#solo perché io sono a casa a marcire
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C'è un girone dell'inferno per chi si lamenta del caldo da sotto l'ombrellone :)
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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ADAMO E GLI SCORDATI
prima notte
Lo aveva caricato in auto un’ora prima, era stato prudente come una serpe, lo aveva caricato solo un’ora prima ed ora si trovavano sulla riva, il furgoncino parcheggiato poco più in là. L’acqua era lucida sotto la luna, specchiava lati del cielo increspati dal temporale di quel pomeriggio, si era ingarbugliata nell’aria l’idea di lasciarsi lì. Quando lo aveva fatto salire, come se davvero valesse presenziare l’uno accanto all’altro come due testimoni, glielo aveva messo in chiaro subito: io non voglio problemi. Era sottointeso che non volesse problemi con lui, con la baia, con le piccole verità che si sarebbero probamente confessati. Il ragazzo mansueto, gli aveva risposto ridendo, “con me di problemi non ne avrai” e si era soffiato il naso all’interno di un fazzoletto dove aveva spruzzato dell’essenza di menta, si era propagata per tutto l’interno dell’auto. Era stato prudente come una serpe. Come la pelle di serpe che si trascina sotto una luna, le squame che si schiudono nella luce, lo aveva caricato solo un’ora prima ed ora si trovavano sulla riva e non aveva il coraggio di toccarlo. Il ragazzo dalle gote ancora arrossate dal sole, piccolissime macchie scure intorno al naso, come quando lui aveva sognato di essere una lepidoptera che moriva assiderata dalla luce. Quel ragazzo che glielo aveva fatto sapere, gli aveva scritto una letterali aveva spedito una cartolina, la sua saliva sul francobollo, gli aveva detto: torna a trovarmi. E non era tornato. Quel ragazzo che aveva aspettato per mesi con le mani nella pasta del desiderio, gli si erano imbiancate le dita, gli si erano imbiancati gli occhi. Era svenuto subito. E quindi, si torna alla prima notte, quando lo aveva caricato in macchina e si erano diretti verso la riva, dove la luna incontra la fine del fiume, dove ci sono soltanto problemi. Si erano seduti, poi sdraiati, ma non aveva avuto il coraggio di toccarlo. Aveva solo parlato con lui, attimi difficili in cui la voce si trasforma in una preghiera, in cui una confessione diventa una sola parola e muore sulla bocca, muore nella gola, muore prima che possa chiedere scusa. Uno accanto all’altro come due fratelli, un pastore e un coltivatore, qualcuno dorme in casa, qualcuno sacrifica agnelli, qualcuno fa seccare il raccolto e Dio parla con gli assassini. Dice agli assassini: siete così devoti, vi darò tutto quello che mi chiederete. E il digiuno è superfluo, così come la carità, come le linee di successione, come gli occhi di due fratelli che dormono l’uno accanto all’altro e non sanno come parlare. Uno vuole chiedere perché, l’altro non sa il perché e vuole raccontare una bugia. Non si scuserà mai di aver mentito così, né con sé stesso, né con nessun altro, nemmeno con la persona che gli sta accanto e che ha il suo stesso corpo, nemmeno con chi lo ha amato così tanto da porre un sacrificio nella memoria. Tutti hanno una storia di tristezze accumulate, quel ragazzo sdraiato dalle gote arrossate, quel ricordo che gli esplode nella testa come un fuoco d’artificio o come uno sparo. Lo guarda, adesso, supino sulla spiaggia, un’espressione neutra, lui non ha niente da dire. Non ha più voce, quel ragazzo, ha perso le parole per strada. Tutti sono stati innamorati e poi sono morti, ora tutto quell’amore dov’è finito? Nella bocca di Dio.
seconda notte
Era stato abbastanza coraggioso da toccargli l’orecchio. Lo voleva fare da tempo, la distanza gli aveva mozzato le dita, si era ritratto come un bruco che non ha più fame, come quella lepidoptera che era nel suo sogno, come quando si era assiderato con la luce. La sua pelle sa di sapone, mughetti sotto venature chimiche, il suo orecchio sa di zucchero, di miele, di latte, come tutta quell'acqua dolce del fiume, come la luna di roccia che lascia che la sua luce venga accompagnata dallo scorrimento dell’acqua.
Avanti e indietro. La prima volta che si erano incontrati non lo aveva visto, lo aveva solo lasciato, il ricordo di quel pomeriggio, a marcire. Il marcio aveva dato vita ad una colonia di insetti colorati. Si nutrivano di speranza. Quel ragazzo aveva avuto fiducia in tutto quello che la foresta lascia decomporre, lo aveva maneggiato tra le sue mani, aveva riconosciuto il corpo. Era il corpo di uno Scordato, uno di tanti che erano venuti prima di lui e uno dei tanti che era morto per un bacio, ed era per questo che si era preso il fardello, quella sera, di dargli un bacio. Solo per quello, aveva detto, solo per un bacio. Un bacio solo per un bacio. In lui non c’erano soldati, non c’erano gli occhi defunti di madri e padri, non c’erano ponti di distanza da una riva all’altra, la parte peggiore era l’adolescenza della quale si sarebbe presto pentito di non aver consumato più velocemente, ma era solo un bacio. Poi le lettere, i francobolli con la sua saliva densa, aspettare ancora, torna a trovarmi, una lezione da bocca a bocca, pensare più velocemente, sette mesi dopo, otto mesi dopo, quando lo ha caricato sul furgoncino. L’ultima volta che si erano incontrati era stato per un bacio. Era sempre per un bacio.
Indietro e avanti. Succo della sua bocca calda, non sono parole, non si tratta di orare ad una folla un frammento filosofico. Succo della sua bocca calda, gli aveva chiesto perché non avesse mai risposto. Io so che mi manchi ma non so cosa mi manchi, scriveva, capisco che tu possa non comprendere. Succo della sua bocca calda, il sapore delle more selvatiche che si erano affrettati a raccogliere prima che l'estate finisse, le macchie scure ancora sui vestiti e sulle dita, le macchie scure di quando si erano divorati arbusti interi di frutti maturi. Un corpo e un corpo, succo della sua bocca calda, descriveva come fossero simili da sempre, da come lo avesse notato da sempre, dalla prima volta che si erano visti. Io lo sapevo, scriveva, ma capisco che tu possa non comprendere. I sogni, guardando fuori dalla finestra da bambino aveva pensato fosse Dio, il ragazzo dei sogni che è solo un ragazzo, la gioventù senza nome tatuata sulle pellicine di sangue attorno alle sue unghie, aveva pensato fosse Dio, quel ragazzo, ed in effetti aveva creato cose soltanto da sé stesso. La sua costola asessuata che traspare dall’addome, è tutto ben esposto quando si parla di quel ragazzo, quando si parla di Adamo. E’ il primo ragazzo, il primo uomo, la prima morte sulla terra. Io capisco che tu possa non comprendere.
L’ultima volta che si erano incontrati lo aveva aspettato, pieno di risentimento, alla stazione ferroviaria. E lo aveva, ovviamente, baciato di nuovo. Per quello aveva perso la voce. Era lì che era stato caricato in auto e portato al fiume.
terza notte
Dio parla con gli assassini. Ha la voce di un padre, esattamente quella voce di padre, ha la voce del fango sull’argine, il motore del furgoncino che si spegne e l’acqua del fiume che scorre mansueta. Ha la voce della terra e del cielo, lui ha creato tutto, lui può. No, lui ha dato il permesso di creare. Ha dato la voce e il corpo ad Adamo, ora addormentato, ora sveglio, ora schiavo, ora padrone. Adamo tutto può. E Dio da allora parla agli assassini. Ha compassione per loro, lui che ha creato un figlio dalla mente, lo ha elaborato con coscienza, e lo ha solo ucciso. Lo ha ucciso, Adamo, lo ha buttato in mezzo alla melma. Si tratta di essere pronti al sacrificio, dice. Si tratta di essere devoti, sempre. A Dio piacciono gli assassini che piangono, quelli che si disperano per la vittima, per la patria devastata, per i corpi che un tempo avrebbero potuto essere loro. Lo aveva caricato in auto, due giorni prima, Adamo. Suo padre gli aveva insegnato a sparare. E aveva sparato.
Era nato da figli di Dio, sua madre senza volto e sfregiata dalla vecchiaia che si lamenta per un antico dolore alla schiena per cui ha iniziato a prendere forti antidolorifici e suo padre che carica una carcassa di cervo sulle spalle, è sempre stato abile con i fucili, è sempre stato abile con le donne. Suo padre che carica sua madre sulle spalle, la porta a letto, lei non si muove più da anni. Suo padre che scuoia il cervo nella cascina in campagna, l’odore stantio del sangue che fuoriesce dall’entrata e che si trascina anche a casa, quando con gli stivali intrisi di macchie cammina per il salone. Sul pavimento impronte porpora di una vita fa. Era nato da figli di Dio, i suoi genitori erano devoti, gli avevano sempre insegnato cosa significa la parola di Dio per delle persone come loro. Quando aveva incontrato Adamo, aveva saputo fosse lui dal modo in cui era devoto a suo padre. Adamo che suo padre l’aveva visto perire, Adamo che suo padre l’aveva visto incosciente, furioso, Adamo che era già stato ucciso dai genitori, Adamo che viveva in un mondo di pietra giallo, un pianeta sconosciuto dove esistono soltanto uomini con le costole esposte che vogliono vedere costole di altri uomini come loro. E Adamo amava l’amore, amava pensare di aver creato amore, anche se l’aveva visto perire, Adamo amava aver ucciso suo padre nei modi in cui solo un figlio può farlo. Adamo aveva perso la fede, aveva perso la devozione, era uomo ed era innamorato di essere uomo, ed era fedele a sé stesso come un gatto randagio, ed era tutto quello che un figlio di Dio ha dimenticato di essere, ovvero, figlio di un padre che lo ha abbandonato per un peccato. Adamo che era nato dalla passione e dalla fede e dall’estrema purezza, ora vagava insiemea dannati qualsiasi, ora che lui non si scomponeva, ora che lui non stava in silenzio, perché Adamo parlava come un maestro, ma tutti erano impegnati ad ascoltare Dio. Era di Dio l’ultima frase. Era lui che chiudeva il sipario.Non si era degnato nemmeno di farsi vedere in volto.
