#ti ho voluto bene
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Nino
Nel palazzo dove ho abitato per tanti anni c’era un coinquilino che aveva lavorato per anni anche in ospedale come una sorta di factotum. Spesso anche mia madre si faceva aiutare da lui per riparare tubi, lavandini, lavatrice.
Mi faceva ridere sempre con quel suo umorismo sarcastico e un po’ burbero. Aveva sempre la battuta pronta e la sigaretta in mano.
Aveva due figli, due gemelli, più giovani di me di un anno. Andrea era costretto su una sedia a rotelle e ogni tanto lo portavo in giro per il quartiere. Il fratello Gianluca invece è stato uno dei miei primi amici più stretti.
Nino portava sempre Andrea in giro per centri di riabilitazione ma non è mai riuscito ad alzarsi da quella sedia. Il padre è sempre stato con lui, una presenza costante e sicura. Ho sempre pensato che anche a causa del dolore per la disabilità del figlio lui fosse così sarcastico e pungente nella sua ironia.
Una volta mi ricordo che era venuto a sistemare la lavatrice che non scaricava bene l’acqua. Aveva trovato, dopo diverse imprecazioni e qualche bestemmia, la causa del problema: una moneta da 50 lire finita nel filtro lasciata nella tasca di chissà quale indumento.
Un’altra volta ci aveva sistemato una tapparella e quando l’ho incontrato la sera per chiedergli come era andata mi aveva risposto: «Gliel’ho rimollate tre quattro madonne, ma pare che ora vada», oppure mi vedeva tornare a casa a ora di cena e mi diceva: «Sei tornato eh? Inizia a formicolarti il pancino, vero?» sempre col suo sorriso beffardo.
Ironico e generoso, sempre pronto a salire da noi appena mia madre diceva di avere un problema domestico.
Nino se n’è andato il 14 febbraio, il giorno di San Valentino. Leggendo il suo necrologio mi accorgo che aveva 83 anni ormai. L’ultima volta che l’ho visto stava caricando in auto il figlio Andrea. Era magro ma quella volta mi era parso ancora più magro.
Mi chiedo che ne sarà del figlio adesso che lui non c’è più. Il primo pensiero è stato quello: chi porterà il figlio in questi centri di riabilitazione.
Dopo questo però mi è venuto un altro pensiero, è un altro pezzo della mia vita che se ne va, un altro pezzo di quella che è stata la mia giovinezza tra infanzia e adolescenza.
Improvvisamente mi rendo conto del tempo che è passato e mi sento malinconico.
#Nino#fai buon viaggio#che la terra ti sia lieve#sei stato un buon amico#ti ho voluto bene#un pezzo di me
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Un minuto di silenzio per il difficile momento che sto attraversando: sono stato costretto a usare per l'abbonamento dell'autobus soldi che avrei potuto invece usare per colazioni, merende, pranzi fuori, libri, biglietti del cinema, droghe o qualsiasi altra cosa molto più divertente.
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“…sono molto diretto, specie su Twitter. Quando mi espongo è perché so già che posso fare qualcosa di concreto, nel mio piccolo, per aiutare nei fatti. Come nei temi ecologici,per esempio, o per dare forza nel sostegno ai diritti civili. Stando vicino alle donne”
#buona vita#buonavita#marcomengoni#mengoni#voglio#atlantico#marco mengoni#duemilavolte#hola#le cose che non ho#mengonilive#materia pelle#materia#non me ne accorgo#tutti i miei ricordi#re matto#non passerai#no stress#duemila volte#duevite#due vite#parole in circolo#sai che#calci e pugni#pronto a correre#credimi ancora#ti ho voluto bene veramente#in un giorno qualunque#esc2023#materia terra
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Non esiste un luogo dove non mi torni in mente.
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It is time to listen to Miele and sob uncontrollably.
#DOVE TU MI HAI VOLUTO BENE#DOVE IO TI HO VOLUTO BENE#beablabbers#gdkckskcnslcna#having all the complicated mediterranean feelings
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ERA UNA FAMIGLIA NORMALE DI GRAN LAVORATORI
E tutte le volte mi viene da dire 'E allora pensa se era una famiglia strana di gente che non aveva voglia di fare un cazzo'... ma poi correggo i miei pensieri ingiusti e mi risovviene quella frase di Bocca con cui commentava la visita a un'operosa cittadina del Nord Italia:
«Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste»
E penso a quelle migliaia di persone giovani, di cui ogni tanto qualcuna 'normale' sbrocca e fa una strage in famiglia, senza saper dare un perché che accontenti una società normale di gran lavoratori.
