#sono sicura di averlo già scritto prima
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14/06 a mezzanotte - CLAUDIA
STRINGIMI
🥹💕💙
#mamma mia raga#sono così contenta per lei#claudia#sono sicura di averlo già scritto prima#ma questo necessita un post#le auguro davvero tutto il meglio del mondo❤️#non vorrei spammare troppo ma probabilmente lo farò#siate preparati ahahah#stringimi#torno a studiare
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Personaggi preferiti di mare fuori e perchè?
Eccomi anon, posso rispondere tutti? AHAHHAHA
No allora ne prendo 4 e mentre penso ai personaggi realizzo che c'è parecchio lavoro da fare sullo sviluppo di quelli femminili perché signor giudice, sembra quasi che vogliano chiudere le loro storie il prima possibile ancora prima di iniziarle (coff coff viola coff coff)
Comunque direi:
-Filippo. Dal punto di vista narrativo è stata una genialata usare lui per fare approcciare il pubblico a quelle dinamiche specifiche senza darle per scontate. Le scopri con lui che ne è esterno e ti è trasparente il disagio, il terrore, la confusione. Come sviluppo mi è piaciuto molto, perché si è vista la crescita e la maturazione, si parte da un ragazzino che nuota a fatica in un oceano sconosciuto e si arriva ad un uomo che si assume le sue responsabilità, comprende meglio le decisioni da prendere ed è in generale più sicuro delle sue capacità e dei suoi limiti. Poi ha un neurone che si accende e si spegne ad intermittenza in presenza dell'innamorata making him the wettest most pathetic mewmew in the world che non guasta mai
-Nad. Non sono d'accordo con chi dice che il personaggio è stato sacrificato per la coppia. Parte indipendente, intraprendente, sicura e con il solo obiettivo di essere libera, sì, ma come dice lei. Ad un certo punto raggiunge un fondo che sperava di non vedere mai, rinuncia alla libertà perché non ha più speranza in un futuro (ed è certa di non meritarselo, quel futuro con Filippo che ha sognato, di non esserne all'altezza, che il suo destino è già segnato) eppure lo abbraccia quando se lo ritrova davanti. Ritorna la guerriera di prima appena torna la speranza, si bea della consapevolezza che qualcuno abbia finalmente lottato per lei, per la sua libertà, realizza di non essere più sola nel mondo e, per questo, diventa ancora più forte. C'è qualcuno che è disposto a prendersi cura di lei, ma la spaventa il limite inesistente di ciò che Filippo sembra disposto a fare, la terrorizza l'idea di averlo trasformato in qualcosa che non è lui. Amo questo aspetto del loro sviluppo, il fatto che abbiano dovuto avvicinarsi l'uno al mondo dell'altra quasi all'estremo, per poi ritrovarsi nel mezzo perché sono mondi che si possono mescolare, non è necessario annullare uno e crescere nell'altro. Nad fa un sacrificio enorme lasciandolo andare, per non cambiarlo. Filippo fa un sacrificio enorme con l'evasione, abbandonando la realtà agiata che aveva e che non tornerà mai più.
-Carmine. Il simbolo della serie per eccellenza, ciò che la gente avrebbe dovuto cogliere senza perdersi dietro a drama inutili e inciuci da soap opera. È quello col destino scritto che se ne fotte, quello che vuole cambiare le cose, che non ci sta, che combatte il sistema anche quando sembra inutile e controproduttivo farlo, quello che prova, sempre, a ricordare agli altri che prima di essere camorristi sono ragazzi, che le possibilità ci sono, se le si sanno cogliere. È anche quello che si prende tutta la merda degli sceneggiatori che non sanno dove mettere, ma non possiamo fargliene una colpa perché anche lui aveva bisogno di cadere per rialzarsi più convinto di prima. Unica pecca del personaggio altrimenti perfetto è sta storia con Rosa che ha avuto uno sviluppo affrettato, con poco senso e pure brutto, perché oggettivamente le scene di confronto sono state quante? 4/5? E le battute erano sempre le stesse. Bella l'idea di farle cambiare fazione con la forza dell'ammore, ma in un episodio si menano e nell'altro lei si spara per non fargli del male? Boh ok (è una fiction rai2 comunque, non pretendevo nulla di più)
-Cardiotrap. DA DOVE COMINCIO. Ho dei sentimenti contrastanti sul suo sviluppo, perché gli voglio un bene fisico e vorrei non soffrisse mai però ha abbastanza senso il suo percorso. Ha evidentemente un senso di colpa enorme su cui forse avrebbero dovuto marciare di più (lui si t4glierebbe in una situazione più realistica, siamo onestə) sia nei confronti della vecchietta sia della madre. Ripudia la violenza ma vi si rifugia ancora nelle dinamiche del carcere, forse un po' per stanchezza e un po' per sicurezza, come se volesse lottare ma non avesse ancora i mezzi giusti per farlo. Li trova in Carmine e Filippo (quando smetto di pensare a un profe per questo ve lo faccio sapere) e nella musica, sua alleata e compagna ancora prima degli altri, unica via d'uscita in quel tunnel senza fine da cui non sembra poter scappare. Li trova in Gemma, che è anche la sua rovina. Più che salvarsi dalla violenza ha forse fatto un percorso ancora più importante, che è stato quello di riconoscere la violenza, vederla, prima di poterne scappare. Il problema ora è che l'ha trovata anche dentro di sé e ne sta quasi soccombendo, ma c'è anche talmente tanto amore che salvare Gemma da se stesso è l'ultimo atto che riesce a compiere, prima di lasciarsi travolgere. Non è bello, ma è un passaggio necessario per liberarsi dal male. Tocca trovare la forza per farlo, ora.
#scusate#mi sono lasciata andare#ma sappiata che ho detto 1/10 di quello che avrei voluto dire#mare fuotag
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28 ago 2023 19:19
SIAMO FIGLI DELLE STELLE - QUANDO NEL 1983 ALAN SORRENTI FINÌ IN CARCERE PER 33 GIORNI CON L’ACCUSA, INFONDATA, DI SPACCIO DOPO LA DENUNCIA DELLEX MOGLIE: “RICORDO CHE VENNI INVITATO NELLA CELLA DI UN ‘CAPOBANDA’, GLI CANTAI ‘DICITENCELLO VUJE’, DA QUEL MOMENTO OGNI MIO POSSIBILE PROBLEMA IN CARCERE ERA RISOLTO - L’ISOLAMENTO, DURATO UNA SETTIMANA, FU DAVVERO UN COLPO” – "NEL ’79 VINSI IL FESTIVALBAR E PRETESI DI ENTRARE ALL’ARENA DI VERONA CON LA ROLLS ROYCE CABRIO DI UN AMICO...” -
Estratto dell’articolo di Roberto Pavanello per “la Stampa”
Alan Sorrenti sta scrivendo la sua autobiografia ed è difficile pensare che avrà problemi a riempire le pagine. Succede quando hai 72 anni e la tua vita somiglia a un film: «Ogni tanto ho bisogno di aiuto – racconta il cantautore, in una pausa del tour estivo - .
Quest’inverno ero in Costa Rica, stavo scrivendo della festa del proletariato giovanile Re Nudo al Parco Lambro quando mi ha chiamato Luca Pollini, uno degli organizzatori. Che coincidenza. Così gli ho chiesto in che anno ci suonai. Era il 1974. Mi ha mandato la locandina, in cartellone c’era anche Franco Battiato».
[…] Sono arcinoti i versi che le dedicò Battiato, da fan deluso, “Siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro”. Tu rispondesti che se avesse fatto il suo stesso viaggio a Los Angeles, avrebbe capito. Non ti dispiace non averlo più incontrato per parlare con lui?
«Sì, ma non perché ci fosse bisogno di una riappacificazione. Tant’è che fece anche la cover del mio brano Le tue radici. Peccato per la versione dance, ma ciascuno è libero di fare la musica che vuole.
Ho invece potuto abbracciare pochi mesi prima della sua morte Pino Daniele. Facemmo Figli delle stelle a un suo concerto. Nel camerino mi confessò che avrebbe voluto ridare vita al Neapolitan Power. Sarebbe stato un bel rilancio anche per lui».
Il tuo nuovo disco, Oltre la zona sicura, è stato prodotto da Ceri. Nella musica l’età conta?
«No, conta la visione che si ha. Magari io ho più esperienza di Ceri, ma lui conosce meglio i suoni nuovi. Mi ha aiutato a veicolare i contenuti di un album che avevo quasi già scritto per intero». […]
Torniamo al 1972, hai poco più di vent’anni e diventi un nome importante del progressive: qual è il ricordo più nitido di quel periodo?
«Il lavoro in studio. Per il secondo album, Come un incensiere all’alba di un villaggio deserto, io, Toni Esposito e gli altri italiani affittammo un appartamento a Londra, ma stavamo sempre in studio, giorno e notte».
Scusi, ma chi cucinava? Tu o Toni?
«Mangiare credo che mangiassimo… ma cucinare proprio no. Toni è bravo col pesce, ma a Londra che vuoi fare?».
Qualche anno dopo arrivarono Los Angeles, la svolta pop e il grande successo di pubblico: Figli delle stelle, L’unica donna per me, Non so che darei sono tre hit che hanno superato il tempo e le mode. Qual è la loro magia?
«Suonano bene. Figli delle stelle ha anche un testo speciale che parla dell’appartenenza all’universo dell’essere umano. I giovani oggi ci si ritrovano anche più che in passato. Nelle altre due l’adolescente si identificava, allora come oggi. Ceri ha centrato il punto: “Tu scrivi delle cose chiare e semplici”».
Successo fa rima con eccesso, ti ritieni un sopravvissuto? Vasco direbbe “supervissuto”.
«Sì. Dopo quel successo pop tornai al rock con La strada brucia e Angeli di strada con i Toto. Senza il cantante, naturalmente. Era il mio rifiuto del mondo effimero delle star. Ero e sono un esploratore della musica. Quando nel ’79 vinsi il Festivalbar dissi: “Volete che mi atteggi da superstar? Ok”.
Pretesi di entrare all’Arena di Verona con la RollsRoyce cabrio di un amico. Mi divertii, ma era l’addio a quel mondo, non era roba mia. Credevo che il pubblico mi avrebbe seguito, invece è arrivato l’insuccesso». […]
Nel 1983 ci sono i 33 giorni di carcere con l’accusa, infondata, di spaccio di sostanze stupefacenti, dopo la denuncia della tua futura ex moglie. Chiudi gli occhi: qual è la prima immagine che ti viene in mente?
«L’isolamento, durato una settimana, credo. Fu davvero un colpo. Non avevo paura ma mi diede la possibilità di interrogarmi sul tipo di vita che stavo conducendo. Poi mi ritrovai in cella con esponenti della Nuova Famiglia.
Vissi tutto come un’esperienza nuova e scrivevo per i giornali raccontando come si viveva in carcere. Ricordo che venni invitato nella cella di un “capobanda”, gli cantai Dicitencello vuje, da quel momento ogni mio possibile problema in carcere era risolto».
Roberto Baggio ha raccontato che senza il buddismo non sarebbe riuscito più a giocare a calcio, tanto era il dolore alle ginocchia. A te cosa ha aiutata a fare?
«A salvarmi totalmente. Per me non è stata una questione di ossa, ma di vita. Dopo tanta ricchezza creativa mi accorsi che stavo iniziando a inaridirmi. Avere incontrato il buddismo della Sokka Gakkai mi ha fatto capire che avevo vissuto solo per me e non per gli altri. Il valore si costruisce insieme. Mi ha aperto nuove porte, permesso di ritrovare la mia luce e vedere quella che c’è negli altri.». […]
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Posti nuovi, vecchie sensazioni.
Ho sempre avuto bisogno di un posto per i miei pensieri.
Un posto libero da giudizio, senza la paura del giudizio altrui.
Anni fa scrivevo qui, sotto un altro nome che non esiste più; poi qualcuno a cui voglio molto bene mi ha detto che rendere pubblica la mia vita privata fosse da stupidi, da bambini.
E così mi sono vergognata così tanto di quello che avevo scritto che ho eliminato tutto.
Non scrivevo affinché fosse destinato alla lettura di altri. Mi serviva per esprimermi, per buttare fuori delle cose che non potevo e non volevo dire a nessun altro.
Tipo che amavo un altra persona a discapito di quella con cui intrattenevo una relazione.
Ho fatto molti errori, uno di questi è stato cancellare quel blog.
Ci sono tante cose che vorrei rileggere della me adolescente.
È vero che certi aspetti di quella persona non esistono più; tanti altri non hanno mai smesso di accompagnarmi.
Il bisogno di scrivere è sempre tornato da me, perché ho bisogno di dire le cose che sento a qualcuno. Alcune di queste cose non riesco neanche a dirle alla mia psicoterapeuta, la persona che mi giudica meno dell’universo e che pago per far sì che le mie turbe siano ascoltate.
Riesco a scriverle qui. Forse perché so che nessuno le leggerà mai.Un posto sicuro.
Vorrei rivivere attraverso la lettura, le stesse emozioni di quando ero pazza di P.
Di quando ho capito di averlo ferito.
Di quando ho conosciuto F.
Di quando mi sentivo estremamente bene nel mio corpo ma solo se lo vedevo riflesso negli occhi di altri che mi desideravano.
E ora?
Ho un po’ di anni in più, esperienze di vita in più ma a volte mi manca essere quella persona e provo a immaginare cosa sarebbe successo se non avessi mai fatto le scelte che ho fatto.
Mi fermo quasi all’istante. Non posso saperlo.
Ho ricominciato a scrivere nelle note del telefono, ma volevo un posto che “simbolicamente” contenesse uno storico delle mie emozioni.
Emozioni che sono in turbinio per quello che sto provando per E.
Mi piace passare tempo con lui, e sentirmi in una situazione un po’ imbarazzante in cui percepisco che abbiamo un sacco di cose in comune; percepisco che lui abbia un interesse per me (o forse è quello che voglio credere) e mi piace da matti.
Mi fa sentire desiderata.
Sto tremando mentre scrivo questo. È quello che mi succede quando sento quel mix di farfalle nello stomaco, ansia e agitazione, fermento e piacere che mi pervade quando mi piace qualcuno.
E. mi piace. Non lo conosco molto bene ma quello che vedo di lui mi piace.
Mi piace la forma del suo corpo, mi piace il suo profilo, e le sue spalle. Mi piace da matti il suo culo. Dio che chiappe.
Mi piace sentirmi desiderata da lui e attirare la sua attenzione.
E fin qui nessun problema, giusto?
In realtà questo film io L’ho già visto.
In realtà io sono in una relazione stabile con F. e forse non dovrebbe piacermi così tanto E.
O forse è lecito che accada ma sento che essere desiderata da F. non mi appaga più come prima, perché?
Perché nei meandri della mia testa è più appagante l’idea fugace di un amore nuovo invece che la sensazione di stabilità e sicurezza che mi da F.?
L’ho già visto questo film perché è la stessa cosa che è successa con V.
Ho ferito V. Perché volevo a tutti i costi P. e poi ho ferito anche P. dopo che lui mi desiderava.
È andato tutto così male.
Non mi sono mai scusata nè con V. nè con P. e mi sento uno schifo per quello che ho fatto.
Tuttavia non sono sicura che le mie scuse sarebbero servite a qualcosa.
Adesso sento qualche analogia con questa situazione e non voglio ferire F. Non credo che sarei disposta a barattare la mia relazione con lui per qualche momento di piacere con E.
Ma mi piacerebbe da matti.
C’è così tanto da buttare fuori.
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Nonna - dicembre 2020
Ehi nonna, è tanto tempo che penso di fare questa cosa
Forse esiste già un’altra nota. Non sai di certo che cosa sono le note.. dei testi, che scrivo nel mio telefono, spesso, non so se te l’ho mai detto, forse l’ultimo testo che hai sentito è stato quello sull’amore che ho scritto alle medie, hai pianto anche tu quando l’ho letto.
Sai credo di averlo trovato quell’amore nonna. Oggi ho pianto insieme a lui, mi ha parlato della sua nonna che era proprio come te, lo ha cresciuto e amato, poi ad un certo punto se n’è andata. Perché è così che accade, è la vita, dobbiamo accettarla, ma a me fa così paura nonna. Mi spaventa così tanto l’idea.
Mi spaventa il dolore che proverò.
Sei la persona più importante per me Nonna. Mi hai cresciuta, mi hai rimproverata, mi hai fatto giocare, ridere, disegnare, mangiare, mi hai fatto fare le preghiere prima di addormentarmi, mi hai rimboccato ogni notte le coperte, le nostre trapunte che portavano in salotto per scaldarci d’inverno discese su quelle due poltrone attaccate, in quella stanza dove ho riso, litigato, pianto, dove ho fatto i compiti su quel tavolo che spostavamo accanto al termo per stare più calde, dove aspettavamo il nonno che tornasse alle 19 puntuale e arrivava urlandomi “sónooo”,dove abbiamo mangiato i migliori fondi di carciofi appena fatti, dove abbiamo ascoltato quella televisione così alta per far sentire al nonno il telegiornale, dove mi sono tagliata l’anulare della mano sinistra cercando ti tagliare la mela cotogna bollita, dove ho stirato a 3 anni fazzoletti di stoffa e asciugamani,dove ho mangiato i migliori caffè latte e pan biscotto del mondo. Dove sono cresciuta.
Il quella stanza, con quel mobile marrone, con quel televisione tubo catodico, con quella cucina vecchia ma che resiste ancora anche se trasferita in garage, su quelle poltrone, seduta a quel tavolo rotondo.
Io ci sono crescita in quella casa, in quella macchina bianca con cui abbiamo fatto quel brutto incidente fuori dal cimitero con “chel deficiente drogà e bevuo che sel moriva iera anca comodo ndar in simitero” così hai esordito dopo essere tornata a casa, era fatta di cemento quella macchina, si era staccato solo il paraurti mentre la macchina del ragazzo era accartocciata. E poi la 500 rossa, il tuo autoscontro, quanti giri e che rumori strani che faceva.
Quanti gelati ho mangiato con te, cono grande e 3 palline, ti ricordi quella volta che mi sono schiantata sul vetro della porta della gelateria?!
Quanto giri con la tua bici nera.
Quante corse su quella stradina da piccole con tutti i nostri amici, quanti pomeriggi passati a casa dello zio Amelio, quante carote ho mangiato del suo orto, non si sa perché le sue fossero sempre più buone e grosse rispetto alle tue. Che buono quel sapore di terra.
Quante sere a dare da bere all’orto. Quante sere a guardare il nonno tagliare la siepe, 10 centimetri al giorno.
Quante chiacchierate Nonna, quanti discorsi fatti. Quanti pranzi fatti insieme negli ultimi anni, sempre io e te. Ogni volta che uscivo da quella porta avevo qualcosa in più nel mio bagaglio di vita. È così, tu hai messo tante cose dentro il bagaglio della mia vita Nonna.
Quanto hai fatto nella tua vita, mi dici sempre che quando eri piccola non avevano grande fiducia in te così magrolina come Lino, hai incontrato un uomo non facile e ci sei stata accanto fino alla sua morte, hai lottato, hai affrontato tante cose, hai mantenuto le tue figlie da sola facendo un doppio lavoro, le hai crescite, ti sei presa cura di loro, di un marito e di un fratello, hai cresciuto due nipoti.
Mi dici sempre che senza di lui non avresti combinato niente nella vita. Che sei contenta della vita che ha fatto.
Ti meritavi tanto di più invece nonna.
Spero di essere una buona nipote per te, ma io sono sicura di questo
Un giorno mi hai detto “sei il bastone della mia vecchiaia”
La trovo una frase così profonda, come ti sarà venuta in mente?
