porta stretta” nel libro dell’Apocalisse in questione, anche se dal punto di vista della catechesi evangelica è noto l’insegnamento ivi riposto.
Sul conto dell’Apocalisse giovannea, cominciamo col dire, che il fatto di definirla “stretta“, al punto da non riuscire rintracciarla, è perché non si medita che attraverso di essa deve poter entrare il male e uscire puro e immacolato, il bene, e andiamo oltre.
Ora facciamo riflessioni sull’immagine sopra esposta dove si vede il Buon Pastore, nelle vesti del Signore Gesù, che porta sulle spalle, con sé pieno di gioia, la ritrovata pecora smarrita del suo gregge, e poi ritorna là dove era partito. Ma per far questo, egli si è dovuto recare in un luogo impervio in cui ha trovato la sua pecora che conviveva con altre bestie poco rassicuranti. Non è stato facile per lui strapparla da quel luogo, ma, se dapprima la sua pecora era ostile a seguirlo, poi di buon grado si è lasciata prendere per far poi rientro al lontano gregge.
Si è capito ora perché la “porta“, in questione, cioè il varco che separa le bestie estranee a quel provvido pastore, da quelle del suo gregge, è stato definito “stretto“. Non perché era fisicamente stretto, ma perché in questo varco è avvenuto tutto il processo di “trasformazione” (di “trasmutazione” se si valutano le stesse cose in termini alchemici) del “malsano” della “pecora smarrita” in un corrispondente relativo “buono“. Si capisce che, con la “pecora smarrita“, si parla in modo traslato dell’uomo. Ma non basta, perché vi è dovuto corrispondere un “sacrificio” da parte di quel Pastore nel mettere da parte la sua dignità per avere a che fare con delle bestie del male onde recuperare la sua pecora. Egli, che in realtà è il Signore Gesù, ha dovuto introdurre nella “pecora smarrita” (l’uomo peccatore) la “vita” per bilanciare la “morte” causata dal fatto di aver fatto lega col malsano dell’ambiente in cui si è trovata.
Insomma per riassumere si capisce che la «bestia» dell’Apolisse di Giovanni e la «pecora smarrita» evangelica e poi l’uomo stesso in perdizione, nonché una parte dell’umanità segnata dal numero della «bestia», sono la stessa cosa. E di conseguenza la «porta stretta» evangelica è tutta racchiusa nella descrizione del versetto:
«Faceva sì che tutti piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e nessuno poteva comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.». (Ap 13,16-18)
Ma dopo aver fatto tutte queste osservazioni dal punto di vista del cristianesimo, con il parallelo con la “porta stretta” evangelica, non manca un convincente appoggio esaminando il supposto processo del mistero riposto del “tutto” del suddetto versetto 13,16-18 dell’Apocalisse in studio, con l’Alchimia.
Ed è in tal modo che ci si convince che veramente lo scopo del libro dell’Apocalisse giovannea è l’esatta descrizione della “Grande Opera” come quella degli Alchimisti per giungere a ottenere l’Elisir di lunga vita. E la “porta stretta” non è altro che l’Atanor degli alchimisti.
Attesa di Primavera in una profezia di Nostradamus
Figura 3: Immagine tratta da Li tre libri dell’arte del vasaio, opera di un alchimista del 1500, Cipriano Piccolpasso.
L’illustrazione accanto, in cui si vede una colomba che cerca di sollevare una pietra cui è saldamente legata, fa parte di Li tre libri dell’arte del vasaio, opera di un alchimista del 1500, Cipriano Piccolpasso1. Egli è stato anche architetto, storico, ceramista, e pittore di maioliche, italiano.
L’immagine rappresenta il simbolo dell’unità della materia, la cui difficoltà del processo alchemico per ottenerla, trapela dal filatterio in cui vi è iscritta la parola IMPORTUNUM.
La colomba, segno di sublimazione alchemica, rappresenta l’azione dello spirito sulla materia, un ruolo importante della seconda opera del Magistero Alchemico. In modo traslato all’Apocalisse di Giovanni, lo Spirito è l’Agnello, e la materia e la «bestia di terra». Tuttavia il solido legame che unisce lo spirito alla pietra, lascia intendere che questa, nel trattenerla, incide nel processo con la sua azione specifica, la forza di gravità, propria della materia. È ben chiaro così che venendo meno questa forza, il prodotto della sublimazione s’invola, vanificando così il lavoro dell’alchimista, e questo non ha senso che avvenga. Ecco lo scopo del legame che unisce i due per la cosiddetta coniunctio oppositorum.
La croce in alto indica l’atanor, ossia il crogiuolo (sinonimo di croce appunto), strumento dell’Arte del Fuoco, ovvero la Via Secca.
Più da vicino la pietra e la colomba rappresentano lo solfo e mercurio alchemico (la salamandra e la remora) che si azzuffavano dilaniandosi.
Questi due principi “abitano” il vaso alchemico e la lebbra che affligge la Materia Prima, più che identificarsi con il fisso o con il volatile, col corpo o con lo Spirito, risiede nella loro mancata integrazione, nella loro separazione. L’alchimista, quindi, non potendo rinunciare né all’uno né all’altro, deve riuscire ad amalgamare e fondere insieme Spirito e Corpo, realizzando la coniunctio oppositorum. Gli opposti devono prima lottare divorarsi ed uccidersi a vicenda perché la loro unione possa realizzarsi. Questa operazione ha due aspetti, quello del costringere la terra corporea e pesante ad elevarsi verso le regioni dello Spirito e quello consistente nell’obbligare lo Spirito ad abbandonare i “Cieli filosofici”, ove può spaziare liberamente, costringendolo a discendere nelle regioni più pesanti e condizionate dai vincoli terrestri perché possa vivificare rivitalizzare e “rendere consapevole” il corpo.
