#storia della scienza
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Freud parlava della necessità di scoprire traumi e rimuovere blocchi attraverso la psicanalisi. Celebre è il caso di Anna O., una ragazza idrofoba che divenne tale a causa di un episodio infantile che aveva rimosso. Il trauma andava affrontato, anche a livello inconscio, attraverso lo studio e l'interpretazione dei sogni. Difatti, i sogni rappresentavano, secondo questo autore, la capacità del nostro inconscio di parlarci, superando le resistenze della nostra parte conscia
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foto di Ketut Subiyanto presa dal sito Web di Pexels
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Nato nel 1902 e morto novant’anni dopo, Günther Anders, “uomo di statura media con i capelli castani e gli occhi scuri […] spesso fotografato con gli occhiali e un completo elegante” (ChatGPT), cugino di Walter Benjamin, primo marito di Hannah Arendt, e amico di Stefan Zweig e Bertolt Brecht, ha attraversato tutti i drammi del Ventesimo secolo, traendone una filosofia inquieta che fa emergere la paura a principio di legittima realtà. Allievo di Heidegger, non condividerà mai totalmente la sua critica della modernità tecnica che avrebbe distrutto “la capacità dell’uomo di costruire e abitare nel campo dell’essenziale”. Tuttavia, in L’uomo è antiquato descriverà con finezza la nostra difficoltà a adattare l’immaginazione alle straordinarie produzioni tecniche nate per nostra mano: la tecnica mette soggezione e l’uomo, di fronte alla perfezione degli strumenti che ha creato, prova vergogna della propria contingenza e della propria finitezza. Questa sensazione di pericolo rispetto alla tecnica, quello che proviamo nel vedere ChatGPT scrivere in pochi decimi di secondo il progetto completo di un libro sulla termodinamica di Maxwell, sulla posta in gioco dell’invenzione dei fuochi d’artificio nella Cina imperiale della dinastia Tang, o nel rispondere in modo estremamente misurato a una domanda complessa (per esempio: “La Cina diventerà la prima potenza mondiale?”), questa sensazione Günther Anders ha proposto di chiamarla “vergogna prometeica”.
Se la formulazione è recente, il gioco di fascinazione-repulsione verso le macchine artificiali percorre tutta la nostra storia culturale. È la singolarità auspicata dal ciclo dei Terminator (1994-2019) che mette in scena la presa di possesso del mondo a opera di una IA globale e guerriera nella fase della singolarità tecnologica. Gli intensi dibattiti contemporanei sul divario tra l’essere vivente e la macchina, le nozioni di autonomia e di originalità, il modo in cui le intelligenze artificiali modificano il nostro rapporto con la memoria e la creazione, riformulano le nostre categorie filosofiche, etiche ed estetiche interpellando l’idea stessa di cultura, e sono da considerare a lunghissimo termine. L’IA è un insieme di tecnologie indissociabile dal sogno e dalla fantasia; le sue applicazioni sono l’esito di ideologie e valori remoti, e a volte molto vecchi: l’antichità greca meditava già sulle creature animate ispirate da animali o da esseri umani creati da Efesto, come Talo, il gigante di bronzo che secondo Apollodoro era stato incaricato da Minosse di sorvegliare l’isola di Creta, o come quei primi androidi domestici descritti nel Libro diciottesimo dell’Iliade: “due ancelle d’oro sostenevano il loro padrone, simili a giovinette vive: esse avevano intelligenza [il famoso noos], voce e forza, erano esperte nei lavori delle dee immortali”. Forse questi miti sono nutriti di tecnologie oggi scomparse, come ha ipotizzato Adrienne Mayor in Gods and Robots […].
Nel mezzanino dell’ala Denon, il museo del Louvre conserva un’impressionante maschera totem meccanica, a immagine del dio Anubi con la testa di sciacallo, utilizzata per far parlare la divinità. Il primo trattato sugli automi, del matematico e meccanico greco Erone di Alessandria, risale al 125 d.C. e contribuisce a una fascinazione che attraversa i secoli e le culture – dal celebre uccello animato a vapore creato intorno al 380 a.C. da Archita di Taranto, un amico di Platone, al leone meccanico concepito da Leonardo da Vinci, senza dimenticare gli androidi cinesi della dinastia Zhou capaci di cantare, e la cameriera meccanica inventata dall’ingegnere arabo al-Jazari. Fascinazione che alimenta la fantasia sul potenziale magico delle macchine antropomorfe, di cui i robot contemporanei sono eredi, e che porta con sé sia il turbamento di uno sguardo esterno sulla condizione umana e la sua dimensione meccanica, sia il timore di una grande sostituzione con forme di vita autonome e superiori. La storia culturale alterna narrazioni dell’intelligenza artificiale protettrici (i soldati automatici che custodiscono le reliquie di Buddha evocati nel Lokapannatti indiano) e altre minacciose (il celebre Golem, figura d’argilla che si anima quando le si mette in bocca un foglio con su scritto il nome di Dio), ma che sfidano ovunque l’umanità dell’uomo con prodigi che continuano ad affascinare.
Le applicazioni dell’intelligenza artificiale sono l’esito di ideologie e valori remoti, e a volte molto vecchi.
[…] In realtà, come ha dimostrato Ellen Truitt in Medieval Robots, l’epoca dei cavalieri ha messo ossessivamente in scena gli automi: per fare solo qualche esempio, Lancillotto deve combattere contro degli automi di rame e armati di potenti spade create da “negromante”, e il santuario del Re pescatore dove si trova il Graal è custodito da villani anch’essi di rame. Le “meraviglie” costituite da cavalli di legno volanti o da “pesci-cavalieri” di ferro spaventano i lettori proprio come Biancifiore, la protagonista del romanzo eponimo, che, imprigionata in un giardino, scorge degli uccelli veri intenti a sedurre degli uccelli meccanici, perché ingannati dalla bellezza del loro canto. Ciò che l’inconscio elettronico di ChatGPT forse rimuove è la leggenda nera che circola a partire dal Quattordicesimo secolo secondo la quale Alberto il Grande, celebre filosofo scolastico soprannominato il “Dottore universale”, avrebbe costruito una testa di metallo che parlava e rispondeva alle domande che gli venivano poste. Il suo allievo, il futuro san Tommaso d’Aquino, “Dottore angelico”, si sarebbe spaventato e avrebbe distrutto quella prima intelligenza artificiale con un martello. La scolastica medievale condivideva con ChatGPT il gusto delle quodlibeta, vale a dire delle domande su qualsiasi argomento che dessero luogo a risposte contraddittorie, secondo un meccanismo ben lubrificato, la cui disumanizzazione era fonte di spavento.
