#un passaggio sicuro
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raccontidialiantis · 3 months ago
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Eccoti il premio: sono tua
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Ci sei riuscito, alla fine. Mi sbavi dietro da quando andavamo a scuola. Non ti posso respingere più. È il momento della resa dei conti e tu vinci su tutta la linea: ti aggiudichi me e il mio corpo. Hai giocato bene le tue carte, nella vita: sei diventato un vincente. Un dannato, affascinante maschio alfa. E questa è una storia semplice ma vecchia come il mondo. Non l'avrei mai pensato possibile, ma il nostro albergo di famiglia sta andando a rotoli e tu ti sei offerto di aiutarci. Hai un sacco di denaro da investire. Ma me l'hai detto chiaramente: “io vi aiuto. Rilevo l'albergo, voi diventerete miei dipendenti e non vi mancherà nulla. Però poi tu scoperai con me. Ogni volta che vorrò.” In fondo, è una storia vecchia come il mondo.
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Sai: francamente alla fine mi va benissimo così; tanto a mio marito oramai, a causa del diabete è da molto tempo che non gli funziona neppure più. E neanche gli va di usare la lingua o di giocare con me in qualsiasi altra maniera. Altri pensieri gli occupano la testa. Poi, parliamoci chiaro: gli scrupoli morali tutto sommato sono di chi se li può permettere. Onestamente, a questo punto della mia vita neanche me ne frega più una ceppa. Altrimenti, se la morale integra e irreprensibile fosse gratuita, non esisterebbero le puttane. Ci vogliono impegno, sacrificio e anche fortuna. Si: proprio una bella puttana è quello che sono diventata io da stasera, presuppongo. Comunque, per dirla tutta, personalmente le mie voglie con qualche straniero di passaggio in albergo, ogni tanto e alla chetichella, me le sono tolte, negli anni passati.
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Si, si: mio marito sa dell'accordo. Ma non gli interessa nulla, purché riusciamo a pagare i creditori e a scrollarci di dosso il fisco. E questo me lo sta rendendo ogni giorno più odioso: dovrebbe sentirsi ferito, dovrebbe avere a cuore l'onore della sua donna. Davanti a una profferta del genere, avrebbe dovuto reagire, in qualche modo. Anche se oramai parole come amore, complicità, affetto, rispetto, tra noi non hanno più senso da tempo. Lui preferisce far finta di niente. Cornuto, idiota e impotente. Una nullità. Ma come ho fatto… avrei dovuto scegliere te, anni fa… ma è andata così. Alla fine comunque scoperemo lo stesso io e te, no? Allora eccomi qui stasera nel tuo nuovo ufficio in albergo, al sicuro e lontani da tua moglie.
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Sono bellissima, profumatissima. Con due gocce di Chanel nr. 5 direttamente nella fica. Inizio la mia carriera da troia e pago la prima di infinite rate erotiche. Dai, allora: caccia fuori il tuo cazzo che lo voglio in mano. Ficcamelo in bocca subito e senza riguardi, che onestamente non vedo l'ora di ciucciartelo. Fammi vedere che cosa sai fare, con quel bell'arnese. Sfondami la fica e l'ano; prendimi, vienimi dentro come ti pare. Però poi fai il gentiluomo: fammi venire. Permettimi di non pensare ai problemi per un po’ e mandami in paradiso. Leccami, succhiami e portami a godere. Fammi tornare quella ragazza da te a lungo desiderata. Iniziamo intanto con me che abbasso lo sguardo e con le mani te lo tiro fuori dai calzoni. Oh... quanto mi piace questo tuo cazzo!
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Lascia che mi illuda per un momento di essere io a decidere se farti scopare o no, di essere quella che ha il potere dell'attrazione sessuale su di te. Aiutami a raggiungere le vette del piacere: quelle cime tempestose che da anni non mi vedono più scalatrice appassionata. Per finire, come dessert avrai nuovamente a completa disposizione la mia bocca e la mia lingua: come e dove vuoi. E a giudicare dalle dimensioni della tua virilità, direi proprio che si prospettano tempi abbastanza allegri, per noi due. Uniti dopo vent'anni e più da un destino incredibile! Dai: adesso datti da fare. Eccoti le mie mutandine. Annusale pure: chissà da quanto tempo desideravi farlo… vieni qui… leccami... fottimi...
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RDA
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tettine · 6 months ago
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O il mondo era più sicuro quando io avevo diciotto anni o mi è andata di culo tipo quella volta in cui a Lucca ho accettato un passaggio da uno sconosciuto perché avevo sbagliato bus e dovevo fare la prova di ammissione all'università e non sarei mai arrivata in tempo. Io pazza pazzissima
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angelap3 · 7 months ago
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LETTERA AD UN VIGLIACCO
Non ci pensi più...?
Non ti domandi che fine possa aver fatto...?
Non puoi essere riuscito ad abbandonarlo senza un pensiero, senza un rimorso...
Non puoi averlo dimenticato... Siete stati insieme solo un po' di tempo... Per te la faccenda stava diventando troppo ingombrante...dovevi pensarci prima...Lui è cresciuto...Tu volevi andare in vacanza...Tu volevi la tua libertà... Ma come hai fatto...?
Semplice...rapido... un gesto veloce...come se niente fosse... Lo hai fatto salire come al solito sull'auto....
Per precauzione però hai cambiato strada, sei andato più lontano, per essere sicuro che lui non sarebbe riuscito a tornare a casa. Lo hai forse legato a un palo...?
E una volta tornato a casa avrai fatto finta di averlo perso...Avrai finto di essere dispiaciuto....Se si è salvato...lui certo non dirà nulla... la situazione avrebbe potuto essere perlomeno imbarazzante...Sai, no...e poi lo sai come li chiamano quelli come te... lo sai vero?
Forse, però, dentro di te, da qualche parte, ogni tanto, ci pensi...Pensi alla carezza, l'ultima carezza che gli hai dato con finta indifferenza, sapendo che non lo avresti mai più toccato...
Oppure risenti le sue urla di dolore e di disperazione che ti sono rimaste nelle orecchie quando lo hai buttato dall'auto, magari dopo avergli spezzato le zampe...E non puoi fuggire perché lo rivedrai sempre...lo rivedrai in tutti i cani che incroci....
Nello sguardo degli altri cani...loro guarderanno e sentiranno quello che c'è dentro di te....non hai scampo...
I tuoi amici portali sempre con te. E se per strada ne trovi qualcuno meno fortunato, dagli un passaggio verso una nuova vita.
Gabriella Dimastrodonato
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vecchiodimerda · 1 month ago
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Di auto usate ne capisco ben poco. Così mi porto dietro il nipote esperto, forse più di un meccanico, per testare un Biemmevè usatissimo, oltre 200.000 km per euri diciottomila, passaggio compreso.
Prima ho telefonato al venditore che mi ha detto che potevo andare a trovarlo per la prova su strada ma quando arrivo la batteria è a terra, le auto le tengono tutte all'aperto e può capitare. Vabbè.
Nell'attesa che il meccanico della (chiamiamola) concessionaria vada a farsi prestare (!) un booster sufficente a far partire il Biemmevè, il nipote la rivolta sottosopra e pare tutto vada bene.
Messa in moto, nipote alla guida, partiamo per un giro insieme al venditore che si scusa per l'inconveniente ma tranquillo, è solo una batteria scarica, tutto il resto è a posto. Se lo dice lui.