Prima di caricarlo, lo aveva ammazzato. Prima di caricarlo, quando Adamo gli si era sporto sulla bocca e lo aveva baciato, quando gli si era avvinghiato addosso come un bambino, cercava forse quello che non aveva saputo dargli la vita, dopo, lo aveva ammazzato. Prima di caricarlo, quando lo aveva amato solo come un Uomo può amare Dio, come un Uomo può amare un Padre, quando lo aveva baciato come un traditore, lo aveva ammazzato.
quarta notte
Prima di ammazzarlo, lo aveva caricato. Era sempre stato così. Prima di ammazzarlo, lo aveva caricato, lo aveva amato. Erano stati al fiume. Lo aveva amato come si ama l’estate e senza convenienze, lo aveva amato perché era l’unico al mondo che potesse amare così. Perché era il primo uomo, perché era Adamo, lo aveva cercato per tutta la vita. Oppure, come si voglia dire nella leggenda, lo aveva ammazzato, caricato, portato al fiume, dove Adamo era tornato ad essere fango. Lo guardava e non riusciva a toccarlo, lo guardava e pensava solo a quanto si somigliassero ora che era morto, non si era mai guardato così, sdoppiato nel corpo di qualcun altro. La sua bocca che aveva il sapore caldo. Riavvolgere il nastro della memoria, i tempi in cui il bacio sarebbe rimasto solo un malinteso. Riavvolgere il nastro della memoria, i tempi in cui il suo corpo si sarebbe intonato sulla panchina del giardino verde. Riavvolgere il nastro della memoria, i tempi in cui Adamo lo avrebbe preso in braccio come suo padre faceva con sua madre, quando non riusciva ad alzarsi in piedi per il dolore. Perché era un uomo, solo un uomo, non si sarebbe perso niente della vita, non si sarebbe perso niente dell’amore se solo avesse avuto abbastanza voce e fortuna. Ma era un destino distinto dalla realtà.
Non esistevano insetti colorati, non esistevano speranze sull’Aldilà, non esistevano mondi in cui Adamo non sarebbe tornato fango. In cui il fiume non se lo sarebbe ripreso. Non era figlio di corsi d’acqua, di un Dio, era solo il figlio di suo padre. Un padre comune, un padre come tanti altri padri, che aveva una voce troppo alta e un corpo troppo robusto e il gomito scivoloso nei bar, e qualcosa che ricorda l’odore stantio del sangue quando si accende la luce.
Prima di ammazzarlo, doveva ricordarsi come fosse solo un ragazzo. Un ragazzo che gli aveva chiesto di tornarlo a trovare. Un ragazzo che cercava una fede e che trovava in lui le parole per una preghiera. Lo caricò sul furgoncino, cantarono poesie della radio, passarono quattro notti su una riva di ghiaie, parlarono a confessioni, non ebbero paura di baci e adulteri. Perché questa non è una storia terribile, non è una storia di terrori, di sangue e di morte, non è un racconto di vessazioni. E’ la storia di due uomini dalle costole esposte, come tanti uomini dalle costole esposte che sono rimaste nei loro addomi a fiorire, non hanno creato niente al di fuori dal loro corpo, nessuna Eva a fare da contorno, hanno creato qualcosa dentro il loro corpo.
E quel qualcosa è una leggenda che non ha bisogno di finali.
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Hot Milk - Are You Feeling Alive?, traduzione testi
Tira via la tua giacca dalla mia macchina, dalla mia macchina Almeno posso dimenticarmi chi sei, chi sei
(da: Are You Feeling Alive?)
1. Hot Milk – Wide Awake, traduzione
Sveglissimo Perché è tutto fumo negli occhi
È tutta una finzione costruita su un bellissimo errore
Sono rimasta ad aspettare che si palesasse la verità
Mi farò guidare dalle bugie più di quanto possiamo immaginare
È una cosa che ho già visto, non farti desiderare
Magari io sono solo una metafora
Lascia perdere le bugie che abbiamo detto
Se ho ancora l’anima, secondo me ce la possiamo fare E adesso sono sveglissima, sveglissima e metto in dubbio tutto quanto
Sveglissima, sveglissima
Brucio le bende degli occhi per dimostrare che sono pronta a sapere, sono pronta Adesso ho una sensazione che mi fa sentire freddo nelle ossa
Lo pseudo-re dissemina bugie sul trono
Non c’è nessun cuore, nessuna morale, nessun riguardo
Il giudizio rapido, il denaro vile
Volevo qualcosa di puro, non ce la faccio più
Nascondo l’anima, vinco la battaglia, perdo la guerra
È così tanto un peso la gentilezza?
Cosa lo facciamo a fare?
Non riesco a cercare di fingere E adesso sono sveglissima, sveglissima e metto in dubbio tutto quanto
Sveglissima, sveglissima
Brucio le bende degli occhi per dimostrare che sono pronta a sapere, sono pronta Non voglio più vivere per il weekend, vivere per me stessa
Non mi faceva bene mentalmente
Non voglio più vivere per il weekend, vivere per me stessa
Non mi faceva bene mentalmente E adesso sono sveglissima, sveglissima e metto in dubbio tutto quanto
Sveglissima, sveglissima
Brucio le bende degli occhi per dimostrare che sono pronta a sapere, sono pronta 2. Hot Milk – Take Your Jacket, traduzione
Prendi la tua giacca Vuoi la tua canzone?
Beh, eccoti un inno
Mi hai spezzato il cuore e hai tenuto in ostaggio tutto il mio passato
Beh, datti una calmata
Non sei così speciale
Cerchi di sgusciare tra gli spettri con cui combatti No, ma intendiamoci, intendiamoci: io ce la sto mettendo tutta
Ma a volte i furbi non sono forti Tira via la tua giacca dalla mia macchina, dalla mia macchina
Almeno posso dimenticarmi chi sei, chi sei
Cado in avanti, mi eclisso nella catastrofe
L’impressione che la tempesta non passerà mai
Esco dagli schemi, rimodello il passato Sei arrivata da sotto e mi hai fatto cadere
Mi fai marcire i denti, sei stucchevole come la cherry cola
No, stavolta no, no, non mi freghi
I tuoi trucchetti da bambina appartengono al passato, te lo garantisco No, ma intendiamoci, intendiamoci: io ce la sto mettendo tutta
Ma essere i più furbi non è troppo intelligente Tira via la tua giacca dalla mia macchina, dalla mia macchina
Almeno posso dimenticarmi chi sei, chi sei
Cado in avanti, mi eclisso nella catastrofe
L’impressione che la tempesta non passerà mai
Esco dagli schemi, rimodello il passato Tira via la tua giacca dalla mia macchina, dalla mia macchina
Almeno posso dimenticarmi chi sei, chi sei
Cado in avanti, mi eclisso nella catastrofe
L’impressione che la tempesta non passerà mai
Il buco che hai lasciato fa a dir poco male
Lo sapevamo che non poteva durare, rimodello il passato 3. Hot Milk – Are You Feeling Alive?, traduzione
Ti senti vivo? Andiamo a casa tua, stiamo un po’ insieme, passiamo un paio d’ore
Possiamo fare qualche programma, bere qualche lattina, mettere sù le nostre band preferite
Usciti dall’estate, portiamo il tuono in piena notte
Facciamo partire tutte le risse, ridiamo poi piangiamo, stiamo in giro fino alle luci dell’alba Sono uscito dalla finestra e scappato di casa solo per vivermi la notte e stare con te da soli Perché sono pronto, fai un salto della fede con me
Sono pronto, prendi sù la giacca e le chiavi
Tieniti forte, dritti verso la città con me
Seduto comodo, con l’arietta fresca Ti senti vivo?
Fatti la notte di corsa finché non ti muore lo spirito
Ti senti vivo?
Non guardarti indietro, sali in macchina e parti
Ti senti vivo? Facciamo cose fuori di testa, dimentichiamoci del tempo finché siamo nel fiore degli anni
Amici falsi in cucina, una dipendenza, solo per riuscire a funzionare Sono uscito dalla finestra e scappato di casa solo per vivermi la notte e stare con te da soli Perché sono pronto, fai un salto della fede con me
Sono pronto, prendi sù la giacca e le chiavi
Tieniti forte, dritti verso la città con me
Seduto comodo, con l’arietta fresca Ti senti vivo?
Fatti la notte di corsa finché non ti muore lo spirito
Ti senti vivo?
Non guardarti indietro, sali in macchina e parti
Ti senti vivo? Andiamo a casa tua, stiamo un po’ insieme, passiamo un paio d’ore Perché sono pronto, fai un salto della fede con me
Sono pronto, prendi sù la giacca e le chiavi
Tieniti forte, dritti verso la città con me
Seduto comodo, con l’arietta fresca Ti senti vivo?
Fatti la notte di corsa finché non ti muore lo spirito
Ti senti vivo?
Non guardarti indietro, sali in macchina e parti
Ti senti vivo? 4. Hot Milk – Awful Ever After, traduzione
Per sempre infelice e scontenta Ho scritto un’altra canzone su di te, ma lo sa Dio che non volevo
E tu parli e parli, non ha alcun senso
Perché non sono pronta, già, non sono pronta
Hai avuto un’occasione dopo l’altra ma eri sempre indeciso
E ne hai avute un sacco, fin troppe da parte mia Lo sai che non riesco a restare sobria, restare sobria
Affogo nel tuo ricordo
I sentimenti cominciano a prendere il sopravvento, il sopravvento
Sfruttami, sono maltrattata e abusata
Perché non ho niente da perdere Sei venuto a casa mia stanotte
Hai tirato i sassi contro la mia finestra fino alle prime luci dell’alba
Perché il sapore che ho sulle labbra è un pensiero che persiste
Le tue parole sono un veleno e la lingua un fucile
Ce la metto tutta per resistere, perché non possiamo coesistere?
