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#movies#polls#the boxtrolls#boxtrolls#2010s movies#anthony stacchi#graham annable#laika#requested#have you seen this movie poll
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È così bello quando sei talmente presa dalla lettura da non riuscire a staccarti dal libro.
#e quando ti stacchi continui comunque a pensarci#personale#lettura#libri#leggere#pensieri random#frasi#tumblr italia#piccole cose#belle#assuefazione#libro#fantasy#amicizia#compagnia#amore#romance#hobby#passione
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The Monkey King Trailer
Monkey is on a quest to prove himself by defeating 100 demons with trusty Stick by his side. Granted, his own ego may be the worst enemy of all.
Netflix's The Monkey King is inspired by the Chinese tale. The film stars Jimmy O. Yang (Monkey), Bowen Yang (Dragon King), and Jolie Hoang-Rappaport (Lin). Anthony Stacchi directs from a screenplay by Ron J. Friedman and Stephan Bencich.
The Monkey King hits Netflix on August 18, 2023.
#monkey king#jimmy o yang#bowen yang#jolie hoang-rappaport#anthony stacchi#steve bencich#ron j friedman#netflix#TGCLiz#Youtube
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The Monkey King (2023)
My rating: 5/10
#The Monkey King#Anthony Stacchi#Steve Bencich#Ron J. Friedman#Rita Hsiao#Jimmy O. Yang#Bowen Yang#Jolie Hoang-Rappaport#Youtube
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Ti rendi conto che è stata una giornata impegnativa al lavoro quando stacchi e hai ancora il cellulare a più dell'80%.
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Stacchi il tappo dalla bottiglia Ti ammali Muori
via https://x.com/ilpresidenteh/status/1808488181920092363
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The Monkey King! A new animated feature from Netflix and, more importantly, directed by my good friend and best buddy, Tony Stacchi. It'll be available this Friday, August 18th! I was lucky enough to help out on some storyboarding! It's a huge project lovingly made by a ton of wonderful people. Check it out, everyone!
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Vorrei poterti dire che a volte ancora ti penso ma probabilmente sarebbe ridicolo perché oramai tu non lo fai più da mesi. Vorrei dirti che a volte prima di addormentarmi o quando sono agitata ti ripenso e rileggo i nostri messaggi di quando eravamo felici, di quando tutto era così semplice. Con te non sentivo il peso della vita, era tutto così semplice e reale , quando ero agitata e stavo con te ogni pensiero negativo spariva e in quella piccola macchina, in quel piccolo spazio che riuscivamo a rendere immenso c’eravamo solo noi due, era il nostro piccolo mondo e per ore e ore nessuno esisteva al di fuori più. Vorrei dirti quanto è stato bello, quanto adoravo baciarti e sentire il tuo calore che mi riscaldava nei giorni freddi di ottobre. Vorrei poterti dire che vorrei baciarti ancora una volta, solo per vedere se quando ti stacchi sorridi ancora. Vorrei vederti anche quando sei arrabbiato e non vuoi parlare con nessuno, vorrei sapere se stai ancora sveglio fino alle due di notte a pensarmi perché di ore di sonno ne abbiamo perse entrambi. Vorrei poterti dire che non guardo la tua chat inutilmente sperando in un messaggio che non arriverà mai. A volte vorrei scriverti, ma probabilmente non lo farò. Vorrei poterti dire che ti ho dimenticato, ma purtroppo non è così.
#love#love quotes#love letters#aforismi#frasi#frasi belle#frasi bellissime#frasi dolci#frasi tumblr#frasi vere#frase del giorno#frasi italiane#frasi e citazioni#frasi amore#frasi pensieri#frasi tristi#poets on tumblr#poesia#poesiadistrada#poetry#citazione tumblr#amore tumblr#tumbrl#amore a distanza#amore#ti amo#malinconia#frasi vita#frase bella#le migliori frasi
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Domani e dopodomani, saggi della scuola di musica presso la quale studio e a cui sono obbligato a partecipare.
