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PRIMA PAGINA Secolo Italia di Oggi domenica, 29 settembre 2024
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(L)’industria politico-culturale e la finanza ormai globale hanno probabilmente contribuito in modo decisivo a far introiettare progressivamente ai popoli “l’idea che sia perfettamente logico e naturale perdere se stessi”, per acquisire progressivamente “la consistenza che può derivare dalla fruizione di pacchetti di comfort e divertissement”.
In questa corsa generale a perdere se stessi, ciascuno sembra trovare “il proprio tornaconto nell’abominio del proprio annullamento: non devono più esservi popoli distinti, né differenziate individualità. L’equivalenza deve riguardare anche il più intimo di ciascun popolo e di ciascun individuo.
L’equivalenza deve riguardare anche la sessualità. Anzi, soprattutto questa, poiché, come la Chiesa da secoli insegna, è proprio su questa che si deve intervenire se il progetto di colonizzare la vita vuol risultare efficace. Sferrato l’attacco alla identità sessuale, anche ogni altra identità, come in un effetto domino, verrà meno”.
Una volta abolita tale identità, l’uomo medio diverrà perfettamente fluido, compiutamente ricettivo di modelli e stili di vita eterodiretti, e “si identificherà finalmente con la propria medietà e la propria fluidità evitando come una fastidiosa pietra d’inciampo quel che resta della sua esperienza più propriamente individuale”.
quote from La quotidiana mancanza di F.Bazzani,
via https://opinione.it/cultura/2024/04/02/gustavo-micheletti-la-quotidiana-mancanza-un-libro-malinconico-e-obliquo-fabio-bazzani-editrice-clinamen/
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Mentre il mondo guarda l’Iran, ieri Israele ha sferrato un attacco aereo su Tulkarem, in Cisgiordania. Era da vent’anni che non succedeva. Il bersaglio era un ricercato, l’ennesimo comandante di Hamas, e per eliminarlo Israele ha aspettato che si trovasse in un caffè affollato e l’ha bombardato con un F-16: uno di quei famosi “precision strikes”, che colpiscono con grande accuratezza luoghi pieni zeppi di civili.
La violenza dell’esplosione è stata tale che alcuni corpi sono stati scagliati sui fili della luce. Al momento si parla di almeno diciotto persone uccise tra cui intere famiglie con bambini e bambine, una di pochi mesi. Molti i feriti.
Tra le vittime della strage c’è anche Ghalit, un combattente di Hamas di 27 anni Ad agosto era stato intervistato da Mariam Barghouti, che ieri ha così raccontato l’incontro:
“Ghaith, della Brigata Tulkarem, è stato ucciso stasera in un’esecuzione extragiudiziale tramite un attacco aereo in cui hanno perso la vita almeno altre 18 persone.
L’ho intervistato ad agosto.
Indossava due collane. Una di suo fratello, Hamoodeh e una di Zgeedo. Entrambi sono state uccisi meno di due settimane prima che parlassi con Ghaith, anche lui designato per un’esecuzione extragiudiziale.
In un campo profughi di Tulkarem distrutto [dalle incursioni israeliane, ndt], Ghaith sedeva insieme a un altro combattente di 22 anni, e intorno a noi c’erano alcuni bambini e altri giovani della comunità.
“Combatto per ciò che vedo nelle pratiche di Israele e per i miei amici (uccisi da Israele)”, ha detto Ghaith.
Ghaith non era un combattente da molto tempo, ma come palestinese ha trascorso tutta la sua vita da rifugiato, con Israele che controllava ogni aspetto della sua esistenza.
Ho chiesto a Ghaith perché i giovani continuano a combattere in Cisgiordania dopo tutto quello a cui hanno assistito a Gaza, e lui ha risposto:
“Quando vediamo quello che succede a Gaza ci chiediamo, perché non provare almeno ad aiutare? Immagina se fosse tua sorella, tua madre, tuo fratello? Questo è il sangue della nostra famiglia.”
Ghaith è stato ucciso in un attacco aereo. Si aspettava che Israele avrebbe intensificato gli attacchi aerei e i bombardamenti in Cisgiordania, “guardate, questo è un esercito codardo, non verrebbero mai a combattere per le strade”,
Per molti combattenti della resistenza palestinese, tra cui Ghaith, sembra esserci un forte amore per la comunità.