La paura di una potenza invincibile e di un’intelligenza artificiale universale che tormenta le nostre distopie contemporanee è nutrita da tutta questa mitologia. Lungi dall’essere isolata dalla scienza, la fantasia vi è intrinsecamente legata, popolando l’immaginario degli ideatori e dei programmatori dell’IA. Yann LeCun, uno degli inventori delle reti convoluzionali, racconta l’influenza che ha avuto su di lui HAL 9000, il computer di fantasia di 2001: Odissea nello spazio, esperienza basilare per il giovane uomo che era e tramite per numerosi ricercatori di IA – come dimenticare il fatto che Norbert Wiener e Marvin Minsky, due padri fondatori dell’intelligenza artificiale, hanno scritto dei romanzi? Come ogni orizzonte di trasformazione radicale capace di sconvolgere le categorie fondamentali delle nostre rappresentazioni (la divisione tra il naturale e l’artificiale, l’animato e l’inanimato, e via dicendo) e le condizioni della nostra vita, promettendo di strappare l’essere umano alla sua solitudine metafisica e alla sua mortalità, e interrogando la nostra individualità e soggettività, l’IA è accompagnata da un’intera cultura della fantasia: pensiamo al cinema, da Metropolis di Fritz Lang (1927) a Ex Machina di Alex Garland, passando per 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Agente Lemmy Caution: missione Alphaville di Jean-Luc Godard, Blade Runner di Ridley Scott, A.I. – Intelligenza artificiale di Steven Spielberg, per citare le opere più significative.
Capaci di sviluppare personaggi di lunga durata permettendo di rielaborare il nostro approccio con l’ordinarietà, le serie tv hanno continuato su questa scia nel momento del trionfo industriale dell’IA: Battlestar Galactica, Raised by Wolves, Mr. Robot, Real Humans, o anche Almost Humans, e molti episodi di Black Mirror arrivano ad analizzarlo da vicino – tra questi in particolare il primo della seconda serie, intitolato “Be Right Back”, che mette in scena la sopravvivenza post-mortem di un giovane uomo grazie a una IA. In quale misura gli umani possono essere guidati da forme avanzate di psicologia sociale assistite dall’IA? Liberarsi della morte nel progetto postumanista non ha forse come contropartita robotizzare gli umani effettuando il loro personale upload? È la domanda posta senza mezzi termini dalla serie Westworld. Dove tutto è concesso.
Non solo la protagonista della serie, Maeve, arriva a prevedere le pulsioni dei suoi clienti e ad anticipare il loro comportamento leggendo dentro di loro alla stregua di una prostituta provetta (vedi stagione 1, episodio 6), ma il parco dei divertimenti è in realtà esso stesso un vasto esperimento di psicologia sociale. È il colpo di scena della prima stagione: la finalità del parco di attrazioni non è tanto insegnare ai robot a comportarsi come gli umani, ma registrare e analizzare una miriade di comportamenti umani individuali per controllarli in seguito attraverso delle IA (i cappelli da cowboy consegnati agli invitati sono in realtà scanner cerebrali). Nelle stagioni 2 e 3, la sfida, alla quale alcuni androidi collaborano con gli umani, sarà impedire che l’umanità finisca sotto il controllo di una IA centralizzata, Rehoboam, capace di prevedere la vita di ognuno e il divenire dell’umanità, identificando al volo gli individui che potrebbero ribellarsi. Il co-ideatore di Westworld, Jonathan Nolan, s’ispira qui tanto a Minority Reportquanto alla serie Person of Interest, da lui stesso creata nel 2011, che dipingeva un mondo di sorveglianza globale attraverso l’IA.
La paura di una potenza invincibile e di un’intelligenza artificiale universale che tormenta le nostre distopie contemporanee è nutrita da tutta questa mitologia.
L’orizzonte è il controllo dell’individuo, ridotto a un software (“un essere umano è solo un breve algoritmo, 10.247 righe di codice”, ci viene spiegato nella stagione 2), mediante un software superiore, quello dell’IA. L’utopia dell’umanizzazione dell’IA è accompagnata dalla distopia della datificazione e disumanizzazione degli uomini, dove avviene una prima forma di avvicinamento tra esseri umani e intelligenza artificiale: quella delle alienazioni. Così, nella fantascienza i temi della schiavitù dei robot, della loro rivolta prometeica e della guerra tra le specie sembrano consustanziali al tema dell’immaginazione delle creature artificiali, come il desiderio sessualizzato nei confronti di una donna artificiale. Ma se possiamo porre domande complesse che vanno al di là delle semplici reazioni di desiderio e di rigetto, lo dobbiamo precisamente a queste serie. La reversibilità della questione della differenza, l’intreccio di quesiti metafisici, le complicità e i complessi legami affettivi tra le specie, le nuove collaborazioni che possono instaurarsi tra loro riguardo a nemici o a progetti comuni, inducono a pensare a nuovi corpi freschi e a intelligenze artificiali al di fuori dei puri rapporti di forza dialettica.
Westworld, mettendo in scena donne vittime del razzismo e del determinismo di genere, è l’esempio stesso di questa convergenza di lotte che traspare fortemente anche in Real Humans. Così come la società di controllo dei racconti è denunciata dal mondo regolato dagli script degli androidi, i determinismi sociali negli umani e le regole del gioco sociale sono messi sotto accusa dalle camicie di forza algoritmiche degli androidi. Quando emergono l’idea di un aiuto reciproco possibile tra umani e non-umani per riconquistare i loro diritti reciproci e una visione della convivenza fondata sul riconoscimento delle differenze, alla questione metafisica della libertà subentra quella affettiva, e la problematica dell’autonomia lascia spazio a quella dell’interdipendenza.
[…] Mentre la gran parte dei francesi vede nell’IA solo una minaccia e gli usi impropri delle IA generative (per creare software pirata, immagini pedopornografiche personalizzate, fake news capaci d’influenzare il corso delle elezioni, e via dicendo) occupano le prime pagine dei giornali, è forse un bene difendere queste narrazioni della convivenza, dell’acclimatamento incrociato, della “diplomazia tra specie”, per impiegare il termine messo in circolazione da Baptiste Morizot a proposito di altri esseri viventi.
Un estratto da Vivere con ChatGPT. E se l’intelligenza artificiale ci rendesse più umani? di Alexandre Gefen (Treccani Libri, 2024). Treccani è l’editore di questa rivista.
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L’Arte dell’Origami: Origine, Storia e Significato di una Tradizione Millenaria
L’origami, l’antica arte giapponese della piegatura della carta, è molto più di un semplice passatempo. Questa pratica, nata nel XVII secolo, racchiude profondi simbolismi e significati che riflettono il viaggio della vita umana.