Durante il giretto pareva davvero tutto a posto ma una volta spento il motore, nipote fa notare al venditore che un faro led anabbagliante/abbagliante non funziona.
Il venditore se le cava con un: è soltanto una lampadina, la cambiamo e tutto è a posto ma al nipote non la si fa, si tratta di cambiare non una lampadina ma tutto il gruppo led, costo se va bene sui 6/700 euro. Ma non basta.
Il serbatoio del liquido di raffreddamento non è trasparente ma nipote ha visto durante la prova su strada che il Biemmevè emanava del fumo bianco sospetto e con cautela svita il tappo del radiatore e ci infila dentro il dito.
Il dito esce nero e nipote spazientito dal venditore che si scusa dicendo che si tratta di un problema da niente, mi prende per un braccio e mi trascina via, lasciando il poverino sul posto, completamente basito.
Detto tra noi, basito è un vocabolo stronzo ma rende discretamente il modo in cui il povero venditore, un ragazzo giovane e poco incline a stare fuori all'aperto in queste giornate invernali, è rimasto vedendoci andare via, mentre io mi scusavo per le cattive maniere di nipote.
Comunque dopo un po', mi arriva un whatsapp di questo tenore:
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Ecco, di sicuro non ha nulla ma magari è meglio fare controllare a qualcuno che se ne intende, magari un nipote appassionato di motori, o magari a @lasciatemistarelamattina come mai ci sia dell'olio nel circuito di raffreddamento.
Comunque è probabile niente Biemmevè, forse Audi, forse chissà...
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raffaeleitlodeo · 7 months ago
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L'AUTONOMIA CON IL CULO DEGLI ALTRI
In una intervista al Corriere Graziano Delrio racconta che nel 2016, quando era ministro delle infrastrutture disse a Zaia che il progetto della Pedemontana non stava in piedi. Come noi diciamo da anni, avevano gonfiato i flussi di traffico. In poche parole se tu prevedi il passaggio del doppio delle vetture al giorno rispetto alla realtà l'opera non sta in piedi. L' aveva segnalato un rapporto di Cassa depositi e prestiti e uno studio di Jp Morgan. Non occorre una laurea a Cambridge, basta saper fare due più due. Delrio suggerì a Zaia di cambiare il progetto. Zaia decise di andare avanti da solo. Lui sa come si fa. Così abbiamo distrutto il territorio, abbiamo consumato suolo in una Regione ridotta ad una colata di cemento e dobbiamo pagare 300 milioni all'anno al Consorzio.
Da anni è tutta una foto di inaugurazioni di tratti dell'autostrada divina, della panacea di tutti i mali, del miracolo zaiano. Una autostrada inaugurata infinite volte. Non si trovano più nastri da tagliare. La stampa genuflessa esalta il Doge. Lui sorride, sardonico, esulta, spesso assieme al compare Salvini. Il gatto e la volpe. O forse il gatto e il somaro, perché uno che fa queste cagate non è di sicuro una volpe. Eppure in molti lo diciamo da anni. Lo abbiamo continuato a ripetere. Il buco, il disastro della finanza pubblica non era prevedibile, era previsto. Abbiamo assistito anche alla tragedia comica, di Zaia, il grande amministratore, che invitava i veneti ad essere solidali, ad usare la Pedemontana. Una barzelletta davvero bizzarra. Vuoi essere buono oggi? Ti senti fedele agli oppressi? Senti una autentica empatia per gli ultimi? Fatti un giro nella Pedemontana. Dal Vangelo secondo Zaia, il vangelo dell'asfalto.
Adesso i nodi sono venuti al pettine. La realtà ha squarciato il velo della propaganda. I conti non tornano, i conti scoppiano. Era scritto. Cosa fa Zaia? Va a Roma chiedendo che l'opera venga nazionalizzata.
Ricapitolando: la Regione fa un'opera che non regge, lo Stato con il ministro Delrio dice a Zaia di cambiare progetto o di andare avanti da solo. Zaia si prende la responsabilità di andare avanti e fallisce. E adesso, a fallimento appurato, certo, indubitabile, chiede a Roma di ripagare i suoi danni. È proprio un bravo amministratore. Mi prendo la responsabilità di fare pagare agli altri i miei vergognosi errori. Autonomia è una parola molto bella. Deriva dal greco e significa "essere legislatori di sé stessi". Questa però è l'autonomia dei leghisti, l'autonomia con il culo degli altri.
Carlo Cunegato, Facebook
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jadarnr · 2 months ago
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol. 1 - From the Empire
WITCH HUNT - CAPITOLO 4
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
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“Va tutto bene.” Si stava dicendo per farsi forza. Le luci del passaggio sotterraneo tremolarono. Durante il giorno lì c’erano degli operai al lavoro, ma dopo il tramonto era deserto. Per lo scopo di Eris, quella era la strada migliore per uscire dalla stazione dei treni.
“Va tutto bene.” Ripetè. Era abituata a scappare. Fosse da un bunker, da una casa sontuosa o da un vicolo buio… aveva avuto molte residenze temporanee.
Era sempre stata sola. Occasionalmente qualcuno era stato gentile con lei— finché non scoprivano i suoi poteri. Allora la abbandonavano. A dir la verità, spesso erano proprio quelle persone a diventare i suoi persecutori.
“Io sono dalla tua parte.” Ricordò le parole del prete. L’aveva detto sinceramente, ma non sapeva dei suoi poteri. Appena l’avesse scoperto, si sarebbe di certo rivoltato contro di lei, proprio come gli altri. Non poteva fidarsi di lui.
“Ah!”
Aveva udito un rumore dietro di lei. Era il piccolo peluche di gatto che le aveva regalato Abel, che si era staccato ed era caduto a terra. Il pupazzetto la guardava con i suoi occhi di vetro che riflettevano le luci tremolanti. Eris rimase per un attimo a fissarlo, incapace di provare rimorso o rimpianto.
“Inutile paccottiglia.” Disse in tono sprezzante. È davvero un oggetto senza alcun valore. Non potrei nemmeno farci dei soldi rivendendolo…
“Mmph.” Sbuffò, e si piegò per recuperare il pupazzo. Ma in quell’istante udì un forte botto e diverse ciocche dei suoi capelli dorati si dispersero in aria.
“Eh?!” Eris non capiva cosa stesse succedendo.
La parete dietro di lei era stata colpita da qualcosa che ora emetteva scintille bluastre. Un secondo dopo tutto intorno a lei si oscurò. Solo allora si rese conto che il proiettile che le aveva sfiorato la testa pochi istanti prima, era andato a conficcarsi nel quadro elettrico sul muro.
Vide un puntatore laser dalla luce rosso sangue che si faceva strada verso il suo obiettivo. Istintivamente si acquattò ed un attimo dopo sentì un secondo proiettile sfiorarle la punta del naso.
“Ehi!” Gridò, rendendosi conto di essere in reale pericolo.
Chi è che mi sta sparando contro?! E perché?
Terrorizzata, Eris si voltò per scappare ed il piccolo punto rosso del puntatore laser apparve sulla sua schiena. Aspettò che il terzo proiettile la colpisse andando a trafiggerle il cuore, quando si sentì chiamare da una voce familiare.
“Eris, attenta!”