E io sono fiera di questo, sono fiera che la mia nonna dica una frase del genere, perché vuol dire che ho fatto qualcosa di buono della vita, che qualcuno ha percepito il mio amore, il mio impegno. Perché mi sono resa disponibile a 16 anni di venire a vivere con te per starti accanto mentre il nonno stava male, perché sono venuta tutte le volte che ho potuto per farti compagnia e parlare un po’. Perché tu sei sempre stata abituata a farlo, perché hai bisogno di farlo, sono venuta io senza che me lo chiedessi perché tu non chiedi mai e io questo lo so bene, perché tu doni solo alle persone senza domandare mai nulla.
Perché sei fatta così di una generosità immensa.
Io sono onorata di aver avuto una nonna così.
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"Ricordo che la prima volta che siamo uscite insieme un bangladino si è avvicinato a noi che stavamo passeggiando e mi ha guardato dicendo "tu vuole comprare rosa rossa per tua ragasa bionda bela come rosa?" E io gli ho risposto "ma a lei non piacciono le rose rosse. A lei piacciono i girasoli". Ho omesso volontariamente di dirgli che non eri ancora la mia ragazza ma questi sono poi dettagli. Ti sei girata verso di me stra sorpresa, mi hai sorriso e mi hai detto "Scusa ma tu come fai a sapere che io amo i girasoli?". Cazzo, avevi un sorriso proprio bello e io sono monotona perché te l'ho già detto un sacco di volte. Però il punto è che quelle poche e rare volte che sorridevi lo facevi con tanta espressività. I tuoi sorrisi parlavano per te anche quando stavi in silenzio e facevamo a gara a chi abbassasse prima lo sguardo. Chissà a che pensavi con quegli occhi celesti e chissà cosa vedevi quando li usavi per sorridermi.
"Lo so e basta" - ho risposto sicura - "E le rose non ti piacciono rosse ma nere, al massimo blu. So tante cose di te, sai?". Hai continuato a sorridere sorpresa, hai inclinato la testa, mi hai rivolto uno sguardo a fessura circospetto e hai aggiunto "Devi sicuramente averlo chiesto a mia sorella. Brava. Sei stata brava, devo ammetterlo". In realtà io non avevo chiesto nulla a tua sorella né tantomeno sapevo tante cose. Avevo semplicemente sparato il nome di un fiore a caso perché mi era venuto spontaneo.
Ma dato che non potevo procurarmi un girasole perché fuori stagione, avevo trovato però quella rosa nera.
Era Meravigliosa.
Te la diedi quel lunedì di 365 giorni fa, davanti a casa tua, accompagnata da un bigliettino. Fu l'ultima volta che ti vidi. Se solo avessi saputo che quella sarebbe stata davvero l'ultima mi sarei quanto meno preparata anche se nei tuoi gesti, nelle tue parole e nei tuoi sguardi mancava tutto quello che invece era presente fino al mese prima e purtroppo me ne ero accorta fin da subito. Non si è mai pronti quando è ora di andare, quando tutto sta per finire e si è consapevoli che le conseguenze saranno devastanti. Non mi hai sorriso nemmeno una volta quel giorno tranne in quel momento. Un sorriso carico di delusione che avvertivo come angoscia che andava via via trasformandosi in peso comprimendomi i polmoni. "Dì a tua sorella che il piano è saltato, ti ho già dato tutto adesso così non torno su e non la disturbo... Questi sono per te" - "Perché avevi chiesto aiuto a mia sorella?" - "Apri la borsina che poi ti spiego...". La apristi con una calma incredibile che aumentava esponenzialmente la pressione delle lacrime che avevo negli occhi. "M-ma... questa è una Rosa nera... Ma come l'hai trovata? Come sai che amo le rose nere?" In quel momento sono esplosa dentro talmente in silenzio che non credo tu ti sia accorta di nulla. Il mio piano consisteva nel farti trovare tutto in camera tua quando io fossi già andata via grazie alla complicità di tua sorella. Una sorpresa che non ti aspettavi per nulla e che sarebbe dovuta essere la degna conclusione di una giornata meravigliosa, come qualsiasi passata con te.
Ma a questo giro avevo fallito...
Come sempre, le mie fragilità intimamente unite alla difficoltà di una situazione ansiogena mi avevano portato a perdere tutto quanto. Di nuovo.
Mi hai chiesto come facessi a sapere che quella rosa fosse la tua preferita ma la verità è che non ricordavi nemmeno di avermelo confermato tu stessa: non sei mai stata brava a ricordarti i dettagli, i momenti, i nomi, le cose e forse ripensandoci a modo è meglio così, perché poi diventa più facile quando devi dimenticare qualcuno... Ho sorriso mentre dentro mi stavo frantumando "io so tante cose di te, ricordi?".
C'era una lettera che accompagnava quella rosa "Per la mia piccola Nazi" diceva la dicitura sulla busta. Busta che però ho tenuto io nascondendola in macchina perché la verità è che non sei mai stata mia. Nemmeno per un istante. Ti avevo scritto una lettera in cui dicevo di volerti bene, sai, quel bene un po' più profondo che a volte fa paura dirlo ad alta voce. Se avessi saputo che quella sarebbe stata l'ultima volta ti avrei abbracciata più forte e avrei trovato il coraggio di dirti tutto quanto avevo scritto.
"Fai a modo".
È tutto ciò che riuscì a dire prima di stringerti e accarezzarti la fronte. Ho accennato qualcosa di simile ad un mezzo sorriso, mi sono persa nei tuoi occhi un'ultima volta e ci ho visto dentro tutto il male che ti avevo fatto, pregando che tu potessi capire che nulla fosse intenzionale. Ho sperato di riuscire a farlo mio attraverso questa silenziosa corrispondenza. Tu non eri pronta, forse io nemmeno ma questo nessuna delle due lo aveva capito.
Sai, mi chiedo se tu abbia ancora quella lettera e se quella rosa sia ancora sul mobile sotto i libri in camera tua. Sì, se c'è ancora un po' di me nella tua vita ma ne dubito fortemente.
Di quella Giornata mi rimangono tanti ricordi a cui penso quando tutto il resto intorno a me sta crollando. Ci ripenso e sorrido nonostante il gran dolore sentito dopo...
L'altro giorno hai postato una foto su Instagram ed è stata la prima volta dopo quasi un anno che guardandola non ho sentito quella solita fitta d'angoscia. Ho sorriso e ho pensato non solo a quanto fossi bella, ma anche alla solita frase che mi ripeto quando diventi la protagonista dei miei pensieri: "spero che tu stia bene e sia felice". Probabilmente la sei e sembra assurdo ma la cosa rende felice anche me. Il tuo bene viene prima di qualsiasi mia stupida pretesa e anche se i giorni passano e tu non sei mai più tornata, io ricordo tutte le persone che hanno anche solo accarezzato la mia vita e non provo astio o rancore nei confronti di nessuno. Forse a volte solo un po' di malinconia, ma giusto quella giuro.
A me non rimane che una testa resa pesante da questi ricordi che a volte sono troppo grandi e mi opprimono, perciò vengo qui ogni tanto a parlare di te perché le cose belle meritano di essere raccontate molto più di quelle brutte. Sai ho un regalo qui che non ti ho mai dato, è sulla mia scrivania da più di un anno e credo che ci rimarrà fino a quando non avrò il coraggio di metterlo via per sempre.
Chissà che non si ripresenti l'occasione un giorno, nel frattempo guardo questa foto e penso a te che dici "da grande voglio sposarmi qui (riferendoti al castello di Miramare)" e io ti auguro con tutto l'amore che io sia in grado sprigionare, che tu possa davvero riuscirci.
È una delle tante cose belle che meriti. "
(Seleziona tutto ma non cancellare nemmeno stavolta ♥️)
#vasto immenso incredibile insieme di emozioni discordanti che oggi ti rendono un po' più libera di quanto fossi prima#mi manchi tanto ma questo non è rilevante#ovunque tu sia in questo momento e qualsiasi cosa tu stia facendo ricorda che io ti voglio bene e spero che tu sia felice...#♥️🌈🌺
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Intervista a Mina
ORIANA FALLACI: Noi ci siamo già incontrate: a Sanremo, poco più di due anni fa, quando lei cantava una canzonetta, Io amo, tu ami, e sembrava ignorare perfino il significato di quel verbo. Affermava di dormire con un orsacchiotto e di divertirsi soltanto con Topolino, le bolle di sapone, e le fotografie di «un tipo con la barba che ha accoppato un mucchio di gente e mi pare si chiami Fidel». Ignorava o sembrava ignorare molte altre cose: che Pietro Nenni fosse socialista, che il pentagramma servisse per scriver la musica, e che Maometto avesse dettato la religione dell’Islam. «Ma chi era questo Maometto? Il nome è simpatico, se un giorno avrò un figlio voglio chiamarlo Maometto». L’incontro mi lasciò perplessa, signorina Mazzini, scusi, volevo dire signora...
MINA: Signora? E perché? Non sono sposata, e di conseguenza non sono signora. A me, quando dicono "signora", sembra sempre che mi diano una gomitata nei fianchi: lo dicono con una tal aria di complicità, quasi volessero dividere con me chissà quale colpa.
L’incontro mi lasciò perplessa. E altrettanto perplessa ora che la ritrovo madre di un figlio che non ha chiamato Maometto: è talmente cambiata! Non solo perché allora era magra, bionda, nervosa, mentre ora è florida, bruna e tranquilla: ma perché...
Perché non sono più la stessa persona. Ero una ragazzaccia viziata e ora sono una donna matura, paga dei suoi 73 chili. Non sapevo ciò che volevo e ora lo so. Mi mancavano tante cose e ora non mi manca più nulla. Mi sento serena come chi ha scoperto che le cose importanti sono le più semplici: amare un uomo che t’ama e avere un figlio da lui. Insomma, due anni fa ero nell’epoca dello stupore: aprivo un cassetto e mi meravigliavo di ciò che conteneva. Ora apro un cassetto e prima ancora di aprirlo so quel che ci trovo: il padre di mio figlio e mio figlio. Due cose che investono la mia vera vita e non la vita che fingevo di avere. Allora non facevo altro che correre: ora passo le giornate senza far niente. Tutt’al più guardo la televisione, mi basta star lì, posso essere finalmente quello che sono: un animale cui piace stare al sole e dormire, qualcuno che se ne infischia di tutto. Me ne infischio perfino del lavoro. Non completamente perché sarebbe cretino, ma abbastanza.
Vuol dire che non le importa più di esser famosa, popolare, adulata: in altre parole d’esser la Mina e aver successo?
Il fatto è che non l’ho mai cercato, il successo, non ho lottato per conquistarlo, e così non l’ho mai apprezzato. A una certa età, così come all’uomo viene la barba, a me è venuto il successo. L’ho accettato come una cosa normale: senza pena né fatica, senza rendermi conto della fortuna che mi capitava. Me lo sono tenuto come si tiene un regalo di cui si ignora il prezzo, e se lo perdo pace. La gente che mi ferma per strada mi ha sempre intimidito, e ora mi intimidisce ancora di più: mi dà come un complesso. Il complesso che mentre mi chiedono l’autografo abbiano qualcosa da dirmi o da domandarmi. Magari loro non ci pensano, ma io mi aspetto sempre che analizzino la mia "situazione". Poi ci sono quelli che si mettono dalla mia parte: e anche questo mi dà fastidio. La solidarietà! Tanto so bene che non è vera
Questo non è giusto, e nemmeno garbato. Diciamo che si sfogano per difendere se stessi. Vi sono anche quelli che la giudicano male. Da molti la nascita di questo figlio è stata considerata un esibizionismo sfacciato, uno schiaffo pubblicitario.
Quelli sono stupidi. Un figlio è una cosa così importante. Hanno anche detto che l’ho fatto per avere le copertine sui settimanali, che mi sono fatta pagare le foto. Hanno inventato che ho fatto una conferenza stampa per dar la notizia. Ma lei sa come è venuta fuori la notizia? Due giornalisti sono andati dalla mamma e le hanno detto: sappiamo che la Mina aspetta un bambino, vuol confermare la notizia a noi o vuole che esca su un giornale scandalistico? La mamma ci è cascata e ha risposto sì, è vero. Così una mattina, uscendo di casa, ho trovato l’inferno. Non so se capisce: tu esci di casa, tranquilla, con il tuo segreto, passi dinanzi al giornalaio, tranquilla, e vedi scritto a caratteri di scatola il tuo segreto. Allora torni a casa, correndo, con il tuo segreto che non è più un segreto, e trovi 40 fotografi ad aspettarti, ad accecarti. Credo che nel Medioevo fosse così la... la... come si chiama?
La caccia alle streghe. Però non si può dire che lei abbia fatto molto. Mina, perché se ne parlasse un po’ meno. Direi anzi che ha parlato un po’ troppo e con troppa gente.
Si fa presto a dire così: avrei voluto vederla, al mio posto. Cosa avrebbe fatto con i giornalisti e i fotografi che sbucavano dalla sua auto, di sotto al letto, dalla borsa dell’acqua calda? Dicevo una parola e loro ci ricamavano un articolo. Mi sono rassegnata: se è tanto importante per voi che io partorisca mio figlio, accomodatevi pure.
Non aveva pensato che una simile reazione avvenisse? Forse si sentiva protetta dal fatto d’esser la Mina: tanto vivo in un’epoca che offre a una donna il vantaggio di fare quel che vuole?
Non ci ho mai pensato, tantomeno ho pensato a sentirmi protetta perché ero la Mina. Quando una donna è incinta, non va mica a pensare sono la Mina e posso farlo, oddio cosa diranno gli altri? Io ho preso la decisione che ho preso indipendentemente dagli altri, nient’affatto sicura del benestare che tutto sommato c’è stato, pensando semmai che tutti ce l’avrebbero avuta con me. Per esempio ero sicura che la vendita dei dischi avrebbe avuto un calo tremendo, ne parlai anche con le mie case discografiche. Il calo non c’è stato: ho sempre avuto una fortuna schifosa, io. Ma se non fosse andata come prima, se la fortuna mi avesse abbandonato, non me ne sarebbe importato. Una che vuol diventare zero fa quello che ho fatto io: e io lo avrei fatto anche se fossi vissuta trent’anni fa.
D’accordo. Ma non ha mai avuto nemmeno timori o imbarazzi? Non so, nei riguardi delle persone che conosceva a Cremona: dopotutto lei vive in provincia, viene dalla provincia...
Timori e imbarazzi per la gente di Cremona? No. Sapevo come avrebbero reagito: bene e male, soprattutto male perché quando uno ha vissuto tanto tempo con i suoi bei principioni non puoi pretendere che cambi idea all’improvviso e per i tuoi begli occhi. Timori e imbarazzi io ne ho avuti, ma solo per i miei genitori o meglio per mio padre. Non che pensassi di sentirmi gridare: «Figlia snaturata, via di qui!». Ma sapevo di dargli un dolore. Perciò ho aspettato molto a dirglielo: un giorno di più e se ne sarebbe accorto da sé. L’ho chiamato in camera mia, «papà devo dirti una cosa», e nello stesso momento mi ha colto un attacco di isterismo: mi sono messa a ridere come una pazza. Non potevo frenarmi, ridevo, ridevo mentre papà mi guardava con occhi dolorosi e stupiti, e così, sempre ridendo, ho detto: «Papà, pensa che buffo: mi scappa tanto da ridere e devo dirti che sono incinta». Papà non ha battuto ciglio, si è seduto sul letto, mi ha risposto: è inutile che ti dica come la penso, tanto lo sai, vediamo piuttosto di esaminare la faccenda. Così ci siamo messi a esaminarla: Corrado è sposato, dunque vediamo, io intanto non ridevo più, e quando l’abbiamo esaminata da tutte le parti papà mi ha dato il bacio della buonanotte e si è ritirato in camera sua. Magari tutti avessero genitori stupendi come i miei.
Quanti anni ha suo padre?
Quarantasette. È giovane. Forse, se fosse stato di un’altra generazione, non si sarebbe comportato così. Ma che c’entrano le generazioni?! Non si cambia mica per le generazioni, si cambia invecchiando. A 20 anni si pensa e si agisce come a 20 anni, a 40 come a 40, a 60 come a 60. Mio padre ha reagito come un uomo di 47 anni e comunque ognuno è diverso. Che cosa ha di speciale la mia generazione rispetto a quella di mio padre? Quella di mio padre ha visto una guerra e la mia vedrà un’altra guerra: ecco tutto. A ogni modo credo che dai tempi di Eva le cose vadano nel medesimo modo. Non c’è nulla di simbolico in me né in mio padre. Ma perché vuol sempre dimostrar qualcosa?
Non voglio dimostrare un bel nulla e il suo punto di vista è discutibile, probabilmente sbagliato. Voglio solo intervistare una donna che si chiama Mina. Ed è a Mina, non alla sua generazione, che chiedo: non ha mai pensato di non farlo, questo figlio?
Io l’ho voluto, questo figlio (Massimiliano, 1963, ndr), non è nato per combinazione. L’ho voluto perché amavo il padre di questo figlio e il padre di questo figlio era d’accordo con me nel volerlo. Vede... è difficile spiegar queste cose. Dovrebbe essere innamorata, per capirmi: innamorata come io lo sono di Corrado (Corrado Pani, 1936-2005, attore e doppiatore, all’epoca era sposato con Renata Monteduro e in Italia non esisteva il divorzio, ndr). Vuole che le parli di lui? Corrado è il contrario di quello che gli altri credono, Corrado è diverso da tutti. Oh, non rida! Lo so che tutti dicono così quando sono innamorati. Ma Corrado... Per esempio non è affatto vero che imiti James Dean. È un ragazzo all’antica e non lo sa. Pensi che io non l’ho quasi mai visto recitare e lui non sa chi sono: quando sente cantare alla radio Wilma De Angelis chiede: «Sei tu?». Non gli importa niente che io sia la Mina, anzi l’idea di avere la donna chanteuse lo irrita a morte. Corrado mi sta bene come un vestito che mi sta bene e, quando mi accorsi che mi stava bene, desiderai avere un bambino. Mi sono sempre piaciuti i bambini.
Un figlio non è solo un bambino. È un uomo: verso il quale si hanno infinite responsabilità. Lei era cosciente di questo?
Fino a un certo punto, anzi no. Finché non me lo sono visto davanti ne sono stata pochissimo cosciente. La responsabilità viene fuori solo al momento in cui il figlio nasce e lo tocchi. Quando mi accorsi di aspettarlo, non pensai affatto alla responsabilità: pensai solo che avevo voglia di averlo. Di averlo come cosa mia, egoisticamente. Poi nacque, e mi resi conto di tutto: che avrebbe dovuto andare a scuola, e fare la scarlattina, e il soldato... Insomma che...
Che gli aveva dato la vita, che responsabile di questo era lei. E questo, che effetto le fece? Non la riempì di paura?
Di colpo... di un’immensa paura. Mi fece anche sentire più vecchia. Caddi dal cielo e per un giorno e una notte non feci che piangere. Piangevo perché sarebbe andato a scuola, perché avrebbe fatto la scarlattina, perché avrebbe fatto il soldato, e piangevo all’idea delle prime incomprensioni che sarebbero esplose tra me e lui, all’idea che avrei dovuto educarlo, insegnargli pensieri e sentimenti. Nello stesso tempo mi resi conto di volergli così bene, così bene: un bene irragionevole, che superava perfino le lacrime. Sa, quando si ama tanto una persona, non ci si rende conto di sbagliare. Gli voglio così bene che non mi pongo il problema d’avere avuto torto a metterlo al mondo. Questa è l’unica cosa che conta, che conterà quando sarà grandino e mi chiederà le cose, e dovrò spiegargli questa è una mela, questa è una pera, e questo è un libro.
Quando le chiederà qualcosa di più?
Questo mi preoccupa moltissimo: in tutta la mia vita, la cosa che mi ha forse turbato di più è stata l’atto di nascita di mio figlio, quando ho dovuto scrivere Massimiliano Mazzini anziché Pani. Spero che quando sarà grande, tutto sarà andato a posto: fra tre anni si può fare l’affiliazione. Lei che dice?
Sarà tutto a posto e, se non sarà tutto a posto, egli dovrà essere ugualmente fiero di lei e volerle più bene.