“Non combattiamo solo con le nostre armi. Combattiamo con la comunità. Quando, grazie a Dio, gli scontri sono finiti, abbassiamo l’M16 e iniziamo ad aiutare a ricostruire. Questa è comunità”.
Ho notato una grande stanchezza in Ghaith e nel suo amico/compagno d’armi mentre spiegavano la situazione politica della loro realtà alla giornalista internazionale.
Ho detto a Ghaith e al combattente 22enne con lui di prenderci una pausa e ho chiesto loro di un futuro in cui non dovranno più tenere in mano un fucile. Cosa sognate?
Ghaith sorrise e disse: “Non c’è niente di più dolce della libertà”. Fece una pausa, ci pensò ancora un po’ e disse: “Finalmente poter andare in spiaggia e nessuno mi ferma”.
Il suo compagno lo interrompe e ribatte ridendo: “Amico, prima della spiaggia, anche solo poter andare a Nablus senza i posti di blocco!”.
Vi chiedo: è giusto che anche solo il minimo indispensabile sia considerato un sogno?”
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Ciao pizzetta, mi chiedevo se fosse effettivamente vero che la collezione di Alessandro Michele alla direzione creativa di Valentino abbia realmente snaturato il brand come sento dire in giro. Alcuni dicono che lui si sia ispirato all'archivio di Valentino e che abbia studiato a lungo nei minimi dettagli, altri che non si può più parlare di Valentino ma di Gucci perchè non emergono gli elementi caratteristici del brand e che abbia più o meno riproposto le stesse idee di sempre, anzi, dovrebbe aprire un brand tutto suo. Penso che tu sappia meglio di me i pareri che circolano su questa collezione, ma leggo opinioni molto contrastanti e non essendo addentrata nel mondo della moda, mi chiedo come stiano le cose. Guardando le creazioni, mi sembrano tutte bellissime anche se certamente diverse da quelle realizzate dal precedente direttore creativo. Scusami per il disturbo <3
Mi piace molto questo ask. Per me chi dice che Alessandro Michele ha snaturato Valentino non ha mai sfogliato un libro di moda o una rivista che non sia più vecchia del 2010. Alessandro Michele ha portato la sua firma nella collezione? Ma certo! Ogni direttore creativo porta la sua firma, il suo marchio in ogni progetto ed è naturale che vediamo Alessandro Michele, perché è lui il direttore creativo! Ovviamente siamo abituati ad anni di Michele da Gucci e ci sembra che abbia trasformato Valentino in Gucci/Michele ma non è cosi.
Alessandro Michele ha una precisa estetica personale e che è quella massimalista, decorativista e con un amore molto forte per gli anni ‘70. Gli anni ‘70 sono stati un grandissimo per Valentino, fondata da Valentino Garavani nel 1960 e salvata dal giovanissimo Giancarlo Giammetti.
Questo era Valentino:
Questo è Valentino con Alessandro Michele:
Alessandro Michele non ha proprio rivoluzionato nulla del brand, ha fatto un accurato lavoro storico/archivistico ed è andato ad abbracciare un’estetica di cui lui è il portavoce e con cui il brand è nato. Gli anni ‘70 sono stati un periodo di tumulti, di rivoluzioni, di manifestazioni e Valentino è nato in quel periodo con fiori pois animalier per dimostrare quanto si potesse essere liberi in ogni aspetto della vita. Nella moda degli anni ‘70 puoi riscontrare un gender less ancora prima che si parlasse di gender less, cosa di cui Michele ne è il portavoce.
E se ci sembra troppo Gucci è perché questi due brand hanno avuto l’esplosione nello stesso periodo, in cui vigeva un preciso stile, sguardo e modo di vedere il mondo. Gucci è nato nel 1921 ma è negli anni ‘70 che arriva al suo massimo splendore, guarda caso come Valentino.
Ritornando a Michele, non ha distrutto il brand, è semplicemente la sua firma che si adatta al marchio pescando e giocando nel passato, così come fanno gli altri. Altrimenti dovremmo gridare al disastro per Demna con Balecianga, ma non lo facciamo, perché anche Demna fa Demna avendo un grande rispetto per Monsier Cristobàl.