'I genitori gli hanno dato tutto e loro li hanno uccisi!'
Da genitore posso dire che già è difficile fare qualcosa di giusto per i propri figli, figuriamoci dar loro TUTTO... o forse si riferiscono ai bisogni basilari - casa, cibo, riscaldamento, soldi - moltiplicati all'eccesso per poi poter dire 'Non gli ho fatto mancare nulla!'
E no... se ti ritrovi la parte sbagliata di un coltello nel fegato e all'altra estremità c'è quello a cui non hai mai fatto mancare nulla, forse due domandine te le dovevi fare per tempo e non ora che ti si annebbia la vista per lo shock da ipovolemia emorragica.
A distanza di decine di anni ricordo ancora le parole di un docente che davanti a noi studenti disse ai suoi colleghi 'Ok il programma che deve andare avanti ma tutte le volte che ci voltiamo per non ascoltare i loro bisogni è un calcio in culo con cui li facciamo crescere soli e rabbiosi'.
Fu in quel momento che decisi quale tipo di adulto sarei voluto diventare.
E ora sono una persona abbastanza vecchia, le mie figlie sono grandi e se non mi hanno accoltellato prima non credo che oramai lo faranno adesso, sono dolente per la solitudine a cui molti sono condannati pur seduti al caldo con molti parenti davanti a una tavola imbandita e vorrei fare qualcosa di più che non incazzarmi per la furba tendenziosità dei titoli di giornale con cui ci si chiede 'Ma cosa gli sarà preso a quel figlio? Cosa sarà passato in mente a quella figlia?'
Nulla.
E a volte è proprio il nulla che ti divora da dentro.
.
.
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Vi penso... e per quanto possa valere, vi voglio bene.
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Pensi mi vada bene una situazione del genere? Mi dico che dovrei lasciarti perdere, dovrei provare a dimenticarti. Chiudere tutti i ricordi in un cassetto e non aprirlo più, nemmeno per sbaglio, nemmeno in quelle notti troppo piene di nostalgia. Ma come si fa a dimenticare? Mi è rimasto l'affetto, capisci? Ed è un grosso problema. Per me, ovviamente. Perché tu sei andato avanti, hai voltato pagina, o almeno è questa l'impressione che vuoi darmi. Non siamo tutti uguali. Uno dei due soffrirà di più, tratterrà di più, metterà per primo il bene dell'altro, anche quando quest'ultimo non ci sarà più. Sai cosa mi fa più male? Il fatto che non ci parleremo più. Troppo spesso un addio significa anche questo. Tanto, troppo silenzio, con l'unica persona a cui vorresti raccontare tutto. Ti ho sempre voluto bene. Avevi un universo dentro di te che mi ha fatto innamorare. Parlare con te voleva dire sentirsi capiti dopo tanto tempo. Ora che è tutto finito, ora che questo dolore è diventato reale, concreto, posso dire che mi manca ciò che ho lasciato indietro. Con questo non voglio dire che non sarò più felice senza di te. Mi aspetto altro. So per certo che sarà diverso, e che tra le varie sfumature io ti cercherò sempre ma non ti troverò.