È una sorta di primavera che ad un certo punto attende l’esperto e paziente vasaio in trepido “ascolto“, come Leo, uno dei tanti alchimisti, in “Avviamento all’Esperienza del Corpo Sottile”2: «Noi dobbiamo cercare di avvertire accanto ad ogni impressione sensoria una impressione che la accompagna sempre, che è di genere del tutto diverso ‒ risonanza in noi della natura intima, sovrasensibile delle cose ‒ e che ci penetra dentro silenziosamente.» E cosicché lo Spirito Universale sovrasensibile si rispecchia nella sensorialità umana ed è così che, accanto a quella abituale, verrà a crearsi un nuovo tipo di sensazione. Fino a quel momento, vi sarà il fervore occulto del prepararsi alla rinascita: ci si troverà in una situazione analoga a quella dei primi incerti giorni successivi all’equinozio, nei quali la natura sembra, pur operosamente, ancora in “Attesa di Primavera”.3
Ma la Natura è provvida perché, in mancanza della “sensorialità” interiore, di cui parla l’alchimista Leo che l’avverte del sopraggiungere della vagheggiata “Primavera“, ha predisposto che ad essa si sostituiscano altre “primavere” i cui fiori sbocciano, per esempio, attraverso profezie, come questa tratta dalle Centurie di Nostradamus, per esempio:
Nostradamus II-27
«Le divin Verbe sera du ciel frappé, Qui ne pourra proceder plus avant: Du reserrant le secret estoupé, Qu’on marchera par dessus et davant.» «Il divin Verbo sarà dal cielo chiuso, Che non potrà procedere più avanti: Rinchiudendo il segreto dischiuso, Che marcerà per disotto e davanti.»
Questa quartina prelude ad una nuova realtà alchemica trasmutatoria che annuncia la nota “resurrezione dei corpi” promessa da Gesù attraverso i Vangeli. Il «divin verbo» è lo “Spirito” che finalmente pervade il “Corpo” e lo integra, perché diventi “Pietra filosofale” (v. la “colomba” e la “pietra” del vasaio di Cipriano Piccolpasso). Il suo “segreto” si “dischiuderà” per “disotto“, ossia nel “Corpo” e sarà “visibile” come una “primavera“.
E non mancano di rinforzo illuminate profezie sacre come quella dell’Apocalisse di Giovanni, a testimonianza che è parola di Gesù ossia del «divin Verbo».
«Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco: colui che lo cavalcava si chiamava <Fedele> e <Verace>: egli giudica e combatte con giustizia.» Ap 19,11)
«E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla fronte.» (Ap 22,3-4)
Ed ora entriamo nel nuovo tema sull’Apocalisse di Giovanni in trattazione, incominciando dalla questione sulla comprensione della decifrazione del numero 666 della bestia che ci prefiggiamo di penetrare. Da come è posto il versetto che vi attiene, sembra di intuire che il mistero del libro sacro in studio, sia racchiuso in questo numero. Insomma capire questo è come se si illuminasse tutta l’opera scritturale di Giovanni.
Il “passamano”
Di buona lena riprendiamo la questione interrotta sulla comprensione della decifrazione del numero 666 della bestia.
La prima idea, cominciando dall’inizio della sua stesura, si rifà ad un certo “passamano“, e spiego: Gesù incarica un angelo di rivelare i fatti escatologici dell’Apocalisse all’evangelista Giovanni, quasi a suggerire di poter continuare su questa linea e così rivelare le stesse cose ma in modo diverso, più evolute, con un successivo “passamano“, come di un processo da continuare nello stesso modo. Cioè Giovanni “in spirito” suggerisce a sua volta ad un altro profeta, questa volta più avanti nel tempo.
Ora se così fosse andate le cose di questo mistero, allora perché non pensare che possa essere il noto profeta e astrologo Michel Nostradamus, il destinatario in merito? Dunque può essere qui che si delineano i fatti dell’Apocalisse correlati a altrettanti fatti sul piano terreno, come per farvi fare un passo avanti nel tempo per la comprensione. Metà delle profezie di Nostradamus sono state già svelate, ma restano senza spiegazioni le rimanenti ed è in questa sede che si legano i fatti dell’Apocalisse.
– Perché ho pensato a questa ipotesi?
Perché con Nostradamus si cominciano a maturare i tempi per permettere all’uomo di essere instradato alla comprensione dei fatti dell’Apocalisse, se correlati a una certa parte delle profezie di Nostradamus, facendo riferimento a una sua precisa profezia, la seguente quartina 61 della centuria VI:
«La grande pista incisa avvolta ne mostrerà, Forse che alla metà le maggior parte della storia: Cacciato dal regno, longo aspro apparirà, Che al fatto bellico ciascuno lo vorrà credere.»
Esaminando la traduzione delle profezie in esame – mettiamo – quelle che Renucio Boscolo ha fatto nel suo libro “Centurie e Presagi di Nostradamus” (Edizioni Meb), la prima «metà della della maggior parte della storia» del secondo verso arriva al 1972. Ed è da qui, all’incirca, che presumibilmente si presume che si comincia a preparare il tempo per l’apparizione del «longo aspro» del terzo verso e si intuisce che si tratta della «bestia di terra» del numero seicentosessantasei, che tutti hanno interpretato come l’Anticristo. Ma come va stimata questa presunta “apparizione“, come quella di una persona fisica o che?
Traggo da internet un articolo a riguardo “L’incarnazione di Ahrimane” di Claudio Gregorat (secondo le concezioni dell’Antroposofia di Rudolf Steiner), pubblicato il 3 gennaio 2017 da Luigina Marchese4.
Qui si fa distinzione sulle incarnazioni di Lucifero, il Cristo e Ahrimane che sono apparse sulla terra presumibilmente secondo questo ordine:
Lucifero si incarna sotto la Reggenza di Oriphiel, intorno al 2500 – 2300 a.C.;
il Cristo si incarna sotto la reggenza di Oriphiel;
Ahrimane si dovrebbe incarnare sotto la Reggenza di Oriphiel entro il 2200 – 2400, in senso speculare a quella di Lucifero.
Oriphiel è l’Arcangelo di Saturno.
E dunque non entro la presente Reggenza di Michael, quale Difensore della Cristianità, cioè dal 1879 al 2233: ma nella seguente Reggenza di Oriphiel, dal 2200 al 2400 circa, diciamo, per ipotesi, entro il 2300. Ora, questa data fa ben parte dell’”inizio” del terzo millennio ! Potremmo ora sostenere tale possibilità con una certa sicurezza, considerando anche l’aspetto geografico.
Lucifero si incarnò in Cina verso il 2500-2300, quindi in Oriente
Cristo si incarnò in Palestina nell’anno 0, quindi nel Centro
Ahrimane si dovrebbe incarnare, verso il 2300 (?) in Occidente, in America.
Si forma così l’immagine di una bilancia, il cui fulcro è posto in Palestina. E l’osservazione geografica della Terra, dimostra che la Palestina – gli egittologi sostengono essere la Piramide di Cheope – si pone esattamente al “centro” fra continenti e mari ad Oriente ed altrettanti continenti e mari ad Occidente; le stesse superfici a destra ed a sinistra di essa.
