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Ammettiamo pure che tutti i nuovi manuali di filosofia siano impegnati in una subdola battaglia di indottrinamento ideologico a favore del materialismo (illuminista o addirittura dialettico), per cui tendono per esempio a dare molto spazio a Democrito a spese di Platone. Bene. Ma cosa c’entra questo con la scuola tout court? Sa Gramellini in quanti e quali istituti di istruzione secondaria superiore si studia la filosofia? Tra le altre cose, se fosse vero quello che egli dice, i ragazzi degli istituti tecnici, per esempio, dovrebbero considerarsi fortunati di non essere esposti alla propaganda ideologica materialista, e infatti li vediamo tutti con i dialoghi platonici e Il piccolo Principe in mano. L’argomentazione è così debole che fa nascere il sospetto della pretestuosità. In realtà Gramellini, in linea con altri editoriali del suo giornale, dà il proprio contributo maldestro a tenere accesa la fiamma dell’ostilità nei confronti della scuola pubblica, cui vengono addossate colpe di ogni tipo, tra cui quella di ambire ad allevare covate di fanatici illuministi o, peggio ancora, marxisti.
Dall'articolo "I libri fantasma di Gramellini" di Marco Trainito
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EDI.PO. SKILLS
Cosa succede quando un libro non si compone di sole parole? pt. 1
Finora abbiamo detto che noi di Edi-po siamo dei tecnici editoriali, che curiamo la resa estetica di un testo anche nel suo formato digitale —; ma che cosa intendiamo per “resa estetica di un testo”? Vi sono dei casi più particolari in cui un testo non si presenta in maniera lineare, classica come la conosciamo tutti, ma in una maniera più “barocca”. Queste non sono solo delle scelte stilistiche volute dalla casa editrice — ed ogni casa editrice ha dei tratti iconici: ad esempio l’Einaudi che rovescia l’accentatura delle ‘ì’ e delle ‘ù’ rendendole con ‘í’ e ‘ú’, o l’Adelphi col suo Garamond o ancora Il Saggiatore che rimuove il rientro della prima riga dopo una spaziatura tra un paragrafo ed un altro; ma gli esempi possono essere molti altri —. Spesso si tratta di necessità testuali in base all’argomento trattato (ad esempio formule matematiche, grafici, tabelle ecc) o scelte stilistiche volute dall’autore stesso, basti pensare agli avanguardisti e la loro rottura dello stile classico o autori-filosofi come Derrida che strutturava l’intero testo di Glas seguendo un’architettura particolare e non lineare. O ancora l’utilizzo di alfabeti differenti come il greco, il cirillico, il sanscrito, o con punteggiatura caratteristica come lo spagnolo o il tedesco e questo solo per citarne alcuni. In tutti questi casi non si tratta, dunque, di un semplice blocco di testo, ma si tratta di intervenire sulla sua struttura.
Abbiamo pensato, dunque, di creare una serie di post nei quali riportiamo, attraverso l’ausilio di screenshot, esempi dei testi che abbiamo trattato nel corso degli anni. Sono libri cartacei — alcuni acquistati in mercatini dell’usato o in qualche libreria, alcuni presi in prestito nelle biblioteche, altri ricevuti in regalo — che volevamo avere comodamente nei nostri PC e smartphone, creandoci un archivio personale consultabile facilmente e rapidamente: sono stati dunque scannerizzati, ocrizzati ed infine “trattati” esteticamente.
Screenshot 1
Remo Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel Esempi di formule matematiche (dalla struttura dinamica, cioè cambiano grandezza a seconda che il testo venga ingrandito o rimpicciolito) contenute all’interno del testo.
Screenshot 2
Giorgio Agamben, La potenza del pensiero. Saggi e conferenze. Esempio di immagine.
Screenshot 3
Luciano Parinetto, Faust e Marx. Metafore alchemiche e critica dell’economia politica. Esempio di immagine.
Screenshot 4
Luciano Parinetto, Faust e Marx. Metafore alchemiche e critica dell’economia politica. Esempio di immagine.
Screenshot 5
Pasquale Salvucci, L’uomo di Kant. Esempio di crenatura, ovvero di testo spazieggiato. Non ci si è limitati ad aggiungere spazi tra le lettere, c o m e a d e s e m p i o c o s ì, altrimenti il testo andrebbe a capo li dove la parola toccherebbe il margine dello schermo.
Screenshot 6
Richard Broxton Onians, Le origini del pensiero europeo. Un fascio di esempi di greco politonico.
Screenshot 7
Jacques Lacan, La cosa freudiana e altri scritti. Resa dell’immagine all’interno del testo.
Screenshot 8
Georges Bataille, L’esperienza interiore.
Screenshot 9
Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale. Ancora qualche piccolo esempio di espressioni matematiche all'interno del testo.
Screenshot 10
Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della Storia mondiale. Particolare dalla Tavola delle epoche.
Tutto questo lavoro è stato fatto con degli Asus i3 con quattro gigabyte di ram, fascia economica medio-bassa; loro, poverini, hanno fatto e continuano a fare quel che possono.
#edi-po#skills#tecnici editoriali#crowdfunding#editoria popolare#raccolta fondi#iniziative#edit#edi-po skills#libri#epub#ebook#graphic design#books#gofundme#mutual aid#fundrising#donations#donation post#fundraiser
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NON SIAMO TUTTI DALLA STESSA PARTE La morte sul lavoro di un ragazzo è una di quelle notizie che colpiscono al cuore. Molti ne hanno parlato, anche influencer di un certo peso, di quelli molto bravi a scrivere post che sanno ben dosare rabbia e commozione. Parlarne è cruciale. Parlarne è necessario. Mettere al centro del dibattito questo tema è doveroso. Ma il contenuto di alcune reazioni a caldo, rimbalzate nell'internet a suon di condivisioni, mi ha lasciato una sensazione sgradevole che in un primo momento non sapevo neanche definire. C'era qualcosa di sbagliato in certi editoriali perfettamente confezionati per ottenere approvazione universale. All'inizio non riuscivo a mettere a fuoco l'elemento stonato. Poi ho capito. In apparenza siamo tutti d'accordo. Nessuno nega che la sicurezza sul lavoro sia un problema grave. Non puoi dirlo di fronte a 1404 morti nel 2021. Non puoi dirlo quando muore un ragazzo. Occorre fare qualcosa, dicono. Non si può continuare così, dicono. Anche l'esponente politico meno sensibile alla questione, di fronte a una precisa domanda in conferenza stampa, annuisce con studiata solennità e ti dice che la sicurezza sul lavoro è un tema della massima importanza, che bisogna fare qualcosa e che bisogna farlo subito. I più tecnici dicono che bisogna assicurare la presenza dei dispositivi di protezione individuale, monitorare il funzionamento degli impianti, oliare gli ingranaggi, acquistare macchinari di ultima generazione. Tutte cose giuste. Tutte cose incontrovertibili. Ma manca qualcosa di essenziale. L'ho capito quando ho notato che alcuni hanno scritto qualcosa del genere: "Lasciamo fuori il discorso dell'alternanza scuola lavoro. Non c'entra nulla. Il problema qui è la sicurezza sul lavoro". Di sfruttamento non parlano. Non vogliono mai affrontare questo argomento, altrimenti ti giochi le condivisioni del progressista moderatissimo. Il vero tema, dicono, è la sicurezza sul lavoro. E invece no. Tutte le questioni sociali sono legate a questa materia. Perché se lasci fuori dal perimetro del tuo ragionamento contratti, precarietà, turni, mansioni ripetitive che danneggiano l'apparato muscolo scheletrico, logoramento psicofisico che toglie lucidità quando si usa un dispositivo che richiede la massima attenzione, non stai parlando veramente di sicurezza sul lavoro. Se non capisci che i precari (a cominciare dai ragazzi che svolgono mansioni a titolo gratuito invece di andare a scuola, nella speranza di ottenere un posto) non hanno realmente la possibilità di ribellarsi quando vedono rischi per la loro incolumità, perché sono sotto ricatto, perché o così o niente, non stai parlando veramente di sicurezza sul lavoro. Se non capisci che la letale combinazione tra bassi salari e sanità privatizzata compromette la possibilità di curare problemi fisici e stress causati dallo sfruttamento, e che tutto questo aumenta la probabilità di malattie croniche e incidenti, non stai parlando di sicurezza sul lavoro. C'è chi parla di sicurezza sul lavoro e c'è chi finge di parlarne per fare un botto di condivisioni con post che mettono d'accordo tutti, perché non bisogna disturbare certi ambienti politici. Non siamo tutti dalla stessa parte.
[L’Ideota]
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HELLO!
We are three friends who are trying to help young students to complete their studies and offer them a brighter future.
We are three freelancers in the technical writing industry.
We collaborate with publishing houses and develop the ePubs they need. Here are some examples of our capabilities: EDI.PO. SKILLS pt 1, EDI.PO. SKILLS pt 2, EDI.PO. SKILLS pt 3; and we can make them available for free to donors if they have books to review and publish or if they are students who need some help to their thesis or organizing their study notes.
We are also trying to create a free digital library where you can download ePubs of copyright-free but hard to find books. We started by uploading a book by an Italian author (here are the download links) but we would like to do it with foreign authors too. To do this the participation of the whole community is necessary, not just Italian. We welcome book suggestions that we can convert to ePub, so if you had some ideas feel free to contact us!
This is a socialist initiative that we carry out in our free hours and with your help we could devote more time and attention to it. Supporting us means enabling us to have part of our expenses already covered. As you may already know, the problem with work today is that it doesn't leave us much free time during the day.
We can help each other and start improving a world that can no longer stand loneliness and a lack of mutual attention. It is not a question of charity, a hypocritical and patronizing term; but of solidarity between workers, marginalized and poor people.
THANK YOU for your attention, and let's prepare together for the collapse of capitalism!