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Cara Audrey,
Di tanto in tanto avrei voluto scriverti una lettera ma sapevo che per te capire le mie parole era una cosa impossibile. Tu eri piu' interessata ai gesti, ti lasciavi guidare dall'istinto, sapevi regalare compagnia e affetto, questo sapevi fare e lo facevi meravigliosamente bene. Era bello tenerti tra le braccia, stringere il tuo corpo morbido e profumato. Era bello uscire insieme, camminarti accanto e vedere tanta gente che ti guardava e faceva mille apprezzamenti. Per me sei stata come un'aliena venuta da un altro mondo per regalare attimi continui di grande felicita'. Ricordo come adesso quella prima volta che ti ho vista sulla porta di casa. Mi hai guardato con quei due occhioni neri meta' spaesati e meta' sorridenti, con quel musetto piccolo, tutta scodinzolante come solo chi e' riconoscente sa fare. Sei entrata, hai girato tutte le stanze e poi ti sei sdraiata su un tappeto, un modo originale per dire: "questa sara' casa mia, qui staro' bene". Spero che in tutti questi anni per te sia stato proprio cosi. Da parte mia posso solo dirti grazie per tutto cio' che hai saputo regalarmi. Grazie per tutte le volte che sei stata la mia ombra, per tutto l'amore che m'hai regalato stando in silenzio. Le parole tra noi non sono mai state necessarie, importanti, i gesti invece si, quelli erano importanti. Quel musetto posato sulla mia coscia, quella lingua sempre fuori a leccarmi la mano, quelle continue giravolte per dirmi che avevi bisogno di coccole o di qualche ghiottoneria che ti rendesse felice. Siamo stati amici, complici, sei stata una che m'ha fatto capire tante cose, mi hai regalato la consapevolezza di amare chi sa dare tanto senza chiedere niente in cambio. Adesso te ne sei andata sul ponte dell'arcobaleno, forse perche' avevi capito che quello che hai regalato non verra' dimenticato. Ecco, oggi quella lettera te la posso scrivere. Posso scriverla per dirti grazie di tutto, cagnolina mia.
@ilpianistasultetto
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Oggi mi sono sentita implodere il mondo dentro, ho avuto la certezza di non avere più un posto nel mondo. Quando anche le persone più vicine, più care, si comportano in modo omertoso e ti mentono, che speranza ci può essere nel mondo, nelle persone esterne, in tutto quello che può succederti. Le persone a cui ho voluto più bene mi hanno e mi stanno svuotando di tutto, con i loro comportamenti mi hanno insegnato a non avere fiducia in me e di conseguenza nemmeno negli altri. E ora sono solo in balia di pensieri che vorrebbero vedermi andare lontano da tutto e da tutti e vivere in tutt'altra parte del mondo e dimenticare tutto quello che mi fa male o il non esistere proprio più.
-laragazzadagliocchitristi
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Dopo aver postato i miei addii alla chihuahua Minù e al gatto Alvin, scomparsi davvero troppo presto e a distanza di trentasei ore tra di loro, ho potuto constatare quanto la presunzione di superiorità dell'essere umano sia di quanto più lontano dall'essere davvero umani.
Semmai disumani.
Per molti lo strazio che alcuni esseri umani provano per la scomparsa di un animale domestico è una deriva.
Una preoccupante deriva, dove si pongono sullo stesso piano i nostri amici a quattro zampe con la vita di un altro essere umano.
Non credo che una persona psicologicamente equilibrata voglia mai paragonare la perdita di un cane o di un gatto con quella di un genitore, di un amico o un altro parente.
Ma resta sempre un dolore comunque, che può essere molto profondo se per la persona colpita dal lutto, l'animale, era tutta la sua famiglia. Nessun altro.
Un vuoto resta un vuoto.
A prescindere da tutto questo mio preambolo, per esperienza personale, posso dire che il vedere morire un essere umano e vedere morire un animale che ha condiviso la sua vita con te ha dei punti in comune.
Lo sguardo. Ti cercano come per avere la conferma che non saranno soli, in quel momento, che qualcuno a cui hanno voluto bene sia lì con loro.
Ho visto morire mio padre, mi ha guardato e poi con un sorriso ha guardato in alto ed è spirato.
La mattina che Alvin è morto ero uscito per un appuntamento di lavoro, dovevo portarlo al mio rientro dal veterinario eppure prima di uscire, mentre mi ero chinato su di lui per confortarlo, mi ha guardato e con la zampa mi tratteneva il braccio. Usando gli artigli.
Ho interpretato dopo, quando rientrando di corsa l'ho trovato riverso a terra, che probabilmente mi stava chiedendo di non andarmene. Di restare lì con lui.
Ho letto un post recente dove un veterinario affermava che 9 su 10 i proprietari di cani o gatti non vogliono assistere al trapasso dell'animale.
Che questi prima di essere sedati per il trapasso cercano con lo sguardo colui, o colei, per cui è valsa la pena vivere scodinzolando o facendo le fusa.
Molti credono che gli animali non abbiano un'anima, eppure animale è una parola che viene dal latino "animalis" che vuol dire "animato" o qualcosa che crea la vita. Affine al greco "anemos" (vento, soffio) e al sanscrito "atman", di uguale significato.
Anche mio padre cercò qualcuno e c'ero solo io. Altri erano usciti dalla stanza. Qualcuno addirittura se n'era andato, con una scusa.
