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Già allora quelle parole avevano messo addosso a Tomáš una strana malinconia. Si era infatti reso conto all’improvviso che era soltanto un caso se Tereza amava lui e non l’amico Z. E che, oltre al suo amore realizzato per Tomáš, esisteva nel regno delle possibilità un numero infinito di amori non realizzati per altri uomini. Tutti noi consideriamo impensabile che l’amore della nostra vita possa essere qualcosa di leggero, qualcosa che non ha peso, riteniamo che il nostro amore sia qualcosa che doveva necessariamente essere, che senza di esso la nostra vita non sarebbe stata la nostra vita. Ci sembra che Beethoven, in persona, torvo e scapigliato, suoni al nostro grande amore il suo «Es muss sein!». Tomáš ripensava ora a quell’osservazione di Tereza sull'amico Z., e constatò che della storia d’amore della sua vita non risuonava nessun «Es muss sein!», bensì un «Es könnte auch anders sein»: poteva benissimo essere altrimenti.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere
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Pagò, uscì dal ristorante e cominciò a passeggiare per le strade pieno di una malinconia che diventava sempre più bella. Aveva dietro le spalle sette anni di vita passati con Tereza e adesso si rendeva conto che quegli anni erano più belli nel ricordo che non quando li aveva vissuti. L’amore fra lui e Tereza era stato bello ma anche faticoso: aveva dovuto sempre nascondere qualcosa, mascherare, fingere, riparare, tirarle su il morale, consolarla, dimostrarle ininterrottamente il proprio amore, subire le accuse della sua gelosia, del suo dolore, dei suoi sogni, sentirsi colpevole, giustificarsi e scusarsi. Ora, la fatica era scomparsa e rimaneva solo la bellezza.
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere
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E raccontava ora, non per dire all’altra, per chiarire a sé: descriveva il rimanente della lunga giornata di ieri, ma non riusciva a capire che quelle cose sono davvero di ieri tutte, il sogno strano, e la visita di Giuliano, che forse ha visto l’artigliere di Nora, ha fatto una dichiarazione d’amore, lei Dirce ha risposto «ne parleremo domani» (per questo lui ora è venuto), ma poi sùbito l’arrivo di Petronio, e allora tutta la vecchia vita rivangata di sotto in su. Ieri. Anni, anni, anni sono uguali, vuoti e all’ultimo troviamo che sono fuggiti rapidi, Dirce ne ha ventotto, che non è stato più che un soffio di vento dal giardino della Coronata a ieri; e questo solo ieri così gonfio pare lontano, tortuoso, immenso. Il tempo, discesa di fatti minimi; se vi getti dentro un’avventura intensa, lo ingombri e scompigli, intorbidi il ritmo, gli togli ogni verità, è una disperazione. Dirce non sapeva tutto questo; ma sentiva l’assurdo confuso, e tendendo le magre braccia si disperava.
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo
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E Nora ha imparato a ballare: chi la muove più da Colonna? Anche a Dirce insegnano, ma lei ci trova meno piacere. S’accorge d’essere diversa da queste altre. Le parole uomo, giovanotto, non la mandano in delirio. Le parole marito, sposare, le suscitano la immagine di un muro alto bianco senza finestre. La parola amore non le appare una parola tropicale, come alle altre.
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo
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E Vittoria arrivando verso Roma si tende con passione ai pini, agli acquedotti, e scendendo crede di mettere il piede sopra una terra di liberazione e mentre Silvano consegna i biglietti ella entra nel piazzale, impetuosa come si entra in una vita nuova; e Vittoria a Roma vide tante chiese e ville e monumenti e giardini e capiva che l’aria è più lucida e la gente cammina gloriosa: ma non riesce a esaltarsi, sempre corre aspettando e sempre meno sa che cosa aspetti, non capisce più niente, ogni giorno in lei qualche cosa rode più forte; per questo al ritorno Vittoria s’è trovata distratta e sconfitta, lontana da tutto e da sé, un vuoto infinito della vita avvolgerla intorno e non sapere dove uno si afferra per non precipitare nel niente che non ha termine; perché ci vuole molto più e molto meno che Roma per essere vivi.