Una figura indistinta apparve all’improvviso spingendola via.
In mezzo all’oscurità, al terrore ed all’eco degli spari, i due rotolarono insieme al riparo dietro ad una colonna.
Lei gridò di nuovo.
“È tutto ok, sei al sicuro ora.” Le sussurrò la voce in tono calmo. “È tutto a posto, per cui per piacere cerca di calmarti.”
“Padre?” Esclamò sorpresa.
Al buio non riusciva a distinguerne il volto, ma quella voce apparteneva sicuramente a quel prete.
“Come hai fatto a trovarmi?” Chiese.
“Ne parliamo dopo, ora corri!” Urlò Abel.
Una pioggia di pallottole si abbatté implacabilmente su di loro, trasformando la parete dietro di loro in una forma di groviera.
Corsero verso la colonna successiva, ma non riuscirono a raggiungerla.
Abel inciampò in una tubatura e cadde a terra, ma per fortuna riuscì a rotolare dietro ad un pilastro. L’abilità del cecchino, che riusciva a sparare con precisione tra quegli ostacoli nella completa oscurità era incredibile.
“Padre!”
Eris si aggrappò disperatamente al corpo di Abel, scuotendolo, ma non ci fu risposta. Tutto quello che sentiva era un respiro ansimante ed affannoso, e l’odore del sangue che le riempiva le narici.
E poi dei passi che si avvicinavano dal profondo dell’ oscurità, con un andamento quasi meccanico.
Le luci di emergenza si accesero improvvisamente; anche se in ritardo, il generatore di emergenza doveva aver iniziato a funzionare. Nella fioca luce gialla Eris intravide la canna di un’enorme pistola, puntata contro i due, e l’uomo che la stava impugnando.
“Non é possibile, cosa ci fai qui…?” Chiese Abel alzandosi a sedere afferrandosi la gamba colpita dalla pallottola e riconoscendo il volto del cecchino.
“Tres? Che ci fai qui?”
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gregor-samsung · 25 days ago
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" Gli anni trascorsi dal 2011, dalla rivoluzione libica e tutto quel che ne è seguito – gli innumerevoli fallimenti e le occasioni mancate, i sequestri e gli omicidi, la guerra civile, interi quartieri in macerie, il governo delle milizie –, hanno cambiato Hosam. Lo vedevo nella postura ma anche nei tratti: il lieve tremito delle mani ogni volta che si portava una sigaretta alle labbra, il dubbio negli occhi, l’espressione cauta, e una faccia che sembrava un paesaggio esposto alle intemperie. All’inizio della rivoluzione era tornato a casa e, forse inevitabilmente, si era creata fra noi una distanza. Nelle rare occasioni in cui veniva a Londra stavamo bene insieme, ma eravamo in qualche modo meno espansivi. Sono sicuro che lo notava anche lui.
A volte dormiva da me, sul divano del mio piccolo appartamento, dividendo l’unica stanza, dove continuavamo a parlare al buio finché uno dei due si addormentava. Il piú delle volte, tuttavia, stava in un alberghetto di Paddington. Ci vedevamo lí, e il quartiere, organizzato intorno alla stazione dei treni, che dà alle strade circostanti un’aria transitoria, ci faceva sentire entrambi di passaggio e accentuava la sensazione che la nostra amicizia fosse ormai una replica di ciò che era stata ai tempi in cui anche lui viveva a Londra e condividevamo la città al modo in cui i lavoratori onesti condividono gli arnesi. Ora però, quando parlava, Hosam spesso distoglieva gli occhi, dando l’impressione che stesse pensando ad alta voce o fosse immerso in una conversazione con se stesso. Del resto io, quando gli raccontavo una storia, mi curvavo un po’ in avanti e assumevo un tono quasi querulo, come se volessi convincerlo di qualcosa d’improbabile. Nessuno è altrettanto capace di offrire e pretendere falsità quanto coloro che non vorrebbero mai separarsi. "
Hisham Matar, Amici di una vita, traduzione di Anna Nadotti, Torino, Einaudi, 2024, pp. 4-5.
[Edizione originale: My Friends, Penguin Random House, 2024]
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susieporta · 6 days ago
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Sette di Bastoni
"La sensibilità: dono o condanna?".
Noi non stiamo andando nella Direzione dell'Isolamento, né verso la Separazione dall'Altro.
L'idea che le persone con alta sensibilità e particolare connessione interiore debbano necessariamente "ritirarsi dal Mondo ordinario" per stare bene e sopravvivere a loro stessi e allo loro strutturazione emotiva, è essa stessa una credenza ereditata, uno schema disfunzionale generato da Antichi Schemi.
Una struttura cosiddetta "empatica" non ha ancora completato il personale passaggio di maturità interiore sul piano "umano". E lo farà.
Ne è la comprova il fatto che, in determinate situazioni di pieno benessere, la persona è talmente espansa, da riempire con la sua Luce migliaia di metri di campo energetico circostante, senza subirne alcun maleficio o conseguenza negativa.
L'Empatia è un retaggio ancestrale.
Assorbire il dolore dell'Altro, immedesimarsi nella condizione di tristezza, sofferenza e negazione di chi ci circonda, è una forma di controllo e di "conoscenza" distorta.
Essa viene utilizzata e amplificata nell'infanzia per riconoscere e rendere prevedibili le strategie di funzionamento delle figure di attaccamento primarie, di coloro che potrebbero rivelarsi "pericolosi" per la propria integrità fisica, emotiva e psichica.
Nel pericolo e nella minaccia, sviluppare un super-potere "anticipatorio", rende altamente prevedibile ogni singola "mossa".
Il bambino impara a proteggersi. Dalla violenza, dall'abbandono, dalla confusione di ruoli.
Comprende l'adulto meglio di quanto esso conosca se stesso. E' proiettato a capire, sentire, alleggerire il peso dell'Altro, convinto di poterne ricavare un po' di considerazione, di rispetto, di amore.
Da grande si ritrova "esaurito" e succube del suo immenso "potere di controllo". Vede, comprende, vive l'esperienza dell'Altro senza aver mai conosciuto se stesso, senza aver assimilato le regole base del "confine sacro" tra se stesso e lo spazio vitale dell'Altro.
Non conosce i propri bisogni, non rende delineati e forti i propri confini vitali (che non sa assolutamente gestire), ma nemmeno rispetta la privacy e l'autodeterminazione dell'Altro.
Tende a "sostituirsi". Tende a volerlo "cambiare".
Si sente vittima del Dolore altrui, che assimila costantemente per conoscere il territorio, controllare le situazioni di pericolo e rendere "sicuro e altamente prevedibile" il comportamento di chi lo circonda.
L'Empatia diviene "Dono e Condanna" insieme.
L'Empatico fatica a "non essere empatico". Ma non è un "buon funzionamento". E non è una forma di adattamento psichico che "fa stare bene" chi lo vive.
La propria struttura è forte nel controllo, ma fragile nel suo movimento di "conoscenza degli stimoli ambientali".
E' ipervigile, ansiosa, insicura.
Necessita di un immenso quantitativo energetico quando si avventura in "territori sociali inesplorati".
Cura i dettagli della Relazione. Si sofferma su particolari che altri non si sognerebbero mai di attenzionare. Anticipa i bisogni dell'Altro. Ed è talmente concentrato a risolvere ed alleggerire i carichi altrui, da perdere completamente di vista la propria identità, i propri bisogni, il proprio funzionamento.