Stasera ho riprovato i pezzi per conto mio e:
Don't Speak: sicuramente, al 100%, manderò a puttane l'assolo sul palco.
The Loneliest: l'assolo è già un macello nell'originale, può solo migliorare.
Maria: se la cantante si ricorda di cantare e il batterista di 10 anni si ricorda gli stacchi e il pianista si ricorda quando non deve suonare forse viene fuori decente.
Kiss From A Rose: dovrò suonarla alla fine della seconda sera quindi o ubriaco ammerda o possibilmente alla fine delle mie riserve di pazienza.
Sappiatemi sofferente ma in qualche strano modo grato di poter stare, a dispetto del risultato, su una specie di palco di nuovo.
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PAST LIVES
CINEMA
Film: "Past Lives" \\ 18 febbraio 2024
Recensioni ufficiali / personali
Recensione liberamente tratta e adattata dal sito MyMovies.
" Che dici? Lo vado a vedere Past Lives?” mi scrive un amico su Whatsapp.
“Sì, vallo a vedere”.
“Dici? Perché?”.
E così mi passa davanti agli occhi, il film che ho appena visto anch’io. E gli rispondo:
- " Perché ti fa percepire quante storie si possano nascondere dietro le facce delle persone qualunque. Come quei tre che vedi, proprio all’inizio del film, da lontano, come spiandoli un po’, guardandoli appena.
Una donna orientale, un uomo probabilmente dello stesso paese. E un bianco. Un ragazzo americano.
Dietro ogni faccia qualunque, c’è una storia. Ma che storia, quella che racconta questo film qui.
Una grande storia d’amore, una grande storia di rimpianti, una grande storia di destino.
E una piccola storia di silenzi, di occasioni mancate, di vite che scorrono, "sliding doors" che passano, che se ne vanno. E alla fine tu dai a quel percorso, a ciò che è stato e a ciò che non è stato, il nome di destino.
È un film su tre destini, Past Lives.
Ed è un film sull’identità.
Lei, per esempio. Guarda lei.
Quella ragazza coreana, con le sopracciglia grandi e il sorriso come una sciabolata. Lei rappresenta una persona diversa, per il ragazzo coreano alla sua destra, e per l’uomo americano alla sua sinistra. Per uno, è una donna che se ne va: che se ne va dalla Corea, da un paese piccolo per le sue ambizioni. Per l’altro, è una donna che è arrivata, è approdata. Che ha posato le ali a New York. Forse per rimanere, chissà. Ma quello che è straordinario, è che il film disegna la stessa donna. Eppure sono due. Siamo tutti, forse, così. Diversi, secondo chi ci guarda. Immensamente diversi. Non per caso lei ha due nomi: Na Young in Corea, ma Nora Moon appena l’aereo atterrerà sul continente americano.
Non gli ho detto tutto questo, al mio amico su WhatsApp. Il resto, l’ho pensato soltanto. E ho continuato a pensare. Mentre il film continuava a scorrermi in testa. Perché in questi giorni tante persone stanno andando a guardarlo? Non ci sono attori famosi, non ci sono effetti speciali, anche la pubblicità non è stata martellante. Non è Barbie, non è Oppenheimer.
Ma è un film illuminato da una grazia speciale.
È bello, Past Lives, per come costruisce l’amore, il sentimento dell’amore, la sensazione di un legame forte che stringe i due protagonisti coreani. Da quando erano bambini, in quelle strade minuscole di una Corea che sembra tanto l’Italia del dopoguerra, o il mondo di Parasite (guarda la video recensione). I parchi pubblici, strane sculture di pietra. Due bambini che giocano. L’immagine semplice, wendersiana, della felicità.