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Ormai quale fosse l’obbiettivo del cambio al vertice è sotto gli occhi di tutti: accontentare la Lega che vuole accreditarsi i voti di chi non regge più la strategia di contenimento della pandemia e reclama aperture a tappeto, assicurare ai potentati economici (Confindustria e grandi gruppi finanziario-editoriali) un accesso privilegiato alla spartizione del bottino che dovrebbe arrivare dall’Europa, scatenare i sedicenti ministri tecnici nello smantellamento di ogni pur vaga politica di contrasto dello scempio ambientale e civile degli ultimi decenni. Prima di tutto, bloccare sul nascere il tentativo di creare un campo progressista, in grado di contrapporsi alla Destra affarista e fascistoide, che stava timidamente crescendo nell’incubatore giallo-rosa del Conte bis (nonostante il fardello del precedente Conte I giallo-verde). Appunto, pura restaurazione. Che si inserisce in una più vasta operazione volta a portare a compimento strategie in marcia da tempo e che il Covid-19 ha accelerato: la definitiva spaccatura delle società occidentali all’insegna della disuguaglianza. Come ne dà conferma il fatto che – a fronte di spaventosi fenomeni di nuovi impoverimenti (stando alle più recenti rilevazioni, nel 2020 i poveri assoluti sono cresciuti di una cifra tra i 119 e i 124 milioni) – la fortuna dei 500 più ricchi del mondo è aumentata del 31% rispetto all’anno precedente. Mentre il resto degli abitanti del pianeta resta silenzioso e inerte, in uno stato tra il fatalismo e l’annichilimento. E ne dà conferma il fatto che i partiti nati all’inizio del decennio scorso per dare voce all’indignazione popolare, dopo le malefatte della finanza certificate dal crollo di Wall Street nel 2008, stanno scomparendo: Syriza, Podemos, Cinquestelle.
Governo Draghi, sempre dalla parte dei ricchi e potenti
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Governo Draghi, sempre dalla parte dei ricchi e dei potenti “Draghi è Grande e Lilli Gruber è il suo Profeta”, tuona dal minareto de la Sette la muezzin altoatesina, in trans alla notizia che “il Misericordioso” si è tagliato lo stipendio da Primo Ministro del governo dei Migliori. E all’apologeta non passa neppure per l’anticamera del cervello trattarsi di una mossa studiata a tavolino (e non si sa con quale impatto) per invertire la caduta libera in quanto a popolarità del Sommo, il Mario Akbar alla guida del governo dei migliori. Colui che avrebbe infuso un’anima nell’azione di governo e trasformato i confusi brogliacci sul Next Generation, lasciati in eredità dai precessori, in una scintillante summa di sapore rooseveltiano per la rifondazione civile ed economica del Paese. Nulla di tutto ciò si è verificato, mentre l’operazione che ha portato il “rieccolo” venduto come nuovo di zecca si conferma sempre di più come una sorta di golpe bianco. Lo scrivevo a marzo e l’immediata gragnuola di critiche che ricevetti confermava ai miei occhi la tendenza nazionale a ricercare profili di uomini forti dietro la cui ombra rifugiarsi. Padri-padroni per questa Italia popolata da tipi con la sindrome dell’orfanello. Sicché, se anche qui da noi i golpe venivano annunciati dal tintinnio delle sciabole di qualche militare fellone, la versione bianca si manifesta con l’improvvisa apparizione delle “barbe finte”, gli spioni che si accompagnano ai soliti referenti interni al Palazzo (nel caso i Mattei Salvini e Renzi) e gli intermediari esterni (possibile che l’habitué Luigi Bisignani non abbia battuto almeno un colpo?). Ormai quale fosse l’obbiettivo del cambio al vertice è sotto gli occhi di tutti: accontentare la Lega che vuole accreditarsi i voti di chi non regge più la strategia di contenimento della pandemia e reclama aperture a tappeto, assicurare ai potentati economici (Confindustria e grandi gruppi finanziario-editoriali) un accesso privilegiato alla spartizione del bottino che dovrebbe arrivare dall’Europa, scatenare i sedicenti ministri tecnici nello smantellamento di ogni pur vaga politica di contrasto dello scempio ambientale e civile degli ultimi decenni. Prima di tutto, bloccare sul nascere il tentativo di creare un campo progressista, in grado di contrapporsi alla Destra affarista e fascistoide, che stava timidamente crescendo nell’incubatore giallo-rosa del Conte bis (nonostante il fardello del precedente Conte I giallo-verde). Appunto, pura restaurazione. Che si inserisce in una più vasta operazione volta a portare a compimento strategie in marcia da tempo e che il Covid-19 ha accelerato: la definitiva spaccatura delle società occidentali all’insegna della disuguaglianza. Come ne dà conferma il fatto che – a fronte di spaventosi fenomeni di nuovi impoverimenti (stando alle più recenti rilevazioni, nel 2020 i poveri assoluti sono cresciuti di una cifra tra i 119 e i 124 milioni) – la fortuna dei 500 più ricchi del mondo è aumentata del 31% rispetto all’anno precedente. Mentre il resto degli abitanti del pianeta resta silenzioso e inerte, in uno stato tra il fatalismo e l’annichilimento. E ne dà conferma il fatto che i partiti nati all’inizio del decennio scorso per dare voce all’indignazione popolare, dopo le malefatte della finanza certificate dal crollo di Wall Street nel 2008, stanno scomparendo: Syriza, Podemos, Cinquestelle. Di fatto i conflitti in corso sono tutti ai piani alti della piramide sociale: lo scontro tra i plutocrati de-territorializzati e le multinazionali senza confini da una parte, dall’altra le nomenklature statali che vorrebbero tosare le immense ricchezze accumulate dai beneficiati dalla finanza globale senza regole e controlli. Ma dove stia il vero potere lo si è visto quando il presidente degli Stati Uniti ha proposto di liberalizzare i brevetti di Big Pharma. Ed è bastata la presa di distanza da Joe Biden da parte della cancelliera tedesca Angela Merkel per riportare all’ordine Emmanuel Macron, Ursula Von der Leyen e – ovviamente – il nostro algido banchiere Mario Draghi. Pierfranco Pellizzetti
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Andrea Speranza, con la start-up Zeronetto, si aggiudica Explosiva 2021, Challenge delle Idee Vulcaniche
Progetti editoriali per bambini tra cultura ambientale e realtà aumentata
Si chiama Andrea Speranza, a capo della start-up Zero Netto, il vincitore della prima edizione di Explosiva 2021, la challenge delle idee vulcaniche, ideata e portata a termine da Stecca, incubatore di imprese che ha sede nei Molini Meridionali Marzoli a Torre del Greco.
Andrea, che ha vissuto a Londra e a Shangai, in Cina, è tornato, nel 2020, a Torre del Greco, la sua città natale, ed, insieme a un gruppo di soci, ha fondato la “Zero Netto”, una start-up che ha presentato il suo progetto.
L’offerta si basa, da una parte, sulla creazione e vendita di prodotti editoriali innovativi di educazione a sostegno delle tematiche ambientali di riciclo, upcycle, economia circolare (Color book, Silent book, mappe ecologiche) per bambini in età scolare 5 -10 anni, annessi a percorsi di esperienza digitali di educazione genitoriale mirati all’inclusione, alla emancipazione sociale e alla promozione di modelli di consumo sostenibili. Dall’altra sulla creazione di un software di Realtà’ Aumentata che stimoli i piccoli lettori alla personalizzazione delle storie e crei un nuovo modello di insegnamento innovativo. “Sono particolarmente felice – ha dichiarato il neo vincitore – del fatto che il mio progetto sia stato ritenuto meritevole di fiducia da parte della giuria. Mi piace l’idea di poter lavorare nella mia terra e portare avanti quei concetti di modernità e sviluppo appresi negli anni all’estero”.
Zero Netto si è aggiudicata un percorso di incubazione e accelerazione presso Stecca e i suoi partner per un valore di 40mila euro, battendo la concorrenza, in finale, di altre nove idee progettuali.
“Siamo soddisfatti dell’esito di questa prima edizione di Explosiva 2021 – dichiara Giuliana Esposito, Ceo di Stecca – su 100 proposte arrivate, già selezionarne dieci è stato difficile. Ma siamo felici che la giuria abbia ritenuto, pur tra difficoltà per la qualità delle proposte arrivate, di premiare la start-up di Zero Netto che coniuga valori culturali e un progetto imprenditoriale forte e robusto”. “Ho seguito con passione la costruzione delle proposte e devo riconoscere una grande professionalità in tutti i team che hanno risposto con competenza ai requisiti del bando- dichiara Livio Barone, project manager di Stecca- ma non posso nascondere un pizzico di orgoglio, perché la proposta di Zero Netto deriva da un lavoro di confronto anche con il nostro incubatore.”
Dieci i finalisti che hanno partecipato, da tutta Italia, alla call di Explosiva. Simona Fontana, Andrea Speranza, Annalisa La Barbera, Claudio Meglio, Giuseppe Marconi, Marco Pagano, Attilio Vona, Antonio Bello, Luca Vitiello, Giuseppe Carannante: questi i nomi dei giovani startupper che, in questi mesi, hanno presentato idee e progetti da trasformare in iniziative imprenditoriali.
La giuria è stata formata dai partner tecnici Ottavio Sgrosso, CEO di Pushapp e Business Angel, Angelo De Caro,CEO di Based, Noemi Taccarelli, Founder della Blank Growth Agency, Gennaro Cervone, CEO della Business Consulting, Giuliana Esposito, CEO e FOUNDER di Stecca, Livio Barone, Project manager di Stecca, Enzo Scognamiglio, Digital Manager Marketing di DieciAdv, Antonio Aprea, Ceo Nowtech srl e Consigliere Assoprovider. Coadiuvati dai partner istituzionali Veronica Bertollini, Responsabile Marketing Strategico della Banca di Credito Popolare, Vittorio Ciotola, Socio e direttore tecnico della Site srl e Presidente dei giovani imprenditori campani di Confindustria, Luigi Moschera, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale- Università degli Studi di Napoli Parthenope – Prorettore alla Terza Missione, Paola Generali, Presidente di EDI.it (Digital Innovation Hub Confcommercio), Marco Tammaro, Responsabile del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione dei Rifiuti e Materiali di ENEA, Angelo Pica, Presidente Consorzio Costa del Vesuvio.
source https://www.ilmonito.it/andrea-speranza-con-la-start-up-zeronetto-si-aggiudica-explosiva-2021-challenge-delle-idee-vulcaniche/
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Mediaset, taglio dello stipendio per i manager e bonus ai dipendenti
Il premio verrà riconosciuto «ai circa mille tecnici, giornalisti e addetti» che in queste settimane hanno garantito la continuità dei servizi editoriali, televisivi, radiofonici e web del Biscione. I cui manager hanno infine deciso un taglio «consistente» dei propri compensi per il 2020 source https://www.corriere.it/economia/aziende/20_aprile_28/mediaset-taglio-stipendio-manager-bonus-dipendenti-0fac2a02-8939-11ea-8073-abbb9eae2ee6.shtml
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Mirco Comparini è il “Responsabile Operativo” della Rete Revilaw
“Revilaw – Rete di Revisori Legali” nomina Mirco Comparini nel ruolo di “Responsabile Operativo della Rete”
Dott.Rag.Mirco Comparini [Ragioniere Commercialista-Revisore Legale-Consulente al Franchising-Giornalista Pubblicista]
Con la costante crescita di aderenti alla rete e i piani di crescita e sviluppo in corso di attuazione, la Società di Revisione “Revilaw srl” ha scelto il suo Responsabile Operativo nominando Mirco Comparini, professionista di lunga esperienza nella consulenza e nell’assistenza alla costruzione e alla gestione di reti commerciali, con specializzazione in reti di franchising. Già chiamato dalla società per costruire tutta la struttura contrattuale per le adesioni dei professionisti (esclusivamente iscritti all’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e iscritti al Registro dei Revisori Legali) e per impostare i primi fondamentali elementi strutturali della rete, adesso la società consolida la sua presenza che si concretizzerà in un costante affiancamento all’Amministratore Unico, Pier Luigi Sterzi.
