#straziata
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per la prima volta nella mia vita, penso che vorrei tornare indietro nel tempo per fare in modo di non andare avanti nella tua conoscenza, perché dopo averti conosciuto, fatto entrare nella mia vita, essermi fidata di te, mi ritrovo a pezzi, talmente minuscoli che non so se riuscirò a ricompormi. Mi sembra di cadere in un baratro, mi sento vuota e inutile, la mia voglia di vivere è sparita
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Peccato che non si sia ammazzato l'assassino. Avrebbe risparmiato l'agonia e la violenza del processo alla famiglia straziata di Giulia e alla sua.
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Il bambino che passava la giornata e la sera tra uomini e donne, sapendo vagamente, non credendo che quella fosse la realtà, soffrendo insomma che ci fosse il sesso; non annunciava l’uomo che passa tra uomini e donne, sapendo, credendo che questa è la sola realtà, soffrendo atrocemente della sua mutilazione? Questo senso che il cuore si stacchi e sprofondi, questa vertigine che mi squarcia e annienta il petto, nemmeno alla delusione d’aprile l’avevo provata. M’era riservato (come il topo, ragazzo!) di lasciarsi formare quella cicatrice e poi (un soffio e una carezza, un sospiro), l’hanno riaperta e straziata, e aggiunto il nuovo male. Né delusione né gelosia m’avevano mai dato questa vertigine del sangue. Ci voleva l’impotenza, la convinzione che nessuna donna gode con me, che non godrà mai (siamo quello che siamo) ed ecco quest’angoscia. Se non altro, posso soffrire senza vergognarmi: le mie pene non sono piú d’amore. Ma questo è veramente il dolore che accoppa ogni energia: se non si è uomo, […], se si deve passare tra donne senza poter pretendere, come si può farsi forza e reggere? C’è un suicidio meglio giustificato?
Tutta la serenità e l’altruismo e la virtú e il sacrificio cadono alla presenza di due – uomo e donna – che tu sai che hanno chiavato o chiaveranno. Quel loro sfacciato mistero è intollerabile. E se uno dei due è tutto il tuo sogno? Che cosa diventi allora?
Amare un’altra persona è come dire: d’or innanzi quest’altra persona penserà alla mia felicità piú che alla sua. C’è qualcosa di piú imprudente?
C’è qualcosa di piú triste che invecchiare, ed è rimanere bambini. Se il chiavare non fosse la cosa piú importante della vita, la Genesi non comincerebbe di lí.
C’è mai stato un santo che ha salvato una sola persona? Tutti ne hanno salvato molte, hanno svolto una missione, hanno cercato gli infelici, ma qualcuno si è mai fermato a un infelice, chiudendosi in questa tomba? E persino chi ha sacrificato la vita, offrendo il suo sangue per un altro, avrebbe saputo trascorrere tutti i suoi giorni aggiogato a quest’altro, a questo solo?
Se ti è andata male con lei che era tutto il tuo sogno, con chi ti potrà mai andare bene?
Grazie di esistere, Cesare Pavese, che senti come me l'impossibilità straziante dell'unico amore necessario, l'amore assoluto che non interessa a nessuno. A te che hai saputo dirlo, per tutti gli altri che sentono e basta.
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Ho sentito il mio cuore rompersi in mille pezzi dopo aver letto quel messaggio…. È in stazione, la va a prendere, oggi si conosceranno… sono straziata da ciò ci conosciamo da un anno e non mi ha mai detto di andare a trovarlo.
Ho un vuoto in mezzo al petto, bombe nello stomaco.
