#un po' alla volta
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“Il fatto è che bisogna superarli un po’ alla volta,i nostri limiti,
con un po’ di pazienza. Qui sta il trucco. […]
Non dar retta ai tuoi occhi e non credere a quello che vedi.
Gli occhi vedono solo ciò che è limitato. Guarda con il tuo intelletto e scopri quello che conosci già, allora imparerai come si vola.”
— R. Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston
#superare#sei tutti i limiti che superi#senza limiti#limiti#migliorare#dare il meglio di sé#dare il massimo#un po' alla volta#pazienza#occhi#credere#vedere#limitato#guardare#intelletto#conoscere#imparare#volare#frasi motivazionali#frasi motivanti#frasi tumblr#frasi#frasi e citazioni#Bach#il gabbiano Jonathan Livingstone
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Comunque rip fandom anglofono della formula 1 non saprete mai che La scelta di Caparezza è una delle canzoni più azzeccate per questo sport
#ogni volta che voglio fare una playlist a tema formula 1 devo combattere la voglia di inserirla e non ho ancora mai vinto questa battaglia#perchè ogni pilota a un certo punto si trova davanti alla scelta di rincorrere ancora il sogno oppure ritirarsi#soprattutto se al ritiro ti aspettano moglie e figli#la parte di 'Ludovico' mi fa sempre pensare a Max in particolare#'Mio padre è d'umore un po' grigio mi vuole prodigio/Ma sono solo un bambino e c'è rimasto male'#'Padre lascia stare l'alcol ti rovini/sei severo quando faccio tirocini/Io sono romantico ma pure tu/Mi vedi solo come un mazzo di fiorini'#arte che imita la vita o vita che imita l'arte che ne so#invece la parte di 'Marco' vi diró molto Seb/Nico coded per me#Più Seb direi soprattutto con l'annuncio 'But as much as there is life on track there is life off track too'#e la menzione dei figli nel pezzo#'È un buon lavoro incasso da molto/Vale come un disco d'oro in cassa da morto'#'Voglio fissare mio figlio il tempo passa e m'accorgo/che sto fissando un foglio tipo carta da forno'#okay sì il pezzo di Capa parla di carriera musical e non spietiva ma le vibes sono quelle#questa per me é semplicmente un'altra w delle community di formula 1 italiana#probabilmente troppo niche questo post ma pazienza#f1#formula 1#caparezza#mi scoccio di riscrivere i tag ma intendevo dire musicale e sportiva prima. Avete capito dove.
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unfortunately they kinda went off with this
#ogni volta che vado all'EUR mi sale un po' il fascismo perché è l'unico quartiere moderno veramente bello di Roma#poi mi riprendo e torna tutto alla normalità. però devo dire che Benny sapeva quello che stava facendo
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to which saint do i have to consecrate my soul to schedule a fucking breasts ultrasound in this country
#i tried booking one but the clinic said 15 july…… i’m working this summer i can’t#they all make me want to not cheek whatever it’s been going on#but i do have some breast pain and better safe than sorry#ma come li schifo nei morti loro che non ti rispondo quando ti rispondono ti rispondono male#vorrei farmi un’estate quieta. e l’anno scorso l’idrocefalea possibile operazione al cervello e quest’anno l’ecoseno. ma io so ipocondriaca#che posso ci fare. io che schifo pure i medici#ci vuole speciale delicatezza per un’ipocondriaca che non sopporta i medici e quindi ha solo paura ma non si controlla. quella volta che#si vuole controllare nessuno la caga. effettivamente#pippone megagalattico ma sto vicino alla finestra dove prende il mio telefono aspettando una chiamata dal centro. ‘mi manda un recapito#telefonico’ e po nun m chiamm c cazz m signific#mic#check**
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Ciao papà, è da tanto che non ti scrivo e ti chiedo scusa, nell'ultimo periodo ho dovuto affrontare moltissime cose, ma sappi che dai miei pensieri non esci mai. Ho provato ad indossare i tuoi vestiti ma mi stanno ancora troppo larghi, forse sarà sempre così, forse semplicemente non sono i tuoi vestiti che dovrei indossare ma i miei; qualcuno ha provato a farmelo capire, ma sono testarda, sai come sono fatta. Ebbene, ho continuato a fare le cose come penso le avresti fatte tu, ho continuato a mettere un piede davanti all'altro cercando di farlo nel migliore dei modi e ad ogni passo pensavo "mi vedi papà? Sei fiero di me?", non ricevo mai risposta ma in cuor mio spero sia così. Mi sono persa per un periodo, so che di questo non ne saresti stato contento. Mi ricordo il primo anno di superiori, avevo visto il mio "ex fidanzatino" da pochi giorni baciare una mia amica e rimasi a letto per giorni senza andare a scuola. Una sera ti sedesti sul mio letto e mi dicesti "non so cosa è successo, ma non è questo il modo di affrontare le cose; se tu non hai fatto nulla di sbagliato cammina a testa alta, se hai sbagliato, affronta la cosa di petto e chiedi scusa. Ma restare qui, non è una soluzione." Mi ricordo che piansi, però il giorno dopo tornai a scuola a testa alta. Ecco, io ogni giorno negli ultimi mesi ho sperato di sentire una parola di conforto da parte tua, ma il silenzio mi avvolgeva il cuore e quindi mi sono persa. Non sono guarita, però il mio cuore ha ripreso a battere ad un ritmo più lento, in pace. Ho commesso l'errore di mettere le mie fragilità in mani sbagliate; di nuovo? si, di nuovo. Cammino a testa alta, come hai detto tu, perché non sono stata io a sbagliare. Mi manchi tanto, mi chiedo come sarebbe se tu fossi ancora qui, se le cose fossero diverse oppure sempre così però con te presente. Ogni volta che mi siedo alla scrivania per studiare guardo la tua foto appesa al muro. "Lui vorrebbe davvero questo per te? Vorrebbe che tu avessi questa rabbia e questa voglia di giustizia? O vorrebbe che tu inseguissi solo i tuoi sogni?", me lo ha detto un amico quando ha capito che ero totalmente persa. Cosa voglio io? Volevo davvero tutto questo? Me lo chiedo da