Anche questa riflessione è pur sempre una supposizione. Purtuttavia, essendo il ritmo degli Eventi Mondiali soggetto a ritmi ricorrenti, offre una certa possibilità di avvicinarsi alla realtà. Come pure la considerazione che il Cristo è nato ed ha agito ponendosi al centro della Terra, in quanto “Spirito della Terra” stessa.
Altro particolare, su cui riflettere, il numero 666 in questione espresso in lettere e non in cifre più facile da vedere e memorizzare, ma per una ragione ben precisa come ora si capirà.
Ecco che l’enigma del numero seicentosessantasei della bestia dell’Apocalisse, se scomposto in sei cento e sessanta, e sei cento e sei, indirizza alle Centurie (cento) di Nostradamus VI-60 e VI-6.
La prima parla di un Principe tradito (il Principe del mondo: Satana); la seconda parla del segno di una stella che predispone la morte della “città grande” (la “grande prostituta“). Questa stella, Nostradamus la chiama “estoile chevelue“, cioè “stella barbuta“, ed è presumibilmente il virus Covid-19 meglio noto come coronavirus che sta tenendo in scacco il mondo intero. Infatti l’aspetto di questo virus sembra una sfera “barbuta“.
Quasi a mostrare il segno che si è al tempo giusto per stare al passo delle profezie dell’Apocalisse in tudio.
Seicentosessantasei può essere scomposto anche in sei cento e sessantasei per indirizzare alla Centuria VI-66 che parla della scoperta di un sepolcro di un grande Romano cui seguirà un terremoto. Tutti questi dati, riferentesi a quartine, cinquine e sestine, raccolte in Centurie sono il punto di partenza per vedere legate fra loro, attraverso numeri e nessi, a tutte le altre profezie per costituire un resoconto coerente.
Riepilogando sono possibili due casi, VI Centuria, quartina 60, e VI Centuria, quartina 6 oppure, VI Centuria, quartina 66.
Primo caso della decifrazione di 666
Nostradamus Centuria VI, quartina 60
«Le Prince hors de son terroir Celtique sera trahy, deceu par interprete: Ruan, Rochelle par ceux de l’Armoirique Au port de Blaue par moyen et prestre.» «Il Principe fuori del territorio Celtico sarà tradito, deluso per l’interprete Ruan, Rochelle, per quelli dell’Armorica Al porto di Blayle decaduti per mezzo prete.»
È un messaggio in codice diretto al futuro per chi vivrà al tempo giusto perché cominciano ad attuarsi i fatti preconizzati nell’Apocalisse di Giovanni, che la quartina VI-6 successiva perfeziona. Ricordo che si tratta messaggi crittografici basati spesso su giochi di parole privi, a volte, di razionalità.
Ruan, Rochelle, come in molti altri casi simili non riguardano le relative città, ma le loro iniziali che in questo caso sono R.R. E qui altra prodezza interpretativa per capire che si tratta del noto acronimo delle poste per significare ricevuta di ritorno. Dunque è un messaggio, naturalmente per quelli dell’Armorica, proseguendo la frase, ed è la Bretagna, la terra dei Celti, ossia dei Galli, che compaiono in un’altra quartina nostradamica che vedremo poi, come voler “comunicare” criptamente va tutto O.K..
Indagando sul «porto di Balyle» si scopre che certi progetti della duchessa di Berry per l’erede al trono di Francia, il Principe, saranno “traditi” perché è fatta prigioniera, appunto “Al porto di Blayle” nel 1833. Il «mezzo prete» sta per “pastore protestante“: i protestanti presero possesso di questo porto nel 1568. Probabilmente si tratta di una chiave per legarla in modo avverso al progetto del citato «Principe» considerato che siamo in piena area del numero 666 della «bestia di terra». Perciò in modo traslato è il Principe del mondo, cioè Satana.
Ricordo questa citazione dell’Apocalisse di G. (Ap 13,11):
«Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago.». Quindi la presenza del «mezzo prete» è coerente, e lo è solo per metà perché poi ci si renderà conto che la «bestia di terra» diventerà l’«Agnello» ed ecco che anche la «sapienza» che vi si lega, da “falsa” (dei protestanti) che era diventa veritiera.
E proseguendo nell’interpretazione della N. VI-60:
Al Principe, contrapposto al territorio Celtico, cioè i Galli, non gioveranno le lettere del grande Profeta giunte in mano sbagliate, “l’interprete“, di cui si parla nella quartina di N. II-36 che segue:
«Du grand Prophete lees lettres seront prinses, Entre les mains du thiran deviendront, Frauder son Roy seront ses enterpronses, Mais ses rapines bien tost le troubleronr.» «Del grande Profeta le lettere saranno prese, Tra le mani del tiranno giungeranno, Per frodare il suo Re, saranno le sue imprese, Ma le sue rapine bentosto lo rovineranno.» Nostradamus Centuria VI, quartina 6 «Apparoistra vers Septentrion Non loing de Cancer l’estoille chevelue Suze, Sienne, Boece, Eretrion, Mourra de Rome grand, la nuict disparue.» «Apparirà verso il Settentrione Non lungo del Cancro la stella barbuta: Susa, Siena, Boemia, Eretrion, Morirà di Roma la grande, la notte, dissolta.»
Si tratta di un segno che da l’avvio all’interpretazione della quartina Centuria VI, quartina 60 che vi precede, quella della R.R., cioè la ricevuta di ritorno, un messaggio di intesa, come se fra le forze inferiche della «bestia» vi fosse un “infiltrato“.
Viene in mente un racconto del filosofo austriaco Rudolf Steiner, fondatore dell’Antroposofia, che si sofferma sulla forza solare cristica che si distacca dal Sole per far parte della forza lunare di Ahrimane. Si tratta del dio Jahvè che contrasta le intenzioni antispirituali di Ahrimane, cioè Satana. Ahrimane vuol dire dunque Morte spirituale.5
«Morirà di Roma grande, la notte dissolta». “Roma grande” va intesa in due modi.
– Primo, come Amore, l’anagramma che vi corrisponde comunemente accettato. E allora cosa vi è più grande dell’Amore? Niente, perché con Amore germoglia la vita e senza di lei tutto muore. Pertanto non potendo assolutamente morire, chi muore al suo posto? Si dissolve la Morte legata alla notte, cioè viene a mancare per opera e virtù della “stella barbuta”, «l’estoille chevelue»!
– Secondo come la «città grande» (Ap 17,18), la «grande prostituta» (Ap 17,1), e così si dissolve la Morte confermando l’altra versione interpretativa.
