#tranne la cucina e io bagno
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Una roba che ho sempre detestato di come sono arredate le case é che la stanza più bella viene spesso dedicata agli ospiti, aka a persone che invadono la nostra privacy per forse una o due volte l'anno, uno spreco totale.
Nella nuova casa ho praticamente preso tutto quello che c'era in una stanza di 40mq con doppia finestra usata come salotto e ho sostituito tutto con esclusivamente la roba che avrei voluto in una stanza interamente dedicata a me: una libreria gigante, diverse scrivanie ciascuna con il suo uso (lavoro, svago, elettronica+saldatura), una spin bike, un divano letto (ovviamente posto subito sotto un indispensabile condizionatore) e a breve una sacca da boxe professionale
Mai avuto un senso di relax più grande di quello che mi da entrare qui
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L’Incompreso
Da ragazzo mi sentivo incompreso. Mi rendevo conto di dire spesso cose che non interessavano ai miei coetanei, oppure di ascoltare dischi che venivano rimossi dal piatto con una smorfia dolorante, come se l'ascoltatore si fosse schiacciato i coglioni sedendosi malamente sulla sella di un motorino truccato. Ma l'apice del disagio lo ho raggiunto tre anni fa nel reparto cessi di Villa. In pratica, ero lì con Laura e stavamo scegliendo il bidet per la casa nuova. Io facevo prove approfondite, mi accovacciavo sui sanitari esposti, li riposizionavo nello showroom, mimavo con la mano il gesto di portare il miscuglio di idrogeno e ossigeno verso il culo sagomato da anni di libri e videogiochi. «Ho il femore troppo lungo!» dicevo a Laura. «Ci cacciano via!» ringhiava, malcelando l'imbarazzo in una smorfia divertita. Allora io mimavo con l'indice destro la distanza tra muro e ano, non credo ci sia un termine tecnico, una quota standardizzata vitruviana, insomma, introducevo questa misura a supporto del fatto che avessi le gambe troppo lunghe e che, quindi, da seduto parte del culo sarebbe uscita dal bidet. «Lo voglio stondato e attaccato al muro: fa cagare ovale e con i tubi a vista.» Questa era la risposta che ottenevo in cambio di complessi ragionamenti trigonogometri. E quindi dicevo che no, lo spazio non si può comprimere, cioè magari si può andando alla velocità della luce, però, ecco, non è che per lavarmi il culo io possa ogni volta compiere un salto nell'iperspazio. E dopo discussioni estenuanti, una specie di trattativa tra lei, signora, e io, ambulante affaticato sotto il sole, la spunto. La spunto sulla forma ma il prezzo da pagare è quello di scegliere un bidet che aderisca perfettamente al muro e non lasci intravvedere all'occhio umano tubi, manicotti e leveraggi.
E insomma, racconto questo per dire che oggi mi sono fatto il bidet e dopo che ho finito, tiro la levetta per far defluire l'acqua e si rompe. Tuc. Tuc, fa l'asticella cromata e io la guardo mentre sono seduto a cavalcioni del trabicolo di porcellana. Fisso il muro, poi il pernetto, e infine abbasso lo sguardo e vedo il piccolo specchio d'acqua sotto le mie cosce. Quindi mi alzo, impreco e comincio ad aggeggiare con le dita sul tappo per provare a rimuoverlo dalla sua sede, sede rifinita in maniera millimetrica, nemmeno fosse l'ingranaggio di un Rolex. Dopo dieci minuti mi arrendo. Mi arrendo e corro in cucina. Apro un cassetto ed acchiappo un coltello e torno nel bagno con la speranza di poter usare la lama per far leva sul tappo. Mi tuffo nell'acqua ma l'acciaio è troppo spesso: non ci passa. Il tappo rimane al suo posto, fiero del suo ruolo, una specie di oligarca in un mondo di porcellana e sa-la-madonna quali resti della mia umana ingegneria.
Dopo aver provato una teoria di oggetti, cito a memoria, un cacciavite, uno stuzzicadenti, la lama di un cutter e la tessera della Coop, mi cade l'occhio verso il lavandino. Vedo la soluzione. La vedo e mi compiaccio, addirittura ringrazio dio di avermi fatto scienziato, di avermi donato la possibilità di avere idee utili per tutti tranne che per me stesso. Glu, glu, glu. L'acqua defluisce! Acchiappo con due dita il pistone che dovrebbe alzare il tappo e dare una via di fuga all'acqua e lo tiro. Basta pochissimo e tutto ritorna a funzionare per la gioia del Signor Pozzi e del suo socio Ginori.
Esattamente quattordici ore dopo, sono seduto al Mac che lavoro. È tardi, non so più cosa fare per arginare le scadenze, in pratica sono assorbito dal fallimento professionale quando sento urlare. «Carolina, lavati i denti!» sbraita Laura. «Non posso!» «L-a-v-a-i-d-e-n-t-i!» «Ma come faccio?» urla l'Exogino con parte del mio DNA. «Ho detto che ti devi lavare i denti!» «Non trovo lo spazzolino.» E quindi inizia una rissa madre e figlia, una roba tipo tour dei Genesis quando Phil Colins e Bill Bruford se le suonano sulle note di The Cinema Show. Laura usa l'arma finale: «Adesso viene tuo padre!» Mi alzo sapendo che, ogni volta che vengo invocato, la mia autorevolezza diminuisce, come se il mio essere padre fosse regolato da un'immaginaria barra di energia che niente e nessuno può ricaricare.
Effettivamente, Carolina ha ragione. Mentre mi gratto il mento ammetto, facendo finta di niente, che lo spazzolino non è più disponibile. «Più?» dice Laura «Più,» dico io. Per chiudere subito la questione, dico che aveva le setole rovinate, anzi, rincaro la dose e aggiungo che bisogna insegnare a nostra figlia a non masticare lo spazzolino. Ma Laura dice che era nuovo, che era diventata scema a trovarlo a forma di giraffa azzurra. «Lo avevo lasciato appiccicato allo specchio, pa'» dice mia figlia. «Proprio qua,» fa Laura indicando l'alone circolare. Mi vedo riflesso nello specchio e capisco di essere spacciato. Ma poco prima di darmi per vinto, mi ricordo di un tizio con cui ho lavorato. Mi ripeteva sempre: "Luca, bisogna sempre dire la verità, perché la verità può essere aggiustata." Allora "aggiusto" il corso degli eventi e, guardando madre e figlia, dico che è successo un incidente e che ho dovuto buttare via il simpatico dispositivo odontoiatrico dotato di ventosa. «Sei un mostro» urla Carolina. «Sei impazzito?» fa coro Laura.
Balbetto e dopo qualche istante ammetto che mi serviva per risolvere un'incomprensione del passato. E quindi spiego alla mia famiglia che non riuscivo a stappare il bidet e che ho usato la ventosa piazzata sul culo dello spazzolino per afferrare il tappo sepolto da acqua e residui pubici. Dico che lo ho fatto a fin di bene, insomma, che lo ho fatto solo nella speranza di tirare via il tappo dalla sede, dalla sua cuccia pure troppo perfetta per quanto ci è costata. «Domani risolvi questa storia» dice Laura. «Come sempre,» dico io mentre vedo madre e figlia che si allontanano senza salutare.
La mattina successiva, giro mezza Genova per cercare uno spazzolino con ventosa. Alla fine lo trovo e, anche se costa una cifra folle, lo pago e lo porto a casa. «Non mi piace,» fa Carolina e aggiunge «ormai sono grande, uso questo» e intanto brandisce un affare di plastica con sopra scritto OralB. Allora ripongo lo spazzolino nel posto segreto dove tengo il mio senso di incomprensione e tutti gli aggeggi che mi ricordano che, alla fine, ho sempre ragione.
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ciao volevo chiederti una cosa visto che abbiamo gusti affini e tu tanta competenza in materia. la carta da parati in bagno. vedo online e su riviste che sta tornando prepotentemente, magari solo per una parete, quella dei sanitari o dietro la vasca. Ma non rischio dopo poco di vederla sgualcita per schizzi o che si stacchi per l'umidità tipica del locale? grazie, un abbraccio!
Carta da parati in bagno: dipende.
Il vero, quasi unico, nemico della carta da parati è l'umidità nel muro, quindi se la stanza presenta pareti con umidità la risposta è no, sempre, che sia bagno, corridoio, stanza da letto.
Va analizzato ovviamente caso per caso, ma orientativamente se il bagno non presenta umidità nelle pareti puoi procedere con:
Carta da parati in tnt, la più comune e che ha maggiore quantità di collezioni e disegni, dove non arrivano gli schizzi di acqua, quindi se hai le maioliche fino ad una certa altezza, tipo 1.40 m, puoi metterla sopra; puoi metterla tranquillamente su pareti che non hanno sanitari doccia e lavantino; puoi metterla sul soffitto; ecc..
Carta da parati vinilica: la puoi mettere ovunque tranne che in doccia. E' una carta da parati "plasticosa" che quindi è facilmente lavabile e non viene intaccata da schizzi e le peggiori sostanze per le carte da parati nei bagni che sono spray e olii.
Carta da parati in fibra di vetro: potresti addirittura metterla in doccia. La farei mai mettere in doccia ad un cliente? No. Perché purtroppo è una finitura che va a fare appoggio ad una struttura che se non è perfettamente impermeabilizzata crea problematiche nell'immediato futuro, esattamente come il microcemento. Sono finiture che vanno ad appoggiarsi a "basi" strutturali che devono essere più che perfette. Inoltre, ma questo è un parere personale, la fibra di vetro ha una finitura brutta, è una rete colorata su cui sopra va stesa una resina, io la trovo pretenziosa senza avere le capacità estetiche. Costo eccessivo, risultato estetico a mio avviso solo di impatto le prime due volte che la vedi e un rischio di siluri su per il culo che veramente non vale la pena.
Per tornare al tuo discorso, certo che puoi mettere la carta se la stanza lo permette. Dietro ai sanitari metterei una vinilica o una fibra di vetro (se piace) o in alternativa uno smalto in tinta con la carta da parati. Doccia e vasca non metterei carta. Altre pareti o vinilico o tnt a seconda del caso. La carta da parati non è un prodotto fragile come si crede, se si stacca è perché è stata attaccata male, le colle sono super forti. Se è una zona dove rischiano di arrivare schizzi allora io andrei con una vinilica ma ad esempio se il bagno è un secondo bagno usato poco o di servizio e ci sta un piccolo filtro tra lavandino e parete puoi anche andare col tnt. Insomma dipende da caso a caso.
Io vendo anche una resina che rende impermeabili le carte da parati (costo esorbitante) e che il marchio garantisce puoi mettere anche in doccia. La farei mai mettere in doccia? No. La farei mettere dietro sanitari /cucina? Certo.
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Selvatica - 41. Fotografie strappate
C'era qualcosa di strano nell'appartamento. Corinna chiuse la porta e si guardò attorno, forse le ragazze avevano cambiato la disposizione delle suppellettili o ne mancava qualcuna. Lanciò un rapido sguardo alla sala e alla cucina: sembravano le stesse. Dal bagno proveniva il rumore del phon acceso e le altre stanze erano tutte aperte e vuote, tutte in ordine, tranne la sua, che era chiusa.
In genere le ragazze non chiudevano mai le porte, tranne quando andavano a dormire o non volevano essere disturbate, lei ricordava di averla lasciata aperta. Abbassò la maniglia con una sensazione di disagio che strisciava lungo la spina dorsale. La sua camera era stata messa a soqquadro e poi qualcuno aveva cercato di sistemare tutto. La furia distruttrice aveva lasciato segni dappertutto. Corinna guardò i quadretti appesi alle pareti senza più il vetro e alcune tele rovinate, buchi vuoti nella libreria dove prima c'erano stati i suoi libri.
Quello che le aveva regalato Ante era poggiato sulla scrivania. Si accorse che era rotto quando lo prese in mano, la copertina si staccò dal dorso, che ricadde sulla scrivania con un tonfo. Le pagine erano rovinate, spiegazzate e tagliuzzate. Gli occhi le si riempirono di lacrime, quello era il primo regalo che le aveva fatto Ante. Era il libro che sfogliava la sera prima di andare a dormire, quello più prezioso che possedesse. Lì accanto, tutte le fotografie di lei e della sua famiglia. Erano state strappate, tutti i suoi ricordi del padre completamente distrutti. Qualcuno aveva cercato di rimettere insieme i frammenti, i quali giacevano sulla scrivania come un puzzle incompleto. Corinna prese un pezzo. Le lacrime cominciarono a solcarle il viso, calde e abbondanti. Su quel brandello di carta c'era il volto di suo padre che sorrideva a una Corinna piccola che non c'era più, cancellata da una mano crudele e avida.