giorni, cercando di distinguere il tuo sogno dal mio; ma si sono fusi così tanto che non c'è più una linea di confine. Piango. Piango perché ho confidato questo dolore a persone che mi hanno lacerata, senza rimorsi. Piango perché nessuno ha mai compreso quanto sia profonda e intima questa ferita. Piango perché ho perso di vista chi sono e chi voglio diventare. Piango perché manca qualcosa, manchi tu. E mi mancano i piatti buoni che mi cucinavi, mi manca la tua risata per cose che io non trovavo divertenti, mi manca la tua colazione addobbata la mattina di Natale perché sapevi quanto mi rendesse felice, mi manca quando mi vedevi dormire e mi arrotolavi nelle coperte per non farmi sentire freddo, mi manca sentirmi al sicuro. Sembra una vita passata ed irrecuperabile. Sembra (perché ho paura di dire che lo è) una vita fa. Ti chiedo scusa se ti ho deluso, ti chiedo scusa se hai dovuto fare guerre per farmi capire le cose, ti chiedo scusa se non sono stata proprio quel tipo di figlia calma e silenziosa, ma se ho sempre sempre indossato armature e urlato. Le stesse armature che ora devo indossare per affrontare questo mondo. Ma grazie, per avermi insegnato che il perdono è fondamentale per allontanarsi da persone e situazioni che ci portano via ciò che siamo. Avrei voluto togliermi i polmoni e donarli a te per farti restare un po' di più, tu invece ti sei tolto il cuore per darlo a me ed io imparerò ad averne più cura. Grazie papà, perché sei stato e sei il mio papà.
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Mi manca...
Lo zoccolare fino in spiaggia con mia madre che mi diceva "cammina bene alza quei piedi"...pinoli per terra da schiacciare con i sassi...
l'odore della siepe di caprifoglio dalla pensione trieste al bagno emilio e quello dei giornali dell'edicola, misto a quello del mare e degli abbronzanti e della piadina...
la cuffietta bianca della piadinara...quella anziana, la prima ..che faceva le piade tirate a mattarello con il bordo frastagliato e il pezzetto di carta marroncina per portarle via ...
la luce bianca del mattino e la bassa marea con le righe della sabbia sotto i piedi, i buchini dei cannolicchi e schivare i granchi
fare capannella con il tettuccio del lettino e il telo, il caldo sulla pelle...l'odore dell'abbronzante e il libro con sabbia tra le pagine...
e aspettare le 11 che non arrivavano mai per il bagno... il freddo dell'acqua al primo tuffo o l'andare giù piano piano con tutta la pelle d'oca... i rumori attutiti quando si è sott'acqua.... il cretino di turno che ti slaccia il bikini...le spalle di mio padre per salirci a fare i tuffi...
correre sulla sabbia bollente saltellando tra un'ombra e l'altra... stendersi al sole senza fare la doccia e sentire la pelle tirare con il sale che brucia appena sulla pelle un po' scottata sulle spalle ...
il fastidio della sabbia tra le dita e lavarsi i piedi nel rubinetto sotto le docce aspettando con il costume in mano per sciacquare anche quello...il profumo dello shampoo e il rigagnolo di schiuma e acqua sulla sabbia...
il cemento rigato e rosso e bollente della banchina del porto con le barche che partivano da Milano Marittima per la gita a Rimini e la voglia di tuffarsi lì ma la mamma non voleva...e stare in equilibrio sul muretto tra la banchina e gli scogli ad aspettare gli schizzi delle onde,
il mare grosso i rari giorni che faceva temporale e a fare il bagno tuffandosi dentro le onde e ci si riempiva il costume di sabbia..
la pizza che faceva la sorella della vedova di Emilio alle cinque...e io le confondevo poi sempre quelle due...la Maria e l'Anna
Il rullo per tirare il campo da bocce e il barattolo bucato con il talco per fare le righe...e le premiazioni delle gare al pomeriggio e se le coppie erano miste io ero un po' gelosa se mio padre giocava con la mamma della cecilia perchè era così bella...
e guardarti da lontano mentre giocavi a calcio sporco di sabbia dappertutto e cominciare a scoprire quell'emozione nuova quell'attrazione mai provata... ecco cosa vuol dire innamorasi...il dondolo dell'Hotel Miramare dove per la prima volta ho capito che potevo anche godere del mio corpo...
I giardini del tennis con la terra rossa e la giostra e l'odore dei pini...
le tonde alla sera su e giù per viale Roma e baci infiniti sulle panchine, le feste al Giardino D'Estate con Gianni Togni che cantava Luna..e le puntate all'ippodromo di Cesena e le gite al Parco Naturale che mi sembrava così lontano...
Gli amici che poi non avresti rivisto più, quelli che rivedi solo lì...e quelli che sono ancora con me ......il primo primissimo bacio sul dondolo della casa in affitto ...
il rumore degli aerei con la pubblicità...la pizzeria da Duilio e il cinema Italia all'aperto ...le lacrime quando era ora di tornare e il grano nei campi era già mietuto e le arature portavano l'autunno...
Mi manca la felicità pura e spensierata di quel periodo quando ancora tutto poteva essere e ogni cosa era nuova e da scoprire ...e che non è stata mai più.
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Le manovre economiche ci sono sempre state, pero' una volta i politici erano un po' piu seri, un po'piu' chiari. Non dico cristallini ma la faccia ce la mettevano. Servivano 20miliardi? Bene! Mettiamo l'Imu sulla casa che fanno 10miliardi. Un euro sulle sigarette che fanno 2miliardi, raddoppio il bollo auto per 1miliardo, 3 li tiro fuori aumentando le accise e 4miliardi li recupero tassando i C/C bancari delle persone. Oggi no, oggi si fanno manovre da 30miliardi dove, a sentire i politici, alla fine non paga nessuno, anzi, a tanti si da anche qualche soldo in piu'. . Siamo un Paese meraviglioso. Il Paese dei balocchi.. @ilpianistasultetto
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Torna alla ribalta ancora una volta l'app Yuka, che dà un punteggio ai vari cibi presenti nei supermercati indicando quelli migliori o peggiori quello che posso vedere leggendo la lista degli ingredienti?