“La velocità con la quale la rete è cresciuta e sta ancora crescendo con una continua richiesta di adesioni – conferma l’Amministratore Unico, Pier Luigi Sterzi – ha reso da subito evidente la necessità di una assistenza e di una consulenza altamente specialistica in forma combinata, cioè, in termini di preparazione e di esperienza sotto il profilo tecnico-giuridico, per una impostazione contrattuale specifica e del tutto particolare, e anche sotto il profilo operativo, per una impostazione coerente tra regole contrattuali, operatività e svolgimento dell’attività oggetto di core business della nostra Società, la revisione legale. Mirco Comparini è uno dei professionisti più esperti del settore “reti commerciali”, in particolare quelle di franchising, ed ha immediatamente compreso le necessità della rete ponendola immediatamente nelle condizioni di svilupparsi e formalizzare le adesioni di Colleghi che hanno essi stessi apprezzato il lavoro svolto in tale inziale fase. Adesso passiamo ad una seconda fase nel corso della quale opereremo ancor più in sinergia e dove Mirco Comparini assume l’importante funzione di coordinamento e ottimizzazione dei processi della rete, delle attività operative e di quelle progettuali così da predisporre un workflow aziendale efficace e strutturato coordinando anche i vari settori (comunicazione, formazione, ecc.)“.
“Ritengo già da adesso una grande esperienza quella avviata con la Società di Revisione Revilaw srl – afferma il Responsabile Operativo, Mirco Comparini – che già nella sua iniziale impostazione ha espresso ed esprime positive e peculiari caratteristiche e grandi potenzialità non facilmente individuabili sul mercato di riferimento. La collaborazione con l’Amministratore Unico è praticamente in totale sintonia e lo è stata da subito. La visione e gli obiettivi sono pienamente coincidenti rispetto ai progetti aziendali e questo è uno dei fattori più importanti per coordinare quelle professionalità, quelle qualità e quelle serietà che già caratterizzano tutti i professionisti aderenti alla rete i quali, non solo hanno e avranno la responsabilità della loro prestazione professionale, ma sono e saranno la concreta rappresentazione della Revilaw sul territorio: sarà un onore farlo. Adesso inizia una fase complessa e articolata da attuare su tutto il territorio nazionale in un momento anche particolarmente delicato e difficile dato dall’emergenza sanitaria in corso ponendo così tutti quanti innanzi a difficoltà non indifferenti, ma circa 100 professionisti sono una grande forza, costituiscono un forte nucleo a disposizione delle aziende ed esprimono un elevatissimo grado di affidabilità e professionalità che potranno essere erogate alle imprese anche in tanti altri ambiti e settori della professione“.
CHI E’ MIRCO COMPARINI Classe 1963. Laurea in Scienze Economiche con Tesi di Laurea in materia di franchising dal titolo “Franchising: un importante e delicato “strumento” per la nascita, lo sviluppo e la crescita delle imprese”. Iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (ODCEC) di Livorno esercita la professione di Ragioniere Commercialista e Revisore Legale dal 1988. Professionista Associato Fondatore dello “Studio Comparini & Russo” (1990), Socio/Amministratore della Professional Group SRL (1998), per la quale cura la Divisione “Franchising Analysis”, e della Società Comparini & Russo SRL (2004). . Già iscritto all’Albo dei Mediatori Creditizi, all’Elenco Arbitri e Conciliatori c/o la CCIAA di Livorno, all’elenco dei Periti e Consulenti Tecnici del Tribunale di Livorno e già Mediatore presso l’Organismo di Mediazione dei DCEC di Livorno. Giornalista Pubblicista iscritto all’Ordine Giornalisti della Toscana dal 2012, è autore di articoli specialistici in materia di franchising e reti commerciali e, oltre a curare direttamente un blog specializzato sul tema, attualmente collabora stabilmente per le testate “AZ Franchising” (dal 2008), “Ratio” (dal 2019) e “Fiscal Focus” (dal 2020) . Tra il 1991 ed il 2004, ho assunto numerosi ruoli ed incarichi, anche di rappresentanza legale, all’interno degli organismi istituzionali della Categoria professionale a livello locale, regionale e nazionale. Da oltre 25 anni la consulenza e l’assistenza al franchising e ad altre forme di reti commerciali costituisce specializzazione professionale con attività svolte per la progettazione, la predisposizione e l’avvio di nuove reti, per l’analisi di nuove affiliazioni a noti marchi nazionali ed internazionali, per interventi contrattuali, gestionali ed operativi e per la gestione di specifiche problematiche derivanti dai tipici rapporti affiliati/affilianti, incluse attività di ADR. Docente e relatore in corsi di formazione, master, convegni e seminari in materia di franchising e anche in altre materie tecniche attinenti alla professione, è stato anche autore di numerosi interventi editoriali e dispense di aggiornamento professionale. Promotore e Fondatore di IREF Italia, associazione di operatori in ambito franchising e reti commerciali, ne è stato Presidente Nazionale da aprile 2012 a luglio 2018. Auditor presso Bureau Veritas per la certificazione delle reti commerciali “IREF Italia/Bureau Veritas” ha curato la predisposizione della versione italiana del disciplinare applicabile alle reti nazionali. Insignito nel 2013 con “Diploma d’Onore” a firma del Ministero del Commercio Estero francese, dal Presidente delle Camere di Commercio di Francia e dal Presidente e dal V.Presidente di Federation IREF e successivamente assegnatario di altri Riconoscimenti Speciali, sempre in Francia a cura di Federation IREF. Primo ideatore e primo redattore del testo base della proposta di riforma del settore del franchising e delle reti commerciali seguita dalla elaborazione e dalla promozione congiunta di IREF Italia, AZ Franchising e ANCommercialisti. Da settembre 2014 a ottobre 2015 (dimesso) è stato Amministratore Unico della società Farma.Li. srlu, società di proprietà pubblica che gestisce la rete delle Farmacie Comunali della Città di Livorno. Appassionato di temi psicologici e di interpretazione della comunicazione scritta, verbale, non verbale e visiva.
(dal sito www.revilaw.it)
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EDI.PO. SKILLS
Cosa succede quando un libro non si compone di sole parole? Pt.3
Dopo un veloce rimando alla pt 1 e alla pt 2 iniziamo questa terza parte mostrando subito cosa intendiamo per “architettura barocca” del testo.
Vi avevamo anticipato nel post precedente di un certo Ludovico Colombo, conosciuto come Fillìa ed è proprio un suo testo, ovvero Sensualità, che abbiamo trattato. Anche di lui si tratta di un testo cartaceo che abbiamo scansionato per potercelo leggere sullo smartphone. Visti i virtuosismi abbiamo dovuto operare in maniera tecnica, non potevamo mica inserire delle immagini piuttosto che il testo! Questo è il risultato:
SCREENSHOT 1
Fillìa (Luigi Colombo), Sensualità. Esempio di resa delle trovate tipografiche futuriste. Il testo non è reso come immagine.
Continuate a leggere per vedere altri esempi simili e non solo.
SCREENSHOT 2
Fillìa (Luigi Colombo), Sensualità.
SCREENSHOT 3
Fillìa (Luigi Colombo), Sensualità. Testo ingrandito. Il testo si adatta allo schermo rispettando le proporzioni, in maniera armoniosa.
SCREENSHOT 4
Fillìa (Luigi Colombo), Sensualità.
SCREENSHOT 5
Hans Magnus Enzensberger, I miei flop preferiti. E altre idee a disposizione delle generazioni future. Esempio di resa di dialogo teatrale.
SCREENSHOT 6
Alexandre Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel. Esempi di parentesi graffe plastiche, cioè adattabili a contenere più righe.
SCREENSHOT 7
Alexandre Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel. Esempio di integrazione immagine nel testo (nel cartaceo sta nella pagina a fronte).
Questi sono solo alcuni esempi, man mano ne aggiungeremo degli altri. Come si può vedere gli interventi sono proprio strutturali. In molti casi, e ne abbiamo visti parecchi di ePub in questo stato, le case editrici risolvono in maniera veloce, ovvero inserendo le immagini! Nel caso di caratteri più particolari, ad esempio — prendete il caso dell’ebraico, ma anche soltanto il greco, per non parlare del cirillico o dell’arabo — inseriscono l’immagine dell’intera parola. Questo vale anche per le formule matematiche e altro. Ciò, ovviamente, va ad intaccare la leggibilità del testo: le immagini in certi casi risultano sgranate, l’ePub è pesante e l’applicazione impiega parecchio tempo per caricarlo; e se si va ad ingrandire il testo l’immagine non si adatta allo zoom perdendo in armonia. Noi abbiamo sempre cercato di evitare questi “fastidi” e ci siamo “inventati” queste soluzioni che rendono il tutto molto più leggero, scorrevole e piacevolmente leggibile.
Tutto questo ovviamente ci diverte, ci piace, e col tempo, una volta presa la manualità, abbiamo deciso di trasformarlo in un vero e proprio lavoro. Abbiamo anche avuto modo di farlo, sebbene saltuariamente: purtroppo o per fortuna. Purtroppo perché ci dispiace non poterci dedicare a questo quanto e come vorremmo, migliorandoci costantemente; per fortuna perché se le richieste fossero state più assidue rispettare i range di tempo sarebbe stato difficoltoso. I nostri PC, infatti, sebbene siano dei fedeli compagni ormai da parecchi anni, tendono ad affaticarsi e a rallentare allungando i tempi necessari per la rielaborazione digitale (basti solo pensare al processo di ocrizzazione). Abbiamo cercato lavoro ma come abbiamo detto più volte: lavori pagati pochissimo che non ci permettono di mettere nulla da parte oltre che toglierci tempo ed energie fisiche e mentali.
Da qui EDITORIA POPOLARE e la RACCOLTA FONDI.
E per il momento, gente, è tutto!
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FANO – Definiti nell’ambiente editoriale la coppia d’oro del fumetto, Silvia Vecchini e Antonio “Sualzo” Vincenti, marito e moglie nella vita, sono due artisti dalle esistenze ordinariamente straordinarie. Scrittrice lei, illustratore lui, da anni si occupano di catechesi dei bambini e dei ragazzi e di letteratura per l’infanzia.