Gli Empatici non conoscono, né riconoscono il proprio spazio energetico.
Quando amano, la dimensione di se stessi entra in totale simbiosi con il movimento dell'Altro, rispondono perfettamente alle esigenze della persona amata. Dimenticandosi di se stessi per l'ennesima volta e plasmandosi sulle Energie dell'Altro.
Perciò restano di base quasi sempre soli. Percepiscono una soffocante condizione di intrappolamento, di prigionia, di soffocamento nello stare troppo vicini all'Altro o nel ritrovarsi in mezzo a troppa gente.
Non si sentono "sicuri".
Non riescono a costruire un "banale" campo energetico dotato di confini di vitalità.
C'è però un movimento che li rende davvero unici: sviluppano una connessione straordinaria e raffinata con le "energie sottili".
Proprio perchè altamente allenati a "sentire", ad anticipare, a sondare le vibrazioni, le mimiche sottese, i vissuti umorali, godono di una percezione e assimilazione spirituale altamente evoluta.
Sviluppano un rapporto con lo Spirito molto profondo, pulito, avanzato.
Divengono individui con un'intelligenza emotiva, sensitiva e sensibile pressoché assoluta.
Sono "presenti" per l'ambiente che li circonda, ma assenti verso se stessi.
L'Empatia è un funzionamento che altera tutti i livelli percettivi e li cristallizza intorno ad un "bisogno costante di ricarica e isolamento".
Si sentono alla fine soli, incomprensi e isolati.
Tale condizione nel Nuovo Mondo è impensabile. Questi retaggi del Passato, a volte ereditati di generazione in generazione, e ancora oggi presenti e condizionanti l'individuo, sono modalità standard ancora riconosciute dall'Umano per difendersi dal Dolore. Ma in via di esaurimento. Come il Dolore stesso d'altronde.
Non funzionano più per le nuove Strutture.
Perché separano. E invalidano.
Obbligano l'individuo ai soliti schemi emarginanti e incompleti.
Mettono al centro "il Dolore". Non l'"Espansione".
Una struttura integrata e matura a livello incarnazionale, non necessita di utilizzare l'Empatia.
Utilizza il potere del Cuore.
Ed esso non si sostituisce a nessuno e non necessita di anticipare, difendere, allontanare. Non si "scarica energeticamente", non invade i campi altrui, non si sostituisce mai all'Altro nelle sue responsabilità, non vive nell'ansia anticipatoria e nella sensazione di pericolo imminente. Non percepisce la relazione con "onnipotenza" e sbilanciamento. Non si condanna all'isolamento e alla sottomissione.
Il Cuore espande Vita. E basta.
Non "controlla" l'ambiente. Lo accoglie.
Non si "inquina". Non "assorbe". Non si debilita.
E' potente. Ed è naturalmente connesso alla Fonte. E' radicato alla Terra e collegato al Cielo.
Genera Energia e Benessere in ogni istante. Nella solitudine o in mezzo a migliaia di persone.
Voi non siete la vostra Empatia.
Voi non siete il "trauma generazionale".
Non condannatevi ad esserlo.
Si può lavorare sull'Umano.
E' davvero possibile lavorare per migliorare gli automatismi umani di Antica Generazione.
E' necessario farlo. E' bello sperimentarlo. Per ritrovare il funzionamento più sano, più appagante, più "vero".
Allora il Dono ritorna all'Origine. E noi insieme a lui...
Mirtilla Esmeralda
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luigidelia · 3 months ago
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𝐶ℎ𝑒 𝑐𝑟𝑖𝑚𝑖𝑛𝑒 𝑒̀ 𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑝𝑢𝑏𝑏𝑙𝑖𝑐𝑜 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑠𝑒 𝑓𝑜𝑠𝑠𝑒 𝑢𝑔𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑎 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑖𝑒𝑟𝑖?
Questa sera. Tutto pronto, fanno sala, si apre la porta ed entra il pubblico. L'ennesima replica di Cammelli a Barbiana. Arriva, sì, ogni volta, due, tre minuti prima di cominciare, un attimo di fatica. Bisogna essere sinceri. Ogni volta sai che dovrai attraversare una vita intera. L'hai fatto oltre 200 volte, come farlo senza perdere la voglia, il fuoco? Come farlo sapendolo a memoria? Ne conosci ogni piega, ti dici. Per cosa potrai stupirti ancora?
Questa volta aspetto il pubblico tra le poltrone. La sala è piccola, entrano, li guardo in faccia un ad uno. Non li conosco. Non so niente di loro. Chi sono? Mi si avvicina un signore che ha il posto che occupo. Mi alzo, dico mi scusi, non sa che sono l'attore, gli cedo il posto. Scalo due file dietro. Li guardo ancora entrare. Cosa sono venuti a cercare stasera?, qui?, mi chiedo. Eppure sarà diverso, mi dico, perché sono diversi loro ed è impossibile che sia come ieri. E ogni parola, fatto, passaggio, risuonerà diverso, avrà silenzi diversi, spessori diversi, significati diversi perché loro non sono quelli di ieri. E io, probabilmente, lo spero, nemmeno. E il mondo nemmeno. Che crimine è dare per scontato il pubblico come se fosse uguale a quello di ieri? Un pubblico fatto di infinite sfumature diverse, uno ad uno, uomini e donne, di cui non so niente. Esseri umani, anime. E non posso, mi dico, non posso darli per scontato. Non so niente di voi e fra poco attraverseremo tutta una vita insieme. Tra perfetti sconosciuti. Andrete via senza che io sappia se avete un mutuo, un matrimonio, figli, un divorzio alle spalle, un male, un bene, qualcuno che amerete stanotte, qualcuno che avete perso proprio ieri. Non so nulla di voi. Una storia d'amore tra perfetti sconosciuti vivremo. Perché è vero, in qualcosa di profondo ci toccheremo, di questo sono sicuro. E se lo sfioriamo con un pubblico di sconosciuti, di darlo per scontato, che già mi pare un crimine, cos'è quando lo facciamo con chi conosciamo?, anche vicinissimo. Che morte è? Che omicidio dell'altro è? Uccidere l'altro perché so già tutto di te. Dio, che crimine. Perpetrato di anima in anima, di sogno in sogno, di essere umano in essere umano.
Ecco, penso tutto questo mentre prendono posto. La sala è completa. Le luci si abbassano. Mi alzo e vado verso il centro del palco. Si comincia. E di voi non so nulla. Nulla. Che tutto possa vivere ora.
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girulicchio · 2 months ago
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Nelle ultime settimane ho cominciato a dormire di merda, più del solito. Ieri notte è stata veramente, veramente tragica. Ho speso la mattina a pensare, a scrivere. Sono stato male. E nel pomeriggio ho avuto il coraggio di ammetterlo. Perché sto male da anni, mica da tre mesi. E sento una parte di me che col piccone smantella tutto quello che ho costruito con sacrificio.
Vivo di sensi di colpa, cosa che (a memoria) non mi è successa così spesso. Non mi sento un buon amico per i miei amici. Non mi sento di meritare le persone che ho attorno. E poi, poi c'è Serena, che per mia fortuna è lontana abbastanza, è aleatoria, è sfuggente. Condivide con me una grande emotività, siamo molto in linea su tante cose. Ma io lo so, è la novità. Poi passerà, a entrambi.