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo
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Questa improvvisa festevolezza dei colonnesi in quell’occasione mi riesce inesplicabile. Forse essa nasceva in parte dalla distensione che la pioggia notturna aveva portato ai nervi esasperati dalla lunga siccità, e la morte della Gran Vecchia non v’entrò che per una coincidenza. Vero è che in tutte le cose del mondo, e le umane e le naturali, non vi sono coincidenze irragionate; ogni moto, ogni evento, ogni caso anche minimo che accade verso il cielo o sopra la Terra, e il volare d’un insetto o il germinare d’un’erba non meno che una guerra o lo scoppiare della passione nel cuore dell’uomo, tutti sono tra loro connessi come i congegni d’un ordigno impregnato di umana intelligenza; solamente quando saremo morti capiremo, con improvvisa maraviglia, la portata e forse la grande saggezza di tanti atti nostri che credevamo aver fatti per caso, e stimavamo spersi e ineffettuali nella gran costruzione della vita del mondo.
Massimo Bontempelli, Gente nel tempo
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She couldn’t tell them any more than that, could not say, “Yes, it looks silly, doesn’t it, me all dressed up and trying to find the young man who promised to marry me, but what about all of it you don’t know? I have more than this, more than you can see: talent, perhaps, and humor of a sort, and I’m a lady and I have pride and affection and delicacy and a certain clear view of life that might make a man satisfied and productive and happy; there’s more than you think when you look at me.”
Shirley Jackson, The Daemon Lover
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Come dice Wisława Szymborska, che preferiva il ridicolo di scrivere poesie al ridicolo di non scriverne, così anch’io ho preferito il ridicolo di scrivere quella lettera d’amore disperata e patetica al ridicolo di non scriverla. L’ho chiusa in una busta bianca immacolata, poi, nella mia migliore calligrafia, ci ho scritto sopra il nome e l’indirizzo della mia ex. Mi sono vestito, mi sono messo la mascherina, i guanti, le scarpe che avevo lasciato fuori dalla porta e sono sceso al pianterreno. Da lì, obbedendo alla logica del lockdown, non sono uscito in strada. Sono andato nel cortiletto sul retro del palazzo, dove si butta l’immondizia, ho aperto il contenitore giallo, quello per la carta riciclabile, e ci ho lasciato cadere la lettera alla mia ex. Ho ripreso le scale e sono salito a casa. Ho lasciato le scarpe fuori dalla porta. Sono entrato, mi sono tolto i pantaloni e li ho infilati in una busta di plastica, mi sono tolto la mascherina e l’ho messa a prendere aria in balcone, mi sono tolto i guanti e li ho gettati nella spazzatura, quindi, per due interminabili minuti, mi sono lavato le mani. Tutto, assolutamente tutto era fissato nella forma presa dalle cose dopo il grande mutamento.
Paul B. Preciado, Dysphoria Mundi
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Scritta sulla prima pagina di Questa bruma insensata c’era la dedica di Alison: “In questa giornata dei libri, e tra loro anche il tuo, nella quale io e Barcellona ti accompagniamo felici. Ti amo, Alison”. A colpirmi di quella dedica era non solo il “ti amo”, che ora mi straziava il cuore, ma anche l’unione tramite semplice copula, appena una lettera dell’alfabeto, una piccola “e”, delle parole “io” e “Barcellona”, come se Alison si vedesse in tutto simile a una città o se parlasse di Barcellona come di una persona e ci fosse tra loro un’intesa segreta. Voleva forse dirmi che il giorno in cui avesse smesso di accompagnarmi o di amarmi anche la città avrebbe fatto lo stesso? Ora so che quella dedica aveva qualcosa del presagio. Ho cominciato a leggere il libro che stavamo ancora insieme. L’ho finito che ci eravamo lasciati.
Paul B. Preciado, Dysphoria Mundi
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In una biografia, i libri non letti sono l’indice delle aspirazioni frustrate, dei desideri passeggeri, delle amicizie interrotte, delle vocazioni irrealizzate, delle depressioni che strisciano segrete sotto il pretesto del troppo lavoro o della mancanza di tempo, sono a volte maschere che lə falsə lettorə indossa per lanciare segnali letterari, nel tentativo di suscitare la simpatia o la complicità di altrɜ lettorɜ. Altre volte ciò che conta di un libro è solo la copertina, o il nome dell’autore, o appena il titolo, come per le pagine Instagram. In certi casi, i libri non ancora letti sono una riserva di futuro, pezzi di tempo trattenuto, direzioni diverse che la vita potrebbe un giorno prendere. Con il suo ammasso di parole lette, ricordate, dimenticate e non lette, la biblioteca è la protesi testuale dellə lettorə, un corpo narrativo esteriorizzato e reso pubblico.