«Corinna.»
Si voltò in fretta, asciugando il viso. Monica era sulla soglia della porta, negli occhi andava espandendosi un sentimento di pietà, proprio quello che odiava di più. «Cosa è successo qui?»
L'amica si avvicinò e la strinse in un abbraccio che Corinna ricambiò con fatica. «È stato Carmine. È venuto a cercarti, voleva sapere dove fossi...»
«Perché non mi avete detto niente?»
«Non volevamo disturbarti. E poi che avresti potuto fare? Eri in Croazia. Qui abbiamo sistemato tutto noi. Silvia ha denunciato Carmine e non può più avvicinarsi a questa casa.»
Corinna sbarrò gli occhi. «Che cosa ha fatto?» Cominciò a rovistare nella borsa in cerca del telefono, doveva assolutamente parlare con Silvia.
«Lo ha denunciato per stalking e molestie. Ascolta, loro hanno già dei precedenti, è stato facile ottenere un ordine restrittivo. Però... ti conviene andare da Antonio. Corinna, noi abbiamo pensato a come aiutarti a uscirne. Vengo anche io con te, lo facciamo parlare, lo registriamo e io ti faccio da testimone quando andrai a denunciarlo.»
Sentiva il sangue pulsare forte nelle tempie. Monica sembrava sicura di quello che diceva ma lei non poteva. «Denunciarlo? Non posso, Ante non sa ancora niente.»
«Gliene parlerai con calma, vedrai che capirà. Lui impazzisce per te, si vede lontano un miglio.»
«Quando è successo tutto questo?»
«Un paio di giorni fa. Noi abbiamo detto che non sapevamo quando saresti rientrata ma Antonio sta perdendo il controllo e questa cosa gli sta sfuggendo di mano. Carmine ha quasi distrutto casa, si sono allarmati anche i vicini e abbiamo dovuto chiamare la polizia per farlo andare via.»
Che razza di casino aveva combinato anche con Carmine? Come aveva fatto a lasciarsi impietosire da quell'avanzo di galera? «E Silvia come sta?»
«Bene, non ti preoccupare. Però vuole che risolvi la cosa nel più breve tempo possibile. Tutte noi lo vogliamo.»
Corinna annuì. «Non so come dirlo a Ante. Non voglio che si allontani da me a causa di questo...»
«Si allontanerà se non glielo dirai. Non puoi tenerglielo nascosto per sempre. Con Antonio ti aiuterò io, ma con Ante dovrai parlarci tu. Più tardi vi vedete?»
«Vado a cena da lui.»
«Allora fallo stasera. Senti, devo scappare all'università. Chiamami se succede qualcosa, va bene? E soprattutto non fare niente di avventato senza di me. Ti conosco troppo bene, ma stavolta non è il caso di fare da sola.»
Corinna si sedette sul letto. In mano stringeva ancora il frammento di fotografia. Lo osservò, tracciando col dito i contorni della figura. «Perché te ne sei voluto andare? Perché mi hai lasciata da sola in questa situazione? Io non ce la faccio più» sussurrò, prima di accartocciare la foto e gettarla a terra.
Si distese sul letto, rannicchiandosi su se stessa. Aveva bisogno di piangere, di buttare fuori tutto quel carico di emozioni che pesava sul cuore, sullo stomaco, nella testa. Probabilmente, se non ci fosse stato Ante questa storia l'avrebbe affrontata in maniera diversa, con più forza. Paradossalmente, in quel momento Ante rappresentava la sua debolezza. Nonostante sapesse perfettamente che il loro era un legame solido, ogni volta che provava anche solo a pensare alle parole per spiegargli tutto veniva paralizzata da una paura atavica, un terrore che inibiva il corpo e la mente.
Monica aveva ragione, dopo aver pianto e aver ritrovato una sorta di calma mentale Corinna si era alzata e aveva deciso di andare subito da Antonio. Voleva affrontarlo, dirgli che doveva smetterla una volta per tutte con quelle pressioni psicologiche, con quei giochetti. Doveva smetterla di tormentarla, non poteva costringerla a fare quello che non voleva. Il suo debito era stato saldato, da lei non poteva pretendere più niente.
Aveva infilato la giacca e si stava dirigendo verso la porta quando il suo telefono squillò. Inspirò profondamente prima di rispondere, per acquietare i nervi tesi.
«Ante.»
«Amore, faccio un po' di ritardo. Ho trovato le ruote della macchina bucate e sto aspettando che arrivi il carroattrezzi.»
Corinna avvertì un vuoto allo stomaco. «Le ruote della macchina bucate? E tu come stai? Dove sei?»
«Sto benissimo Corinna, me ne sono accorto prima di salire in macchina. Sono sotto casa, l'avevo lasciata qui fuori, sarà stato qualche ragazzetto.» Ante sospirò, più scocciato che preoccupato. «Non ti preoccupare. Aspetto che portino via l'auto, prendo l'altra macchina e vengo.»
Prima la sua casa, ora l'auto di Ante. Corinna strinse il telefono tra le mani fino a quando non sentì le ossa farle male. Doveva andare da Antonio prima che facesse qualcosa di più grave. Non doveva permettersi di toccare Ante. Lo avrebbe ucciso, voleva vederlo morto, solo così si sarebbe potuta liberare di lui per sempre. Aveva paura dei pensieri oscuri che si stavano formando nella mente, aveva paura che potesse succedere qualcosa a Ante.
Si accorse che cominciava a mancarle il respiro. Se non si calmava avrebbe avuto un altro attacco di panico. Concentrò l'attenzione sul cuore che martellava e sulla respirazione, cercando di riportare tutto alla normalità. Ante stava arrivando, presto sarebbero stati insieme, lui sarebbe stato bene e lei anche.
Non avrebbe permesso a se stessa di rovinare l'unica cosa bella che aveva.
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Be young,be free
E' lunedì mattina e la sveglia suona all'impazzata. La spengo con un flebile colpo di mano. Tanto ho messo lo snooze e tra 5 minuti,dico 5,ricomincerà il tutto. Ho la testa pesante. Ieri ho esagerato,forse.
L'ultimo bicchiere di Jack mi deve aver fatto male. Questi pensieri semicoscienti,chissà perchè,si mescolano con il sogno che ho interrotto. Appena richiudo gli occhi,mi ritrovo seminudo su uno yacth con un robusto bicchiere di Jack Daniels in una mano,e una sigaro cubano nell'altra,steso al sole di qualche isola delle Antille,mentre ho accanto la professoressa di Matematica che tenta vanamente di spiegarmi il concetto che sta alla base dei differenziali e l'utilità nella vita di tutti giorni degli Integrali. Intanto dietro di noi,un dj fuori di testa mixa un pezzo dei Chemical Brothers con un liscio di Casadei. AHHHHHHHHHH! Il ripetitivo suono della sveglia mi salva dall'incoscia visione infernale. Dio salvi le sveglie con lo snooze! Mi alzo di scatto,mi metto la maglietta degli Strokes e mi fiondo letteralmente in bagno,dove una rivista tipo "Focus" m'attende per la "defecatio seduta" mattutina. Non sapete quante stronzate si appendono in quei 10 minuti di totale intimità. Ma in mente ho solo le briciole della distorta visione onirica di prima. Ho i brividi. E ci credo bene,dato che stanotte mi sono infilato in mutande a letto. Ero troppo sfatto e stanco per avere vane possibilità di trovare i pantaloni del pigiama. Non che adesso sia messo meglio. Ho una bruttissima cera. Le occhiaie nero pece mi ricordano della nottata appena trascorsa.
Ho la bocca amara,secca e impastata. Come un automa mi sciacquo la faccia e mi lavo i denti. Dovrei pettinare i capelli,ma l'idea non m'alletta. Tanto lo sanno tutti che il lunedì sfottermi è come sparare sulla croce rossa. Troppo in down per tentare una reazione. Quindi tolto il bello dello sfottò,esso cessa di esistere. Decade,ancor prima d'esser partorito da qualche simpaticone di mia conoscenza. Esco dal bagno e vado in camera a vestirmi. Apro l'armadio e le ante mi ricordano quanto sia fuori di testa. Sabato prima di uscire,le ho rivestite internamente con una miriade di post-it zeppi di consigli,scritti a caratteri cubitali utili per questo momento. Ne leggo un paio velocemente tra i più appariscenti: "Evita pantaloni a zampa,tanto oggi stai da schifo","Meglio la felpa verde col cappuccio",e i miei preferiti:"Non dimenticarti la testa" e "Oggi evita di pensare". Come da consiglio,m'infilo la salophette,la felpa verde e un paio di scarpe da skater;prendo la borsa a tracolla semivuota e scendo in cucina,dove quella santa donna di mia madre ha preparato la colazione. Ho tempo a sufficienza per consumarla in tranquillità,fumarmi una sigaretta e andare a prendere nella mia stanza la bustina d'erba dimenticata nei jeans di ieri. Oltre all'erba,ritrovo nelle tasche un paio di banconote di cui io non ricordo la provenienza e una seconda bustina con mezzo trip e due pasticche. Impreco contro la mia stupidità,visto che c'è mancato poco che mi sgamassero. Già mi vedo la faccia di mia madre che mentre piega i pantaloni si ritrova il tutto per terra e nel mentre che lo raccoglie scrive col mio sangue la mia pena. Ma per fortuna questo non succede. Ho giusto il tempo per imboscare tutto dentro la tasca interna di un giubbotto che non metto da un bel po',e sono già fuori casa. Cerco nelle tasche della salophette quel che rimane del pacchetto di sigarette,ormai sventrato, causa mancanza di carta per filtri;ne estraggo una e me la fumo a forza di avidi tiri.
La stazione è vicina,solo 5 minuti a piedi a passo medio che potrei percorrere ad occhi chiusi. A quest'ora,l'ora in cui il paese lentamente si sveglia,camminare per strada è bellissimo. Si è accompagnati solo dal cinguettio degli uccelli e da qualche rumore lontano di automobile che si mette in moto. Certo fa un po' fresco,ma è solo umidità. Nella stazione non vi è ancora anima viva,tranne me. Mi dirigo a piè veloce verso la nostra panchina,dove ogni mattina il primo che arriva rolla la prima canna della giornata. E sì,da noi si usa così. Come sempre,a questa ora la stazione è vuota. Il primo treno utile è quello che dovrò prendere,quello verso la città a nord. Quello che scende verso la città a Sud passa dieci minuti dopo. Ho giusto il tempo di finire e d'accenderla,che alla spicciolata arrivano anche gli altri. Il Fuso entra in stazione dall'entrata secondaria,con sul viso ancora con la forma del cuscino,anche perché accompagnato in auto dalla madre;mentre Paolo e Gigi escono dal bar della stazione,dopo la colazione quotidiana a base di “cornetto&cappuccino”. I primi saluti vengono sostituiti dal passaggio del “testimone fumante”. Quando si dice:”Il buongiorno si vede dal mattino….”. Ah,sante parole. Il treno,stranamente puntuale,apre le porte ed il filtrino,ultimo residuo della canna mattutina,fa un volo della madonna,sfiorando la gamba del controllore,sceso per indicare la ripartenza al macchinista,per poi finire sulle rotaie sottostanti. Ogni gesto è una continua sfida al mondo,ogni gesto è colmo d'irriverenza e strafottenza. Diligentemente poi,quasi in fila saliamo sull'ultima carrozza,la nostra zona. Appena usciti dalla stazione,puntuale – lui sì – si avvicina il controllore per il controllo biglietti. Ci conosce ormai,ma ligio al suo dovere,ci continua a chiederci il biglietto. “Siamo studenti pendolari,abbiamo l'abbonamento” gli disse una volta Paolo supportato dai nostri sorrisi da 32 denti ciascuno,e il controllore candidamente ci rispose:”Ragazzi,con quello che vi fumate ogni giorno,prima o poi ve lo dovrete pur dimenticare…e io sarò lì ad aspettarvi.”
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Comunque porcodio tu sei davvero scema. Non so chi lo sia di più tra te e la tua coinquilina. Sai che è solita usare le tue cose senza il permesso? Bene: prendi TUTTO e mettilo in camera tua e chiudila a chiave quando esci. Non è difficile
Porca la madonna puttana, ma ammazzati. Cioè ma proprio impiccati. Io vivo in casa con della gente maleducata, irrispettosa e la colpa sarebbe mia? A parte che la porta di camera mia ovviamente la chiudo a chiave, quelle pezzenti nemmeno ci devono provare a toccare la mia roba in camera mia, ho già tolto ogni cosa dalla cucina tranne il cibo, ora anche tutto il cazzo di bagno perchè questa è troia?