Tu sei l’ombra, io il sole
A certe cose non si scappa Restare sobria, restare sobria
Affogo nel tuo ricordo
I sentimenti cominciano a prendere il sopravvento, il sopravvento
Sfruttami, sono maltrattata e abusata
Perché non ho niente da perdere Adesso non faccio più finta di ridere, non vivo per sempre infelice e scontenta
Adesso non faccio più finta di ridere, non vivo per sempre infelice e scontenta No, non riesco a restare sobria, restare sobria, restare sobria, restare sobria, restare sobria, restare sobria
No, non riesco a restare sobria
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Sono quasi le 3, dovrei dormire, fra poche ore parto per le vacanze. Dopo due anni i miei piedi affonderanno di nuovo nella sabbia e il mio corpo perderà un po’ di peso, almeno in un’illusione della mia mente, e galleggerà finalmente, ancora, nell’acqua del mare. Lo vivo un po’ come una vergogna il fatto di andare al mare con mio padre a 25 anni, ma tant’è (mi vergogno perché penso che gli altri mi schiferebbero se lo sapessero, non perché mi vergogno davvero; ho scoperto di essere totalmente ossessionata dalle convenzioni sociali secondo cui una ragazza per essere ritenuta normale, meritevole di considerazione e rispetto dovrebbe andare in vacanza con gli amici, o al massimo con il fidanzato, non con il padre o la madre). Comunque dovrei dormire, eppure mi sembra di essermi appena svegliata dall’incubo in cui ho vissuto nell’ultimo anno e mezzo. Mi sembra di averci capito qualcosa solo ora dopo tutto questo tempo. Lui me l’aveva detto. Me l’aveva detto tante volte, prima, me l’aveva detto chiaramente: quando mi parlava del gioco d’azzardo, delle dipendenze, delle droghe ai festival (non è sbagliato di per sé, ma io non sono così, per quanto faccia fatica ad accettarlo), quando mi aveva confessato, con una tranquillità agghiacciante, di aver picchiato la ex, e pure la madre. Però quella stessa ex continuava ad averci un rapporto, e quindi mi dissi che avrei potuto anche io, che era sicuro in fondo stare con lui. Me lo diceva tutte le volte che impazziva davanti alla mia sensibilità ed io avevo paura, ma “io” in quel momento non era importante, non più di lui almeno, anzi, era solo un fastidio, un ostacolo alla nostra relazione. Mi odiavo. E pensavo davvero di essere solo un cazzo di ostacolo. E, infine, me l’aveva detto quando voleva convincermi, riuscendoci anche, per un po’, che il mio sesto senso era, in realtà, follia. Non so perché tutto questo non è stato abbastanza. Non so se mi potrò mai perdonare. Per me il fatto che potesse tradirmi era molto peggio che essere tirata per i capelli o quasi fatta schiantare contro un muro, e infatti sono riuscita a lasciarlo solo dopo aver avuto la certezza di un tradimento. Eppure mi aveva detto anche quello, cazzo, anche dei tradimenti, me l’aveva detto davvero quell’ultima sera in cui mi ha portata a casa. Lui me l’aveva detto, ma io me ne sono accorta solo ora. Ho fatto finta di niente per tutti questi mesi, ed ora non riesco a dormire. L’ho nascosto involontariamente a tutti, ho raccontato tutto a molti ma ho omesso quella parte, l’ho omessa anche a me stessa. L’ho volutamente rimossa. Forse per proteggermi, come faccio sempre quando mi racconto le bugie, ma non so se questo basta a potermi perdonare. Stasera ho riletto quella mail per la centesima volta, eppure solo questa volta ho capito davvero. Ho messo insieme i pezzi e tutto ha avuto un senso. Tutto. Vorrei vomitare lo schifo che ho dentro e che provo per lui, perché non merita di stare dentro me nemmeno sotto questa forma. Vorrei buttare fuori tutta la rabbia, la pena, la voglia di vendetta. Mi vergogno, ma adesso vorrei potergli fare del male fisico. Spero di non essere diventata come lui. Vorrei non averlo mai conosciuto. Il pensiero che possa sfiorarmi, anche solo nei suoi pensieri, mi manda in bestia, il pensiero che mi abbia davvero avuta ancora di più. L’avevo sentito quel sapore acido e sconosciuto in bocca quella volta. Spero tu possa marcire all’inferno, e che l’inferno sia per te su questa terra, Davide. Non ho più paura del tuo nome
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“Close your eyes. Now forget what do you see. What do you feel?”
01.04.2023
Cos’è che senti?
Appena mi faccio questa domanda per buttare giù qualcosa, la mia mente manda una linea piatta, una stanza vuota, deserto senza dune. Sto realizzando di avere una mente che tende a scappare dal confronto, sia con sé stessa e soprattutto con gli altri. Ecco forse, cosa sento.
Frustrazione, perché ho parlato con altre persone esprimendo quello che provavo, nel modo più sincero che sentivo in quel momento. Sono una persona emotiva, fin troppo, e non riesco a esprimere quello che voglio dire perché ho paura; questo provoca due cose, ovvero balbettii e pianto interiore che - sia mai - esprimere apertamente.
Perché è da deboli piangere, e non avendo io fisicamente due palle *il francese, l’eleganza, la finezza*, in qualche modo devo dimostrare - a chi poi - di averle. Cosa che, tra l’altro e per inciso, non si dimostra in questo modo.
Mi da fastidio parlare con le persone, devo pensare alla risposta che voglio dare, devo capire cosa costruire. Non c’è posto in cui mi sento a casa, nessun luogo dove io mi senta parte di qualcosa per davvero, né con i miei amici, né in nessun ambito in cui pratico. Arriva sempre quel momento del “io non appartengo a tutto questo”; la consapevolezza che non posso dare nulla a chi mi sta intorno, che vorrei dare qualcosa anch’io a chi mi sta accanto, ma la convinzione di non riuscirci.
Continuo a rimuginare sulle due uniche parole che ho spiaccicato oggi, continuo a pensare di aver sbagliato tutto, che tutto - quasi, tutto - quello che volevo dire non era quello che intendevo.
Forse il succo di tutto è che sì, voglio allenarmi con qualcuno, perché mi piace, mi fa star bene, ed egoisticamente ne ho bisogno. Ma che non merito nulla se non il marcire per conto mio in un angolino, che non devo disturbare gli altri, che sono un peso per tutti; e che quindi, sarebbe meglio per tutti se mi allenassi da solo.
Perché sono solo una persona ignorante e stupida che può solo imparare - o meglio, cercare di capire -, ma che non ha nulla da dare. E quindi, ascolto.
E mi chiedo, se tutto questo riuscirà mai a far parte del mio mondo.
Ma storia vittimistica a parte, vorrei spendere due parole sull’ultimo breaking jump fatto, da muretto a spiaggettina; non era la prima volta che lo guardavo, e oggi più che mai era un salto che riuscivo a vedere, che era lì e mi chiamava.
Durante il giorno nulla, il mood non lo avevo trovato e la voglia neanche, quindi l’ho lasciato lì. Fatte qualche altre prove nel pomeriggio ho potuto constatare che non volevo farlo perché era nella mia testa e non perché non lo avessi, così verso la fine siamo andati a riguardarlo - e dico siamo perché avevo la fortuna di allenarmi con persone mozzafiato, che hanno avuto la pazienza di stare lì con me durante il processo.
Data questa mia nuova ricerca del “non (solo) ascoltarmi, ma soprattutto parlarmi”, poco prima ci siamo fermati a sentire le onde del lago; era tutto il giorno che pensavo a quel salto, e che avrei voluto farlo. E ascoltando le sensazioni che avevo, ho avuto modo di parlarci per un po’.
Perché mi sento così?
Ho subito bullismo. Non pesante, non estremo, nulla di che. Che però, in qualche modo, la sento ancora come una ferita aperta, perché a conti fatti influisce ancora su molte cose, forse troppe. Semplicemente, senza neanche che questa persona mi conoscesse, sin dal primo giorno mi ha preso di mira indicandomi come “lo sgorbio”; che non sapeva fare nulla, brutta, e con cui “non dovete giocare”. Non ricordo molto di quei camp estivi, non so dire se effettivamente passavo o meno le giornate in isolamento, però essere la persona appestata con cui gli altri non dovevano avere a che fare me lo ricordo bene. Quando capitava stavo giusto con un’altra ragazza, anche lei catalogata come “sgorbio”, che mi ricordo avesse una qualche disabilità, l’unica che era gentile con me.
Forse se fosse stato solo fisico, il bullismo, non avrebbe fatto così male; o meglio, sì, ma oggi spingerei come un animale. Invece, forse, mentale è infimo perché non ti permette di valutare in maniera oggettiva tutte le tue possibilità.
Comunque, una volta detto tutto a chi di dovere - perché da picci ero un peperino e sia mai che non dicevo le cose - non hanno mai fatto nulla. Non mi hanno spostato di gruppo, non hanno detto niente alla persona interessata.
Perché “non è vero, non abbiamo mai visto nulla, ce ne saremmo accorti se fosse davvero così”, e anche fosse “son ragazzi, è normale, lascia che si capiscano tra loro”.
Torno a casa, e devo sempre fare tutto subito alla perfezione. “Non far casino, guarda quello che fai, stai facendo solo danni”.
Ti è davvero concesso sbagliare? Ti è davvero concesso essere te? Ti è davvero concesso farti fare i tuoi errori? Ascoltarti? Sperimentare? Stare con gli altri?