L’origami, l’antica arte giapponese della piegatura della carta, è molto più di un semplice passatempo. Questa pratica, nata nel XVII secolo, racchiude profondi simbolismi e significati che riflettono il viaggio della vita umana. Origini e Storia dell’Origami L’origami, che letteralmente significa “piegare la carta” (dai termini giapponesi oru – piegare, e kami – carta), ha radici antiche nella…
#Akira Yoshizawa#applicazioni tecnologiche origami#arte giapponese#arte tradizionale giapponese#diffusione dell’origami#filosofia zen#fiore di loto origami#geometria dell’origami#gru di carta#maestri dell’origami#Meditazione#mono no aware#Origami#origami e bellezza#origami e cultura#origami e matematica#origami e meditazione#origami e robotica#origami e scienza#origami moderno#origine giapponese#piegare la carta#senbazuru#significato origami#simbolismo origami#storia dell’arte.#storia dell’origami#tecniche di piegatura#Transitorietà della Vita#trasformazione della carta
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da deriveapprodi: machinalibro.com
MACHINALIBRO Dentro la storia di DeriveApprodi, nasce un nuovo marchio editoriale: MachinaLibro. Il progetto ha le proprie fondamenta nell’esperienza dell’omonima rivista online Machina che dal 2020 – con diciotto sezioni e un migliaio di articoli – ha proposto un campo di riflessione su questioni dirimenti: dalle trasformazioni del lavoro a quelle degli spazi urbani, dalla geopolitica alla…
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dio merda io solo estetica ci tenevo a fare qui porco dio
#ma poi pure morale mi interessa#storia della scienza proprio zero ma ovviamente devo fare quella al primo semestre#logica è 50/50 nel senso che non ci tengo tantissimo ma comunque mai inutile quanto storia della scienza#porco dio#non ci credo che Storia Della Scienza deve essere il mio primo esame or wtv. odio odio odio#non posso fare estetica fino a tipo boh febbraio ????? marzo?????? odio odio odio ODIO
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LA CENSURA AI TEMPI DEI REGIMI DEMOCRATICI
Di Ivan Surace
In perfetto stile orwelliano la neolingua ha coniato un nuovo termine per la censura tanto di moda nei secoli passati: standard della community.
Suona bene vero?
Un termine inc(u)l(o)sivo, comunitario, che ci fa sentire tutti membri dello stesso gregge in maniera allegra e positiva, contro un non meglio precisato nemico che non rispetta gli standard.
D’altronde un secolo di studi e applicazioni di public relations alla Bernays ha portato i suoi frutti, soprattutto da parte di chi ha capito come funziona la massa e che quindi, senza troppi scrupoli, utilizza tutti i mezzi che ha a disposizione per manipolarla a suo piacimento censurando, o meglio facendo scomparire, chiunque e qualunque cosa possa mettere In dubbio la propaganda di regime, la narrazione dominante.
Come ultimo esempio in questi giorni abbiamo la questione climatica.
Vi sarete resi conto di come la propaganda su questo argomento sia cresciuta in maniera esponenziale in questi ultimi anni, parallelamente alla cosiddetta transizione green, che porta con se il passaggio al “tutto elettrico” in ogni campo e alla sostituzione con l’IA, di gran parte della gestione sociale, politica economica e sanitaria della popolazione.
Stiamo assistendo alla conversione coatta della società in un grande allevamento intensivo di ultima generazione, in cui ogni singolo capo di bestiame, trasformato in un pezzo di carne senza personalità né anima, viene controllato in maniera totale e continuativa.
Comunque la si pensi, questo è il futuro che immaginano per l'umanità e che si sta progressivamente attuando in maniera totalitaria, a cominciare dai grandi centri urbani, trasmormati in vere e proprie aziende zootecniche per umani.
Ma torniamo alla questione climatica, l’intesificarsi della propaganda su questo argomento serve a giustificare e a far accettare all’opinione pubblica l’entrata in vigore di leggi e restrizioni normalmente inaccettabili in qualsiasi società democratica.
Quindi la questione climatica é il pretesto, lo storytelling, la fiction, su cui si basa la ricerca di consenso da parte del potere, per imporre il cambiamento antropologico necessario, per realizzare i loro piani di controllo totale della popolazione.
Affinché la fiction sia credibile e possa essere sostituita alla realtà, occorre eliminare tutte le eventuali prove, critiche, controversie, che contrastano, anche minimamente, con la narrazione dominante.
È in ossequio a questa logica che negli ultimi mesi su FB, in maniera discreta e disinvolta, con vera tecnica da desaparecidos, sono stati rimossi diverse pagine e profili che facevano informazione sul clima in maniera non allineata al pensiero unico e dove venivano condivisi studi, grafici e informazioni scientifiche di fondazioni come Clintel o di scienziati come Prestininzi, Scafetta, Prodi, Curry, Lindzen, Spencer, ecc.
La pagina 'Klima e scienza', solo per fare un esempio recente, é stata fatta evaporare non appena raggiunti i 10mila iscritti.
Stessa sorte a profili di privati cittadini e di gestori dei profili sopra menzionati, anch’essi fatti sparire da un giorno all’altro con estrema discrezione, al punto che se uno non ci fa caso, neanche se ne rende conto e tutto continua come se niente fosse accaduto.
La situazione é estremamente pericolosa perche da un lato si procede con le epurazioni senza sosta e dall’altro non vi è nessuna presa di coscienza di quanto stia succedendo.
Se e quando la massa si renderà conto di tutto ciò, sarà già troppo tardi.
Al limite avverrà quando l’identità digitale, il portafoglio digitale e tutte le restrizioni ad essi legate, saranno già legge e routine quotidiana e non penso si dovrà attendere molto.
Se non ci sarà un totale cambio di passo da parte della minoranza non allineata nel lottare contro questo regime, tra i più subdoli e raffinati della storia, la fine della società e dell’umanità per come l’abbiamo sempre vissuta percepita e immaginata sarà certa come la morte.
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| So, we're actually doing this thing now. Gonna translate it in English later (and also color and finish this cover!), for now it's only in Italian :) |
+ PUOI LEGGERLO QUI +
A Madison, tra le aule affollate e i vivaci corridoi della University of Wisconsin, Vlad e Maddie condividono una passione inarrestabile per il paranormale e la scienza. Sotto le stelle, tra racconti di spiriti e leggende metropolitane, il loro amore giovanile sboccia con la forza di un'apparizione notturna.
Ma le cose prendono una piega inaspettata quando un "incidente" orchestrato dal loro comune amico Jack li separa, lasciando Vlad intrappolato in un limbo tra la vita e la morte, trasformato in un'entità non-umana. Vent'anni dopo, il destino li riporta insieme, in un incontro carico di tensione e nostalgia. Maddie, ora una cacciatrice di fantasmi, è decisa a scoprire i segreti che abitano nel suo passato. Vlad, d'altro canto, si nasconde dietro una maschera di apparente normalità, temendo di svelare la verità sulla sua natura non-umana.
Man mano che si rincorrono tra la nebbia e le ombre del loro passato, Vlad e Maddie dovranno affrontare le paure e i demoni che tormentano entrambi. Riusciranno a ritrovare il loro amore, sfidando le leggi del paranormale e le cicatrici del tempo? "Fantasma d'Amore" è una storia di passione, segreti e redenzione, dove ogni spirito ha una storia da raccontare.
Chiudete gli occhi e immergetevi in un mondo dove l'amore supera ogni barriera, persino la morte stessa.
[Un capitolo al giorno, tutti i giorni, finché la storia non sarà finita! Questo è il nostro primo esperimento nella scrittura di un romanzo rosa "leggero"... e ovviamente è paranormale!]
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"Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo considera libertà"
Oswald Spengler, “Il tramonto dell'Occidente”
"Il tramonto dell'Occidente" di Oswald Spengler è un'opera monumentale che si pone come uno dei pilastri della filosofia della storia del XX secolo. Pubblicato in due volumi tra il 1918 e il 1923, il saggio esplora la ciclicità delle civiltà umane attraverso una "morfologia della storia universale".