Ma va a morì ammazzato tu e tutta la palazzina tua.
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Andiamo a rubare con Papero - Lezione 6 (parte 3) - Come conquistare il mondo
Come lo Zingaro ci suggerisce, oggi trattiamo l'argomento porte, visto che adesso siete espertissimi di indirizzi (spero).
Lezioni fa vi avevo anticipato che ogni PC è come un casolare pieno di finestre. Da ogni finestra si accede ad una stanza, che ha uno scopo ben preciso (bagno, cucina, letto, etc.). In ogni stanza si fanno cose diverse e si parla in modo diverso (a meno che non abbiate installato un bidet sul materasso), quindi, a seconda di quale stanza scegliamo, dobbiamo essere pronti a saperla usare a dovere.
Senza voler entrare in casi specifici, immaginate anche che queste stanze non siano comunicanti tra loro, cosa anche abbastanza tipica in un layout di casa comune, ma ovviamente hanno un corridoio che permette di accedere a tutte le altre. La maggior parte delle stanze non ha alcun accesso al corridoio, sono delle stanze che hanno solo la finestra, però potrebbero avere un muro fragile, e quindi, con un colpo ben assestato, il corridoio diventa accessibile.
Altre stanze, invece, hanno proprio come funzionalità quella di farvi accedere al corridoio.
In quanto ladri potrebbe interessarci già il solo contenuto della stanza, senza dover accedere al corridoio per andare in altre stanze, oppure avere accesso al corridoio, e in questo caso poter puntare ad un bottino molto più sostanzioso, se non prendere possesso di tutto il casolare. Come si fa? Beh, esattamente come farebbe un ladro: proviamo a capire se quella stanza ha una finestra e se ha una maniglia che si gira.
Capita la sottile metafora? Ma nooo, siete talmente esperti che adesso basta prendere direttamente il nostro pacchetto:
Come vedete, l'indirizzo sorgente e destinazione hanno affianco due numeri, che sono la porta (= finestra) sorgente usata per inviare il messaggio, e quella destinazione, dove verrà recapitato.
Quella sorgente potete ignorarla, viene scelta a caso dal sistema operativo e quasi mai è utile saperne il valore. Di quella di destinazione, invece, dobbiamo preoccuparcene, perché è quella che andremo ad attaccare. Ogni PC ha a disposizione 65536 porte. Dietro ogni porta c'è potenzialmente un servizio offerto da un server (parola che, purtroppo, è stata talmente abusata che adesso significa qualsiasi cosa). Ovviamente, se provate ad accedere a quella porta, dovete sapere in anticipo cosa ci troverete dietro, nel caso si apra, altrimenti non potrà esserci comunicazione (ricordate l'esempio dell'ufficio anagrafe?).
Come si fa a sapere cosa ci aspetta dietro ogni porta?
Beh, teoricamente, dietro ogni porta, ci potrebbe essere qualsiasi cosa, tuttavia, siccome dobbiamo comunicare tra PC e PC, bisognava mettersi d'accordo sin dai primi tempi di Internet, e così lo IANA (Internet Assigned Numbers Authority) stabilì quale servizio, convenzionalmente, viene attribuito ad una specifica porta.
Qui trovate la lista completa:
ma vi faccio un riepilogo di quelle più usate su Internet:
25 o 587 o 465 => Posta in uscita
110 o 143 o 993 o 995 => Posta in entrata
80 o 443 => Navigazione web
ma anche ...
137 e 139 => Condivisione cartelle
3398 => Desktop remoto
1900 => Servizio di ricerca di sorgenti multimediali
eeee ...
135 => Servizio RPC
445 => Servizio (vecchio) di esplorazione rete
5357 => Servizio (nuovo) di esplorazione rete
Le prime 3 linee riguardano, in genere, i sistemi ai quali ci colleghiamo (Facebook, Tumblr, GMail, etc.). Se volete aprirle a vostra volta sul PC, perché volete fare concorrenza a FB, dovete installare del software apposito, ma guardate invece le altre 6 linee che seguono. So che non sapete assolutamente cosa siano, eppure sono porte aperte sul vostro PC, a vostra insaputa (così come il traffico, esistono anche le porte Scajola). Guardate questa foto.
Io a casa non ho sistemi Windows, tranne un vecchio Windows 7, sul quale non c'è installato nulla, manco gli aggiornamenti (tanto è completamente staccato dalla rete), lo uso solo per giocare ad Orbiter. Ebbene, ci sono la bellezza di 9 server in esecuzione, sulle porte 135, 445, 5357, e dalla 49152 fino alla 49158. E se avessi condiviso almeno una cartella in rete, se ne sarebbero aggiunti almeno altri 2.
Tutto questo cinema per dire una cosa: anche il vostro PC è un server, fornisce diversi servizi, a seconda delle informazioni che esponete in rete, e potete essere potenzialmente attaccati su queste porte.
Ce ne sono altre due, molto importanti, la 22 e la 23, rispettivamente SSH e Telnet. Queste possono darci accesso a tutto il PC, una volta dentro abbiamo un intero terminale a nostra disposizione.
Come è successo giorni fa con il router di un tipo, al quale ho avuto accesso tramite la porta 23:
Tutti i software che utilizzate sanno già a quale porta collegarsi, o altre volte lo indicate voi, in modo simbolico o numerico. Esempio, quando scrivete http://www.google.com, il vostro browser sa che dovrà collegarsi da casa vostra all'indirizzo www.google.com, porta 80 (http). Se scrivete https://www.google.com, il vostro browser si collegherà alla porta 443 (https). Le porte 80 e 443 sono le porte assegnate dallo IANA al traffico HTTP e HTTPS. Alcuni siti, ad esempio, richiedono che indichiate la porta in modo esplicito, perché magari fanno girare "servizi speciali" su porte diverse, quindi vi sarà qualche volta capitato di dover scrivere https://www.ilsito.it:8080 : in questo caso, state indicando al browser di usare il traffico HTTPS ma la porta destinazione è la 8080, e non più la 443, assunta per default.
Come hacker, la nostra attività si dividerà in due fasi:
1. Scoprire quali porte sono aperte, ovvero provare a connettersi, e ricevere una risposta. Siccome le porte sono tantissime, possiamo concentrarci solo su quelle stanze che offrono un servizio che a noi interessa.
2. Una volta stabilito che c'è qualcuno in ascolto su quella porta, provare ad "imbrogliare" il server, in modo tale da farci restituire più di quello per il quale è stato costruito, potenzialmente il controllo di tutto il PC, oppure banalmente già solo quello che ha il server da offrire, se le sole informazioni sono quelle che stiamo cercando.
Nella prossima puntata scopriremo come è affettata Internet, e sul discorso porte ci ritorneremo, quando mostrerò come fare un port scan.
#comunque il film Home Alone è proprio la metafora perfetta dell'hacking#andiamo a rubare con Papero
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Dopo due mesi di convivenza l'opinione che avevo di Coinquilino, con cui sono amico da più di 3 anni, è andata alle ortiche.
Del resto che opinione si può avere di qualcuno che non è in grado di tener dietro a se stesso, tanto meno a una casa, e meno ancora riesce a considerare di non essere l'unico sotto questo tetto?
Non pulisce se non è obbligato. Non sa fisicamente fare una lavastoviglie. Lascia i vestiti per dei giorni in lavatrice tenendomela occupata. Mi segue per le stanze della casa come un anatroccolo con la mamma papera. Passa le giornate sul divano, tranne quando torno da lavoro, e improvvisamente ha bisogno di doccia, cucina e tutto, che potrebbe usare nelle 10 ore che sono fuori casa, e invece. Le rare volte che viene la mia ragazza, si trasferisce dal divano al letto, dove vegeta per ore, con la porta della camera - che confina con la mia e col bagno - rigorosamente aperta, in modo da toglierci per bene ogni privacy. Nei rarissimi casi in cui non lo trovi a letto o sul divano, per rintracciarlo puoi seguire le briciole come Pollicino. Lascia sempre tutte le porte aperte, così l'aria condizionata non conta a un cazzo e si muore costantemente di caldo. E visto che le nostre camere danno sul corridoio dove c'è il condizionatore, siamo obbligati a tenerle aperte di notte, e nel dubbio nonostante possegga cuffie cuffiette e airpods si spara video o telefonate a volume bello alto, così che lo possa sentire anche io. Che siano le 2 di notte o le 7 del mattino.
Da quando sono rincasato, un'ora e mezzo fa, ho scoperto che la roba nel frigo e nel freezer è da buttare perché sto idiota mica ci è arrivato che era saltata la corrente in cucina. Anzi. Mi ha scritto dicendomi che la luce del frigo non andava e avrebbe chiesto ai suoi quale tecnico richiamare per ripararla. Per la lucina del frigo. Un tecnico.
Ho una mezza linea di febbre post vaccino, volevo dormire un'oretta e sono obbligato a tenere la porta aperta per avere l'aria, e lui pensa giustamente di mettersi a fare allenamento. Dopo 10 giorni fermo. In quell'ora.
Ho solo del gran risentimento. È davvero stupido. E inetto. E la mia pazienza sta finendo.
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Vivere con dei coinquilini era per me una grande opportunità per socializzare e farmi dei nuovi amici intimi, dato che dovevamo condividere gli spazi, pranzi e cene.
Non so se ci fosse qualcosa che non andava in me o se a loro non interessasse minimamente fare amicizia, fatto sta che alla fine siamo stati solo degli sconosciuti che hanno condiviso un appartamento.
Sempre più capisco che sono poche le persone che, come me, tengono ad instaurare dei legami profondi e disinteressati.
Nessun segreto confidato ma tante parole al vento. Ricordo con poca gioia quegli anni passati in via Maestri del Lavoro, i miei 22-25 anni passati in quella stanza, in quel bagno sempre sporco, in quella cucina incrostata. Vero, perché purtroppo, dopo le prime settimane in cui tutti volentieri hanno dato una mano per mantenere la casa vivibile, nessuno si ricordava più di pulire, tranne me. Dovevo spolverare per gli altri ma pure cercare di essere carina e gentile con loro per evitare tragedie, dovevo ricordare a tutti i soldi per pagare le bollette, dovevo sopportare tutti i rumori molesti che provenivano dalle loro camere.
La sognata indipendenza diventata un incubo.
Ad oggi mi chiedo come abbia fatto ad essere sempre stata così paziente con loro, accettando sempre le loro scuse.
Dopo qualche mese non avevo più voglia di parlare con nessuno, mi veniva la nausea appena vedevo qualcuno che entrava in cucina quando c'ero io. Il mio unico scopo era diventato sopravvivere senza uccidere nessuno dei miei sei coinquilini.
Ad oggi non li sento più e non mi mancano. Non eravamo fatti per essere amici. Eravamo così diversi, così incompatibili. Penso di essere sempre stata sfigata con le relazioni ma l'ipotesi più probabile è che quella strana sia io. Tuttavia, mi piaccio così: quantomeno so mantenere pulita una casa e lavare dei piatti, cosa che loro, a quasi trenta anni, non sono ancora in grado di fare.
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AAA influssi positivi cercasi
c’è un quadrilocale a 10 minuti a piedi da dove vivo ora.
lo affittano vuoto (tranne un dannato lavello in ceramica in cucina mannaggia a loro).
ha due ripostigli e una cantina.
ha la vasca da bagno grande.
ha anche posto per le bici.
l’affitto è ragionevole. riscaldamento centralizzato ma con termovalvole.
io l’ho già visto e preso appuntamento per andare in agenzia e depositare la mia offerta (qualcuno mi spiega perché anche per affittare si parla di “offerta”? ^^’ le condizioni le detta il proprietario, non io!)
mandatemi influssi positivi, che anche se la zona non è quella che amo (sì ok, ma è in gentrificazione a manetta, non me la posso più permettere, devo far pace col cervello per sta cosa) e senza i miei negozi di riferimento, passerei da un 28mq a un 90mq.
ho bisogno di quello spazio. gattino ha bisogno di quello spazio (e la sua sorellina in pianificazione). e miseria ladra se il proprietario non mi vuole piangerò moltissimo.
#levateli sti lavelli in ceramica diocane#rompono solo i piatti e si macchiano abbestia#le vasche da bagno invece tenetele#grazingtable
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"Le otto e due minuti! Sei in ritardo!" Fu l'accoglienza di mio padre, mostrandomi platealmente il suo orologio. Poi, rivolto a mia madre: "Maria, tira fuori il minestrone dal frigo, che pure questa sera, tuo figlio se l'è guadagnato."