Io piuttosto sono interessata a ciò che non ha fatto Michele con questa collezione. Michele non ha fatto la rivoluzione (e questo l’ho spiegato ampiamente), Michele ha distrutto la narrazione, la sua collezione non ha un messaggio, è anti narrativa, non è adatta a Instagram, non è adatta ad essere copiata dal fast fashion che ben conosciamo. Michele ha sferrato un bel pugno a quel sistema moda che negli ultimi anni ci ha ri-abituati al less is more, al minimalismo, al quiet luxury. La moda ha avuto un brutto periodo post covid e lo sta vivendo ancora. Ha reagito togliendo tutto, tornando al meno, che per loro era il meglio perché facilmente vendibile, facilmente indossabile dall’influencer di turno per farci comprare l’ennesima cosa inutile che oltretutto si abbina perfettamente a quelle case minimaliste tutte beige e bianche e grigie, abiti perfetti per i nostri lavori grigi ed alienanti.
Alessandro Michele ha deciso di uscire fuori dal sistema, di distruggere il nostro sguardo appannato, fuori fuoco e ci ha disorientati nella sua anti narrazione e questo ha fatto incazzare molti. Il suo è un mondo onirico e si sa che i sogni sono sempre un po’ confusi, difficili da decifrare e forse ha detto che era anche ora di smetterla di essere delle esistenze grigie e ritornare un po’ a sognare.
Scusa la risposta lunga, ma io molto parlare di moda.
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Non riesco a stare senza gridare la pena del mio animo. Con chi altro dovrei parlare, se non con te che eri e sei tutto per me?
A te voglio dire tutto per la prima volta, parlare di una vita che forse non è neanche la mia, ma che se lo fosse, sarebbe legata a te dal suo primo momento.
Lascia che mi spieghi.
In un altro universo, io sono morto.
Non potrei dirlo in altre parole, in frasi più dolci, in virgole meno taglienti (non toccarle, graffiano la pelle e non vorrei mai ti facessi del male per causa mia.)
Perdona questo mio inizio così pesante. Pare di aver ricevuto un pugno in pieno stomaco e adesso ho la nausea e gli ematomi violacei addosso. La gola brucia e sento che quel nodo che si è formato è talmente tanto ottuso, bastardo ed egoista da non permettere neanche all’aria di passare.
Ma non preoccuparti, mio bellissimo amore, adesso capirai.
Mi hai insegnato a non pormi dei limiti, a non vergognarmi della mia essenza, a riuscire a parlare senza avere paura delle conseguenze, a tirar fuori le mie idee sia nel giorno che nella notte. Allora, non avrò paura a scrivere di noi in questo modo assai orrendo, spiacevole agli occhi, amaro sulla lingua, tossico al cuore.
Non fraintendere, non sono qui per rovinare il tuo stato d’animo, non sono qui per essere egoista e toccarti il viso con le mani sporche d’inchiostro luttuoso.
Tempo al tempo.
In un altro universo, io sono morto.
Mi spiace che sia andata così, la mia storia era già stata scritta da una penna più potente della mia.
Credi a me, ho combattuto in quel momento. Non sono stato debole, qualche pugno l’ho sferrato, ma era come lottare contro i mulini a vento: assai inutile.
Non si possono correggere a mano delle pagine già stampate senza che qualcuno non se ne accorga.
In un altro universo, io sono morto.
Mi hanno già chiuso gli occhi, congiunto le mani su una camicia bianca e ai quattro angoli del letto ardono dei ceri. Al tremolio delle fiamme le ombre scivolano sul mio viso impassibile.
Tu non ci sei tra tutti i presenti li dentro, perché non mi hai mai conosciuto.
L’ultimo mio alito di vita, me lo immagino in solitudine. Perché non esiste modo di stare bene senza il tuo tocco presente nella mia quotidianità.
Io sono morto perché tu non esistevi, non c’è altra spiegazione.
Non ho sentito alcun tipo di dolore.
Stavo steso sulla spiaggia, i granelli di sabbia si attaccavano ai miei capelli e alla schiena nuda, si infilavano in mezzo alle pieghe del solo gomito appoggiato.
L’altro giaceva gonfio sul mio addome, col braccio pieno di siringhe assassine.
Le onde mi bagnavano i piedi e il mare era illuminato dalle prime luci della notte.
Ero lì, fermo, a marcire nella certezza che le cose non sarebbero mai più tornare come prima.