Lei lo dice per incoraggiarmi, ma spero che saprò stargli vicino e dirgli vedi, bambino, io amavo tuo padre e t’ho voluto perché amavo tuo padre, e se non l’ho sposato non è stato perché non l’ho voluto. A ogni modo il padre ce l’hai e ho vissuto con lui... Io le donne che decidono di avere un figlio senza vivere col padre del figlio non le capisco: mi sembrano ciniche e più egoiste di me. Se avessi potuto, mi sarei sposata: per legalizzare mio figlio. Lo sa qual è la cosa che mi tormenta di più? Non avere una casa, non poter vivere insieme nella stessa casa, esser costretta ad abitare in albergo.
È duro, capisco.
Più che duro, umiliante. Tante persone che non sono sposate vivono nella stessa casa, anche in Italia. Noi non possiamo: esiste una denuncia di concubinato e se abitiamo insieme il concubinato diventa lampante, finiamo in galera. Mio Dio, dico, se avessi rotto una famiglia capirei. Ma tutto era già rotto prima: Corrado e sua moglie vivevano separati da un anno, la pratica per l’annullamento del matrimonio era già in corso, la moglie era d’accordo, diceva: «Non m’importa un bel nulla se quei due stanno insieme». Poi è venuta fuori la storia del figlio e ci ha querelato. Vorrei dirle, sei bella, sei ricca, sei giovane, hai la vita davanti, e io ho partorito un bambino: perché non vuoi lasciarmi vivere con lui e col bambino?
Potreste vivere insieme in un altro Paese. Molti lo fanno.
Non siamo ricchi come la gente crede e il nostro lavoro è qui. Io ho firmato contratti fino al 1965 e se non li mantengo mi fanno una causa grossa così. Devo lavorare, perbacco. L’unico lavoro che non faccio più è cantare nei teatri in Italia. Verrebbero a vedermi più che a sentirmi, proprio come si fa con la donna barbuta nei luna park. Del resto, questa situazione me la sono voluta e poiché me la sono voluta devo sopportarmela con tutte le sue conseguenze. Vivere spesso separata non mi fa paura. Andrà bene e, anche se andasse male, rifarei tutto quello che ho fatto.
Eh, sì, Mina: è cresciuta, non c’è che dire. Due anni fa mi sembrava d’avere cent’anni quando la ascoltavo. Ora mi sembra che i cent’anni li abbia lei. Ricordo quando mi disse: «Io ho 18 anni. L’età che avevo quando questa malattia chiamata successo si è abbattuta su di me. Quando crescerò partirò da quei 18 anni».
Quelli, sa, mi chiedo se li ho mai avuti. Non ho mai fatto quello che fanno le ragazzine. Quando uscivo di casa succedeva l’iradiddio e, se le mie amiche dicevano «Mina, perché non andiamo al mare?», ero costretta a dire di no: perché avrei rovinato la loro vacanza e la mia. Non ho mai frequentato la gente della mia età, non ho mai avuto nulla in comune con loro. I ventenni, non so: o sono impegnati con i problemi centrali o pensano solo al cha cha, o sono comunisti o sono fascisti. Io non penso solo al cha cha e non sono comunista e non sono fascista: sono liberale e mi piace Giovanni Malagodi (fu capogruppo del Pli alla Camera, ministro del Tesoro e presidente del Senato, ndr) con il suo viso di faina. I ragazzi della mia età hanno 23 anni, quando parlo con loro viene sempre un momento in cui esclamo: Dio, quanto siete giovani. Gli uomini che ho frequentato con convinzione sono sempre stati sui 40. Corrado ha 27 anni ed è il più giovane che ho conosciuto. Con lei, sa, recitavo una parte, quel giorno, e a esser sincera era una parte che non mi divertiva. Perché avrei dovuto mettermi lì a distruggere un mito? Ora siamo sole, in casa sua, abbiamo tempo: può anche valerne la pena.
Questo lo avevo intuito. Lo scrissi, anche: «Mi prende il sospetto che sappia chi è Fidel Castro, chi è Maometto, e...».
No: chi fossero non lo sapevo davvero. Certe cose le ho apprese per le elezioni. Le ho raccontato il mio voto? Ero in ospedale, avevo partorito mio figlio. Dopo, qualcuno uscì con questa frase: «Ora hai votato, sei entrata nella maturità». Avevo un figlio e mi vengono a dire che sono entrata nella maturità perché ho dato un voto.
E chi gliel’ha fatta questa cultura politica? Corrado?
No. Lui è mezzo comunista: di queste cose con lui non parlo sennò litighiamo. Me la sono fatta da me: ascoltando, leggendo di più.
Allora non legge più Topolino.
Sì: mi distende. Ma leggo anche i libri: quelli che mi piacciono. Che cos’altro aveva sospettato di me?
Che sapesse cos’è l’amore, che cos’è un pentagramma, e che l’orsacchiotto con il quale dormiva fosse la borsa dell’acqua calda.
Era la mia borsa dell’acqua calda. Quanto al pentagramma, ignoravo che cos’erà: però avevo cantato un poco come soprano lirico, mia nonna era una grande cantante, questo lo sa.
Dunque non era la ragazzina ingenua che dicevano...
Ingenua... Oddio! Direi di no. Mi innamoravo, sì, ma con riserva. Era una cosa finta, come recitare una scena d’amore, magari soffrivo, ma come si soffre in un film. Ma lo sa che quando piangevo mi guardavo allo specchio per vedere come piangevo?
Sarà contenta. Mina, d’avere avuto un maschio.
Perché?
Il mondo oggi è più delle donne che degli uomini, ma una femmina che le assomigliasse sarebbe un problema. Se non altro per non farla vivere in fretta come lei.
Perché? Non sento d’avere esaurito il mio futuro, anche se le mie esperienze sono state veloci. Non mi sento defraudata. Va bene così: e non è presto esser madre a 23 anni. Non potevo continuare a recitare in eterno. Oh, non mi capisce, lo so: del resto, non l’ha detto lei stessa che l’altra volta si sentiva addosso cent’anni e questa volta si sente come se i cent’anni li avessi io? Siamo destinate a non capirci, noi due. Il fatto è che io sono romantica, romantica come una donna, e lei è cinica, cinica come un bambino. Continua perfino a scrivere articoli sulla Mina: sapendo che non ne vale la pena.
Chissà che non abbia ragione. Chiudiamo questo aggeggio e facciamoci un caffè.
Oriana Fallaci
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Sai a volte ti scrivo, entro nella nostra conversazione, e inizio a scrivere, stacco internet, per non farmi scoprire magari che sto scrivendo cose che però non manderò mai, pecco un po’ di sicurezza e un po’ di fantasia, perché lo so bene, che il tuo ultimo pensiero sono io, che in quella chat non ci entri. Però a volte mi piace raccontare di te, di noi. Di come ai miei occhi eri bellissimo, con quegli occhioni verdi che una volta ho visto anche rigati di lacrime, così belli che credo potessero essere categorizzati l’ottava meraviglia del mondo. Un’altra volta li ho visti affranti, distrutti nel vedermi che mi sgretolavo proprio sotto i tuoi occhi, proprio per colpa tua, per le tue parole. Li ho visti pieni di rabbia, verso di me. Li ho visti stanchi, stanchi di me, li ho visti pieni, pieni di me, del riflesso del mio amore che per un po’ è bastato ad entrambi. Non ho mai provato sensazioni simili prima. A volte penso sia sbagliato, altre che sono solo io, che ho trovato l’ennesimo modo per ferirmi. Amare qualcuno che effettivamente non lo fa. Un’amore di quelli che fanno male, perché sì, mi sa proprio di essermi innamorata. Di te. E tu invece? Sei arrivato, mi hai chiesto di rientrare nella mia vita, dopo che ti avevo superato, dopo che avevo chiuso la porta, mi hai chiesto di riaprila, che ne sarebbe valsa la pena. Lo sapevi, non ti ho mai saputo dire di no. Lo sapevo io e lo sapevi tu. Fin da prima che accadesse che sarebbe successo qualcosa tra di noi, qualcosa di grande, qualcosa tipo il big bang. Ed è successo, solo dentro di me. Avrei mille motivi per odiarti, e sono mi stessi per cui io sono innamorata di te. Ti odio e indissolubilmente ti amo. Fin da piccola, ti guardavo, da lontano, guardando quei tuoi occhi verdi, quelle tue lentiggini, e quel nasone che sta proprio lì, al centro. Come tutti i nasi dall’altronde. Ma il tuo era bello, a patata e vista la tua carnagione chiara era sempre rosso. Ti ho visto crescere, passare da aver 7 anni, ad averne 17. Sì, un mese all’anno, per tutto l’anno eri il mio pensiero nascosto, proibito, inarrivabile. Ma lo sapevamo entrambi. Che prima o poi qualcosa sarebbe successo. È iniziato tutto pian piano, non ricordo neanche come, proprio a 17 per la prima volta mi hai scritto su snap, gli auguri di compleanno. Non respirai. L’estate dopo è iniziato tutto. Un’abbraccio.. tu timidissimo ed io che con te sembrava mi si gelasse il corpo, perché sì, con te non sapevo mai cosa fare, come muovermi, mi sentivo solo sbagliata, un disastro. Quell’abbraccio, si è trasformato in un bacio, di quelli che aspetti da anni. Per te era un bacio e basta, per me l’inizio della mia felicità, ce ne furono di baci, quell’estate ce ne furono molti. Tutti senza assoluta valenza. Non sono stata un passatempo per te, ma neanche qualcosa. Non volevi ferirmi, ma non mi volevi. Di quei baci, quanti ne furono sinceri? Quante attenzioni dovevo ricercare. Quando eri con gli amici abbassavi lo sguardo, non mi guardavi. Ti vergognavi. Ti vergognavi e lo sapevo, lo sapevi. Ti vergognavi e te l’ho detto, hai annuito, poi silenzio. Ho aspettato dicessi qualcosa. Parlò il tuo silenzio. Me ne andai. “Scusami sono un coglione” mi hai scritto. Scusami sono un coglione, e io ti avevo già perdonato, non perdonavo me stessa per non essere all’altezza, era colpa mia, se ti vergognavi di me, vuol dire che qualcosa di sbagliato c’era in me. Mi sono odiata, tantissimo, mi odiavo. Ma tu non centravi, era colpa mia. E quindi ti diedi di nuovo la possibilità di ferirmi. Me ne sono andata poi, qualche giorno dopo. Poi nient’altro. Come se non fosse successo niente. Io e te non eravamo esistiti. E in effetti... Poi l’estate dopo, sei tornato dicendomi, “ voglio una seconda possibilità, farò di tutto, ti farò vedere che ne vale la pena” Non lo facesti. Lo sapevi meglio di me, quelle parole ti erano bastate. Non dovevi fare altro. Non ti dovevi impegnare. Non ti avrei detto di no, non ce l’ho mai fatta. E così si ri-inizia. Ma c’era qualcosa di diverso. Lo sentivo. Mi salutavi, ti impegnavi un po’. quando c’erano i tuoi amici però, io ero off-limits, neanche uno sguardo, neanche per sbaglio, non sia mai qualcuno ti vedesse. E ingoiavo. “Sono solo paranoie.” “ Sono io che mi immagino le cazzate” “ sono film.” Usciamo insieme. Ci baciamo. In macchina. Tutto è fuoco. Le nostre mani ovunque. Poi mi blocco. “non ho fatto nulla io” ti dico, ero rossa dall’imbarazzo. “ non fa nulla, non voglio questo, mi hai detto, non mi interessa.” Il giorno dopo, siamo usciti per caso insieme, io mi ero incollata a te. Nonostante non volessi perché ti volevo. Quella sera ho giocato con un ragazzo, a basket. Tu guardavi ogni tanto, mentre parlavi con i tuoi amici. I tuoi due amici, gli unici che sapevano di “ noi.” Poi sei entrato in campo, quello ci provava con me e tu mi hai dato un bacio, forte. Non so se tu l’abbia fatto di proposito, o sia io che leggo troppi libri. Mi piace pensarla così. Che tu l’abbia fatto per me. Per “delineare il territorio”. Poi hai iniziato a giocare, e io ti guardavo, seduta proprio in mezzo al campo. E ti guardavo, come ogni volta che ti guardavo, mi incantavo. Poi ti sei seduto vicino a me, sei venuto vicino al mio orecchio e mi hai detto sussurrandomi; “ neanche io ho mai fatto nulla comunque.” Dopo un giorno, ci avevi pensato e me l’avevi detto, così in un modo naturale, un qualcosa che potrebbe essere difficile da confidare da un diciannovenne. Io lo sapevo. E così mi si è accesso il desiderio. Mi immagino essere la prima. Non avrei mai voluto spingermi oltre, solo fin un certo punto, ma ti volevo. Tantissimo. E qualche giorno dopo in macchina. Sarebbe successo. Di nuovo, io e te, le mani ovunque, i corpi che si muovevano. Noi che non riuscivamo a respirare, e ansimavano. Tu che ti togli la maglietta. Poi ci fermiamo. Mi dici: “ se ti fossi tolta la maglietta sarebbe finita” ti dissi “ meglio così.” Ma avrei voluto averlo fatto. Invece fu meglio così. Prima volevo essere sicura di una cosa. Con tranquillità ti dissi scherzando. Che ti vergognavi di me, con lui. E così era, l’hai ammesso. Non mi hai mai detto bugie, e questo l’ho sempre apprezzato. Sono scesa dalla macchina. Piangevo. Sei stato il primo per cui ho pianto. Ho visto i tuoi occhi lucidi. Davanti a me. Seduto davanti a me mi chiedevo scusa, ti ho spinto via, non ti volevo. Anche se in realtà, volevo restassi, con me, per sempre. Te ne sei andato. Il giorno dopo, ci odiavo, ci evitavamo, i nostri sguardi parlavano per noi. “È finita” dicevano. Son venuta da te per parlare. Ti ho ripetuto l’unica cosa che ho sempre pensato. Tu di me te ne freghi. E ti sei incazzato, mi hai lasciato lì, hai accesso il motorino e te ne sei andato. Non era la prima volta che te ne andavi. Non sarebbe stata l’ultima. Dio mio però anche solo parlarti e guardarti negli occhi per me era come respirare, dopo essere stata in apnea. Non mi arrendo, non mi arrendo mai lo sai. E allora ti cerco, ti scrivo, ti dico che voglio parlarti. Mi hanno detto che per il nervosismo avevi finito un pacco di sigarette. Che avevi saltato l’allenamento. Siamo andati in macchina e me l’hai detto. Mi hai detto che non avevi fatto altro che pensare a me, a cosa mi avevi fatto non eri riuscito a dormire. E non ci eri andato, ma il calcio, era il tuo unico pensiero e quindi sapevo quanto valesse quel gesto. In quella macchina te l’ho detto. Ho avuto la conversazione più strana della mia vita. Mi dicevi che provavi qualcosa per me, che però ero la prima e che non sapevi dimostrarlo, che non eri bravo. Ti sei arrabbiato, abbiamo litigato, ti ho parlato col cuore in mano, piangevi, davi pugni al volante. Poi mi hai fatto scendere. Mi hai detto vattene, me ne sono andata. Il giorno dopo, il tuo migliore amico mi dice “ so che vi siete baciati, ma è finita per lui” E invece non era finita. Tre giorni da quel giorno, ti scrivo un messaggio. A rincorrerti ero sempre io, perché ero io quella che se ne andava. Abbiamo chiarito. Abbiamo parlato. Mi hai detto che volevi restassimo amici, io ti ho detto che volevo baciarti, godermela fino alla fine, mi hai detto “mi ci vuole tempo.” Mi hai guardato, avevo messo il broncio e mi hai detto “ lo so che tu hai sempre fretta e che pensi che non ci sia abbastanza tempo, ma mi serve” ho annuito, poi ti ho detto “baciami” ci siamo baciati anche se tu non volevi. Poi ti ho guardato e ti ho detto “ se devi farlo per me non farlo.” Mi hai preso il viso tra le mani e mi hai dato un bacio “ stai tranquilla” mi hai detto. Lo sapevamo che avresti scelto, e infatti fu così. Il giorno dopo eravamo io e te contro il destino di nuovo. Ce la siamo goduti, fino alla fine. Mi sono ubriacata. ti ho chiamato, ti sei alzato dal ristorante sei venuto da me, io ripiegata su me stessa, svenuta. Hai chiamato mio padre. È successo un casino. Niente festa di compleanno niente io e te tutta una notte. Siamo io e te per due giorni di fila. Le ultime ore le più belle. Ti ho detto perché mi piacevi. Tu mi hai detto perché ti piacevo. Tra tutti hai messo alla fine “sei carina”. Mi son sentita brutta. Poi mi porti a casa. Mentre guidi il motorino, strigo le mie mani attorno ai tuoi fianchi e tu ad ogni semaforo. Togli la mano dallo sterzo, e stringi le mie mani. Mi dicevi, silenziosamente resta. Al penultimo semaforo, gli hai dato un bacio alla mano. E per me è stato meglio di un ti amo. Lo hai fatto anche con l’ultimo. Poi davanti casa mia, abbiamo parlato, ti ho fatto promettere di dirmi quando ti manco. “torna”mi hai detto, ti ho detto sì, l’avrei fatto. Torna me l’ha ridetto prima che entrassi nel cancello e ridendo ti ho detto “per Natale, così faccio il tuo regalo” Me ne sono andata. Ridendo. Era una serata come le altre, e non avrei mai immaginato sarebbe stata la serata dell’addio . Così bella, che pensavo di rivederti. Che non credo che io partissi davvero. “Torna” è stata l’ultima frase. E invece ad andartene sei stato. Come ho sempre fatto ti ho urlato dietro “torna”. Ti ho rincorso, di nuovo. Io quel torna non lo dimentico. Non dimentico nulla, tu di me cosa ricordi? Mi hai detto torna, e ora qui, sei tu quello che non c’è. addio amore mio.
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Spazio Colore. Rosso. Bozza n.1. 11/02/2021. 19:12.