E mi rendo conto di amarlo davvero quando mi dico che l’importante è che lui sia felice indipendentemente dal fatto che non lo sia con me
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“Quando il gruppo del Laocoonte venne alla luce nel 1506, gli artisti e gli amatori d’arte ne furono letteralmente sconcertati. Vi è raffigurata la drammatica scena descritta anche nell’Eneide: il sacerdote troiano Laocoonte ha ammonito i suoi compatrioti di non accogliere il gigantesco cavallo in cui si nascondono soldati greci; gli dèi, che vedono ostacolati i loro progetti di distruggere Troia, mandano dal mare due giganteschi serpenti che stringono nelle loro spire il sacerdote e i suoi sventurati figli soffocandoli. È il racconto di una delle crudeltà insensate perpetrate dagli dèi contro poveri mortali, tanto frequenti nella mitologia greca e latina. Ci piacerebbe conoscere che effetto facesse la storia dell’artista greco che concepì questo gruppo impressionante. Voleva forse farci sentire l’orrore di una scena nella quale una vittima innocente viene straziata per aver detto la verità? O intendeva mostrarci soprattutto la propria capacità di raffigurare una lotta straordinaria e terrificante tra l’uomo e la bestia? Aveva ben ragione di inorgoglirsi della sua perizia. Il modo con cui i muscoli del tronco e delle braccia rendono lo sforzo e la sofferenza della lotta disparata, l’espressione di strazio nel volto del sacerdote, le contorsioni impotenti dei due fanciulli e la maniera nella quale tutto questo tumulto e movimento si cristallizza in un gruppo statico, hanno sempre riscosso l’universale ammirazione. Ma mi viene il dubbio, talvolta, che si trattasse di un’arte rivolta a un pubblico appassionato anche all’orribile spettacolo delle lotte fra gladiatori. Forse sarebbe un errore farne una colpa all’artista. Il fatto è che probabilmente nel periodo ellenistico l’arte aveva perduto ormai in larga misura il suo antico vincolo con la magia e la religione. Gli artisti si interessavano dei problemi della tecnica in quanto tale, e il problema di rappresentare un tema così drammatico con tutto il suo movimento e la sua espressività e tensione, era proprio una difficoltà atta a saggiare la tempra dell’artista. Se il destino di Laocoonte fosse giusto o meno, lo scultore non se lo domandava neppure.”
-E.H. Gombrich -La storia dell'arte
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Era fragile scorza esposta
al terribile giudizio della luce
e straziata.
-Cit
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Vaga l'Anima Intrisa di Tormento Offuscata tra Sospiri e Angosce Straziata canta con la morte nel Cuore dell'Amore!
RelaxBeach© (Tutti i Diritti Riservati.) 14/01/2024
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Se non sei di Venezia non la conosci
cywo
LA LEGGENDA DEL BOCOLO DI SAN MARCO
Innanzitutto... buon San Marco a tutti!!!!
La data di oggi è importantissima per i veneziani ed il popolo veneto: questa ultramillenaria tradizione (ogni 25 aprile a Venezia, giorno di San Marco santo patrono della città) che risale ai tempi del Doge Orso I Partecipazio (864-881), la cui figlia Maria divenne la protagonista femminile.
Maria aveva occhi così splendenti e meravigliosi che fu soprannominata Vulcana: ella si innamorò di un trovatore, Tancredi, ma le umili origini dell’amato non permettevano ai due di coronare il loro sogno d’amore. Allora Vulcana suggerì a Tancredi di partire per combattere contro gli infedeli, con la speranza che tornasse glorioso e famoso. Tancredi partì e ben presto le notizie delle sue gloriose imprese si diffusero in tutti i territori Cristiani fino ad arrivare a Venezia, che ormai aspettava il ritorno del giovane in patria per accoglierlo con tutti gli onori riservati agli eroi. Ma un brutto giorno Tancredi perì in battaglia e si accasciò su un rosaio, macchiando con il proprio sangue un boccolo di rosa. Privo ormai di forze riuscì a consegnare il fiore ad un messo che lo portò a Vulcana.
Straziata dal dolore, la giovane si ritirò nelle sue stanze: la mattina seguente venne trovata morta con il boccolo di rosa posato sul cuore.
Era proprio il 25 aprile, oggi ❤❤❤
# da Anima Veneta FB
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È bella di una bellezza che essa stessa si è forgiata. Un miscuglio d'incanto e di purezza virtuosa. È fiera come uno allegro di Mozart e cosciente del potere del suo corpo e della sua sensibilità. L'ho incontrata per la prima volta nell'ombra di un corridoio a Billancourt. Non le ho parlato. Ho provato la sensazione confusa che era intelligente, con qualcosa in più. Poiché Romy, è allo stesso tempo una donna radiante e straziata, e sapeva già tutto, ma non aveva mai potuto esprimerlo. Romy è la vivacità stessa, un vivacità animale, con cambiamenti d'espressione brutali, che va dell'aggressività più virile alla morbidezza più sottile. L'ho vista da dietro la macchina fotografica, concentrata, afflitta, che evolve con una nobiltà, un'impulsività, un atteggiamento morale che disturba gli uomini. Non sopporta né la mediocrità né la decrepitezza delle sensazioni. Può dare molto. Giocherà sempre… poiché Romy possiede un viso che il tempo non può distruggere. Può soltanto mutare...