“Nel silenzio azzurro. Preghiere dal Mondo” (Editoriale San Paolo), è il loro ultimo libro che verrà presentato nel primo dei cinque appuntamenti della terza stagione di Passaggi di Natale, lo spin off invernale del Festival della Saggistica Passaggi, mercoledì 4 dicembre alla Mediateca Montanari Memo di Fano alle 18.30 in un incontro condotto da Valeria Patregnani, direttrice del Sistema Bibliotecario fanese.
Un po’ libro, un po’ graphic novel, scritto per ragazzi ma perfetto per gli adulti, il libro è un’antologia di preghiere dal mondo con bellissime illustrazioni che nascono dal lavoro sulla dimensione spirituale del bambino che la Vecchini ha intrapreso prima nei suoi studi universitari e poi sul campo, attraverso corsi nelle librerie e, da quest’anno, nella veste di insegnante di religione nelle scuole primarie.
Silvia Vecchini, classe 1975, ha iniziato progettando materiali didattici per musei, nel 1999 ha pubblicato il suo primo libro di poesie che ha vinto il premio Diego Valeri come opera prima, ha curato progetti editoriali, collane e testi scolastici per diverse case editrici. Dal 2000 scrive per bambini e ragazzi libri tattili, storie illustrate per i più piccoli, prime letture, libri che raccontano opere d’arte, romanzi per ragazzi, raccolte di poesie e fumetti.
Circa quindici anni fa Silvia e suo marito hanno deciso di cominciare a lavorare insieme. Sualzo – nome d’arte che deriva dal termine con cui i pescatori del Trasimeno, dove la coppia vive, chiamano lo svasso maggiore, un uccello palustre a cui i locali attribuiscono doti magiche – è autore e illustratore per le maggiori case editrici italiane e negli ultimi anni si è occupato anche di formazione sul fumetto per studenti e insegnanti con seminari, workshop e convegni.
Insieme a Silvia Vecchini è autore tra l’altro di “Fiato sospeso” (Tunué) che ha vinto il premio Boscarato e il premio Orbil Balloon nel 2013 come miglior fumetto per bambini e ragazzi.
Passaggi di Natale è ideato e diretto da Giovanni Belfiori e promosso da Passaggi Cultura, con il patrocinio e contributo degli assessorati del Comune di Fano agli Eventi e Sviluppo Turistico, alla Cultura, alle Biblioteche, col sostegno di Enoteca Biagioli, Osteria Il Chiostro, Pietrelli Porte, Been Concept Store, Pasta Montagna, in collaborazione con Librerie Coop e Università di Camerino; media partner nazionale La Lettura, media partner locale Radio Fano, partner tecnici Fondazione Teatro della Fortuna, Casarredo e Agenzia Comunica.
Prossimi appuntamenti di Passaggi di Natale:
– “Fano – Passaggi in Città” (Passaggi Cultura – Grafiche Ripesi Editore), a cura di Ippolita Bonci Del Bene, mercoledì 11 dicembre, Memo ore 18.30.
– Monica Guerritore autrice di “Quel che so di lei. Donne prigioniere di amori straordinari” (Longanesi), venerdì 13 dicembre, Teatro della Fortuna ore 18.30.
– Valentina Dallari autrice di “Non mi sono mai piaciuta” (Piemme), lunedì 16 dicembre, Memo ore 18.30.
– Carmine Abate autore di “L’albero della Fortuna” (Aboca Edizioni), sabato 21 dicembre, Memo ore 18.30.
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Perché l’approvazione della normativa sul Copyright è una buona notizia
Nuovo post su italianaradio http://www.italianaradio.it/index.php/perche-lapprovazione-della-normativa-sul-copyright-e-una-buona-notizia/
Perché l’approvazione della normativa sul Copyright è una buona notizia
Perché l’approvazione della normativa sul Copyright è una buona notizia
Partiamo dal primo dato di fatto. Il Parlamento europeo di Strasburgo, dopo un lungo iter tormentato durato più di sei mesi, ha approvato in via definitiva la direttiva europea sul Copyright. Ci sono stati 348 voti a favore, 274 no e 36 astenuti. La norma era stata approvata una prima volta nel mese di settembre, ma successivamente erano stati trovati degli accordi per mitigare alcuni punti. Gli elementi salienti riguardavano quelli che, originariamente, erano gli articoli 11 e 13 del provvedimento che, nel nuovo testo, sono diventati gli articoli 15 e 17.
Copyright, cosa cambia dopo l’approvazione della direttiva
I cambiamenti più significativi apportati da questa riforma del diritto d’autore a livello europeo – ma con ovvie ripercussioni mondiali, data l’ingerenza dei Big Tech come Facebook e Google – riguardano due aspetti principali. Si tratta di due norme che rendono più stringente e invasivo il concetto di copyright nelle condivisioni sui social network e sulle altre piattaforme di aggregazione. A essere colpiti, infatti, saranno soprattutto i giganti del web che, stando alla direttiva del Parlamento europeo, dovranno attuare delle norme più stringenti in materia di diritto d’autore e dovranno riconoscere un adeguato compenso a chi produce contenuti in rete.
I due punti cruciali della riforma del Copyright
Sono due i punti cruciali della riforma: il primo è che le Big companies dovranno verificare in maniera più attenta i contenuti inseriti. Esempi pratici: non potranno essere caricate su Youtube (ma anche su Facebook o su altri social network) delle canzoni coperte dal diritto d’autore senza che queste ultime siano state in qualche modo modificate. Da qualche tempo a questa parte, i giganti dell’online avevano già studiato delle contromisure per rendere il controllo su questi contenuti più efficace – e la presenza di servizi come Spotify o come lo stesso YouTube Music aveva reso l’operazione tutto sommato più alla portata.
Il secondo aspetto riguarda la produzione di contenuti che, fino a questo momento, era stata sfruttata dai grandi player come Google e Facebook «a spese» dei piccoli editori. Servizi come Google News, ad esempio, si servono dei contenuti di qualità di siti di informazione per proporre agli utenti i vari feed. I piccoli editori ci guadagnavano quasi esclusivamente in termini di maggiore visibilità. Ora questo non sarà più possibile senza trovare un accordo di natura economica con gli editori che producono informazione.
Le bufale diffuse sulla normativa sul Copyright
Vanno chiariti, poi, alcuni aspetti tecnici. Si è diffusa la fake news, alimentata a volte dagli stessi attori in campo, della morte di Wikipedia o quella della cosiddetta Link Tax. Nel primo caso, si paventava la fine del servizio di enciclopedia open source. Ma è bene ricordare che le normative del diritto d’autore non valgono per i servizi senza scopo di lucro, proprio come Wikipedia. Con il termine Link Tax, invece, si indicava un presunto esborso economico per ogni link – sui social media, ad esempio – relativo a quei contenuti editoriali che da questo momento in poi saranno coperti da copyright. Anche in questo caso, ovviamente, la notizia è stata travisata, dal momento che la normativa non prevede nulla di tutto questo.
Quali sono i passaggi da fare per rendere esecutiva la direttiva sul Copyright?
C’è, infine, l’aspetto delle tempistiche di attuazione di questa nuova formulazione del concetto di copyright. Si è scelta la formula della direttiva europea – uno dei provvedimenti che il Parlamento UE può adottare -: per questo motivo, saranno i singoli Paesi a recepirla. Il principio resterà lo stesso, ma le modalità con cui questa direttiva entrerà a far parte delle leggi che regolano ciascuno Stato membro saranno diverse. Forse, sta proprio qui l’insidia principale della normativa sul Copyright.
FOTO: CLAUDIO ONORATI – ANSA – KRZ
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Non ci sarà nulla da temere per Wikipedia
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Gianmichele Laino
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“Amo le sfide e i libri inutili di grandissima qualità. La mia casa editrice è una gioielleria che si ribella ai fast book”: dialogo con Cristina De Piante
Bisogna saper guidare il rompighiaccio. Cristina Toffolo De Piante ha il piglio dell’imprenditore, non si scioglie, fatica a sorridere, pare una lama conficcata su un iceberg. Parlarle è un vanto: una volta la becchi in Sud Africa, l’altra in Siberia. In un circo urbano fitto di ‘piacioni’, che ostentano abbracci come coltelli, un po’ di severità nordica è salutare. Cristina, misurandola con il metro di oggi – il denaro – è una visionaria e una pazza. Secondo il mondo antico – connaturato all’anima e al compito dell’uomo – meriterebbe un premio, una statua, un Raffaello a farle il ritratto. Imprenditrice di successo, nel 2016 Cristina, insieme a due amici, Angelo Crespi e Luigi Mascheroni, vara la De Piante Editore, con un logo che ne sancisce e santifica la missione, “Pochi libri per pochi”. La formula è vertiginosamente ‘antimoderna’: reagire al mercato librario – in crisi sonora – che fa soldi pubblicando stupidaggini con libri da collezione, di altissimo pregio, coniugando il testo ignoto – inedito o riscoperto – di un grande autore italiano con il gesto, in sovraccoperta, di un grande artista.
Cristina & Co. La De Piante Editore è fondata da Cristina Toffolo De Piante con Angelo Crespi (a sinistra) e Luigi Mascheroni
Interessante la nota che specifica la ‘politica editoriale’ dell’impresa: “La crisi, a differenza di quanto insegnano gli economisti e i tecnici, si batte con il lusso non con la spending review (e la nostra sarà una casa editrice sontuosa). E insistere, anche in campo culturale, sul marchio ‘fatto in Italia’ può essere una scommessa vincente”. Insomma, un imprenditore di fama che al posto di far fruttare i propri guadagni nell’ennesimo immobile, apre una casa editrice, un luogo di ristoro culturale. Che genio. La scommessa, due anni dopo, è, per lo meno culturalmente, vinta. La De Piante, infatti, si è imposta, con grazia, a passo di danza, come una delle più interessanti imprese editoriali degli ultimi tempi, un’oasi nel deserto bibliografico. Il catalogo è già un agglomerato di firme eccezionali – da Eugenio Montale a Piero Chiara, da Emilio Villa a Oriana Fallaci e Sebastiano Vassalli, fino alle ultime ‘chicche’, Leonardo Sciascia e Gianni Brera – e di artisti eccellenti – Velasco Vitali e Ferdinando Scianna sono gli ultimi ‘eroi’ di una lista che contempla, tra gli altri, Roberto Floreani, Luca Pignatelli, Alessandro Busci, Michele Ciacciofera… Quando le si chiede della sua casa editrice, Cristina, per cui fare l’editrice è una sfida, uno slalom tra i ghiacci a bordo di lancia dorata, si scioglie. In fondo è facile mungere la gioia, perché la scrittura è sempre in contatto con ciò che è autentico, che autentica il destino.