Infine per il terzo verso «Susa, Siena, Boemia, Eretrion», Nostradamus ricorre, come già è avvenuto per il caso precedente della quartina di N. VI-60, alle iniziali maiuscole che nel nostro caso sono tre città, ma non di Eretrion di cui non si sa nulla. Ma per Erection il significato può essere costruzione, erezione, montaggio. Tutte parole che sembrano legate a una possibile macchina. Nasce l’idea di puntare l’attenzione sulle iniziali SSB, l’acronimo relativo alle iniziali delle tre città suddette. Di qui nulla di tanto arduo che far la relativa ricerca su Startpage.com, ottenendo questo risultato con due possibili acronimi fra i diversi:
Siluro San Bartolomeo – sommergibile tascabile italiano
Submersible Ship Ballistic: sigla HCS per identificare il sottomarino convenzionale lanciamissili balistici.
Questi due acronomi sembrano legarsi coerentemente al sistema della macchina Enigma dei nazisti della passata guerra mondiale, con cui sembrano dialogare di nascosto l’ipotetico infiltrato steineriano della «bestia», con le forze solari del Cristo, cioè Jahvè che può accostarsi alla figura di Saturno. Tanto è che la quartina III-91 di N. celebra la sua rinascita:
«L’arbre qu’estoit par log temps mort sechè, Dans una nuict viendra à reverdir: Cron Roy malade, Prince pied estaché, Criant d’ennemis fera voile bondir.» «L’albero che stava lungo tempo morto secco, In una notte verrà rinverdire Crono re malato, Principe in piedi eretto Timore di nemici, farà volo bonificare.» «Crono re malato» è Saturno, ovvero l’argomentato “infiltrato” steineriano «Yahwè».
«L’estolille chevelue» della quartina N. VI-60
Figura 4: Immagine del coronavirus.
E se fosse «l’estoille chevelue», cioè la stella barbuta, il segno del virus Covid-19, meglio noto come coronavirus che sta tenendo in scacco il mondo intero? Infatti, osservando l’illustrazione relativa accanto, l’aspetto di questo virus sembra una sfera “barbuta”.
La Covid-19 – conosciuta anche come malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2 o malattia da coronavirus 2019 o anche morbo da coronavirus 2019 – è una malattia infettiva respiratoria causata dal virus denominato SARS-CoV-2 appartenente alla famiglia dei coronavirus. I primi casi sono stati riscontrati durante la pandemia di COVID-19 del 2019-2020. Al 13 luglio 2020 il suo tasso apparente di letalità è del 4,4%.
Rinforza questa ipotesi il fatto che l’estoille chevelue appare a settentrione, cioè nella parte alta del corpo, cioè i polmoni.
Riflettendo su «l’estoille Chevelue», sembra legarsi alla quartina di Nostradamus VI-96 che è questa:
«Sur le millieu du grand Monde la Rose Pour nouveaux faicts sang public espandu: A dire vray on aura bouche close, Lors au besoing viendra tard l’attendu.» «Sopra la metà del grande Mondo la Rosa Per nuovi fatti di sangue pubblico sparso: A dire il vero si avrà la bocca chiusa, Allora il bisogno verrà tardi l’atteso.
«la Rosa» si lega chiaramente a «l’estoile cevenue» per verosimiglianza del virus Covid-19 cui vi corrisponde ad una rosa appunto; il «grande Mondo» è «la città grande» (Ap 17,18) simbolo della grande prostituta che «la bestia e i dieci re […] spoglieranno e la lascieranno nuda, ne mangeranno le carni e la brucieranno col fuoco» (Ap 17,16-17); il «sangue pubblico sparso» è il sangue dei moltissimi morti a causa del covid-19; «verrà tardi l’atteso» si lega ad un’altra quartina di Nostradamus, la II-45:
«Trop le ciel pleure l’Androgyn procree, Pres de ciel sang humanin respandu: Par mort trop tard gran peuple recree, Tard et tost vient le secours attendu.» «Troppo a Cielo piange l’Androgino procreato, nello spazio celeste sangue umano versato: per la morte troppo tardi il grande popolo ricreato, tardi e così viene il soccorso atteso.»
1 gianfrancobertagni.it/materiali/alchimia/piccolpasso
2 Introduzione alla Magia, a cura del Gruppo di UR, vol. I, cap. III, pag. 72, Edizioni Mediterranee. 3 liberaconoscenza.it/commenti..20versetto..2051 4 L’incarnazione-di-arimane 5 Rudolf Steiner: “il movimento occulto nel secolo diciannovesimo e il mondo della cultura” (Editrice antroposofica-Milano)
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“Ad affiorare in me sono le cose inaccettabili”. Viaggio dentro il libro dei libri di Jung, il “Libro Rosso”
Dieci anni fa Bollati Boringhieri pubblica, con sfarzo, Il Libro Rosso – noto anche come Liber Novus – di Carl Gustav Jung. Il libro – repertorio di sogni, visioni, epopee dell’inconscio, inabissamenti onirici, “serie di esercizi di immaginazione attiva” – si focalizza su alcune esperienze visionarie del 1913-14, è elaborato fino al 1930 e pubblicato, appunto, postumo. Non m’interessa nulla del sottosuolo psicoanalitico – un primo studio è l’introduzione al tomo di Sonu Shamadasani –; m’importa la tensione letteraria. E ancora prima: la costruzione del libro, la macchina teatrale.
*
Mi spiego. Il libro, fin dal titolo – Libro, Liber – e dalla composizione editoriale – copertina (rossa, solenne), impaginato e regalità del font – è inteso come una Bibbia, un libro che non è altro che il Libro – biblìon – cioè il libro che riassume tutti i libri possibili, e da cui tutti i libri ulteriori hanno origine. In effetti, il Libro Rosso è presentato come “il libro segreto”, come “l’opera di fondazione”, la zona d’ombra che alimenta la bibliografia pubblica, svelata, l’Eden originario, la scuola delle risposte. Ogni insegnamento pubblico – alimentato dal mercato delle idee e dei libri – ha una ragione esoterica, il culmine, il remoto, a cui pochi intimi – o eletti – hanno accesso. Il meccanismo psicologico – va detto – fu eclatante: a tutti fu concesso di fare una gita nei recessi della dottrina di Jung, nel negativo, nel tanto autentico da restare irrisolto, nascosto. Come scalottare il cervello di un dio. Ovviamente, comprai il libro. A quel punto, il contenuto è surclassato, defunto dal contenitore: il libro in sé è tanto importante che anche se alcuni significati ci paiono insignificanti siamo disposti a tracciare la galassia dei sovra e sottosensi pur di difendere il libro dal contagio del contenuto, banale. Ad esempio. L’ultimo ciclo del Libro Rosso – che va letto, parere mio, come un planetario –, Prove, si concluda così: “L’ombra rispose: Io ti porto la bellezza della sofferenza. È quello di cui ha bisogno chi ospita il verme”. Questo concetto replica, in forma scenica, ciò che sappiamo da sempre, da Eschilo, dagli evangelisti, da San Paolo, da Dostoevskij – per sorbirlo non abbiamo bisogno di Jung. Ma questo libro – in quanto libro e non opera: cioè qualcosa che tende alla perfezione dell’inconcluso – non si può leggere come un trattato filosofico.
