#spartizione
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primepaginequotidiani · 8 days ago
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PRIMA PAGINA Gazzetta Del Sud Messina di Oggi venerdì, 03 gennaio 2025
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abatelunare · 3 months ago
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Tutto si svolgeva come in una commedia, con scambio di parti, intermezzi e piccoli colpi di scena (Piero Chiara, La spartizione).
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tacabanda · 1 year ago
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(via Zirudella del Circolo Polare. Il tesoro dei ghiacci. - FEDERICO BERTI)
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curiositasmundi · 1 month ago
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Nell’arco di 48 ore, dopo la caduta di Assad, Israele: ha inglobato un territorio siriano due volte la striscia di Gaza; ha dichiarato che le alture del Golan, territorio siriano occupato nel 1981, saranno territorio di Israele da qui all’eternità; ha bombardato gli aeroporti militari siriani; ha bombardato e distrutto la marina siriana; ha bombardato i centri di ricerca siriani a Damasco. Mi vengono in mente quelle scene della savana in cui, quando un leone è anziano o ferito, arrivano le iene e lo fanno a brandelli mentre agonizza. Intanto i “terroristi moderati” giunti al potere hanno iniziato, come da programma, a spartirsi un po’ di pezzi della carcassa siriana, inclusa la popolazione civile e i suoi averi. Nel frattempo, caduto il terribile ed oppressivo regime di Assad, non c’è più ragione di permettere ai profughi siriani di fuggire in Europa. Conseguentemente, ora che la libertà è finalmente conquistata, Germania, Austria e Regno Unito hanno bloccato la procedura di richiesta di asilo da parte dei profughi siriani. Una volta che in Occidente avremo finito di congratularci con noi stessi per aver aiutato una volta di più un virtuoso processo di conquista della libertà nei popoli oppressi, magari qualcuno potrebbe spendere un paio di riflessioni nel valutare se sia più libero un cittadino che ripiomba nell’arbitrio ferino di un caos permanente (modello Afghanistan, Iraq, Libia, oggi Siria) o un cittadino sotto un governo di tipo monarchico-imperiale (come il 99% dei governi della storia).
Iniziata la spartizione della carcassa siriana - via
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t-annhauser · 3 months ago
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Siccome ho nostalgia del Lario mi sto leggendo con gusto La spartizione di Piero Chiara, in cui si narra la storia del Primo Archivista Emerenziano Paronzini che con un solo matrimonio guadagna in un sol colpo una moglie e due amanti, tutte e tre sorelle e tutte tre tacitamente d'accordo nello spartirsi il galletto nel pollaio. Sono abbastanza vecchio da ricordarmi il film di Lattuada con Tognazzi, c'era Milena Vukotic, una delle mogli di Fantozzi, che interpretava la sorella minore, c'era la meravigliosa Francesca Romana Coluzzi, una delle sex symbol della commedia scollacciata anni '70, c'era Angela Goodwin, c'era lo stesso Piero Chiara che interpretava uno della compagnia del baretto e Lattuada che interpretava il Dottor Raggi. A fare la via Reggina sul lago di Como, verso Menaggio, si potevano incontrare le stesse atmosfere del lago Maggiore, le stesse ville ottocentesche che trasudavano una tetra eroticità consumata all'ombra di improbabili palmizi mestamente tropicali.
Prossimamente: La stanza del vescovo e Il pretore di Cuvio.