Chi te lo ha fatto fare di fare una casa editrice?
Mi piacciono le sfide e sono determinata a far accadere le cose. Da giovanissima ho ereditato una piccola officina meccanica che costruiva macchinari da stampa. Pur non essendo competente di progettazione industriale avevo deciso che quell’azienda avrebbe giocato un ruolo importante tra i costruttori di quel settore. Il duro lavoro, la curiosità e l’apertura alla sperimentazione di nuovi modelli organizzativi hanno portato, in meno di 20 anni, quella azienda a posizionarsi tra le 5 aziende leader al mondo di quel settore. Dopo il discreto successo nel settore industriale volevo ripartire da zero con un nuovo progetto imprenditoriale in tutt’altro settore. Una piccola realtà che si potesse aggiungere alla lista delle maison italiane note a livello globale per la propria creatività e per la qualità indiscutibile dei propri prodotti. Fondare una casa editrice in un settore fortemente in crisi era una vera sfida.
Chi te lo ha fatto fare di fare una casa editrice fuori dal tempo, che stampa pochissimo, testi rarissimi, fuori dalle grandi catene distributive, una specie di enogastronomia editoriale, perché? Bisogna essere sommelier del buon leggere?
L’idea di fondare una casa editrice è nata una sera a cena con Luigi Mascheroni e Angelo Crespi. Si fantasticava di pubblicare vecchi elzeviri, lettere o testi dimenticati di grandi scritto del Novecento. Ben consapevoli della situazione poco brillante del mercato dei libri abbiamo impiegato un anno per definire il taglio del progetto e il target. Alla fine nel dicembre 2016 la nostra avventura è iniziata. La De Piante Editore doveva essere una reazione al mercato editoriale di oggi fatto per lo più di fast book, di libri facili, facilmente dimenticabili diffusi su larghissima scala. Stampare solo piccole tirature, numerate in edizione limitata. L’organizzazione dell’azienda doveva essere quella del piccolo artigiano, snella e flessibile. Una piccola gioielleria dell’editoria da ricordare nella storia e da lasciare in eredità ai nostri figli. Il nostro target era chiaro: offrire un libro “gioiello” ai forti lettori, collezionisti e bibliofili ma anche al professionista o all’imprenditore che fosse alla ricerca di un regalo speciale per la propria clientela.
Qual è l’autore che vorresti pubblicare, il libro che ti ha ‘cambiato la vita’, quello ‘per l’isola deserta’?
L’autore che ho sempre nel cuore è Honoré de Balzac. Ho letto tutti i suoi romanzi e nel cuore mi è rimasto il suo Papà Goriot. Purtroppo non lo posso pubblicare perché è uno scrittore francese e al momento la De Piante vorrebbe rimanere focalizzata solo con gli scrittori del Novecento italiano.
L’idea di accostare testi dimenticati di grandi scrittori italiani e grandi artisti italiani, una specie di made in Italy bibliografico: a chi è venuta? Chi sceglie i testi e gli artisti, assecondando quale criterio?
Il criterio di base è quello di far uscire un prodotto al 100% italiano. Dopo anni di stampa digitale, automatismi e substrati commerciali trattati per valorizzare le moderne tecniche di stampa volevo riavvicinarmi al mondo dei vecchi maestri stampatori e coinvolgere le antiche cartiere italiane. L’incontro con un grande tipografo è stato fondamentale per progettare un veicolo di lusso per i bellissimi testi che avremmo pubblicato. La divisione delle nostre responsabilità è abbastanza chiara e naturale. Luigi Mascheroni seleziona gli scrittori e ricerca i testi. Scegliamo insieme l’autore e il pezzo da pubblicare e pianifichiamo le uscite dei libri anche sulla base dei nostri eventi. Contemporaneamente Angelo Crespi pensa ad un artista italiano da abbinare allo scrittore o al contenuto del testo, poi coinvolge nel progetto l’artista. Io oltre alla gestione generale dell’azienda devo anche trovare il famoso pubblico per i “Pochi libri per pochi” per vendere i nostri libri. Spesso gli eredi degli autori che vorremmo pubblicare lavorano con noi alla progettazione del libro o all’organizzazione dell’evento che lo lancerà. Delle volte gli stessi eredi ci suggeriscono l’artista da associare al libro. Per esempio con il libro I travestiti di Sebastiano Vassalli la moglie Paola ci aveva suggerito di far realizzare la sovraccoperta dal maestro Claudio Granaroli amico storico del marito Sebastiano. Oppure quando stavamo pensando alla copertina delle lettere di Leonardo Sciascia a Stefano Vilardo ci è stata segnalata una fotografia dei due scrittori scattata dall’amico e compaesano Ferdinando Scianna. Io e Angelo Crespi lavoriamo anche alla produzione delle 10 copie d’artista. I nostri volumi escono in 300 copie numerate + 10 copie d’artista. Vengono stampati 10 volumi e 10 stampe della copertina numerati da 1 a 10 e firmati dall’artista che ha realizzato l’opera. Non sempre le copie d’artista devono essere accompagnate dalle stampe. Alcuni artisti hanno avuto altre idee. Per esempio, riguardo al libro di Emilio Villa, Alessandro Busci ha dipinto direttamente sulla sovraccoperta 10 esemplari diversi che richiamassero l’opera originale. Con il libro Nessuno è felice: tranne i prosperosi imbecilli, Ferdinando Scianna ha firmato 10 fotografie del suo scatto del 1964 stampate in Fine Art e custodite in un piccolo astuccio all’interno del libro.
Penso al patrimonio di una casa editrice come una ‘eredità’: che futuro vedi per la De Piante?
La crescita per acquisizione è quasi terminata nel campo editoriale. Ormai le note case editrici italiane hanno comprato e incorporato tutti i marchi che si potevano collezionare per assicurarsi la fetta del mercato. Le più sfortunate sono state costrette a chiudere e rimangono un ricordo malinconico del passato. I piccoli cercano di sopravvivere offrendo un prodotto simpatico e di qualità da proporre sul banco delle librerie. Io al momento sto ancora lavorando alla segmentazione del mercato e alla qualità del prodotto senza dar troppo peso ai risultati di vendita. Gli unici strumenti di lavoro che ho nelle mie mani sono le idee e gli obiettivi ben definiti. La De Piante sarà una casa editrice dal marchio riconoscibile e indiscutibile. Oggetto di conversazione per collezionisti e bibliofili italiani e anche stranieri. Un’altra maison italiana d’eccellenza da desiderare e invidiare. Una palestra per un gruppo di lavoro creativo e originale o per chi vuole semplicemente imparare. Un motore di sinergie che si muove in diversi contesti. Le idee per far accadere queste cose non mi mancano. Il coraggio nemmeno. Vedremo…
Un giudizio da una che fa i conti con il settore sul sistema editoriale italiano: cosa c’è che non va? Libri pubblicati come hamburger, lettori cretini, politica disinteressata? Ergo: come si convince un ragazzo a mollare l’iPad per un buon libro?
Inutile dire che il libro è stato sostituito con le trasmissioni televisive, con i reality show, le serie di Netflix o dai social che consultiamo di continuo sul nostro cellulare. Che siamo troppo impegnati e che non abbiamo più tempo per leggere. Non è questione di giovane o adulto. Il piacere della lettura o della ricerca del libro è una cosa che hai dentro fin da giovane o che hai scoperto nel corso della vita grazie all’influenza di un parente, un insegnante o un amico. Ritornando all’editoria italiana. Per sopravvivere, i grandi nomi sono costretti a essere subordinati alla domanda del mercato, a subirla, riducendo sempre di più gli scaffali dei grandi autori per lasciar spazio ai nuovi scrittori del momento: calciatori, YouTuber, influencers, conduttori televisivi, chef, etc. Al contrario le piccole case editrici come la De Piante non hanno grossi costi di struttura quindi possono scegliere cosa pubblicare o dove vogliono specializzarsi. Ma devono essere veramente intraprendenti per mantenere i loro standard qualitativi e per posizionare il proprio marchio sul mercato per assicurarsi le vendite. Noi abbiamo scelto il contatto diretto con il nostro cliente. Scriviamo direttamente ai nostri collezionisti e ci proponiamo agli imprenditori che vogliono un libro su misura per le loro celebrazioni. Partecipiamo a diversi eventi, organizziamo salotti letterali coinvolgendo varie tipologie di persone. Fino ad oggi abbiamo raccolto delle buone recensioni. Abbiamo tante idee e continueremo a proporre libri di qualità per i nostri collezionisti.
C’è un editore che ti fa da guida, che ammiri, oppure fai di testa tua, imponendo un nuovo modo di fare editoria? Sei forse l’avatar o lo specchio ustorio di Elisabetta Sgarbi, la zarina dell’editoria italica?
Mi sono sempre piaciuti i piccoli editori che pubblicano libri inutili di altissima qualità. Durante la definizione della casa editrice ci siamo ispirati un po’ al loro modello. Faccio di testa mia, non mi curo molto delle dinamiche attuali di questo mercato. Elisabetta Sgarbi non è un mio riferimento, mi sento più una Elvira Sellerio degli anni Sessanta.
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E’ la copertina, la prima cosa che colpisce nel libro “Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld”.
Niente casco, né occhiali da pilota, né auto sportiva, o colori vivaci.
E’ invece la foto di un ragazzo, di un giovane uomo, s’intravede solo una parte del viso, così com’è stata la sua vita, interrotta, da un incidente, travolta da quella passione che era stata davvero il suo unico modo di vivere.
Non ho conosciuto Scarfiotti, non ho vissuto la sua epoca, le sue corse, le sue vittorie, quindi leggere questo libro è stata una vera scoperta.
Un mondo delle corse totalmente diverso, sicuramente meno tecnologico, ma la voglia di correre, quel fuoco che fa rischiare la pelle ogni volta che ci si siede nell’abitacolo è sempre uguale.
E’ la stessa di Villeneuve, di Lauda, di Alboreto, di Clay, di Andretti, di Senna e Schumi.
E’ la stessa che fa ancora correre Valentino, che ha dato a Zanardi la voglia di riprovarci.
Paola Rivolta, milanese, diplomata allo Scientifico, laureata in Agraria, ha lavorato per una grande azienda agricola marchigiana che si occupava dell’allevamento di cavalli da corsa, con nel cuore il desiderio di fare l’agronoma, ma si è ritrovata tra pile di carte e foto con le quali avrebbe dovuto ideare un museo.
Ma è stato proprio in quel Museo, tra i mille incarichi, come curare pubblicazioni editoriali e scrivere articoli inerenti all’ippica, che Paola ha capito che senza la scrittura non riusciva ad andare avanti.