Giusto, ma la gente è pigra, leggere la lista degli ingredienti costa fatica, si fa prima a prendere il telefono, sbloccarlo, aprire un'app, fare la scansione del codice a barre e leggere l'opinione di chiunque sia abbia fatto l'app su quegli ingredienti.
Ma vi siete mai domandati chi diavolo ch sia dietro a questa app?
E come li giudicano questi ingredienti? Secondo le regole della dieta mediterranea, di quella chetogenica, di quella vegana o di quella delle suore del convento di Pazza Pietra di Sopra?
Come i più svegli fra i lettori a questo punto avranno intuito, la dieta in base alla quale Yuka valuta i cibi è quella mediterranea, anzi una versione ancora più vegetariana della dieta mediterranea.
Quindi proteine soprattutto vegetali a colazione, oppure 30 grammi di formaggio, o una fetta (fine?) di prosciutto cotto "di tanto in tanto". Almeno 2-3 frutti al giorno, che un po' di steatosi epatica non si nega a nessuno, ed almeno 2-3 porzioni di verdure al giorno, per una perfette costipazione e tanti begli ossalati, che anche se fanno venire il tumore al seno dicono che insomma troppo male non facciano.
Ovviamente poi "grassi buoni", che non sono certo quelli animali, quelli fanno alzare il colesterolo e morire d'infarto, lo sanno tutti. Il sale va evitato come la peste, ma soprattutto bisogna fare una cena rigorosamente vegetariana, ricca di tanti carboidrati integrali.
Ora capisco perchè tutti rimanevano in fila agli hub vaccinali anche quando le persone gli stramazzavano letteralmente a terra davanti agli occhi...
Marco Dabizzi
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Quando, nella sua funzione metaforica, il cetriolo viene sostituito dalla carota...
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Chiedo scusa a chi mi segue per il mio commento annuale all'Eurovision, ma quella roba lì tra Irlanda e Italia parteciperà alla competizione nonostante il genocidio in corso a danno dei palestinesi. Ho chiuso un po' troppe volte gli occhi a riguardo, ma stavolta non posso proprio farlo, e non voglio più farlo. Non voglio essere tra le persone che daranno ascolti a questo schifo e contribuire a farlo finire in tendenza, perciò per una volta faccio qualcosa di concreto e mi unisco al boicottaggio.
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Potevo avere 5 anni. A quel tempo eravamo soliti trascorrere le feste natalizie da alcuni zii, la cui casa in campagna diventava allora accogliente rifugio per parenti e amici. Portavo sempre con me un pupazzo a farmi compagnia, dato che i miei cugini, ormai adolescenti, avrebbero certo mal sopportato l'idea di giocare assieme. Ricordo ancora chiaramente quel pomeriggio: la sera saremmo stati dai miei zii come di consueto ed io mi sarei malannoiato fra i bigi discorsi degli adulti, urgeva perciò la Selezione.
L'ambita Selezione avveniva per eliminazione diretta in scontri 1 vs 1. Ogni pupazzo s'affrontava in una moderna rivisitazione delle giostre medievali, allo scopo di conquistarsi il mio cuore. Come sempre accade, anche quel torneo era palesemente truccato, sicché alla fine trionfavano sempre gli stessi. Fra i grandi campioni, la più avvezza alla vittoria era senza dubbio la Pantera Rosa, un vecchio pupazzo che mi portavo sempre dietro, ovunque andassi. Dopo averla portata in trionfo quel pomeriggio, le promisi che ci saremmo divertiti, sarebbe stata una grande serata. Non sapevo, ahimè, che per noi sarebbe stata purtroppo l'ultima. Il mio giocarci difatti, a quell'età, trovava massimo sfogo nel lanciar in aria il malcapitato pupazzo, raccoglierlo per poi reiterare il gesto ad libitum. Uno di quegli sciagurati lanci però mandò la pantera talmente in orbita da farla finire dietro un'enorme e inamovibile credenza. A nulla valse piangere e disperarsi, la povera pantera restò lì (con sadico compiacimento di tutti gli astanti). Ricordo ancora il malinconico struggimento di quei giorni densi di colpa e mortificazione, le penose richieste e la perenne risposta ("Quando faremo pulizia"), i piani perversi studiati in dormiveglia per infiltrarmi in casa loro e riprendermi la pantera e il languido desiderio che mi s'accendeva a ogni fiera di paese, quando scorgevo fra i premi del tiro a segno un pupazzo simile a quello tanto amato e perduto.
Sono passati trent'anni, dico d'aver dimenticato, ma una parte della mia infanzia è rimasta sepolta lì, dietro quella credenza, dove ho smesso definitivamente di credere agli adulti e ho imparato cosa vuol dire perdere qualcuno o qualcosa senza potergli dire addio. O almeno credevo, perché l'altro giorno chiama mia zia per dirci che finalmente, dopo trent'anni, hanno fatto pulizie e spostato la credenza, trovandovi "un giochino di quando Giuseppe era bambino, non so se se ne ricorda ancora..." Ah, zia ingenuotta! Non pensavo che questo giorno sarebbe mai arrivato, così sulle prime ho pensato, "chissà se mi riconoscerà dopo tutto questo tempo..." "del resto anche casa nostra è cambiata, spero non si senta a disagio". Siamo andati a prenderla la sera stessa, era tutta sporca, molto più piccola di quanto ricordassi, orba d'un occhio (non oso immaginare cosa deve aver subito in questi trent'anni di prigionia) e con un aspetto decisamente vintage, ma ora è di nuovo a casa. Mia madre era convinta che dopo anni d'oscurità e polvere, si sarebbe sbriciolata dopo pochi minuti al sole, invece sembra reggere ancora. Dopo averla lavata a fondo, oggi l'ho potuta finalmente riabbracciare come quell'ultima volta trent'anni fa e ho un po' pianto. È stato come riabbracciare quella parte di me che credevo perduta per sempre.