Claude Sautet
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La leggenda della Bora.
La leggenda narra di Eolo il dio del vento, sempre in viaggio con la famiglia.
Tra questi vi era Bora, la più bella tra i suoi figli.
Un giorno, la famiglia arrivò su un altopiano che si affaccia sul mare.
Un luogo incantevole e Bora volle esplorarlo, allontanandosi dal gruppo.
Eccitata ed euforica, iniziò a danzare tra le nuvole, gli alberi, sfiorare i prati e farsi accarezzare dall'erba.
Quando ormai stanca, scorse una grotta in lontananza, pensò bene di rifugiarsi per riposare un attimo.
Entrata nella grotta, si accorse di non essere sola, trovò infatti Tergesteo di ritorno dall'impresa del Vello d'oro.
Tra i due scattò immediatamente la scintilla e passarono in quella grotta tre, cinque, sette giorni di ardente passione.
Nel frattempo Eolo si mise alla disperata ricerca della sua cara figlia,
venne successivamente informato da un nembo scuro dove poterla trovare.
Arrivato alla grotta, Eolo colse i due in flagrante e dalla collera si trasformò in tifone.
La potenza del tifone fu devastante, il corpo del povero Tergesteo, fu sbattuto ripetutamente sulle rocce.
Placata la collera di Eolo, rimase il corpo privo di vita sdraiato a terra.
Bora straziata dal dolore, iniziò a piangere, e le lacrime toccando terra, divennero rocce acuminate.
In preda alla disperazione, Bora mentre piangeva, si mise a correre e soffiare contro qualunque cosa trovasse.
Madre Natura, dispiaciuta dal pianto della giovane e preoccupata per la sorte dell' altopiano, cercò di calmarla.
Trasformò il sangue di Tergesteo nel Sommacco, albero dal particolare colore rosso che ancora oggi adorna questo luogo.
Con l'aiuto delle onde ricoprì il corpo di conchiglie, facendolo diventare un colle.
Ai piedi del colle nacque una piccola città che prese il nome di Tergeste (Trieste) e Eolo per farsi perdonare dalla figlia, le permise di ritornare in questa terra e di rivivere una volta all'anno quei tre, cinque, sette giorni con il suo amato.
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E Dio, se era bella, con le gote accese e le iridi lucenti di quella determinazione. Dio quanto gli faceva male, quanto lo attraeva di una pulsione irresistibile.
Era troppo persino per lui.
Non toccarmi, le avrebbe detto di nuovo, l’avrebbe pregata di nuovo, ma lei gli venne vicino, infranse le sue difese e le sue piccole dita gli bruciarono ancora sulla pelle.
La sua anima straziata si incrinó di meraviglia.
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UNA POESIA DI EULALIA CEFALO
Son sospesa tra cielo e terra col capo chino sulla tua lapide tra le mani una rosa e nel cuore le spine. Son ferme tra i denti le parole represse che non riescono a bagnar le labbra e dagli occhi le stelle sdrucciolano sulle gote rosee tra le rughe plasmate dal tempo. Un vuoto mai colmato amarezza mai sfumata supplica l'anima straziata su questa fredda pietra che gela e scava le ossa, appena adagio la rosa il pensiero, fa silenzio e un bacio affido al vento mentre sono sospesa tra cielo e terra.
Eulalia Cefalo
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Un ricordo.
Ho conosciuto il regista Edoardo Ponti, figlio di Sofia Loren, quando diresse il cortometraggio scritto da me e prodotto da Paola Porrini: "Il turno di notte lo fanno le stelle". Lo girammo in montagna con Nastassia Kinski , Julian Sands, Enrico Lo Verso.
Vinse il Tribeca Film Festival.
Dopo quei mesi Edoardo mi parlò del desiderio di sua madre d'interpretare "La voce umana", il disperato monologo scritto da Cocteau. Una donna parla al telefono con l'amante che la sta abbandonando.