(fun fact: il papà dell'italo-svizzero Piero Chiara era di Resuttano, Caltanisetta, trasferitosi a Luino per fare il doganiere)
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(Piero Chiara, che fu tra l'altro anche vicepresidente del Partito Liberale Italiano, mi somiglia molto a mio nonno e per questo forse gli sono anche naturalmente affezionato)
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gregor-samsung · 8 months ago
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" Re Leopoldo II era ossessionato dall'idea di possedere una colonia, e la sua brama cadde sul bacino del fiume Congo. Per realizzare il suo sogno creò l’Associazione internazionale del Congo e finanziò l’esploratore inglese Henry M. Stanley, che nei suoi viaggi lungo il fiume stipulò una serie di trattati con i capi indigeni in nome dell'associazione. Forte di questo, Leopoldo II si presentò alla Conferenza di Berlino (1884-1885), convocata per tracciare le linee della spartizione europea dell'Africa, e ottenne l’affidamento del bacino del Congo. Il 29 maggio, il re del Belgio proclamò lo “Stato indipendente del Congo”, che diventava così di sua proprietà. Leopoldo II divise quell'enorme territorio in blocchi che affidò a compagnie private, alle quali concedeva il diritto esclusivo di sfruttare tutto quello che poteva essere asportato: avorio, olio di palma, rame, legno tropicale, ma soprattutto il caucciù, molto ricercato in Europa. Per costringere gli africani a raccogliere il caucciù (un lavoro molto pesante) il re istituì un vero e proprio sistema di terrore. Se un villaggio si rifiutava di obbedire (il lavoro non era retribuito!), arrivava la milizia delle compagnie che bruciava le capanne e sparava a vista, uccidendo tutti, donne e bambini. Per assicurarsi che i soldati avessero realmente usato le cartucce per uccidere le persone, gli ufficiali esigevano che tagliassero le mani delle vittime e le consegnassero poi al commissario, che le avrebbe contate. Un orrore in nome del profitto, del caucciù! Fu una carneficina che ridusse la popolazione del Congo da circa venti a otto milioni nel 1911. Durante il regno di Leopoldo II molti missionari, soprattutto belgi, andarono a portare il Vangelo in Congo e costruirono chiese, scuole, dispensari: “Eppure,” scrive nel suo studio The Sacrifice of Africa il teologo ugandese Emmanuel Katongole, “il ruolo del cristianesimo rimase quasi invisibile”. Il cristianesimo occidentale riteneva che il suo campo di competenza fosse il campo “spirituale�� e “pastorale”, mentre allo Stato toccava l’aspetto politico. Secondo Katongole è stato questo il tipo di cristianesimo portato in Africa. "
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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klimt7 · 11 months ago
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Sergio Mattarella
Che a ventiquattr’ore dai fatti si rivolge con un comunicato del Quirinale non agli studenti, in maggioranza minorenni, che manifestavano a Pisa.
No. Mattarella si rivolge al ministro dell’Interno, il capo delle forze di polizia.
Gli dice dai, smettetela — proprio come il suo predecessore disse ai manifestanti ristabilendo finalmente chi è chi, chi ha il compito di fare cosa.
Una specie di restituzione, di risarcimento.
Sono poche righe, sei righe.
Le parole sono importanti, al Quirinale si pesano e si misurano.
Facciamo dunque l’esegesi del testo come da ragazzi a scuola, come fosse una terzina dantesca.
Cosa ha fatto ieri il Presidente della Repubblica? Leggiamo.
“Ha fatto presente al Ministro dell’Interno” (si chiama Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno. È originario della provincia di Avellino. È un prefetto. È un tecnico, in questo governo “vicino alla Lega”, così si dice. “Vicino” perciò nella spartizione, indicato come ministro da Matteo Salvini, del quale ha assecondato le politiche ostili all’accoglienza degli immigrati, per esempio, fino al disastro di Cutro.
Mattarella lo ha chiamato al telefono?
Certo. Immaginate il momento.
"Ministro, il Presidente è in linea"
Che piacere! Dica, Presidente...)
Il comunicato, rileggiamolo da capo.
“Il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno, trovandone condivisione”.
"Trovandone condivisione". Capolavoro.
(Per tutto il tempo, questo significa il testo in ogni vocabolo ponderato, il ministro ha detto ma certo, assolutamente, senz’altro Presidente, è esattamente così).
Di cosa, Piantedosi ha trovato condivisione?
Del fatto — continua il testo del Quirinale — che “ l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli”.
(Immaginare qui la faccia del ministro all’altro capo del telefono.