E sono stati i tanti racconti che aveva chiuso in un cassetto, finalmente liberati, che hanno portato a dare ascolto alla passione di sempre.
Una passione che adesso Paola Rivolta ha concretizzato nel romanzo Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld, edito da Liberlibri, dedicato alla drammatica vicenda umana di Lodovico Scarfiotti, il pilota automobilistico il cui nonno era stato cofondatore e primo presidente della Fiat e si era poi trasferito da Torino a Potenza Picena, in provincia di Macerata, per gestire alcune proprietà e impiantare un cementificio.
Due vite, segnate dai motori e da una morte precoce, suicida Lodovico senior e morto in un incidente a Rossfeld, in Germania, il nipote, l’8 giugno 1968, durante le prove del Premio delle Alpi, alla guida di una Porsche 910. Per la casa automobilistica tedesca Lodovico aveva iniziato a correre dopo aver smesso di guidare per la Ferrari, con cui nel 1966 aveva vinto il Gran Premio di Monza, ultimo pilota italiano riuscito nell’impresa.
In una narrazione piana, ma al tempo stesso ricca di atmosfere oggi dimenticate, Paola Rivolta racconta la storia di una famiglia che visse tra due mondi, quello borghese della Torino del primo Novecento, dove viveva Lodovico senior con la moglie e i figli tra i quali Luigi, che corse alla Mille Miglia negli anni Trenta e fu marito di Francesca Faa di Bruno, cugina acquisita di Edoardo Agnelli, figlio di Giovanni, e le Marche, dove a Torrenova Lodovico visse gran parte della sua vita e dove ancora oggi vive il figlio Luigi.
Come definirebbe Paola Rivolta?
Cominciamo subito dalla domanda più difficile? Direi una donna appassionata della vita.
Quando ha capito che l’arte dello scrivere era la sua vita?
Ho sempre amato scrivere. Ma è stato il lavoro a far sì che la scrittura divenisse una parte essenziale della mia esistenza. Per molti anni ho realizzato libri e scritto articoli in particolare di storia dello sport per il mio datore di lavoro. Quando ho smesso di lavorare per lui ho compreso che non poteva finire lì, che lo scrivere non era solo un ruolo lavorativo ma un’esigenza personale.
Quando ha sentito parlare di Lodovico Scarfiotti?
Conoscevo la figura di questo pilota sin da quando ero bambina. La mia famiglia ha origini marchigiane e venivamo ogni estate a passare le vacanze poco più a sud della casa di proprietà della famiglia Scarfiotti. Ricordo che mia nonna – che teneva alle sue origini e alle figure di spicco della sua regione – ci indicava ogni volta quella casa dicendoci che era del famoso pilota di automobilismo Lodovico Scarfiotti.
Perché lui, perché un pilota?
Un pilota? Lo ammetto, solo per caso. L’uomo invece non fortuitamente. Scrivere per me è il modo di dare voce a qualcosa d’inespresso, di far emergere parti di me stessa, sentimenti, emozioni, pensieri che si mettono a tacere per educazione, per compiacere chi ci sta attorno, o affiorano dall’inconscio. Poi capita una storia come questa, capita l’occasione di poter dare voce a chi non l’ha avuta, raccontare qualcosa che non è mai stato raccontato.
Sulla carriera di Lodovico Scarfiotti è stato scritto molto negli anni in cui era vivo, ma pochissimo dopo. Manca qualunque riconoscimento del suo valore sportivo. Un ricordo da parte delle scuderie per cui ha corso e vinto. E’ mancata soprattutto chiarezza su quanto era successo negli ultimi anni della sua vita e sulle cause dell’incidente che lo portò alla morte, con quell’auto fatta sparire in poche ore e il suo corpo riportato rapidamente a Torino. E poi era il nipote del primo presidente della Fiat! E suo nonno era davvero sparito nel nulla. Scomparso dalla storia industriale ma anche familiare. Un’occasione così non la potevo perdere!
Sembra che ci sia la mano di un destino beffardo nelle vite dei due Lodovico, morti entrambi in circostanze drammatiche…
E’ affascinante la parola “destino” e poi ci toglie da molte responsabilità. Il “destino” dei due Lodovico ha sicuramente in comune la difficile relazione con il potere. Entrambi sono stati forse degli “ingenui”, dei “romantici” o quanto meno sono state vittime di giochi di potere più grandi di loro o fatti alle loro spalle. E ne hanno pagato il conto. Non voglio dire che Lodovico pilota sia morto a causa delle scelte aziendali fatte da Ferrari o dei suoi rapporti con Agnelli, ma sicuramente la sua vita, e non solo la sua carriera, ne ha pesantemente risentito.
Ha avuto il supporto della famiglia Scarfiotti per scrivere il suo romanzo?
Scrivere una biografia richiede l’autorizzazione a farlo da parte dei familiari. In questo caso il mio interlocutore è stato Luigi Scarfiotti, il figlio maggiore di Lodovico. Con lui ho condiviso l’idea di fondo di questo progetto, ho scritto un primo capitolo per fargli comprendere come avrei voluto affrontare questa storia e l’ho convinto. Mi ha messo a disposizione i documenti che erano conservati dalla famiglia e i primi contatti con le persone da lui conosciute. E’ stata mia cura mantenerlo aggiornato costantemente sul procedere della scrittura, è stata sua cura non interferire mai con il mio lavoro. Non lo avrei mai accettato. Ho voluto comunque coinvolgere anche tutti gli altri membri della famiglia che hanno dimostrato grande disponibilità nell’aiutarmi a ricostruire i fatti.
La Famiglia Scarfiotti è anche l’immagine, anche se un po’ defilata rispetto ad altre, della storia italiana degli ultimi 100 anni?
Ripercorrere le vicende della famiglia Scarfiotti è sostanzialmente uno strumento di lettura di quei cento anni, un modo di entrare nella storia nazionale attraverso la concretezza delle loro vite. E poi defilata per modo di dire, quanta parte di storia d’Italia si può raccontare attraverso la storia della più grande industria italiana di automobilismo?
Scarfiotti, sinonimo di macchine e velocità, quale differenza umana, ha trovato nei tre protagonisti, il nonno, il padre e il figlio?
Lodovico senior, prima delle vicende che lo portarono al suicidio, era un uomo di buon carattere, sempre sorridente, benvoluto da tutti, che forse peccava d’ingenuità, che misurava gli altri secondo i propri canoni morali. Suo figlio, Luigi, era un uomo più concreto, aveva preso da sua madre la capacità di rimanere con i piedi per terra e un’energia fuori dal comune. Lodovico il pilota assomigliava a suo nonno e dietro a quell’apparenza scanzonata di eterno ragazzo, era un uomo sensibile oltre misura.
Nel suo libro c’è un numero impressionante di note, a testimoniare il lavoro minuzioso di ricerca non solo storica. Quanta fatica le è costato?
Molta fatica, ma le note sono state il modo per rendere evidente la credibilità del mio lavoro. Sono vite reali quelle che ho raccontato, questioni storiche e industriali talvolta anche scabrose e non si possono trattare con leggerezza. La nota serve per rendere palesi le fonti e aggiungere anche qualcosa alla narrazione. Ho portato in nota alcune parti del testo per renderlo più fluido senza eliminare notizie che ritenevo interessanti. E ho trovato una casa editrice – Liberilibri – che ha aderito appieno a questa idea, riportando le note a piè di pagina e non in fondo al testo. Come lettori siamo divenuti tutti un po’ pigri, poco propensi ad approfondire, inclini ad accettare passivamente quello che viene scritto da altri e far sparire le note dalla pagina è, a mio parere, un modo per assecondare la nostra pigrizia, oltre che ridurre tempi e costi di lavoro per la casa editrice. I lettori del mio libro hanno dimostrato però grande pazienza e curiosità, apprezzando anche quei minuscoli testi in calce. Più di uno mi ha detto: “è la prima volta che leggo tutte le note!” Forse anche le altre case editrici dovrebbero tornare a dare maggiore fiducia ai lettori.
Secondo lei, quanto hanno pesato i commenti di tecnici e in particolare di Enzo Ferrari, sul ritenere Scarfiotti, un pilota già in là con gli anni e poco adatto alla F1?
In più occasioni i resoconti dei direttori sportivi riportati a Ferrari hanno negativamente segnato la carriera dei piloti, talvolta ingiustificatamente, ma è pure vero che i direttori sportivi erano anche il “braccio armato” di Ferrari stesso. Il motivo principale della fine del rapporto di Scarfiotti con la scuderia di Maranello ritengo sia stato l’interesse aziendale, questioni di denaro, rese accettabili agli occhi dei tifosi con motivazioni più generiche riportate poi dai giornalisti.
Se dovesse paragonare Lodovico Scarfiotti a un pilota attuale?
La devo deludere, temo. Amo lo sport in genere e lo seguo con passione da sempre, ma ho ricominciato a vedere qualche corsa automobilistica dopo aver scritto questo libro. Gli ultimi miei ricordi risalivano a Niki Lauda. Non sono quindi in grado di fare paragoni con i piloti attuali e poi le corse sono così cambiate che credo sia impossibile comparare i piloti degli anni ’60 con quelli di oggi. Altre vetture, altri ambienti lavorativi e altri stipendi.
Che idea si è fatta del dualismo Bandini-Scarfiotti, tra l’altro uniti da un tragico destino? Il primo la favola del giovane povero ma bello, che arriva con la sola forza del suo talento; Scarfiotti che invece passa la vita a dimostrare di non essere un figlio di papà.
Gli anni ’60 hanno segnato un passaggio cruciale nella struttura sociale del nostro Paese. Bandini, al di là dei suoi reali meriti, era più strumentale al racconto di un’Italia nella quale venivano a cadere le barriere di classe. Scarfiotti era più scomodo con quella sua aria “da signore”.
I rapporti tra i due piloti erano stati però sempre ottimi, camerateschi e complici, almeno fino alla vittoria di Scarfiotti al Gran Premio d’Italia del 1966. Poi la paura di Lorenzo Bandini di perdere la leadership, tanto faticosamente guadagnata, aveva creato un’atmosfera più tesa nei box e forse anche qualche ordine di scuderia per riposizionare i piloti aveva creato malumori. Chris Amon, loro compagno di scuderia, lo disse chiaramente: soprattutto per quello che riguardava la Formula 1, si erano create due fazioni, frutto anche della pesante pressione che sui piloti veniva fatta da parte di Enzo Ferrari.
Come mai ha scelto di usare la seconda persona per raccontare la vita di Lodovico Scarfiotti e della sua famiglia?
Una delle difficoltà più grosse nello scrivere un romanzo è entrare nei personaggi senza esserne travolti. In una biografia questo rischio non può proprio essere corso, sono uomini veramente esistiti, non possono essere interpretazioni dell’autore. La terza persona aiuta a mantenere le giuste distanze.