E poi il tempo, stacchi di tempo di dodici anni, aerei che portano via. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”, dice la madre della ragazzina coreana, che sta per andare via, nel continente americano. Lasciare, trovare. L’impossibilità di tenere tutto insieme. Il tema del film. I destini. Come quella parola che il film accarezza, dissemina, lascia colare lungo le scene del film: quella parola coreana che vuol dire “provvidenza”, ma anche destino: “In-yun”. Destino d’amore. Un destino che ci porta a incontrarci, dopo innumerevoli vite precedenti. E senza bisogno di credere alla reincarnazione, è semplicemente una possibilità infinitesimale che, dopo un numero enorme di incroci del Dna, due persone si trovino nello stesso luogo, nello stesso momento, e si accorgano l’una dell’altra.
Destini che si consumano, dolorosi, ferite interiori brucianti, impercettibili agli altri. Mentre guardi il film, hai la netta sensazione che se incrociassi uno qualunque dei tre protagonisti, per strada o in metropolitana, non ti accorgeresti di niente.
È bello, il film, perché mette in scena una New York inedita, non alleniana e non scorsesiana, non struggente e malinconica, niente foglie su Central Park, e neanche notti buie, luride e feroci. È una New York piovosa, bigia, malinconica come la Bretagna d’inverno, o come Stoccolma nei film tratti da Stieg Larsson.
È bello perché parla della caduta delle illusioni. Lei vuole vincere il Nobel, poi – dodici anni dopo – vuole vincere il Pulitzer. Poi il Tony Award. Capisce che, probabilmente, non lo vincerà. Ma non è quello che conta. Vincere un proprio posto nel mondo è già qualcosa di importante, e lei lo ha capito.
bello, Past Lives, per come costruisce l’amore, il sentimento dell’amore, la sensazione di un legame forte che stringe i due protagonisti coreani. Da quando erano bambini, in quelle strade minuscole di una Corea che sembra tanto l’Italia del dopoguerra, o il mondo di Parasite (guarda la video recensione). I parchi pubblici, strane sculture di pietra. Due bambini che giocano. L’immagine semplice, wendersiana, della felicità.
E poi il tempo, stacchi di tempo di dodici anni, aerei che portano via. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”, dice la madre della ragazzina coreana, che sta per andare via, nel continente americano. Lasciare, trovare. L’impossibilità di tenere tutto insieme. Il tema del film. I destini. Come quella parola che il film accarezza, dissemina, lascia colare lungo le scene del film: quella parola coreana che vuol dire “provvidenza”, ma anche destino: “In-yun”. Destino d’amore. Un destino che ci porta a incontrarci, dopo innumerevoli vite precedenti. E senza bisogno di credere alla reincarnazione, è semplicemente una possibilità infinitesimale che, dopo un numero enorme di incroci del Dna, due persone si trovino nello stesso luogo, nello stesso momento, e si accorgano l’una dell’altra.
Destini che si consumano, dolorosi, ferite interiori brucianti, impercettibili agli altri. Mentre guardi il film, hai la netta sensazione che se incrociassi uno qualunque dei tre protagonisti, per strada o in metropolitana, non ti accorgeresti di niente.
È bello, il film, perché mette in scena una New York inedita, non alleniana e non scorsesiana, non struggente e malinconica, niente foglie su Central Park, e neanche notti buie, luride e feroci. È una New York piovosa, bigia, malinconica come la Bretagna d’inverno, o come Stoccolma nei film tratti da Stieg Larsson.
È bello perché parla della caduta delle illusioni. Lei vuole vincere il Nobel, poi – dodici anni dopo – vuole vincere il Pulitzer. Poi il Tony Award. Capisce che, probabilmente, non lo vincerà. Ma non è quello che conta. Vincere un proprio posto nel mondo è già qualcosa di importante, e lei lo ha capito.