Questo significava giocare sporco. Avevo tardato soltanto due minuti. Due minuti non erano un cazzo di fronte all'eternità. Chi cazzo sarà mai stato quello che aveva inventato il minestrone? Bastardo di un sadico. Speravo con tutte le mie forze che stesse marcendo all'inferno da un pezzo. E che tutti i diavoli stessero facendo a gara a chi gli infilzava il culo con più forza. Se l'era meritato! Dovevo aver fatto una faccia davvero buffa, perché i miei scoppiarono a ridere come davanti ad un film di Stanlio ed Ollio. Mia madre mi passò accanto scompigliandomi i capelli, si diresse verso il forno, aprì lo sportello e ne fece uscire la più buona di tutte le magie: pollo arrosto e patatine. Quello si che era mangiare! Altro che quell'insulsa brodaglia! Lo sconforto mutò all'istante in incontenibile euforia. Cavolo, sembrava fosse Domenica! Abbracciai mia madre e le stampai un bel bacio con lo schiocco su una guancia, feci lo stesso con mio padre. Lui ne fu felice, lo so, anche se non lo avrebbe mai dimostrato. Era poco incline alle smancerie, infatti mi allontanò delicatamente dicendo: "Va bene, ho capito, sei felice. Però adesso vedi di farmi un favore, piccolo ruffiano: togliti dai coglioni, che mi impedisci di vedere la televisione. E fallo subito, altrimenti, nel minestrone, ti ci faccio il bagno."
Mi avventai sulla mia cena come un lupo digiuno da una vita e, in men che non si dica, il piatto era di nuovo pulito. Luccicava a tal punto che poteva benissimo essere di nuovo riposto nella dispensa senza passare per il lavandino. Una volta soddisfatto l'animale selvaggio che dimorava all'interno del mio stomaco, sollevai lo sguardo e lo feci andare per la cucina. C'era qualcosa che non andava. Qualcosa che prima, in balia della fame, non avevo notato, o che avevo ritenuto del tutto trascurabile. Mia sorella non era a tavola con noi.
"Dov'è Marina?" Chiesi
"Di là, in camera sua." Rispose secca, mia madre, lanciando un'occhiata di traverso a mio padre, che, da parte sua, non diede segni di vita. Rimase con lo sguardo incollato allo schermo e la forchetta a mezz'aria. Segno che gli interessava molto di più ciò che stava guardando.
"E non cena con noi?" Era un bel po' strano. Lei aveva perennemente fame. Non prendeva un chilo neanche ad ammazzarla, ma era vorace come un pesce gatto. Molto strano!
"Ha detto che non aveva fame." Rispose nuovamente mia madre, arrossendo all'istante.
"E' impossibile!" Qualcosa non quadrava. E non potevo restarne all'oscuro.
"Ha bisticciato con tuo padre e le è passata la fame."
"Se è così, allora la strapazzo tutte le sere. Con quello che si mangia, in un anno mi compro la macchina nuova!" Disse mio padre, senza distogliere gli occhi dalla tele.
"Piantala, Alfredo! Stasera hai davvero esagerato!" Ruggì mia madre. Finalmente aveva disseppellito l'ascia di guerra.
"Adesso non farmi incazzare pure tu, Maria! Che ancora mi deve passare quella di prima. Ero stato chiaro con lei, mi pare. L'avevo avvisata. Ma lei, no, lei vuole fare di testa sua. Si sente grande, allora si becca le conseguenze. In casa mia, fa quello che dico io. Giusto o sbagliato che sia. Quando sarà maggiorenne, potrà fare quello che le pare, ma, intendiamoci, fuori da qui. Fino ad allora: muta ed obbediente!" Bevve un bel bicchiere di vino rosso, tutto d'un fiato, si pulì la bocca col polsino della camicia e: "Perdio!" Aggiunse. Come a dire: capitolo chiuso! Capitolo chiuso un corno. Mia madre indossò l'armatura, salì a cavallo e partì alla carica, lancia in resta. E, cazzo, io ancora non avevo capito un bel niente! Una volta tanto che ne ero fuori, che il cazziatone e, forse, pure le sberle toccavano a mia sorella, avrei voluto godermi lo spettacolo, fin dall'inizio. Mi ero perso il primo tempo, peccato, me ne rimasi seduto in attesa di una sorta di riassunto delle puntate precedenti. Riassunto che non tardò ad arrivare.
"Complimenti! Devi essere proprio fiero del modo in cui ti esprimi! Lo punzecchiò mia madre, preparando l'assalto finale.
"Non ne sono fiero, né mi dispiace. Semplicemente me ne sbatto le palle. Mi hai conosciuto così e così sono rimasto. Non hai ricevuto brutte sorprese. E adesso, per favore, taci, che voglio ascoltare la tele."
"Taci? Mi hai detto di tacere? Certe volte sei più ridicolo che offensivo. Ti comporti come la caricatura di un dittatore. Fai questo, fai quello, parla solo quando sei interrogato, taci. Ma chi ti credi di essere? In questa casa hai rispetto soltanto per quello che dici tu. La tua parola è Vangelo. E noialtri inginocchiati ad obbedire agli ordini."
"Cazzo, ora che mi ci fai pensare, non la trovo una cattiva idea. Niente affatto cattiva!" rispose mio padre, che sembrò valutare davvero l'offerta.
"Bravo, continua pure. Se ti tolgono le parolacce e le bestemmie dal vocabolario, rimani con quattro parole contate. Sei tu che dovresti tacere, non io."
"Te lo ripeto per l'ultima volta: non farmi incazzare!"
"Altrimenti cosa fai? Mandi anche me in camera mia? Come hai fatto con Marina? Che, poi, tornando al discorso di prima, cosa ha combinato di tanto grave? Ti sei lanciato contro di lei come un cane rabbioso!"
"Le avrò detto almeno mille volte che non la voglio vedere insieme a quei vagabondi perdigiorno!"
Finalmente! Iniziavano ad uscire fuori i dettagli. Mi ero quasi stancato di aspettare. E, senza sapere di cosa stessero parlando, mi era difficile decidere da che parte stare, visto che non si trattava di me. Ora c'era da sapere chi fossero i vagabondi. Qualcosa si stava muovendo e la mia attenzione si stava risvegliando.
"Fammi capire bene," Disse mia madre con una voce da calma prima della tempesta, "Stavi tornando a casa dal lavoro ed hai visto Marina che parlava con Francesco, Alessandro e Fabio, il figlio del fattore del conte. L'hai vista parlare con loro sulla scalinata della cattedrale. E' così, vero? Avevo capito bene?"
"Precisamente!"
"E tu avresti fatto quella scenata da indemoniato solo per averla vista parlare?"
"Ridevano, anche!"
"Ah, ridevano! Ecco svelato il mistero! Certo, questo cambia tutto! Di, ma ti sei rincoglionito? Ti ascolti quando parli? Parlava e rideva...Tutto qui l'atroce misfatto?" Era offesa e furiosa. Ero sicuro che, se avesse potuto, e se fosse stata meno gentile, lo avrebbe volentieri preso a calci nel culo.
"Non era tanto quello che faceva, ma con chi lo faceva. Marina può parlare e ridere quanto vuole, ma non con quelli. Quelli non li deve neanche guardare. E' per il suo bene!" Mio padre, certe volte, era proprio uno stronzo. C'erano pochi dubbi.
"Quelli, come li chiami tu, sono figli e nipoti dei tuoi migliori amici, con i quali giochi a carte tutti i giorni e vai in cantina a sbronzarti. E ti sbronzavi con loro anche da giovane. Me lo ricordo bene. Ora vorresti salire sul pulpito e fare la predica agli altri? Te lo sei dimenticato cosa dicevano di te e della tua cricca?" Brava mamma, faccio il tifo per te, pensai.
"Che cazzo c'entra? I loro genitori sono a posto, onesti, simpatici e, non ultimo, dei gran lavoratori!"
"E Francesco, Alessandro e i loro amici, invece, come sarebbero?"
"Lasciamo perdere, che è meglio."
"Non lasciamo perdere affatto, caro mio! Con te, non si finisce mai un discorso. Si apre e si chiude a tuo piacimento. E io sono stufa! Ti ripeto la domanda: come sarebbero, secondo te, gli amici di tua figlia?" Conosceva la risposta, non era un'ingenua, o, peggio, una stupida. Sapeva benissimo come la pensasse quel retrogrado del marito, nonché mio padre, ma, evidentemente si era stancata, non gliela avrebbe fatta passare liscia. Non stavolta. Se lo sarebbe mangiato vivo. E quel “gli amici di tua figlia”, non era stato buttato lì a casaccio. Era una provocazione bella e buona.
"Degli scansafatiche e dei drogati! Ecco cosa sono! Ci tenevi tanto a sentirtelo dire? Bene, ti ho accontentata!" Urlò mio padre, sputacchiando un pochino.
"Ma bravo! Sei veramente bravo a sputare! Anche le sentenze! Sei il figlio legittimo di quella mentalità ottusa e paesana in cui sprofondi. Non sai un bel niente di loro, ma giudichi lo stesso. E trascuri che quei ragazzi lavorano tutti e tutti portano a casa la pagnotta. Tutti, tranne Francesco, che..."
"Che è un perdigiorno dichiarato! E drogato!" Soddisfatto della risposta, diede fuoco ad una delle sue pestilenziali nazionali senza filtro.
Mia madre non raccolse il guanto di sfida, non gli avrebbe permesso di buttarla in caciara. Proseguì del suo passo, lento, ma fermo: "Che fa l'università. Si è diplomato con il massimo dei voti e, con lo stesso profitto, sta proseguendo gli studi. sono sicura che riuscirà prestissimo a diventare un ingegnere navale."
"Bene! Ci sei cascata! E' bastato lasciarti parlare e ti sei messa in trappola con le tue stesse mani! Lo sapevo!" Esultò, raggiante, il vecchio.
"Ma che vai ululando? Sei già ubriaco prima di uscire?" Rispose mia madre, non aveva idea di dove volesse andare a parare.
"Lo hai appena detto tu, che vuole diventare ingegnere navale."
"Allora?"
"Andiamo, mi pare evidente. Ecco la prova che è un drogato. Abitiamo in collina, il mare più vicino è a quasi cento chilometri e lui cosa sceglie di fare? L'ingegnere navale! Solo uno stupido, o, appunto, un drogato poteva avere una simile idea!" Stavolta il vecchio non aveva tutti i torti. Come cazzo era venuto in mente, a Francesco, di studiare tanto per diventare cosa? Ingegnere navale! L'indomani mi sarei dovuto ricordare di chiederlo a Tonino.
"Se fai di questi ragionamenti, allora, mi sa che il drogato sei tu! La verità è che certi tuoi giudizi, anzi, meglio, certi tuoi pregiudizi hanno come unica fonte le bigotte chiacchiere di paese, cioè il nulla. Nessuna prova. Ti basta aprir bocca e sparlare, proprio come la maggior parte dei tuoi paesani."
"Beh, proprio nulla non direi."
"Su allora, dimmi che prove hai? Quali sono le prove che inchiodano quei ragazzi alla droga? I capelli lunghi? I vestiti che non ti piacciono? Il fatto che , senza mai far del male a nessuno, fanno quello che vogliono?"
"Certe volte, le prove non servono." Asserì con fermezza, mio padre.
"Non servono a te! Tanto li hai già condannati!"
"Ti ripeto, che non servono. Ricordi quando tutto il paese mormorava alle spalle di tua cugina Antonietta?"
"Certo che me lo ricordo..." Mormorò mia madre, abbassando lo sguardo e lanciandomi un'occhiata furtiva.
"Ricordi che tutti erano concordi nel dire che era cornuta e puttana? Nessuno fornì le prove, ma lo dicevano lo stesso. Come andò a finire?
Andò a finire che era la verità!" Concluse, soddisfatto, mio padre.
"Ma quali prove? Quale ragione? Ti risulta che fosse cornuta?"
"Cornuta no, ma puttana si! Perdio! Altro che andare a Roma a fare la cameriera, come diceva lei. Lo so io cosa andava a fare! Sul fatto dell'essere cornuta, però, è vero, si erano sbagliati. d'altra parte, suo marito, buon'anima, era brutto come la paralisi, chi altra avrebbe trovato il coraggio di andarci a letto? Solo lei. Ma, visto come stavano le cose, forse si faceva pagare!"
Mia madre ebbe uno scatto d'ira che spaventò anche me. Gli arrivò ad un palmo dal muso, furente, credo che avesse avuto una gran voglia di insultarlo. Ma, credo anche che, in quel momento le venissero in mente soltanto parolacce. E lei non diceva parolacce, così si limitò a ripetere: "Sei un...Sei un..." non riuscii mai a sapere cosa fosse, di preciso, mio padre. Non fu in grado di terminare la frase. Lui si alzò dalla sedia visibilmente soddisfatto e uscì di casa. Il caffè e la solita partita a tresette lo stavano aspettando.