Quel salto oggettivamente sai di averlo. Ed è un salto non mortale, che puoi sbagliare, che puoi concederti. Al massimo ti bagni un po’ - così come uno di noi poco prima l’aveva fatto senza pensarci (non il salto in questione, il bagnarsi entrando accidentalmente in acqua dopo un altro salto trovato). Mi ha aiutato vederlo. Qui, come su pochi altri salti, come poche altre volte, mi è concesso sbagliare.
Non è un non vuoi saltare perché sai di non averlo, è un non vuoi saltare perché se sbagli fai la fine del fallito che si è bagnato le scarpe, che non l’ha fatto o l’ha fatto male. Perché vuoi avere il controllo e sapere che lo farai perfetto al primo colpo.
Ma da quando l’importante è diventato il farlo perfetto il primo colpo? L’importante ora, è se lo vedi, se sai di averlo, e se sai che non ti farai male facendolo.
Senza riscaldamento ho un piede in meno, l’allenamento degli scorsi giorni mi ha fatto capire questo. Ora non ho fatto riscaldamento, palesemente ho un piede in meno e al buio mi sembra più lungo. Ma è lì, l’ho visualizzato oggi. So atterrare, e se sbaglio l’unico rischio che corro è il bagnarmi le scarpe.
Non ho mai avuto e mai avrò perfezione o bellezza, ma non sono uno sgorbio. Non mi merito di essere l’unica persona che non si merita nessuno con cui giocare. Non sono solo il risultato delle persone che ho avuto intorno, sono anche la persona che oggi vuole mettersi in gioco, e il risultato delle persone che ho intorno oggi - di cui mi sto circondando oggi, con la consapevolezza di oggi.
E ho saltato.
L’ho sentito, e mi ha chiamato. Non l’ho fatto per rabbia, esasperazione o altro. Sentivo di averlo, che era lì. Sentivo pace. Sentivo di aver abbracciato le mie paure e le mie insicurezze. Dopo averci parlato.
Ho saltato usandole come ali di lancio, non come calcio di scappatoia.
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I bilanci li faccio raramente, so che c'è dentro di me un piccolo essere che continuerà a dirmi "Sei pigro. Potevi fare di più. Hai combinato poco". Quando ero piccolo aveva la forma e la sostanza dei miei, ora è un essere indistinto che sfoggia un colore grigio in penombra. Vive e prospera dentro di me, è una forza portante e debilitante. In un corpo che si stanca facilmente e in una testa che sta sempre da n'altra parte.
Nel giro di una settimana ho fatto due borse e due cappelli all'uncinetto. Ho intasato un server da 2 tera di memoria con delle analisi per il prof. Ho prenotato per Roma 20-22 e Verona 27-29. A Roma ho un poster. A Verona parlo di una cosa e ho un poster su un'altra. Ho risolto a lavoro un problema per un collega (che è diventato compagno di scrivania e caffè) che andava avanti da mesi. Ho visto un po' di film (Ovosodo, Bastardi senza gloria, Kiki consegne a domicilio, Marylin ha gli occhi neri, La città incantata, Un sacco bello, Mediterraneo). Ho letto un libro (West di Caries Davies). Ho messo il pavimento nella sala da pranzo a casa nuova. Ho provato a creare una carta da parati (sembra funzioni). Ho iniziato un quadro a olio e ne ho continuato un altro. Ho piantato 3 piantine. Sono andato a una laurea. E boh, altro. In mezzo c'erano i treni, il lavoro, le passeggiate post lavoro, un intero pomeriggio ad ascoltare il dramma di una vita di una nuova persona, un trasloco per un'amica di Bari.
È tutto un Ho fatto, ho visitato, ho visto, ho letto, come ogni altra settimana. Nulla di diverso. Ne parlo, ne scrivo, faccio un bilancio e sembra di vantarmi. Mi sento quest'ascia che pende sulla testa pronta a dirmi "non serve vantarsi". Lo rileggo e mi sembra tutto poco, prima continuavo a confrontarmi con gli altri, tutti super impegnati, tutti super presi, e io da solo in cerca di ritagli di tempo. Ora al massimo faccio un bilancio in una settimana X e lo confronto con un'altra settimana X. Vedo le foto. Ricordo le cose. Rileggo i messaggi. Poi tutto si mischia e diventa una massa nera che butto nel secchio e sta lì a marcire come il tempo che passa e i 30 anni che si avvicinano e la festa che vorrei fare e potrei fare ma non ci sta la testa e non ci stanno i soldi e ancora più importante, intorno a me ho una radura salentina con la terra rosso fuoco e pochi ulivi secolari a ricordarmi che creo rapporti rocciosi ma che questi sono lontani da me perché gli ulivi, quelli buoni, hanno bisogno di spazio.
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“ Quest’uomo di cui conosco solo il cognome e lo status di pensionato mi racconta di aver comprato un appartamento sopra a quello dove hanno abitato tutta la vita solo per metterci i suoi libri, che sono quasi ventimila. Vorrei darne via un po’, dice, stanno lassù a prender polvere e a marcire e non mi sembra giusto. Venga quando vuole, conclude. Subito!, dico io. E così ci troviamo in strada, io e lui, un pomeriggio d’inverno, in marcia verso una legione di ventimila volumi. Un ascensore per invalidi ci porta direttamente dentro al secondo appartamento, che lui, forse per umiltà o forse per la ragione che scoprirò dopo, non chiama mai biblioteca, come forse sarebbe opportuno, ma solo appartamento, anzi, l’appartamento. Gli unici mobili che potrebbero ricordare un appartamento, tuttavia, sono un grosso tavolo tondo da pranzo (pieno di libri in alte file) e un lungo divano da salotto (occupato per due terzi da enormi volumi d’arte e biografie di santi e politici del passato). Il resto della casa, che è grande, cinque stanze ampie, è occupato solo da scaffalature di legno chiaro con le ante a vetri e la serratura. È una raccolta splendida e molto varia, con centinaia di prime edizioni e di libri di pregio, intere collane e volumi in tiratura limitata di minuscole case editrici. Mi racconta che per un periodo di circa vent’anni non passava giorno in cui non comprasse un libro, e più spesso non era uno solo, ma cinque o persino dieci nei giorni di grande fame, ma che poi restavano lì, e il lavoro e la moglie e la suocera gli impedivano di leggerli. Ne ho letto qualcuno, mi racconta, qualche romanzo e dei saggi di storia, ma li ho presi con la promessa di leggerli tutti un giorno e adesso eccomi qui a venderli. Guardi: di Goethe, per esempio, ho tutte le opere in quattro edizioni diverse, e così di Shakespeare e di Leopardi, ma a parte L’infinito e il Werther non saprei dire cosa contengono. Gadda: ho le opere complete nella Spiga Garzanti e tutti i libri singoli in prima edizione, tutti comprati da librai come lei o da antiquari sparsi per l’Italia. Mai letto uno. Lì c’è tutta la Biblioteca della Pléiade Einaudi, completa: ho iniziato Chateaubriand ma poi mia suocera si è ammalata e non volevo portarmelo dietro in ospedale perché è un libro piuttosto raro, dice. In uno scaffale più basso che non avevo notato c’è la filosofia: da Platone a Wittgenstein. Ci sono testi che ho inseguito per anni senza avere i soldi o l’occasione per comprarli, testi classici con commenti di filosofi celebri e qualche prima edizione rara. Dimenticavo di dire, anche se forse si sarà capito, che tutti i libri erano – sono – perfetti, assolutamente come nuovi, proprio perché mai sfogliati. Questa biblioteca, sogno di ogni collezionista-lettore di libri del Novecento, è un monumento alla pigrizia e alla procrastinazione, una dichiarazione di amore e di fastidio. Guardandomi intorno, mi chiedo se forse questa raccolta non sia il risultato del lavoro di un suggeritore, perché davvero non riesco a capire come si possa conoscere la storia delle edizioni di così tanti libri senza minimamente avere idea di ciò di cui quei libri parlano. Di fronte alla collezione completa dei Centolibri di Longanesi, mi racconta una serie di aneddoti sui consulenti che l’avevano messa in piedi, sul numero esatto dei volumi in programma, sulle traduzioni, salvo poi alla fine confessare di averne aperti solo uno o due per controllare che non avessero segni. Ma, poi, la cosa che assolutamente mi lascia stupefatto è che quando arriva a dire mai aperto mai letto non so che sia non lo fa con tono dispiaciuto o rassegnato ma al contrario, quasi con orgoglio. Continuiamo a parlare per un’altra mezz’ora e lui, che ha una voce sottile e un accento emiliano fortissimo, mi porta in giro per le stanze e ogni tanto estrae un volume dagli scaffali e lo appoggia da qualche parte. È un uomo lento, anche nei ragionamenti, ma lo seguo senza fretta, e lo assecondo. Dentro di me spero, ma so che non sarà così, di portarmi a casa un bel po’ di belle cose, quelle che lui con quello strano orgoglio mi mostra, o non mi fa nemmeno vedere. Per esempio, un bellissimo Montaigne di Adelphi non me lo fa nemmeno toccare, salvo poi dire come sempre: ah, mai aperto, non so che sia. L’Estetica di Croce, prima edizione Laterza, me la sventaglia davanti al naso ma poi la ripone subito, e chiude la piccola anta di legno con la chiave. Io continuo a girare per l’appartamento e lo sento armeggiare di là. Non riesco a staccare gli occhi dagli scaffali, pieni dei libri che mi piacciono di più, e che non trovo mai. Nel frattempo, lui mi ha preparato alcune cose che vorrebbe vendere. C’è il Marx della NUE Einaudi (Il Capitale, 4 volumi in cofanetto), i Diari di Dostoevskij di Garzanti, i Quaderni di conversazione di Beethoven e diverse prime edizioni italiane. Cerco di prendere terreno, di portare via altro, ma lui è irremovibile: voleva vendere e ora, di fronte al fatto quasi compiuto, non vuole vendere più. Mia moglie per tutta la vita mi ha rimproverato per questa biblioteca, dice, mi ha sgridato ogni sera per vent’anni e per vent’anni mi ha tenuto il muso ogni volta che rientravo con un sacchetto di libri a casa. Ho dovuto prendere questo appartamento per non farmi vedere ed evitare così il conflitto quotidiano e i litigi, che mi snervano. Ma il problema è che questi libri marciranno, non li vorrà più nessuno, e mia moglie li butterà via quando sarò morto, e ormai, sa, non ho più molto tempo, nemmeno per leggere, e venire su costa fatica. Ma poi, diobono, quando mai leggerò La guerra del Peloponneso, le Lezioni di filosofia della storia, Guerra e pace? Ho anche un garage pieno di altri libri, li vuole vedere? “
Giovanni Spadaccini, Compro libri - anche in grandi quantità. Taccuino di un libraio d’occasione, UTET, 2021. [Libro elettronico]
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La Casa Parla. Ripetizioni del Tempo
Ci siamo trasferiti un anno fa. Sono accadute cose strane
-Inverno-
Siamo in inverno.