...Forse un sorso d’acqua. Riflettere sull’implicito devastante riferimento alla distanza che corre fra autorità e autorevolezza. Non sei ganzo se sei forte, se meni e insegui e rompi il naso ai ragazzini con lo zaino. Sei ganzo se sei autorevole e non hai bisogno di menare. La parola “manganelli” in un comunicato della presidenza della Repubblica, inaudita. Rimandi di memoria, per chi ne ha, a Giovanni Gentile ministro dell’istruzione nel Ventennio-matrice. “La predica e il manganello”. La Storia che sempre ritorna).
Non si misura, l’autorevolezza, sui manganelli — dice come un faro Mattarella — “ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”.
Perché difatti assicurare ordine e sicurezza è compito vostro, per questo si chiamano Forze dell’Ordine.
(Immaginare il "sì...sì... certo Presidente. C’è stata qualche “difficoltà operativa” ma gli agenti responsabili degli abusi, quelli che hanno inseguito e preso a manganellate — talvolta ridendo, sì lo so che ci sono i video dei telefoni, ma le assicuro che quelli che hanno fratturato la faccia ai ragazzini che scappavano nei vicoli di Pisa saranno identificati e sanzionati.
Ecco, molto bene. “Al contempo”. Riflettere su al contempo. Tu, ministro, devi assicurare l’ordine ma non puoi intanto, al contempo, non garantire la libertà di manifestare il pensiero. Ti è chiaro?
Senz’altro è chiarissimo Presidente).
Poi la pietra tombale.
“Coi ragazzi i manganelli esprimono un fallimento”.
Una frase da tatuare.
Pensa che picchiarli serva? Assolutamente no.
Non crede che manifestare davanti alla Rai, davanti a un teatro, portare un fiore per Navalny, dire in pubblico sono antifascista, stop al genocidio, non credete che ci sia enorme sproporzione fra la libera manifestazione del pensiero e il manganello in tenuta antisommossa?
"Certo, presidente"
Perché picchiare è un fallimento, sa? È segno di debolezza. Hanno vinto loro se picchiate, lo tenga presente.
Questo dice, lo storico comunicato del Quirinale.
Mettete via quei manganelli.
Parafrasando le parole che disse l’ufficiale operativo della Guardia Costiera, Gregorio De Falco, al comandante Francesco Schettino nella tragica notte della Concordia:
“Tornate a bordo della democrazia, cazzo”.
Piantedosi :
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ilmomentoingiusto · 3 months ago
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"Gli stessi oggetti di casa, legati alla memoria dei vecchi appena scomparsi, continuavano a servire e quindi a vivere."
Piero Chiara, La spartizione
via Tannhäuser
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toscanoirriverente · 1 year ago
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Conoscere il passato, saper leggere il presente, senza cedere agli slogan. Contro i mantra degli ebrei tutti ricchi, dell’apartheid, di Gaza palestinese da sempre. Contro i silenzi e le omissioni su Hamas e sulle prospettive di pace. Un'analisi
(...)
Uno di questi mantra fa riferimento, come s’è detto, a Israele come stato in cui si pratica l’apartheid. Questo senza neppure riflettere sul fatto che non vi sono, in Israele, mezzi di trasporto o scuole o quartieri vietati agli arabi. Basti pensare che negli ultimi sette anni il numero degli studenti arabi nelle università israeliane è cresciuto del 78,5 per cento. Nel 2018 il numero di dottorandi di ricerca arabi in Israele ha raggiunto le 759 unità. Possibile poi che nessuno si sia mai accorto che vi sono diversi partiti arabi rappresentati al parlamento israeliano e che, volendo, gli arabi possono anche presentarsi – e venire eletti – tra le fila dei partiti tradizionali? Il governo precedente a quello di Netanyahu, ad esempio, aveva al suo interno il partito arabo-islamico Raam con quattro seggi. Di fatto gli arabi in Israele godono di pieni diritti politici e civili e possono assurgere a qualsiasi carica, al pari dei cittadini ebrei. In queste ore, nell’esercito israeliano, stanno combattendo per Israele cittadini arabi, drusi, beduini, ebrei, islamici, cristiani, atei.