Crede che, a quei tempi, la Formula 1 fosse un mondo molto più romantico ma rischioso di quello di oggi, supertecnologico?
Sicuramente. Proprio la metà degli anni ’60 ha segnato però un punto di svolta, che ha allontanato drasticamente dal romanticismo dell’epoca precedente, con l’ingresso massiccio di denaro da parte di nuovi sponsor e di case automobilistiche di grandi possibilità finanziarie. Per quello che riguarda la sicurezza i progressi maggiori credo siano avvenuti negli ultimi vent’anni.
Qual è la sua auto da corsa preferita?
Sicuramente penserei a un prototipo. Una Ferrari P3. Quella con cui Lodovico ha vinto la 1000 km di Spa.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Per il momento prendere un po’ di tempo per sgombrare la mente, anche se già la mia voglia di scrivere mi sta facendo affiorare qualche nuova idea. Scrivere un romanzo probabilmente, magari rigoroso come una biografia.
Fotografie di Gianni Cancellieri.
In cerca di Lodovico Scarfiotti: domande a Paola Rivolta E’ la copertina, la prima cosa che colpisce nel libro “Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld”. Niente casco, né occhiali da pilota, né auto sportiva, o colori vivaci.
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Ridefinire uno spazio pubblico nell’era delle piattaforme digitali è un compito arduo che impegna tutte le componenti sociali. Sul piano delle responsabilità, del rispetto dei diritti e doveri, nelle regole della società tout court, la questione investe un insieme di problematiche costitutive della natura della nostra quotidianità, globale e dinamica. Una realtà di scambio che ha coniato una nuova definizione del concetto di crisi, rovesciandone le coordinate spazio-temporali e generando fenomeni complessi di difficile lettura. Da una prospettiva analitica, per comprendere il quadro sociale nell’attuale fase storica, occorre adoperare adeguati strumenti tecnici di indagine che, tuttavia, da soli non bastano a dare adeguata contezza del presente. Serve (trovare) una nuova coscienza critica per supportare la ricerca costante che il cittadino, più autonomo rispetto al passato, grazie al libero mercato della conoscenza e alle tecnologie che hanno accresciuto il suo repertorio simbolico e discorsivo, deve intraprendere in una pericolosa fase di ripiegamento individualistico e di disimpegno civico. Lo spazio pubblico dunque è un insieme sinergico e problematico, parimenti complesso e in costante (ri)definizione. La maggiore indipendenza del soggetto nella vita pubblica rispetto alle strutture intermedie (partiti, autorità pubbliche, etc.), tuttavia, destabilizza gli assetti fondanti della società, contestando verità un tempo assiomatiche – l’esistenza di una “classe media“, il concetto di “Stato-nazione“. La mobilità, in termini di migrazione e innovazione tecnica, va considerata come framework, dato costitutivo di una attualità storica che si considera, nel repentino mutamento, “liquida”, inattuale e sfuggente all’interno di cornici di significato. Come orientarsi? Sulla base di tali premesse apriamo la conversazione con Andrea Guiso, docente di Storia contemporanea presso l’università di Roma La Sapienza, autore di importanti saggi incentrati sulla funzione dei partiti e sul ruolo dell’informazione nella società.
Cominciamo discutendo della materia di studio del professor Guiso, la storia dell’età contemporanea relegata spesso ai margini nell’attuale dibattito pubblico, a fronte di un interesse storico, crescente tra utenti e spettatori, che alimenta il mercato dell’entertainment (produzioni cinematografiche, televisive, editoriali) e permette, a storici e non, di mostrare la centralità e la vitalità della prospettiva storica nella lettura dei fatti, adattandola, nel linguaggio e nella narrazione, alla nuova dimensione mediale della comunicazione. <<Ci troviamo di fronte ad un paradosso che viviamo da un numero di anni difficilmente quantificabile: c’è una grande domanda di storia e di conoscenza storica, soddisfatta peraltro dai più vari contenuti mediali generalisti, a partire dalle trasmissioni televisive, prodotti di qualità anche elevata. Domanda, offerta e risposta sono ampiamente soddisfatte da parte del sistema informativo>>.
Docente di storia contemporanea, Andrea Guiso si occupa nelle sue ricerche del rapporto tra politica e informazione. Tra le sue pubblicazioni La colomba e la spada (Rubbettino, 2006)
Perché è importante interrogare le conoscenze storiche per comprendere le dimensioni dello spazio pubblico? Nella “costruzione” del dibattito socio-politico e culturale si tende ad eludere la prospettiva storica. Vulnus presente, per la verità, in molti campi del sapere. Cambiamenti tecnologici e nuove dinamiche produttive, hanno orientato il mercato editoriale su un’offerta che coniughi un’informazione di facile fruizione agli odierni tempi di lettura, ascolto e visione. La progressiva marginalizzazione dello sfondo storico come chiave di lettura principale è conseguenza di una compressione spaziale e temporale che modula gli aspetti della dimensione discorsiva pubblica. Ennesima incognita per i professionisti dell’informazione investiti di una responsabilità sociale sempre più incisiva (e decisiva) con l’avvento dei new media. <<Ore ed ore di produzione documentaristica e numerosi canali tematici non bastano: il dibattito pubblico è povero di contenuti storici. Questo è il vero problema. Lo storico non viene più interpellato come esperto di questioni relative alla cosa pubblica che in qualche modo possano offrire soluzioni, idee, delle risposte ai problemi politici attuali>>. Un altro nodo da sciogliere, sottolinea Guiso, è l’uso acritico e finale della storia come risorsa discorsiva. <<Ci troviamo innanzi ad un progressivo scollamento tra una diffusa esigenza di conoscenza storica e del suo uso strumentale da parte della classe politica. La storia, va ricordato, è sempre stata ancella del potere, data la sua forte dimensione narrativa>>. Un distacco che si riflette nei ruoli e nelle regole d’ingaggio degli individui nella sfera politica, dove ciascuno è chiamato a rispettare doveri e responsabilità vigenti nello spazio pubblico. <<Avverto una perdita di importanza dello storico come intellettuale rispetto ai decenni precedenti. Un discorso complesso che investe il ruolo della storia come contributo essenziale alla progettazione del futuro. Il punto interrogativo della nostra civiltà è il seguente: vogliamo una politica pensata attraverso competenze, tecnologie, discipline scientifiche per comprendere la realtà oppure dobbiamo rivolgerci alle idee della filosofia, della storia, delle scienze umane?>>. Difficile trovare una soluzione “integrata” a livello trans-disciplinare. Ne è consapevole Guiso, che evidenzia, sul piano analitico, la preminenza del dominio della prospettiva economica nel dibattito sull’attualità, la quale traccia un quadro problematico incompleto in termini di effettiva rispondenza alle necessità: l’impressionismo dei numeri erode spazio al dialogo delle idee. <<Abbiamo bisogno di una dimensione che non sia misurabile, calcolabile in modo scientifico, che sfugga agli algoritmi. Competenze altamente specialistiche e orientate intorno all’analisi, alla statistica, alla matematica sono il paradosso della contemporaneità e hanno preso il sopravvento su molte altre conoscenze essenziali al dibattito pubblico>>. Linguaggi e strumenti d’indagine, un tempo validi, non sono (più) un supporto utile per le istituzioni pubbliche che hanno visto declinare progressivamente la loro incidenza e il loro ruolo proattivo a vantaggio di altri attori sociali, in particolare media e opinion makers. Da dove partire per recuperare il rapporto tra cittadini e autorità legittimata, oggi sempre più soggetto a nuove insidie? Guiso muove da un’analisi preliminare del quadro sociale, ricorrendo agli strumenti storici. <<La storia è scienza del mutamento e lo storico deve dunque rendersi utile alla società a condizione che sappia leggere i fatti su una scala di lunga durata. Oggi molti storici, soprattutto dell’età contemporanea, si sono appiattiti su una dimensione del tempo di breve termine. Un problema comune a molte scienze sociali. L’università, la ricerca e, per osmosi, il mondo della politica ragionano in un’ottica di breve, brevissimo periodo. In particolare quest’ultima, che deve far fronte alle necessità del mercato elettorale e prendere decisioni che abbiano redditività in un tempo pressoché immediato>>. Short term, dunque, dilemma e realtà odierna: dal momento che lo spazio è livellato in più dimensioni e piani prospettici occorre riappropriarci di una concezione del tempo funzionale alla riflessività, aspetto cruciale per approfondire il discorso politico. <<Il dibattito è costruito su una serie di valori, perlopiù statistico-numerici come Prodotto interno lordo, crescita economica, remuneratività di titoli e obbligazioni: tutta la nostra realtà, in termini di relazioni di potere, si rivolge ad una dimensione presente. Questo rischia di creare un cortocircuito con l’elettorato: nella corsa all’obiettivo immediato si perde la fiducia del cittadino, aspetto necessario per costruire un rapporto duraturo e dare un progetto al futuro, fondato su una visione rivolta alla nostra società nel suo successivo sviluppo>>. Fondamentale pensare al futuro con uno sguardo rivolto al passato e la consapevolezza di vivere in una fase storica contrassegnata da incertezza e mutamento. <<Ragionando in termini concreti: le ricadute attuali rivelano una politica incapace di farsi agente di una trasformazione della società, ma, come soggetto passivo, essa subisce una trasformazione per inerzia. Le domande e le questioni sollevate dai cittadini restano inevase, nonostante l’ampliamento delle piattaforme del dibattito. Il pericolo di una democrazia à la carte che serva ad appagare esigenze immediate è molto forte>>. Il coinvolgimento dei cittadini passa attraverso la funzione delle strutture intermedie, luoghi di formazione dove elaborare idee, in modo coerente, per affrontare sfide e obiettivi da perseguire. <<Per sostenere un efficace discorso politico non servono fantomatiche piattaforme, nelle quali ognuno abbia voce in capitolo senza alcuna distinzione, piuttosto spetta alla classe politica offrire uno spazio ai cittadini, mettendosi innanzitutto in discussione. Un rapporto troppo diretto tra elettorato ed establishment non favorisce un consolidamento vitale per la democrazia, occorre ridare maggiore importanza a quelle strutture che nel corso del Novecento hanno contribuito allo sviluppo civile della società: penso ai partiti, ai sindacati e non solo. Gli alimenti di questo circuito sono responsabilità, conoscenza e libertà>>. La classe dirigente è certamente la più coinvolta nelle dinamiche di questo processo. Tuttavia, ricorda Guiso, l’attenzione va rivolta a più ampio spettro. Lo storico insiste su un approccio integrato tra i vari campi del sapere e le numerose possibilità offerte dalla comunicazione, in termini di mezzi e linguaggio. <<Serve oggi