Ho sempre pensato che ti avrei vista in mezzo alla gente, come un faro nella notte che guida un pescatore alla salvezza. Pensavo di dover aguzzare la vista, di dover cogliere in qualche modo tutti i segnali ed elaborarli il più velocemente possibile perché le cose, si sa, svaniscono in un lampo e perdere l'occasione di conoscerti mi avrebbe reciso l'anima, segnata da un qualcosa che non sarebbe mai avvenuto e di cui non avrei saputo niente, se non alla fine dei miei giorni quando mi sarei accorto della tua assenza. Mi sbagliavo, tu non sai quanto. La cosa che mi fa rabbia, in tutta questa storia, è il fatto che mi abbia trovato tu, in mezzo alla folla: non mi hai mai voluto dire cosa ti avesse colpito di me perché eri gelosa delle tue sensazioni, così tanto da doverti chiedere sempre il perché delle cose, perché non ti andava di dirle, perché volevi che io capissi e alla fine ci sono riuscito, entrando in sintonia con te. Forse io questo non te l'ho mai detto ma io, perché, te lo chiedevo solo per farti felice: io sapevo tutto, ma ti chiedevo perché proprio per farti mantenere il controllo, perché avevi paura di lasciarti andare completamente e questa sensazione, ahimè, non mi ha mai lasciato, nemmeno per un istante. E mi chiedo perché mi hai trovato, a questo punto. Perché trovarmi? Non ci dormo la notte, Amaranta, e ogni volta che ci penso mi batte così tanto il cuore che non riesco a controllarlo, in nessun modo. Sono stato sempre una persona molto titubante, per quanto riguarda il destino: d'altronde perché dovrei credere che sia tutto già scritto? Sarebbe anche strano, d'altronde. Cadrebbero subito le domande sul senso della vita, sull'utilità di noi stessi in questo universo e tutte quelle belle domande che ci facciamo quando vogliamo dare una sorta di importanza alla nostra esistenza. Sarebbe buffo, poi. A questo punto perché non lasciarsi andare? Perché non cadere in un baratro profondissimo e lasciar sì che tutto avvenga, in preda all'impreparazione e casualità più totale? Perché non fare i barboni, o andare in giro a tempo indefinito? Le cose accadono, è questo il senso del destino. Ho sempre pensato che, ok, vero, in qualche modo molte delle possibilità che abbiamo a nostra disposizione decadono alla nostra nascita, che in qualche modo già determina un po' tutto: il modo in cui ci educano, le cose che vediamo, viviamo, facciamo, in qualche modo restringono il range delle nostre possibilità per arrivare, poi, a una strada più o meno delimitata che ok, potremmo chiamare destino, ma destino non è. Poi ho fatto pace con me stesso e ho pensato che ok, alcuni accadimenti avverranno sicuramente nella nostra vita ma non specificando quando e come, rimandando quindi alle nostre scelte la possibilità che queste avvengano: a pensarci è proprio questa serie di scelte che mi hanno portato a conoscerti, in un modo che definire straordinario è riduttivo. Ero in pace a riguardo, anche se comunque c'erano delle coincidenze, cose che avvenivano quasi per caso ma che pensavo fossero avvenute per determinati motivi, che capivo preso o tardi. Anche se ho cambiato decisamente idea a riguardo ti dicevo sempre che il destino non esiste, non dandotela vinta a riguardo, affermando sempre che forse dovevi riconoscermi e basta, senza nessun'altra spiegazione. E di questo mi pento, è una delle poche bugie che ti ho detto, ma non volevo dartela vinta e, invece, mi tocca proprio farlo. Anche perché tu ci credevi davvero e, quando mi hai riconosciuto, ti sei comportata sempre in maniera aggressiva con me: forse eri arrabbiata perché nemmeno tu volevi trovarmi, soprattutto per quello che stavi vivendo fino a poco prima di conoscermi. Ma no, forse perché eri arrabbiata con me perché ero completamente diverso da quello che pensavi di cercare e/o trovare; lo so che ero e sono fuori dai tuoi standard, me l'hai fatto capire subito, aggredendo ciò che ero per far cadere subito la tua scelta, facendomi scadere e lasciarti libera dalla tenaglia di un amore che nella tua testa non doveva nemmeno esistere, lasciandoti vagare senza preoccupazioni nella tua immensa e sconfinata sofferenza, lasciandoti convinta di esser orfana di un amore spezzato e mai concluso, e non per colpa tua. Sarei arrabbiato anche io se trovassi un'Amaranta a caso, mentre sto pensando, facendo e soffrendo per mille altre cose, perché non mi sentirei pronto e non lo eri nemmeno tu, d'altronde. Mi dispiace, perché avrei voluto accontentarti ed essere mediocre, così da permetterti di archiviarmi, ma soffro ancora per esser stato il miglior me stesso che potessi essere e, se potessi scusarmi, lo farei perché so che hai pianto davanti al fuoco accogliente di casa tua quando hai capito che non c'era altra via d'uscita che arrenderti di fronte a tutto questo. Non mi hai mai detto del tuo conflitto interiore, ma nemmeno io t'ho detto che so cosa pensi, d'altronde. Hai desiderato la mia morte, volevi uccidermi, ammazzarmi, e il tutto solo perché ti chiedevi "come ho fatto a farmi piacere questo?" e, se fosse successo davvero, avrei accompagnato le tue mani per recidere meglio il mio petto, perché forse avrei visto il tuo sorriso un'ultima volta. Come darti torto, d'altronde: chiunque lo pensa quando mi guarda o mi conosce, e non perché io sia strano ma perché sono atipico, molto, ed è per questo che eri arrabbiata con me perché non riuscivi a concepire come uno con uno stupido faccino come me potesse essere così tanto per te, fiera e orgogliosa, così tanto da non voler arrenderti di fronte a una persona come me. Un giorno, però, hai ceduto e questo non ho fatto in tempo a capirlo perché me l'hai fatto capire tu, in preda ad un'adrenalina ed un entusiasmo che mai avevo visto in te. Per la prima volta ti ho vista sicura nei miei confronti, arresa di fronte ad un'eccezionalità che son sicuro, Amaranta, che non riavremo mai. Quella sera, sai, non ero eccitato per via del tuo esile ma stupendo corpo, no, non m'interessava affatto: tutte le cose che hai fatto, che ti ho fatto, non mi eccitavano affatto perché nell'incredibilità di quei gesti io ho visto la vera te, quella che si è arresa, quella che proteggi da tutti gli sguardi, da tutti i costrutti che hai costruito e quelli che hai tirato su per proteggerti da me. Eri imbarazzata, l'unica volta che ti ho visto così. Eri lì nuda e giuro, l'unica cosa che avrei voluto fare era baciarti e consolarti, accoglierti tra le mie braccia e lasciarti piangere perché so che avresti voluto questo, ma avrei chiesto troppo e mi sentivo già in colpa per quel momento, per quello che è stato. Quella sera ho premuto un bottone e ti sei attivata completamente, come se dietro Amaranta ce ne fosse un'altra, diversa, che però ho visto in pochi e fugaci momenti. Il momento in cui il cuore ha cominciato a battere di più, però, è stato quando ti sei appoggiata sul mio petto: non ti sei mai lasciata andare a sdolcinatezze ma quella sera ti sei appoggiata a me, addirittura chiedendomi il permesso, tu che hai sempre preso tutto quello che volevi. Eri lì che mi guardavi, nel buio di camera mia illuminata dolcemente con una piccola luce rossa, senza dirmi nulla, almeno a voce: le tue dita mi carezzavano il petto, le tue labbra sempre lì lì per dire qualcosa e il tuo corpo, stanco e sudato, che voleva solo rimanere lì, nel pieno di un'intimità a cui ti eri arresa con fatica, che non avremmo mai più avuto. A un certo punto so che hai pianto,perché credevi non fosse possibile tutto quello che stavamo vivendo, ma non me l'hai voluto dire perché ti avrei vista debole e non volevi concedermi tutto questo in una singola e sola serata. MI desideravi, e non perché fossi chissà chi, ma proprio perché il mio non essere chissà chi, almeno in apparenza, ti rendeva automaticamente speciale e lo eri, e questo te l'ho sempre detto. Certe cose te le potevo dire solo dopo il sesso, quando le tue difese erano giù e Amaranta usciva fuori davvero, e non ho mai capito se fosse per via dei graffi dietro la schiena o per amore. Questo non l'ho mai capito ed è l'unica cosa di cui mi pento, soprattutto ora che è finita tra noi. Dopo un po' tutto questo ti agitava, ti rendeva irrequieta, nervosa, come se le sicurezze e i meccanismi che via via si formavano fossero una minaccia alla tua integrità, come se quella situazione, apparentemente idilliaca, fosse un pugnale che si stava per conficcare dietro alla tua dolce schiena. Io questo lo percepivo, ma non sapevo cosa fare perché a un certo punto è subentrato l'egoismo: ti amavo e ti volevo con me, ma non volevi prendermi la mano perché volevi mantenere la tua indipendenza. Avrei dovuto lasciarti andare? La Amaranta che ogni tanto usciva mi voleva, l'altra invece mi ripudiava come se fossi il dito che allarga la ferita e la lacera, senza soluzione di continuità. Più si andava avanti e più le due Amaranta si allontanavano, crescendo allo stesso tempo: la prima diventava sempre più austera, scorbutica, aggressiva mentre la seconda diventava sempre più Amaranta, perché non esistono ancora parole in grado di descriverla. E l'ho detto, la amavo. Ti amavo. Credo di averlo capito quando, durante una delle ultime sere assieme, mi hai chiesto: "Cos'è l'amore? Cosa significa essere amati?" e giuro, avrei voluto dirti che l'amore era stare lì in quel momento ma no, non ce l'ho fatta, ed è il mio unico grande rimpianto. Volevo che tu mi capissi, anche se sapevo che solo io riuscivo a capirti al volo. Ed è questo il motivo di queste parole, perché quando me l'hai chiesto non riuscivo a razionalizzare quello che ho provato ma, ora che è tutto finito, posso farlo con quel briciolo di senso critico che poi ho sviluppato per scacciarti dalla mia testa, anche se con poco successo. Mi dispiace non poterlo fare mentre sei nuda, calda come un fuoco, accanto a me ma è andata così e non posso farci poi molto, e questa è la seconda cosa che mi fa più rabbia. Mi dispiace anche perché son sicuro che la mia risposta sarà molto confusa e, come al solito, sarà prolissa e piena di punti chiave, ma dovresti esser abituata a questo punto. Il fatto è che, Amaranta, non so cosa significhi essere amati anche se lo so in realtà, perché è grazie a te che ho capito e provato l'amore, anche se malato e di sopravvivenza, almeno da parte tua, e giuro che mi viene difficile anche solo pensare a una risposta perché, ogni volta che ci provo, mi vengono a mente tutte le incredibili sensazioni, emozioni che ho provato quando sono stato con te che mi viene da commuovermi, proprio come facevo quando guardavo i tuoi occhi verdi. Il mio commuovermi era una sorta di preparazione, perché ogni volta che ti guardavo negli occhi riuscivo a immergermi in ciò che eri, valicando tutte le tue barriere, e perdendomi in un mare di cose che suscitavano in me un qualcosa di nuovo, inspiegabile, ma completamente appagante e sorprendente. A un certo punto mi sono sentito come se fossi lì per me e lì per starmi accanto, anche se sapevo che non era così o, per meglio dire, lo era per altri motivi. Penso di aver provato tutto con te, partendo dalla sincera curiosità nel capire chi ci fosse dietro Amaranta alla paura di perderti e allo stesso tempo credere che sia stato tutto perfetto, tutto combinato da un destino beffardo a cui tu credevi ciecamente. Tutto cambiava con te, anche in una frazione di secondo, ma allo stesso tempo credevo che il destino sarebbe stato benevolo e non avrebbe cambiato niente, scolpendo in pietra ed emozioni la nostra storia e facendola andare avanti, praticamente per sempre. A un certo punto ho creduto che eravamo destinati a stare insieme, io, che al destino non l'ho mai creduto. E lo credo ancora, ma forse non è questo il tempo giusto, non è la nostra coincidenza. Vuoi ridere? Le mie certezze son crollate e crollavano ogni volta che ti vedevo lì, ferma, con la tua frangetta rossa e i tuoi occhi verdi e pensavo fosse giusto così perché non mi importava niente, non m'importava di schiacciare tutto quello che ero stato fino a quel momento e non mi importava di perdere, perché esser sconfitto da un sentimento che non riuscivo a controllare mi faceva stare bene e mi fa stare bene, perché anche se convinto del fatto che non riuscirò mai a provare niente di simile il sapere di averlo provato mi fa sorridere, anche se le mie labbra sono bagnate da delle lacrime che forse non riuscirò mai ad asciugare. È questo il dettaglio che mi porterò dietro per il resto della mia vita, perché son sicuro che non rivivrò mai più quel senso di scoperta, paura e sicurezza tutt'assieme, perché quando ho avuto modo di scoprire le due Amaranta ho avuto modo di scoprire una delle creature più affascinanti su questo stupido pianeta, e ne vado orgoglioso perché davvero, so che nessun'altra avrà mai la stessa opportunità perché per un secondo mi hai accettato e, forse, mi hai amato: hai accettato le mie debolezze, il mio essere atipico e i miei capelli, i miei occhiali, la mia barba, tutto. Mi hai accettato per quello che sono e, per un attimo, ho sentito di stare bene e di essere in pace perché ti avevo trovato, e non desideravo altro. Forse è questo l'amore, forse è questo sentirsi amati, e forse era arrivare a questa conclusione il motivo per cui mi hai trovato. Forse era questa la risposta. Tu non hai risposto alla tua stessa domanda, ma forse perché non volevi deludermi, perché tu la risposta a quella domanda ce l'avevi ma non volevi deludermi, perché per te essere amati non era stare con me, no. Penso sia stato quello il punto della nostra separazione, della prevalicazione della Amaranta protettiva nei confronti della Amaranta vulnerabile, che mi hai sempre più nascosto fino a farla scomparire del tutto. Avevo messo in pericolo ciò che eri, forse pensando che tra le mie braccia ci fosse la possibilità di sovrascrivere l'amore che provavi per il ragazzo che volevi davvero, ma che non hai mai avuto, chissà per quale strano motivo. E alla fine, Amaranta, te ne sei andata per sempre, additando a me colpe che non avevo, o che forse avevo, perché non ero come quel ragazzo, non lo sono mai stato e in qualche modo ti ho illusa, anche se indirettamente. Ma so che non è stata davvero colpa mia, quindi sta tranquilla, non ce l'ho con te. Non sono nemmeno arrabbiato, anche se dovrei perché ho sempre avuto alle spalle un'ombra che non ho potuto scacciare nemmeno indirettamente perché, anche se ho visto la più bella Amaranta che potessi vedere, hai sempre avuto un piccolo sentore che ti diceva di non fare quello che stavi facendo e non ho mai avuto nemmeno una possibilità con te, anche se l'ho avuta ma solo per uno stupido riflesso, per un tuo tentativo stupido di rimpiazzo che non è andato poi a buon fine. L'unica cosa per cui sono arrabbiato riguarda il tuo avermi trovato quando non eri pronta perché, se lo fossi stata, sarebbe andata diversamente e so, so, che ci hai messo tutta la forza che hai in corpo per far andare le cose in maniera giusta ma non è andata così e mi dispiace, perché avrei potuto non essere il miglior me stesso e sarebbe stato tutto più semplice, sia per me che per te: tu non avresti pianto quella notte davanti al fuoco e io non starei piangendo adesso, ricordando una persona che ho amato ma che non mi ha mai voluto, se non come semplice rimpiazzo. Ed è brutto ammetterlo così ma io forse un po' ti amo ancora, e credo che ti amerò un po' per sempre perché è vero, tra di noi è finito tutto, ma è anche questo l'amore: lasciar andare l'altra persona e sperare stia bene, anche a costo di rimettere sé stessi. A pensarci, forse, è davvero questa la risposta alla tua domanda e mi dispiace averti mentito, ma non ero pronto e, ora che lo sono, sei scappata perché non lo eri tu e, forse, non lo sarai mai.
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“Il grido di un cuore”
Parte 5
Il giorno seguente, Ambra incontra di nuovo quel tizio in metro, contatta Jasmin:
“Jas, oddio...di nuovo.”
Jasmin essendo a lavoro risponde troppo tardi:” Tesoro, scusami! Cosa di nuovo? Quel tipo?”
Dopo mezz’ora nessuna risposta.
Jasmin continua a contattarla dato che non era mai successo prima d’ora, non era mai successo che Ambra non la rispondesse dopo più di mezz’ora:
“Ambra ci sei?”
“Perché non rispondi?”
“Così mi fai preoccupare...”
Dopo circa un’ora la risponde trovando un miliardo di messaggi da parte di Jasmin:
“Eccomi Jas.”
Jasmin:” Hey ma dov’eri finita? Tutto okay? Cos’è successo?”
Ambra:” No, niente di che. Stasera ci vediamo?”
Jasmin:” Niente di che?! Come niente di che?! Sicura? Così mi fai preoccupare, certo che ci vediamo..”
Ambra:” No no, tranquilla. Tutto sotto controllo.”
Jasmin:” Eh.. lo spero. Allora appena finisco col lavoro sono da te!”
Ambra:” Va bene, allora ti aspetto.”
Solito posto, in piazza alle ore 20:30.
Jasmin vede Ambra e l’abbraccia, dicendole :
“Cosa ti è successo tesoro? Mi hai fatta preoccupare!”
Ambra:” No, niente di che, davvero. Sediamoci e ti spiego.”
Jasmin:” Okay! Però la nostra panchina è occupata.. uff! Laggiù ne vedo un’altra, è libera, sediamoci lì!”
Si siedono su un’altra panchina, diversa dal solito e cominciano a conversare:
Jasmin:” Dai, dimmi tutto. Sono tutte orecchie!”
Ambra:” Beh, ecco....”
Jasmin:” Dai tesoro, però così mi trasmetti ansia. Dico davvero. Non scherzare. Dimmi tutto.”
Ambra:” In realtà la metro ha ritardato, però...”
Jasmin:” Però? Cos’è successo poi?”
Ambra:” Però.. va beh, niente. Ricordi quel tipo di ieri in metro?”
Jasmin:” Ah si! Quello che ti piaceva!”
Ambra:” No. Quello carino, ma non a tal punto da piacermi.”
Jasmin:” Va beh si, ci siamo capite. Quindi?”
Ambra:” Ecco. L’ho rivisto.”
Jasmin:” L’hai rivisto? In metro?”
Ambra:” Si, in metro. Poi quando io sono scesa alla solita fermata, appena la metro è ripartita, mi sono girata e mi sono accorta di averlo accanto.”
Jasmin:” Ah...e poi cos’è successo?”
Ambra:” Niente, m’ha sorriso, m’ha fatto un occhiolino e siamo rimasti così, tutto il tempo come due scemi a guardarci.”
Jasmin sorridendo:” Che cuccioli!”
Ambra:” Ma quali cuccioli... mi fissava senza dirmi niente, apatico.”
Jasmin:” Ma dai! È stato così tenero, ti ha anche sorriso e fatto l’occhiolino!”
Ambra:” Eh però per me non basta. Dopo quello che ho passato non basta per farmelo piacere.”
Jasmin:” Beh, su questo hai ragione. Vai con calma e stai sempre coi piedi per terra. Vedrai, se vorrà si avvicinerà in tanti altri modi fin quando non ti colpisce per davvero.”
Ambra:” Sempre. Eh già...”
Jasmin:” Ambra però ti sento triste.. come mai?”
Ambra:” No, va beh. Ormai ho paura di affezionarmi alle persone, ai piccoli e grandi gesti d’amore, alle dediche...non fanno più per me.”
Jasmin:” Dai tesoro, non essere triste! L’amore misà che è proprio questo: trovare qualcuno che ti sconvolga veramente la vita. Qualcuno che ti prenda e ti porti via, per sempre! Qualcuno che, nonostante tutto faccia di tutto per averti e tu, in quel momento, ti senti così attratta, così trascinata da non pensare più a niente. Da non sentire più il male che ti porti dentro. L’amore è questo, secondo me.”
Ambra:” Speriamo che sia come dici.. beh adesso vado!”
Jasmin:”Va bene, però prima fammi un sorriso e promettimi di non essere triste.”
Ambra:” Eh, chiedi troppo. Però va beh...” le sorride e aggiunge:”Ecco il mio sorriso.”
Jasmin:” Ecco, me lo faccio bastare.”
Jasmin l’abbraccia più forte del solito, dicendole:” Ciao tesoro! Ti voglio un mondo di bene.”
Ambra:” Anch’io ti voglio bene!”
Ognuna si reca a casa propria...
To be continued...
Scritto da: originalempathplaidfreak
Copyright (c)
#copyright#scritto da me#il mio libro#racconto#vera amicizia#amore#metro#frasi#abbraccio#amicizia#tumblr#il grido#cuore#il grido di un cuore
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Il mio bar
Lo guardo dal bancone del bar mentre finisco di bere le ultime gocce di rum rum . I suoi passi suonano decisi nel silenzio della sala mentre finisce di riordinare. Si è fatto crescere un velo di barba nera, perfetta con la sua carnagione olivastra, capelli corti ordinati, neri, fianchi stretti e decisi. Lo seguo con lo sguardo, senza perdermi nemmeno un movimento. Mentre si allunga sui tavoli per mettere le tovaglie non posso non soffermarmi sui pettorali che affiorano dalla stoffa leggera della camicia bianca.
Quando i suoi occhi neri incrociano i miei, sento un brivido lungo la schiena, come una scarica di adrenalina. Lo vorrei ora dentro di me, subito, vorrei sentire la sua pelle sulla mia . . Sento le guance arrossire, improvvisamente la temperatura sale superando la soglia di sicurezza.