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LA LETTERA D'AMORE PIU BELLA CHE IO ABBIA MAI LETTO.
"Cara Francesca,
Spero che questa mia lettera ti trovi bene.
Non so quando la riceverai. Quando io me ne sarò già andato.
Ho sessantacinque anni, ormai, e ne sono passati esattamente tredici dal nostro primo incontro, quando imboccai il vialetto di casa tua in cerca di indicazioni sulla strada.
Spero con tutto me stesso che questo pacchetto non sconvolga in alcun modo la tua vita. Il fatto è che non sopporto di pensare alle mie macchine fotografiche sullo scaffale riservato all’attrezzatura di seconda mano di un negozio o nelle mani di uno sconosciuto. Saranno in pessime condizioni quando le riceverai, ma non ho nessun altro a cui lasciarle e mi scuso del rischio che forse ti costringerò a correre mandandotele.
Dal 1965 al 1975 ho viaggiato quasi ininterrottamente. Nell’intento di allontanarmi almeno parzialmente dalla tentazione di telefonarti o di venire a cercarti, tentazione che da sveglio in pratica non mi lascia mai, ho accettato tutti gli incarichi oltreoceano che sono riuscito a procurarmi. Ci sono stati momenti, molti momenti, in cui mi sono detto: << All’inferno, vado a Winterset e, costi quel che costi, porto Francesca via con me>>.
Ma non ho dimenticato le tue parole, e rispetto i tuoi sentimenti. Forse avevi ragione, non lo so. So però che uscire dal viale di casa tua, in quella arroventata mattinata di agosto, è stata la prova più ardua che abbia mai affrontato e che mai avrò occasione di affrontare. Dubito, in effetti, che molti uomini ne abbiano vissute di più dure.
Ho lasciato il National Geographic, nel 1975 e da allora mi sono dedicato soprattutto a fotografare ciò che piaceva a me, prendendo il lavoro là dove potevo, servizi locali o regionali che non mi impegnavano mai più di pochi giorni.
Finanziariamente è stata dura, ma tiro avanti.
Come ho sempre fatto.
Buona parte del mio lavoro lo svolgo nella zona di Puget Sound. Mi va bene così. Pare che invecchiando gli uomini si rivolgano sempre più spesso all’acqua.
Ah, sì, adesso ho un cane, un golden retriever.
L’ho chiamato Highway, e lo porto quasi sempre con me, quando siamo in viaggio, se ne sta con la testa fuori dal finestrino, in cerca di posti interessanti da fotografare.
Nel 1972 sono caduto da una rupe nell’Acadia National Park, nel Maine, e mi sono fratturato una caviglia.
Nella caduta ho perso la catena e la medaglia, ma fortunatamente non erano finite lontano. Le ho recuperate e un gioielliere ha provveduto ad aggiustare la catena.
Vivo con il cuore impolverato, Meglio di così non saprei metterla. C’erano state delle donne prima di te, qualcuna, ma nessuna dopo. Non mi sono votato deliberatamente alla castità: è solo che non provo alcun interesse.
Una volta ho avuto modo di osservare il comportamento di un’oca canadese la cui compagna era stata uccisa dai cacciatori. Si uniscono per la vita, sai. Dopo l’episodio, ha continuato ad aggirarsi intorno allo stagno per qualche giorno. L’ultima volta che l’ho vista, nuotava tutta sola tra il riso selvatico, ancora alla ricerca. Immagino che da un punto di vista letterario la mia analogia sia troppo scontata, ma è più o meno così che mi sento anch’io.
Con la fantasia, nelle mattine caliginose o nei pomeriggi in cui il sole riflette sull’acqua a nord-ovest, cerco di immaginare dove sei e che cosa stai facendo.
Niente di complicato…ti vedo in giardino, seduta sulla veranda, in piedi davanti al lavello della cucina. Cose così.
Ricordo tutti. Il tuo profumo e il tuo sapore, che erano come l’estate stessa. La tua pelle contro la mia, e il suono dei tuoi bisbigli mentre ti amavo.
Robert Penn Warren scrisse: << Un mondo che sembra abbandonato da Dio >>. Non male, molto vicino a quello che provo per te certe volte. Ma non posso vivere sempre coì. Quando la tensione diventa eccessiva, carico Harry e, in compagnia di Highway, ritorno sulla strada per qualche giorno.
Commiserarmi non mi piace. Non è nella mia natura. E in genere non me la passo poi tanto male.
Al contrario, sono felice di averti almeno incontrata.
Avremmo potuto sfiorarci come due frammenti di polvere cosmica, senza sapere mai nella l’uno dell’altra.
Dio o l’universo o qualunque altro nome si scelga di dare ai grandi sistemi di ordini ed equilibri, non riconosce il tempo terrestre. Per l’universo, quattro giorni non sono diversi da quattro miliardi di anni luce. Per quanto mi riguarda, cerco di tenerlo sempre a mente.
Ma, dopo tutto, sono un uomo.
E tutte le considerazioni filosofiche non bastano a impedirmi di desiderarti, ogni giorno, ogni momento, con la testa piena dello spietato gemito del tempo, del tempo che non potrò mai vivere con te.
Ti amo, di un amore profondo e totale. E così sarà sempre."
“I ponti di Madison County”, R.J.Waller
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Tessera sanitaria
Ieri sono andato a fare le analisi del sangue.
Siccome sono nerd e rompipalle, alla tipa alle casse ho mostrato la TS sull'app IO. Ha insistito un po' per vedere la plastica, ma le ho spiegato che "da almeno tre giorni" (per dire da pochissimo) si può usare anche quella sull'app IO, perfettamente legale.