Del resto, io ho messo subito dei paletti. Come se fossero serviti, per carità, ma li ho messi. Perché io non devo nulla a nessuno, e nessuno deve nulla a me, ma non ho intenzione di dedicarmi più del necessario a qualcuno che non sia me.
Faccio una gran fatica, ma continuo a fare tutto il necessario per aprirmi. Con tutti quelli che capitano a tiro: i miei sono solo atti d'egoismo.
Non è sano nascondermi dietro la volontà: dire che voglio stare bene non nega che io stia male. E non c'è nulla di sbagliato nel dirlo. È chiaro che non posso abboffare la uallera a tutti, tutti i giorni. Ma se sento di aprirmi con una persona, se ne sento la necessità, perché trattenermi?
Non ho la pretesa di essere indelebile, ma sicuramente mi ferisce l'idea di essere stato spesso un'illusione, un desiderio di amare e essere amata, anziché essere apprezzato per quello che sono. Ma la responsabilità non può essere che mia. Ed è per questo che sto facendo di tutto per non rientrare in certi pattern, che sono combattuto tra l'allontanare le persone ed essere me stesso.
Chi sono io? Chi sono davvero? Perché se i miei gesti eccessivi, le mie ostentazioni, il mio affetto divampante, che brucia intensamente come un fiammifero e lascia solo nerofumo e cenere, sono le cose che mi definiscono, allora sono e sarò sempre fuffa. Mi merito di essere di passaggio. Mi merito di stancare presto. Ed è per questo che voglio restare solo. Tuttavia non ci riesco.
Faccio una gran fatica a tenere le distanze dalle persone che vorrei tenere vicino, ma non è il momento. Ed è ironico, ma nemmeno troppo, che nell'anno che ho promesso di essere più aperto emotivamente mi trovo ad ammettere che sto sopprimendo il bene e il male. Come funziono male. Ci deve essere un cortocircuito tra tutti gli interruttori on/off che regolano le mie emozioni.
Sono sicuro che non mi serve la benedizione di nessuno, se non la mia, per provare quello che sento. Anzi, quello che dico di sentire. Perché la vera verità è che Lello, sebbene con degli asterischi qua e là, ha ragione. Io gli ricordo lui da giovane e lui mi spaventa per quello che posso diventare. Non voglio essere così assertivo, così freddo, così cinico. Non voglio continuare a nascondere la polvere sotto ai tappeti.
E ora veniamo al punto: perché qui e non su carta? Perché qui e non in un file word che posso aprire solo io? Perché questo è stato il posto in cui ho speso tutte le risorse di autocompatimento, i piagnistei, i lamenti. Che faccio, perpetro il disordine? Lascio tracce di quello che non voglio più essere anche dove sto ricominciando? Eddai, su, sarebbe l'ennesimo autosabotaggio.
Ho detto a tutti, in primis a me, di esserne uscito in piedi, bene. E invece ho perso l'appiglio, e ora mi affaccio alla realtà. Sono perennemente insoddisfatto, mi crogiolo nella stasi, non mi sta mai bene niente.
Serena mi ha fatto scoprire Liberato. 'O Diario è un colpo al petto, uno schiaffo in faccia, una stritolata di palle, tutto insieme. Ma funziona. Sente dolore solo chi è vivo. E allor so viv pur je. E soprattutto nun so sul. Po m pass, m scord e sti strunzat. Tant, a vit è nu fatt e cul. Mic t capit sul chell ca t'ammier't. Chest so e strunzat ca dic a chies: o Patatern te rà a croce ca può purtà. O cazz ca at cacat. E tutt e cristian ca jettn o sang p senza nient? Tutt chill ca s levn verament nu muorz e pan a vocc p l'at e po fann na vit e merd? E si pens a lor, c diritt teng e m'allamentà, e m mettere a chiagnere?
So quas trent'ann ca teng ncuorp tutt stu velen. E l'agg spartut nu poc per'on a tutt e perzon ca m'ann stat a fianc fin e mo. E teness pur a c dicere? Però o riest o teng ancor je e mo m sent accis, malament a piezz. Trent'ann e scelte sbagliate, trent'ann a m'appenn'r vicin o primm appiglio. E tanti persone nun se l'ann mmeritat. Pcché pò agg semp fatt in modo, volente o nolente, e nun m piglià maj responsabilità. Belli cazzi, o no? L'agg fatt fujì tutt quant per esasperazione. Parl assaj, stong a sentì poc. E nun voglj cchiù ca a gent pens ca je song nu buon uaglion, pcché nun è over. Pcché song nu sfaccim r'egoist, ca pens sul e cazz suoj, pur quann fa ben all'at. M'agg rutt o cazz e campà accussì. Nun vec l'or e m n jì a cocc'ata part, oì.
So schiav e me stess, e sul je m pozz liberà. E dic a stessa strunzat ra ann e ann, in forme diverse. Pcché song nu piatt vacant e fin e mo nun agg maj tenut e pall d'o dicere a alta voce. Allor, mo, e fatt so duj: o stu piatt o rignimm o ce stamm sul zitt.
Mo vac a cucenà coccos, po essere ca aizann'm a int a stu liett m'arripiglj nu poc. Ma chi sfaccim m'ha fatt arapì l'uocchj stammatin.
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multiverseofseries · 4 months ago
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Smile: Se il sorriso è sinonimo di morte
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La recensione di Smile: il nuovo film horror con Sosie Bacon ci ricorda che un sorriso può anche essere sinistro, beffardo, mortale.
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Smile: Sosie Bacon in un'immagine
Un sorriso è quanto di più bello possa capitare a una persona. Hai di fronte a te qualcuno che ti sorride, e immediatamente ti senti a tuo agio. Come vedremo in Smile un sorriso può anche essere sinistro, beffardo, mortale. Lo si è ampiamente visto nella storia del cinema: pensiamo al ghigno di Jack Nicholson in Shining, o al sorriso beffardo del Joker. E la lista potrebbe andare avanti. In Smile un sorriso, altamente inquietante e sinistro, appare sul volto di una persona. Se vedete quel sorriso, è meglio scappare. Perché è sicuro, o quasi, che state per morire. Smile vive su questo spunto molto interessante, ma finisce per sviluppare una trama e un finale incoerenti, e per essere un film che, in generale, abusa troppo del jumpscare invece di creare la giusta atmosfera e la giusta tensione. Qualche brivido, però, ce lo regala.
Il sorriso che uccide
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Smile: Sosie Bacon in una scena
Rose Cotter (Sosie Bacon) è una psicoterapeuta che lavora con passione in un ospedale ed è dedita anima e corpo ai suoi pazienti. Un giorno, all'improvviso, vede una paziente morire proprio davanti ai suoi occhi: la donna dice di aver visto qualcosa di fronte a sé e comincia a urlare. Un attimo dopo è calma, lucida e ha un sorriso agghiacciante stampato sul volto. Prende il frammento di un vaso e si taglia la gola. Da quel momento Rose si sente perseguitata. Una sorta di entità sembra passare da una persona all'altra, facendo presagire segnali di morte. Su queste persone appare un sorriso malefico e poi finiscono per uccidersi infliggendosi ferite mortali o subendo atti di violenza fisica.