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Sacrifice, Chapter 10
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Il tintinnio delle notifiche del suo cellulare lo svegliò dal sonno, aprì le palpebre e si accorse che la sera era appena calata, il suo braccio era attorno ad uno dei cuscini che aveva a capo del letto ed era avvolto da una coperta. Sicuramente sarà stata opera di sua madre. Sorrise al pensiero e si girò a pancia in su prendendo il suo cellulare da sopra il comodino.
Revengers, 34 messaggi
Natty 🍒
Sam, Steve sto cercando di studiare e voi due non mi aiutate...
Reve Stogers 🧢
Andiamo Sam, in quella foto sembri davvero un falco...
Capitano Barnes 🏀
Cosa è successo? Da quando Sam è diventato un falco?
Natty 🍒
Oh, ma buongiorno Bucky...🤦♀️
Reve Stogers 🧢
Da quando usa i tappeti giganti per poter fare un canestro..
Capitano Barnes 🏀
Povero, mi dispiace un sacco...dopotutto non tutti sono alti come noi,vero Steve?
Sam Falcon Wilson 🦅
Aspetta che arrivi domani Barnes e lo giuro diventerai l'ottavo nano di Biancaneve
Capitano Barnes 🏀
Con te, arriveremo a nove...non ti facevo così stupido tanto da non saper contare.
Natty🍒
Perché siete così cretini?🤦♀️
Rise leggermente all'affermazione di Natasha e vedendo che nessuno dei suoi amici continuava a mandare messaggi spense il telefono e si sistemò mettendo la schiena contro la spalliera del suo letto. Passò una mano sul viso e fece un respiro profondo chiudendo gli occhi. E subito la scena di poche ore prima si mostrò dinanzi a sé.
Poteva aspettarselo, dopotutto suo padre non è mai in casa e questo era uno dei rischi che poteva permettersi di correre. E l'ha fatto meravigliosamente. Non si era ancora alzato dal letto, si tolse solo le coperte di dosso e restò seduto lì ancora per due minuti, fin quando la porta di camera sua si aprì rivelando la figura di sua madre.
"Ehi...ti sei svegliato, ero convinta che fossi andato in coma farmacologico"disse sua madre sedendosi ai piedi del letto.
"Sai, svegliarsi ogni giorno alle 6:30 del mattino non giova molto al mio sonno"
"Lo so bene, ma non pensavo che dormissi così tanto"
"Avevo bisogno di spaziare un po' con la mente..."
"Problemi a scuola?"
"Nulla di cui ti dovresti preoccupare"disse lui rassicurando sua madre.
Anche se sua madre era la prima che si sarebbe dovuta preoccupare, ma non per il rendimento scolastico di suo figlio quanto per il suo matrimonio che stava per andare in fumo.
"Va bene...la cena è quasi pronta, ti aspetto giù insieme a Rebecca"
"Okay...papà è ancora nel suo ufficio?"chiese lui prima che sua madre uscisse dalla sua stanza.
"Si, sperando che esca per l'ora di cena"disse lei come risposta e chiudendo la porta.
"Sempre se non ha altro da fare..."disse lui appena la porta fu chiusa.
Si alzò definitivamente dal letto e si cambiò, si tolse i jeans e rimise il pantalone della tuta che lui usava come pigiama e la stessa cosa la fece con la maglia. Li mise piegati sulla sedia e aprì la porta di camera sua scendendo le scale, pronto per un'altra noiosa cena di famiglia.
In casa Maximoff, invece...
"Pietro! Quante volte ti ho detto che devi bussare invece di entrare in camera mia di soppiatto!"disse lei sistemando il suo mobile nel bagno in camera sua.
"Ho bussato, sei tu che sei sorda!"
"Oh ma grazie Pietro! Però io non ho sentito nessuno bussare"
"Ti volevo solo avvisare che la cena è pronta e la mamma ti vuole a tavola, devi almeno mangiare qualcosa se non vuoi che il dottor Strange ti richiami per l'ennesima volta..."
"Okay, ho afferrato il concetto. Dille che scendo fra 5 minuti"
Appena gli arrivò la riposta, il piccoletto di casa uscì dalla sua camera e lei poté finalmente uscire dal suo bagno. Aveva indosso solo una maglia vecchia e larghissima che le arrivava alle gambe. Era pronta per andare a letto ma, come sempre, i suoi piani sono stati rovinati.
Prese dal mobile a cassettoni un pantaloncino e se lo mise, si avvicinò poi alla sedia e prese da sopra di essa il suo zaino. Nella tasca piccola prese il caricatore del cellulare e lo mise in carica poggiandolo sul comodino al lato del letto.
Si diresse alla porta, spense la luce e la chiuse scendendo poi le scale.
"Pensavo non cenassi"disse sua madre.
"Beh, anche io...ma non voglio che il dottor Strange mi faccia la solita ramanzina"
"Non serve che ti riempi di cibo la sera prima di un controllo, solo per sperare che non ti dica nulla. Avresti dovuto mangiare prima e non c'era bisogno che te lo ricordassi io..."
"Mamma chi è la malata fra le due? Io o te?"disse lei tagliente e troppo stanca delle mille parole inutili della madre.
"Bene, constatando la tua risposta silenziosa allora ho ragione io"concluse lei
Da quel momento la cena proseguì in silenzio, tranne per il vociare della tv nel grande salotto di casa sua ma fu interrotto dalla voce di Clint che riuscì a rianimare la situazione.
"La professoressa Van Dyne non ti ha visto oggi. Mi ha riferito di dirtelo..."
"Da quando hai detto a tutti che sono tua figlia?"chiese lei mettendo l'ultima parola nelle virgolette.
"Sa che ti conosco, non ho mai detto niente a nessuno"
A quella affermazione lei alzò le sopracciglia un po' troppo dubbiosa ma decise comunque di rispondere.
"Non ho saltato la lezione perché ho voluto, ma è capitato e non è stata colpa mia..."
"E di chi?"
"Sharon Carter"
"Sharon? La fidanzata di Barnes? Il capo delle cheerleader?"chiese scioccato Clint.
"Ex...e si, è lei"
"Cosa è successo?"chiese sua madre dopo che avevano finito di discutere.
"Nulla di troppo eclatante...sai come funziona, no? Quando sei un po' sulle tue, tutti quelli che si credono di essere Dio ti additano come quella sbagliata oppure ti fanno fuori da subito. Mi ha solo detto alcune parole che io non sono riuscita a contraddire, mi hanno fatto male e sono scappata durante l'intervallo e sono stata fuori un'ora intera..."
"Poi come è andata a finire?"continuò a chiedere sua madre.
E lei si bloccò, non sapeva se dirgli o meno di James e di come l'ha salvata dal suo crollo momentaneo. Ma forse, dopotutto, l'aveva solo aiutata. Non c'era nulla di male nel dire loro che cosa era successo poi.
"James mi ha cercata e mi ha salvata, sono stata bene e..."non sapeva come concludere, sapendo che quello che aveva detto le era uscito dalla bocca di scatto.
"Oh, che gesto nobile da parte sua"disse Clint mentre sua madre era silenziosa ma sapeva di averla scioccata con la sua affermazione.
"Bene...io credo di aver finito, mangio una mela di sopra,okay?"disse lei mentre poggiava il suo piatto sporco sul lavandino della cucina.
La castana si allontanò andando verso le scale e subito sua madre rivolse uno sguardo a Clint.
"Cosa c'è?"chiese lui.
"Cosa intendeva con salvata?"
"Non so dirtelo, perché me lo chiedi?"
"Perché parlava di James con un leggero entusiamo..."
"Diciamo che stai esagerando, non ne ha parlato con leggero entusiasmo. Secondo me era solo felice di poter ricordare quel che è successo stamani"
"Mh..."disse sua madre alzandosi da tavola.
"Magda..."disse lui avvicinandosi a lei che era poggiata al marmo della cucina.
"...so che sei preoccupata per tua figlia, quello che ha è davvero brutto. Ma ti assicuro che è davvero brava, sa gestirsi da sola, non che non abbia più bisogno di te ma lei ha imparato a conviverci. Devi farlo pure tu"
"Vedi, posso sembrare forte quanto voglia ma tutti i miei sforzi sembra che servano solo per farla allontanare ancor di più da me..."
"Ma no, no, non è cosi! Lei lo apprezza e ti ringrazierà a vita per questo! Tu solo lasciala pensare di poter vivere, anche se solo per poco, la normale vita di una diciassettenne, okay? Non farlo per me, non farlo per te ma fallo per lei"disse lui e subito dopo l'avvolse in un caloroso abbraccio.
Chiuse la porta di camera sua e si appoggiò con le spalle facendo un respiro profondo. Non le piaceva discutere con sua madre e quando capitava non sapeva mai come risolvere la situazione. Perché sapeva che sarebbe stato difficile. Non smettere di esserle indifferente ma evitare che nascesse qualcos'altro che le vedeva litigare.
Lei lo sapeva, sapeva che tutto quello che sua madre faceva era per lei. Ma sua madre non si accorgeva delle reali esigenze di lei, una normale ragazza di diciassette anni che non ha voluto tutto questo.
Aprì gli occhi e si passò una mano su di essi, pensando che quel solo ed unico tocco potesse fermare il suo istinto di scoppiare a piangere. Cosi, da un momento all'altro, senza una reale motivazione. Anche se in fondo c'era.
Si sedette sulla sedia vicino alla scrivania, dove lentamente iniziò a mangiare la sua mela che aveva preso prima a cena. Una volta finita, buttò il restante nel cestino al di sotto della scrivania e si diresse in bagno. Accese la luce e aprì il rubinetto, si sciacquò la faccia e poi lavò i denti. Aprì il suo cassetto e prese la spazzola, si sciolse i capelli che erano raccolti in una coda disordinata e iniziò a pettinarsi facendo una treccia di lato. Rimise tutto apposto e uscì dal bagno spegnendo la luce. Prese il suo libro dalla sua mensola e lo poggiò sul letto, le mancavano poche pagine alla fine e poi avrebbe iniziato un'altro.
Prese il telecomando per regolare le luci attorno al suo letto e le spense definitivamente, accedendo solo la lampada da lettura sul suo comodino dove c'era ancora il suo telefono a caricare. Si mise sotto le coperte e iniziò a leggere quelle poche ed ultime pagine per poter arrivare alla fine. Ma fu proprio il suono della notifica del suo cellulare a distrarla.
Capitano Barnes 🏀
Ehi, ladra di libri non mi ha fatto sapere più nulla...come va,tutto okay?
Lesse per tre volte lo stesso messaggio e solo la quarta volta riuscì a sbloccare il telefono e aprire WhatsApp per poterlo rispondere.
"Respira Wanda, è solo un messaggio..."si disse da sola nella sua mente.
Wan🌸
Oh, scusa James...davvero mi si è tolto dalla testa.
Capitano Barnes 🏀
Tranquilla, ti chiedo scusa anch'io.
Ho dormito per tutto il pomeriggio e mi sono svegliato solo all'ora di cena...
Wan🌸
Direi che sei stato molto produttivo...
Capitano Barnes 🏀
Diciamo che gestire la mia vita è parecchio faticoso
Wan🌸
Beh, da grandi poteri derivano grandi responsabilità, giusto?
Capitano Barnes 🏀
Giustissimo.
Allora facciamo domani? Stessa ora, stesso posto?
Wan🌸
Quanto vorrei dirti di si..ma la mia giornata domani è piena. E mercoledì pomeriggio dovrei incontrarmi con Natasha.
Capitano Barnes 🏀
Beh, allora facciamo come la settimana scorsa di giovedì.
Wan🌸
Sei sicuro? Non farai tardi con gli allenamenti?
Capitano Barnes 🏀
Tranquilla, me la so gestire
Wan 🌸
Bene, allora mi fido di te...
Ci vediamo giovedì, allora?
Capitano Barnes 🏀
Fidati, non ti lascerò un minuto da sola.
Approvato giovedì, buonanotte Wan.
Wan🌸
Beh, grazie...notte anche a te James.
Non ti lascerò un minuto sola.
Furono queste le parole che la tennero sveglia per quasi due ore e che le giravano dentro la testa. E se fossero state le stesse parole che lui le avrebbe ripetuto allo sfinimento? Fino a convincerla che tutto sarebbe andato per il meglio?
Non riuscì a rispondere a questa domanda, già nelle braccia di Morfeo con due occhi azzurri che le infestavano i sogni.