In un altro universo, io sono morto.
Ma la vita era impossibile, e io ero troppo stanco.
Respiravo sempre nell’attesa di un qualcosa che non si è mai rivelata a me. Galleggiavo in una statica apatia, sempre sull’orlo di un precipizio di un buco nero generato dal collasso gravitazionale della mia testa che non riuscivo a spegnere. E per non cadere, ho cercato l’appiglio nella sostanza sbagliata che si è diffusa nel mio corpo come una febbre.
C’era la luna a guardarmi, sopra di me.
Sentivo gli ultimi secondi come finzione, recitazione, tutto era fantasia e stavo bene.
Poi ho mollato tutto, e io tutto neanche lo avevo.
Il niente invece, era il solo oggetto che possedeva la mia anima sporca e contagiata.
Mi spiace essermene andato, ma è stato meglio così.
Ma moriremo davvero tutti? Toccherà ad ognuno di noi questa mia precoce sorte?
Anche lì, avevo neanche trent’anni.
Anche lì, avevo ancora un’intera esistenza davanti.
Dio, il destino, Buddha, Allah o chicchessia che governi questo mondo mi aveva dato buca anche se all’appuntamento mi ci ero presentato per una buona volta puntuale.
Quella notte, la mia ultima, io ti sognai.
E mi incazzai.
Perché riuscii a vedere il tuo viso solo in quel momento. Ad averlo conosciuto prima, li avrei anche distrutti quei mulini.
Non mi sarei perso per sempre.
Non mi sarei addormentato.
Avrei ritrovato la via e la vita.
Avrei urlato.
Graffiato.
Ucciso.
Pur di trovarti.
In un altro universo, io sono morto.
E non ho mai conosciuto le tue stranezze.
Non ho mai conosciuto le tue mani aggrappate alle mie.
Non ho mai conosciuto i tuoi sguardi tanto profondi da contenere un universo.
La tua voce la mattina.
La vibrazione della tua risata che arriva nell’orecchio e va a sbattere contro ogni costola creando una meravigliosa canzoncina.
La temperatura dei tuoi pensieri che riscaldano i miei.
Persino i tuoi baci.
Troppo? Mi sembra di averti versato addosso una colata di calcestruzzo.
Respira, adesso.
Ti ho sentito titubante, durante tutto questo tempo.
Respira, mio meraviglioso amore.
Rilassa la fronte,
rilassa le spalle.
Andrà tutto bene, me l’hai detto tu.
In un altro universo, io sono morto.
Ma in questo no.
In questo è tutta un’altra storia.
Tu sei l’impeto di un’urgenza che non ho mai provato per nessuno.
Posso viverti, e affermare che sei bello e trasparente come una poesia che non sa nascondere niente.
Perché ti conosco!
Ti respiro,
ti parlo,
ti rispondo anche male.
Ma siamo insieme e strapperei a mani nude un pezzo della mia anima come se fosse un foglio di carta per dimostrarti la concreta realtà che esiste tra noi.
Pensare tutto ciò è come estrarre dalla ferita, il coltello che blocca un’emorragia di sentimento smielato. Concedimelo, solo per questa volta.
So che un piccolo periodo può assomigliare ad un per sempre, ma se è questa l’illusione che mi dai, è così bella che mi lascerò violentare.
In questo universo, le cose le viviamo momento per momento.
Ma mi piace da…morire(?) anche solo l’idea che tu mi conosca, che io ti conosca.
Di te, mi sono innamorato in un’istante, ma non sarà sufficiente un’eternità per smettere.
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dicembre 2023
L'Anglosfera dominata dalla finanza usuraia e dalle corporations ebraiche ha sferrato l'ultimo colpo all'Europa. Un piccolo tedesco lecca i piedi al vincitore e sigilla l'esito devastante della seconda guerra mondiale compiacendosi del rituale simbolico di una riuscita vendetta.
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in mondovisione solo le cagate, mi raccomando....:-)
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L'occidente ha sferrato un altro duro colpo alla Russia di Putin, purtroppo Masha e Orso "la famosa serie" ..animata russa, non sarà più in onda sulle reti Italiane.
Putin è incazzato nero!!