Lei è rimasta spiazzata e mi ha detto "ah, non lo sapevo".
Ho tre osservazioni:
la prima volta è tosta per tutti. Meno male che hai trovato un nerd rompipalle e non un nerd scorbutico
interessante il fatto che alla segreteria di un laboratorio di analisi, dove chiedono quotidianamente la TS, nessuno l'abbia mai usata e, soprattutto, le tipe non fossero informate su questa cosa
per carità atea ho evitato di pagare con le carte memorizzate sul cellulare e ho tirato fuori la plastica.
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Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
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Molti dei Millennial sono cresciuti sotto l’effetto di strategie fallimentari di educazione famigliare.
Per esempio, è sempre stato detto loro che erano speciali, che potevano avere tutto quello che volevano dalla vita solo perché lo volevano.
Quindi qualcuno ha avuto un posto nella squadra dei pulcini non perché fosse un talento, ma solo perché i genitori hanno insistito con l’allenatore.
Oppure sono entrati in classi avanzate non perché se lo meritassero ma perché i genitori si erano lamentati con la scuola, per non parlare di coloro che hanno passato gli esami non perché se lo meritassero ma perché gli insegnanti erano stanchi di avere rogne dai genitori.
Ad alcuni hanno dato medaglie di partecipazione per essere arrivati ultimi, una bella medaglia affinché nessuno si dispiaccia.
La scienza comportamentale non ha dubbi: è una svalutazione della medaglia e dei riconoscimenti di chi lavora duramente per ottenere un buon risultato, inoltre fa sentire anche in imbarazzo chi arriva ultimo perché, se ha un minimo di dignità, sa che non se l’è davvero meritata quella medaglia.
Così queste persone sono cresciute con l’illusione che, anche senza sforzarsi troppo, è possibile farcela in qualunque settore.
Allora finiscono l’università, magari a pieni voti e pretendono immediatamente che un tappeto rosso si srotoli sotto i loro piedi, invece sono gettati nel mondo reale e in un istante scoprono che non sono per niente speciali voto o non voto, che i genitori non gli possono fare avere un buon posto di lavoro e figuriamoci una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno niente, anzi rischi il licenziamento e, guarda un po’, non ottieni qualcosa solo perché semplicemente lo vuoi.
Non voglio fare ironia, credetemi, né tanto meno sorridere, la faccenda è davvero delicata poiché quando questa persona prende coscienza reale dalla situazione in cui si trova è un momento cruciale perché in un attimo, nell’istante preciso in cui concepisce la verità, l’idea che ha di se stessa va letteralmente in frantumi.
È questo anche il momento in cui si attacca alla sua fonte primaria di dopamina: i social network.
Ciò ci porta ad un altro problema : la tecnologia.
I Millennial sono cresciuti in un mondo fatto di Tik Tok, di Instagram ed altri social, dove siamo bravi a mettere filtri alle cose.
In cui siamo un po’ tutti fuoriclasse a mostrare alla gente che la nostra vita è magnifica: tutti in viaggio ad Ibiza, tutti al ristorante stellato, tutti felici e pimpanti anche se invece siamo tristi e depressi.
Ho letto un’interessante ricerca scientifica, che in sintesi dice che ogni qual volta che riceviamo una notifica sullo smartphone, un messaggio o quant’altro, nel nostro cervello viene rilasciata una bella scarica di dopamina (una sostanza che dà piacere).
Ecco perché quando riceviamo un messaggio è una bella sensazione oppure se da qualche ora non si illumina il cellulare, alcuna notifica, né un messaggio, iniziamo a vedere se per caso non è accaduto qualcosa di catastrofico.
Allo stesso modo andiamo tutti in stress se sentiamo il suono di una notifica e passano più di tre minuti senza che riusciamo a vedere di cosa si tratta.
È successo a tutti, ti senti un po’ giù, un po’ solo, e allora mandi messaggi a gente che forse nemmeno sapevi di avere in rubrica.
Perché è una bella sensazione quando ti rispondono, vero?
È per questo che amiamo così tanto i like, i fan, i follower.
Ho conosciuto un ragazzo che aveva sui 15 anni che mi spiegava quanto tra loro si discriminassero le persone in base ai follower su Instagram!
Così se il tuo Instagram cresce poco vai nel panico e ti chiedi: “Cosa è successo, ho fatto qualcosa di sbagliato?
Non piaccio più?”
Pensa che trauma per questi ragazzi quando qualcuno gli toglie l’amicizia o smette di seguirli!
La verità, e questa cosa riguarda tutti noi, è che quando arriva un messaggio/notifica riceviamo una bella botta di dopamina.
Ecco perché, come dicono le statistiche, ognuno di noi consulta più di 200 volte al giorno il proprio cellulare.
La dopamina è la stessa identica sostanza che ci fa stare bene e crea dipendenza quando si fuma, quando si beve o quando si scommette.
Il paradosso è che abbiamo veri limiti di età per fumare, per scommettere e per bere alcolici, ma niente limiti di età per i cellulari che regaliamo a ragazzini di pochi anni di età (già a 7 o 8 anni se non a meno).
È come aprire lo scaffale dei liquori e dire ai nostri figli adolescenti: “Ehi, se ti senti giù per questo tuo essere adolescente, fatti un bel sorso di vodka!
In sostanza, se ci pensate, è proprio questo che succede: un’intera generazione che ha accesso, durante un periodo di alto stress come l’adolescenza, ad un intorpidimento che crea dipendenza da sostanze chimiche attraverso i cellulari.
I cellulari, da cosa utile, diventano facilmente, con i social network, una vera e propria dipendenza, così forte che non riguarda solo i Millennials ma ormai tutti noi.
Quando si è molto giovani l’unica approvazione che serve è quella dei genitori, ma durante l’adolescenza passiamo ad aver bisogno dell’approvazione dei nostri pari.