Come It Follows, The Ring, Final Destination
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Smile: Sosie Bacon in una sequenza
Sul senso inquietante che può trasmettere un sorriso si potrebbe scrivere un libro e la storia del cinema ne è piena. La cosa interessante di Smile, però, è soprattutto quello schema di un pericolo che non ha un volto e passa da una persona all'altra. In Smile non c'è un vero villain, un vero assassino, né un Freddie Kruger né un Mike Myers. C'è un costante senso di pericolo che si trasmette da una persona all'altra senza che, apparentemente, si possa prevederne lo sviluppo. È uno schema non originale, ma che è sempre interessante. Ricorda a tratti It Follows, in cui all'improvviso le persone, catturate da un'entità, iniziavano a seguire in modo lento e inesorabile chi volevano uccidere. Ma possiamo anche pensare alla struttura di The Ring, o a quella della saga di Final Destination. Sono tutti i casi in cui il pericolo, e quindi la morte, viaggiano da una persona all'altra in una sorta di passaggio di testimone.
Quel senso di contagio, o di persecuzione
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Smile: Sosie Bacon, Kyle Gallner in una scena del film
A livello metaforico, che si parli di Smile, di It Follows o degli altri modelli, è uno schema che evoca cose ben precise. Da un lato il contagio: un'entità che passa da una persona all'altra sembra quasi voler simboleggiare un virus e assistere a uno schema di questo tipo, dopo gli anni che abbiamo passato, dà un senso molto particolare alla storia. Dall'altro, soprattutto in Smile o in It Follows, c'è il senso di persecuzione, di accerchiamento. È quel non sentirsi sicuri e avere la percezione che il pericolo non sia legato a una persona precisa, ma possa arrivare ovunque. È un senso di precarietà e di insicurezza che molte persone, nella vita, arrivano a provare.
L'abuso del jumpscare
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Smile: Kyle Gallner in una scena del film
Tutti questi spunti, poi, si inseriscono nella realizzazione del film. Che è quella di un horror piuttosto classico dove la regia sceglie di puntare, prima di tutto, a spaventare lo spettatore e a sollecitarlo di continuo in questo senso. Smile ha un uso reiterato, quasi un abuso del jumpscare, quella tecnica che unisce movimento e suono in modo che lo spettatore salti dalla sedia. Alcuni sono realizzati in maniera studiata e sapiente da regalare qualche brivido, ma l'uso continuo finisce per svelare subito il gioco del film, a scapito dell'atmosfera e della tensione. Ma è tutto il suono in Smile che è particolarmente curato: fate caso al rumore, eccessivo, di quando la protagonista apre una scatoletta con il cibo per gatti.
Sosie Bacon, figlia d'arte
Il finale, poi, ci sembra svilupparsi in modo piuttosto incoerente rispetto alle premesse del film, alle regole del gioco così come ci erano state presentate e una serie di attori in overacting ci sembrano nuocere ulteriormente al film. Ci sembra spesso in overacting anche la protagonista Sosie Bacon, figlia di Kevin Bacon, che evidentemente deve aver preso molto da lui. È un'attrice che però ha sicuramente delle grandi doti, e una delle notizie migliori di Smile è proprio lei.
Conclusioni
In conclusione il film Smile vive su uno spunto molto interessante, ma finisce per sviluppare una trama e un finale incoerenti e per abusare troppo del jumpscare invece di creare la giusta atmosfera e la giusta tensione. Qualche brivido, però, ce lo regala.
👍🏻
Lo spunto è molto interessante.
La struttura narrativa, con il pericolo che passa da una persona all'altra, rimanda a It Follows.
Sosie Bacon è un'ottima attrice.
👎🏻
Il film abusa del jumpscare, invece che puntare a costruire la giusta atmosfera.
Il finale ci pare incoerente con le premesse e la logica della storia.
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yaellaharpe-blog · 7 months ago
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Calcite boat found in the tomb of Tutankhamun
Barco de calcita encontrado en la tumba de Tutankhamón
Barca di calcite trovata nella tomba di Tutankhamon
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(English / Español / Italiano)
The calcite boat found in Tutankhamun's tomb is a remarkable artifact discovered by Howard Carter in 1922.
This piece was found almost intact on the floor of the tomb. It is very fragile, as it is made of semi-transparent calcite, and measures about 70 cm. high x 71 cm. long.
Boats had great significance in Egyptian culture, symbolizing the journey to the afterlife. The alabaster boat, along with the box, was probably to serve the young pharaoh in the afterlife, ensuring his safe passage through the eternal waters.
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El barco de calcita encontrado en la tumba de Tutankhamón es un artefacto notable descubierto por Howard Carter en 1922.
Esta pieza se halló casi intacta en el suelo de la tumba. Es muy frágil, ya que está hecha de calcita semitransparente, y mide unos 70 cm. de alto x 71 cm. de longitud.
Los barcos tuvieron gran significado en la cultura egipcia, simbolizando el viaje al más allá. El barco de alabastro, junto con la caja, probablemente iba a servir al joven faraón en el más allá, asegurando su paso seguro a través de las aguas eternas.
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La barca di calcite trovata nella tomba di Tutankhamon è un manufatto straordinario scoperto da Howard Carter nel 1922.
Questo pezzo è stato trovato quasi intatto sul pavimento della tomba. È molto fragile, poiché è fatto di calcite semitrasparente, e misura circa 70 cm di altezza x 71 cm di lunghezza.
Le barche avevano un grande significato nella cultura egizia, simboleggiando il viaggio verso l'aldilà. La barca di alabastro, insieme alla scatola, era probabilmente destinata a servire il giovane faraone nell'aldilà, assicurandogli un passaggio sicuro attraverso le acque eterne.
Crédito a: Edu Ba
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mezzopieno-news · 2 years ago
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LE NUOVE TURBINE ELETTRICHE SALVANO I PESCI
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Le centrali idroelettriche e le dighe forniscono enormi quantità di energia pulita nel mondo, contribuendo in modo essenziale alla lotta al cambiamento climatico. La loro presenza, tuttavia, può rappresentare un ostacolo per i cicli e i fenomeni naturali come la vita dei pesci e i processi riproduttivi.
In una centrale idroelettrica l’acqua viene convogliata attraverso turbine per far girare le pale che alimentano i generatori. Le pale feriscono o uccidono circa il 22% dei pesci che le attraversano. Le centrali idroelettriche tentano di ovviare a questo fattore, tenendo i pesci fuori dalle loro turbine, modificando il loro percorso con reti o attraverso canali di deviazione. Ciononostante, la mortalità dei pesci è un elemento che il settore idroelettrico sta cercando di eliminare. Per questo motivo è stata inventata una turbina che permette ai pesci di attraversarla rimanendo illesi. Il sistema Restoration Hydro Turbine dell’azienda californiana Natel Energy è stato progettato per consentire il passaggio sicuro del 99% dei pesci attraverso la turbina, grazie all’impianto di lame con bordi d’attacco disegnati con smussature, curve e inclinature che riducono al minimo gli impatti, senza compromettere l’efficienza. La nuova turbina adotta un design più olistico, creando strutture più naturali, più vicine alle dighe dei castori che alle dighe in cemento.
L’energia prodotta nel mondo dall’idroelettrico rappresenta circa il 20% del totale e copre il fabbisogno di circa 1 miliardo e mezzo di persone, senza produrre emissioni nocive e con limitati impatti ambientali; un settore che sta evolvendosi anche nell’utilizzo delle maree e delle piogge.