#alternative universe#black widow#brock rumlow#captain america#falcon#james barnes#maria hill#marvel#natasha romanoff#pairing#writing#wanda maximoff#scarletwitch#steve rogers#sam wilson#the winter soldier#sharon carter#stevenat#romanogers#scarlet soldier#winterwitch
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a volte mi vorrei proprio fare male
mi immagino a terra quasi svenuto, con pochissime forze, in una pozza di sangue uscito dalle porcodio di vene che mi sono tagliato
si, me lo immagino, la lametta affilata appoggiata sul braccio e con velocità un bel taglio in verticale lungo tutto l'avambraccio
i miei genitori ignari di tutto, sempre al solito posto quindi mia madre al pc con i suoi pacchetti di Winston blu, mio padre che si addormenta sul tavolo della cucina, in ogni caso sempre divisi perché siamo tutto tranne che una famiglia unita (anzi in realtà non siamo niente.), e poi ci sono io in bagno chiuso a chiave, con la mia stufetta accesa e le vene tagliate, questo mi immagino
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LE ISTRUZIONI
Non è il caso di aspettare, mi dicevi. Ora, tutto e subito.
Perché non mi hai mostrato che scappare sarebbe stato bellissimo?
Dimmi, dove saremmo andati?
Gli ingressi non mi escono tanto bene, ho cercato di ricordare come fosse la casa dei nostri sogni. Senza ascensore, per allenare i polmoni.
Rovesciamo il bidone?
Ecco!
Ogni mattoncino si unirà all’altro, come due nobili amanti senza senso di colpa.
Non si staccheranno fino a quando non sarà qualcun altro a decidere.
Entreremo accolti da un grande poster vintage, di quelli che ti portano indietro nel tempo, quando tutto sembrava più semplice: le relazioni, il cibo persino il burro faceva bene.
Potremmo fermarci qui e ballare fra zuppiere bianche e bilance anni sessanta, pesare il nostro cuore e scoprire di avere lo stesso destino.
Abiteremo in alto, perché è meglio per spegnere le stelle, proprio quelle che ci hanno rotto con le loro storie di marinai e grandi carri pieni di niente.
Le istruzioni dicono di andare avanti.
Mi piace la cucina. Non servirà la televisione, credimi avvelena il cervello. Avremo così tante cose da dirci durante la cena. Imbratteremo i muri di farina, bruceremo torte, sbaglieremo ingredienti, ma nessuno potrà dirci che non ci abbiamo provato.
Non siamo cuochi perfetti.
Ci aiuteremo con una miriade di elettrodomestici, collezioneremo tazze da tutto il mondo e non avremo pace finché non sforneremo qualcosa che ricordi un’Apple Pie. Tu in cucina fai salti mortali, io invece sono un po’ impacciato. Però m’impegno. Credo di avertelo dimostrato.
D’estate accenderemo ventilatori, raffredderemo il caffè e di sera ci illumineremo con le candele. Anche da lontano potremo vederci.
“Vieni di là, sparecchieremo dopo!”
Il letto sceglilo tu. Anche il mobile per i vestiti.
Non mettere libri intorno a me. Non voglio che la lettura mi distragga dal tuo volto. Aspetterò che tu chiuda gli occhi per leggere.
Non difenderti. Commuoviti. E lasciati andare. Ma stai tranquilla…a pagina 3 le istruzioni prevedono un pacchetto di fazzoletti da usare quando disferemo l’Albero di Natale.
Non mi faccio trovare impreparato.
Una finestra di fronte a noi ci farà da oblò. Ogni giorno l’alba entrerà scorretta ed invadente. Le tende non serviranno: la luce è più forte del buio.
Ti piace qui? Vuoi anche uno specchio? Una lampadario? Magari di quelli pieni di cristalli, così da cambiare ogni volta le ombre sul muro.
Farò tutte le forme che vuoi. Sono bravissimo a muovermi fra il chiaro e lo scuro. Nessun Peter Pan verrà a chiedere il riscatto per l’ombra. Lo lasceremo fuori.
Polyanna usava i piccoli cristalli per riflettere la luce dell’arcobaleno sui muri. Sai che esiste una sindrome con il suo nome? È la tendenza a ricordare oggetti ed eventi piacevoli più accuratamente di quelli spiacevoli.
Ecco io di te ricordo solo cose belle. Ho la lista.
Le parole non servono più mi hai detto. Eppure io so fare solo questo. Creo mondi perfetti, dove siamo fottutamente felici, dove tua madre e tuo padre ci invitano a pranzo e il ricordo più bello che hai è la mia faccia da cazzo.
Le istruzioni dicono di voltare pagina.
Scegli pure i mattoncini che vuoi. Il blu, l’arancio o il bianco? Dai sfogo alla creatività. Non avere budget. Ogni sogno è previsto in questo gioco.
Dammi una piccolo armadio per i vestiti. Non innervosirti per le calze spaiate. Prepara le magliette da stirare e tira un sospiro di sollievo. Ci penserò io alla lavatrice, ho previsto un terrazzo gigante con vista mare e una cuccia per due cani. Ti può bastare?
Siamo solo a metà. Ma basterebbe questo non credi? Non voglio perdermi in questa casa.
Vorrei che i miei occhi fossero sempre vigili su di te. Pareti invisibili nasconderanno i miei giocattoli, i trucchi del mestiere e se vuoi anche un’ asse da stiro. Per il bagno, pensaci tu! Dammene uno con una finestra sul tramonto.
Ho tanti mattoncini quante ferite.
Ti disegnerò una mensola grandissima.
Lì ci abiteranno i tuoi ricordi: Pinocchio, la Maga Magò, Bambi.
Mi racconterai del tuo dolore, come abbiamo fatto la prima volta.
Ci accarezzeremo le cicatrici ed i brividi faranno tutto il resto. Niente profumi. Mi basta il tuo odore.
Espandi il nostro mondo, almeno fino al ristorante giapponese, ma non lasciarmi solo, non adesso!
Uno scalino per ogni promessa, un passamano per il fiato corto, un tavolino con le rotelle e un libro di Tamara de Lempicka.
Le istruzioni dicono di mettere una televisione grandissima. Che palle. Però ci tocca seguirle. L’amore si costruisce piano piano, ci vuole dedizione, intuizione nella scelta, un paracadute e una serie extra di fallimenti.
Sei andata ovunque tranne da me.
Ti ho aspettato sotto casa, ma non sei arrivata.
Guarderemo sempre gli stessi film fino alla nausea e ci addormenteremo sul più bello. In mezzo a centinaia di cuscini ci terremo la mano. Comodi. Fortunati. Felici.
Felici.
Le piante sul terrazzo faranno il loro corso. Aspetteremo la Primavera per vedere se riusciranno a rinascere.
Non stancarti subito… Cerca di conoscere la parte più ludica di me.
Scegli il personaggio che vuoi essere, ma non recitare a braccio: si vedrebbe che menti.
Di pure le bugie agli altri, ma tieni la testa al suo posto, svita il tuo corpo, aggiungi un sorriso di circostanza, butta gli occhiali, agganciati alla wireless di qualcuno, connettiti al mondo e perditi subito, magari scaricati un’applicazione per gli incontri proibiti, dicono che lì sia facile trovare pessimi esempi.
Io sono uno stronzo. Nel senso che piuttosto che la via facile, prendo quella più contorta, ma credimi la vista alla fine è qualcosa di superlativo. Dovresti saperlo.
Lo stendino portalo in giro per la casa, a seconda della posizione potrà diventare un tavolo o un umidificatore.
Lo so che vorresti un’asciugatrice per tenere al caldo le mutande straziate dai tuoi incontri, ma io preferisco uno specchio per ripetere “Dove sei?”
Ti darò un tetto come si deve, che suonerà con il rumore della pioggia. Avrai luce quanto quella di un deserto. E se avrai ancora fame…ritorneremo a mangiare il sushi.
Non abbiamo il coraggio di sentirci, ci attacchiamo a messaggi e a rancori. Eppure quelli non erano previsti nella scatola.
Ti ricordi quando ci siamo sentiti la prima volta?
Ti ricordi quando mi sono preoccupato dove passassi il Natale?
Hai ballato anche ieri sera? Chi c’era in fila alla porta?
A loro dirai le stesse cose che dicevi a me, ma non credere che non riuscirò a stupirti.
Dal passato farò arrivare colorati destrieri e mobili antichi, svuoterò i cassetti dai sogni per metterci lenzuola di emergenza. Ti porterò un vaso di Murano colorato e una nuova catena per la bicicletta. T’insegnerò come a guidare e a superare tutte le paure.
Ti darò la forza per tornare felice, ti mostrerò come gestire la rabbia e l’attesa.
E se poi andrai via io mi terrò L’Amore. E le sue istruzioni.
Il Portinaio
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Piccolo appunto, nota a margine scritta così un po’ en passant, con discrezione, tra un colpo di tosse e l’altro, nel vano tentativo di non squilibrare i miei chakra interiori.
Premetto che, considerati gli standard igienici e sociali dei parigini medi, la mia esperienza di coloc di questi ultimi mesi è sicuramente sopra la media nonostante tutte le varie ed eventuali su cui prima o poi scriverò un libro e diventerò ricca e famosa (o in alternativa mi interneranno)(o anche tutte e tre le cose), del tipo: la mia coinquilina che da 4 anni abita qui e in tutto questo lasso di tempo non le era mai balenato per la testa di comprare nuovi sacchetti dell’aspirapolvere e, piuttosto, era propensa, quella 0,5 volta ogni semestre che intendeva passarlo, a svuotare il sacchetto vecchio 4 anni, usurato e in procinto di esplodere con una manovra di fisting abominevole nel succitato e conseguente svuotamento di forme di vita aliene nel secchio della cucina e puntuale fungo atomico e conati di vomito della sottoscritta. Ma andiamo avanti e lasciamo cotanta poesia per il libro di antropologia francese con il quale mi farò internare.
Dicevo che, tutto sommato, non m’ha detto proprio male. Sì, sono entrambi un po’ strampalati, con abitudini lavorative casalinghe e alimentari ancora più strampalate, ma a me sotto sotto piacciono così. Lei, Marjolaine, è un manico di scopa con disturbi ossessivo compulsivi e ha accumulato almeno (almeno) una 50ina di bottiglie di vino rosso sul pavimento di camera sua (ma attenscion plis non si dice alcolista, si dice sommelier), sforna torte salate a tutte le ore e se ti azzardi ad avvicinarti al forno le viene una paresi facciale malcelata finché non torni a debita distanza dal suo elettrodomestico di adozione. Ha il naso aquilino, la risata più strampalata che io abbia mai sentito, e fa esercizi di plank nel corridoio davanti al bagno nel cuore della notte facendoti cappottare rovinosamente a terra o prendere un crepacuore alla vista di una sagoma al suolo rantolante. Tutto sommato, una brava coinquilina. Lui, Kévin, è un ballerino metrosexual che pare uscito da un remake venuto male di Fame, vegeta in vestiti di colori fluo accozzati in strati informi e improbabili e rammendati l’ultima volta negli anni Ottanta (anche i rammendi hanno rammendi) e si nutre in prevalenza di ortaggi andati a male, canta Kate Bush nella doccia e mette musica d’ambiente con strani suoni ultraterreni che farebbero gola a Giacobbo per qualche nuovo reportage sui poltergeist in Nuova Caledonia. Tutto sommato, un bravo coinquilino.
E poi ci sono io, un’emigrata italiana con comunissimi orari d’ufficio, che quando sta a casa passa, come tutti gli emigrati, una molesta quantità di tempo al telefono o a fare noto vocali per aggiornarsi con amici parenti moroso e compagnia, e che a weekend alterni si porta a casa il fidanzato comasco e passa le ore un po’ in giro per la città, un po’ chiusa in camera a scopare. Però poi offro il vino, condivido il cibo, il mio computer, sono l’unica che butta puntualmente la spazzatura (svuotando anche i sacchetti dei bagni!!!!! amici questa è la vera prova di coraggio), rifornisce la casa di carta igienica (non so come facessero prima e non lo voglio sapere), sono sempre sorridente e disponibile, discreta (tranne un paio di volte che io e Matteo eravamo convinti di essere a casa da soli), e sopporto di buon grado tutte le psicopatie e i dubbi standard igienici degli altri due. Insomma, tutto sommato, una brava coinquilina.
Ora, dicevo, un piccolo, minuscolo, marginale appunto, ho da fare qui al mio coinquilino (con il quale ho, come spiegavo, un buon rapporto, e ho finora sempre tollerato di buon grado tutte le sue idiosincrasie bio-vegan-etiche-mormoniane-crudiste da spassionata sostenitrice qual sono della sempreverde massima vivi e lascia vivere), quando con molta nonchalance, ieri, mi ha detto che: in casa non vuole che si faccia l’albero (finto) di natale, perché è contro il consumismo delle feste; che non vuole che si comprino candele (profumate o meno), perché è contro l’inquinamento dell’aria domestica (???); che non vuole che si portino né fiori né piante, perché è contro la sofferenza della vegetazione; che non vuole che si usino prodotti chimici per pulire la casa ma solo quintali di aceto bianco al quale sto lentamente soccombendo, perché è contro le sostanze tossiche.