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Tanto lo avevano scempiato nel corpo, che la madre lo riconobbe dalla punta del naso. Gli avevano inciso lettere sulla pelle, spento sigarette addosso, rotto sette costole, tutte le ossa delle mani e dei piedi. Massacrato e torturato per giorni con ogni mezzo a disposizione fino a renderlo irriconoscibile. Ammazzato come un animale al macello con un colpo sferrato al collo. A volte ci dimentichiamo cosa ha passato Giulio Regeni. È umano, succede quando passano anni da una tragedia. Ma è bene ricordarlo, vividamente e chiaramente. Perché ad oggi le bestie che devastarono un ragazzo nostro connazionale che poteva essere fratello e figlio di tanti di noi, non hanno pagato con neppure un giorno di carcere. Difesi strenuamente e con ogni mezzo da altri assassini, che li nascondono e rendono impossibile una giustizia per un ragazzo che oggi avrebbe compiuto trentacinque anni. Giustizia per lui, per la famiglia e per tutto il nostro Paese, vergognosamente preso per il naso da chi sta nascondendo macellai senza onore, pavidi e codardi. Alla famiglia un grande abbraccio Allo stato la richiesta di sempre #giustiziapergiulioregeni #boicottaegitto (Leonardo Cecchi) https://www.instagram.com/p/CncVl4pLiFa/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Cacciato da Ballando con le stelle, la decisione della Rai: “Perché siamo costretti a farlo”
[[{“value”:” Ballando con le stelle non smette di far parlare di sé nemmeno giorni dopo la puntata. Nel pomeriggio del 25 novembre Guillermo Mariotto ha sferrato un attacco durissimo nei confronti di Angelo Madonia, dopo quanto successo nell’ultimo appuntamento di sabato scorso. Il ballerino ha infatti compiuto un gesto che non è piaciuto affatto al giudice di Milly Carlucci. E proprio nelle…
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Operazioni dei carabinieri contro lo spaccio di stupefacenti nell'Agrigentino: arrestate due persone
Operazioni dei carabinieri contro lo spaccio di stupefacenti nell'Agrigentino: arrestate due persone In due distinte operazioni, i carabinieri della Compagnia di Sciacca hanno sferrato un duro colpo... #SiciliaTV #SiciliaTvNotiziario Read the full article
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Un Nardò da incubo, la Fidelis piazza il set.
NARDO' - FIDELIS ANDRIA 1-6
Scorers: 5' e 7' Fantacci, 12' Liurni, 32' Ciracì, 44' Da Silva, 48' Jallow, 75' Fantacci.
NARDO' (3-4-1-2): De Luca; Delvino, Gianfreda, Calderoni; Ciracì, Vrdoljak (75' Milli), Correnti, De Crescenzo (70' Montagna); Gatto (46' Orlando); D'Anna, Maletic.
Reserve: Herceg, Ria, Sorino, Calò, Mazzotta, Gassama. Head coach: Fabio De Sanzo
FIDELIS ANDRIA (4-2-3-1): Esposito; Rotondi, Sirri, Graziano, De Rosa; Cancelli (86 Martire), Risolo; Liurni (60' Lamonica), Fantacci (80' Babaj), Jallow (60' Coquin); Da Silva (86' Marsico)
Reserve: Brezzo, De Luca, Ferrara. Head Coach: Ciro Danucci
Arbitro: Marco Giordano di Matera
Assistenti: Alessandro Laurieri e Federico Marvulli di Matera
Ammoniti: Jallow e Risolo.
Note: giornata calda circa 30 gradi, terreno duro, spettatori 1500 circa. D'Anna sbaglia un rigore al 70'
La Fidelis Andria passa il turno di Coppa Italia infliggendo un’umiliante sconfitta di stampo tennistico al Nardò. Non c’è stata partita tra Nardò e Fidelis Andria, troppo netto il divario tecnico e di condizione tra le due squadre. Un Nardò ancora incompleto e imballato non è mai riuscito ad arginare le giocate in velocità di una Fidelis già pronta a candidarsi per la vittoria del campionato. Il pressing alto tipico del marchio Danucci ha dato subito i suoi effetti già nei primi minuti con tre palloni conquistati nella zona sensibile della difesa avversaria e trasformati in rete da un Fantacci in grande spolvero. Nel dettaglio al 3′ azione insistita in attacco degli andriesi, tiro di Da Silva respinto da De Luca, riprende Fantacci e ribatte ma ancora De Luca si oppone ma deve arrendersi sul terzo tiro ancora sferrato da Fantacci: 0-1
Tre minuti dopo Liurni sfila sulla destra, cross radente in area, velo di Da Silva e Fantacci insacca da pochi passi: 0-2. Al 12′ Ripartenza letale della Fidelis con Sirri che apre per Liurni, l’ex Nocerina converge e piazza il diagonale nell’angolo opposto: 0-3.