Sullo schermo era già stata portato da Anna Magnani e da Ingrid Bergman.
Sofia Loren come attrice non doveva dimostrare niente né voleva compararsi. Voleva essere quella donna aggrappata al telefono.
Proposi a Edoardo di ambientare a Napoli la stanza. Avrei tradotto dal francese in napoletano il monologo. Così facemmo.
A lei piacque l'idea e la traduzione. Sentiva più sue quelle parole, più fisica la pena per l'abbandono.
Così mi è capitato d'incontrare questa solenne signora del cinema mondiale conversando con lei nella nostra comune lingua madre.
Diceva che le succedeva più spesso di ritornare al napoletano. Nella conversazione passava da quello all'italiano puro, senza accento, con uno scatto naturale. Avveniva con un cambio di voce, come succede anche a me passando da un vocabolario all'altro.
L'uso del suo napoletano stabiliva un'intimità concessa a pochi.
Sentivo nella sua voce l'eco dei grandi personaggi da lei interpretati.
Aveva il portamento della padrona di casa che accoglie l'ospite con il sorriso che annulla ogni distanza. Fin dal primo incontro si comportò come se ci conoscessimo da tempo.
Parlò del caffè, come doveva essere, come riusciva a procurarselo ovunque. Lo mischiò a memorie d'infanzia parlando di Pozzuoli e di sua madre.
A Pozzuoli ci andavo con la mia, la domenica, per il mercato del pesce, il miglior pescato del golfo.
La sua "Voce umana" in napoletano, diretta da suo figlio, ha le modulazioni di frequenza di chi si è fatta largo nella vita col ricordo di ogni umiliazione e ogni sconfitta.
Sono queste le prove da Actor's Studio.
Nel personaggio dell'amante in là negli anni, straziata dal distacco, affiorano le amare privazioni delle origini.
I trionfi, i premi riscaldano il cuore ma non tolgono neanche una spina alle ferite delle mortificazioni, né le risarciscono.
Queste righe sono il piccolo segno di gratitudine per l'occasione di averla incontrata.
Si festeggia il traguardo di un suo decennio. Che sia saldo di salute e di affetti il prossimo.
Erri De Luca
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23 lug 2024 19:36
1. IL 2 AGOSTO 1952 GIANNI AGNELLI FU BECCATO A LETTO CON UNA RAGAZZA DALLA SUA FIDANZATA PAMELA CHURCHILL. INCAZZATA, SI SCAGLIO' CONTRO LA GIOVANE. GIANNI INTERVENNE E RICEVETTE UNO SCHIAFFO IN PIENO VISO. NON SI SCOMPOSE: SALÌ IN MACCHINA CON LA FANCIULLA MA LE SVARIATE RIGHE DI COCAINA FECERO IL LORO EFFETTO E ANDÒ A SBATTERE CONTRO UN FURGONE. I MEDICI SUGGERIRONO L’AMPUTAZIONE DELLA GAMBA STRAZIATA. GIANNI RIFIUTO, PER IL RESTO DELLA VITA AVREBBE AVUTO UNA LEGGERA ZOPPIA 2. LA RELAZIONE SI CHIUSE CON UN COLPO DI PISTOLA SPARATO DA GIORGIO, IL FRATELLO DI GIANNI, SOFFERENTE DI SCHIZOFRENIA. PAMELA FU RAPIDA A CHINARSI E LA PALLOTTOLA ANDO A CONFICCARSI NELLA PORTA, EVITANDO UNA TRAGEDIA E UNO SCANDALO INTERNAZIONALE 3. GIANNI E SUSANNA DECISERO DI FAR RICOVERARE IL FRATELLO IN UN MANICOMIO IN SVIZZERA, DOVE GIORGIO MORI’ A SOLI 35 ANNI – DAL LIBRO “L’ULTIMA DINASTIA” DI JENNIFER CLARK
Estratti dal libro di Jennifer Clark “L’ultima dinastia”, edito da Solferino
Quando conobbe Pamela Churchill, Gianni Agnelli frequentava gia da tempo la Riviera, dove affittava una delle ville piu sfarzose, lo Chateau de la Garoupe, ventotto stanze tra le quali un salotto, una sala da musica, un giardino d’inverno e cinque camere per gli ospiti al solo primo piano. In aggiunta c’erano una sala da biliardo, che dava sulla terrazza affacciata sul golfo di Antibes, una piscina, una sauna e piu tardi il campo da tennis. Il giardino con un accesso diretto al mare garantiva la privacy degli abitanti.