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Fonte: Natel Energy; foto di Piat Van Zyl
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jetaime03 · 5 months ago
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NUOVA BIO:
Ciao a tutti.
Nel corso della mia vita ho scritto innumerevoli volte chi io sia e su chi io sia davvero.
Un espressione che ho coniato è stata "quando penserai a me, pensa a tutte le cose sbagliate" e forse, anche io sono ultima per sentirmi prima, anche io sono ancora le cose sbagliate.
Molte volte io mi vedo come una Dea(non prendetemi per pazza), non come se fossi venerata ma come se mi venerassi io: mi vedo preziosa, proprio come le cose piccole che non costano niente, ma che hanno un grande valore come la gentilezza e il calore di un abbraccio. Quando pensi a me pensa al vento fresco sulla faccia: sono puro spirito che incontra la materia, amore che si sente non solo tra le gambe ma dentro al cuore; e perché no, anche con il desiderio di amare in modo carnale, concreto, sicuro e stabile. Ma molte volte, riflettendo, incontro la mia solitudine, non quella di chi è arrivato a capolinea ma quella di chi è da solo con sé stesso: essere l'artefice del mio destino, essere quella bambola, magari non vuota ma piena di occhioni grandi color nocciola che dentro c'hanno pure il proprio cuore e qualcosa di più; o i capelli folti arruffati che più li accarezzi più li vuoi arruffare perché vuoi prenderti tutto e lasciare il tuo passaggio. Quando pensi a me pensa alle cose che vanno a puttane, molte volte vorrei sulla pelle tramite segni rossi o tramite carezze: non è da tutti farsi vedere fragili, deboli, con la forza che viene meno e che ti porta a cadere e a dimenticarti davvero chi sei fino a depositarti come incresciosa e dimenticata polvere sui mobili. Ho capito che incontro solo e soltanto anime disgraziate, anime che hanno sofferto e che per un po'di calore hanno deciso di bruciare: maybe i am in this type of people. Se ti parlo di me ti parlo di un principe e di una principessa, ti parlo di un maschiaccio e di una femminuccia, ti parlo del principe che ho dentro: lui ti sorride, ti tende una mano, è gentile e sicuro di sé avanza con regalità nella vita; cammina con dignità come un leone senza mai perdere la tenerezza verso sé stesso e chi lo circonda: è dignitosamente autorevole. Poi vorrei parlarti della principessa: lei è il fuoco bruciante che alimenta la notte e la illumina, è quella forza dirompente di chi deve ed è forte oltre che scomoda. Lei è quella forza che ti spinge ad alzare la testa, lei è la mano che trovi in fondo al tuo braccio per essere rialzata* dopo ogni brutta caduta: è il coraggio, è quella voglia matta e sinuosa di esistere e viversi, è come se fosse una lupa che esiste nel cosmo. Se ti parlo di me ti parlerò della mia voglia matta di vivere senza slanci, perché so che le passioni, quelle vere e vivide le vivo nel qui ed ora. Ti parlerò delle mani che ho dato e che mi hanno incontrato, non solo sulle mani ma sul viso: schiaffi morali. Ti parlerò di me, del mio mondo, del mare e di mille altre cose: ti parlerò del tuo sorriso che sa essere bellissimo perché hai affrontato così tante cose che splende come le più luminose stelle nelle notti più belle di giugno.
Ti parlerò del dolore e di quanto è difficile affrontarlo, specie col cuore fragile che c'ho, o forse con la testa mia bastarda incazzata che non smette di avere pensieri e di pensare. Voglio un cuore di scorta, ma proprio quando ti vedo sorridere insieme a me capisco traboccante di orgoglio per me stesso, felicità, forza amore e pazienza assieme a mille altre debolezze. Ti parlerò di come aggiusto me stessa per far vedere il cuore, perciò leggimi, come se fossi una poesia piena di musica ma dal significato nascosto come fiori ermetici e delicati, questo perché l'amore è quel sentimento che si sente subito ma che si capisce quando si cresce. Perciò amami, amati, con tutto quello che hai addosso; questo perché io ho tutto di me e prendo tutto di te, se ne vale la pena. Perciò ricordatelo anche tu nonostante tutto anima disgraziata: anche tu hai un bellissimo sorriso. -Valentina, Joshua.
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libero-de-mente · 1 year ago
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𝗗𝗶𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼
𝟭° 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
Caro diario,
questo mese di dicembre mi sta stremando, sembra non finire mai.
In piena notte ho fatto di necessità virtù, quindi essendo rimasto a piedi con l'auto ho fatto l'autostop. Mai fatto prima in vita mia
Devo dire che ho avuto un discreto successo con il pollice all'insù, visto anche l'orario e la mia faccia, alla terza automobile mi hanno caricato.
La prima era un'auto di lusso e sappiamo bene che con le auto di lusso non si danno passaggi in piena notte. A parte qualche caso che ho potuto vedere con i miei occhi, ma si trattava di signorine lungo il bordo delle strade, altrimenti non è etichetta dei benestanti fare queste cosa. Non si sa mai cosa rischiano.
All'interno della seconda auto c'era una coppietta, lei mi ha guardato quasi come a dire "seeeee certo, proprio a te diamo un passaggio", mentre lui ha volutamente girato lo sguardo dall'altra parte.
La terza auto si ferma, li raggiungo. Sono tre extracomunitari. Mi guardano fisso e seri, molto seri. Rimango di sasso. Poi quello davanti dal lato passeggero, rivolgendosi agli altri due, dice:
- Oh, sembra brava persona.
- E se ci ruba? - risponde quello seduto dietro.
- Tu cosa dici? - dice di nuovo quello davanti rivolto a chi guida.
- Mmh, così sembra Gesù, tutto bagnato. Dai vieni - risponde quello alla guida, che mi invita anche con un cenno della mano.
- Infatti sono un povero Cristo - rispondo d'istinto facendo il brillante... con dei, probabili, mussulmani. Che idiota sono stato.
Non capendo se fossero seri o se mi stessero prendendo in giro, decido di salire. Del resto non mancavano molti chilometri a casa mia.
- Grazie - dico con un filo di voce quasi in tono reverenziale - grazie mille
- Noi non dare passaggi agli sconosciuti, molto pericoloso - dice quello che guida e gli altri due si mettono ridere.
Noto che quello seduto con me continua a fissarmi con molta insistenza, è uno molto alto si vede. Si fanno quattro chiacchiere sul perché fossi a piedi, su che lavoro facevano loro e da dove venivano. Insomma discorsi di normale routine.
Ma il tizio al mio fianco non ha mai parlato e mi fissava sempre tra il serio, il perplesso e il pensieroso.
Poi a un certo punto spalanca gli occhi, me ne sono accorto perché al buio con la loro pelle scura gli occhi e i denti erano uno spettacolo pirotecnico.
- Adesso mi ricordo di te - mi dice puntandomi il dito
In quel momento non avevo compreso se fosse una minaccia, un'accusa o una rivelazione spirituale.
- D-di me? Ti ricordi di me? - chiedo
- Si, tu uscivi da una pisseria con pissa in mano. Io passavo a piedi e avevo chiesto un'informasione. Tu ricorda?
- Io? - rispondo come quando mia madre mi accusava di aver sbafato tutta la Nutella - sei sicuro?