Il secondo mantra riguarda Gaza, percepita dai più come palestinese e islamica da sempre. Le immagini che ci vengono in mente, al solo pronunciarne il nome, sono quelle dei palazzi diroccati e devastati dalle bombe (israeliane), delle rampe di lancio missilistiche di Hamas (nascoste dietro alle scuole e negli ospedali), dei tunnel fatti scavare dai bimbi (nel solo 2014 ben 160 bimbi palestinesi, secondo il Simon Wiesenthal Center, sono morti durante gli scavi). Per quanto si vada indietro con la memoria, si tende al più a ricordare la conquista ottomana del 1517. Difficilmente si pensa a quella di Napoleone del 1799 o alla presa di Mohammed Alì (non il pugile!) che porta Gaza sotto l’ala protettiva dell’Egitto. Dal 1917, quando l’Impero ottomano viene sconfitto, la storia è nota: il Mandato britannico sulla Palestina (che comprendeva gli attuali Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza, oltre l’attuale Regno di Giordania) dura sino al 1948. In quell’occasione – avendo i leader ebrei accettato la spartizione dell’Onu – nasce lo Stato d’Israele, mentre la Cisgiordania, a seguito della guerra araba contro il neonato Stato d’Israele, viene annessa alla Giordania e la Striscia di Gaza finisce sotto occupazione egiziana. La Lega Araba aveva infatti rifiutato il piano per la seconda spartizione (la prima era stata operata dagli inglesi nel 1921 con la creazione dello stato arabo-palestinese della Giordania) e dato avvio alla prima guerra arabo-israeliana, i cui esiti finiscono con lo sconvolgere la possibilità della nascita di uno stato palestinese accanto a uno israeliano.
Per ben 17 anni – dal 1949 fino al 1967 – Gaza rimane sotto il governo militare egiziano. Come conseguenza della guerra dei Sei giorni (1967), viene infatti occupata da Israele che ne amministra il territorio sino al 1993. A partire da quella data, grazie alla “dichiarazione di princìpi” nota come “accordi di Oslo”, la quasi totalità del territorio di Gaza e della Striscia passa sotto il controllo dell’Autorità palestinese, mentre gli insediamenti ebraici continuano a essere difesi dall’esercito d’Israele sino al 2005. Tuttavia da quel momento Israele procede allo smantellamento delle colonie ebraiche e delle basi militari israeliane, ponendo così definitivamente termine all’occupazione.
Le domande, a questo punto, sono due:
I) perché tra il 1949 e il 1967, quando Striscia di Gaza e Cisgiordania sono in mani arabe, non nasce lo Stato di Palestina?
II) perché, a partire dal 2005, dopo la fine dell’occupazione di Gaza non nasce il primo nucleo di Stato palestinese?
Viene il sospetto che la questione dell’occupazione non sia la motivazione più forte che sta alla base del protrarsi degli scontri. Ad ogni modo, in seguito alle elezioni amministrative del 2006 la Striscia di Gaza è governata da Hamas e, dal 2012, è riconosciuta dall’Onu come parte di un’entità statale semi-autonoma. Purtroppo i continui scontri lanciati contro Israele – cui Hamas continua a negare il diritto ad esistere – e le conseguenti risposte militari israeliane hanno portato la città e la regione a un evidente stato di prostrazione economica e sociale. (...)