*
Il Libro Rosso, intendo, va agito, va giocato – sì, proprio come un gioco di ruolo, solo che qui i ruoli sono le mille facce di me, l’unico, il quasi niente. Jung non vuole essere originale: cerca l’origine. La sua opera si colloca sotto la tenda biblica: cita i profeti, scrive senza distanza tra Zurigo e Patmos – chiunque tende al libro vuole annientare il Libro. D’altra parte, colloca simboli mitraici, si riferisce al culto induista, al neoplatonismo (“Accadde che aprissi l’uovo e che il Dio abbandonasse l’uovo”), cita figure del mito caldeo, appaiono gli arcani, l’Anacoreta, il Mago, il Folle, la Morte, ma anche gli elementi della fiaba (L’assassinio dell’eroe, Il castello nel bosco, Gli incantesimi). Il libro – a differenza dell’opera, che è compito bene eseguito, tramite la ragione – è aperto, non perché sia incompiuto: perché sei tu, senza concluderlo, che lo devi abitare, dando avvio a un ulteriore processo visionario.
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Benché non si affacci il Mostro, il lato sinistro dello splendore, il libro è il labirinto per scovarlo. Per tramare la vita bisogna esperire la morte: “Quando scorgo la miseria e l’assurdità del mondo ed entro perciò a capo coperto nella morte, allora tutto quel che vedo si trasformerà forse in ghiaccio, ma nel regno delle ombre sorge l’altro sole, quello rosso. Si leva in segreto e inaspettato e, come un’apparizione satanica, il mio mondo si capovolge. Presagisco sangue e assassinio. Solo il sangue e l’assassinio sono ancora sublimi e hanno la loro particolare bellezza. Si può ammettere la bellezza di un atto di violenza sanguinario. Ma ad affiorare in me sono le cose inaccettabili, terribilmente ripugnanti”. Ogni interpretazione è lecita ma poco persuasiva – dietro la lallazione di un bimbo posso scorgere la chiamata obliqua di un dio. Il libro – che non è opera – resta segreto perché si muove, ha natura fiera, felina. Le frasi, cioè, corrono, a quattro zampe, saltano, azzannano. Se non si è disposti a riconoscere la lince, meglio preferire i libri in luce, pubblici, ragionati, ragionevoli, giusti.
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Torno alla creazione del libro. In origine, il Liber Novus è vergato con caratteri specifici, da miniatore medioevale, ed è corredato da disegni: alcuni sembrano desunti da una Apocalisse pittoresca, altri sono mandala (unione degli opposti: la carne biblica e l’effimero vedico, fuoco e vento, in fondo uno). Il riferimento all’antico non è simulazione né melliflua autorevolezza: si va a caccia dell’origine per cancellarla – per cancellarsi. Riguardo alla costruzione del libro, Jung sa che il grande precedente è lo Zarathustra di Nietzsche (“Fui d’improvviso afferrato dallo spirito e portato in una terra deserta in cui lessi lo Zarathustra”, ricorda). Eppure, l’analitica costruzione – e illustrazione – del libro rimanda più che altro – compreso Dante, fonte concreta – alle azioni di William Blake (Nietzsche vuole illustrare, Blake illuminare; i libri troppo chiari vanno tenuti in ombra, all’ombra dell’irriconoscenza). Ma pure, a un livello prettamente letterario, all’Ossian di James MacPherson e al Kalevala di Elias Lönnrot, autori che consapevolmente – anche dal punto di vista editoriale – costruiscono il passato, fondano un ancestrale ipotetico. Se il pasto lirico è soddisfatto dal Faust di Goethe, l’ardore bibliomantico mi porta ad avvicinare il Libro Rosso di Jung al Necronomicon di Lovecraft, redatto dal fittizio arabo negromante Abdul Alhazred, e a quell’altro Libro Rosso, forgiato da Bilbo Baggins, che funge da fonte per i libri di Tolkien (in cui sono citati ulteriori innumerevoli libri). Anche in questo caso – senza malizie conoscitive o riverberi visionari – c’è sempre un tomo segreto a originare quello visibile. Il punto, in effetti, è sempre quello: fondare il libro invisibile, che si crea vivendolo, quasi che tra le nostre scelte e l’alfabeto non vi fosse scisma né sintagma.
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Una frase, nella porzione Il deserto, costituisce forse una chiave di lettura. “Le parole che oscillano tra nonsenso e senso superiore sono le più antiche e le più vere”. Tutto ciò che è significativo ha un significato che sfugge all’ordine logico del dire e del comprendere – una intesa per sussurri e assoluzioni. Non si tratta mai di capire – quello è il giogo – ma di accennare, semmai, di tentare un accesso nell’altro lato del parlare. Tra nonsenso e senso superiore, in verità, non c’è differenza.
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Il libro, chiuso allo sguardo univoco, insegna, come dice Jung, “a inseguire le immagini interiori” – è una bussola per perdersi. “Il nostro sovrano è lo spirito di questo tempo, che in noi governa ogni cosa, è il senso comune con cui noi oggi pensiamo e agiamo. Ha un potere spaventoso, perché ha portato a questo mondo beni incalcolabili e avvinto l’uomo con incredibili piaceri. Si adorna delle migliori virtù eroiche e vorrebbe sollevare l’umanità a splendide e radiose altezze, in un’ascesa irresistibile”. Almeno nel lato capovolto della vita – il sogno che equivale alla scrittura – sia padrone il senso ulteriore, il non senso, l’individuo che fonde comunione e elezione. Nel Libro Rosso appare spesso la figura del bambino sovrano, il puer di Virgilio, il bimbo eterno, “simbolo liberatore” di “spregiudicatezza d’atteggiamento”, che va inseguito fino al sacro capriccio. Una immagine ricorrente mi visita: un bambino che cammina sulla schiena di un giaguaro, come se quella fosse la stanza dei giochi – il giaguaro chiude gli occhi sotto il comando del bimbo; ogni volta che li riapre un mondo nuovo è sorto.