È bello perché riesce a raccontare così bene, nel segmento ambientato negli anni dieci del nostro secolo, la difficoltà e l’emozione delle relazioni a distanza, via Skype. L’improvvisa vicinanza fra continenti che le videochiamate hanno regalato. E, insieme, la concreta, tangibile distanza che ancora rimane. La nevrosi, la schizofrenia che domina anche i nostri anni: essere vicini, così facilissimamente vicini, ed essere ancora lontani, così impenetrabilmente lontani.
È bello perché mostra uomini che soffrono. L’amico coreano che piange, nel gruppo di ragazzi a Seoul, perché è stato lasciato dalla sua ragazza: piange senza ritegno, come un bambino. E non è che un primo segnale della sofferenza vera dei personaggi maschili: quella dei due protagonisti, che si trovano ad amare la stessa donna. E per rispetto, per senso dell’onore, per gentlemen’s attitude, o forse per la vergogna di fare qualcosa di meschino di fronte alla donna che amano, non impediscono all’altro di fare le sue mosse. Il ragazzo coreano frenato da un senso del pudore quasi sacro, e l’ebreo americano liberal, che non può andare contro ai suoi princìpi. Entrambi possono solo attendere che sia lei a scegliere.
È un film bello perché non ha fretta, non ha fretta di fare accadere le cose. Perché si prende il tempo necessario, il tempo necessario a camminare sotto Manhattan Bridge, il tempo necessario a scivolare dal volto di lui al volto di lei, senza tagliare, senza ricorrere al campo/controcampo. Il tempo necessario a percorrere quei metri, quelli che vanno da una casa a un angolo di strada, dove un Uber sta per arrivare. È un film fatto di piani sequenza, un film che respira il respiro dei suoi attori.
Perché questo film sommesso, di una regista al suo esordio, staavendo un successo inatteso, di passaparola? Perché piace sentir parlare della nostra vita, delle nostre paure, del nostro modo di sentire e di amare, anche se nessuno parla in romanesco.
È bello, infine, perché l’amore lo racconta mostrando due persone che stanno nel letto insieme, rannicchiati, con le gambe intrecciate, e non mostrando una scena di sesso, corpi che si avvinghiano, sudore, bagliori e buio.
L’amore può essere anche rifugio, nido, tepore, parole.
“Non ho il diritto di essere arrabbiato”, dice lui, il ragazzo americano, anche se sa che quel ragazzo venuto da un altro mondo, venuto da un altro tempo, ha aperto una voragine enorme nell’anima della sua compagna.
“Tu rendi la mia vita tanto più grande, e mi chiedo se io faccio lo stesso con te”, le dice, mentre sono insieme nel letto. Non c’è forse miglior modo per dire ti amo.
Il film di Celine Song è sottile, sofisticato, e allo stesso tempo semplice, diretto.
Scorre fluido e denso di trasalimenti, di rimpianti, di sguardi al passato e di afflati di futuro come Before Sunset di Richard Linklater – anche lì due mondi, due persone che si ritrovano, e una grande città da attraversare, nella quale perdersi fino a un taxi da prendere – e ricorda, in qualche modo, lo smarrimento e l’oceano di non detti di Lost in Translation di Sofia Coppola: anche quel film perduto nella invalicabile distanza che separa due anime che si riconoscono, e si desiderano.
È anche un film sugli amori adolescenti, sulle vite non vissute, sul sapore amaro del rimpianto.
È un film sull’esperienza, di sconvolgimento e di rinascita, del migrare da un paese all’altro, da una lingua all’altra, da una sé da abbandonare, come una crisalide e una sé adulta, nella quale abitare.
Ed è un film che senti estremamente sincero
Splendide le performance dei tre attori, Greta Lee – non dimenticheremo il suo volto – Teo Yoo e John Magaro.
Lei, che ci fa correre fra i suoi doppi, quando passa dal parlare coreano al parlare inglese, dall’identità coreana a quella “americana”. Lui, Teo Yoo, che da una parte è l’impacciato
Poi leggi che Celine Song è al suo esordio. E ti si rovescia addosso, come una pioggia, la speranza.