Il Nardò è contato in piedi, I granata annaspano. Maletic prova il tiro al 30′ con palla fuori. Dopo il cooling break il Toro riordina le idee e trova il goal. Al 32′ cross di De Crescenzo e inzuccata prepotente di Ciracì in rete: 1-3. Il Nardò si illude di riaprire la partita ma deve capitolare allo scadere dei 45′. Fantacci conquista palla a centrocampo, appoggia a Liurni che affonda sulla fascia e serve in area un pallone tagliente che Da Silva scaraventa in corsa in rete: 1-4.
Si va negli spogliatoi con un risultato umiliante per i granata. De Sanzo corre ai ripari e inserisce Orlando, un centrocampista al posto del trequartista Gatto. Il Nardò sembra più equilibrato ma deve soccombere ancora causa erroraccio puerile di De Luca che fuori area si fa rubare palla da Jallow, abile ad anticipare il portiere neretino e a filare indisturbato verso la porta sguarnita: 1-5.
Ma al peggio non c’è fine e il Nardò deve ingoiare altri due bocconi amari. Al 70′ Correnti viene atterrato in area. Dal dischetto batte D’Anna e colpisce il palo. Al 75′ l’ultima mazzata. Ancora una ripartenza ficcante della Fidelis con botta finale di Fantacci, tripletta e pallone a casa.
I tifosi della Fidelis applaudono e sognano. I tifosi granata ingoiano il rospo e incoraggiano non senza preoccupazioni per l’inizio del campionato.
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Arzano sotto assedio: “E’ guerra alla spazzatura”.13 denunce e 2 sequestri
Arzano alza il tiro contro chi sporca. La polizia municipale, guidata dal colonnello Biagio Chiariello, ha sferrato un nuovo duro colpo agli incivili che abbandonano rifiuti per strada.
di Redazione Arzano alza il tiro contro chi sporca. La polizia municipale, guidata dal colonnello Biagio Chiariello, ha sferrato un nuovo duro colpo agli incivili che abbandonano rifiuti per strada. In una serie di blitz, gli agenti hanno individuato e denunciato 13 persone sorprese a non rispettare le regole della raccolta differenziata. Ma non è tutto. Due veicoli sono stati sequestrati dopo…
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Imperia, aggressione in Carcere: detenuto algerino attacca brutalmente agente penitenziario
Grave episodio di violenza alla Casa Circondariale di Imperia. Un detenuto di origini algerine, dopo essere stato aperto dalla cella per poter effettuare una chiamata ai familiari, ha aggredito improvvisamente l’Agente di Polizia Penitenziaria. Il detenuto ha prima sferrato un violento schiaffo al volto dell’Agente, poi lo ha afferrato al collo in un tentativo di sopraffarlo. Il Poliziotto,…
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Haiti, nel regno di Barbecue l'unica ragione è la violenza L’orario e il giorno vengono cambiati più volte. Al minimo accenno di attacco della polizia, l’appuntamento slitta. La conferma arriva all’ultimo. Si può andare. Ma solo in moto e a capo scoperto per essere ben identificabili. Il quartier generale del super-ricercato Jimmy Chérizier alias Barbecue si trova a Delmas 6, a non più di dieci minuti dal Palazzo presidenziale. L’edificio, su cui sono impresse le ferite del terribile terremoto del 2010, e gli uffici intorno sono rigorosamente vuoti. Impossibile raggiungerli per il nuovo premier, Gary Conille, e i nove esponenti del Consiglio di transizione incaricato di far uscire il Paese più povero dell’Occidente dalla catastrofe umanitaria e politica in cui si dibatte. Il centro di Port-au-Prince è il cuore della «Repubblica delle gang» cioè il loro regno. Haiti è il laboratorio perfetto della “neolingua” orwelliana. Per cinque anni è stata dilaniata da una “non-guerra” – agli occhi della comunità internazionale - che ha liquefatto il già fragilissimo Stato fino all’espulsione di fatto, a marzo, dell’allora primo ministro Ariel Henry da parte delle bande armate. Milizie private utilizzate a lungo come strumento di controllo sociale e cooptazione