Spengler propone una visione pessimistica del futuro dell'Occidente, paragonando le civiltà a organismi viventi che attraversano cicli di nascita, crescita, declino e morte. Secondo lui, ogni civiltà possiede un'anima, un ethos che ne guida lo sviluppo e il destino. La civiltà occidentale, caratterizzata da un impulso "faustiano" verso l'espansione e la conquista, si troverebbe, secondo Spengler, nella fase di decadenza, o "Zivilisation", dove i valori culturali e spirituali vengono sostituiti dal dominio del denaro e della tecnica.
La profondità di Spengler sta nella sua capacità di intrecciare filosofia, storia, arte e scienza per creare un quadro complessivo delle dinamiche storiche. Egli non si limita a descrivere il declino dell'Occidente, ma fornisce anche una critica acuta della modernità, evidenziando come la perdita di valori autentici porti a una civiltà vuota e senza scopo.
L'opera di Spengler è stata oggetto di molteplici interpretazioni e controversie, soprattutto per il suo fatalismo e il suo determinismo storico. Tuttavia, non si può negare l'impatto che "Il tramonto dell'Occidente" ha avuto sul pensiero contemporaneo, stimolando riflessioni sul significato della storia e sul destino delle società umane.
La sua opera rimane un testo fondamentale per chiunque sia interessato alla filosofia della storia e alle grandi domande sul futuro dell'umanità. La sua lettura richiede un impegno non indifferente, ma offre in cambio una prospettiva unica e provocatoria sulla storia mondiale e sul nostro posto in essa.
Oswald Spengler è stato un filosofo tedesco nato il 29 maggio 1880 a Blankenburg, Germania. È noto principalmente per il suo lavoro "Der Untergang des Abendlandes" (Il tramonto dell'Occidente), pubblicato tra il 1918 e il 1922, che è considerato un importante contributo alla teoria sociale. Dopo aver conseguito il dottorato all'Università di Halle nel 1904, Spengler lavorò come insegnante fino al 1911, per poi dedicarsi alla scrittura della sua opera principale. Nonostante il successo iniziale, visse in isolamento dopo l'ascesa al potere di Hitler nel 1933 e morì a Monaco il 8 maggio 1936.
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La dimostrazione dell'esistenza di Dio su basi razionali è un tema sul quale si sono cimentati giganti del pensiero, da Anselmo d'Aosta a Gödel, passando per Tommaso d'Aquino, Cartesio, Leibniz e Kant. Ma come è ben noto si tratta di argomenti non conclusivi. Non sorprende dunque che periodicamente si torni sopra questo vecchio problema, evidentemente mal posto.
Tra gli ultimi tentativi il libro di Bolloré e Bonnassies [1] sembra godere di un successo particolare. Pubblicato nel 2021, è stato tradotto in italiano nella primavera del 2024 e continuiamo a leggerne lodi senza riserve sulla stampa e sui media digitali. Il sottotitolo invoca «l’alba di una nuova rivoluzione». Ma c’è ancora qualcosa da dire su questo argomento? Ci sono novità dalla scienza in grado di colmare il vuoto dei tentativi precedenti? Benché il libro abbia venduto molto e attratto un certo interesse, non ci pare che ci siano novità reali rispetto ad Anselmo (morto all’inizio del XII secolo). Ci troviamo semmai solo un uso retorico e inappropriato di alcuni risultati scientifici, insieme a un errore logico comune a tutti gli argomenti a sostegno del cosiddetto “disegno intelligente”.
Qualche coordinata
Gli autori del libro sostengono come ormai, basandosi sulla scienza, sia possibile dimostrare in modo inequivocabile l’esistenza di una divinità creatrice. All’estremo opposto dello spettro c’è chi, come Daniel Dennett, afferma senza mezzi termini che la fede religiosa sia una varietà di malattia della mente [2]. A scanso di equivoci e inutili polemiche, non ci sembra che una tra queste due posizioni debba essere corretta. La religione, più in generale la spiritualità, costituisce sicuramente una dimensione importante per qualcuno, ma questo non ha bisogno di avere una base scientifica. Ed è certamente comprensibile che chi le ha a cuore entrambe trovi stimolante la sfida di giustificare la propria fede su base scientifica. Ma non sempre il mescolamento di fede e scienza produce risultati positivi. Un’osservazione dello psichiatra Giovanni Jervis ci sembra illustrare bene il punto generale: «La nostalgia dell’infinito è rispettabile, ma se non riesce a diventare poesia alta subito diventa qualcosa di più basso e banale, ossia sentimentalismo e retorica». [3]
Bolloré e Bonnassies insistono con una retorica tanto consolidata quanto inconcludente: perché esiste un lungo elenco di importanti scienziati credenti, dimostrare l’esistenza di una divinità creatrice su basi scientifiche è del tutto possibile. Inutile dire che da un punto di vista logico questo argomento non ha alcuna rilevanza. Le convinzioni personali di chi ha fatto la storia della scienza non hanno nulla a vedere con la razionalità. La scienza è un’attività umana, nata per diversi motivi e praticata da persone che hanno vissuto immerse nel loro periodo storico. E così, sfogliando gli annali della storia della scienza, troviamo che i grandi scienziati sono distribuiti su tutte le possibili tipologie umane: atei (Laplace), religiosi (Maxwell), bigotti (Cauchy), eretici (Newton), guerrafondai (von Neumann), pacifisti (Richardson), conservatori (Gauss), rivoluzionari (Landau) e, più vicino ai nostri tempi, anche razzisti e sessisti (categorie egregiamente rappresentate da Watson, ma purtroppo non solo).
Non si tratta però dell’unico argomento di Bolloré e Bonnassies che elaborano una linea di ragionamento da loro stessi etichettata come “rivoluzionaria”. Pur concedendo che per quasi cinque secoli si sono accumulate scoperte scientifiche che suggerivano la possibilità di spiegare l’Universo senza la necessità di un Dio creatore, notano che negli ultimi tempi le cose starebbero andando nella direzione opposta. Un ruolo particolare in questo viene assegnato alla scoperta della termodinamica, da cui segue che l’universo si sta degradando dirigendosi verso una morte termica. Questo è a detta loro un cambiamento radicale di prospettiva, da cui discenderebbe l’esistenza di una divinità creatrice. Anche senza entrare in dettagli di storia della fisica, è opportuno inquadrare certi risultati ben noti nel loro contesto storico: la termodinamica non è esattamente una scienza giovane. Nasce all’inizio dell’Ottocento e la sua completa formalizzazione risale alla fine del diciannovesimo secolo. Analogamente il tema della morte termica, che inizia con un fondamentale lavoro di Ludwig Boltzmann del 1872, è stato un tema discusso ampiamente da grandi scienziati, come Kelvin, già a fine Ottocento. La speranza che la termodinamica costituisca un game changer nelle prospettive di dimostrare l’esistenza della divinità creatrice su basi scientifiche sembra dunque mal riposta.