Nel cinema, e forse anche nelle sorprese che la vita ti può riservare.
Sì, vallo a vedere il film, amico mio! "
Aggiornamento del 21 febbraio :
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BACK TO THE FUTURE: the animated series
I was working at Disney France when John Hays contacted me, looking for an overseas supervisor for a Saturday Morning cartoon that he'd be directing for Colossal Pictures. I’d done such things before. What interested me about this particular gig was that John wanted the supervisor to firstly work as part of the pre-production team at Colossal. I absolutely loved that idea. So headed to San Francisco to work on the BACK TO THE FUTURE cartoon.
I’d been introduced to John by mutual pal Tony Stacchi while backpacking in the USA a few years earlier. When Colossal diversified from special effects & TV commercials into longer form animation, John remembered me. Thinking my experience in Saturday Morning animation would fit with this new project, that both he & Phil Robinson would direct..
The crew had not fully assembled when I arrived in San Francisco. In fact, it was so early in production that even the look of the show had not yet been locked down. Many freelance artists, including Steve Purcell & Dave Fiess, plus Colossal staffers had a crack at design proposals, and I had a go too.
Colossal had acquired a new building for long form production, but it was still being refit. So, a few of us worked in a cold drafty room at Colossal’s 3rd street building. As the crew expanded, we were housed in a cramped annex in their Custer Street sound stage. Until we finally moved into the facility on 15th street. (That building would eventually host the entire Colossal animation department).
When some designs of mine were selected for the main characters, the plan for me to supervise production in Taiwan was modified. Instead, I became one of two art director/character designers on the series. The mighty John Stevenson being the other.
There was such a back & forth between Colossal & Universal over the main characters (even the actors got involved) that it was hard to do anything truly unique (although I was happy with how Doc Brown turned out). But we definitely had fun on the secondary character designs.
Private Stevenson & Private Baker..
John & I both worked on designs for the first episode together, then took it in turns thereafter. I designed characters on even-numbered episodes, and John designed for odd-numbered episodes. We both sat side by side, cracking each other up with sillier & sillier designs. Joyfully competing as the series progressed. (In my opinion, John utterly killed it with his designs for his ROMAN episode..)
Directors John Hays & Phil Robinson really assembled a mighty crew for this series. Dave Gordon & Richard Moore did the BG styling, with Dave doing a lot of great VisDev too. Robin Steele, and future Pixar heavyweights Bud Luckey, & Joe Ranft did the storyboards. Two more future Pixar legends, Bob Pauley & Bill Cone, led much of the layout & location design. Future LucasFilm directors Bosco Ng, & Steward Lee were stalwarts of the art department. Colour styling was by future CNN design director Dewey Reid, and John Pomeroy animated the title sequence!
After years of living & working in countries where I struggled to learn the language, it was great to finally be in a city where I could actually socialise. I was very lucky to be working with utterly inspiring artists. We often worked late, as we were all excited to be working together.
The pre-pro team was enthusiastic and worked hard, with high hopes for the show. However, by this point in my career I had a pretty good idea of how the Saturday Morning sausage was made. Having worked in the bowels of the sausage factory myself for 10 years by that point. I was hopeful, but also knew that it was anybody’s guess if the show would get the same care at the other end..
A show about a kooky scientist, his young buddy and a time machine had the potential to be absolutely great. The best of Doctor Who and a (family friendly) Rick & Morty. But stories that went to a new time zone each week needed a lot of design. I kept hoping that the scripts would contain less characters & locations. So that we could really refine the model packets. But every script contained tons of NEW characters & locations. Plus new outfits/gear for the main characters too. SIGH..
We'd been promised the 'top floor' animators at Taiwan's Cuckoo's Nest studio, but "Uh oh.." early footage made it clear that we'd gotten the basement crew instead.. "DOH!" Back when I'd supervised outsourcing myself, I learned that if the good artists are already assigned to another project there wasn’t much you could do. So, despite an absolutely stellar design & storyboard team, and early optimism, the show itself came out merely 'OK'. It ran for two seasons on CBS.