- Si, mi ricordo di te. Poi tu messo pissa in bagagliaio e dato me passaggio a casa.
A quel punto come da un cassettino dei ricordi lontani mi esce un ricordo, di me che con una pizza calda nel cartone stavo per tornare a casa. Il tipo di colore sudato con un enorme zaino che mi incrocia sul marciapiede e mi chiede le indicazioni per un Comune della Val Seriana. Mi ricordo che con il dito gli indicai la direzione, quella che in effetti stava seguendo, salvo poi rendermi conto che a quella destinazione mancavano dodici chilometri.
Mi ricordo che glielo feci notare e alla domanda se avrebbe percorso tutta quella strada a piedi, lui rispose allargando una mano con uno sguardo che diceva "pensi che abbia altre alternative?".
Fu allora che buttai la "pissa" calda nel bagagliaio e gli diedi un passaggio. Mi ricordo che continuava a ripetermi che io ero davvero una brava persona, a mani giunte, durante tutto il tragitto.
- Ma si ora ricordo - gli dissi
La conversazione e i ricordi finiscono, sono davanti a casa.
Scendo li ringrazio e al tipo della "pissa" stringo forte la mano.
- Questo è karma - gli dico.
- Chi casso è karma? - mi risponde stranito.
Caro diario, siamo al primo giorno dell'Avvento e qui da me sono già passati i tre re Magi. Sotto il segno di una stella cometa di nome karma. Ma che non tutti conoscono.
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melaecrit · 1 year ago
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Davanti gli armadietti, giù nel magazzino, Sanji si sbottona la camicia. Per farlo non aspetta che l'altra recuperi le sue cose ed esca nel corridoio, non aspetta mai, e lei commenta sempre in qualche modo.
ㅤㅤ« Da meno di un anno », aveva confermato Nami ad una signora in cassa. Così lui l'aveva guardata e lei, di nascosto dall'interlocutrice, aveva riso sventolando la mancia. Stavano insieme – perché la domanda era stata quella – a quanto pareva, per venti dollari. « Sìì signora, è un ragazzo d'oro— ». Aveva questo modus sul lavoro, ammiccava al cliente coi tempi giusti, nei modi giusti e con disarmante complicità... faceva parte della mansione di cameriera ingraziarsi la gente, a sentir lei.
« Sei silenziosa. »
« — sì, sto andando. » È tranquilla, lo suona almeno. Lui freme, e si domanda se si percepisca il tormento in cui giace, la tensione con cui esegue i consueti movimenti. 
La segue con la coda dell'occhio, prima che inforchi definitivamente la via delle scale, decide di piazzarglisi davanti. Solo un minuto- o due, il tempo di capire se ci ha visto bene.
« È strano. »
A fermarsi per rispondere la vincola esclusivamente l'educazione, 'ché Sanji non le ha ostruito il passaggio. « Che vada via? Non direi » piega appena di lato la testa, smaliziata; è decisa insomma, continuerà su quella linea di finta tontaggine.
Il cuore a lui non accenna a rallentare.
« È strano, il tuo silenzio » si appoggia alla parete piastrellata con un fianco, braccia conserte; dunque la soppesa, dilata i tempi.
« C'è qualcosa che vorresti dicessi? » arcua le sopracciglia.
Non ho niente da dire, è piuttosto sicuro significhi questo. Eppure negli occhi accesi lui vi legge il contrario, risposte a domande che non osa porre. Quanto può esser saggio risvegliare speranze sepolte? « Domani sono di riposo. »
« Io no » si poggia al muro anche lei, a specchio.
« Lo so » lui scivola più avanti.
« Mhh » non si ritrae.
« mh-mh. »
« E sai anche come mi stai guardando già da prima? »
Mira a inibirlo, lo sa, e comunque non lo modifica lo sguardo, semmai lo infittisce. « No... come? »
Lei socchiude gli occhi, lo scruta. Dovrebbe essere un passetto ciascuno, in amore e nel corteggiamento. Con Nami quando uno va avanti l'altra gioca a soffiargli in faccia, l'altra gli ricorda con una sola occhiata quante volte gli ha dovuto dire di no, da ragazzino in preda agli ormoni. Quindi occorre ascoltare il colore della voce, cogliere la piega in cui rimangono le labbra, se fremono leggermente là dove s'affanna a nascondere l'euforia tipica dei sentimenti.
« Da adolescente alla prima cotta » si è rimessa dritta, mento sollevato in un'innocente pungolatura.
« E ti sembro alla mia prima cotta? » gli esce roco, risultato di una gola che non vuol collaborare, però in qualche modo provocatorio se detto a quei pochi centimetri. Aleggia un 'ancora ', sottinteso lì da qualche parte.
« Non lo so... » vaneggia, bugiarda. Gliela fa piacere di più quella ritrosia, il tentativo d'invalidazione protratto fino all'ultimo. Quante volte lo ha fregato con questo atteggiamento, quante volte lo ha scoraggiato? Rabbia, quella sana, quella che nutre per il sé che per tanto tempo ha rinunciato, diventa ardore. « ... sembrerebbe di sì. »
Ormai ribolle, fuori non sa se il sangue abbia deciso di fargli prendere totalmente un altro colore. Non si permette di quietare nulla, non serve più, ora è lei che lo sta guardando da innamorata, dritto in faccia. La bacia. Non c'è assaggio; lei contraccambia con la stessa voracità, è quasi un dispetto.
Gli tremano le mani nel tenerle il viso. Le sue, più sottili, gli scavano l'addome, la schiena; gelide, avide... senza incertezza. Ondeggia, vacillano, non c'è equilibrio. La percepisce ridere, non si offende finché col resto del corpo s'impegna a rimanergli incollata.
 « Ba-umh-basta » è lei, n
aturalmente; esce dal bacio con un po' d'affanno, « a dopodomani abbiamo detto? » Scherza, nel liquidarlo così.
« Non vuoi venire da me? » troppo veloce, troppo disarmato.
Ci sta pensando. È seria quando parla, dolce, « un'altra volta Sanji, sono stanca sul serio ».
Sguinzaglia un « dormiremo », disperato. « Dormiamo— » lo ripete mormorando, ma non è credibile se incombe sul suo collo, se si abbassa con cautela, con paura celata, fretta di toccare, sentire finché può; se continua attirandola a sé, saggiando le labbra, lentamente, se le bacia, lambisce con la lingua e intrappola gentile con le dita, quando lei fa per replicare. « — da me » ammonisce gentile, guardandola negli occhi. Lei li rotea veloce, sconfitta. « Va bene » cantilena dolce, ed è il più bel suono che lui le abbia mai sentito emettere. « A casa mia però, preferisco. »
« Come comanda. »
       ( ... )
L'aveva messa tra le storie in evidenza, dove le faceva gli auguri di compleanno.
La rimuove che son trascorsi cinque mesi dalla rottura.
 Armeggia su instagram sdraiato sul divano, una coperta stropicciata disordinatamente a contrastare un principio di fresco. La foto nel profilo invece, l'unica sopravvissuta di quelle che li ritraevano insieme, risale a quando erano ancora colleghi. Sta in mezzo ad una serie di altre cinque, ciascuna con altri del lavoro; qualcuno si ripete, Nami figura solo nella terza. La didascalia cita 'What a blessing to have spent this year with you all and your beautiful soul'.
Non archivia.
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