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schizografia · 2 years ago
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La guerra in Galizia
Vi erano al centro dell’Europa delle regioni che sono state cancellate dalla carta geografica. Una di queste – non è la sola – è la Galizia, che coincide oggi in buona parte con il territorio in cui da più di un anno si combatte una guerra sciagurata. Fino alla fine della Prima guerra mondiale, la Galizia era la provincia più lontana dell’Impero austro-ungarico, al confine con la Russia. Alla dissoluzione dell’impero asburgico, i vincitori, certo non meno iniqui dei vinti, l’assegnarono alla rinata Polonia, come la Bucovina, che con essa confinava, fu annessa altrettanto capricciosamente alla Romania. I confini, ogni volta ridisegnati con gomma e matita sulle carte geografiche dai potenti, lasciano il tempo che trovano, ma è probabile che la Galizia non riapparirà più sugli inventari della politica europea. Assai più della cartografia c’importa il mondo che in quella regione esisteva – cioè gli uomini che nel Königreich Galizien und Lodomerien (questo era il nome ufficiale della provincia) respiravano, amavano, si guadagnavano da vivere, piangevano, speravano e morivano. Per le strade di Lemberg, Tarnopol, Przemysl, Brody (patria di Joseph Roth), Rzeszow, Kolomea camminava un insieme variegato di ruteni (così allora si chiamavano gli Ucraini), polacchi, ebrei (in alcune città quasi metà della popolazione), rumeni, zingari, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata). Ognuna di queste città aveva un nome diverso secondo la lingua degli abitanti che vi convivevano, in ognuna di esse le chiese cattoliche girato l’angolo si trasformavano in sinagoghe e queste in chiese ortodosse e uniate. Non era una regione ricca, anzi i funzionari della Kakania la consideravano la più povera e arretrata dell’impero; era tuttavia, proprio per la pluralità delle sue etnie, culturalmente viva e generosa, con teatri, giornali, scuole e università in più lingue e una fioritura di scrittori e musicisti che dobbiamo ancora imparare a conoscere. È questo mondo che si trovò nel 1919 da un giorno all’altro politicamente e giuridicamente annientato ed è a questa multiforme, intricata realtà che l’occupazione nazista (1941-1944) e poi quella sovietica diedero qualche decennio dopo il colpo di grazia. Ma ancor prima di diventar parte dell’Impero austro-ungarico, la terra che portava il nome di Halyč o Galizia (secondo alcuni di origine celtica, come la Galizia spagnola) e alla fine del medioevo era sotto il dominio ungherese col nome di principato di Galizia e Volinia, era stata contesa di volta in volta fra cosacchi, russi e polacchi, finché la granduchessa Maria Teresa d’Austria profittò della prima spartizione della Polonia nel 1772 per annetterlo al suo impero. Nel 1922 il territorio fu annesso all’Unione Sovietica, col nome di Repubblica socialista sovietica Ucraina, da cui si separò nel 1991 abbreviando il proprio nome in Repubblica Ucraina.
È tempo di cessare di credere ai nomi e ai confini segnati sulla carta e di chiedersi piuttosto che ne è stato, che ne è di quel mondo e di quelle forme di vita che abbiamo appena evocato. Come sopravvivono – se sopravvivono – al di là degli infami registri delle burocrazie statuali? E la guerra ora in corso non è ancora un volta il frutto dell’oblio di quelle forme di vita e l’odiosa, letale conseguenza di quei registri e di quei nomi?
24 aprile 2023
Giorgio Agamben
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primepaginequotidiani · 1 month ago
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PRIMA PAGINA Milano Finanza di Oggi martedì, 10 dicembre 2024
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abatelunare · 3 months ago
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Brutte ciascuna a suo modo di un bruttezza singolare, e consapevoli della ripugnanza che suscitavano agli uomini, avevano tacitamente soppresso l'amore, come se l'avessero seppellito in giardino per nascondere una vergogna (Piero Chiara, La spartizione).
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mucillo · 2 years ago
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Vivoamo in un mondo in cui siamo al tempo stesso troppo vicini e troppo lontani gli uni dagli altri.
Siamo troppo vicini perché le forze della globalizzazione, della guerra, della spartizione e dei media producono quegli “effetti-farfalla” grazie ai quali ritroviamo ogni giorno, davanti agli occhi e davanti alla porta di casa, anche le cose più lontane.
Per esempio, riceviamo notizie di guerre in Paesi stranieri, di attentati suicidi in luoghi remoti; da regioni lontane del pianeta ci giungono immagini di sofferenze e di emergenze e, con minor frequenza, di speranze e di conquiste realizzate.
Siamo troppo vicini anche perché spesso, a causa delle migrazioni per motivi di lavoro, dello sradicamento, del traffico di esseri umani e di un turismo disinvolto, quelli che un tempo per noi erano forestieri oggi abitano alla porta accanto.