In anni in cui intere abitazioni nella natia Torino erano ancora ridotte a scheletri dopo i bombardamenti, Gianni poteva contare su una rendita di seicento milioni annui e aveva un aereo privato.
Tra Gianni e Pamela l’alchimia fu immediata. Lui era affabile, alla mano e divertente. Pamela aveva un corpo sensuale, era navigata e flirtava con lui con una schiettezza che Gianni
trovava piacevolmente inusuale. Qualche giorno dopo, lui le disse che stava partendo per Capri con Raimondo a bordo del Tomahawk e la invito a unirsi a loro.
……………………………….
All’arrivo a Capri, Gianni e Pamela si fermarono a casa del conte Rudy Crespi, un amico di Agnelli, che offri loro ospitalita – ovviamente in camere separate. Una mattina, andando a bere il caffe in camera di Gianni, il conte lo trovo nudo, come gli capitava spesso in privato.
«Voglio che tu conosca Pam, sono pazzo di lei!» gli disse Gianni.
Pamela entro nella camera, anche lei completamente nuda, e si sedette a gambe incrociate sul letto, fissando il conte dritto negli occhi.
Fu l’inizio della loro storia. Gianni prese due appartamenti adiacenti a Parigi e Pamela trascorse le estati del 1949 e del 1950 con lui allo Chateau de la Garoupe……….
Aveva pero messo in chiaro fin dall’inizio che non l’avrebbe mai sposata. Aveva un futuro gia tracciato all’interno della Fiat, non era libero di decidere cosa fare della sua vita, e dunque la sua liberta era per lui la cosa piu preziosa.
Liberta di muoversi, di agire, di trascorrere il tempo libero come voleva. L’ultima cosa che desiderava era cambiare stile di vita per legarsi a una partner, e men che meno gli interessava la monogamia; disse a Pamela che lei non era il genere di donna docile che avrebbe tollerato le sue plateali infedelta.
Il comportamento di Gianni rifletteva l’educazione ricevuta………. Nelle classi sociali piu elevate, che si trattasse di aristocratici o della ricca borghesia, il matrimonio era una sorta di contratto piu che un’unione sentimentale. Ci si aspettava che Gianni scegliesse una moglie «adatta» per allevare i figli che sarebbero stati eredi delle loro fortune.
La prescelta avrebbe dovuto appartenere alla sua stessa classe sociale, religione e educazione, preferibilmente con scarse o nulle esperienze sessuali e disposta a tollerare discrete infedelta dopo il matrimonio. Non avrebbe avuto altra scelta, dato che il divorzio sarebbe diventato legale solo nel 1970 e faceva comunque scandalo anche nei Paesi in cui era ammesso. Nella cerchia di Gianni, tutto questo era ritenuto normale e la verginita era un valore sociale: Raimondo Lanza di Trabia e Susanna Agnelli non avevano mai consumato il loro amore.
Gianni dimostro presto nei fatti, piu chiaramente che con qualsiasi parola, di non avere alcuna intenzione di sposare Pamela. La loro relazione era appena all’inizio quando lei resto incinta. L’aborto fu organizzato in una clinica di Losanna, e trascorsero la notte in un hotel della citta. Al mattino, mentre facevano colazione, gli scesero un paio di lacrime di rara emozione. Tuttavia, stando alla biografia di Ogden, quando il giorno dopo si incontro con Pamela nell’hotel Villa d’Este, sul lago di Como, «le racconto della stupenda modella che aveva conquistato la sera precedente».
Ciononostante, la relazione prosegui per altri quattro anni, nel corso dei quali Pamela spero di fargli cambiare idea rendendosi indispensabile. Spese con dovizia i soldi di lui per creargli attorno ambienti eleganti e confortevoli, gli stessi a cui lo aveva abituato la madre Virginia. Ma i due non vivevano sotto lo stesso tetto: Gianni stava a Torino e andava a trovare Pamela a Parigi dove le aveva preso un sontuoso appartamento.