Febbraio è un mese grigio.
La casa è fredda.
Sentiamo piangere dall'attico.
Il freddo viene dall'attico
<<Perché non andiamo su?>> ha chiesto mio fratello.
<<Non disturbiamo l'attico>> mio padre risponde.
Passano i secondi...silenzio...
I minuti e le ore passano...grida...
Ci spaventa. Ci ha spaventato così tanto i maschi hanno deciso di guardare.
Aspettano la mezzanotte.
Sono stati lì tutta la notte.
Sembrano...differente...adesso...
Cucino la cena. Lui chiede per una mela. Mio fratello. Gli insetti sono nelle mele.
Marcio.
Cucino la carne e la verdura.
Io non trovo il coltello.
Mangiamo in silenzio. Madre, padre, fratello ed io.
Sentiamo le grida. Mio fratello e mio padre iniziano, piangere.
Non li rivedrò più.
Ieri gli uomini, oggi le donne.
Muolono.
Fratello pende in camera da letto, padre aveva il coltello.
Corpi marci.
I loro cadaveri sorridono.
Aspettiamo aprile. Non arriva mai.
-Estate-
Siamo in estate. Siamo in agosoto. Fa caldo.
Il soffitto non ha smesso di piangere. Mamma ed io abbiamo paura di quello che c'è dentro. Ha fatto impazzire le nostre controparti maschile.
Beviamo la limonata nonostante il gusto. Un animale muore senz'acqua.
Mia madre si chiude denro l'ufficio.
Lei scrive libri. Di cosa si tratta non so.
Non mi lascia andare via da casa.
L'animali rimangono nello zoo.
Padre e fratello cominciano a puzzire
L'odore ora.
Io credo il Lui.
Dio. Marcio
Loro non credono
Loro non pensano
Sono contro di loro
Chi mangia i miei biscotti?
Lui chiede una mela. Se ne sono andati
Perché moriamo?
Penso di essere pazzo.
Madre.
Marcio
In ufficio, da solo
Lei gli scrive. Non risponde
Il soffitto piange ancora
Parla anche ora
<<Marzo...marzo>> si dice
<<Chi arriva a marzo?>>
<<Non ricorda ora>>
Gli elefanti ricordano
Mele marce
Il soffitto mi chiama
<<Perché non andiamo su?>>
<<Non prendere in giro le parole di mio fratello>>
Ora sono sola
Aspetto mezzanotte
<<Il cavallo segue la carota>>
<<Il tuo cavallo ha un nome?>>
<<Sì. Il tuo nome>>
Vado in soffitta
Ma prima di farlo, vado da mio fratello
L'ho visto ancora una volta. Mi manca
Una nota accanto ai suoi piedi si legge nella sua bella calligrafia
Fai come dico non come faccio. No, non andante. Tu decidi.
I secoli pssano
Non vedo più l'estermp
Tutto è marcio. Il mondo è marcio
Mi rimane
Ieri gli uomini, oggi le donne
Maggio non finisce oggie
Aspettiamo la primavera
Ma la primavera non arriva solo inverno ed estate
Solo marciume e congelare
<<Dove vivono gli elefanti? Come muore un animale?>>
<<Che domande strane mi fai ora.>>
Scrivo il libro
Cucina le mele marce
Sono allo zoo
Scrivo a mio fratello
Decido di marcire a fianco. Scelgo di non temere.
Io entro in soffitta
<<Tu, la ragazza con il vestito rosso, perché continui a piangere? Perché ci hai maledetto così?>>
<<Non ero io, era il tempo. Sei mio finché non muoio.>>
<<Quando morirai?>>
<<Quando arriva aprile>>
<<Ma aprile non viene mai>>
<<Come ho detto, il tempo>>
Solo inverno e febbraio
Solo estate e agosto
Rosso contro azzurro
Veniamo da Milano
Vengono dal Napoli
Vanno da Roma a Napoli
Beviamo il té nonostante il gusto e mangiamo mele
Aspettiamo aprile.
La fine.
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Caro Ex ,
sono le sei. Il sole sta già iniziando a sorgere ed a illuminare le silenziose campagne di questo sperduto paesino tra le montagne. Tra pochi giorni sarà il 10 Luglio, il giorno del mio ventitreesimo compleanno. Mentre fumo una sigaretta sul balcone penso a quanto un anno fa la mia vita fosse diversa. Un lavoro che mi portava fuori casa tutta la settimana, lo stesso treno che quasi tutti i weekend mi portava da te e una me stessa sempre sull’orlo dell’esplosione. Abbiamo sbagliato tanto, entrambi. Siamo arrivati al punto che esistevamo solo noi e mai un me e te. Le nostre vite si sono inglobate a vicenda inghiottendosi l’una con l’altra. Non uscivamo mai soli, non avevamo hobby da coltivare singolarmente e neppure tempo da dedicare a noi stessi. Esisteva solo la coppia. Ricordo ogni giorno le stesse chiamate alle stesse ore senza mai neanche chiederci un “Posso chiamarti o hai altro da fare?”, come se fosse diventate un obbligo morale. Gli amici che si sono allontanati perché non dedicavamo loro abbastanza tempo e le troppe parole soffocate dalla stretta dei miei pugni per non litigare ancora. Ci siamo distrutti, disintegrati. Sono arrivata al punto da non riconoscere più me stessa. Avevi ragione quando dicevi che non mi fidavo totalmente di te, l’ho capito solo ora che so cosa vuol dire fidarsi incondizionatamente di una persona. Tutte le mie paranoie, l’ansia e la paura costante dipendevano da quella mezza fiducia che con il tempo ha fatto marcire il nostro rapporto. Prima esprimevo direttamente tutto ciò che mi passava per la testa, poi, piano piano, dopo tutte le nottate passate a discutere e a litigare, ho iniziato a reprimere lentamente parole su parole. Ma queste parole con il tempo sono diventate frasi e poi ancora testi. Più passava il tempo più le parole non dette iniziavano a pesare fino a quando le pagine finivano ed io ti scaraventavo addosso l’intero libro. Tu d’altro canto, non prendevi pisizione, lasciavi che gli altri ti calpestassero come fossi un mozzicone spento. Avevi ragione tu quella sera di Gennaio, due come noi, i nostri due caratteri, le nostre due anime, non possono convivere assieme. Avevamo pensieri, ideali, obbiettivi e progetti troppo distanti l’uno dall’altra. Il nostro non era un percorso condiviso, ma due strade differenti che spesso entravano in collisione per poi allontanarsi nuovamente. Probabilmente un anno fa a quest’ora stavo dormendo ta le tue braccia, ora invece sono qua a fissare l’aurora con una Camel tra le labbra ed una leggerezza nel cuore che non avevo mai provato prima. Nonostante il modo in cui tu l’hai finita, le bugie e tutto il resto, ti dico comunque grazie per quello che hai sempre fatto per me. Non sono stati due anni facili, ma mi hanno fatta crescere. Se ora sono una ragazza nuova lo devo anche in una piccola parte a te perché mettendomi degli ostacoli mi hai permesso di imparare a saltare. Io sono cambiata, il mondo attorno a me è cambiato. Molte persone se ne sono andate, altre invece sono tornate al mio fianco, alcune ci sono sempre state ed altre nuove sono arrivate. Pesto avrò un nuovo lavoro, terminerò a breve gli studi ed ho già mille progetti in testa ed una voglia immensa di realizzarli. Se sono una persona nuova è anche grazie a tutte le difficoltà che ho affrontato a testa alta. Nonostante il dolore, le bugie e le mille scuse da te sempre inventate, non ti auguro ti ritrovarmi negli occhi di un’altra ragazza e di rimpiangeremi, ma bensì di poteri rinnamorare nuovamente di un nuovo paio di occhi, magari scuri come i mei o color del cielo. Non ti auguro dolore o sofferenza a causa dei ricordi o del presente, ma bensì serenità e maturità. Sei stato parte integrante della mia vita per due anni fino allo sfinimento, ma ora, anche se mi sveglio sola quasi ogni mattina, ho accanto chi sa davvero amarmi. Buona vita. Nicole. Via credevoinquellostupidotiamo
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Non ci so fare con la vita... o nella vita. Il componimento della frase neanche mi importa, riprendere l'analisi logica dall'inizio e riprendermi la libertà che mi sono tolta man mano che increspavo. Mi sono tolta la giacca e mi vedevano troppo sensuale perché potessi fermarmi a bere il solito bicchiere che mi sembra non abbia mai avuto un odore o un colore, eppure ogni volta l'ho riconosciuto solo dall'acidità che mi lasciava in bocca. Neanche a casa mi vogliono, o forse nemmeno mi sentono quando arrivo da dopo il lavoro. Faccio sempre troppo silenzio perché questa gente si preoccupi per me, penso di essere un problema e se ti raccontassi che oggi nessuno mi ha restituito il rispetto che ho cercato di dare e mantenere, nonostante gli altri evidenziassero solo le cose che non riuscivo a concludere correttamente, inizieresti a dirmi che non ne ho bisogno o che gli altri non ne hanno bisogno, ma tutti abbiamo la necessità di non sentirci sbagliati nell'affrontare i nostri errori. Non fanno altro che giudicare la mia vita, e da bambini in cerca di tesori si sono trasformati in maschere che cercano continuamente di assomigliarsi e di discriminare chi sembra non riuscire in tutto. Cercavo qualcuno che rappresentasse il mio futuro, qualcuno che leggesse dal fondo della tazzina del caffè, che sapesse leggere un libro e prepararti il thè caldo e ti facesse compagnia la sera prima di dormire. Ma non è colpa del tempo, è solo colpa mia che non trovo più romantico nulla e che a volte mi sento forte ma so ancora piangere di nascosto, non per la vergogna ma perché riconosco il dolore di un passato che non ricordo. Mi sembra di tornare lì e delle volte ancora ci soffoco. Pure mia madre sembra essere diventata troppo vecchia o occupata per parlarmi. Lei e la sua attività di titolare, mi scambia ogni giorno per una sua dipendente, ed è da molto che non mi sento figlia, anche se cerco un minimo di contatto con la famiglia, un sorriso, una battuta. La psicologa tra due giorni mi saluterà, mi ha chiamata dicendo "Il nostro percorso è terminato, cosa vuoi fare?" Non so cosa voglio fare... vede ogni giorno perdo qualcuno che poi probabilmente potrebbe ritornare tra un mese, una settimana o un anno. Il mio ragazzo trova ogni giorno qualcosa di sbagliato in me e io me ne accorgo, ma poi lui inizia a dire che mi ama comunque che devo solo imparare a essere diversa, quindi si lo amo, ma mi sento un pesce fuor d'acqua, sembra come se io dovessi sempre per forza cambiare e nessuno mi dice, con quel grasso sei bella lo stesso, con i capelli legati sei bella lo stesso. Non potrò più parlare con nessuno e questa è la mia unica preoccupazione, se avrò qualcosa da dire, mia madre fingerà di ascoltarmi, mio padre avrà il suo tempo una volta al mese e il mio ragazzo penserà sicuramente a qualcos'altro mentre gli racconto cosa non va e appena gli chiederò cosa ho detto risponderà un'altra volta che non ha sentito l'ultima parte perché gli è venuto in mente qualcos'altro di interessante. Non posso competere con l'importanza che ha il resto del mondo, io sono solo un granello di sabbia che avrebbe voluto morire e marcire in se stessa. Un grazie va solo a mia nonna. Che in una giornata di merda come ieri si è affacciata alla finestra dicendomi " Sei stanca? La vorresti un po' di torta salata?"Le ho risposto di no, ma è stato come sentirmi amata, davvero.