La prova scientifica non è uno strumento adatto alla teologia
Il problema non è limitato alla termodinamica o alle altre aree della ricerca scientifica menzionate da Bolloré e Bonnassies. Si tratta piuttosto del fatto che, per loro natura, la dimostrazione matematica e la prova scientifica non sono strumenti adatti a dimostrare l’esistenza del Dio che avrebbe creato l’oggetto di indagine della scienza stessa.
Ricordiamo innanzitutto che non esiste alcuna dimostrazione matematica o prova scientifica che non muova da qualche ipotesi la cui verità è data scontata. La bontà di una conclusione scientifica dipende quindi da due fattori: la correttezza del ragionamento e la plausibilità di ciò che si dà per scontato, ovvero le ipotesi. Per questo una parte fondamentale del lavoro scientifico riguarda la giustificazione delle ipotesi.
Nella dimostrazione matematica, si danno per scontate le definizioni e le regole di inferenza. Possiamo, per esempio, concludere con certezza che un numero è dispari (B) se sappiamo che non è pari (A), perché sappiamo che tutti i numeri sono pari oppure dispari (A oppure B). Ma perché lo sappiamo? Perché siamo noi a definire cosa significa per un numero essere pari. E per le stesse ragioni sappiamo anche che tutti i numeri sono pari oppure dispari (se ci mettiamo prima d’accordo su cosa sono i numeri). All’ulteriore domanda su cosa giustifichi quello che stiamo dando per scontato, rispondono millenni di matematica, e tutto ciò che con successo si basa su di essa.
Il ragionamento scientifico sperimentale è più complicato perché sulla verità delle premesse c’è sempre un grado di incertezza che qualsiasi prova scientifica trasmette alla propria conclusione. Quindi tra le molte cose che si danno per scontate nella prova scientifica c’è il concetto di certezza pratica, grazie a cui si compie una mossa apparentemente contraddittoria: assumere la veridicità dei dati raccolti pur sapendo che potrebbero non essere del tutto “veri”. Questo rende qualsiasi ragionamento sperimentale un ragionamento probabilistico.
Con queste premesse possiamo chiederci che forma avrebbero una dimostrazione matematica e una prova scientifica dell’esistenza della divinità creatrice, e cosa darebbero per scontato. Spoiler: darebbero per scontata l’esistenza di qualcosa che assomiglia moltissimo alla divinità (creatrice).
Dimostrazioni matematiche
Per quanto riguarda la prima, la fatica ci viene risparmiata dal più grande tra i logici moderni, Kurt Gödel. Nella sua rivisitazione matematica della prova ontologica di Anselmo troviamo una serie di ipotesi molto forti, tra cui una sulla necessità dell’esistenza di certe proprietà che, nel corso della dimostrazione, portano alla conclusione che esistono necessariamente proprietà del “tipo-divino”. Come tutte le conclusioni ottenute per dimostrazione matematica, anche quella di Gödel è persuasiva nella misura in cui lo è la verità delle sue premesse. A questo proposito lasciamo la parola a un altro logico, certamente meno famoso di Gödel ma tra i più brillanti che abbiamo avuto in Italia, Roberto Magari [2]: «In sostanza [...] Gödel deduce correttamente da certi assiomi la sua tesi (anche se bisogna mettersi d’accordo su che cosa possa significare ‘Dio’), ma non ci sono motivi di credere veri gli assiomi più di quanti ce ne siano per accettare direttamente la tesi».
Prove scientifiche
Quali caratteristiche avrebbe invece una prova scientifica dell’esistenza della divinità creatrice? Sediamoci ancora una volta sulle spalle dei giganti. Uno dei primi esempi di test statistico di un’ipotesi scientifica, oggi uno degli strumenti centrali nella cassetta degli attrezzi della metodologia sperimentale, è stato condotto da John Arbuthnot all’inizio del ‘700. Osservando il registro dei battesimi di Londra dal 1629 al 1710 notò che in tutti gli 82 anni erano stati registrati (e quindi, probabilmente, nati) più bambini che bambine. I dati apparivano in aperto conflitto con l’ipotesi che bimbi e bimbe nascessero con uguale probabilità, proprio come se il sesso fosse il risultato del lancio ripetuto (senza memoria) di una moneta equilibrata. Se diamo per scontate queste ipotesi, allora un calcolo elementare ci fa vedere che la probabilità di osservare più maschi che femmine consecutivamente per 82 anni è molto, molto, molto bassa, 1 su 282. Dunque, conclude correttamente Arbuthnot, è ragionevole assumere l’esistenza di uno squilibrio alla nascita che rende (leggermente, sappiamo ora) più probabile un maschio. Fino a qui tutto bene. Ma Arbuthnot va oltre e si chiede il perché di questo sbilanciamento. Trova la risposta in ciò a cui già crede: la provvidenza divina. Questa, immettendo nella comunità più maschi che femmine, consente (tra le altre cose) alle seconde di osservare il sacramento del matrimonio nonostante le ingenti perdite dei primi, che spesso non ritornano dalla guerra.
La negazione del caso
La riflessione di Arbuthnot, pubblicata su Philosophical Transactions della Royal Society - una delle prime riviste scientifiche moderne - contiene un errore logico che, a quattrocento anni di distanza, ritroviamo sostanzialmente immutato nel tipo di argomento creazionista noto come “disegno intelligente”, e che si ritrova in tutto il volume di Bolloré e Bonnassies. Lo schema è questo. Si parte da osservazioni sperimentali, che chiameremo DATI. Si formula un’ipotesi che cattura l’idea che non ci sia alcuna divinità creatrice, cioè che i DATI che osserviamo siano dovuti al CASO. Poi si calcola P(DATI | CASO), cioè la probabilità di osservare i DATI se è vera l’ipotesi del CASO. Supponiamo infine che sia molto piccola, cioè che è estremamente improbabile che le nostre osservazioni siano frutto della pura casualità. Fino a qui tutto bene, come nel caso di Arbuthnot.
Il problema nasce dal passo successivo, cioè nella scelta di un’ipotesi da intrattenere al posto del CASO per la spiegazione dei DATI. Dal punto di vista logico la risposta è semplice: la negazione del CASO. Ma dal punto di vista pratico-scientifico, non è affatto chiaro cosa significhi di preciso. Torniamo ad Arbuthnot. L’ipotesi CASO è tradotta con l’uguale probabilità di M e F. La sua negazione è data dall’infinita scelta di tutte le coppie di numeri reali non negativi diversi da ½ che sommano a 1. Poiché la probabilità prende valori tra 0 e 1, le scelte possibili sono tante quanti sono i punti della retta. In questa infinità troveremo letteralmente di tutto, e quindi anche la divinità creatrice. Ce lo dice una serie di risultati probabilistici fondamentali che rispondono alla domanda se il disordine può essere fonte di regolarità [5-8]. L'idea è che in una successione binaria che soddisfa una certa definizione precisa di “caso” ci sono, per ogni N, tutte le possibili successioni di lunghezza N di 0 e 1. Quindi se trascrivessimo la Divina Commedia, Guerra e Pace e L’Odissea in codice binario, nella successione a un certo punto apparirà la Divina Commedia seguita da Guerra e Pace, poi apparirà L’Odissea seguita dalla Divina Commedia, poi appariranno i versi alternati della Divina Commedia e de L’ Odissea, e così via attraverso il numero astronomico di tutte le combinazioni che possono venire in mente. La successione binaria associata a un numero a caso tra 0 e 1, quasi sicuramente, contiene più materiale della biblioteca di Babele di Borges, la storia del nostro Universo dal Big Bang ai nostri giorni, e anche tutto quello che succederà fino alla morte termica dell’universo.