dall’esigua élite economica e dai suoi referenti politici, sono poi diventate così potenti da “mettersi in proprio”. Dopo essersi combattute per anni a suon di stragi indiscriminate di civili per accaparrarsi brandelli di territorio nell’indifferenza del mondo, lo scorso febbraio, si sono federate in Viv Ansanm (vivere insieme), sotto la guida di Barbecue. È lui il presidente della “Repubblica delle gang” , il re di un “non-Stato” che prolifera sulle macerie dello Stato ufficiale, privo di un leader dall’omicidio di Jovenel Moïse nel 2021 e di rappresentanti eletti. Contro questo simulacro di istituzioni, Viv Ansanm ha sferrato l’offensiva che, gli scorsi mesi, ha messo a ferro e fuoco la capitale, a partire proprio dal centro. In migliaia sono stati massacrati tra gennaio e giugno. Uno dopo l’altro, commissariati, tribunali e edifici governativi sono stati alle fiamme, il carcere distrutto e 4mila detenuti liberati, università e ospedali vandalizzati e occupati dalle gang, incluso l’Hopital general, l’unico pubblico, tuttora inagibile. Quasi 600mila persone hanno dovuto riversarsi sulle colline, meno coinvolte dagli scontri, e accamparsi in scuole, piazze, perfino nel ministero della Comunicazione. I campi profughi improvvisati sono almeno 111 e il loro numero cresce di settimana in settimana. Da Port-au-Prince non si scappa: gli accessi alla città sono bloccati dalle bande. Di fronte allo scempio, dopo quasi due anni di stallo, il 25 giugno scorso sono arrivati i primi duecento agenti kenyani della missione multinazionale di supporto alla polizia locale, guidata da Nairobi. A luglio se ne sono aggiunti altri duecento. Finora, però, sono rimasti chiusi nella base vicina all’aeroporto in attesa di rinforzi: fonti ben informate sostengono che si dovrebbe arrivare a mille uomini dei tremila ipotizzati entro settembre. Sarà un bagno di sangue, ha avvertito, più volte, Barbecue. «La violenza causa solo una violenza maggiore. Come possiamo non reagire quando veniamo attaccati? I civili, purtroppo, ci vanno di mezzo ma non posso evitarlo anche se mi dispiace. La colpa non è delle bande ma della violenza dello Stato e di chi dall’estero lo manovra: Usa, Francia e Canada. Proprio per ridurre le sofferenze degli haitiani ho chiesto al premier Conille di aprire un dialogo», afferma in creolo l’ex poliziotto 46enne che, nel 2019, ha lasciato la divisa e fondato la potente banda G9. Rifiuta, però, di definirsi un boss. Nemmeno il titolo di “presidente” della Repubblica delle gang gli piace. Sostiene di non essere interessato al potere anche se da tempo fa discorsi “politici”. «Non voglio far parte del sistema. Lo combatto. Combatto chi ha ridotto Haiti in questo stato: quel 5 per cento che si è accaparrato il 95 per cento della ricchezza nazionale con la complicità dei governi corrotti e di Francia, Usa e Canada, senza il cui sostegno, nessuna decisione politica viene presa. Chi è allora Jimmy Chérizier? Un difensore del popolo haitiano». O un “non-presidente”, un “non sovrano”in omaggio alla neo-lingua. Per raggiungere il suo “ufficio”, uno dei tanti, si attraversa un paesaggio spettrale: file di casupole vuote, spesso bruciate, con i muri crivellati di proiettili. Carcasse di auto e cumuli di rifiuti interrompono le strade su cui sono state aperte buche profonde a colpi di machete per ostacolare l’entrata della polizia. I tradizionali mercati all’aperto sono scomparsi sostituiti da lagune di liquami fuoriusciti dai canali di scolo intasati dato che nessuno li pulisce. Gruppi di ragazzi con in pugno armi nuovissime controllano gli accessi. Solo quando fanno una «V» con le dita in segno di via libera è possibile proseguire. In prossimità di Delmas 6, la vita sembra riprendere un minimo di pseudo-normalità. Almeno fino allo scontro successivo. Barbecue, fresco di doccia, accoglie "Avvenire" sulla soglia di una modesta casetta a