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Il libro perfetto: quello che avviene mentre lo stai leggendo. Che evoca l’autore, non più imprigionato nel reticolo dei verbi. Un libro, cioè, scritto a mano, fino a perdere le dita, soltanto per te che lo leggi – nell’atto della lettura, svanirà. (d.b.)
L'articolo “Ad affiorare in me sono le cose inaccettabili”. Viaggio dentro il libro dei libri di Jung, il “Libro Rosso” proviene da Pangea.
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Thomas Scalco. Interazioni possibili
curated by Francesco Siracusa
with an interview by the curator and a critical essay by Gabriele Salvaterra
Agrigento, Spazio Espositivo di Francesco Siracusa
October 27th - December 29th 2018
Unione degli opposti in Thomas Scalco
La dialettica era un mezzo filosofico che faceva scontrare due discorsi contrapposti nel tentativo di raggiungere la verità. Nella visione di Hegel questa procedura assumeva un aspetto apparentemente schematico dove a una tesi succedeva un’antitesi (il suo contrario) affinché poi potessero essere ricomposte e rimesse in armonia da una sintesi in grado di comprenderle entrambe.
Senza avventurarsi troppo sullo scivoloso terreno della storia della filosofia, guardando alla pratica di Thomas Scalco, accade qualcosa di simile. Due entità, due linguaggi, vengono messi in risonanza, fatti collidere come in un esperimento in tempo reale, per poi verificare se da questo incontro possa scaturire un nuovo barlume di conoscenza, una nuova luce di consapevolezza o addirittura una verità (ma pur sempre una verità artistica, intuitiva, non-scientifica).
Le tesi e le antitesi che vengono qui impostate sono di varia natura e rimandano a contrapposizioni presenti tanto nella storia dell’arte, quanto nel mondo fisico che nella visione della realtà. Figurativo e astratto, bidimensionale e tridimensionale, ordine e disordine, controllo e aleatorietà, naturale e artificiale, concretezza e ariosità, opacità e trasparenza, luce e oscurità, organico e cristallino, ecc.
La sintesi di tutte queste polarità opposte si sostanzia irrimediabilmente nella realtà dell’opera finale dove accade qualcosa di molto semplice ma anche sofisticato: due elementi che prima non si conoscevano imparano a relazionarsi, due mondi che prima erano stranieri l’uno all’altro si uniscono, vanno a braccetto e diventano una cosa nuova, percorsa da una grazia armoniosa che desidera però conservare anche un po’ del proprio prezioso mistero. È la sintesi orientale dello yin e dello yang dove, all’impossibile distruzione del contrario o del diverso, si preferisce un’accettazione delle contraddizioni e una loro sublimazione in una realtà ulteriore. Tutto ciò avviene sul piano dell’illusione pittorica dove queste interazioni diventano possibili e mostrano una strada che, seppur complessa da riconoscere nel prosaico “mondo reale”, va forse semplicemente cercata nelle sue pieghe più nascoste.
Gabriele Salvaterra
ottobre 2018
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Elezioni in un Paese occupato
di Francesco Mazzuoli Era il 1908 quando Gilbert K. Chesterton osservava acutamente: “Stiamo procedendo nella direzione che porterà a creare una razza di persone troppo modesta intellettualmente per credere nella tavola pitagorica.” Più di un secolo dopo, possiamo dire che era un ottimista. É questa la ragione per cui non ho dubbi che questo mio pezzo non circolerà quanto dovrebbe. Tuttavia, considerando la faccenda con il distacco dello studioso di propaganda, non si può fare a meno di notare come anche all’interno del cosiddetto “anti-sistema” il frame, la cornice interpretativa, all’interno della quale le elezioni italiane sono presentate, manchi del dato fondamentale: le elezioni avvengono in un Paese occupato militarmente da più di settanta anni. Secondo il sito della Treccani – noto covo di rivoltosi e di cospiratori- le basi americane ufficiali in Italia sono 59 e, secondo gli stessi americani, la condiscendenza del governo italiano nei loro confronti è senza riserve. La cosa non deve destare meraviglia, il servilismo da noi è ereditario come le palle degli stemmi nobiliari, e ha largamente ispirato la nostra letteratura, dalla famosa invettiva dantesca “Ahi serva Italia, di dolore ostello… non donna di province, ma bordello!”, ad “Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni. Non bisogna, poi, mai dimenticare che il nostro Paese uscì sconfitto dalla seconda guerra mondiale e come tale fu considerato nel trattato di pace del 1947. Lo storico Gioacchino Volpe, a guerra non ancora conclusa, scriveva amaramente alla moglie che l’Italia si avviava a diventare un Paese irrilevante, una grande Grecia, e sognava un futuro in cui i giovani si sarebbero ribellati al loro destino di bagnini (Gioacchino Volpe, Lettere dall’Italia perduta, Sellerio). Parole profetiche col senno di poi, ma di semplice buon senso per chi non si fosse venduto alla propaganda dei vincitori. Il mito della “liberazione” già imperversava, in un Paese bombardato, di straccioni in ginocchio con il piattino dell’elemosina in bocca in cui venivano gettate caramelle e chewing gum, indebitato con la carta straccia delle AM lire, e comprato a saldo stralcio con i soldi del piano Marshall: come non avere davanti agli occhi lo squallido spettacolo di De Gasperi, ritornato dal viaggio in USA sventolando il nostro nuovo vessillo, l’assegno con il quale era stata appena comprata la fedeltà italiana? In Africa si sarebbe chiamata corruzione, in Europa si cominciò a chiamarli aiuti. Basterebbe dare un’occhiata al libro che Cossiga licenziò nei suoi ultimi anni, dal titolo emblematico, Fotti il potere, per comprendere che in Italia non si è mai mossa foglia che zio Sam non voglia, a partire dal condizionamento delle elezioni del 1948, operazione che costituisce uno dei primi grandi successi della CIA, creata soltanto un anno prima. Venne poi il “miracolo italiano”, all’interno della più generale prosperità dell’Europa occidentale, benessere – si badi bene – voluto dai padroni americani per disporre di nuovi mercati e allontanare le sirene della propaganda social-comunista. Quando tale benessere diffuso non fu più così necessario (nel 1979 un rapporto del KGB già annunciava la futura