Dopo qualche sguardo in confusione contraccambio con un sorriso, abbasso lo sguardo sul fondo del bicchiere, assaporando strane alcoliche fantasie della mente. Mi accorgo che anche lui è impegnato a fissarmi deciso, mi sento così eccitata, senza vergogna accavallo le gambe facendo intravedere le mutandine bianche, fumo l ultima sigaretta sa di uomo. Mi alzo vado verso i bagni, li supero, giro in un corridoio, cammino con passi legeri, sento qualcuno dietro di me.... vedo la sua camicia. Sicura e con passo sensuale continuo. Mi fermo davanti ad una porta c'è scritto "magazzino", entro sorridendo, lasciando socchiusa la porta, la stanza è stretta e mi siedo sulla cassa di bottiglie, ferma. Sento I suoi passi.... il cuore si ferma il respiro aumenta il suo profumo è lì, mi prende per i fianchi da dietro, sento le sue labbra calde sul mio collo. Chiudo gli occhi assaporando i brividi che corrono sulla mia pelle, con il solo pensiero di averlo dietro me, trasformando i miei capezzoli in due chiodi che si vedono sotto il tessuto della maglietta. Il suo sesso è già duro, vorrei quasi girarmi per stringerlo con le mani, ma rimango ferma, come una preda in trappola. Mi sbottono la gonna, la tiro, lui gioca con i mie capezzoli, mi toglie la maglietta tutto è così veloce, infila le dita nel elastico delle mutandine tirandole giù deciso, poi prosegue in una piacevole ispezione. Dopo un po' sento la sua barba grattare leggermente contro il mio inguine e la sua lingua correre dentro, respiro forte con la sua testa tra le mani, chiudo gli occhi godendo in silenzio ma un gemito di piacere scappa, mi tappa la bocca con la mano. Mi piace essere presa, trattenuta. Mi fa girare e io lo faccio sapendo, ora le sua barba sono sul mio collo e lui è li dentro di me, con delicatezza lentamente da prima per poi essere più deciso fino a quando.... non ricordo più niente. Soddisfatti ci rivestiamo sorridiamo compiaciuti, mi prende per mano rivestendomi io non vorrei, mi sussurra ad un orecchio che deve tornare al bancone. Mi offre un altro bicchiere di rum guardandomi negli occhi, offrendomi una sigaretta, mi dice che ho un sapore buono più del rum e che se voglio, dopo la chiusura.....
Veleno&rum
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[ Blake & Hyun-Ae _ Ginny’s Birthday _ 21/06/19 _ “Destino o Coincidenza? _ #Ravenfirerpg ]
* Festa era una parola stranamente in disuso nella vita di Blake Hill che, invece di andare di festa in festa, preferiva isolarsi dal resto del mondo, disegnare, tatuare e bere dell’acqua. Si, aveva smesso di andare alle feste, ma non beveva neppure alcolici cosicché evitava di uccidere persone a lui amiche. L’ultima volta, quella vera e propria volta in cui aveva deciso di andarci, infatti, si era ubriacato e aveva ucciso la sua futura sposa. Ora si considerava una sorta di “Vedevo nero” e cercava di evitare la parola “festa”, ma forse invano. Un bigliettino sconosciuto e firmato da un’ignota sua cliente gli era arrivato al Tattoo Land, invitandolo personalmente ad imbucarsi ad una festa. Una certa Ginny. Blake Edward Hill, un nome e mille storie da raccontare, accettò l’offerta e si costrinse autonomamente a vestirsi di bianco. AH, che colore insolente! Egli che amava vestirsi di nero, doveva rischiare anche risate derisorie per quel bianco lucente e per quei capi scintillanti di luce non propria. Blake sospirò quando si rese conto che ormai aveva comprato quel completo e che doveva andare. Di solito non osava mai nella sua vita, uccideva soltanto, quello era il suo osare. Un’ altra cosa che non osava era dissacrare i suoi ricordi seppur malefici ed orripilanti. Ma vi era una donna, a sua insaputa, che ora condivideva i suoi spettri infernali. Il suo nome era Hyun, o meglio conosciuta come “Miss China Town”. Il loro incontro era stato così casualmente organizzato dal destino che da quella volta Blake ripensava spesso a quel ballo condiviso dalla loro pelle, d’altra parte era la prima persona che aveva toccato dopo circa una vita. Ma il destino spesso faceva brutti scherzi. Al confine tra un’altra coincidenza ed un destino già scritto, appena entrato nella residenza Lagarce, egli la vide. Un tumultuoso sussulto lo pervase e decise di avvicinarsi, alle sue spalle. La giovane sembrava non averlo ancora visto o riconosciuto dato che portava una specie di chignon e un ciuffo corvino davanti agli occhi. Quando arrivò dietro di lei con dita delicate spostò una ciocca di capelli per sussurrarle* « Il bianco ti si addice di più.. » Hyun-Ae Jang Eccola lì, di fronte a un armadio pieno di vestiti che decisamente non stava collaborando. Le guance pallide si gonfiarono in un'espressione frustrata e indecisa, passando quasia ai raggi x ogni singolo abito bianco su cui posava gli occhi. Solo dopo un po' si ricordò di un abito che aveva indossato molto tempo prima a cui non aveva più pensato e che era stata costretta a comprare, poiché metteva in risalto le sue forme quasi inesistenti e le gambe fin troppo magre. Non era più la Hyun di un tempo, era cambiata ora ed era più consapevole del suo corpo e con il tempo aveva imparato anche a risaltare quello che meno amava. Con sguardo deciso si preparò a dovere, accociandosi i capelli questa volta del suo colore naturale e lasciando parte di essi sciolti, così che ricadessero sulle spalle magre e la schiena scoperta. Si truccò solo le labbra di un rosso acceso - quasi color sangue - e leggermente gli occhi a mandorla indossando le solite lenti a contatto azzurre. Una volta pronta, si diresse verso la dimora della festeggiata, deglutendo il groppo che si sentiva in gola per il nervosismo. La veggente non era una campionessa di relazioni con gli altri, non sapeva approcciarsi e non sapeva come iniziare una conversazione senza dire qualcosa di non necessario, ma aveva colto quell'occasione per mettersi alla prova e uscire dal suo guscio. Fortunatamente appena entrò alla festa incontrò una persona che non vedeva da tempo, la sua vecchia amica Harper, e che si rese conto di essere felice di averla rincontrata e di recuperare il rapporto che avevano. Solo una volta che si fu allontanata e avvicinata al banco dove servivano dei drink si ritrovò a pensare istintivamente a un'altra persona che aveva conosciuto proprio ad un altro evento simile a quello, chiedendosi se l'avrebbe mai rincontrata. Recentemente aveva anche avuto una visione su di lui e voleva parlargli, ma le era mancato il coraggio. Le guance pallide si imporporarono all'istante nel pensare a lui, ancora non capendo esattamente quello che provava per quel misterioso ragazzo. Scosse la testa con foga, scorgendo il barman guardarla in modo strano, e sbuffò appena, dandosi mentalmente della stupida. Fu in quell'istante che sentì la sua presenza prima delle sue dita sfiorarle i capelli, facendola sobbalzare e tingere le sue gote nuovamente di un rosso accesso al quel tocco così delicato nonostante sapesse della sua natura. Un brivido solcò la schiena nuda lasciata scoperta dal vestito, facendo intravedere la pelle d'oca che la sua voce le aveva procurato, riconoscendola all'istante e solo dopo qualche secondo si girò con il viso verso di lui, puntando gli occhi nei suoi con fare fermo e sicuro, nonostante i brividi. < Grazie, Tengu, anche se non ne sono molto sicura. Comunque apparire così di spalle è proprio cattivo.. > Gli sussurrò, sentendo lo stomaco chiuso in una morsa e guardando appena la sua mise, la camicia bianca che metteva in risalto il suo fisico asciutto, intravendendo appena i suoi tatuaggi al di sotto. Si morse appena il labbro inferiore e lo guardò di nuovo negli occhi, nascondendo un sorriso alquanto divertito. < Anche a te sta molto bene questo colore.. Non avrei mai pensato che potessi indossarlo.. > Blake Edward Hill * Quando, pronto e vestito di bianco, si guardò allo specchio, Blake non si riconobbe. Bianco, quell’orrendo bianco, aveva sconvolto la sua anima oltre alla sua stessa figura. Egli, infatti, non aveva mai indossato indumenti di un colore così puro e casto, un colore che non avrebbe mai e poi mai accettato. Rabbrividì prima di comprendere che nessuno in realtà l’aveva obbligato e non poteva di certo lamentarsi con qualcuno. Fece una smorfia con le labbra e decise di legare i suoi capelli corvini per non sembrare un demone costretto alla purezza. Per la prima volta, non si disegnò nemmeno il viso con la matita nera, lasciando quest’ultimo acqua e sapone. Sospirò e all’improvviso gli venne un’idea: aggiunse delle bretelle nere. Era così che incominciò a sentirsi meno pagliaccio e più a suo agio. Decidere di andare ad una festa era stato quasi atroce, ma nel momento in cui gli occhi cerulei di Blake avevano incontrato la figura di Hyun, tutto sembrò riappacificarsi nella sua anima. Non avere qualcuno che conosceva al suo fianco in quel contesto caotico e con troppa gente per i suoi dannati gusti non lo aiutava per niente. Blake era schizzinoso, non voleva essere toccato, guardato e neppure trattenuto in qualche conversazione da estranei. Nella sua eterna difficoltà con il mondo, il giovane Dooddrear dai capelli demoniaci incastrati da un elastico si ritrovò in una figura familiare che non esitò a raggiungere. Miss China Town era davvero incantevole in quel suo vestito, nonostante non le avrebbe mai detto che lo era, o meglio non in maniera romantica. Qualcosa lo spinse a sfiorare i suoi capelli morbidi e setosi. Le mani del destino l’avevano ricondotto a lei, lui ne era quasi certo. Trattenne un sorriso mentre i suoi occhi si accorgevano delle sue gote rossastre. Era così umanamente dipinta che per certi versi le fece quasi paura, ricordandole Johanna e la sua spontaneità. Deglutì e ritirò delicatamente la mano. * « Non volevo spaventarti. I demoni accarezzano le prede, non le fanno scappare come si pensa spesso.. Chiamami Blake Edward Hill, Miss Hyun China Town. » * I suoi occhi si colorarono di una luce diversa, quasi rinnovata. Quando la ragazza guardò come egli si era vestito con seguì ogni movimento del viso e sorrise, non mostrando i denti, ma sorrise. * « Neppure io. I miracoli esistono per essere compiuti. » Hyun-Ae Jang < Quindi sono una tua preda, Sig. Hill? > Disse, non riuscendo a trattenere quelle parole in risposta alle sue, usando un tono curioso e basso, quasi confidenziale, ma gli occhi si incastonarono nei suoi. Un sorriso più evidente poi si formò sul suo viso pallido e annuí in risposta al suo, rimanendo piacevolmente sorpresa da quel semplice gesto, prendendo finalmente il suo drink che consisteva in un semplice gin lemon. In tanti pensavano che Hyun fosse una ragazza zuccherosa, in tutti i sensi, ma in pochi sapevano che la realtà era ben diversa. < Concordo, infatti è anche un miracolo che pure io mi sia vestita così.. Di solito non lo metto mai, a ragion veduta.> Gli rispose con tutta onestà, anche perché lei e la capacità di saper mentire erano due mondi che non si sarebbero mai incontrati. Sospirò appena, prendendo un piccolo sorso del suo drink, mentre lo guardava nei suoi occhi azzurri, distogliendo poi lo sguardo dal suo dopo pochi secondi, sentendo ancora le gote rosse ben presenti sulle sue guance. Che aveva che non andava? Si sentiva molto esposta in quel momento. < Davvero, dico sul serio comunque. Conquisterai tanti cuori questa sera, ti senti pronto? > Gli chiese, cercando di usare un tono abbastanza indifferente e giocoso, tornando a guardarlo. Blake Edward Hill « Tutto è lecito. Dunque, potresti esserlo..» * Susurrò sembrando molto convinto di quella osservazione demoniaca. Se vi fosse mai stato un dooddrear a Ravenfire capace di rovinare tutte le ragazze purissime quello era certamente Blake. Non c’era alcun dubbio. I suoi occhi continuarono ad osservare quelli della ragazza immergendosi in una realtà totalmente differente dalla propria fin quando la presenza dell’alcol non lo destabilizzò. Fece un passettino indietro ed impallidì verso il cameriere, scosse la testa e rifiutò il calice. Era astemio, per un motivo, ma lo era diventato e non voleva più pensare a riprendere i rapporti con l’alcol. * « Ragion veduta ovvero? » *Chiese, stupito. Era impossibile che una come lei non indossasse il bianco. Trattenne un sorriso appena notò che le gote della ragazza continuavano a colorarsi. Cosa aveva che non andava? Si sentì un deficiente criticato da una cinesina che pensava, ma, che a quanto pareva, non diceva nulla. La risposta di Hyun fece sgranare gli occhi a Blake. Amore? Cos’era l’amore? Rise leggermente abbassando lo sguardo per poi ritornare a rincontrare i suoi occhi* « Non è d’amore che la mia vita è composta. Non cerco nessuno e forse mai lo farò.» Hyun-Ae Jang Quella frase così ipotetica la fece aprire in un sorriso alquanto divertito, poiché sapeva che forse lei non era proprio la preda giusta per lui. Alla menzione della sua frase precedente, lo guardò ancora negli occhi e scosse appena la testa, facendo un gesto con la mano quasi di non curanza, prendendo un altro sorso del suo drink per poi abbandonarlo lì sul tavolo. Non avrebbe parlato con lui delle sue paturnie mentali sul proprio fisico, con un ragazzo misterioso e per di più attraente. Il senso? Non esisteva in questo caso. < Niente di importante, non farci caso. > Rispose solamente, guardandolo con un sorriso senza mostrare i denti, forse un po' di circostanza. Appena le rispose alla sua battuta, scosse la testa e si avvicinò a lui, manco gli stesse confidando un segreto, ma si accertò di non toccarlo perché già dal loro incontro precedente aveva capito che il contatto fisico non era una cosa che gradiva molto. < Non parlavo d'amore, Sig.Hill, ma di fare breccia nel cuore di sconosciute.. O anche conosciute, chi lo sa! > Disse, scostandosi appena e affondando nuovamente nei suoi occhi cerulei prima di aggiungere solo una frase in più. < E come mai non cercherai mai nessuno? Mi sembra piuttosto.. Definitiva come situazione. > Eccola impicciarsi nei suoi affari, non riuscendo a frenare quella lingua troppo invadente. Dopotutto era fatta così, aveva intravisto qualcosa del suo passato e si era incuriosita. Blake Edward Hill * Preda o predatore. Era questa la differenza che poteva racchiudere la vita di Blake il quale da un lato sembrava predominare ed essere il big villain della situazione mentre dall’altro sembrava soltanto esser rimasto il bambino che all’età di 4 anni aveva trascinato il cadavere di suo nonno ucciso. Blake era da un lato vittima della violenza omicida dei Dooddrear e dall’altro predatore assetato e ricercatore immondo di paure nascosto, ma in entrambi i casi egli era tenebre, buio e aridità. Gli occhi attenti e cerulei del ragazzo seguirono i gesti di Miss China Town e conprese in quel gesto che anche lei doveva avere qualcosa di strano. Lasciò correre, per questa volta, o forse no.* « Ciò che è importante per me, può essere nulla per te. Non l’hai mai pensato? » * Rispose con la sua solita aura di mistero che, inconsciamente, la sua presenza trasmetteva. Quando la ragazza gli si avvicinò, egli assottigliò lo sguardo e alle sue parole accennò ad una risata sibilante. “Breccia”, “cuore”, “frecce”... ci mancava solo qualche manga romantico ed era sistemato. Scosse la testa e la guardò negli occhi, nuovamente* « Stai usando dei sinonimi, ma stai dicendo la stessa cosa.. Per me l’amore non esiste, è polvere al vento. È una sensazione che preferisco cedere agli altri. Non voglio più condividere niente con nessuna, Miss Hyun. » * Evasivo eppure così truce. Chiunque avrebbe notato la luce degli occhi di Blake spegnersi ed il suo sguardo perdersi in un punto nel vuoto. La chiamavo malinconia.* Hyun-Ae Jang Sì, decisamente la veggente trovava così definitiva quella frase, ma Hyun più guardava quel ragazzo più scorgeva quei piccoli tratti che l'attraevano, come i suoi occhi che trovava così misteriosi e attraenti ma che in quel momento sembravano velati mentre pronunciava quelle parole. Che cosa poteva essere? Si morse appena il labbro inferiore, sovrappensiero e si scostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, cercando di non sembrare troppo invasiva con lui, non sembrava il tipo che avrebbe apprezzato una parola in più, ma Hyun si sentiva sempre più attratta come una falena era attratta dal fuoco. Sapeva che lui era un Droddrer e che la sua natura poteva essere pericolosa, ma Hyun doveva ammettere che in sua compagnia non si sentiva braccata in qualche modo. Non che lui avesse provato davvero a farle sapere che cosa egli fosse, in quel caso lei avrebbe potuto benissimo difendersi poiché ne era in grado, ma più lei lo guardava più voleva sapere di lui, del suo passato e in quel caso il perché di quel velo davanti agli occhi che aveva offuscato la brillantezza di quel bel azzurro. < L'importante per te in questo momento è sapere il perché del mio "a ragion veduta"? > Disse, riportando l'argomento su qualcosa diverso da quello che aveva offuscato la sua vista. Sorrise appena divertita al ragazzo, stringendosi nelle spalle magre, quasi ossute, e gli indicò un punto con dei divanetti, appena più al riparo. < Ci andiamo a sedere? Stiamo occupando il tavolo dei cocktail e a meno che tu non voglia bere qualcosa ci dovremmo allontanare.. > Blake Edward Hill * Vi era sempre stato un velo sulla vita di Blake, uno di quei veli che nessuno sarebbe riuscito a decifrare eppure la veggente che aveva vicino a sé sembrava cercare di andare oltre quella pelle macchiata, quel sorriso infranto dalla sua oscura natura e quel peccato ancorato ai suoi piedi. Ebbene si, i tratti di Blake non erano per niente tratti che potevano attrarre, o almeno a prima vista era effettivamente così. Era soltanto dietro quella pelle macchiata dall'inchiostro corrosivo con cui lavorava tutti i giorni che si nascondeva quell'anima sensibile, quell'anima dedita ad una filosofia mai sperimentata, ma vissuta realmente su di sé. Gli occhi del Dooddrear notarono con piacere che la ragazza si stava ordendo il labbro. Cos'era quella cosa? Vertigine, senso di vuoto sulla terra ferma? Paura? Eppure non sembrava che avesse emanato quel senso di paura che costantemente dominava la sua persona. Istintivamente mise una mano in tasca ed inclinò la testa, quasi per osservarla meglio mentre i suoi occhi accennavano un po' di quel rosso fuoco che di solito richiamavano la sua vera natura e la sua rabbia, ma che invece in quel momento richiamavano solo un interesse spiccato e quasi piacevole. C'era qualcosa che non riusciva a comprendere negli occhi a mandorla della giovane, un qualcosa che probabilmente l'avrebbe aiutato chissà quando però! * << Potrebbe esserlo... ma ora che insisti potrebbe aver perso anche quell'importante senso che ora gli stavo dando. >> * Sorrise appena allontanandosi di qualche passo da lei e dal banco. Sospirò guardando tutto quel cibo che in realtà non avrebbe mai potuto sfamare nessuno. Guardò Hyun e affermò. * << sI, ANDIAMO VIA. >>
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Il Gioco.
Quando ti trovi in queste situazioni, devi mantenere la calma, evitare che la testa proietti fuori dal tuo cranio, tutte quelle ombre che vedevi da bambino. Meglio evitare che una mente fantasiosa, peggiori le cose, no?
Per farlo, cercherò di ricordarmi tutto quello che è accaduto prima di arrivare qui.
Ero ancora in ufficio, quel plico era come apparso nel casolare, dove nulla può apparire o scomparire come vuole. Insomma, abbiamo anche noi delle alte difese attive.