It has been one of the counter intuitive aspects of my career that sometimes the fave projects are NOT the best projects.. Despite being merely a footnote in animation history, this was absolutely a linchpin project in my own career, and I have fond memories of it to this day. Many great opportunities that came later were thanks to this show. I met many wonderful artists, who became lifelong friends, who I still work with and/or socialise with, decades later. On this project, I fell in love with San Francisco. And, after living out of a backpack for years, made this kooky town my home. I’d later go on staff at Colossal Pictures, which became my favourite studio I ever worked at. Where I finally escaped from Saturday Morning cartoons, into TV commercials and other more challenging projects.
#cartoons#animation#drawing#character design#back to the future#colossal pictures#marty mcfly#doc brown#visdev#visual development
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Sii paziente; aspetta
Che la parola sia matura
E si stacchi come un frutto
Quando passa il vento e la cattura.
Eugénio de Andrade
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Meno male, dài...
Stanotte mi sono fatto una dormita come non ne facevo da tempo. E ho sognato. Un roba lunga e coerente. Senza stacchi improvvisi. Stramba, eppur coerente nella sua stramberia. Ho cominciato a scuola. Mi sono ritrovato nuovamente al liceo. La scuola mi aveva dato un privilegio. Quello di saltare le lezioni quando mi pareva. Quando sono uscito per tornare a casa, pioveva. E pure forte. Sono salito su un autobus. Guidato da uno che nel sogno sembravo conoscere. E io ero l'unico passeggero. In pratica, un taxi gigante. Rientrato a casa, ho scoperto che la lavatrice stava andando. Solo che nessuno l'aveva accesa. L'appartamento era ridotto a una piscina. Io mi sono messo a piangere (cosa che nel mondo reale faccio solo quando mi sento più che stravolto). Poi mi sono girato a parlare con mia madre, sbucata da chissà dove. L'acqua è scomparsa come per magia. In compenso c'era un minuscolo alieno. Uno di quelli che nei film crescono, si svluppano, diventano praticamente invincibili e alla fine te lo cacciano in quel posto. Non so come, sono riuscito a ucciderlo prima che fosse troppo tardi, per me e per l'umanità. Questa è l'ultima cosa che ricordo. Perchè mi sono svegliato. E ho pensato: meno male che era solo un sogno dei miei.
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- E io? - disse. - Che effetto ti faccio, nella tua cornice, io?
- Tu, - dissi, - ci sei sempre, nella mia cornice. Non te ne vai mai.
- Ti tengo sempre là con me, - dissi, - fra le cose mie, e ti parlo, e tutto continua, come quando siamo insieme qui. Tu invece, mi stacchi da te. Torni là, nella tua Casa Tonda, e non ci sono io. Ogni tanto, ma solo ogni tanto, guardi giù verso la mia casa. Ma solo ogni tanto, e come per sbaglio.
- Io, - dissi, - non ti stacco mai da me. Ti tengo là, fra le cose mie. Se no certe volte, la mia cornice, non potrei sopportarla.
- Pure la sopportavi, - lui disse, - quando non esistevo ancora, io, per te.
- Sì, la sopportavo, - dissi. - Mi pesava, ma la sopportavo. Ma non sapevo, allora, che la vita potesse avere un altro passo. Lo immaginavo, così, vagamente, ma non lo sapevo.
- Non sapevo, - dissi, - che la vita potesse andare di corsa, suonando il tamburo.
[ N. Ginzburg, Cinque romanzi brevi e altri racconti, Le voci della sera. ]
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Il mio allenamento è iniziato male, causa stacchi
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Poi quando ci stai insieme non puoi più staccarti da certe persone perché se ti stacchi da loro ti si staccano dei pezzi di te.
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