Or dunque, posso dire, così, di buon cuore, con tutto il rispetto e la simpatia per le succitate categorie protette (mali del capitalismo, candele, piante grasse, aceto bianco e chi più ne ha più ne metta) che io tutto d’un tratto ho sentito come un profondo risveglio etico per il quale io in casa non voglio il mio coinquilino, perché sono contro le rotture di coglioni?
EH OH. E MO TE L’HO DETTO, TE L’HO.
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The one with the camping
Se l'organizzazione di quella vacanza fosse spettata a Ermal, di certo in quel momento non si sarebbero ritrovati lì. Ermal avrebbe scelto un hotel carino con vista sul mare, o un bed & breakfast in campagna, magari qualcosa con poche pretese ma che avesse comunque tutti i comfort. Invece, per una volta, se n'era occupato Fabrizio di organizzare le vacanze. E il risultato era che ora si trovavano in un campeggio, senza nessuna comodità e con una tenda che ci avevano messo ore a montare e che erano riusciti a far rimanere in piedi solo grazie al provvidenziale aiuto di una coppia di inglesi, che avevano piazzato la tenda proprio accanto a loro. "Almeno alla fine ci siamo riusciti!" esclamò Fabrizio guardando la loro tenda orgoglioso. "Solo perché io parlo inglese e ho chiesto aiuto ai nostri vicini" sbottò Ermal. Poi abbassò leggermente lo sguardo, notando uno spiccato rossore sul suo busto, e aggiunse: "Fantastico! Mi sono anche ustionato. Era proprio quello che volevo." Fabrizio abbassò lo sguardo dispiaciuto. In fondo, quella vacanza l'aveva scelta lui ed era ovvio che si sentisse vagamente in colpa per le disavventure che erano capitate in appena qualche ora. Buttò un'occhiata al display del cellulare, rendendosi conto che ormai era quasi ora di cena, e nel tentativo di farsi perdonare disse: "Ti va se cucino qualcosa?" Ermal abbozzò un sorriso. Fabrizio era bravo in cucina e se proprio doveva trovare un modo per farsi perdonare, quello era sicuramente uno dei migliori e a cui Ermal proprio non poteva resistere. Annuì, mentre Fabrizio accendeva il fornello, e prese dalla busta del spesa - fatta appena prima di andar in campeggio - l'occorrente per cucinare un semplice piatto di pasta, rendendosi conto solo in quell'istante della mancanza di una cosa fondamentale. "Bizio, ma il sale dov'è?" Fabrizio sollevò lo sguardo e aggrottò la fronte. "Ma come dov'è? Dovevi prenderlo tu." "No, avevi detto che ti saresti occupato tu di tutta la spesa." "Tranne del sale, che hai detto che avresti portato tu perché a casa ne avevi un pacco ancora intero" rispose Fabrizio. "Ma quando tu mi hai detto che ti saresti occupato della spesa, credevo avresti preso anche il sale! Va beh, lasciamo perdere. Il punto ora è che siamo senza sale e non possiamo salare l'acqua della pasta" sbuffò Ermal. Fabrizio si trattenne dallo sbuffare e recuperò un bottiglia di plastica vuota. "Ci penso io." Poi senza dire altro, si incamminò verso la spiaggia. Non era la fine del mondo. Se non avevano il sale, si sarebbero accontentati dell'acqua del mare. Era pur sempre acqua salata. Certo era che Fabrizio non si aspettava che la vacanza iniziasse in quel modo. L'unica cosa che voleva era passare qualche giorno in totale tranquillità insieme al suo fidanzato, e invece erano lì da poche ore e sembrava già la vacanza più brutta della loro vita. Non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Aveva organizzato tutto lui e spettava a lui rendere piacevole quella vacanza, eppure sembrava che nulla di ciò che aveva pensato andasse bene. Era consapevole che Ermal avrebbe preferito un altro tipo di vacanza, magari più tranquilla, più confortevole, ma aveva pensato che qualche giorno in un campeggio sarebbe stato più intimo e rilassante. Insomma, lui ci aveva messo tutte le sue buone intenzioni e a quanto pareva aveva comunque fallito. Sperava solo di poter rimediare. Di certo, non si sarebbe arreso. Era ancora determinato a rendere quella vacanza la migliore che avessero mai fatto.
"Mi dispiace." Ermal sollevò lo sguardo verso Fabrizio, bloccando lo schermo del cellulare e abbandonandolo accanto a lui. "Per cosa?" gli chiese rivolgendogli la sua completa attenzione. "Un po' per tutto. Per il campeggio, per la tenda che non ero nemmeno in grado di montare, per il sale. E soprattutto per quella" disse Fabrizio indicando il busto di Ermal, che aveva assunto un colore vagamente simile a quello di un pomodoro. Ermal si strinse nelle spalle. "È solo una scottatura, non ti preoccupare." Certo, non poteva dire di essere particolarmente felice di quella vacanza, ma tutto sommato non poteva lamentarsi. Lui e Fabrizio avevano davvero poco tempo per stare insieme, e riuscire a concedersi qualche giorno di pace era davvero una rarità. Pur di stare con lui, avrebbe potuto sopportare tutto il resto. "Però, magari, posso fare qualcosa per farti stare meglio" disse Fabrizio, afferrando il flacone di doposole dallo zaino. Ermal sorrise riconoscente e si sdraiò sul materassino, aspettando che Fabrizio si prendesse cura di lui. Non appena sentì la lozione fredda scontrarsi con la sua pelle bollente, rabbrividì e un sospiro di sollievo scivolò via dalle sue labbra. Fabrizio gli massaggiò lentamente la pelle - cercando di non fare pressione per non creargli troppo fastidio - iniziando dalle spalle, proseguendo sul resto della schiena e poi facendolo voltare e ripetendo la stessa operazione sul petto. "Va meglio?" chiese Fabrizio massaggiandogli lentamente un pettorale. Ermal annuì tenendo gli occhi chiusi, ormai completamente abbandonato al contatto. "Sì, grazie. Decisamente meglio." Fabrizio continuò a scorrere le mani sulla pelle di Ermal per qualche minuto, fino a fare in modo che la crema si asciugasse completamente, e poi disse: "Sai, ho notato una cosa..." "Cosa?" "Che, a quanto pare, questa roba può essere usata anche come lubrificante." Ermal spalancò gli occhi, fissando Fabrizio che stava leggendo l'etichetta sul flacone. Era esausto e in realtà avrebbe solo voluto dormire. Ma Fabrizio era lì, di fronte a lui, a chiedergli indirettamente di fare l'amore ed Ermal non aveva le forze di dirgli di no. "Sai una cosa? Non l'ho mai fatto in una tenda, sarebbe ora di provare." Fabrizio sorrise. Nemmeno lui l'aveva mai fatto in una tenda e non c'era nessun altro con cui avrebbe voluto fare quell'esperienza. Si chinò su Ermal baciandolo sulle labbra, mentre continuava a far scorrere lentamente le mani sul suo corpo, fino ad arrivare al bordo del costume da bagno che indossava. Infilò una mano al suo interno, toccando lentamente il membro del compagno non ancora del tutto eretto. Ermal sospirò sentendo la mano di Fabrizio, ancora leggermente unta di doposole, accarezzarlo e sollevò leggermente il bacino invitandolo a spogliarlo del tutto. Fabrizio non attese un attimo di più. Spogliò Ermal e pochi attimi dopo fece sparire anche il suo costume. Appena riprese a toccarlo, Ermal dovette tapparsi la bocca con una mano per trattenere un gemito. Fabrizio sorrise soddisfatto. Si chinò su di lui e gli sussurrò all'orecchio: "Non ti trattenere." "Potrebbero sentirci" mormorò Ermal. "Come se fossimo gli unici, in questo campeggio, che scopano nella tenda" disse Fabrizio afferrando la boccetta di doposole e facendosene colare un po' sulle dita. Ermal lo fissò rapito, senza perdersi nemmeno un movimento e cercando di non venire semplicemente guardando l'espressione di Fabrizio che si stava penetrando con due dita, preparandosi da solo. Rimase a fissare l'espressione di godimento sul suo volto, gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta mentre muoveva le dita nella sua fessura. "È meglio del lubrificante che usiamo di solito, sai?" disse Fabrizio, tra un gemito e l'altro. Ermal afferrò il flacone - abbandonato da Fabrizio sul materassino qualche minuto prima - e si versò un po' di lozione sulla mano. "Ah, sì? Vediamo" disse un attimo prima di cospargere la sua erezione con il doposole. "Cazzo, Ermal. Tu non hai idea dell'effetto che mi fai quando ti tocchi" rispose Fabrizio, osservandolo con gli occhi lucidi di eccitazione. "E tu non hai idea dell'effetto che mi fa quando ti prepari per me, quindi siamo pari" rispose Ermal. Poi spinse Fabrizio a sdraiarsi e rotolò su di lui, sistemandosi tra le sue gambe, e senza aspettare un attimo di più lo penetrò con un'unica spinta. Fabrizio trattenne il fiato per un attimo, piacevolmente sorpreso da quella leggera irruenza che prendeva il sopravvento in Ermal in alcuni momenti, mentre il più giovane sospirò chiudendo gli occhi, mentre sentiva il calore del compagno avvolgerlo totalmente. Fabrizio gli circondò la vita con le gambe, facendogli capire che poteva muoversi, ed Ermal iniziò ad affondare in lui. Ad ogni affondo, Ermal cercava di trattenere un gemito, anche se non era facile trattenersi quando aveva Fabrizio sotto di lui, attorno a lui, che sospirava e gemeva oscenamente a ogni spinta. Ormai completamente assuefatto dal piacere, Fabrizio fece scivolare una mano tra le proprie gambe e iniziò a masturbarsi velocemente, mentre Ermal aumentava il ritmo delle spinte. Gli bastò sentire il più giovane venire dentro di lui, qualche minuto dopo, per svuotarsi completamente nella sua mano e sul petto gemendo il suo nome. Ermal si accasciò al suo fianco, trattenendo un lamento quando la sua schiena ustionata si scontrò con il materassino. Cercò di riprendere fiato e poi si voltò verso Fabrizio, non potendo evitare di sorridere. Il più grande aveva gli occhi chiusi, la bocca leggermente aperta e una mano sul petto, quasi come se in quel modo potesse controllare il respiro. "Tutto bene?" chiese Ermal. "Benissimo. Credo di non avere nemmeno la forza di infilarmi un paio di boxer. Mi addormenterò così e basta" rispose Fabrizio esausto. Ermal scoppiò a ridere, consapevole che probabilmente sarebbe davvero andata a finire così. Probabilmente entrambi si sarebbero addormentati in meno di un minuto, senza avere nemmeno la forza di infilarsi qualcosa addosso.