ilmondodiblu
Con l'ispirazione giusta.
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Si può vivere in casa propria come si vive con perfetti estranei che se scomparissero non ti cambierebbe niente? Si può odiare anche solo la voce o la presenza fisica di qualcuno così tanto da portarti a dover uscire da una stanza? Si può provare uno schifo così profondo verso qualcuno che diventa difficile anche scambiarci un semplice discorso?
Si si può. Anche se queste persone sono la tua famiglia. Anche se vorrei che non fosse così.
Eppure li odio sempre di più, vorrei vederli sparire nella nebbia. Vorrei che nessuno di loro facesse più parte della mia vita. Vorrei poter pensare che non abbiano già rovinato tutto quello che di buono c’è (c’era?) in me. Vorrei riuscire a slegarli dalla mia vita, non dover più condividere nulla con loro. Eppure ancora non posso, perché questo dannato destino mi ha portata a non riuscire ad andare via da questa dannata casa. Anche se a volte penso che pure un ponte sia meglio di una abitazione calda, perché almeno sotto un ponte nessuno ti fa volutamente del male. Nessuno ti tratta come una bestia indegna anche solo di respirare. Nessuno ti rivolge a malapena la parola o ti tratta come l’ultimo degli ultimi. E se lo fanno lo fanno comunque gli estranei. Non persone che dovrebbero proteggerti e curarti, darti gli strumenti per affrontare il mondo e i suoi pericoli. Il mondo mi fa meno paura di questa casa, i pericoli fuori sono meno spaventosi di quelli dentro. Mi sento più al sicuro nello sconosciuto mondo che qui.
Vivo nel terrore che qualcuno di loro prima o poi possa pugnalarmi, in uno dei loro attimi di totale mancanza di lucidità. Che qualcuno possa darmi un colpo da dietro e che io possa perdere i sensi. Che possano fare del male al mio gatto solo per ripicca verso di me, e probabilmente già è successo visto che lui non si avvicina che a me e non cerca altri. Ho paura che possano prendermi e sbattermi al muro, o tirarmi qualcosa addosso.
Non ho più un posto dove mi sento al sicuro perché l’unica casa che conosco è un inferno in cui mi sento sola al mondo. Sempre bistrattata, maltrattata, schifata, ignorata, ultima degli ultimi, di nessuna importanza. Vorrei tanto avere una piccola oasi di pace dove rifugiarmi, anche solo qualche ora o giorno, e invece mi sento perennemente in difetto, un estranea fra gli estranei. Un animale selvatico da escludere ed eliminare. Lasciato a morire di fame, lasciato a marcire.
Non mi ricordo più da tempo cosa significa provare un filo di affetto per i miei genitori, ma in compenso ho un libro nero dei torti subiti, che ormai è un tomo. La ruota gira, e io non dimentico. Spero di poter andare via da qui il prima possibile, anche se la strada purtroppo è ancora lunga. Spero, prima o poi, di ricordare quella sensazione di avere ancora un nido, una casa, e non di sentirmi sempre come se aprissi le porte dell’inferno, girando le chiavi nel chiavistello di casa mia.
#me#myself#me stessa#selfie#riflesso#riflessi#specchio#riflessioni#mirror#train#trip#photography#photo#girl#gothic girl#night#sad#sadness#memories#tristezza#stanchezza#amarezza#amarezze#mood#bad mood#sad life#fuck my life
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episodi dalla quarantena: mia madre e mio padre oggi sono stati dai miei nonni tutto il giorno (questioni di salute, non villeggiatura). io sono stata serena, ho cucinato, pulito anche tutto il bagno perché sono carina. torna a casa mia madre, tutta tranquilla, e dopo un paio d'ore apre la lavastoviglie: ho messo una padella col manico verso l'alto. errore di distrazione, se lasci le cose alte poi si incastrano sulla ventola. tragedia,inizia a lamentarsi ma non ho voglia di ascoltarla, annuisco e basta. inizia ad urlare come l'avessi appena insultata,mi obbliga ad andare là ad abbassare il fottuto manico e mentre lo sto facendo fa per tirarmi addosso un pentolino che aveva in mano e mi sposto. poi prova a colpirmi. eh no bella, non ci provi neanche se vuoi a toccarmi, urlo anche io e le faccio notare che si sta incazzando per una puttanata,che se ha qualche altro problema non lo deve sfogare con me. pioggia di insulti, a caso, senza senso. penso a quante volte da piccolina non ho potuto scampare a queste cattiverie. e anche se non è successo nulla, se mi sono solo subita insulti per qualche decina di minuti, se le sue mani non mi hanno toccato è riuscita a smuovere qualcosa, a farmi stare male. è troppo facile con me: basta qualche ricordo, qualche parola e torna tutto indietro come una valanga. soprattutto anche perché non posso nemmeno uscire e sono qui a marcire. penso alla me piccolina e mi stendo a letto pensandola più forte, a tutte le botte che ha preso, senza senso, senza motivo. a quegli occhi da cane bastonato che ho ancora incastrati in questa faccia del cazzo. e poi ho ancora il coraggio di chiedermi perché io non riesca a farmi amare
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Sai... Avevi ragione...
È bello vivere, se c'è motivo.
Mille piccoli fiori.. Ma ne faranno davvero uno?
Volevo iniziare con la mia frase solita.. Ma sarei monotona, ma mi conosci già. Lo sai, rideresti e diresti che sono io, pazza come sempre, ma sorprendente.
A volte ci si allontana, ci si cristallizza, per non ferire gli altri. Arrivi ad un punto in cui sei consapevole, o talmente sopraffatta da crederci, di essere un peso; di essere un elemento nella vita di altri, ma un intruso che sporca, e allora ti chiedi se non è meglio tornarsene a casa propria.
Una volta davi luce, speranza... Ma poi... Sei cambiata, hai iniziato a sporcare e non puoi pulire ... Ci si cristallizza per paura di non essere abbastanza e allora troppe parole, troppi gesti, si dimenticano di fare, esporre, dire...
Tutto chiuso dentro, a marcire nell'ombra.. E tutto quello che poteva essere, di meraviglioso, sparisce per la decisione unilaterale... Ed ecco che hai sporcato. Hai mancato un'occasione.. Anche il fiore più bello muore.
La verità è che sono vuota ora, ho molti ricordi, ma nessun presente, e forse un futuro.
Mi sento un guscio, o meglio una maschera, non sempre riesco a nascondermi...
Ma come dico sempre, in mezzo alla folla non mi noteresti mai, appena forse scorgeresti la mia presenza, un fiore tra mille uguali. Nulla di speciale, nulla di Interessante.
Una rabbia che mi fa marcire dentro, mi strazia l'anima, ma esposta a tratti, per giustificare i fatti.
Penso a te, al tuo abbraccio caldo che mi manca così tanto...
Non immagini neppure, vedere la tua sofferenza mi strazia, la mia impotenza ... Vorrei gridare che sono ancora qui, ma non può più importati ora.