L’errore di Arbuthnot, che si ritrova negli argomenti creazionisti fino a quello del libro di Bolloré e Bonnassies, è dunque il seguente. Rigettare un’ipotesi come “la vita è dovuta al caso” significa aprire a un’infinità di ipotesi alternative di cui non ha senso pensare che siano tutte scientificamente rilevanti. Tutt’altro. Giova ricordare che nel ragionamento scientifico la plausibilità delle ipotesi discende dalla fitta rete di fatti che a volte viene chiamata “teoria”. E quando questa non è sufficiente a delineare una spiegazione plausibile delle osservazioni, l’atteggiamento scientifico opportuno è quello di continuare con la ricerca scientifica, oppure sospendere il giudizio. Notiamo, per chiudere con Arbuthnot, che a oggi non c’è consenso su cosa spieghi i dati consolidati sul rapporto tra i sessi alla nascita. E forse la spiegazione potrebbe non esserci.
Improbabilità: usare con cautela
Le prove che fanno leva sull’improbabilità delle osservazioni alla luce dell’ipotesi che viene testata con i dati sperimentali sono alla base della costruzione della conoscenza scientifica. Ma vanno applicate con estrema cautela metodologica. Il loro uso inappropriato, termine con cui si copre tutto lo spettro che va da “con leggerezza” a “in modo fraudolento”, è l’oggetto dell’accesa discussione metodologica sulla significatività statistica [9,10]. Una buona regola euristica emerge però chiaramente. Gli argomenti basati sull’improbabilità dell’ipotesi che si vuole confutare sono tanto meno affidabili tanto più ci si allontana da asserzioni appartenenti ad aree quantitative della scienza. Questo è il motivo per cui in molti sistemi legali si dà opportunamente per scontata la cosiddetta presunzione di innocenza. L’onere della prova, cioè, è a carico dell’accusa e non della difesa. Purtroppo, esistono molti esempi in cui questa norma di civiltà è stata contravvenuta portando a condanne basate non sulla ragionevole probabilità di colpevolezza, ma sull’esigua probabilità di innocenza [7,8].
Riferimenti[1] M-Y Bolloré e O. Bonnassies. Dio. La scienza, le prove. (Ed. Sonda, 2024)
[2] D.C. Dennett. Rompere l’incantesimo (Raffaello Cortina, 2007)
[3] G. Jervis, intervista su Reset, settembre-ottobre 2007, pag.44
[4] Roberto Magari. Logica e teofilia in Kurt Gödel. In: “La prova matematica dell’esistenza di Dio”. 8Bollati Boringhieri Editore, 20069
[5] P. Diaconis and B. Skyrms. Ten Great Ideas About Chance (Princeton University Press, 2018)
[6] C.S. Calude and G. Longo. The deluge of spurious correlations in big data. Foundations of science 22, 595 (2017)
[7] A. Vulpiani. Caso, probabilità e complessità (Ediesse, 2014)
[8] H. Hosni. Probabilità: Come smettere di preoccuparsi e imparare ad amare l’incertezza (Carocci, 2018)
[9] V. Amrhein, S. Greenland, and B. McShane, “Retire statistical significance,” Nature, vol. 567, pp. 305–307, 2019
[10] D. J. Hand, “Trustworthiness of statistical inference,” J. R. Stat. Soc. Ser. A Stat. Soc., vol. 185, no. 1, pp. 329–347, 2022
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Dalla scienza al quotidiano: la delusione di Pietro Luigi Garavelli tra ricerca e quotidianità
Il medico e ricercatore riflette sulla difficoltà di portare avanti progetti culturali e scientifici fuori dal contesto accademico
Il medico e ricercatore riflette sulla difficoltà di portare avanti progetti culturali e scientifici fuori dal contesto accademico. Pietro Luigi Garavelli, medico e ricercatore di lungo corso, racconta con amarezza le sfide affrontate nel passaggio dalla dimensione scientifica accademica a quella della quotidianità. Con oltre quarant’anni di attività clinica e didattica, e una carriera coronata…
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Il 9 maggio 1945 dovrebbe essere considerata come una delle più importanti e cruciali date di tutto il Novecento e anche dell’intera storia umana. Quel giorno memorabile le forze dell’Armata Rossa e delle brigate partigiane sovietiche sconfissero definitivamente i criminali eserciti nazifascisti sul vasto fronte orientale. Senza la straordinaria resistenza sovietica, l’esercito tedesco avrebbe potuto dilagare a Est, impadronirsi delle più preziose materie prime e sconfiggere gli alleati anglo-franco-americani. La Germania nazista era vicina alla realizzazione della bomba atomica e disponeva di una scienza missilistica di almeno 15 anni più avanzata di quella dei suoi nemici. Verosimilmente l’Europa sarebbe diventata un campo di morte, una terra disseminata di campi di sterminio, di camere a gas e forni crematori, non un solo ebreo sarebbe sopravvissuto, i popoli slavi avrebbero conosciuto una nuova schiavitù. Per contrastare questo incubo, i popoli sovietici hanno sacrificato 27 milioni di vite, di cui 12 milioni russe, hanno patito distruzioni e sofferenze inenarrabili e hanno affrontato una guerra il cui scopo era lo sterminio totale, questo era l’intento dichiarato di Adolf Hitler, soggiogare i popoli slavi, sterminare il popolo russo. L’eroismo dei combattenti dell’Armata Rossa e dei cittadini sovietici sfida le più iperboliche narrazioni di epopee eroiche. Si pensi a Stalingrado e se è possibile ancora di più a Leningrado, assediata per tre anni. Nella Venezia del Nord la resistenza dei cittadini oltre che dei combattenti fu sovrumana. In questa grandiosa città gli abitanti e chi li guidava riuscirono a concepire l’inaudito, edificarono una strada, la famosa “Via della Vita”, sul lago ghiacciato Ladoga per portare rifornimenti alla città martoriata. In seguito, a guerra non ancora terminata, appena morto Roosevelt, Henry Truman, nuovo presidente Usa individuò nell’Unione Sovietica il nemico ideale del dopoguerra. Gli apparati di propaganda del governo, del Pentagono e dei servizi segreti statunitensi approntarono un infernale campagna di propaganda basata su una miscela tossica di russofobia e anticomunismo isterico per rappresentare l’Urss come il regno del male. Alcune istituzioni, create espressamente, seminavano le menzogne più infami. L’Europa comunitaria progressivamente sintonizzandosi sulla temperie stelle e strisce ha finito con l’allinearsi alla stessa propaganda, sulla spinta di governi fascistoidi di alcuni paesi dell’Europa dell’Est, fino alla perversione di apparentare comunismo e nazismo con l’intenzione di criminalizzare la Federazione Russa. Tutto ciò ha portato a ignorare artatamente la ricorrenza del 9 di maggio, a gettare l’oblio sul sacrificio di 27 milioni di cittadini russi e sovietici. È nostra intenzione riparare a questa vergogna per restituire onore e giustizia a quegli straordinari esseri umani a cui ogni cittadino europeo e non solo deve imperitura gratitudine.