implosione del sistema sovietico), e mentre negli Stati Uniti la componente finanziaria acquisiva sempre più rilevanza e spingeva per un diverso modello di sfruttamento economico dei paesi occupati, cominciò a stringersi il cappio insaponato dell’europeismo. Infatti – in modo assai diverso da quanto viene raccontato, per cui sarebbe il parto spontaneo di pacifisti ispirati da alti valori umani di collaborazione tra i popoli – il progetto europeista, come mostrato indubitabilmente dallo storico Joshua Paul, altro non è che un progetto americano, teso a tenere sotto il proprio tallone l’Europa occidentale e impedire che una potenza antagonista possa mai ergersi a minacciare la supremazia americana in quest’area geopolitica cruciale. Non occorrevano troppi documenti desecretati per capirlo: invito chi abbia tempo (con la disoccupazione quello non manca, bisogna vedere, però, se è possibile ancora pagarsi una connessione internet) a vedere o rivedere il famoso film Vacanze Romane, con il quale Hollywood riuscì a trasformare una commediola sentimentale in un pretesto per parlare della bontà e necessità della cooperazione tra i popoli europei. Siamo nei primi anni cinquanta, anni in cui si intensificarono gli sforzi americani in questa direzione, e non a caso il film fu girato proprio a Roma, sede nel 1957 di uno storico trattato istitutivo della CEE. (Per altro – cari amici incantati dai film e serie tv americane, sorbite assieme a bevande zuccherate che fanno la gioia dei dietologi – Hollywood funziona a tutt’ oggi, così, con i suoi divi di Stato cui potreste assomigliare se il chiururgo plastico fosse un filantropo: ecco, per gli scettici, una Angelina Jolie in una conferenza congiunta con il Segretario Generale della NATO. Il crollo della Unione Sovietica, fornì dunque l’occasione per dare una vertiginosa accelerazione al progetto europeista, con la riunificazione tedesca (Andreotti, con finezza, ebbe a dire: “La Germania mi piace così tanto che ne preferivo addirittura due…”), e il famigerato trattato di Maastricht, che ci avviava, nel silenzio dei media, verso le nostre magnifiche sorti e regressive. Feste per l’ingresso Italia nell’euro Il progetto è stato costruito dagli strateghi americani per ruotare intorno al ruolo predominante (precisamente di sub-dominio rispetto agli USA) della Germania, conferendo ad essa un esorbitante vantaggio al fine di tenerla saldamente legata al carro atlantico e di distoglierla da tentazioni di liaisons con la Russia, esiziali per gli interessi geopolitici a stelle e strisce. In questo quadro, l’euro nasce appositamente per conferire alla Germania uno straordinario vantaggio economico ed è per questa ragione che non può essere smantellato. Alla luce di quanto sopra, si comprende, ora, perché, se non spiegato nei suoi reali termini, che varchino l’ottuso semplicismo dominante, l’appello no euro è soltanto un argomento demagogico per raccogliere consenso? E se non foste ancora convinti, avete notato la casuale coincidenza per la quale, avvicinandosi le elezioni, l’uscita dalla moneta unica sia sparita magicamente e all’unisono da tutti i programmi partitici? Come Salvini abbia dichiarato che la NATO non si discute e Di Maio si sia recato addirittura a Washington a giurare fedeltà al padrone? Dopo anni di propaganda convegni e il libriccino Basta euro, al momento di fare sul serio e di proporsi come potenziale forza di governo, la Lega ci presenta come soluzione alla morte del Paese, l’emissione dei “mini bot”, perché – udite – “non violano i trattati”. Ci rendiamo conto di quale dichiarazione di sudditanza, di impotenza, di servilismo e di mancanza di coraggio è contenuta in questa proposta da piattino in bocca? Di quali statisti in pectore si tratti? Eh sì, nonostante il potere – quello vero, che detta l’agenda europeista e dei media – metta in scena la commedia degli opposti estremismi, sono lontani i tempi del sangue contro l’oro, e ancora più lontani quelli del sangue contro l’euro�� C’è, infatti, una tragica verità, che nessun politico vi dirà mai (anche se qualcuno ha suggerito qualche indizio ): l’unificazione europea prevede il sacrificio dell’Italia, la colonia più servile, la più indifesa, per motivi storici e antropologici. Chi si opponeva a questo progetto di marginalizzazione del Paese: Mattei, Moro, Craxi, parte della Dc, è stato eliminato con Tangentopoli e il Paese è stato immolato agli interessi americani e dei loro alleati privilegiati (in primis la Germania e subito dopo la Francia), che lo divorano a brani, grazie allo zelante collaborazionismo della nostra classe dirigente, che quando non è venduta è perché non trova acquirenti. Nel nostro letto di Procuste, attendiamo adesso fiduciosi l’ultima aggressione al succulento boccone del nostro risparmio, che ancora tiene in piedi, assieme alle pensioni e alle case di proprietà (i soprammobili sono già al Monte dei pegni), un territorio – non è mai stata una nazione e non è più nemmeno uno Stato – con oltre il trenta per cento di disoccupazione effettiva. Questa è, in estrema sintesi, la storia; il resto è propaganda. E non c’è un solo partito o sedicente tale che si presenti alle elezioni raccontandovi la verità. Siamo un paese occupato. E in un paese occupato, le elezioni non sono soltanto inutili, sono una farsa. Fonte: Come Don Chisciotte Tratto da: www.controinformazione.info Prerso da: https://www.sapereeundovere.com/elezioni-in-un-paese-occupato/ http://ift.tt/2H3xQy5
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Lo yoga è una disciplina che si inserisce nell’ambito delle discipline psicocorporee. Le pratiche chiamate psicocorporee agiscono su più livelli contemporaneamente: fisico, mentale, emozionale ed energetico. Le discipline di cui parlo sono numerose, nascono dalle tecniche millenarie della tradizione orientale e dalle tecniche dolci di origine occidentale. Parliamo delle diverse correnti e tipologie di Yoga, del Tai chi o del Qi Gong, della Bioenergetica e delle Ginnastiche dolci come l’Eutonia e il metodo Feldenkrais , Mézières e Bertherat.Queste tecniche così diverse tra loro per origine e modalità, hanno un denominatore comune, agiscono sulla distensione attraverso il respiro e sulla consapevolezza, ovvero la percezione di sé.