Certo, i fantasmi e tutto ciò che è impalpabile e che sfugge alla conoscenza magica, elude facilmente le difese... evidentemente nessun tipo di magia poteva proteggerci da chiunque avesse lasciato lì quel orrore.
Un brivido, già non devo pensarci...
La giornata lavorativa si risolse come sempre, accompagnata dal placido muggito lontano e da qualche corrente fredda proveniente da sopra i monti.
Sopra gli uffici c'erano le nostre stanze, erano tutte comunicanti con un'unica zona per i pasti e qualche bagno. Era un po' come stare nel castello, solo che versione piccola e meno rumorosa. Spesso il silenzio di certi auror, era così insistente da proiettarmi in un abisso. Sentivi gli insetti correre sulle travi di legno o le foglie cadere. Molti erano più grandi di me, di qualche decina d'anni, non era difficile comprendere quanto poco volessero parlare/avessero da spartire.
Noi dell' "ufficio informazioni per mostri", aka io, phil e una ragazza minuscola di nome Marie, solitamente facevamo comunella. Cene, pranzi assieme, qualche chiacchiera, due scherzi. Alla fine non siamo tanti, nessuno si occupa più di queste cose...
c'è una certa rassegnazione, penso sia data dal fatto che molte delle "nostre creature" stanno aprendo. Tante si nutrono di paura, del risentimento, dell'idiozia di alcuni cacciatori impavidi, della brutalità dell'uomo e dei suoi atti efferati. Credo che sia un po' come per la fatina di Peter Pan, i ragazzini pensano che sia tutto frutto di storie inventate, creepy pasta, video truccati, investigazioni occulte click bait. Ciò un po' uccide i nostri mostri, semplicemente smettono di esistere... forse.
Ai piani alti dicono che sia così, pensano che avere meno personale per "Il reparto per lo studio e la ricerca di creature inclassificabili, criptidi e calamitá" non sia un problema, non parlando di noi, convincono tutti che questi esseri stiano scomparendo come la piccola Trilly.
Invece pare che non sia così. Perché così tanti ragazzini investigano in case disabitate? Perché strane ombre vengono riprese persino nei tic tok? I bambini e i babbani in generale, continuano a sparire, vengono registrati audio terrificanti di suoni e voci dalle foreste, avvistate luci nel cielo.
Si pensa che una cosa, se ignorata, possa scomparire. Abbassare la guardia ha portato queste creature a spingersi anche vicino alle città... Praticamente adesso potreste prendere un icedcoffee da Starbucks con Mothman.
Quella sera decisi di farmi un bagno prima di raggiungere gli altri a cena. Mentre mi spogliavo, dando le spalle alla stretta finestra dai vetri opachi, mi sentii osservata, in una nube di silenzio strano, nonostante sentissi la TV accesa e la voce sottile di Marie (immagino stesse importunando uno degli auror con le sue domande un po'... ehm ingenue). Percepivo qualcuno, senza sudare, senza emettere terrore dalla pelle, ma c'era qualcosa, come una mano che si sta per poggiare sulla tua spalla, lo percepisci e attendi l'impatto, tutto in una frazione di secondo. Ma quella mano non arrivò mai, rimasi sospesa in quel momento di infantile paura, finché non mi infilai sotto il getto caldo dell'acqua.
Non sapevo ancora come funzionava, non avevo ancora capito il gioco di cui mi ero scoperta partecipe.
Sapete come funziona, se siete amanti del Horror come me, sapete già cosa ho visto le 24 ore successive. È abbastanza prevedibile, specialmente se tutto ciò è nato dalla mia conoscenza, e quindi paura, pregressa. Mentre stavo sotto l'acqua, non riuscivo a non pensare a quel plico misterioso, ero sicura di averlo lasciato giù, nella parte dei documenti archiviati, però nel mio cervello c'erano i flash di un immagine a cui cercavo di non pensare... fallendo. "Oddio metti che apro la cartella e lo trovo lì, tra tutte le mie cose, come nei film..."
Come nei film, sì avanti lo sapete, cosa succede nei film quanto una giovane ragazza si fa la doccia, sentiamo.
Chiudo l'acqua, mi strizzo i capelli, ciò che è rimasto, cerco l'asciugamano per i capelli, l'accappatoio, esco.
Sullo specchio del bagno, grazie alle nubi di vapore caldo che rendono il bagno più simile ad una sauna, una scritta che non lascia dubbi "Benvenuta, cara". Tremo ma rimango in piedi, sono abituata a dividere l'ufficio con un fantasma che butta tutto all'aria praticamente sempre, ormai sono abituata a scritte e insulti che appaiono e scompaiono.
Le dita che hanno scritto quelle parole, scivolando sul bordo dello specchio, hanno tracciato altre parole sulle piastrelle e su tutto ciò che è stato toccato dal vapore. Tante parti incomprensibili, altre terribilmente chiare. Lessi il mio nome di battesimo, quello della scuola che avevo frequentato, chiunque poteva sapere certe cose. La mia sicurezza si incrinò quando lessi il nome delle scuole babbane alle quali mi ero iscritta, il nomi di posti che conoscevo solo io perché babbani, l'indirizzo della nostra villa di famiglia ed il mio albero genealogico.
Chiamai Phil e Marie lo seguì a ruota.
"Non dico di aver paura, ma è come in certi film babbani!"
Marie aveva assolutamente ragione, purtroppo per me.
Il trambusto incuriosí uno degli auror più giovani che si affacciò alla porta del bagno e ci spinse tutti dentro.
"Dobbiamo evitare che queste tracce spariscano col ricambio d'aria... non abbiamo spettri capaci di fare una cosa simile, non qui dentro"
E anche il giovane non aveva tutti i torti. Nonostante il poltergheist e i vari spettri dell'ultimo piano, alla fine erano più simili ad animali domestici/bambini di 3 anni che altro, non attaccavano le persone e sapevano scrivere solo insulti o cose di cui avevano sentito di parlare.
La discussione andò avanti per un po', il bagno era abbastanza grande da contenerci tutti e permetterci di fare piccoli esperimenti. Lanciammo incantesimi un po' ovunque per scovare tracce magiche o segni residuali di ectoplasmi.
Non c'era nulla di riconoscibile, né sullo specchio né sul pavimento, dove alcune impronte erano apparse qua e là sulle piastrelle umide... ma in breve tempo scomparvero. Mi sedetti sul tappo del gabinetto, un po' esausta e un po' preoccupata. Volevo asciugarmi in fretta e andare a dormire, era tutta una strana coincidenza, ma qui ogni giorno ne succede una, pensai che quindi era il mio turno per essere vittima di eventi strani.
Mi strofinai i capelli con l'asciugamano ed uscii senza dire niente a nessuno, mentre altri incantesimi venivano scagliati. Sedendomi sul letto, il mio peso fece scivolare a terra la cartella. La lasciavo sempre aperta, era un vizio stupido, mi odiai un po'.
Ovviamente uscirono i miei quaderni, i post-it, i pennarellini, e un plico.
UN PLICO.
Mentre toccavo i vari oggetti e li riponevo, ero con la testa chissà dove, mi ci volle la carta ruvida tra le mani ed il forte odore di inchiostro fresco, per farmi tornare alla realtà. Mi venne istintivamente da gridare.
"Val... uh, oh santo cielo!"
"Giá, Marie... è proprio lui..."
Le dissi, mentre carponi sul pavimento di pietra, cercavo di tenere quella cosa che sembrava sempre più sporca di inchiostro e che aveva lasciato macchie ovunque sui miei effetti personali. Nonostante la tenessi con due dita, sembrava impossibile non sporcarcisi.
Il trambusto richiamò un'altra degli auror, mi pare si chiamasse Eco, fatto sta che adesso eravamo in cinque ad occuparci dello strano oggetto. Mentre mi cambiavo, sotto lo sguardo attento e preoccupatissimo di Marie, che di buona lena si era messa a pulire il pavimento imbrattato anch'esso di inchiostro, gli altri si interrogavano su dove mettere lo strano plico.
Ricordo che pensai al museo dell'occulto della famiglia Warren. Del fatto che sono i primi babbani ad essersi occupati di tutte quelle entità da soli, che però avevano limitato molto il nostro lavoro e la possibilità di conoscere meglio determinati esseri. La teca di Annabelle, quella era stranamente limitante, impenetrabile anche per la magia. Uno dei miei insegnanti crede che il potere stesso della bambola, abbia creato una sorta di muro interno alla teca, così niente può penetrarvi mentre tale potere, nonostante prema sulle pareti, non riesce ad uscire.
Pensai che forse aveva un senso mettere gli oggetti occulti sotto chiave. Forse alcuni materiali rispondevano in modo particolare. Noi ci limitavamo a imbrigliare i poteri, specialmente quelli delle Calamità, agli oggetti ad essi legati o quelli per i quali mostravano interesse durante l'attività. Avevano poi dei contenitori, ma erano impregnati di antiche magie e di rituali (specie se si trattava di creature legate a determinati culti/luoghi) che poi venivano presi e portati in uno dei settori sotterranei del ministero della magia (ogni nazione aveva il suo, ma lo stoccaggio e la raccolta non erano un nostro problema)
"Ho trovato una piccola scatola... è più una teca, credo!"
La voce di Eco mi fece sobbalzare, non tanto per il tono ma più per le sue parole.
Ora avete capito il suo gioco?
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Nobody compares to you.
Si dice che solo quando perdi una persona ti rendi conto in realtà di quanto vale. Con te non è mai stato cosi, per il semplice motivo che io sapevo fin dall’inizio quanto valevi, per questo motivo non ho mai lasciato perdere. E forse sarò stupida, una bambina che fa i capricci, viziata per il semplice motivo che arrivo sempre ad avere ciò che voglio. Ma con te è diverso. Con te tutto è diverso. E’ passato un fottutissimo mese e sembra siano passati anni. Chissà come sarebbero andate le cose se non ci fossimo mai conosciuti, magari era destino. Magari qualcuno voleva farci conoscere proprio per farci un casino enorme in testa. Io non so nemmeno se sono più innamorata di te. Non so nemmeno cosa stiamo aspettando. Un bacio che non arriverà mai? Un amore troppo grande per essere nostro? Un sogno che si avvera? No, perché tu già lo sai che non succederanno nemmeno una di queste cose, E io anche lo so, ma allora mi viene davvero da pensare, perché aspettare cosi tanto per qualcosa che non arriverà mai? Tu mi dissi che non avresti mai voluto la mia attesa per il tuo amore, ma cosa pensi stia facendo in questo esatto momento? ah ecco. E mi domando, ma se nel frattempo che ti aspetto trovassi una persona che è pronta a darmi tutto ciò che mi aspetto da te? A quel punto come finisce? Ognuno per la sua strada. Sai che non saremo mai amici, è una cosa impossibile. Non si può dar da mangiare a chi ha sete, si peggiora solamente la situazione. E sai ti dico la verità, tutta questa “pausa” di riflessione che ci siamo presi mi sa tanto di quando a scuola arriva la ricreazione e non ho più alcuna voglia di tornare in classe. E magari è anche brutto da dire, ma dopo due settimane che non arriva nemmeno un tuo minimo gesto per farmi capire che mi vuoi, riesco solo a pensare al peggio. Il Problema è che ti capisco, perché sono confusa pure io. Solo che se due settimane fa ero sicura di desiderarti terribilmente, adesso non so nemmeno se voglio qualcosa. E fra altre due settimane che succede? Altro tempo, altra attesa, altri momenti assieme, altre giornate inutili stando nello stesso letto ma senza nemmeno toccarci, è tutto estremamente ridicolo. Perché se fosse per me, fidati che non riusciresti più a respirare per quanti baci ti darei, per non parlare di tutte le volte che avremmo riso e sorriso insieme. Ma tu stai cercando altro, evidentemente, e io purtroppo altro non ho da darti. Non sarò mai lei, né adesso né tra cent’anni. Non potrai mai fare l’amore con me vedendo lei. Non potrai mai guardarmi e vedere lei, perché una cosa impossibile. E non posso prometterti che sarà facile, ma io sono qua se vuoi rischiare. Almeno ci si prova, poi sai non tutto è sempre perfetto, magari un giorno capiremo di aver fatto una grande stronzata, ma non possiamo saperlo finché non ci proviamo. E il mio più grande rimorso è il fatto di non averci provato. Perché non ci abbiamo provato, neanche lontanamente. Sei corso subito via in un porto sicuro, in un luogo che già conoscevi bene, che sapevi che ti avrebbe fatto male ma senza dubbio sapevi cosa stavi andando a rischiare. Con me non hai avuto certezze che io non potessi mai farti del male, non sai cosa vuol dire stare insieme a me, semplicemente perché non hai mai rischiato. Ma ti capisco, è normale. Vedo il mio ex più o meno 10 volte al giorno, e mille volte mi viene il pensiero di quando una volta stavamo cosi bene insieme, e come in cosi poco sono riuscita a rovinare tutto. Sapessi quante volte mi verrebbe da andare da lui, da parlargli. Ma la cosa poco dopo mi sfugge, per il semplice motivo che il tempo va avanti, lui anche, e io soprattutto. Bisogna crescere, portarsi dietro i bei ricordi e abbandonare tutto ciò che ci ha fatto del male, purtroppo funziona cosi. Ma non è possibile continuare con ciò che ci fa del male. Non si va avanti, mai completamente, ma perché hanno fatto parte della nostra vita persone che ci hanno fatti sentire vivi. Abbiamo avuto la sensazione per un attimo di vedere il paradiso e momenti in cui ci sembrava di vivere nell’inferno. Ma anche questo fa parte della crescita. Le ferite esistono, e resteranno li per sempre. Ma sta a noi trovare qualcuno disposto a curarcele. E tu, me le hai curate dalla prima all’ultima. Tutto ciò che ho passato prima di te, è niente comparabile alla quantità di amore che ho provato nei tuoi confronti. Mi fai andare fuori di testa, completamente. Mi fai battere il cuore a velocità che non conoscevo e ogni tuo sorriso nutre la mia anima di felicità. Perché se sorridi, qualcosa di buono devo averlo fatto. Mi fai svegliare la mattina con la voglia e la forza di ricominciare da capo, di riprovarci e se anche se sbaglio, non fa niente, mi rialzo. E devo dirtelo con onestà, non vedo momentaneamente vita in cui io possa vivere senza di te. Magari la prenderai poco seriamente, magari penserai che lo dico giusto per fare, o per pure dolcezza, ma è tutto vero. Non riesco a sorridere se prima non ti vedo o ti sento. Ed è tutto troppo noioso senza di te. Le giornate a casa non sono le stesse e i film horror non li guardo con tanto piacere se non ci sei tu a proteggermi. Le torte al cioccolato le faccio sempre col tuo pensiero in testa, che è fisso e non scappa mai. Le lezioni a scuola non le seguo e il tuo nome è scritto su tutte le parti. Persino inciso nel mio cuore. Allora forse qualcosa di buono devi averlo fatto pure tu. Sei un mondo da scoprire, un viaggio, una meta, una destinazione, un punto di arrivo, che miro pienamente. E se mai non dovesse funzionare fa niente, almeno non ho mai smesso di crederci.
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Promemoria per gli ex|Rheu, murales e tarocchi in commissione.
Roma, sera del 29 giugno 2017
Promemoria: non bere mai assieme ad un tuo ex. Mai. Nemmeno se sai di reggere benissimo. Soprattutto perché non sai quanto possa reggere lui. Eviterai sicuramente il crearsi di situazioni altamente pericolose.
Appunto a parte, non sono stati fatti danni. La situazione era questa: io da sola alla Corte, fatto una nuova conoscenza (una ragazza timida, cinese, di nome Qian) e la successiva apparizione del mio ex, Gérard, nel locale.
Ci siamo praticamente scolati una bottiglia in due. C'è stato qualche avvicinamento, qualche contatto cercato da lui. Io davvero non so come dovrei comportarmi, visti i trascorsi.
Ha voluto scortarmi fino sotto casa.
Sapevo benissimo dove volesse andare a parare, ma gli ho dato la buonanotte lì e sono salita da sola. C'è rimasto male, temo.
Non ti dico il mal di testa che mi ha dato il buongiorno. Sto iniziando a perdere colpi? Certo che avere in testa sta dannata cantilena ogni tre per due non mi sta giovando affatto. La vodka mi serviva per dormire almeno qualche ora, ovviamente non mi aspettavo di doverla condividere con lui. "Fortuna che è sabato" mi sono detta, potendo restare a letto fino a tardi.
Nonostante i postumi della sbronza, sono uscita nel pomeriggio, forse semplicemente dovevo essere a Termini in quel momento, giacché ho avuto modo di scoprire altro su Rheu.
Un incontro del tutto casuale, come stavo dicendo. Non ha perso tempo a notare il tatuaggio temporaneo all'hennè fatto il pomeriggio precedente da Jessica (giusto per prepararmi all'idea di quello permanente). Mi ha sfiorato il collo con le dita, laddove mi aveva "baciato" la volta prima. Ho provato uno strano fremito.
«Non sottovalutare il "per sempre". Spesso è più lungo di come sembri.»
Un commento che mi ha dato da pensare ad altro, ormai sono sicura del mio primissimo tatuaggio che gli ho riferito di aver disegnato da me, quindi la conversazione si è spostata sul fargli vedere qualche mio lavoro, palesemente interessato a questo nuovo lato di me.
Prima di spostarci da Termini, mi ha guardata con quella sua espressione da faccia da culo.
Avevo già capito avesse un'altra delle sue pensate poco legali. Un nuovo furto di auto?
No.
Mi ha condotto in un vicolo vicino, fatto attendere in un punto cieco per le telecamere, mentre lui ha iniziato a imbrattare il muro con una bomboletta spray.
«Devo lasciare un messaggio»
Ma che tipo di messaggio? (che ha poi specificato essere simbolo di "altra famiglia").
Ero alquanto allibita, non tanto per il non capire, ma per il metodo utilizzato essendo in piena epoca tecnologica. Ha pure salutato tranquillamente verso la telecamera della videosorveglianza!!! Folle!
Ci siamo quindi allontanati di fretta dal vicolo, verso la mia auto e già che era ora di cena, l'ho portato a casa mia.
Lo zingaro e la modella parte seconda.
Ha trovato assai divertente il mio averlo invitato in casa, nonostante la sua indole da ladruncolo. Un dettaglio a cui non stavo dando minimamente peso, non avendo pregiudizi su di lui.
Avendogli parlato dei disegni, l'ho portato subito nello studio, un po' in ansia di mettere a nudo la mia vena artistica.
«Questo posto… sai, ti si addice. Credo. È chiaro… luminoso e pulito. Tu è un pò… così.»
Un complimento che non mi aspettavo.
Gli ho così mostrato alcuni miei lavori, evitando quelli per me più intimi, e sai come se ne è uscito?
Con un «Dovresti tornare a disegnare…»
E poi ha aggiunto (spiazzandomi):
«Disegna per me. Disegna nuovi tarocchi… per me. Io è oracolo… tu è medium. Pensa le previsioni che io può fare con carte disegnate da te. E’ solo teoria ma… forse non saranno più di semplici carte, ma perché no provare, si? E’ proposta che serve a fare tornare a te la voglia di disegnare… e se poi funziona davvero cosa di medium, tanto meglio, io ci guadagna soltanto.»
Ne sono rimasta piacevolmente scioccata non avendo mai lavorato su commissione se non per i clienti in studio di mia sorella. È stato, come dire, strano? Ma quello strano capace però di scaldarti il cuore e farti venire voglia di provare. Di buttarti in questa nuova sfida. Avevo evidentemente bisogno di una spinta. Di essere spronata e vincere il mio blocco con la matita.
Ho carta bianca sulla commissione, l'importante che vengano dalla testa e dal cuore. Testa e cuore di una Medium.
Poi è arrivato il momento gaffe in merito al pagamento (giacché non vorrei niente in cambio, già per me è gratificante essere stata presa in considerazione per un lavoro così).