Non ho persone a cui donare il cuore, nessuno da amare; ma ho qualche amico speciale, che non posso non avere accanto; ho decine di persone a cui voglio bene, ho centinaia di persone che mi conoscono..
Ma a tutte vorrei dare qualcosa, perché non voglio essere solo una dei tanti, voglio essere una macchia ... Che sporca, ma è amata per come è..
Mi piace pensare, che però, vivo per un motivo. Se non avessi un perché, sarei morta da nove anni.. Non sono un artista, ma credo di poter donare i miei colori, affinché altri li usino..
Se io sento il mio animo straziato, se vivo per l'eco della vera vita, se devo per forza restare in vita..
Voglio che ci sia un piccolo motivo, dato dalla natura animale, purtroppo siamo portati ad essere sociali, ad amare..
E Vedere i quadri magnifici scorrermi davanti e pensare che sono un pochino miei.. Ma mai sfiorandoli.
Non ho trovato il mio artista, non so se lo vorrò, per ora mi accontento di vivere così.
Mi piacerebbe pensare che sei felice di me, ma forse anche questo è un illusione.
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non riesco più a camminare come una volta. non parlo dell’incapacità di mettere un piede davanti all’altro, ma di ciò che comporta l’azione in sé. il mio corpo mi sembra scomposto, tante parti sconnesse che mi appartengono e al tempo spesso mi sono estranee. non riesco a non concentrarmi sulle mie caviglie, sul piede nella scarpa, sono dolorosamente cosciente di ogni centimetro di pelle, ogni frammento di questa entità più grande che è il mio corpo. un corpo che non avverto più mio. prima provavo un certo piacere a guardarmi allo specchio, ora non ce la faccio. ho iniziato a dormire vestito dopo anni per cercare di dimenticare come sono fatto. a che cosa serve il mio corpo se nessuno lo guarda? se non viene toccato? a volte provo quasi ribrezzo. sono disgustato perché mi riconosco solo nella carezza dell’altro, nell’amore altrui e ora non so più chi sono, mi sembra che nulla abbia più senso. e quindi camminare, sollevare un oggetto, fare qualsiasi cosa diventa un’azione insostenibile. perché è un continuo rimando al mio stato di corpo solitario, malato e abbandonato. vorrei non esistere più.
il terapista che pago 35 sterline l’ora perché ascolti i miei continui sfoghi senza interruzioni e senza giudicare non offre nessuna nuova prospettiva. vorrei qualcuno che mi dicesse cosa devo fare, cosa dire. eppure continuo a vederlo. i collegamenti che lui traccia tra le cose che faccio, che penso, che ho detto in precedenza sono legami che riesco a trovare già io. sono già pienamente cosciente di tutti modi in cui sono sbagliato. il problema è l’impossibilità di fare qualcosa a riguardo. mi vergogno di questo mio bisogno malato, del mio comportamento da bambino costantemente traumatizzato. mi vergogno della mia tendenza a mettere alla prova chi mi ama. prenditi cura di me, se non ti parlo continua a cercarmi, cercami fino allo sfinimento, parlami finché non devi supplicarmi, dimmi che mi ami finché non stai piangendo per l’intensità dei tuoi sentimenti, continua a distruggere i miei muri mentre io ne costruisco altri, mentre a volte non mi mostro riconoscente per lo sforzo perché voglio di più. più dimostrazioni che non te ne vuoi andare. che non puoi. inseguimi quando scappo via.
non ho più nulla da offrire. solo tanto dolore e una totale rassegnazione all’infelicità della mia condizione. ogni conversazione è più pesante, più difficile; ogni interazione più stancante. ogni giorno più orribile. eppure continuo a vivere. vado a letto presto perché non voglio essere sveglio e cosciente, mi alzo la mattina e cerco di restare a letto quanto più possibile, a lavoro mi sento morire dentro, ogni volta che mi muovo. calcolo ogni giorno quante volte posso permettermi di non andare e riuscire comunque a pagare l’affitto, fisso l’orologio e guardo i minuti passare. uno, due, tre... sessanta. e poi da capo. mi sento completamente isolato, sono solo: lo ero prima e ora lo sono ancora di più. prima ero triste ma almeno mi sentivo parte di qualcosa. sapevo di poter contare su qualcuno quando tornavo a casa. sono un impostore che finge di fare quello che gli viene chiesto, che si distrae per due minuti per poi essere colpito, ancora una volta, dall’intensità del dolore che mi porto dietro. e quando rimango a casa sono invece un fascio di nervi: piango, urlo, parlo da solo, cammino avanti e indietro. sono queste le uniche due scelte? è questo quello che ho davanti? ho ventidue anni cristo santo. ho paura.
ho paura di cosa provo, di come sono. ho paura di cosa penso in questo momento, e ho paura di cosa penserò se la situazione continua così. ho voglia di fare cose che non volevo farmi da quando ero adolescente. mi sento in colpa per questa mia malattia. a volte penso: c’è gente che sta male per anni per uno schiaffo, per delle frasi infelici. perché non ho il diritto di stare così, di sentirmi così indesiderato, così spaventato, così inadatto alla vita se non all’amore? perché non mi concedo queste cose? anche io ho passato dei momenti orribili, e subito parte la lista, un elenco di cose che hanno probabilmente contribuito pienamente al mio continuo bisogno di amore e alla mia insicurezza. perché certe persone sono autorizzate a sentirsi così e io no, quando vivevo con il terrore addosso? quando ho passato anni interi rinchiuso e isolato completamente dal mondo e da ogni altra persona? e cioè quando ho imparato cos’è la solitudine come sensazione esistenziale, quando mi prendevo in giro e dicevo che mi stava bene, che mi piaceva. quando ho imparato a vedere la tristezza che sentivo ogni giorno come parte essenziale di me e ora non riesco più a separare le due cose. solo ora dopo anni sto capendo quanto i miei anni spesi in completa solitudine mi abbiano cambiato completamente. però no, non basta, ci sono altre persone che stanno peggio, che hanno subito le stesse cose, o hanno vissuto eventi più traumatici, e riescono a stare al mondo meglio di me. e anche fosse, cosa mi dà il diritto di usare questo passato per trattare male chi amo? cosa ha giustificato il mio continuo bisogno di mettere il mio fidanzato continuamente alla prova? sia quando chiedevo “quanto mi vuoi bene da 1 a 10” come un bambino stupido, fino all’estremo opposto, quando non riuscivo a parlare, mi isolavo perché era più facile, perché sono più abituato alla solitudine; quando non facevo nulla anche se sapevo di essere nel torto, perché volevo essere inseguito, volevo che venisse lui da me, sempre... come un bambino stupido. voglio chiedere scusa fino a perdere la voce. perché ho così bisogno che qualcuno si prenda cura di me? il mio unico desiderio è stato, ed è ancora, amare. amare di un amore che prende il sopravvento su tutto, che è così forte che vorresti morire, che include tutto e allo stesso tempo lo annulla. e allora perché non riuscivo a dire queste cose? perché non dimostravo nulla di quello che provavo? e soprattutto, che senso ha dire che ho tanto amore da dare se il mio amore è macchiato, infetto? mi faccio queste domande e vorrei solo farmi piccolissimo e marcire sotto le coperte per sempre.
sono pieno di rimorsi. ogni cosa che faccio, ogni cosa che dico mi sembra una richiesta d’aiuto. ma in realtà è sempre stato così, ho sempre voluto essere aiutato. e invece quando chiedo aiuto esplicitamente mi sento un peso morto, sono stanco anche di sentirmi parlare. però anche in questo momento in cui mi sento morire, in cui mi sento ferito e arrabbiato, sento di non farcela da solo. non riesco a credere che una settimana dopo aver fatto sesso con me per l’ultima volta c’è già stato qualcun altro. mi fa schifo lui, mi fa schifo l’idea di lui e un’altra persona, è disgustoso. ma soprattutto mi sento disgustoso io, quasi come per riflesso. una sensazione fisica che si estende anche a me, mi sento inadatto, rifiutato per un’altra volta, rifiutato come mi sono sentito rifiutato per tutta la mia vita. mi sento preso in giro, come se fosse stato tutto una grande bugia. non riesco più a toccarmi. ma soprattutto disgustato perché non riesco ad andare oltre ciò, perché so che nonostante fuori io sia arrabbiato in realtà so che perdonerei tutto, so che mi basta pochissimo e ritorno in ginocchio, mi annullo completamente perché è quello che voglio, perché l’amore è così grande che farei qualsiasi cosa. mi sento come se mi fosse stato strappato un arto. non riesco a sopportare la mia rabbia, il disgusto, la mia debolezza, questa solitudine, questa separazione. ho voglia di prendere il treno e stare fuori ad osservare casa sua e poi tornare a letto. immaginarmi lì e immaginare che lui esca fuori. sono stanco della gente che mi dice che sono melodrammatico. non me ne importa niente che “ci passano tutti”. sono stanco della gente che dice che passerà, e anche di chi mi dice che non passerà. sono stanco di parlare con le persone. voglio essere lasciato in pace.
non mi è rimasto nulla, nemmeno quella poca privacy di poter scrivere qui senza alcuna conseguenza nella vita reale. domani è san valentino (e stasera... è stasera), e vorrei solo stare a letto a pensarlo ed autocommiserarmi. mi sento così solo. mi sento così solo che vorrei strapparmi la pelle a morsi. vorrei piangere così tanto fino a bruciarmi le guance. mi sento così solo che vorrei passare il resto dei miei giorni a dormire fino a far atrofizzare tutti i muscoli e poi correre fino a farmi esplodere i polmoni. perché mi sento così non amato?