Siamo troppo vicini, infine, perché con l’espansione delle nostre città viviamo gomito a gomito con lingue, abiti, cibi e stili corporei stranieri: la geografia della nostra vita quotidiana si è trasformata.
Al tempo stesso, tuttavia, siamo troppo lontani gli uni dagli altri, perché in gran parte delle regioni urbane, delle regioni di confine e dei luoghi di passaggio del mondo odierno abbiamo perso il senso della familiarità sociale.
Diamo cioè per scontata la presenza di “altri” fra noi, ma non siamo abbastanza curiosi, non vogliamo sapere chi sono e perché sono finiti a vivere così vicino.
Ascoltiamo troppe storie di rifugiati, migranti e viaggiatori involontari per aver voglia di guardare a fondo nelle loro vite e di porre domande.
Arjun Appadurai
Così Vicini, Eppure Così Lontani 
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archivio-disattivato · 1 year ago
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Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese: perché non possiamo commemorarla
Scritto il 29/11/2023
29 novembre: Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese. Quest’anno non possiamo commemorare questa data internazionale, a causa della situazione in atto in Palestina: i 49 giorni di ininterrotti bombardamenti israeliani hanno portato alla distruzione della Striscia di Gaza e provocato 20.031 morti, tra cui 8.176 bambini (bilancio, non definitivo, dati Euro-Med monitor). In Cisgiordania, la continua aggressione di esercito e coloni israeliani ha ucciso 237 palestinesi, e ne ha feriti più di 2.950.
Non possiamo commemorarla perché non c’è solidarietà per i palestinesi, neanche di fronte a dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e un genocidio così efferato. O meglio, la solidarietà c’è stata, ma solo da parte dei popoli. E purtroppo, non sono i popoli a poter porre fine a questo genocidio, ma i governi. E i regimi occidentali sono stati deludenti poiché, mentre Netanyahu bombardava la Striscia, ripetevano, senza alcuna logica e alcun riferimento alla legge internazionale, la frase “Israele ha diritto a difendersi”.
Noi sappiamo che una difesa per essere considerata tale deve essere sempre proporzionale all’offesa e mai ledere i civili o attaccare strutture sanitarie, medici, ambulanze. Al contrario, in questi 49 giorni l’entità sionista ha portato avanti una vera e propria guerra agli ospedali di Gaza e ai bambini di Gaza.
Ogni 29 novembre, in tutto il mondo, si celebra la Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese, a ricordo della risoluzione 181, emanata il 29 novembre del 1947 dall’Onu, che sancì la spartizione della Palestina storica, ponendo le basi per la creazione dello Stato israeliano e per la Nakba, la tragedia e pulizia etnica della popolazione palestinese ad opera degli squadroni del terrorismo sionista prima, e delle forze militari israeliane dopo.
Nel 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì per il 29 novembre la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (risoluzione 32/40 B). Nella risoluzione 60/37 del 1° dicembre 2005, l’Assemblea generale chiese al Comitato per l’Esercizio degli inalienabili diritti del popolo palestinese e alla Divisione per i diritti palestinesi, in quanto parti per l’osservanza della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, stabilita il 29 novembre, di continuare a organizzare celebrazioni ed eventi annuali sui diritti palestinesi, in collaborazione con la “Permanent Observer Mission of Palestine” dell’Onu.
Se la comunità internazionale vuole dare senso a questa giornata ed essere coerente con le giornate a tema che istituisce, chiediamo un maggiore impegno nel tutelare i diritti del popolo palestinese, condannando con parole, ma sopratutto con fatti le atrocità sioniste attraverso un processo che porti i crimini israeliani davanti al Tribunale dell’Aja.
Mercoledì, 29 novembre 2023 Associazione dei palestinesi in Italia
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marcoleopa · 2 years ago
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09/11/1989)
Non è una data casuale, ma, per la Sinistra Italiana, la caduta del muro di Berlino rappresenta l’inizio della crisi di identità.