Ha esordito con un poter scegliere quello che volevo come pagamento per l'appunto, e nel farlo si è messo bello in mostra.
Ovviamente dovevo capire male, no?
Per un nanosecondo ho persino avuto dei pensieri un tantino peccaminosi, non essendomi indifferente... così ho sdrammatizzato con una battuta, pessima, sul sia mai si venisse a sapere che accetto pagamenti in natura.
Non credevo alle mie orecchie. Ho seriamente detto così?!?
Ovvio. La conferma è arrivata con la sua risposta:
«Cioè… se tu vuoi… quel tipo di servizio, io è d’accordo. Ma… quello che io intende è che fare baratto è parte di mio lavoro. Se tu vuoi cosa, io ti recupera quella cosa. Se tu vuoi… eliminare persona scomoda… Io è ottimo a convincere loro per lunga e salutare vacanza fuori città.»
Eh già, ha questa strana fissa sull'eliminare gente e problemi. Non ho voluto indagare troppo insomma.
In compenso ho scritto a Zoe, descrivendole il murales di Rheu e sapere qualcosa di più (ma viste le sue mani legate, dubito mi dirà grosse cose e dovrò fare affidamento solo sulle mie di scoperte).
#uor#underworldofrome#gdr#gérard#vodka#sbronza#hangover#Rheu#gypsy#Murales#Symbol#Commissione#tarot#drawing#medium#oracle
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Bad∞End∞Night - Volume Ultimo
Traduzione Italiana
Capitolo Ottavo
* Bad∞End∞Night, novel in due volumi sulla Night Series; scritta da Hitoshizuku e accompagnata dalle illustrazioni di Suzunosuke. Si può acquistare su Amazon (I e II) o CDJapan (I e II).
* La mia traduzione è basata su quella inglese di Vgperson.
* Qui potete consultare la mappa della villa e leggere l’introduzione ai personaggi, più un piccolo glossario.
Capitolo 8 - Discrepanza
First Night
Una certa notte, il vento soffiava con ferocia, e sette attori celebravano il successo della loro recita. Era una festa veramente allegra. Poi un'ottava persona, una loro amica, fece visita. La donna disse di aver trovato una lettera che parlava di un peccato commesso dalle sette persone. E che avrebbe rivelato il loro segreto... I sette, indignati, si infuriarono. Perché loro avevano un lavoro da portare a termine, peccato o no. Gli attori biasimarono la donna. Dissero che rivelare il segreto sarebbe stato tradirli. Ma la donna tenne duro. Sosteneva di aver ragione. Lei abbandonò la discussione e cercò di andarsene, mentre i sette cercarono di impedirglielo. Non erano riusciti a concludere i negoziati in modo soddisfacente. Alla fine, la donna estrasse un coltello che, per certe ragioni, aveva in tasca. Minacciò i sette. I sette si spaventarono. Tuttavia, a questo punto, non potevano arrendersi. Se la verità scritta in quella lettera - il loro peccato - fosse stata rivelata, tutti i loro sforzi sarebbero stati vani. Ci fu una disputa, e una brutta collutazione... e poi. Forse fu uno scherzo giocato dalla dea del fato... per lei miracoli e incidenti sono la stessa cosa. Con quanta facilità gli ingranaggi di una tragedia iniziano a girare. La donna cadde per le scale. Quando arrivò in fondo... il coltello si era piantato nel suo petto. La donna morì... e che morte tragica. Gli attori si dispiacquero per la sua sfortunata morte. Addolorati, pensarono una cosa. "Se solo questa scena che abbiamo davanti fosse come la nostra recita... la prima scena di un mondo di finzione. Oh, se solo il tempo potesse fermarsi." Ma la recita della sua vita, dove lei era la protagonista, era già finita. E così, decisero di consegnare la sua tragica morte all'oblio. Di nascondere tutto nel sotterraneo segreto del teatro, dentro una bara... ∞
Del sudore mi colò lungo le dita quando voltai l'ultima pagina. Quello spesso libro, pieno di parole... Ogni volta che giravo una pagina, le parole mi saltavano in mente da sole, come se il libro fosse stato scritto direttamente nella mia testa. "Io... la conosco... conosco questa storia!" "HM...?" Ora ricordavo con chiarezza. Gli eventi di "First Night" erano gli stessi del mio incubo di quel mattino. Sette, fra uomini e donne, riuniti per una festa, una persona era arrivata tardi e aveva detto qualcosa che aveva causato un gran scompiglio. Poi aveva cercato di fuggire quando ancora non aveva risolto il disaccordo con i suoi amici... ed era morta nel tentativo. Il mio sogno arrivava fino a quel punto. Ma se quel libro raccontava la stessa storia... allora quei sette, dopo, avevano cercato di insabbiare la sua morte, nascondendo il corpo in un bara... sotto il teatro? "E' sicuramente la stessa storia... non ci sono dubbi." "La stESSA stOrIa Di cOSA?" "Ho fatto un sogno, stamattina. Quando mi stavo agitando nel letto e non riuscivo a dormire... Me l'ero del tutto dimenticato, finora. Ma adesso... riesco vagamente a ricordarlo." "RiCORdARlO?" "Quello che c'è scritto in questo libro. Otto uomini e donne... sette di loro inseguirono una delle donne, e lei morì. Pensavo fosse stato un incidente, ma... ora sento si possa anche interpretare come se fossero stati loro, ad ucciderla." "OTto atTOri...? ProPRIo coMe NOI, uh?" "..." Sì, esattamente così. Il copione di Crazy∞Night, e questo mondo.... che connessione avevano con il mio sogno, e First Night? Il mio era forse un sogno premonitore...? O... "Ma WoW, dUnQUE Lei pUò ricordare i SOGNI con tANTa chiArEzZA... NOI bamBOLe non SOGNamo neMMEno, quiNdi nOn SApREi. PerFINo RICordARe il NuMeRo di PERsonE nel tUo sOgNo..." "... Non sogno molto spesso, non so se sia normale o no..." "DavVERo ErAno in SETTE ad INSeguiRE la raGazza...?" "Sì..." "SicURA? E' staTA BRAVA a RIcoRDArE il nUMerO. Dato CHE nOn semBRa mOLto IntELLigenTE, signorina RAgazza dEl VILlaggiO." "Argh..." "Ehi, Ma PERché lo hA RICORDATO? Ha ViStO le fAcCe di TUttI? OppURe SEntiTO le LOro VOCi?" "... No... non li ho visti. O, beh, forse li ho visti, ma non ricordo ora. Non lo ricordo proprio... nemmeno come fossero le loro voci." "Mmh. Ma veDIAMO. Se HA coNTAto sE stEsSa cOMe uno dEi PERsonaGGI del SOgnO, SOttrAENDolA, in tOtale SAreBBEro OTTO... no?" "Eh?" Cercai di focalizzarmi di nuovo sulle mie memorie di quel sogno, ma... come pensavo, non mi sarei ricordata nient'altro. Il Ragazzo Bambola mi stava guardando con serietà, senza alcuna traccia di scherno. "Penso che... non stessi guardando il sogno dal punto di vista di nessuno in particolare. Come se fosse una recita ma io non mi trovassi in mezzo al pubblico, ero a poca distanza agli attori - ecco quanto sembrava vicino. Quindi, se includessi me stessa, forse in totale le persone sarebbero nove...? Non ne sono del tutto sicura. Questa è l'unica cosa che posso dire riguardo al da dove stessi osservando... e poi, non è che nei sogni ci sia solo un punto di osservazione. E' più... una strana, ambigua serie di punti di vista." "CapISCo..." Il Ragazzo Bambola posò la sua piccola mano sul mento e lasciò andare un "mmh", in riflessione. "... ha dETTo che NoN riEscE a ricORDARe aLCun VOLto o voce, MA... PenSa che SArebBEro potUTi essEre i NOStrI?" Piegò di lato la sua graziosa testolina e ghignò appena. Ma, sebbene lo sguardo nei suoi occhi prima fosse di vaga curiosità, ora era come se quella curiosità fosse diventata un'avida tenacia, e mi guardava con ostinazione - e un poco di follia. Il suo sguardo era così deciso, tagliente, che mi ritrovai a voltarmi pur di sfuggirgli. Se fossi rimasta prigioniera di quegli occhi... sapevo che i più remoti segreti del mio cuore, perfino quelli di cui io non ero a conoscenza, sarebbero venuti alla luce. Infine, le parole uscirono dalla mia gola secca. "... Uhmm... non lo so. Intendo, non ricordo nulla delle persone presenti. Ricordo solo... la persona che è morta, lei era..." Sì, ricordavo che la persona morta veniva chiamata "la protagonista". "... era la PROTAGONISTA?" "...!" Come faceva a saperlo? Il libro non diceva una sola parola a riguardo... "Se LA PROtagONISTa moRISse NEl bEl MEzzO delLa REcita..." "..." "... penSA che la RECITA FInireBBE Lì?" Esitai, non avendo alcuna risposta pronta per quella domanda. Generalmente, il protagonista non moriva a metà. Se proprio doveva morire, veniva lasciato per il finale... e solo nei finali tragici. Nel caso di un libro, non ci sarebbe rimasto nessuno per raccontare la storia, e di certo nemmeno in una recita era cosa comune andare avanti dopo la morte del protagonista. La risposta classica era che una cosa del genere non sarebbe stata interessante. "..." "Non lo SA? SUPPongO SIA un po' lENta, siGNOriNA RAgazza del villaGGIo. EppurE, è una buONA QUAlItà per una PROtaGONisTa..." "..." Non ero sicura se quella bambola crudele mi stesse insultando o facendo i complimenti. "Il PROtagonISta, di soLITo, NON mUOre. Se SUcCEDESse, la stORIa FINIrebbE lì. Ma c'è un MODO per AnDAre aVAnti..." "C'è...?" "Sì. Se il PROtagonISTA può EssErE... RImpiaZZAto. Il protagoNISTA muORE, ma il TEstimONE pASSa al PROssimO proTAGOnista... cOsì anDREBBe BEne. La stORia poTREbbE andaRE avAntI per SEMprE." "Rimpiazzare il protagonista...?" "Scambi i PErsonAggi, e diVEntA la stoRia del nuoVo proTAgonisTa. Non acCAde tuttO il tempo, nel MonDo umano? La STORIA... tutti scrivOnO Infinite storiE di EREdità. Se il protagoNIsta muorE... tROva qualcun ALTRO, e renDIlo il nuOvo protagonista. Ma NON doVREstI FArglieLO sapere priMA. E' una cosa nATUrale. Invece, CHE le persone nuove coNTINuinO a CONcentraRSI su storie già FINITE, vecchie, quello sarebbe iNNAturalE. QuelLE stORie non SONo interessanti. Non c'è NULLa di strano nell'aVErE un nUOvo protagonista nel suCCessivO capitolo. Se è una storia con OTTO pErsone... ne prepARI una NONA." "Una nona persona..." Cercare un nuovo protagonista e portarlo con te, per sostituire quello morto. Una nona persona per una recita che ne necessita solo otto... C'era qualcosa che non capivo. La persona nei miei sogni che era destinata a morire e finire in una bara... chi mai poteva essere...? Inconsciamente portai la mano sul petto. Il tempo rimanente per la recita era ancora meno. Cosa fare, ora? Non c'era tempo. Dovevo sbrigarmi e fare qualcosa. Fare cosa? Giusto, la pagina! Dovevo uscire di lì e cercare... e pensare...! "C'è un'aLTRa cOSa UTIle che LE possO dire." "Uhm, io dovrei..." "Non è NEcesSAriO lei vAda tantO di FRettA." "Non è necessario...? Ma il tempo per la recita! E' passato più di metà, non posso starmene ferma a..." "E se finiSSE? NoI SPariREmmO?" "Uh...?" "Certo, nOi di ADESSO sparIREmmO. Ma sarebbe SOlO la fiNe di QUESTA REcita. PotrebbE cONTinuarE di nuovO un'alTRa nOttE." Un'altra...? La Ragazza Bambola aveva detto qualcosa di simile. "Oggi andrà avanti comunque". Mi ero chiesta cosa significasse. Guardai il Ragazzo Bambola negli occhi, e il suo sguardo diceva "Vieni con me". Stavolta andò verso una libreria dal lato opposto, a destra della porta. Studiò diversi di quei grossi libri, ma sembrava incapace di trovare quello che stava cercando. Come al solito, non c'era scritto nulla sul dorso, rendendo complicata la ricerca. Dopo averlo osservato cercare per un po', notai un orso di peluche in particolare. Era seduto con eleganza su una sedia a dondolo in pelle, e teneva fra le zampe un libro. Che vista strana. Mi avvicinai e controllai il libro. Il titolo era Bad∞End∞Night. Come prima, il semplice girare le pagine fece arrivare le parole nella mia mente... simili ad un flusso d'acqua, ma acqua torbida. Le onde di quelle parole si abbatterono con forza sulla mia mente. Quelle onde d'urto inaspettate mi fecero quasi perdere i sensi. L'onda finale si ritirò e io voltai l'ultima pagina; poi lasciai pendere le mani lungo i fianchi, come se fossi senza vita. Il libro si schiantò sul tappeto di un profondo rosso cremisi. "..." Una tempesta di diverse emozioni turbinava dentro di me, e mi mancavano le parole. Doveva essere... uno scherzo molto elaborato, vero? Sperai che lo fosse. "AaAhh... aVreI RAccoMANDAto qUAlcOSa di MEno iNTenSo, per iNIZiarE..." Il Ragazzo Bambola mi si avvicinò con un mucchietto di libri fra le mani. Ma, dopo essere stata colpita da quelle onde di parole, mi stavo reggendo con fatica ad uno scoglio sulla riva. Non mi sarei sorpresa di venire inghiottita da delle rapide tanto feroci. Mi stavo impegnando con tutta me stessa per rimanere aggrappata a quella piccola, inaffidabile roccia e non venire trascinata via. Non avevo avuto il tempo di rimettere insieme quelle parole turbinanti. Con mani tremanti, mi afferrai le spalle. "L'attrice che interpretava il ruolo di Ragazza del villaggio era stata risucchiata in uno strano mondo, ed era rimasta piuttosto confusa. Mentre correva in giro per la villa alla ricerca di un'uscita, aveva trovato un sotterraneo. E otto bare. Questo la spaventò più che mai, e provò a scappare... ma i sette abitanti della villa, no, i sette attori che un tempo erano i suoi amici e colleghi, non smettevano di inseguirla. Solo l'attrice che interpretava la Ragazza del villaggio sapeva che quella era una recita... Non poteva sfuggir loro; i suoi amici erano impazziti. Corse per tutta la villa, ma gli altri la inseguirono finché non si fermò. Convinta che di questo passo sarebbe stata uccisa e messa in quelle bare... la Ragazza del villaggio ricordò che la lancetta lunga dell'orologio fermo era un pugnale, e così lei-" "Bugie... sono tutte bugie... non ricordo nulla di tutto questo... questa non sono io!" "... La MEmoRiA è uN liBRo NOioSo. SpEsSO le SUe PAgIne non DOVrebbERO venir SFOGliare..." ".... non è possibile... ma..." "Se questo TEMPO finiSCE, c'è SEMprE una pROssiMA VOLTA. AnDRà AVAnti e anCORa avAnti. Per sEMpre..." Per sempre. Il mondo della recita in cui pensavo di essere stata intrappolata dopo aver raccolto quella strana lettera sul palco... Si era già ripetuto ancora e ancora? Quel "Bad∞End∞Night" era il mero, singolo atto di una notte che si ripeteva...? "QUEstI SCaffAlI soNO un po' Un MASTERpiecE, nOn trOVa...?" "...!!" Non poteva essere... tutti quei libri senza titolo sul dorso. Quindi tutti quegli scaffali pieni fino all'orlo erano...? No...!! "Allora... anche First Night...? E' successo..." "SbaGLIaTo. Quel liBRo è DIVERSO. E' unA cOsa che NOn è ACCaduTa in quEsta RECITA." "..." "Se non RIcoRda nulla, bEh, è MEglio cOsì..." "Uh...?" Ora non potevo vedere bene il viso, chinato verso il basso, del Ragazzo Bambola. Il suo sguardo pareva diverso... lo sguardo di quel ragazzino che mi arrivava giusto alle anche. I suoi occhi erano più simili a quando mi aveva dato il bouquet di rose blu e preso in giro. Non erano come quelli dell'altro "lui". Loro ricordavano, mi chiedevo? Che questa notte si era ripetuta ancora e ancora... Ero l'unica a sapere che questo mondo non era la realtà. Eppure, forse ero l'unica ad aver dimenticato ogni notte...? E cosa intendeva dicendo che First Night era un libro che non faceva parte della recita? Una luce splendente brillò nella stanza, e ne fui accecata per un momento. Ma lì non c'erano finestre. Mi voltai verso l'entrata, e la porta - che, lo ricordavo chiaramente, il ragazzino aveva chiuso prima - era socchiusa. La luce di un lampo era entrata dalla grande finestra alla fine del corridoio. Lasciai la biblioteca e, quasi in trance, scesi le scale. Andai oltre la scalinata, nel corridoio tra l'atrio e il soggiorno. Girai a destra, poi tirai dritta per un po' e, una volta superata la stanza degli ospiti numero uno, alla mia sinistra trovai quel corridoio con il quadro a parete intera. Mi avvicinai velocemente, senza fermarmi, come se qualcosa mi stesse attraendo. Andai avanti così, ascoltando solo il rumore dei miei passi. Non appena il quadro di Twilight∞Night entrò nel mio campo visivo, il Padrone di casa apparve alla fine del corridoio. Ero sicura fosse ancora di sopra, a controllare le stanze che gli erano state assegnate; come mai si trovava così lontano...? "Ehi. Potrebbe darci una mano? Vorrei che cercasse nel magazzino al pianoterra." "Ehr..." "Non è una stanza molto grande, ma ci sono un sacco di cose. L'ideale come nascondiglio. Potrebbe volerci un poco... ma cerchi meglio che può. Pare che gli altri stiano finendo con le loro stanze, ora." "Ah, hanno finito..." "Allora, era diretta da qualche parte?" Alla sua domanda, mi chiesi perfino da sola che ci facessi lì. Non stavo andando allo studio, al secondo piano, per parlare col Padrone di casa...? Ma quando avevo lasciato la biblioteca e, con fare assente, avevo iniziato a vagare, ero finita qui... Come se la mia destinazione fosse stata il quadro Twilight∞Night. Perché mai...? "... stavo solo girovagando per cercare qualcuno..." "Capisco... d'accordo. Per ora, vorrei che lei andasse nel magazzino. Quando ha finito, venga allo studio di sopra e faccia rapporto. Sto riepilogando i risultati di tutti." "... afferrato." Come il Padrone di casa aveva richiesto, mi diressi prontamente all'angolo nord-est del pianoterra. Era un magazzino piuttosto ampio. Ormai avevo notato come la maggior parte degli oggetti fossero solo di sfondo per la recita; copie di cartapesta, per così dire. Per esempio, il vaso con i gigli bianchi sul tavolo di vetro nel soggiorno. Sembrava reale. Aveva lo stesso identico aspetto di un vaso di fiori con tanto di acqua dentro. Ma non aveva alcuna qualità, a parte il dover dare l'impressione che "ci fosse un vaso lì", così non si potevano nemmeno tirar fuori i fiori dal vaso. Mentre cercavo in quel magazzino pieno fino all'orlo di oggetti di scena simili, iniziai a pensare che non avrei trovato la pagina lì. Le mie mani indaffarate, pian piano, si fermarono. Probabilmente avrei dovuto chiedere al Padrone di casa quando l'avevo incontrato nell'atrio. Perché nessuno mi aveva detto che questo mondo si ripeteva? Lo sapevano tutti? Oppure era solo il Ragazzo Bambola che, essendogli stata assegnata la biblioteca, l'aveva scoperto per caso? Perché non avevamo perquisito le persone durante la ricerca della pagina? E perché non avevamo trovato alcun segno della pagina, dopo tutte quelle ricerche...? Avevo letto alcuni altri libri di quelli che il Ragazzo Bambola mi aveva portato, altri oltre quel disgustoso Bad∞End∞Night. Erano tutti eventi di cui non avevo alcun ricordo. Ma supponevo fossero tutte Crazy∞Night che erano state messe in scena. Se avessi preso alla lettera il Ragazzo Bambola, allora io... allora tutti noi avevamo messo in scena il copione di Crazy∞Night un numero incalcolabile di volte. E nei libri che mi aveva mostrato, come ci si aspettava, tutti erano alla ricerca della pagina rubata. Ma non ce n'era nemmeno uno dove la pagina fosse stata trovata in tempo...! "Io... sono sempre da sola, uh..." Tutti avevano dimenticato il mondo reale, ed erano stati resi parte di quest'altro. Per quanto, all'inizio