Eppure l'essenza della riconoscenza verso un'anima sta proprio nello stargli vicino, quando quell'anima lascerà il suo corpo terreno.
Non si dovrebbe privare nessuno di questo riconoscimento, a meno che la morte non giunga inaspettata e all'improvviso sia chiaro.
Nel corso della propria esistenza le persone hanno svariati interessi e priorità. Ma per gli animali, quello che noi definiamo il loro padrone, è la cosa più importante di tutto. Di tutti.
Lo sguardo degli umani, durante l'esistenza, cambia a seconda dei sentimenti. Che sia amore o rabbia, a volte anche odio.
Ma nel momento in cui una persona capisce che è giunta la sua ora cerca il perdono, oppure di perdonare.
Un cane o un gatto non si devono far perdonare nulla da chi li ha amati. Ti guarderanno con lo stesso sguardo del primo giorno che li avrete visti. Con amore incondizionato.
Perché nell'attimo in cui se ne vanno, inizia il ricordo e l'amore si consolida nel cuore. Per alcuni umani invece rimane anche una parte di rabbia e di cose incompiute.
E nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce
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a volte mi sono chiesto se ho fatto bene a decidere come ho deciso con te o se avrei dovuto insistere, se è stato giusto andare via e basta senza guardarmi mai indietro, però poi penso che per quanto io ci abbia tenuto a te e per quanto per tanti versi avrei voluto andasse diversamente fra noi, insieme non stavamo bene e qualsiasi altro tentativo sarebbe stato come prolungare una lenta agonia, quindi no, ti ho voluta davvero ma tornassi indietro non cambierei quello che è successo e non importa se dopo è successo altro che forse sia da parte mia che da parte tua ha un po’ sminuito tutto quello che siamo stati, in fondo qualcosa di vero c’è stato in tutta quella confusione e comunque sia andata stare insieme mi è servito a capire che tipo di persona non voglio essere
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I miei genitori hanno lasciato tutto per andare al nord e avere una vita migliore. Io sono nat* più al nord del nord italia, perché loro volevano che io vivessi meglio di come avevano vissuto loro. E ho avuto una vita e opportunità migliori delle loro. I miei genitori hanno represso il loro accento per tutta la mia vita perché non volevano che io lo assimilassi nemmeno per sbaglio. Perché Dio perdoni se un’accento del sud si fosse sentito in giro. Ad una cena recentemente qualcuno ha detto a mio padre che non era più della sua regione, perché aveva lasciato tutto per una vita migliore, perché l’aveva fatto per me. Quindi oggi, per colpa di uno stato che non avrebbe mai potuto concedergli la vita che abbiamo oggi, noi non siamo più nulla. Pure io, se posso concedermelo, non so che sono. Perché non sarò mai abbastanza per le persone qua, ma nemmeno abbastanza per i miei parenti giù. Perché volere una vita migliore in italia spesso può significare lasciare tutto, girare le spalle alla terra che ami, perché i miei genitori amano la loro regione (guai a chi prova ad insinuare altro), vivere con appunto questo rimorso, questa costante mezza soddisfazione. Perché hai guadagnato, ma hai anche perso. E niente non so dove questo discorso voleva andare a parare, ho perso il filo. Però volevo solo scrivere qualcosa a proposito del fatto di dover lasciare tutto e andare al nord per avere un lavoro decente (e successivamente essere dipinto pure come ingrato se ti lamenti). Non so, questo fatto mi rende triste, volevo dirlo a qualcuno. Buona serata xx
Anon dico "ti capisco" perché l'infanzia l'ho passata in nord italia e l'adolescenza al centro, so bene di cosa stai parlando, solo in età adulta sono tornata a casa. Ringrazio comunque che i miei non siano stati così "rigidi", cioè ovviamente volevano parlassi italiano, ma non hanno mai represso il loro accento o dialetto, e infatti il mio accento è sempre stato percepito come meridionale, in qualunque regione andassi (tranne quella da cui provengo, per loro un periodo ero diventata milanese, un altro romana). Ovvio, mi sono beccata tutte le conseguenze che dici, prese in giro e compagnia, quindi comprendo perché i tuoi l'abbiano fatto, anche se mi mette una tristezza addosso allucinante.