Trascorrevano i mesi estivi a La Garoupe, dove, dopo aver cenato insieme, solitamente anche con un gruppo di amici, Gianni usciva verso mezzanotte. Pamela non si sognava di chiedergli dove andasse e cosa facesse: gioco d’azzardo, o nuove conquiste. Lui tornava intorno alle tre del mattino e spesso si alzava alle sette per uscire in barca a vela.
Convinta di poter far capitolare Gianni dimostrando di essere la compagna perfetta, Pamela arrivo persino a convertirsi al cattolicesimo. Ma dopo quattro anni, la relazione comincio a essere logorata da una tensione irresolubile. Le sorelle di Gianni gli ripetevano da anni che Pamela non era una moglie adatta a lui perche era divorziata; per di piu erano convinte che alla donna interessasse la fortuna degli Agnelli.
Una di loro ricordo che una volta, a Capri, la coppia si era fermata ad ammirare delle sciarpe di seta. Gianni ne aveva comprata una per una sorella e aveva chiesto a Pamela quale le piacesse. «Le prendo tutte» aveva risposto lei. Anche la famiglia di Pamela, peraltro, era contraria al matrimonio, perche i ricordi della guerra e dell’Italia fascista erano ancora recenti.
Nell’inverno 1951, Gianni compro una lussuosa proprieta immobiliare, Villa Leopolda, di ventotto stanze….. Questo acquisto, pero, si rivelo sfortunato: creo ulteriori tensioni tra Pamela, che si considerava la padrona di casa, e le sorelle di Gianni, secondo cui aveva passato il segno. L’anno successivo, i due si separarono.
Il 2 agosto 1952 era una deliziosa notte d’agosto a Beaulieu- sur-Mer. Gianni era a un ballo alla Leonina, la proprieta del finanziere, banchiere e avvocato ungherese Arpad Plesch, che prendeva il nome dai due leoni di pietra all’ingresso di uno dei giardini piu belli della Riviera. Pamela era in vacanza.
Come spesso accadeva, l’interesse di Gianni venne attirato da una giovane donna dai capelli scuri, che indossava un abito da cocktail nero con ricami dorati. Anne-Marie d’Estainville, questo era il suo nome, aveva ventun anni – secondo alcuni racconti, solo diciotto – e apparteneva a una ricca famiglia francese, che possedeva una casa a Cap Martin. Anne-Marie aveva gia conosciuto un altro attraente italiano che come lei quell’estate passava da una festa all’altra, ma Gianni, che aveva la fama del playboy, era decisamente piu interessante. Era curiosa. Chissa se davvero era affascinante come dicevano tutti?
Le basto incrociarne lo sguardo e lui le si avvicino, commentando la splendida vista. La notte d’estate comincio a tessere la propria malia. Dopo gli usuali convenevoli, una frase di Anne-Marie cambio per sempre il corso della serata. «Ho sentito che hai comprato la Leopolda.»
«Sei molto ben informata» replico lui. «E il posto perfetto per stare con gli amici.»
«Mi piacerebbe molto vederla» disse Anne-Marie, guardandolo dritto negli occhi e poi abbassando lo sguardo per non sembrare troppo audace.
Cogliendo al volo l’opportunita, Gianni le propose di andarci subito, e saliti in macchina si allontanarono a gran velocita. Poco dopo erano sulla terrazza, con le luci della baia di Villefranche-sur-Mer che brillavano ai loro piedi. Ma aver portato Anne-Marie alla Lepolda fu il primo degli errori che Gianni commise quella sera.
Gianni pensava che Pamela fosse ancora in vacanza in Normandia con Winston, invece era tornata in Riviera e le era stato detto che Gianni era a Torino. Era uscita tranquillamente a cena con degli amici, ma rientrando, poco dopo mezzanotte, aveva trovato Gianni a letto con la giovane Anne-Marie.
I tradimenti di lui avevano gia da tempo logorato la relazione, ma non aveva mai portato a casa le sue conquiste. Vederlo nel loro letto con un’altra donna la turbo profondamente e Pamela si scaglio contro la giovane. Gianni intervenne e ricevette uno schiaffo in pieno viso. Non si scompose: la cosa piu urgente era riportare a casa Anne-Marie. Disse a Pamela che avrebbero potuto discutere della faccenda al suo ritorno. La donna prese un sonnifero e pianse fino a addormentarsi.