di ogni recita, avessi cercato di avvisarli dell'assurdità di tutto ciò, sembrava non riuscissero a comprendermi. E questo significava che l'unica intrappolata in quel mondo in realtà ero io, giusto? Quelle persone erano solo creazioni fittizie di quel mondo, e quelli veri erano da qualche altra parte... ma sì, ancora nella realtà. Solo io ero stata invitata come ospite in quel mondo... come protagonista. In quel caso, potevo capire perché solo io perdessi la memoria ogni volta. Se tutto a parte me fosse stato di cartapesta, e perfino i personaggi fossero stati del tutto fasulli, non avrei dovuto nemmeno sentirmi sola. E quell'orrido libro che non osavo nemmeno ricordare... Quella Bad∞End∞Night... non avrei mai creduto di essere stata in grado di fare una cosa simle. Anche se fossero stati fasulli, come avrei potuto ucciderli... uccidere i miei amici con le mie stesse mani? Avevo stretto le dita. Aprii le mani davanti al viso e le fissai con tanta intensità da poterle quasi trapassare. Non avevo assolutamente alcuna memoria di ciò. Ma, quando chiudevo gli occhi, potevo vagamente figurare le mie mani intrise di sangue. Ma, di sicuro, era solo la mia immaginazione... una deboluccia come me, priva di spina dorsale, non avrebbe mai potuto far nulla di simile. Scossi la testa per scacciarla dal mio cervello... ma quell'intensa, orribile immagine non sarebbe sparita facilmente. Il senso di colpa - per qualcosa che non ricordavo nemmeno di aver fatto - iniziò a serpeggiare dentro di me. La gola era del tutto secca. Così non andava bene... sarei impazzita per il senso di colpa, il sospetto e l'odio per me stessa. Avevo bisogno di qualcosa per placare l'umore e calmarmi, anche solo per un poco... qualcosa per calmare il mio cuore... "Il tè della nostra cameriera è davvero superbo, non trovate? E' proprio come se scaldasse il cuore, vero?" La battuta della Padrona di casa attraversò all'improvviso i miei pensieri. Dopo che l'aveva ripetuta tre volte parola per parola si era incastonata nella mia mente, come un messaggio subliminale. Sì, il tè...! Ma... ricordavo i principi di questo mondo. Solo la Cameriera poteva fare il tè. La Ragazza del villaggio, in quanto ospite, di sicuro non poteva andare in cucina, mettere a bollire l'acqua e farsi il tè da sola. Detto ciò, non avevo alcuna voglia di rintracciare la Cameriera e chiederle di prepararmi qualcosa. La mia mente era ancora in disordine; non volevo incontrare nessuno. Dovevo fare qualcosa per riprendermi da quello schiacciante senso di disagio, anche qualcosa di piccolo... Adesso capivo, seppure in minima parte, come aveva dovuto sentirsi la Ragazza del villaggio di Bad∞End∞Night. Lo stato mentale in cui mi trovavo era davvero pericoloso. Era successo tanto in una sola notte e non avevo nessuno con cui condividerlo, da consultare, a cui affidarmi... Quella situazione, in realtà, era durata a lungo, molto più a lungo di quanto avrei potuto immaginare... e ogni volta lo dimenticavo... imparavo ciò che avevo dimenticato, e poi lo dimenticavo di nuovo... un loop continuo. Non sapevo quando la follia avrebbe potuto colpirmi alle spalle, approfittando di un attimo di debolezza. Perfino me stessa, l'unica di cui avevo potuto fidarmi sin da quando ero arrivata in quel mondo, era un qualcuno di cui aver paura. Il Maggiordomo aveva detto che il mondo è ciò che noi percepiamo. Se era così, allora io e il mondo che stavo percependo in quel momento eravamo reali. Ma allora, le cose "reali" che erano separate dalla mia percezione, e a lungo dimenticate, non esistevano più? Avevo dimenticato di aver recitato in Bad∞End∞Night e, per quanto mi avessero detto che, in un qualche tempo, era stata reale... io non riuscivo ad accettarlo. Perciò... era diventata fasulla? E così pure il mondo reale... Mentre frugavo senza sosta nelle mie memorie sin quando mi ero risvegliata in quel mondo, ricordai di colpo. Quando stavo parlando col Maggiordomo, non c'era rimasto un poco di vino? L'alcool avrebbe fatto il suo dovere. Avrei potuto bere un goccio per tirarmi su d'animo. Mi affrettai verso la cantina dei vini. Socchiusi la porta della cantina. Il Maggiordomo non c'era. Dove aveva riposto quella bottiglia non ancora vuota...? Cercai quell'unica bottiglia con un po' di vero vino fra tutte quelle fasulle. "... eccola qui!" Trovai quel minuscolo quantitativo di vino che bastava appena per un bicchiere. Ma non reggevo molto l'alcool, perciò anche solo quello avrebbe potuto farmi ubriacare per bene. La bottiglia era stata richiusa. Presi un coltello da sommelier là vicino, lo infilai nel sughero e girai piano. Una volta tirato fuori il tappo, si spanse un'aroma simile a quello delle rose fresche. Non c'erano bicchieri nella cantina. Esitavo all'idea di andare in cucina, con l'alta possibilità di incrociare la Padrona di casa o la Cameriera. Pur essendo cattive maniere, allora, avrei bevuto dalla bottiglia. Nessuno mi avrebbe vista. La tenni con entrambe le mani, sollevai all'altezza della bocca e la inclinai. Per un istante, ci fu il fragore di un tuono che sembrò scuotere l'intera stanza. Quel basso ruggito era risuonato con un tale tempismo da dare l'impressione di volermi impedire di bere. "Yaaaah!" Spaventata dal suono improvviso, rovesciai il vino. "Ah..." Un'altra delusione. Volevo solo una minuscola possibilità di sfuggire al mio stato triste e disperato... Ma nemmeno quello era andato come volevo. Alla fine, mi sentii solo peggio. Senza neanche darmi la pena di sospirare, guardai dov'era caduto. Un po' era finito sul pavimento di pietra, e altro sulla mia gonna. Cercando di prendere il fazzoletto nella mia gonna, mi accorsi che ne era finito un po' anche sulla lettera. "Ah... la lettera si è macchiata..." Era leggermente tinta del colore del vino. Ma era un'impressione mia, o le zone sporcate dal vino erano diventate più chiare rispetto al resto della carta ingiallita...? Avvicinai gli occhi. Non si era schiarita. Era la carta stessa a mandare un lieve bagliore. "Questo è...!" Era lo stesso che era successo nella biblioteca, quando stavo per prendere First Night; il libro aveva brillato per un istante. E mi aveva sorpreso tanto da farmi cadere dalla scala. Perché stava brillando...? E se ci fosse stata una connessione fra First Night e quella lettera? Ricordavo cosa aveva detto il Ragazzo Bambola: First Night non era parte di quella recita. Poi, dal titolo... potevo fare le mie supposizioni. Forse il libro non faceva parte di quel mondo fittizio, ed era stato portato dalla realtà... o forse gli eventi descritti nel libro avevano avuto luogo altrove - nella realtà, appunto. Eppure, aveva una qualche connessione con quel mondo... se il punto in comune fra First Night e la lettera era il "mondo reale", allora... e se la lettera fosse stata la chiave per tornare alla realtà? Se avessi potuto usarla come "pagina finale", seguendo quanto scritto sulla busta, forse avremmo potuto terminare la recita e tornare alla realtà! Quella sensazione di oppressione si alleggerì improvvisamente. Se avessi potuto scrivere un finale sul tornare nella realtà su di un foglio bianco, che sarebbe successo? Per esempio, se avessi scritto "La recita finì, gli attori riottennero le loro memorie e i loro corpi, e tornarono tutti nel mondo reale"... sarebbe successo così com'era scritto? Oppure no, avremmo dovuto recitare come desiderato dalla mente dietro tutta la storia, e scrivere l'ending in QUEL modo; non importava cosa avessimo scritto noi, non saremmo tornati indietro. Se le leggi di quel mondo erano in funzione, allora ciò che era scritto sul copione diventava assoluto, e tutto e tutti avrebbero recitato seguendo le sue parole... Beh, dovevo solo provarci per scoprirlo. Okay...! Intinsi l'indice nella pozza di vino sul pavimento, poi tracciai delle linee sulla carta. Come testo, scrissi un breve "Tutti tornarono nella realtà", ma non accadde nulla. Forse non avrebbe funzionato finché non fosse stata messa come ultima pagina del copione. Oppure le parole scritte col vino erano troppo chiare, e dovendo strizzare gli occhi per leggerle, non andavano bene. Oppure perfino quello doveva essere scritto con qualcosa di simile ad una penna. Non sapevo come funzionasse, ma se avessi provato tutte le possibilità, allora forse... Ma... e se avessi fallito? Tutte le informazioni che avevo guadagnato da quando mi ero svegliata sarebbero svanite; sarei tornata un foglio bianco. Avrei di nuovo scordato tutto, e ripetuto le stesse azioni? Mi sarei risvegliata in un posto che non mi era familiare, avrei realizzato di essere stata risucchiata in uno strano mondo, sarei stata sovraffatta dal panico e dalla paura... E allora gli altri, che avevano dimenticato loro stessi ed erano stati resi parte di quel mondo, sarebbero apparsi... mi sarei disperata, e avrei giurato di salvarli tutti... Verso metà, avrei saputo che quel mondo si era ripetuto ancora e ancora... Non era garantito che ogni dettaglio della notte si sarebbe ripetuto allo stesso modo ogni volta. Una sola delle mie azioni avrebbe potuto cambiare interamente il risultato; si era sempre concluso con diversi finali. Dopo infinite notti, avevo trovato un grande indizio su come tornare nella realtà, per cui non volevo fallire proprio ora. Devo salvare tutti... C'era ancora tempo. Misi la mano sul petto: circa due terzi del tempo della recita erano perduti. In fondo alla mia mente, richiamai le espressioni che avevo visto sui volti di tutti da quando ero arrivata lì. C'era la possibilità che fossero sempre stati parte di quel mondo, e quindi falsi dal principio. Ma non importava, non riuscivo a pensare a loro come dei meri artefatti. C'erano stati svariati momenti in cui le loro azioni, parole ed espressioni si erano sovrapposti a quelli delle loro controparti reali. Perciò erano quelli veri, adattati al sistema di quel mondo, dimentichi dei loro veri nomi e di tutto il resto... Quella mi pareva la spiegazione più probabile. E quindi l'unica che avrebbe potuto salvarli da questo mondo impazzito ero io, Miku, l'unica che non aveva perso di vista il suo vero io. Pur di impedire che avesse luogo un'altra Bad∞End∞Night... avrei dovuto credere fermamente in me stessa, in Miku. Asciugai la mia gonna umida con il fazzoletto, quello nuovo che mi aveva appena regalato Luka. Ma ora che avevo scoperto come avessi già passato epoche là dentro e me ne fossi semplicemente dimenticata, riuscii a vedere come il nuovo fazzoletto fosse già consumato. Che strano... ovviamente, il solo conoscere la verità non avrebbe prodotto alcun cambiamento fisico. Era solo la mia mente ad essere cambiata. Eppure... non riuscivo a credere a quanto fosse diversa l'impressione che mi dava. Le luminose foglioline verdi si erano tinte del pallido colore del vino. Le rose, prima rosa, avevano risucchiato il colore del vino, e adesso parevano in piena fioritura. Avrei dovuto lavarlo, quando fossi tornata a casa... Strizzai il fazzoletto bagnato, lo rimisi con cura nella tasca, e mi misi ben dritta. Per trovare indizi su come terminare la recita e tornare alla realtà, prima di tutto, avrei dovuto cogliere l'intero quadro. C'erano molto libri in biblioteca, ma per quanto potessero esserci indizi accumulati fra quegli eventi del passato... dopo un poco di esitazione, scossi la testa. Non avevo il tempo di leggerli tutti uno per uno. Per adesso, era meglio arrangiarsi con ciò che avevo a disposizione, e cercare di sbrogliare i misteri di fronte a me. Avrei dovuto investigare con attenzione nei punti di maggior interesse... Dopo aver lasciato la cantina dei vini, procedetti dritta per l'atrio, e alla mia sinistra apparve la stanza proibita fuori dalla quale pendeva Twilight∞Night. Quando avevo lasciato la biblioteca in quello stato di vuoto mentale e avevo vagato, in qualche modo ero stata attirata lì. Ci doveva essere una ragione; avevo dimenticato quanto tempo avessi passato in quel mondo, ma di certo il mio corpo ricordava. Quando Meg mi aveva versato per la prima volta il tè al latte, nel soggiorno, ero sicura che mi fosse scivolata la mano e la tazza fosse caduta, ma non era effettivamente successo. Sorprendendo perfino me stessa, avevo preso quella tazza difficile da sollevare tranquillamente, per poi bere il tè senza esitazioni. Quella strana discrepanza... era stata causata dalla mia perdita di memoria. Il mio corpo ricordava, ma la mia mente no. Così avrei pensato "perché?" riguardo azioni che, nel mio subconscio, risultavano naturali, anche se dimenticate. In quel caso, avrei potuto smettere di pensare e lasciare che il mio corpo si muovesse da solo verso gli indizi raccolti in passato... o almeno così speravo. Fissai Twilight∞Night senza pensare. La mia mano destra, che sembrava conoscere la verità nascosta del quadro, si alzò fino a toccare il palmo sinistro della ragazza nel quadro. Dato che la ragazza era stata dipinta a grandezza naturale, in qualche modo pareva che stessi mettendo la mano su uno specchio - lei dentro, io fuori. Così notai che c'era una piccola rientranza e, come se avessi voluto entrare nel quadro, ci premetti le dita. Ci fu l'improvviso rumore di un movimento, e ritirai la mano. C'era una leva in quella rientranza? Il muro, lentamente e silenziosamente, tornò indietro, dentro la "stanza proibita". Quand'ebbe terminato, apparve una lunga scalinata a chiocciola che conduceva al sotterraneo. Dunque quella stanza non era mai stata un'effettiva stanza, ma solo l'inizio di una scalinata. Occhieggiai la buia scalinata. Lampade sulla parete fornivano una debole luce. Dal basso giungeva una brezza gentile; magari il sotterraneo aveva un qualche sistema di ventilazione che conduceva all'esterno. Sempre lasciando che il mio corpo facesse da solo, scesi passo dopo passo. Soltanto... quanto arrivava in basso? La scalinata scendeva così a lungo che non avrei nemmeno saputo dire da quanto la stessi percorrendo. Camminai per un po', e infine delle grandi porte mi apparvero davanti. I vecchi battenti di legno erano di sicuro pesanti, ma buttandoci contro tutto il mio peso riuscii a farle aprire lentamente, con dei cigolii. Quella muffita stanza di pietra era illuminata da alcune lampade a parete. Entrando, trovai alcune bare. Le contai, spaventata. Una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette... otto. Otto bare... mi avvicinai a quella in fondo alla sala e portai lentamente la mano sul coperchio. Ma, a quanto pareva, era sigillato, e non venne via. Lo stesso valeva per la bara accanto, e quella vicina... le controllai tutte, ma nessuna si aprì. Un lungo, scoraggiato sospiro riverberò in quella stanza tranquilla. A quel punto, ripresi coscienza di me. Pensando alle azioni inconsapevoli che avevo appena compiuto, mi allontanai dalla bara davanti a me. Avevo tentato di aprire quelle bare. Quando avevo lasciato che il mio corpo facesse da solo, in modo fin troppo naturale, aveva controllato e cercato di aprire ogni singola bara, bramando qualcosa al loro interno. Come se qualcosa dentro le bare mi stesse attraendo... Ci sarebbero potuti essere degli indizi su come tornare nella realtà, anche se non ricordavo nulla, eppure ero riluttante all'idea di aprire quelle bare senza un obiettivo specifico. Ero grata fossero sigillate... era un bene che non si fossero aperte, pensai con profondo sollievo. Ma allo stesso tempo, la vaga sensazione che avrei dovuto aprire quelle bare si fece strada in fretta nella mia mente. I due pensieri si intrecciarono, e riflettei su cosa fare per un po'. Ad ogni modo, le bare erano chiuse. Per ora non avrei potuto aprirle comunque. Un'occhiata in giro non rivelò alcuna chiave o altro. Fra i libri che avevo letto in biblioteca, non si faceva menzione dell'aprire quelle bare. Il Padrone di casa aveva diviso e assegnato le stanze, dicendo di cercare con attenzione, ma aveva tralasciato quella stanza e le bare senza nemmeno menzionarla. Che gli altri volessero tenere nascosta l'esistenza di quella stanza a me, la Ragazza del villaggio? Era una cosa naturale del loro ruolo come abitanti della magione? In effetti, nei vecchi copioni, il Padrone di casa mi aveva detto di stare lontano da questa zona, essendo troppo pericolosa. Ma avevo la sensazione ci fosse qualcosa di importante nascosto in quelle bare. Come diceva il libro First Night... "Ma la recita della sua vita, dove lei era la protagonista, era già finita. E così, decisero di consegnare la sua tragica morte all'oblio. Di nascondere tutto nel sotterraneo segreto del teatro, dentro una bara... ∞" Un sotterraneo segreto con delle bare; in First Night, diceva che solo la donna ci era stata nascosta... ma qui c'erano otto bare, tutte ben chiuse... Sul lato di ogni bara c'era un sottile foro rettangolare che supponevo servisse da buco della serratura. Sembrava avere più o meno la misura di una spessa carta da gioco. C'era un qualche oggetto di quella misura da qualche parte, nella magione? Avrei dovuto cercare anche quello, nel poco tempo che rimaneva? Per ora, non sembrava ci fosse nient'altro che potessi fare in quella stanza sotterranea. Girai i tacchi, mi diressi all'entrata, e ci misi tutta la mia forza per riaprire le pesanti porte, stavolta tirando. Con la coda dell'occhio, notai una grossa sbarra di legno poggiata al muro vicino alla porta. Ah-ha, così la stanza si poteva chiudere dall'interno. Avrei dovuto usarlo come chiavistello? Andai a controllare dall'altro lato delle porte e non vidi alcuna serratura o modo di chiuderle dall'esterno. Ci pensai un po' e decisi di lasciare le pesanti porte aperte. Aprirle di nuovo sarebbe costato tempo. Mi lasciai alle spalle la stanza delle bare e mi affrettai sulle scale. Prima di andare a cercare la chiave per le bare, avrei incontrato gli altri. Non ero neanche lontamente vicina alla fine della ricerca nel magazzino a cui mi aveva assegnata il Padrone di casa, ma di certo la pagina non era lì... me lo sentivo. C'era qualcosa di più importante per me da far notare: la possibilità di un indizio per il finale nascosto in quelle bare sotterranee. E a tutti era stato detto di incontrarsi nello studio e fare rapporto appena finito con le loro stanze, quindi chissà, magari qualcuno aveva davvero trovato la nuova pagina. Eravamo stretti coi tempi, ma c'era ancora speranza. Se tutti avessimo messo insieme le nostre conoscenze... di sicuro saremmo stati in grado di fare qualcosa. Cercando di contenere la mia speranzosa eccitazione, corsi su per la scala grande all'ingresso, poi seguii una linea retta fino allo studio.
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