Molto frustrante per i nostri genitori, molto importante per noi, perché ci permette di acculturarci fuori dal circolo famigliare e in un contesto più ampio.
È un periodo molto stressante e ansioso e dovremmo imparare a fidarci dei nostri amici.
È proprio in questo delicato periodo che alcuni scoprono l’alcol o il fumo o peggio le droghe, e sono queste botte di dopamina che li aiutano ad affrontare lo stress e l’ansia dell’adolescenza.
Purtroppo questo crea un condizionamento nel loro cervello e per il resto della loro vita quando saranno sottoposti a stress, non si rivolgeranno ad una persona, ma alla bottiglia, alla sigaretta o peggio, alle droghe.
Ciò che sta succedendo è che lasciando ai ragazzi, anche più piccoli, accesso incontrollato a smartphone e social network, spacciatori tecnologici di dopamina, il loro cervello rimane condizionato, ed invecchiando troppi di essi non sanno come creare relazioni profonde e significative.
In diverse interviste questi ragazzi hanno apertamente dichiarato che molte delle loro amicizie sono solo superficiali, ammettendo di non fidarsi abbastanza dei loro amici.
Ci si divertono, ma sanno che i loro amici spariranno se arriva qualcosa di meglio.
Per questo non ci sono vere e proprie relazioni profonde poiché queste persone non allenano le capacità necessarie, e ancora peggio, non hanno i meccanismi di difesa dallo stress.
Questo è il problema più grave perché quando nelle loro vite sono sottoposti a stress non si rivolgono a delle persone ma ad un dispositivo.
Ora, attenzione, non voglio minimamente demonizzare né gli smartphone né tantomeno i social network, che ritengo essere una grande opportunità, ma queste cose vanno bilanciate.
D’altro canto un bicchiere di vino non fa male a nessuno, troppo alcol invece sì.
Anche scommettere è divertente, ma scommettere troppo è pericoloso.
Allo stesso modo non c’è niente di male nei social media e nei cellulari, il problema è sempre nello squilibrio.
Cosa vuol dire squilibrio?
Ecco un esempio: se sei a cena con i tuoi amici e stai inviando messaggi a qualcuno, stai controllando le notifiche Instagram, hai un problema, questo è un palese sintomo di una dipendenza, e come tutte le dipendenze col tempo può farti male peggiorare la tua vita.
Il problema è che lotti contro l’impazienza di sapere se là fuori è successo qualcosa e questa cosa ci porta inevitabilmente ad un altro problema.
Siamo cresciuti in un mondo di gratificazioni istantanee.
Vuoi comprare qualcosa?
Vai su Amazon e il giorno dopo arriva.
Vuoi vedere un film?
Ti logghi e lo guardi, non devi aspettare la sera o un giorno preciso.
Tutto ciò che vuoi lo puoi avere subito, ma di certo non puoi avere subito cose come le gratificazioni sul lavoro o la stabilità di una relazione, per queste non c’è una bella App, anche se alcune delle più gettonate te lo fanno pensare!
Sono invece processi lenti, a volte oscuri ed incasinati.
Anche io ho spesso a che fare con questi coetanei idealisti, volenterosi ed intelligenti, magari da poco laureati, sono al lavoro, mi avvicino e chiedo:
“Come va?”
e loro: “Credo che mi licenzierò!”
ed io: “E perché mai?”
e loro: “Non sto lasciando un segno…”
ed io: “Ma sei qui da soli otto mesi!”
È come se fossero ai piedi di una montagna, concentrati così tanto sulla cima da non vedere la montagna stessa!
Quello che questa generazione deve imparare è la pazienza, che le cose che sono davvero importanti come l’amore, la gratificazione sul lavoro, la felicità, le relazioni, la sicurezza in se stessi, per tutte queste cose ci vuole tempo, il percorso completo è arduo e lungo.
Qualche volta devi imparare a chiedere aiuto per poi imparare quelle abilità fondamentali affinché tu possa farcela, altrimenti inevitabilmente cadrai dalla montagna.
Per questo sempre più ragazzi lasciano la scuola o la abbandonano per depressione, oppure, come vedo spesso accadere, si accontenteranno di una mediocre sufficienza.
Come va il tuo lavoro? Abbastanza bene…
Come va con la ragazza? Abbastanza bene.
Ad aggravare tutto questo ci si mette anche l’ambiente, di cui tutti noi ne facciamo parte.
Prendiamo questo gruppo di giovani ragazzi i cui genitori, la tecnologia e l’impazienza li hanno illusi che la vita fosse banalmente semplice e di conseguenza gliel’hanno resa inutilmente difficile!
Prendiamoli e mettiamoli in un ambiente di lavoro nel quale si dà più importanza ai numeri che alle persone, alle performance invece che alle relazioni interpersonali.
Ambienti aziendali che non aiutano questi ragazzi a sviluppare e migliorare la fiducia in se stessi e la capacità di cooperazione, che non li aiuta a superare le sfide.
Un ambiente che non li aiuta neanche a superare il bisogno di gratificazione immediata poiché, spesso, sono proprio i datori di lavoro a volere risultati immediati da chi ha appena iniziato.
Nessuno insegna loro la gioia per la soddisfazione che ottieni quando lavori duramente e non per un mese o due, ma per un lungo periodo di tempo per raggiungere il tuo obiettivo.
Questi ragazzi hanno avuto sfortuna ad avere genitori troppo accondiscendenti, la sfortuna di non capire che c’è il tempo della semina e poi quello del raccolto.
Ragazzi che sono cresciuti con l’aberrazione delle gratificazioni immediate, e quando vanno all’università e si laureano continuano a pensare che tutto gli sia loro dovuto solo perché si sono laureati a pieni voti.
Cosicché quando entrano nel mondo del lavoro dopo poco dobbiamo raccoglierne i cocci.