Moni Ovadia in un brano dell'intervento per la celebrezione della vittoria dell’Armata Rossa sui nazifascisti tenuto nella sede dell'Ambasciata Russa a Roma.
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Il toro di Pasifae e la tecnica
Nel mito di Pasifae, la donna che si fa costruire da Dedalo una vacca artificiale per potersi accoppiare con un toro, è lecito vedere un paradigma della tecnologia. La tecnica appare in questa prospettiva come il dispositivo attraverso cui l’uomo cerca di raggiungere – o di raggiungere nuovamente – l’animalità. Ma proprio questo è il rischio che l’umanità sta oggi correndo attraverso l’ipertrofia tecnologica. L’intelligenza artificiale, alla quale la tecnica sembra voler affidare il suo esito estremo, cerca di produrre un’intelligenza che, come l’istinto animale, funzioni per così dire da sola, senza l’intervento di un soggetto pensante. Essa è la vacca dedalica attraverso la quale l’intelligenza umana crede di potersi felicemente accoppiare all’istinto del toro, diventando o ridiventando animale. E non sorprende che da questa unione nasca un essere mostruoso, col corpo umano e il capo taurino, il Minotauro, che viene rinchiuso in un labirinto e nutrito di carne umana.
Nella tecnica – questa è la tesi che intendiamo suggerire – in questione è in realtà la relazione fra l’umano e l’animale. L’antropogenesi, il diventar umano del primate homo, non è, infatti, un evento compiuto un volta per tutte in un certo momento della cronologia: è un processo tuttora in corso, in cui l’uomo non cessa di diventare umano e, insieme, di restare animale. E se la natura umana è così difficile da definire, ciò è appunto perché essa ha la forma di un’articolazione fra due elementi eterogenei e, tuttavia, strettamente intrecciati. La loro assidua implicazione è ciò che chiamiamo storia, nella quale sono coinvolti fin dall’inizio tutti i saperi dell’Occidente, dalla filosofia alla grammatica, dalla logica alla scienza e, oggi, alla cibernetica e all’informatica.
La natura umana – è bene non dimenticarlo – non è un dato che possa mai essere acquisito o fissato normativamente secondo il proprio arbitrio: essa si dà piuttosto in una prassi storica, che –in quanto deve distinguere e articolare insieme, dentro e fuori dell’uomo, il vivente e il parlante, l’umano e l’animale – non può che essere incessantemente attuata e ogni volta differita e aggiornata. Ciò significa che in essa è in gioco un problema essenzialmente politico, in cui ne va della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è. Il luogo dell’uomo è in questo scarto e in questa tensione tra l’umano e l’animale, il linguaggio e la vita, la natura e la storia. E se, come Pasifae, egli dimentica la propria dimora vitale e cerca di appiattire l’uno sull’altro gli estremi fra i quali deve restare teso, non potrà che generare dei mostri e, con essi, imprigionarsi in un labirinto senza via d’uscita.
8 luglio 2024
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Nell’ottica di Kuhn, una rivoluzione scientifica è la conseguenza di una crisi, quest’ultima determinata dalla falsificazione del paradigma fino ad allora accettato.
Nel periodo della scienza rivoluzionaria, si creeranno paradigmi diversi, e si aprirà una discussione all’interno della comunità…
È interessante notare come la scienzah sostenga di mettere tutto in dubbio, ma quando è essa stessa ad essere messa in dubbio comincia a dare etichette di "eretico", a chiedere tso, impedimenti, arresti, roghi in piazza in nome del principio di fede e autorità (in sé stessa).
Di fatto trattasi della (pseudo)dottrina (pseudo)religiosa, perché di TALE si tratta, più intollerante della storia umana.
(A Different Point of View)
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La stella che brillava più luminosa
C'era una volta, in un piccolo schermo, una stella che brillava più luminosa di tutte le altre. Non era una stella vera, ma un uomo: Piero Angela. Con la sua voce calda e rassicurante, ci portava in un viaggio attraverso l'universo, spiegandoci i misteri della scienza con una semplicità disarmante.
Era come se, con un semplice gesto, aprisse le porte di un mondo sconosciuto e ci invitasse a entrare. Ci mostrava galassie lontane, atomi minuscoli, dinosauri che un tempo dominavano la Terra. E lo faceva con una passione contagiosa, facendoci sentire parte di qualcosa di più grande.
Ricordo ancora quando, da bambino, rimanevo incantato davanti alla televisione, ascoltando le sue parole. Mi sentivo piccolo e allo stesso tempo immenso, come un granello di sabbia in una spiaggia infinita. Ma Piero Angela mi faceva capire che anche quel granello di sabbia aveva un suo posto nell'universo.
Con il passare degli anni, ho continuato a seguire le sue trasmissioni. E ogni volta era come ritrovare un vecchio amico che mi raccontava una nuova storia affascinante. Mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi diversi, a porre domande e a cercare sempre nuove risposte.
Piero Angela non era solo un divulgatore scientifico, ma un vero e proprio maestro di vita. Ci ha insegnato l'importanza della conoscenza, della curiosità e dello spirito critico. Ci ha mostrato che la scienza non è un insieme di formule astratte, ma uno strumento per comprendere meglio noi stessi e il mondo che ci circonda.
Anche se oggi non è più con noi, la sua stella continua a brillare nel cielo della nostra memoria. E ogni volta che guardo le stelle, penso a lui e a tutto quello che ci ha insegnato.
#libero de mente#frase#racconto#vita#morte#Piero Angela#ricordo#anniversario#pensieri#cultura#divulgazione
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Uccidiamo per divertirci, uccidiamo per mangiare.
Uccidiamo per fare soldi, uccidiamo per sciupare.
Uccidiamo per vestirci, uccidiamo per noia.
Uccidiamo per credenze religiose, uccidiamo per volontà inesistenti.
Uccidiamo per la medicina, uccidiamo in nome della scienza.
Uccidiamo per fare trofei, uccidiamo per riempire gabbie.
Uccidiamo per il puro gusto di farlo, uccidiamo per torturare,
uccidiamo senza sapere il motivo.
Abbiamo sempre ucciso sin dalla prima impronta sulla Terra.
Se c'è un verbo che accomuna tutta l'umanità, la storia che ci appartiene ad ogni angolo del Pianeta, questo è uccidere.
Un gruccione abbattuto da un cacciatore e lasciato al suolo.