Paul B. Preciado, Dysphoria Mundi
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Un appartamento è al contempo un privilegio e una forma di controllo sociale, una tecnologia di governo che fissa un vincolo tra un corpo umano e uno spazio, una costruzione sociale tanto quanto lo sono la differenza sessuale o l’assegnazione a una razza. Un’istituzione, una pulsione di morte, una zavorra. Una seconda pelle o un esoscheletro. Un’ortesi. Un carcere e un rifugio. Il loculo d’incubazione della norma sociale. Il giardino artificiale dove si coltiva l’anima. Esco e vado a mangiare una zuppa di soba al ristorante giapponese dietro l’angolo con il desiderio di fuggire e, insieme, con la paura di dimenticare il trucco per aprire la porta.
Paul B. Preciado, Dysphoria Mundi
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Gli inglesi la chiamavano “il male francese”, per i francesi era “il male napoletano” e i napoletani dicevano che era arrivata dalle Americhe, che a portarla erano stati i colonizzatori, contagiati dagli indigeni… Il virus, come ci insegna Derrida, è sempre lo straniero, l’altro, il diverso, e lo è non solo per il corpo, ma anche per la comunità e per il linguaggio della biologia.
Paul B. Preciado, Dysphoria Mundi
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The article was a jagged piece of insanity and I had no idea why the Los Angeles Times was quoting so liberally from this madman’s letter—it was repellent, ghastly, and yet I inhaled it like I was starving because it confirmed something for me and I located the hideous truth being expressed: the secret madness of the world was revealed.
Bret Easton Ellis, The Shards
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I held the door open for Ryan Vaughn, who passed me into the classroom and muttered, “You’re ridiculous,” and I didn’t say anything back. I didn’t let it bother me—I might have fallen in love with him but there was no way for this to happen, to actualize itself in this particular time and place, in the atmosphere at Buckley, in high school, in 1981, so fuck it, go with the counter-narrative. Who cared anyway? It was all bullshit. It felt so cleansing to look at things from this angle. I wanted to be where Susan Reynolds was. And I wanted to write like this as well: numbness as a feeling, numbness as a motivation, numbness as the reason to exist, numbness as ecstasy.
Bret Easton Ellis, The Shards
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I never wanted her to come off as desperate and needy but I now had to take responsibility: I had created this version of Debbie Schaffer in the summer before our senior year and I hated the way she transformed because of her feelings for me—her desire and frustration were real and intertwined and it was all my fault, the false vibes I emanated only encouraged her lust. I was the secretive and not entirely trustworthy boyfriend, the cad, not the bad boy exactly, but the boy who wasn’t there, the incredible shrinking boy. She deserved someone better than me.
Bret Easton Ellis, The Shards
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I shrugged as I usually did whenever she wanted me to do something. To Debbie, I had realized over the summer, the constant shrugging on my part suggested a kind of masculinity—a strong, silent type I was supposedly embodying when, in fact, I just didn’t care. Something died in me while I stood in the administration office on that first day of our senior year when I realized we wouldn’t be graduating until June—there would be ten more months of this pantomime—and a new depression landed on me. I was in a uniform, a costume, pretending to be the boyfriend, taking a year’s worth of classes I had no interest in, disguising myself: I was an actor and none of this was real. This was the takeaway on that Tuesday morning in September.
Bret Easton Ellis, The Shards
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I had always paid attention to Ryan since he was, I thought, beautiful in a gay-fantasy way, a cartoon stud, and he was, like Thom, impossible not to pay attention to because of this, but the problem I’d increasingly noticed with Ryan throughout our high-school years was that, while Thom ingratiated himself with everyone, Ryan was aloof and private, especially for someone that good-looking and with the potential for the equivalence of Thom Wright’s popularity, and at a certain point I began to understand why—it was connected to how I felt. Ryan was me. We were the same. I realized Ryan was, in fact, the closeted jock, the classic cliché that I doubt anyone would’ve believed if I had confided it to them, or if I told everyone what was going to be happening between Ryan and myself the first months of our senior year at Buckley. We had gradually figured something out about each other.
Bret Easton Ellis, The Shards
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