In tutta questa storia, sono convinto che tutti abbiamo una colpa, ma che soprattutto tutti noi possiamo fare qualcosa di più impegnandoci a capire come aiutare queste persone a costruire oggi la loro sicurezza e le loro abilità sociali, la cui mancanza rende la vita di questi giovani inutilmente infelice e inutilmente complicata.
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6 day Pokeshipping Week: Disney AU
Iniziando a disegnare questa illustrazione, ho provato a immaginarmi come poteva svilupparsi la storia, con Misty da protagonista. Così ho buttato giù qualche idea, fino ad avere una piccola trama. Storia che ovviamente non scriverò per sto già scrivendo altre fics, però mi sono ugualmente divertita a idearlo.
Ringrazio Andy per avermi dato qualche consiglio per il disegno.
In breve:
Disney (Alice in wonderland) x Pokémon
Misty (Alice) ha 12 anni ed è la più piccola di quattro sorelle, che spesso viene sottovalutata e derisa dalle sorelle perché più piccola e con meno fascino. Le quattro sorelle Waterflower vivono a Cerulean City e sono orfane di genitori.
La famiglia Waterflower è famosa per il loro talento negli spettacoli acquatici, ma Misty a causa di un’incidente che l’ha quasi fatta annegare da piccola, non riesce a nuotare senza provare panico.
Un giorno lei e le sue sorelle sono al parco, e mentre loro si intrattengono flirtando con dei ragazzi mostrando le loro abilità nel nuoto sincronizzato, Misty viene lasciata in disparte. Indispettita per venire sempre trattata come una bambina, Misty sale su un albero nel momento che vede un grosso papero giallo uscire dal lago. Nessuno dei presenti sembra notarlo e il papero indisturbato si infila in una cavità dell’albero dov’era salita Misty. Non vedendolo più uscire, Misty incuriosita si infila nella cavità, ma finisce per precipitare in un buco apparentemente senza fondo.
Quando finalmente atterra, si ritrova in un mondo diverso dal suo, dove vivono strane creature che si fanno chiamare Pokémon.
Senza sapere come tornare indietro, Misty decide di seguire il papero giallo, Psyduck (Bianconiglio), che sembra avere molta fretta. Lungo il cammino Misty conoscerà gli stravaganti abitanti che vivono in quel mondo, tra cui Ash (Cappellaio matto) con il suo amico Pikachu (Ghiro), che si divertono a organizzare feste invitando i Pokémon alla loro grande tavola. Misty arriverà al suo party seguendo Psyduck che è un ospite fisso al tè party di Ash. Ash ha 10 anni ed è considerato dagli abitanti di quel mondo un po’ matto perché parla con i Pokémon e li tratta come amici. Ha un indole allegra e festaiola, ma è anche distratto e imbranato. Tra Misty e Ash nascerà una sincera amicizia, perché Misty è l'unica a riconoscere che non è pazzo come credono gli altri e ad apprezzare la sua natura generosa verso tutte le creature. Ash in cambio l’aiuterà nella sua ricerca di un modo per tornare a casa, comparendo e togliendola spesso dai pasticci. Anche se talvolta i guai li provocherà lui, finendo che lei dovrà aiutare Ash.
Oltre a Ash, Misty farà amicizia con Brock (Tartaruga finta), un ragazzo di 16 anni che si atteggia in molto più maturo per la sua età, venendo quindi spesso scambiato per un adulto. Inoltre ha una predilizione per le donne mature, perdendosi in sproloqui sul suo amore per donne appena conosciute e rimbambendosi ogni volta che si innamora. Sarà Misty che ogni volta lo dovrà rimettere in riga.
Misty farà la conoscenza del Prof. Oak (Brucaliffo), un signore anziano che passa tutto il suo tempo a dispensare spiegazioni criptiche su quel mondo e sulle creature che ci vivono. Misty andrà da lui a chiedere un modo tornare a casa, ma lui risponderà solo con indovinelli facendole perdere tempo.
Misty incontrerà anche il dispettoso Meowth (Stregatto) che la condurrà con l’inganno da James e Jessie (Re e Regina di cuori), che si divertiranno a strapazzare e ingannare la ragazza, invitandola a un torneo Pokémon, in cui cercheranno di barare.
C’è poi Gary (Humpty Dumpty), sempre seduto su un muretto da cui non può fare a meno di vantarsi della sua intelligenza al malcapitato che passa. Fa così tanto innervosire Misty, che lei finisce per dare un calcio al muretto senza sapere che questo avrebbe franato e che Gary sarebbe caduto giù.
Dopo diverse disavventure, Misty riuscirà a tornare nel suo mondo con l’aiuto di Ash e Brock, e ai Pokémon. Una volta tornata all’albero cavo, Misty scopre che i mesi trascorsi nel mondo dei Pokèmon, nel suo mondo equivalgono a pochi minuti. Quindi le sue sorelle non si erano neanche accorte della sua scomparsa.
Grazie a quell’esperienza Misty è più sicura delle sue capacità, superando la sua fobia con l’acqua e mostrando alle sorelle di avere talento nel nuoto sincronizzato.
Passato un anno, Misty sente nostalgia del mondo abitato da Pokémon e dei suoi amici, ma è ancora incerta se tutto sia stato un lungo sogno dettato dalla sua fantasia. Un giorno le sorelle comprano un vecchio specchio da cui Misty sente che qualcuno la sta chiamando, ma non vedendo nessuno crede di avere le allucinazioni. Più avanti però vedrà comparire nello specchio Psyduck in stato di agitazione e Misty comprende che qualcuno l’ha mandato a chiamarla perché ci sono problemi nel mondo dei Pokémon.
Come per magia, Misty riesce ad attraversare lo specchio e si ritrova dall'altra parte con i suoi amici che la aspettano in un mondo in guerra.