Gianni, che non sembrava turbato, torno alla Leonina con Anne-Marie, per recuperare la borsa che lei aveva scordato nella fretta. Entro in casa a cercarla e quando usci, mezz’ora dopo, era scarmigliato con la cravatta slacciata. Sali sulla station wagon, afferro il volante e premette sull’acceleratore. La macchina usci dal cancello sbandando sulla ghiaia e Anne- Marie si rese conto di essere in pericolo. «Per amor del cielo! Vai troppo veloce!» urlo, inutilmente.
Tempo dopo, Gianni avrebbe ammesso che chiunque sia sveglio dopo le quattro del mattino probabilmente ha bevuto troppo, ma secondo alcune voci non era solo ubriaco, bensi anche sotto l’effetto della cocaina. Qualunque cosa avesse fatto, gli sarebbe costata cara. Pochi secondi dopo aver imboccato la litoranea che portava a Monaco, Anne-Marie grido e si copri gli occhi. Si senti lo stridere dei freni e il suono spaventoso delle lamiere che si accartocciavano.
Alle 4.15 del mattino, mentre usciva dalla curva, Gianni perse il controllo dell’auto e ando a schiantarsi contro il furgone di un macellaio impegnato in una consegna.
Gianni era abbandonato contro il volante, privo di sensi, con una gamba straziata e il sangue che gli scorreva sul viso. Anne-Marie riusci a uscire dall’auto distrutta e fermo una macchina che passava. Per sua fortuna era quella di un altro amico che tornava dalla festa e la accompagno a casa. La giovane scivolo nel letto all’alba e non racconto a nessuno della famiglia cosa fosse accaduto.
Nel cuore della notte, Pamela venne svegliata da una telefonata: Gianni, gravemente ferito, era stato portato all’ospedale di Nizza. Quando arrivo stava entrando in sala operatoria, aveva sangue rappreso sul volto e la mascella e la gamba destra a pezzi. Pamela avviso i medici che, stando alle tracce che aveva visto sul comodino, Gianni aveva assunto cocaina, percio venne operato in anestesia locale.
L’operazione pero non ebbe il successo sperato e Gianni venne trasportato a Firenze, con il capo sul grembo di Pamela per l’intera durata del viaggio. Qui lo operarono di nuovo, rimuovendo tessuti cancrenosi, e suggerirono l’amputazione della gamba. Gianni rifiuto, per il resto della vita avrebbe avuto una leggera zoppia.
A quel punto, anche la sua vita privata si fece complicata. In ospedale, Pamela e le sorelle Agnelli si incontravano spesso ed era chiaro che loro la disapprovavano. D’altra parte, non l’avevano mai ricevuta formalmente, nel corso della sua relazione con il fratello, al contrario della famiglia di lei che lo aveva accolto nella proprieta di Minterne Magna.
Il divorzio di Pamela era divenuto effettivo e non ci sarebbero stati ostacoli a impedire il matrimonio, ma nessuna delle due famiglie era favorevole. Quando Marella rimase incinta, la relazione di Gianni e Pamela si chiuse, anche se continuarono a sentirsi e vedersi dopo il matrimonio. Pamela sapeva a cosa andava incontro Marella.
……………………………
Se il gradevole Umberto era il classico giovane equilibrato, l’altro fratello, Giorgio, era un problema da anni e andava peggiorando. Aveva gli occhi azzurri e le lentiggini ed era il piu alto di tutti, e somigliava a Virginia, che aveva sempre avuto per lui una particolare tenerezza. La morte della madre, avvenuta quando lui aveva sedici anni, lo aveva profondamente destabilizzato e il giovane faticava a trovare il proprio posto tra i sei vivaci fratelli. Soffriva per le canzonature sferzanti di Gianni, come racconto la ex fidanzata di lunga data, la poetessa Marta Vio.