un’interazione tra le diverse sfere della conoscenza, dare contezza del “dove”, del “come” e del “chi”, elementi principali all’interno di una ricerca anche di natura non prettamente storica. Molti scienziati sociali dimenticano l’importanza di questo tipo di articolazione del discorso. Coordinate concettuali e interpretative senza le quali la conoscenza non avanza. E’ necessario un pendolo continuo tra il modello e la rilevazione effettiva di quanto è avvenuto. Solo un riscontro effettivo, esito del dialogo tra scienze generalizzanti, come la storia e scienze specialistiche, come la politologia, la sociologia et cetera, può produrre benefici durevoli. Almeno per quel che riguarda la branca delle scienze umane, è necessario uscire da una dimensione nazionale e rivolgersi ad altre prospettive, allargando lo sguardo per avere una contestualizzazione più ampia dei problemi. Il rischio è quello di assolutizzare delle questioni che, una volta osservate nella realtà, risultano non solo “nostre” o specialmente “nostre”. Molti fenomeni devono essere compresi in una visuale molto più ampia>>. In un mondo “di relazione” come il nostro, rigidità nell’esame della realtà e schemi ideologici, privi di critica e rigore, possono produrre conseguenze dannose per la collettività, influenzando, in negativo, l’opinione pubblica. <<L’uso, spesso sbagliato, che politici, ma anche commentatori e analisti, fanno della comparazione, servendosene come modello normalizzante che risulti virtuoso, finisce per assumere, in modo del tutto acritico, un tipo di modello ideale. Prendiamo la legge elettorale: spesso si fa riferimento alle criticità dei sistemi di voto, problematica molto avvertita in Italia, cercando di proporre soluzioni che guardino ai modelli degli altri paesi. La realtà, non solo italiana, ci insegna che una decisione politica o, appunto, una legge elettorale sono il risultato dei rapporti di potere interni ad una determinata istituzione. La corsa verso un paradigma modernizzante è molto sentita dagli attori nello spazio pubblico. Comparare significa adottare in maniera critica uno strumento che non vada assunto come risolutivo di per sé>>. Spostiamo il focus della conversazione, dopo un’ampia parentesi sul vasto “repertorio di significati” cui devono dotarsi i soggetti attivi nel dibattito pubblico, per concentrarci sullo spazio vissuto dagli individui, nel nostro modo di agire in un’ottica transazionale, nelle dinamiche relazionali e transnazionale, nella progressiva e inesorabile diaspora di idee, esperienze, eventi. <<Dovrebbe risultare automatico, inerziale, il processo che ci vede coinvolti all’interno di un flusso di scambi e conoscenze. La consapevolezza si acquisisce in vari modi: l’educazione e le strutture che la supportano, penso alla scuola e all’università, devono assumere un ruolo di rilievo, aprendosi veramente al mondo attraverso la competizione, importando ed esportando le cosiddette best practices. Nel caso italiano, le eccellenze, nel mondo accademico e della ricerca, nell’industria e in molti altri ambiti, sottolineano la necessità di percorrere un tracciato che dia contezza del passato per progettare il futuro. Per l’Italia c’è stata una fase storica, quella del secondo dopoguerra, che ha mostrato la capacità di dare compiutezza alle diverse dimensioni spaziali e temporali: una classe dirigente di primo livello ha guidato un processo di crescita che, per molte circostanze storiche, è andato progressivamente esaurendosi. Ideali, visione, competenza sono stati tratti distintivi di una stagione politica che, tuttavia, non ha favorito un ricambio al vertice. La frammentazione che ne è seguita in anni difficili per il Paese, culminata con la crisi scaturita da Tangentopoli, ha mostrato un quadro politico molto incerto nei suoi assetti>>. Lo storico evidenzia come mutamenti strutturali, nonché cambiamenti sistemici, abbiano riguardato l’Italia più di altri paesi europei, inserendola in una spirale di profonda instabilità con conseguenti ripercussioni sul tessuto sociale e, di riflesso, nel modo stesso di pensare la società come insieme organizzato. <<In questa difficile transizione, negli anni ’90, si è imposta la questione del rapporto tra politica e tecnica. E’ cresciuto il bisogno di affidare la governance ai tecnici per una serie di motivi. In primo luogo, il rispetto dei vincoli di bilancio e l’allineamento a parametri più restrittivi a livello europeo, che dovevano fungere da garanzia. Solo esperti, economisti, nel nostro caso la squadra dei tecnici della Banca d’Italia, furono le figure individuate per far fronte a questi compiti. Ne è seguita, come conseguenza, un progressivo svuotamento della classe politica ed un impoverimento della cultura politica di fronte a problemi sempre più complessi, di difficile risoluzione e ad una spinta ad efficientare le istituzioni pubbliche. Si è esaurito il fermento all’interno dei partiti, come laboratori di idee e di confronto, di formazione della classe dirigente. La componente culturale, in termini formativi, assume un ruolo sempre più marginale>>. L’ibridazione ha prodotto un progressivo svuotamento dei valori e delle idee, conoscenze settoriali hanno ridotto in scala competenza e proiezione politica. Nel deresponsabilizzare le classi dirigenti un ruolo fondamentale è stato giocato dall’informazione e dal mondo della cultura. <<Colpisce che molti osservatori che dibattono di democrazia e dei limiti che incontra difronte ai tanti poteri e contropoteri interni ed esterni, non facciano riferimento al ruolo dell’informazione, della stampa e della Rete. Tutto ciò mi lascia di stucco: come si fa a parlare di democrazia non menzionando il ruolo dei media e dell’opinioni pubblica? Il mondo della stampa non ha sempre assolto al suo ruolo di “voce fuori dal coro”, di cane da guardia del potere seguendo molto spesso convenienze e gruppi d’interesse. Certamente la situazione differisce nei vari paese: il giornalismo in Italia nasce in una realtà giovane, fatta di molteplici identità politiche e culturali radicate sul territorio; al contempo, esso è espressione ed emanazione diretta del potere di ristrette élites che, specie nell’Italia liberale, andavano a costituire i quadri dirigenziali>>. Una realtà, quella italiana, profondamente disomogenea nata da molteplici contesti di diversa formazione storica, politica e amministrativa, che vede nel rapporto complesso tra le autorità pubbliche e le classi sociali di estrazione alto-borghese il dato costitutivo di una fase storica che ha posto le basi per la costruzione del Paese. <<La politica ha saputo tenere insieme, nelle sue molteplici declinazioni, un potere che ha assunto e sostenuto attraverso il centralismo, l’autonomia, la “mano forte”, disponendo una progressiva amministrazione corporativa del governo, una gestione tramite la mediazione interna allo Stato, tra le istituzioni e le sfere della società>>.
Oggi più che mai, la debolezza strutturale delle istituzioni, nei suoi vari apparati ed un’offerta politica anodina, priva di idealità e di effettivo rinnovamento nei partiti e nella classe dirigente, sono solo alcuni dei problemi rilevati da chi ha il compito di interpretare i fatti e, spesso, non assolve, come ha evidenziato Guiso, ai propri doveri. Non mancano però esempi virtuosi e non meno problematici nel mondo dell’informazione. <<Il Corriere della Sera, soprattutto sotto la direzione di Albertini, è stato un giornale che non solo ha influenzato la politica, ma che ha fatto politica in modo autonomo. Un giornale-partito che durante la Prima Guerra Mondiale, nelle sue prese di posizione anti-giolittiane, ha operato nell’ottica di sprovincializzare l’Italia per darle una dimensione europea e contribuire alla formazione della borghesia. Un quotidiano che ha saputo intessere rapporti molto stretti con il mondo politico, industriale e finanziario del Paese.>> Il concetto stesso di società civile, ricorda lo storico in un altro passaggio, emerge dalla lettura di un quadro sociale in progressivo mutamento: si affacciano sulla scena politica nuove figure, appartenenti al mondo accademico, al movimento pacifista e femminista e, più in generale, a tutte quelle formazioni impegnate nella battaglia per il riconoscimento dei diritti. <<Un arcipelago di personalità>>, spiega lo storico, <<che emerge dall’esterno dei partiti nel momento in cui gli stessi partiti non sono più riconosciuti come rappresentanti più autorevoli di un fermento sociale proveniente dal basso. Non a caso saranno i giornali ad avere un ruolo surrogatorio della politica, progressivamente crescente a partire dagli anni ’80>>. Arrivati a questo punto, non posso non domandare al mio interlocutore la morfologia assunta oggi dai partiti politici. La risposta è una lettura d’insieme che inquadra al meglio l’attuale scenario politico, italiano ed europeo. <<I partiti oggi assumono l’aspetto di comitati elettorali, associazioni che, come nell’800, entrano in funzione e si vitalizzano al momento delle elezioni. La politica ha dei costi difficili da sostenere e la televisione ha permesso di avere una vetrina a basso costo e a ad alto profitto. Siamo sicuri che tutto ciò garantisca un consenso stabile ai governanti? Io credo di no, dal momento che manca l’elemento di consapevolezza che nasce da un dialogo attivo. Una porzione sempre più consistente della popolazione non ha punti di riferimento stabili cui rivolgersi e questo cambia la stessa natura dell’offerta politica>>. Sono molte le tematiche affrontate con il professor Andrea Guiso, motivo non secondario per cui è difficile giungere ad una conclusione che, ad entrambi, fa sorgere nuovi interrogativi e questioni. Quali scenari si prospettano? <<Serve trovare nuove forme di partecipazione? Sarà il web, la Rete? Francamente non abbiamo a disposizione degli strumenti che chiariscano la situazione. La sensazione è che, già negli anni ’80, un mezzo come la televisione non risultava strumento decisivo nell’orientare una proposta politica convincente>>. Una soluzione? <<Leggere, informarsi, acquisire il maggior numero di notizie, dedicando tempo e spaziando, ascoltando voci diverse, confrontando opinioni e punti di vista differenti. Non abbiamo molto tempo per sedimentare le conoscenze. Dobbiamo, questo è fondamentale, non tanto conoscere per sapere su un piano individuale, ma per discutere. E’ questo lo spazio che dobbiamo ritrovare a tutti i livelli, tornando all’essenza del dibattito e dei luoghi istituzionali che ne sono l’espressione diretta. Uno spazio di confronto indispensabile alla discussione dei problemi, alimentato dalle risorse del discernimento e della dialettica politica. La capacità di decisione matura sulla base di questi principi. Ricerca deve diventare l’abito mentale del cittadino per affrontare la realtà>>.
Dentro la politica, oltre la nazione. Lo spazio pubblico al tempo dell’informazione Ridefinire uno spazio pubblico nell'era delle piattaforme digitali è un compito arduo che impegna tutte le componenti sociali.
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