Misty, Ash e Brock, con altri abitanti di quel posto, si ritrovano coinvolti in una battaglia per riportare la pace in quel mondo. Guerra causata da una lotta di potere tra Green e Yellow (Re e Regina bianchi) contro Red e Leaf (Re e Regina rossi), e che minaccia di coinvolgere il mondo reale dove vive Misty. Nel frattempo i sentimenti tra Misty e Ash si sono evoluti in qualcosa di più profondo, sbocciando in amore e complicando la sua scelta se tornare nel suo mondo o rimanere nel mondo dei Pokémon.
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L'innocenza
A vederti ti si scambierebbe per una bambina. Eppure hai già venticinque anni. Un accenno di seno, magra ma tonica. Ben allenata, eppure piccola e tenera. Solo io so di quali numeri sia capace la tua bocca. Solo io conosco quanto sia morbido e accogliente il tuo culo, quando s’allarga elastico per farmi entrare. Impazzisco, se sto senza vederti un giorno, senza poterti baciare tra le gambe e sentirti godere mentre vieni in silenzio.
Perché la cosa che più ti piace è vestirti in modo sexy, anche in casa; e stimolarmi, farmi andare fuori di testa con la tua aria da studentessa modello e puttanella da adorare e sfondare. Sei diabolica. Ami trascinarmi in un’altra stanza dove tua madre, mia compagna da anni, non ci possa vedere. Per toccarmi nei pantaloni, frugarmi e sentirmi crescere. Baciarmi sulle labbra, iniziare a masturbarmi per poi improvvisamente fuggire via nella tua cameretta.
Adoro la tua fica strettissima e il modo in cui di notte nel tuo letto mi accetti dentro di te senza fare un fiato, per non svegliarla mentre dorme serena. Dovrei sentirmi in colpa. Ma il desiderio non conosce tabù da rispettare e a te io non so rinunciare, gemma di primavera nel mio autunno ormai tormentato dalla voglia di te. Ormai è da qualche mese, da quando è sbocciato questo frutto amaro, che ogni notte sgattaiolo in silenzio e mi ficco a letto con te per quei preziosi venti minuti di puro sesso animale.
Non dovremmo, lo so; ma ormai non ho più scrupoli o vergogna. Poi, di mattina si fa colazione tutti e tre insieme. Ognuno andrà dove deve, chi a lavorare chi all’università. Io nella mia mente comunque sarò soprattutto impegnato ad aspettare impaziente tutto il giorno i tuoi messaggi, che puntualmente risveglieranno il mio desiderio. Nessuno potrebbe resistere alle tue tettine dolci ma sode e alla tentazione del tuo corpo scattante, magro e nervoso. Ma è la tua mente perfida, quella che mi vince. Che mi possiede totalmente. Sei desiderio puro.
Ogni volta che mi ripropongo di smetterla, di non farmi più ossessionare dall’idea di te, dal tuo profumo, metto una mano in tasca al giaccone e lì trovo sempre il promemoria, quel tuo perizoma che mi ci hai infilato di nascosto tempo fa, per rimarcare il territorio. L’annuso profondamente e torno a pensarti con intensa passione. Lo custodisco come una reliquia. Sei un’ossessione. Occasionalmente, finito di scoparti lo prendo e te lo passo tra le gambe, per pulirti e impregnarlo nuovamente del profumo più buono al mondo: quello della tua fichetta.
Oh, come mi piace vederti remissiva e obbediente a tua madre quando lei bonariamente ti rimbrotta. O se magari, osservandoti con lo sguardo pieno d’amore, ti dà dei consigli pieni di saggezza e affetto su quanto sia importante comportarsi bene e trovare un bravo ragazzo. Sei la sua bambina innocente, la luce dei suoi occhi. E la pura perdizione, per me. Ogni tanto parlando di te lei mi dice: “non è adorabile, la mia ragazza?” Occasionalmente capita qualche giornata in cui tua mamma mandi un messaggio a entrambi e ci comunichi che purtroppo per un imprevisto o la malattia improvvisa di qualche collega lei debba fare straordinario fino a sera tardi, per coprire un doppio turno.
Allora io so già come andrà il pomeriggio, tra noi. Lei è una donna d’oro: t’ha avuta giovanissima e da ragazza madre modello t’ha allevata con sacrifici neri, prima di incontrare me qualche anno fa. Solo allora s’è potuta rilassare un po’. Avrebbe diritto soltanto a un enorme rispetto, da parte nostra. A non essere ingannata, tradita in modo così subdolo. Mi vergogno da morire. Lei è un’anima adorabile: con me si comporta sempre in modo inappuntabile, da vera compagna fedele, devota e al tempo stesso, in privato, da femme fatale.
Si fa sempre bellissima e come sai bene, perché la invidi un po’, è ancora giovane e molto sexy: s’ammazza di palestra solo per piacermi e ha un corpo da urlo, letteralmente. Le piace sedurmi e legarmi ogni giorno di più, col suo innegabile e intelligente charme di donna pantera. Impazzisco sia per il suo sorriso che per il suo corpo caldo di femmina matura, molto esperta nei giochi di sesso e nel trattenimento del pene. Sessualmente mi vizia di continuo: mi fa fare e mi fa di tutto. Adora succhiarmelo e inghiottire il mio seme. Già questo dovrebbe bastarmi, no?
Ma io invece per il puro gusto del proibito, del peccato, della trasgressione, del non si fa, del sesso assolutamente vietato dalla comune morale e tabù, voglio sempre e solo te. Ti desidero, ti devo leccare, odorare, toccare, violare ovunque e ho bisogno di riempire di sborra ogni tuo orifizio. Devo sentire che sudi, sotto di me; che vibri e godi da impazzire. Poi mi sento sempre in forte colpa. Vorrei confessare tutto a lei e ricominciare daccapo insieme, in modo pulito e onesto. Perché la amo da impazzire. Ma così la distruggerei, la perderei. E anche tu avresti perso tua madre. Dall’altro lato però francamente spero non finisca mai, questo nostro osceno, indicibile, deprecabile peccato. Adesso lecca tuta la mia sborra e ingoiala. Amore mio segreto.
RDA
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