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Sergio de Berardinis di skyup informazioni agenzia agi scrive:
DirittoRovescio - la giornalista Italo marocchina Karima Moual, sposata con un parlamentare e ministro del partito democratico, si palesa sempre come la paladina degli immigrati economici e climatici e li vorrebbe portare tutti Italia a godere dei benefici del welfare italiano gratis e a spese degli italiani poveri e indigenti, che Repubblica (il giornale) li quantifica in questo periodo in 10 milioni di italiani, che versano in gravi condizioni di povertà assoluta. Approfittando dell'articolo 3 della costituzione Italiana che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Approfittando di questa articolo, la signora Moual vorrebbe far passare per bisognosi e prioritari negli aiuti e sussidi economici e finanziari, innanzitutto e prima di tutto gli immigrati economici e climatici che non scappano da nessuna guerra e per i quali l'Italia spende ogni anno 6 miliardi di euro però l'accoglienza e per il loro non fa nulla. Sempre la signora giornalista muore ora vorrebbe, facendo sua La proposta della ministra Teresa Bellanova, regolarizzare circa 600.000 clandestini, perché così facendo si potrebbero utilizzare per la raccolta di pomodori, fragole e altra frutta nelle campagne. In realtà è solo un pretesto per regolarizzare 600.000 nullafacenti, con pochissima voglia di fare qualcosa, se non quella di essere mantenuti e pagati coi Pocket Money, per fare la bella vita, mentre i poveri italiani suddetti, in questo periodo, come si è visto, lottano per avere il pranzo oppure la cena. La signora della lista filantropa del PD partito democratico pensa e crede che l'Italia sia il servizio sociale e l'ONU per tutti i bisognosi e indigenti del mondo, mentre per lei italiani suddetti stanno tutti bene e non ha bisogno di priorità o di aiuti e di sussidi per poter sopravvivere specie in questi momenti di pandemia che diventata anche pandemia economica sociale.
Sempre la suddetta giornalista Moual del partito democratico ritiene anche che bisogna continuare ad accogliere tutti disperati emigranti economici climatici del mondo Italia dimenticando che abbiamo il debito pubblico più alto del mondo e che l'Europa come stiamo vedendo non solo non ci sta aiutando ma ci sta mettendo i bastoni fra le ruote con aiuti consistenti in prestiti da restituire anche con interessi.
Vorrei chiedere alcune cose a questa giornalista Italo marocchina ad esempio, perché non propone quale porto di accoglienza, un porto marocchino e una redistribuzione di tali migranti economici e climatici nel suo amato e ospitale Marocco, visto la tanta decantata ospitalità islamica nei confronti degli stranieri e dei bisognosi????
Questa signora marocchina continua ad ignorare i grossi e gravi problemi che generano tutti questi milioni di migranti ( in tutta Italia, in tutte le città italiane) che non scappano da nessuna guerra e che in Italia sono adibiti a spaccio di droga, a delinquere a non rispettare le leggi, a malmenare le forze dell'ordine impunemente, perché protetti dei magistrati magistratura democratica, a stuprare a fare quel cavolo che vogliono impunemente!!!! A proposito ai magistrati di magistratura democratica, consiglierei di fare delle indagini a Castelvolturno dove il sindaco addirittura ha chiesto l'esercito, perché la situazione è invivibile, ingestibile e si è in piena delinquenza in zone ormai impenetrabili anche per le forze dell'ordine!!!!!
Infine vorrei ricordare alla Moual e alla ministra Teresa Bellanova come alla ministra degli interni #lamorgese, che la regolarizzazione di queste persone, perché possano lavorare nei campi è solo propaganda elettorale ed è il solito programma del partito democratico, perché regolarizzando queste persone straniere significa che gli imprenditori agricoli dovrà pagare loro per i lavori nei campi a tariffa e con tutte le tutele dei contratti nazionali, questo significa per questi imprenditori che non li assumeranno mai mai, perché così non ci guadagnerebbero niente anzi a loro converrebbe che prodotto marcisse nei campi, perché agli imprenditori agricoli non tornerebbe più utile e né di guadagno pagare queste persone a tariffa contrattuale, per poi cercare di vendere i prodotti agricoli sul mercato a prezzi elevatissimi, che nessuno nei supermercati comprerebbero, perché li comprerebbero dai Paesi concorrenti dove costerebbero di meno!!!!
Ci sono due milioni e mezzo di percettori italiani di reddito di cittadinanza e per raccolta dei prodotti ricambi che abbiamo bisogno di poco più di 150.000 percettori quindi la cosa è fattibile e non si capisce perché il governo Conte e il partito democratico e i 5 stelle non vogliono saperne di questa soluzione e preferiscano politicamente regolarizzare persone che mai lavoreranno nei campi perché sono qui in Italia per godere il vero welfare italiano gratis e non per lavorare!!!! Queste regolarizzazioni sarebbero un errore gravissimo, di cui il governo italiano, poi sicuramente si pentirebbe amaramente!!!!!! firmato a Sergio de Berardinis di skyup informazioni agenzia agi
Infine perché non far lavorare nella raccolta dei prodotti nei campi i cosiddetti percettori di reddito di cittadinanza, che se ne stanno a poltrire, beneficiando di un reddito, che potrebbero perdere, se per esempio alla terza richiesta di non voler andare a lavorare nei campi a raccogliere i prodotti dei campi, perderebbero il diritto a tale reddito di cittadinanza????????!!!!!??!!!!!!
Infine a tutti e tre vorrei ricordare la proposta del presidente della Coldiretti che chiede i voucher e di poter pagare quelli, che ha già fatti incontrare come domanda e offerte su una app, tramite una app che ha fatto incontrare la domanda e l'offerta di lavoro nei campi!!!!
Non si capisce perché i sindacati su questo non siano d'accordo!!!!!??????
2 note Apr 24th, 2020
Non è assolutamente vero che nessun italiano vuole lavorare in campagna!
Abbiamo il 30% di disoccupazione giovanile
10% di disoccupazione
30% di disoccupazione reale (compresi inattivi)
E la Bellanova il ministro con la terza media chiede schiavi!!!!
#DrittoeRovescio
Gli Italiani in Italia li devi pagare come da contratto...
ovviamente queste regole non valgono in #cammorrilandia!!!
#Confagricoltura smentisce la delirante tesi del bisogno di clandestini nei campi. La sinistra li vuole regolarizzare per altro: diventare i prossimi elettori del #PD.
#DrittoeRovescio
Quindi #rdc a chi sta sul divano e si rifiuta di dare una mano in agricoltura, però alle #partiteIVA che con le loro tasse fuori di testa mantengono tutto il carrozzone l'elemosina di 600 euro la fanno sospirare?
#pd #Fiano #Conte #Governo #Formigli #piazzapulita #DrittoeRovescio
A #DrittoErovescio ci si dibatte inutilmente sul tema braccianti agricoli.. È inaudito, si parla sempre di sanatorie e nuovi arrivi nonostante tutte quelle migliaia di immigrati che già sono qui e che (quando va bene) se ne stanno a braccia conserte. Non erano «risorse»?😉!
#drittoerovescio la signora karima perché le sue battaglie non le fa al suo paese contro i suoi politici. invece di traghettare migranti in italia con il benestare di questo governo fasullo!!
Chi ha bisogno di lavoro si adatta a qualsiasi cosa cara #karima... io ho lavorato x 10 ore al giorno x 20 euro #DrittoeRovescio e questi parassiti fanno pure gli schizzinosi!!!!
Karima portateli a casa tua gli immigrati a spese TUE no degli italiani BASTA PORCA VACCA #DrittoeRovescio
No alla regolarizzazione di clandestini!
Se serve lavoro nei campi chiediamo prima agli italiani!
#drittoerovescio #primagliitaliani https://t.co/b9nWGFohkk
Bravo Senaldi!!!! Dopo che li regolarizzi dove vanno a stare??? Di cosa vivono??? O gli diamo anche casa e reddito di cittadinanza?!?!?!#drittoerovescio
Ma karima che fa tanto la buonista poi cosa fa x i suoi amici migranti in realtà?? Li dobbiamo mantenere noi?? Ed a noi chi ci mantiene?? Buonisti del cazzo.. #DrittoeRovescio
#drittoerovescio la signora karima perché le sue battaglie non le fa al suo paese contro i suoi politici. invece di traghettare migranti in italia con il benestare di questo governo fasullo!!
#DRITTOEROVESCIO
Aggiungo che chi lavora nei campi nelle vigne e raccoglie la frutta non sono africani,questi non fanno un cazzo,ma macedoni e rumeni regolamentati,sto parlando del nord,al sud sfruttano,vanno bene gli africani #caporalato
#drittoerovescio questa legge andrebbe a regolarizzare badanti straniere io conosco gente dalle Filippine che prende 2000€ al mese avendo vitto alloggio e tutto mentre noi disoccupati italiani che chiediamo di LAVORARE in modo dignitoso non ci viene dato nessun diritto!!!!
In campagna vogliono solo gente che lavora gratis o a basso costo quindi non è un problema di regolarizzare i migranti pensiamo a regolarizzare gli italiani e vedrete che in campagna ci andiamo tutti. #drittoerovescio
Ma quale cazzo di problemi trova questa? La gente si rifiuta semplicemente perche' non è retribuita come è giusto che sia, questo è il solo e unico problema il resto sono chiacchiere giornaliste e politiche #drittoerovescio
Ma davvero pensate che se offrite 1500 euro al mese a un italiano disoccupato rifiuta di lavorare nei campi?? #DrittoeRovescio
#DrittoeRovescio capito? Entrano illegalmente, accettano di lavorare sotto paga e in nero, e poi pretendono di essere stipendiati come gli italiani e così si ricostruisce la classe operaia tanto cara alla sinistra e ai sindacati. Con gli italiani non riuscivano più.
#DrittoeRovescio economia KO,no manodopera,raccolti lasciati a marcire ma migliaia di ITALIANI con reddito cittadinanza stando fermi.FATELI LAVORARE! Governo #Conte e partito che l"ha voluto e ha preso voti per quello cosa fanno?#M5S #DiMaio @luigidimaio @GiuseppeConteIT VERGOGNA
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