Ciò che nessuno dei due aveva considerato, era quanto fosse scomodo fare sesso su un materassino mezzo sgonfio e in una tenda che stava in piedi per miracolo. La mattina seguente, avevano entrambi la schiena a pezzi e non avevano chiuso occhio per colpa della scomodità di quell'assurdo materassino. "Credo di non aver mai avuto così tanto mal di schiena" disse Ermal mentre si avviavano lentamente verso la spiaggia. Non aveva nemmeno la forza di camminare e sperava solo che la sabbia risultasse più comoda del materasso su cui aveva dormito. "Almeno a te fa male solo la schiena" borbottò Fabrizio. Non era sua intenzione lamentarsi, in realtà. La sera precedente era stato lui a insistere per fare l'amore, quindi se c'era qualcuno con cui doveva prendersela per il suo fondoschiena indolenzito, poteva prendersela solo con sé stesso. Ermal si voltò verso di lui cercando di nascondere un ghigno malizioso. "Vorrei dirti che mi dispiace, ma non sono davvero dispiaciuto." "Oh, lo so bene! Ti sei dato da fare, questa notte. Sembrava che non mi scopassi da mesi!" "Volevo solo sfogarmi un po' dopo la pessima giornata che mi hai fatto passare" rispose Ermal stringendosi nelle spalle. Fabrizio scosse la testa. "Prima o poi mi vendicherò, e non so se ti piacerà." E se Ermal avesse negato di aver sentito un piacevole brivido di aspettativa lungo la spina dorsale, sicuramente avrebbe mentito. Anzi, doveva ammettere che sperava che prima o poi Fabrizio decidesse di vendicarsi. A lui, di certo, non sarebbe dispiaciuto. Quando arrivarono in spiaggia, qualche minuto dopo, c'erano non più di dieci persone sdraiate sotto i propri ombrelloni e letteralmente nessuno in acqua, fatta eccezione per un bambino che stava giocando con la sabbia umida del bagnasciuga e che urlava ogni volta che veniva colpito da un'onda. Forse quello avrebbe dovuto essere un segnale abbastanza chiaro di quanto fosse fredda l'acqua, quel giorno. Un segnale che ovviamente loro non colsero, visto che pochi attimi dopo Ermal si tuffò in acqua senza nemmeno assicurarsi prima della temperatura, per poi esordire con un: "Merda, è freddissima!" Fabrizio, ancora a riva e con l'acqua che gli sfiorava appena il polpaccio, scoppiò a ridere e disse: "Non hai più il fisico, stai invecchiando." Ermal gli lanciò uno sguardo di sfida, prima di tuffarsi di nuovo e dimostrargli che riusciva ad adeguarsi anche alla temperatura gelida dell'acqua. Fabrizio rise di nuovo - come faceva ogni volta che Ermal si comportava da ragazzino in quel modo - e si addentrò lentamente in mare, cercando di raggiungerlo senza pensare troppo a quanto fosse effettivamente fredda l'acqua in quel momento. "Visto? Ora sto bene, il freddo e passato!" disse Ermal, raggiungendo Fabrizio in un punto in cui l'acqua arrivava a entrambi appena più su della vita. "Non si direbbe" rispose Fabrizio sogghignando. Ermal seguì la traiettoria del suo sguardo, rendendosi conto solo in quel momento che la temperatura eccessivamente bassa dell'acqua gli aveva fatto inturgidire i capezzoli più del normale. "Sai, mi stavo domandando come reagiresti se io ora te li stuzzicassi. Proprio qui, dove tutti potrebbero vederti e sentirti" mormorò Fabrizio avvicinandosi di più. "Ma tu hai proprio la fissa del farti sentire, eh!" esclamò Ermal, incrociando le braccia al letto e fingendosi indignato. In realtà, stava solo immaginando come sarebbe stato, come si sarebbe sentito se solo Fabrizio lo avesse fatto davvero. Fabrizio si strinse nelle spalle con noncuranza. "No, è che già normalmente sono molto sensibili. Chissà ora..." Poi scostò con delicatezza le braccia di Ermal e prese a sfiorargli lentamente il petto, soffermandosi prima su un capezzolo e poi sull'altro. Ermal sospirò godendosi il contatto per qualche secondo, poi si allontanò di scatto e uscì dall'acqua tenendo le mani giunte davanti a sé, nel vago tentativo di nascondere un principio di erezione. Fabrizio sorrise. Da quel che sembrava, il freddo non aveva fatto diventare turgidi solo i suoi capezzoli. Ed era felice di constatare che su determinate parti di lui, avesse avuto un effetto ben diverso da quello che si sarebbe aspettato.
Ermal sbuffò per l'ennesima volta, mentre cercava di sistemarsi quel groviglio assurdo che erano ormai diventati i suoi capelli. La sabbia, l'acqua salata del mare, quella delle docce del campeggio - che sembrava sempre essere più viscida del normale - avevano contribuito a rendere i suoi capelli impresentabili. E ovviamente, aver dimenticato a casa il suo shampoo ed essere stato costretto a usare quello di Fabrizio non aiutava la situazione. "Io lascerei perdere, al tuo posto. Stai solo peggiorando la situazione, ormai sembrano un nido di uccelli!" commentò Fabrizio all'ennesimo sbuffo scocciato del compagno. Ermal gli lanciò un'occhiataccia e rispose: "L'unico nido di uccelli che conosco è il tuo culo." Fabrizio gli rivolse uno sguardo vagamente offeso. Non era la battuta in sé il problema, quanto il fatto che fossero lì da poco più di ventiquattro ore ed Ermal non avesse fatto altro che lamentarsi per ogni cosa. Si sentiva già in colpa abbastanza senza che Ermal gli gettasse addosso tutta la sua frustrazione. "Ah, sì? Perfetto. Sappi che il mio culo te lo puoi anche scordare" replicò Fabrizio, prima di afferrare il cellulare e allontanarsi di qualche metro. Ermal rimase immobile, rendendosi finalmente conto di quanto fosse stato intrattabile da quando erano partiti e di quanto questo avesse influito sullo stato d'animo del compagno. Lo osservò parlare al telefono - probabilmente con i suoi figli, visto che era improvvisamente più rilassato - e capì quanto fosse stato difficile per Fabrizio sopportare i suoi sbalzi d'umore senza sbottare, soprattutto quando aveva fatto davvero di tutto per cercare di organizzare una vacanza con il solo scopo di poter passare un po' di tempo insieme. Quando il più grande tornò nella loro tenda - meno teso di prima, ma non ancora del tutto rilassato - Ermal si avvicinò a lui, cercando di stringerlo in un goffo abbraccio. "Mi dispiace. Sono davvero insopportabile in questi giorni." Fabrizio sorrise, felice che quanto meno Ermal si fosse reso conto del suo atteggiamento. Si abbandonò completamente tra le sue braccia e rispose: "Non importa. Cioè, ovviamente preferirei non passare il resto della vacanza a litigare come abbiamo fatto fino a adesso, però non preoccuparti. È tutto ok." "Lo so che è tutto ok, ma vorrei comunque farmi perdonare" disse Ermal, accarezzandogli lentamente la nuca e poi abbassandosi fino a posargli le labbra sul collo. Fabrizio sospirò sentendo le labbra di Ermal sulla sua pelle e si arrese del tutto. Se Ermal voleva farsi perdonare, lui di certo non glielo avrebbe impedito. Si lasciò cadere sul materassino - soffocando un lamento quando i suoi muscoli doloranti toccarono poco delicatamente la superficie - trascinandosi Ermal addosso e lasciando che continuasse a baciarlo e a toccarlo come solo lui sapeva fare. Si ritrovò in pochi secondi, quasi senza accorgersene, completamente nudo e con Ermal seduto sul suo bacino che impugnava la sua erezione, facendo scorrere lentamente la mano su e giù. Fabrizio sospirò. "Cazzo, mi farai morire." "In realtà, pensavo a un'altra cosa. Il verbo è simile, stessa desinenza. Significato diverso, però" lo prese in giro Ermal. "Vaffanculo" mormorò Fabrizio, ma con l'ombra di un sorriso sulle labbra. Ermal lo ignorò e iniziò a muovere la mano più velocemente, mentre con l'altra aveva iniziato a toccarsi distrattamente attraverso il tessuto dei boxer. Se avesse saputo che la giornata sarebbe proseguita in quel modo, non avrebbe indossato nemmeno quelli dopo la doccia. Pochi attimi dopo, sotto lo sguardo attento di Fabrizio, Ermal si sfilò anche l'unico indumento che indossava, liberano finalmente anche la sua erezione. Pulsava dolorosamente e l'impulso di toccarsi fino a venire, proprio lì e in quel preciso istante, era fortissimo ma Ermal aveva altri piani quindi cercò di trattenersi e di concentrarsi solo su Fabrizio. Si abbassò su di lui, baciandogli la pelle sensibile dell'interno coscia, fino ad arrivare alla sua erezione e poi, senza aspettare un secondo di troppo, la prese completamente in bocca. Fabrizio annaspò sorpreso, spostando lo sguardo verso il basso e mettendo una mano tra i ricci del compagno, guidando i suoi movimenti. Iniziava a pensare che non si sarebbe mai abituato alla sensazione provocata dalla bocca di Ermal attorno a lui. Nonostante ormai si frequentassero da tempo, era sempre come se fosse la prima volta. Ma ovviamente non era così. Non era la prima volta ed Ermal sapeva bene fino a che punto spingersi senza rischiare che il divertimento finisse troppo presto, quindi si rese conto facilmente che Fabrizio - dopo appena un paio di minuti - era già al limite. Si staccò da lui sorridendo soddisfatto e disse: "Non ne puoi già più?" "Stai zitto" replicò Fabrizio, prima di afferrare Ermal per la nuca e attirarlo a sé per un bacio che di casto non aveva nulla. "Ieri mi hai distrutto" disse Fabrizio appena si separarono abbastanza da poter parlare. Ermal sorrise di nuovo. "Lo so. È per questo che ora tu non farai niente e io mi prenderò cura di te." Giusto il tempo di finire la frase, ed Ermal aveva già afferrato la mano di Fabrizio, portandosi due dita alle labbra e succhiandole avidamente. "Niente doposole? Lubrificante?" chiese Fabrizio completamente ipnotizzato dai movimenti di Ermal. Il più giovane scosse la testa e poi, allontanando la mano di Fabrizio dalla sua bozza, disse: "Preparami così." Fabrizio non se lo fece ripetere. Portò le due dita bagnate di saliva verso la fessura di Ermal, prima massaggiandola lentamente e poi facendole scivolare al suo interno, sforbiciando più volte per poter rendere più sopportabile la penetrazione. Ermal ansimò appena Fabrizio sfiorò la sua prostata e, ormai troppo eccitato per attendere oltre, iniziò a lamentarsi di volere di più. Fabrizio ebbe appena il tempo di spostare la mano, che Ermal già si era sistemato sul suo bacino. "Hai detto che sei distrutto, quindi tu stai fermo. Faccio tutto io" si giustificò Ermal, abbassandosi sull'erezione del compagno e accogliendola dentro di sé con facilità. Fabrizio gemette affossandosi ancora di più nel materassino, sentendo immediatamente tutti i muscoli tirare. Probabilmente, appena tornato a casa, sarebbe finito nella spazzatura quell'affare che ormai era diventato un oggetto di tortura più che un materassino. Strinse i fianchi di Ermal, un po' per aiutarlo nei movimenti e un po' per mantenere un minimo di contatto con la realtà. Ogni volta che facevano l'amore in quel modo - con Ermal che stava sopra di lui e si muoveva tenendo i palmi delle mani piantati sul suo petto - Fabrizio si sentiva risucchiato completamente in una bolla in cui non esisteva altro se non Ermal e il piacere che gli faceva provare. Ermal si mosse sopra di lui, facendo leva sulle ginocchia e poi riabbassandosi, gemendo oscenamente ogni volta che la sua prostata veniva sfiorata, mentre Fabrizio sotto di lui continuava ad ansimare e lanciare urletti tutt'altro che virili. I muscoli gli facevano male, e purtroppo non solo a causa del sesso della sera precedente, ma non avrebbe permesso a Ermal di fermarsi per nessun motivo. Vederlo muoversi su di lui, con la testa reclinata, il pomo d'Adamo esposto e un'espressione di puro godimento stampata in faccia, era una delle cose più erotiche che Fabrizio avesse mai visto e non avrebbe interrotto tutto sul più bello solo perché aveva dormito su un materasso scomodo e aveva la sensazione di essere stato preso a bastonate sulla schiena. Avvolse la mano attorno alla sua erezione, che ormai sembrava sul punto di scoppiare, e iniziò a masturbarlo mentre Ermal continuava a muoversi su di lui. Bastarono poche carezze affinché Ermal arrivasse davvero al punto di non ritorno, venendo nella mano e sul petto di Fabrizio, macchiandolo con il suo rilascio. Vedere Ermal venire su di lui, fu più che sufficiente a far raggiungere l'orgasmo anche a Fabrizio, che si svuotò completamente dentro il compagno. Senza minimamente preoccuparsi del fatto che fossero entrambi sporchi e sudati, Ermal si accasciò su Fabrizio, respirando affannosamente contro il suo collo. Il più grande di lasciò scappare un lamento sentendo il peso di Ermal gravargli addosso, e il compagno scivolò immediatamente al suo fianco. "Scusa. Non pensavo fossi così tanto distrutto" scherzò Ermal. "Non pavoneggiarti, non è solo colpa tua. È pure sto materassino del cazzo..." Ermal scoppiò a ridere, divertito dal fatto che quel campeggio non avesse lati negativi solo per lui. Si era sentito quasi a disagio per aver trovato così tante cose che non sopportava in quella vacanza, ma sapere che qualche lato negativo c'era anche per Fabrizio lo faceva sentire meglio. E poi, tutto sommato, c'erano anche delle cose positive. Il fatto che fossero sdraiati l'uno accanto all'altro dopo aver fatto l'amore, lo dimostrava. "Bizio?" "Mh" mugugnò semplicemente Fabrizio, come per far capire a Ermal che lo stava ascoltando anche se aveva gli occhi chiusi. "Mi sa che il campeggio inizia a piacermi."
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