Gli elementi comuni nell’esecuzione di queste discipline dal punto di vista del tipo di movimento sono:
la leggerezza e la lentezza dei movimenti e assenza di sforzo poiché provoca eccessiva tensione;
si porta l’attenzione “all’interno del corpo”, ossia su tutto ciò che avviene in esso durante l’esercizio (respirazione, circolazione sanguigna e battito cardiaco, localizzazione delle tensioni, aggiustamenti e riequilibri muscolari);
espansione della percezione e della sensazioni di benessere fino a che il corpo stesso agirà in maniera diversa e lo farà naturalmente;
corpo e mente lavorano insieme, la mente sarà svuotata dai pensieri e focalizzata sull’azione da compiere;
la respirazione, guidata o naturale, accompagna ogni pratica.
Il termine Yoga, è un termine significativo quanto al tempo stesso vago. Un po’ come se usassimo la parola Musica, con la presunzione di poter dare l’idea di tutto ciò che essa rappresenta. Lo Yoga rappresenta un universo sconfinato, pieno di stili e sfaccettature
La parola yoga significa unire, congiungere, legare insieme, possiamo dire che si tratta di un processo di “unificazione”.
Letteralmente Yoga – yug in sanscrito- significa giogo, il giogo è quello strumento che permette ai due buoi di andare nella stessa direzione. Attraverso lo yoga usiamo uno strumento che permette alle parti diverse e divise del nostro essere di andare nella stessa direzione, Tutto ciò che si allontana riportarlo al centro, non in modo violento, giudicante, ma con amorevolezza, in questo modo facciamo un cammino di unificazione del nostro essere. Un percorso di ri-unificazione progressiva che significa andare a raccogliere tutte quelle parti di noi che si sono un po’ disperse come se il nostro essere si fosse un po’ slabbrato, suddiviso in tante parti. C’è quindi bisogno di questo lavoro estremamente paziente, dolce, amorevole, non deve essere un lavoro violento. I due buoi sono il simbolo dei due opposti che possono esserci e i primi due opposti con cui abbiamo a che fare è il corpo e la mente. Quindi una unione con noi stessi e con tutti gli oggetti esterni. Più avanti lo yoga acquista anche un altro significato, yoga significa unione delle varie parti dell’essere ma anche unione tra l’essere umano e il principio divino.
E’ noto che lo Yoga sia nato in Oriente, in India, grazie a dei “pionieri” tradizionalmente definiti Yogi che hanno dedicato la vita alla pratica, alla sperimentazione e alla creazione di questa disciplina, che possiamo considerare come l’antenato di quasi tutti i sistemi e metodi di auto-miglioramento sviluppatisi oggi. Di certo la caratteristica principale che può essergli riconosciuta è quella di fornire una rinnovata vitalità al corpo e alla mente perchè fondamentalmente equilibria funzioni estremamente complesse del nostro corpo, e attraverso l’equilibrio fisiologico noi creiamo le condizioni per l’equilibrio psicologico, psichico. Può essere considerata una disciplina psicosomatica unica nel suo genere.
Molto concretamente questa disciplina è espressione di un processo attraverso il quale l’individuo può imparare a vivere in modo integrato e armonico. Le pratiche sono volte a neutralizzare ed eliminare tutto quanto conduce la persona verso uno stato di disagio e malessere. Poiché lo Yoga è essenzialmente una scienza per la crescita personale diventa simultaneamente una scienza per la salute e la guarigione. E’ una via pratica che tutti possono sperimentare, ad ogni età, e la costituzione fisica non deve e non può rappresentare un impedimento.
Tant’è vero che sempre di più oggi lo yoga viene consigliato dai medici e ci sono studi scientifici che si stanno interessando degli effetti dei questa disciplina in numerose patologie. E questo fa si che lo yoga viene praticato da sempre più persone (In Italia si considera 1 milione e duecentomila, 830 le scuole riconosciute. Nel mondo 250 milioni (7 miliardi di abitanti nel mondo)di persone, 20 milioni solo negli Stati Uniti. Yoga in acqua o woga, appeso ad un’amaca (antigravity), col trekking, col pilates, in compagnia del cane… power yoga per tonificare i muscoli, non è facile districarsi fra infinite tecniche e nascono continuamente nuove mode.
Lo yoga è una via di ricerca, un’autoeducazione e il corpo è lo strumento che viene utilizzato.
Tutto è nel corpo. E’ indispensabile passare per il corpo. Il corpo è l’unico luogo che ci fa rendere conto di essere vivi. Ma può accadere di allontanarci dal corpo per vari motivi per esempio per una situazione di dolore. Il dolore fisico prolungato ci allontana dal corpo o ci fa porre un’attenzione impregnata di negatività, ci porta inconsciamente ad identificarci solo con la sensazione dolorosa ignorando tutte le altre sensazioni del corpo fino a non sentire più nulla, solo sensazioni dolorose. Chi è in una condizione di dolore cronico perde contatto con il proprio corpo, non è più in grado di percepirlo come globalità e soprattutto non è in grado di percepire il flusso di vitalità che scorre all’interno del corpo. Diventa il suo dolore. Si identifica completamente con il dolore che è la sensazione più intensa che percepisce e che annulla ogni altra percezione. Nel dolore cronico si perde contatto con il corpo, si diventa dolore .
Quindi il primo aspetto fondamentale dello yoga è ristabilire contatto con il corpo attraverso le percezioni sensoriali. Essere in contatto significa essere consapevoli di ciò che accade dentro di noi e intorno a noi. Molte persone si rendono conto di essere tese in generale, ma non percepiscono la costrizione che si può formare nella gola, nella parte posteriore del collo, nel diaframma, i nodi nei muscoli delle gambe. Mancando questa percezione non possono allentare le tensioni muscolari. Quindi Lo yoga educa a Conoscere le cose che accadono dentro di noi attraverso le informazioni sensoriali.
Il secondo aspetto è considerare le sensazioni come neutre, cioè accoglierle così come sono senza giudicarle, senza dare una definizione, senza volerle cambiare…cioè senza attivare processi mentali. C’è la sensazione in se stessa, che di per sé è fondamentalmente neutra, anche se si preferirebbe che non ci fosse. Poi c’è la nostra definizione mentale di essa come dolorosa e di giudizio sulla sensazione: “non mi piace questa sensazione di dolore!”. Poi provare a non definire affatto la sensazione. Non devo catalogare l’informazione (questo è caldo, freddo, dolore; mi pace non mi piace...) mi educo ad ascoltare senza informazione, senza parole, mi educo a penetrare il mio corpo solo ascoltando, questo mi deve bastare. In questo modo imparo a entrare in un mondo senza concetti, senza parole, imparo a conoscere la vita che pulsa dentro di me, che vibra senza riempirla di condizionamenti mentali legati alla memoria.
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