Nel 1951, Giorgio aveva abbandonato a meta il corso di laurea a Harvard e aveva cominciato una drammatica discesa nella malattia mentale, probabilmente aggravata dalla sperimentazione di droghe psichedeliche. Senza genitori ad aiutarli e consigliarli, i sei fratelli dovettero trovarsi in grosse difficolta in una situazione del genere, soprattutto dopo l’incidente avvenuto verso la fine della relazione di Gianni con Pamela Churchill, quando Giorgio sparo alla donna, mancandola di poco.
Pamela fu rapida a chinarsi e la pallottola ando a conficcarsi nella porta, evitando una tragedia e uno scandalo internazionale. Gianni e Susanna decisero di far ricoverare il fratello in una struttura psichiatrica in Svizzera, vicino a Rolle, secondo un biografo, quando Giorgio aveva ventiquattro anni, quindi poco dopo il matrimonio di Gianni e Marella.
La famiglia ha sempre preferito non parlare della vita breve e tragica di Giorgio ne della malattia, che sembra essere stata una forma di schizofrenia. Nelle proprie memorie, Susanna parla lungamente di Galeazzo Ciano ma non cita mai il fratello Giorgio.
«Non stava bene. Era ricoverato in una clinica. Era nevrotico, soffriva di un disturbo nervoso. Una volta qualcuno ha detto o scritto che aveva tentato di uccidermi. Non e vero» spiego Gianni nel 1996.
Non e sorprendente, questa rimozione della figura di Giorgio; negli anni Cinquanta la malattia mentale non era ancora stata ampiamente studiata e compresa ed era accompagnata da un fortissimo stigma sociale. Al tempo, le possibilita terapeutiche per il giovane, nel caso fosse stato davvero schizofrenico, avrebbero incluso la psicoterapia e il coma insulinico; fino agli anni Settanta i pazienti venivano ancora sottoposti a procedimenti di lobotomia. I primi antipsicotici vennero messi in commercio negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, troppo tardi per aiutare Giorgio.
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“Quando il gruppo del Laocoonte venne alla luce nel 1506, gli artisti e gli amatori d’arte ne furono letteralmente sconcertati. Vi è raffigurata la drammatica scena descritta anche nell’Eneide: il sacerdote troiano Laocoonte ha ammonito i suoi compatrioti di non accogliere il gigantesco cavallo in cui si nascondono soldati greci; gli dèi, che vedono ostacolati i loro progetti di distruggere Troia, mandano dal mare due giganteschi serpenti che stringono nelle loro spire il sacerdote e i suoi sventurati figli soffocandoli. È il racconto di una delle crudeltà insensate perpetrate dagli dèi contro poveri mortali, tanto frequenti nella mitologia greca e latina. Ci piacerebbe conoscere che effetto facesse la storia dell’artista greco che concepì questo gruppo impressionante. Voleva forse farci sentire l’orrore di una scena nella quale una vittima innocente viene straziata per aver detto la verità? O intendeva mostrarci soprattutto la propria capacità di raffigurare una lotta straordinaria e terrificante tra l’uomo e la bestia? Aveva ben ragione di inorgoglirsi della sua perizia. Il modo con cui i muscoli del tronco e delle braccia rendono lo sforzo e la sofferenza della lotta disparata, l’espressione di strazio nel volto del sacerdote, le contorsioni impotenti dei due fanciulli e la maniera nella quale tutto questo tumulto e movimento si cristallizza in un gruppo statico, hanno sempre riscosso l’universale ammirazione. Ma mi viene il dubbio, talvolta, che si trattasse di un’arte rivolta a un pubblico appassionato anche all’orribile spettacolo delle lotte fra gladiatori. Forse sarebbe un errore farne una colpa all’artista. Il fatto è che probabilmente nel periodo ellenistico l’arte aveva perduto ormai in larga misura il suo antico vincolo con la magia e la religione. Gli artisti si interessavano dei problemi della tecnica in quanto tale, e il problema di rappresentare un tema così drammatico con tutto il suo movimento e la sua espressività e tensione, era proprio una difficoltà atta a saggiare la tempra dell’artista. Se il destino di Laocoonte fosse giusto o meno, lo scultore non se lo domandava neppure.”
(E.H. Gombrich, “La storia dell’arte”, ed. Einaudi)
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sono stanca ma tipo stanca non stanca ma tipo straziata spaccata sconfitta. ho bisogno di un bacio che non sappia di rivoluzione
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