Con la successiva “discesa in campo di SilviodaArcore” (26/01/1994), sono appena trascorsi cinque anni, ma, nel frattempo, la nomenclatura dell’intera Sinistra (comunista, riformista, socialista, cattolica), ancora stordita dall’evento epocale in terra Germanica, resta basita davanti allo scorrere degli eventi che, come un fiume in piena la travolgerà.
L’illusoria vittoria dell’Ulivo e, la sua prematura scomparsa, sono la prova provata ed evidente, di una Sinistra ancora 800centesca, avulsa dalla realtà e in preda ad una crisi di nervi.
Non mi dilungo sui fallimenti e sul cannibalismo endogeno dei segretari del PD, lo stesso vale anche per le restanti forze politiche che sono ancor più a Sinistra del PD, ma, sulle difficoltà che  vive la Sinistra in Italia.
Ho citato le due date (Berlino e “discesa in campo”), perché, ritengo, che siano la cartina al tornasole delle nostre difficoltà.
La caduta del muro, segnerebbe le fine delle ideologie (qualsiasi insieme di idee e valori sufficientemente coerente al suo interno e finalizzato a orientare i comportamenti sociali, economici o politici degli individui)- la “discesa in campo”, l’inizio di una nuova idealità (perfetto, ottimo, eccellente, desiderabile, migliore in assoluto, adeguato). 
Se il muro è il male assoluto, la nuova idealità è lo strumento per nuovi italici valori. Poi, che in vent’anni di berlusconismo, la politica italiana si sia barcamenata tra processi, festini e puttane, poco importa. Il nuovo linguaggio politico è adeguato al contesto.
Sempre nel frattempo, tra antropofagia e onanismo della Sinistra italiana, mentre cantavamo Contessa e Bandiera Rossa, ci siamo trovati “leggermente” spiazzati di fronte al 30% del fascismo del terzo millennio, comodamente in sella a Palazzo Chigi. 
Ed ancora oggi, mentre rivendichiamo l’assoluto antifascismo della Carta Costituzionale, incompatibile con i disvalori del predappiese, i soloni della Sinistra Italiana non hanno compreso il reale pericolo della revisione della medesima Carta, che, appena andrà in porto, non potrà più pregiarsi dell’appellativo di “antifascista”, vista la genesi della proposta di spiccata matrice Meloniana.
A ciò si aggiunga anche la spartizione degli incarichi della televisione di Stato, che trasformerà il servizio pubblico in teleMeloni, utile e necessario per la narrazione della Sinistra come parte fastidiosa della società, quindi un corpo estraneo di cui disfarsene, Orban docet.
Nel prossino futuro, dimessosi Mattarella, il nuovo garante della Carta Costituzionale - ex antifascista, sarà da cercare nelle volontà e nei valori del popolo sovrano, che, nell’ultimo trentennio di vita politica è rimasto silente e compiacente di fronte ai misfatti in quel di Arcore, così come nelle aule dei tribunali, o dinanzi a trentennali latitanze.
Ed allora giunge come un epitaffio l’intervento del P.M. De Lucia a Casa Memoria Impastato: «Le relazioni che esistono tra il mondo dello Stato e quello delle mafie sono complesse da sempre».
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t-annhauser · 4 months ago
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Felicità è leggersi un libro di Piero Chiara coi piedi sullo scaldino e mentre fuori piove. Il clima umido si addice ai libri di Piero Chiara da Luino, clima lacustre, clima comasco ("Como, pisciatoio d'Italia", si apostrofavano non senza un certo orgoglio quelli del luogo). E poi quel (mal)sano erotismo della provincia che cova sottotraccia le sue parafilie al riparo delle buone apparenze borghesi. Cosa importava la bellezza, la bellezza che rende vane le qualità più segrete? E cosa importava l'età? Doveva essere persona, la donna che Emerenziano cercava, natura compiuta anche se distorta, da manomettere e da sommuovere senza pietà, crudelmente, come egli pensava si dovesse operare con le donne per trarne i sapori più forti.
Piero Chiara, La spartizione
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