Per la questione "non vengo accettat- manco dagli altri meridionali" comprendo uguale, o meglio, comprendevo. Mi ci è voluto un po' per riadattarmi, ma ti assicuro che non mi rompono più le scatole per questa cosa, anche perché tbh di gente che si trasferisce per necessità al nord ne è pieno, ed è abbastanza ipocrita prendersela con chi se ne va, quando purtroppo è una cosa che facciamo in molti.
I miei 2 cent sulla questione, giusto per concludere:
Quasi tutti quelli che si trasferiscono, che si tratti di migrazione interna o addirittura IMMIGRAZIONE, lo fanno perché obbligati. Non tutti ovvio, ma se a tutti fossero date le stesse possibilità, sarebbero pochi gli spostamenti, punto. Non è manco una questione "lu sudde è più bello, lu sole, lu mare, lu core, voi c'avete solo la nebbia", nono, è semplicemente APPARTENENZA. Forse un giorno, quando il nord s'impoverirà, e i settentrionali capiranno cosa cazzo vuol dire abbandonare la propria casa per spostarsi altrove (addirittura spostarti in un posto dove TI ODIANO), il dolore che si prova nel farlo, magari quel giorno ci daranno tregua. E pensa, noi ci sentiamo così e non proviamo nemmeno 1/3 del dolore di chi viene da altre nazioni o continenti.
Ai meridionali che invece se la prendono con altri meridionali perché se ne sono andati dico: smettetela. Prendetevela piuttosto con un paese che ci obbliga ad abbandonare le nostre case e radici perché fa comodo un sud impoverito e il nord pieno della forza lavoro meridionale.
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Ciao Kon, non so bene perché sto scrivendo a te questa cosa ma so che sei un medico e sembra che ami il tuo lavoro.
Studio medicina, sto finendo il primo anno e mi trovo in un brutto periodo da un paio di mesi ormai. Mi sono immatricolata in ritardo (fine primo semestre) e di conseguenza ho cercato di recuperare il più possibile ma ho iniziato fin da subito a stare male, avere sempre ansia e un’angoscia infinita. Gli esami vanno bene, ma io continuo a stare male. Medicina è quello che ho sempre voluto fare, anche se tutti mi hanno sempre messo in guardia sulla difficoltà di questo percorso e la “scarsa salute mentale” di cui spesso godono le persone che scelgono questa strada. Ho paura che sia sempre peggio, che il primo anno sia solo un assaggio di quello che sarà poi. Ho un’altra laurea alle spalle e un po’ di esperienza in un lavoro che non mi piace del tutto, e c’è questo pensiero che si ingigantisce sempre di più: mollare medicina, mollare quello che mi sta facendo stare male e dedicarmi a quest’altro lavoro che sì, non mi piace al 100%, ma forse mi permetterebbe di condurre una vita più tranquilla e con meno ansie. Il dubbio quindi è: continuare a provare a fare quello che ho sempre sognato di fare pur stando male, oppure rassegnarsi e ripiegare su altro pur dovendo convivere con la frustrazione e il rimpianto/rimorso di aver archiviato per sempre il sogno nel cassetto?
Che brutta cosa i sogni nel cassetto e sai perché?
Credi di averceli messi tu ma in realtà ci sono stati messi da un'altra persona, una persona che è morta innumerevoli volte e tutte le volte è rinata diversa, con un nuovo modo di guardare alla vita.
Io volevo fare l'entomologo, poi l'insegnante, dopo il ninja e infine il cecchino e invece mi trovo a fare una cosa che non avrei mai sognato.
C'era un sogno più valido di altri? Ogni sogno è stato valido finché è stato sognato nel lì e nell'allora ma il qui e ora non ne ha bisogno perché i sogni proiettati nel futuro guidano contromano e si schiantano contro la persona diversa che saremo.
Vuoi un consiglio per fare una scelta?
Ma non ne hai bisogno... tu la scelta giusta l'hai già fatta, perché quella sbagliata è la scelta che non farai.
L'attimo che decidi non è un salto nel vuoto di un destino fumoso che ti attende ma la porzione di quel cammino che in quel momento era adatto al tuo piede e al tuo passo.
Ti sembrano farraginose frasi motivazionali?
Ma la vita non è sacrificio e lotta... questo tipo di narrazione dannunziana è portata avanti da burattinai che ti vendono scarpe scadenti e poi ti costringono a danzare alla loro musica per fartele consumare.
Io provo pietà per la sofferenza dell'eroe che corona il sogno di una vita e mi chiedo sempre cos'abbia dovuto dimostrare e a chi.