Ugo Bettio 🌻
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𝗟𝗔 𝗠𝗢𝗥𝗧𝗘 𝗘̀' 𝗜𝗟 𝗣𝗜𝗨̀ 𝗖𝗟𝗔𝗠𝗢𝗥𝗢𝗦𝗢 𝗘𝗤𝗨𝗜𝗩𝗢𝗖𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗦𝗧𝗢𝗥𝗜𝗔 𝗨𝗠𝗔𝗡𝗔
(𝗣𝗿𝗼𝗳. 𝗩𝗶𝘁𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼 𝗠𝗮𝗿𝗰𝗵𝗶)
La morte è il più clamoroso equivoco della storia umana.
Dai più eminenti uomini di scienza dell’ultimo secolo scopriamo che l’Universo è tutto Pensiero e che la Realtà esiste solo in ciò che pensiamo ✨
L’energia è quella manifestazione che fa accadere le cose e gli eventi. Essendo di carattere vibrazionale essa si manifesta in una incommensurabile vastità di forme e di aspetti. Dietro tutte queste apparenze si cela una realtà legata a un campo di frequenze comprese in bande, ciascuna delle quali ha uno sbocco nel panorama delle cose materiali che noi vediamo.
Sofisticate tecnologie dimostrano che l’uomo non muore, quando sembra separarsi dalla sua carica energetica che lo vivifica, perché ciò che si stacca dal soma migra e fluisce verso altre locazioni.
Il nostro apparato sensoriale è limitato e quindi inadeguato a permetterci di percepire la realtà al suo livello più profondo.
Occorre comprendere che l’anima che sta per trapassare non è il corpo, bensì la vita stessa e che la sua natura non è materica ma spirituale e che al contrario del suo corpo psico-fisico non conosce mutamento, né decadimento.
Inconsciamente non possiamo sopportare di morire in quanto sappiamo che non è possibile farlo. Quando l’Io ben centrato ne ha la suddetta visione, allora siamo fuori dal paradigma spazio-temporale.
Il tutto dipende dalla qualità del nostro livello di coscienza.
Se non modifichiamo il nostro atteggiamento mentale, se non cambiamo lo stato della nostra visione del mondo, non potremo scegliere il mondo successivo, ma ci troveremo a ripetere ciò che siamo qui con le stesse difficoltà e le stesse limitazioni.
Il paradiso infine, non è un luogo, ma è una dimensione della coscienza.
Il tempo non esiste.
Quando il tempo incomincia a scorrere? L’etimologia della parola ha una derivazione di origine indo-europea che significa dividere.
Quando nasce il tempo nasce anche il concetto di morte.
Anche il Big Bang non è mai avvenuto
Si è scoperto di recente un “Campo Informazionale” che permea tutto.
È infinito. Non ha inizio e non ha fine. Noi vediamo attraverso i nostri occhi tutte le cose divise, frantumate, separate e invece tutto è Uno. Il viaggio dell’evoluzione è dall’inconscio al conscio.
Quando mi chiedono cosa c’era prima del tempo e della morte rispondo che tutto ciò che esiste è AMORE.
Questa parola non è legata a sentimento, affetto o passione, come lo conosciamo oggi, ma significa A-MORS non morte.
Tutto vive, dall’atomo alla più grande galassia.
Abbiamo verificato che anche le piante e i minerali vivono, su piani diversi.
Tutto è costituito da una sola sostanza, con manifestazioni diverse.
Questa sostanza è fisicamente e psichicamente pensante.
Ilya Prygogine, che è stato il più grande chimico vivente (premio Nobel nel 1977), nel corso delle sue ricerche chimiche della materia organica, si è accorto che ogni molecola viveva e sapeva perfettamente quello che faceva ogni altra molecola a distanze macroscopiche.
Anche nell’esperimento che fece Pauli (fisico) le particelle separate (fotoni) che si trovavano nello stesso livello energetico o stato quantico, pur lanciate a distanze differenti, rimanevano sempre collegate.
Tutto è interconnesso e non-locale (entanglement).
Le informazioni sono istantanee, perché abbiamo scoperto che le particelle come possono essere ad esempio gli stessi elettroni/processo o evento, non sono masserelle solide ed inerti, ma nuclei del tutto inconsistenti che rivelano di essere “un bit concentrato di informazione”, andando così a costituire un campo informazionale.
L’unica cosa solida allora di cui si può parlare di questa materia, che sembrava fatta di “mattoni atomici”, è invece che assomiglia più ad un PENSIERO.
Le onde e le particelle (“ondicelle”) in realtà sono le solite. Esse si trovano sia qui che ovunque, Ciò perchè esse, oltre ad essere se stesse , sono anche lo spazio che intercorre tra loro.
E quindi non hanno neppure alcun bisogno di comunicare tra loro, perchè sono la stessa cosa dello “spazio”.
Ed in più esse non hanno nessuna ragione per doversi connettere, perchè non sono mai state disconnesse o disgiunte.
In sintesi, sono un ologramma, un “Tutto-parte”, una versione su scala più ridotta del Cosmo, dell’ Intero Corpo organico universale. Una goccia concentrata e indissolubile dell’infinito oceano energetico, detto Coscienza non locale.
La Coscienza dunque non sta nel cervello ma nel Campo.
Sia la fisica che la neurofisiologia che la quantistica concordano su questo punto.
Non è il cervello che produce il pensiero, ma è il PENSIERO o COSCIENZA che edifica il cervello.
Max Planck, padre della teoria dei quanti, scioccò il mondo nel 1944 quando affermò che esiste un’unica matrice energetica “intelligente” da cui ha origine tutto, il visibile dall’invisibile.
Con questa implicazione sconcertante il mondo scopriva per la prima volta che Tutto è coscienza.
Abbiamo oggi gli strumenti che possono vedere che intorno a noi esiste un globo luminoso. Un nostro prolungamento (un duplicato immateriale). È stato definito un campo di ultra-luce.
Noi non lo vediamo con gli occhi e anche con gli strumenti possiamo vedere fino ad un certo punto.
Questo campo è milioni di volte più sottile della più sottile materia. Ha una frequenza vibrazionale di 10 alla 26 Hz.
Esso è più sensibile e impressionabile della più sensibile ed impressionabile pellicola fotografica.
Anche la PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia) ha riconosciuto che gli antichi avevano ragione.
Noi siamo un fascio di vibrazioni di cui l’aspetto fisico, la forma fisica è solo il nucleo più denso.
La luce che vedono le persone che hanno esperienze di premorte (NDE), siamo noi stessi, ciò di cui siamo costituiti.
Un fenomeno straordinario, che merita di essere chiamato con il nome di AUTOPSIA (composto da “autos”, stesso e “opsis”, vista), cioè “VISTA DI SE STESSO”.
E l’Autopsicità (quale può essere quella dell’ esperienza totale del Divino) è una situazione che implica la visione istantanea e diretta di una “partitura” in cui figurano tutti gli aspetti del Libro della Vita, cioè di una composizione universale, disposta in più mondi.
Qualcuno ha detto: “Chiarisci il tuo senso e illuminerai il mondo”.
Se vuoi sapere come fare, fai come fece il maestro Zen Poshang.
Quando gli fu chiesto come si cerca la natura del Buddha (Dio), Egli rispose: “È come cavalcare il Bue, in cerca del Bue”.
Prof. Vittorio Marchi
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