La sofferenza avverte che non è il momento del cambiamento e quindi adesso ti chiedo:
Dov'è la persona che aveva sognato di diventare una dottoressa?
Quanti cucchiai hai a disposizione per vivere il resto della tua vita?
Alla fine, qual è il nome della persona a cui devi tutto ciò?
Un abbraccio e se vuoi chiacchierare in differita (e per differita intendo audiopipponi infiniti) mi puoi trovare su telegram come kon_igi
<3
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Oggi il mio direttore mi ha scritto su Teams se il mio onboarding sta andando bene e se ho problemi. Avrei voluto sfilargli tutta la corona di lamentele: mi stanno insegnando tutto troppo lentamente, sembra che disturbo e rompo le palle alla mia tutor ogni volta che le chiedo qualcosa perché pare sembra indaffaratissima e io stessa ho paura di disturbare, etc etc... ma a che pro? Quindi via con il "va tutto bene grazie". Alla fine è solo una settimana che sono qua quindi pretendere che mi sia insegnato tutto forse è pure pretenzioso.
Poi oggi ho dovuto rispondere alla prima telefonata perché la mia tutor ha (giustamente) detto che se non le prendo mai, mai imparerò. Il povero cliente ogni volta che gli chiedevo di ripetere, mi parlava sempre più lento, scandendo bene le parole ma io gli volevo dire:"amo io il tuo giapponese lo capisco benissimo, è che proprio non so di cosa tu stia parlando e cosa ti devo rispondere"... però vabbè alla fine con qualche risata di troppo, è andata.
Qua sta facendo un caldo assolutamente inumano in questi giorni e un altro diritto che vedo tolto ai lavoratori è il diritto di non andare in ufficio quando devi uscire di casa alle 7 e fanno già 32°C. Sto sistema ci vuole proprio morti.
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Tanti anni fa ho incontrato una rapa. Parlava come parlano le rape, era buffa e pragmatica, ché le rape sono ancorate alla terra e non si perdono mai in chiacchiere filosofiche. Mi faceva ridere ed era gentile e mi ci sono molto affezionato.
Come ogni rapa, aveva un lungo ciuffo giocoso e ti faceva immaginare un sottosuolo morbido e felice. Ma era una rapa. Era una radice, silenziosa e spiccia. Ben presto me ne accorsi. All’inizio ne soffrivo molto perché avrei voluto che non mi respingesse, che la gioia del suo ciuffo non fosse per me un inganno, ma la promessa della profondità. La perdonai, e in fondo non c’era nulla da perdonare: la rapa era semplicemente una rapa. Faceva la rapa. Non poteva non essere una rapa.
Passarono gli anni, imparai ad amare la sua forma semplice, il suo gusto dolciastro e mai dolce del tutto. Distante quanto basta, dimenticai che era una rapa. Come succede quando non guardi da vicino, riempii di fantasia lo spazio che ci separava. Era la mia rapa, una rapa immaginaria, che mi voleva bene, anche se a modo suo.
Un giorno la rapa mi respinse ancora. Senza una ragione precisa. Non stavo provando a sradicarla, non scavavo, non le giravo intorno ormai da molto tempo. Mi fu chiaro che quello spazio che io avevo riempito di fantasia, anche lei lo aveva riempito di qualcosa. Forse le mie antiche richieste, la mia pretesa che il suo ciuffo rappresentasse più di un entusiasta saluto alla vita e significasse altro, l’avevano segnata. Era fragile, e in quel passato lontano si era sentita inadeguata. Forse sulla sua pellicina c’era una cicatrice.
Mi dispiacque molto, di averla messa a disagio e della solitudine che provavo. Finalmente capii che non potevo tirare e tirare ancora finché non avesse cavato un po’ di succo, nella speranza che il suo rosso di superficie le corrispondesse e mi corrispondesse nel profondo.
Finalmente capii che volevo dolcezza piena, perché il dolciastro non mi bastava. Avevo tutta la forza per seguire radici profonde e intricate, capaci di nutrire tronchi robusti e fronde che risuonano al vento. Avevo bisogno di radici desiderose di essere trovate, come le mie.
Finalmente capii che le rape non mi piacciono.
#ninoelesirene#pensieri#frasi#persone#riflessioni#sentimenti#letteraturabreve#emozioni#amore#aforismi#rapa
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