due piani dopo una breve anticamera. I cinque giovani che montano la guardia sistemano le sedie di plastica sul marciapiede aiutati da qualche bambino, ansioso di offrire i propri servizi. Intorno i residenti osservano, a cauta distanza, mentre i passanti salutano con deferenza “o chef”, (il capo). «Li vedi? Sono persone che mi hanno chiesto aiuto, perché non potevano curare i figli o non avevano da mangiare o i mezzi per cominciare una piccola attività. E io gliel’ho dato», afferma, deciso a confutare la fama di gangster spietato, braccio armato del defunto presidente Moïse, sanzionato da Usa e Onu per il massacro di decine di oppositori a La Saline nel 2018, quando era ancora nelle forze dell’ordine. «Non c’entro né con quella vicenda né con Moïse. Solo dopo l’assassinio mi sono reso conto che era un politico con una visione: voleva lo sviluppo di Haiti, per questo ha cercato di smantellare il sistema di monopolio del commercio da cui deriva il potere dell’élite. Così lo hanno eliminato. Ora vogliono fare lo stesso con me. Hanno armato altri gruppi per uccidermi. Ma io sono riuscito a trovare un accordo e a riunire le bande. Ho chiamato i capi uno per uno e ho spiegato loro: «Dobbiamo smettere di farci impiegare come carne da cannone dei potenti. Invece di ammazzarci fra noi, combattiamo insieme contro il vero nemico: gli oligarchi e i governi corrotti”. E mi hanno dato retta». Barbecue sostiene di ispirarsi a Jean-Jacques Dessalines, tra i protagonisti della rivolta di schiavi da cui è nata, nel 1804, la prima Repubblica nera della storia. Mostra con orgoglio la schiena dove si è fatto tatuare il volto del padre dell’indipendenza dalla Francia. «Se fosse vivo, anche lui sarebbe considerato un criminale come chiunque denunci l’ingiustizia». In realtà, a differenza dell’altro eroe nazionale, l’illuminato Touissant Louverture, Dessalines è una figura controversa per i metodi brutali impiegati nella ribellione e le sofferenze inflitte alla popolazione. Oltre due secoli dopo la storia sembra ripetersi, in peggio. Il salto di qualità del conflitto ha paralizzato l’economia: metà della popolazione – 5 milioni di persone �� è alla fame. La già rachitica classe media è scomparsa sotto i debiti contratti per pagare i sequestri, principale fonte di finanziamento delle gang, insieme alle estorsioni e al traffico di droga e di armi. Senza controlli della costa e dello spazio aereo, Haiti è il trampolino perfetto verso gli Usa per i narcos messicani. Barbecue non lo nega. «Ogni gruppo ha i suoi metodi» ma garantisce che la “sua” G9 funziona diversamente. «Ho degli amici dentro e fuori Haiti che mi aiutano perché credono nel progetto», risponde quando gli si domanda da dove prenda le risorse per acquistare fuoristrada, Ak-47, Ar-15, perfino Galil israeliani. «Le armi sono la nostra garanzia di libertà: lo Stato non ascolta chi manifesta pacificamente. Ma noi saremmo disposti a lasciarle se il governo si impegnasse per dare un’esistenza degna a quel 99 per cento di haitiani allo stremo. Con l’appoggio della comunità internazionale, che gli ha dato il comando, Conille ha i mezzi per agire. Potrebbe entrare nella storia se accettasse di dialogare e ascoltare le nostre richieste. È da criminali chiedere acqua potabile, assistenza sanitaria, scuola per tutti e case per chi vive nelle baracche di lamiera? Se sì, sono un criminale. E sono disposto a morire come tale». Sta costruendo un cimitero dove vuole riposare, insieme ai suoi “soldati”. Barbecue si alza e, scortato dalle guardie, si offre di mostrarlo. È poco più di una radura, a cinque minuti di moto dall’ufficio, dove gli sterpi ricoprono una decina di lastre di cemento. Solo su una, al centro, c’è una croce. Non è, però, un segno cristiano ma vudù. Nella religione portata sull’isola dagli schiavi africani, indica “Barón Samedí”, lo spirito dei defunti. «Sono le tombe dei miei ragazzi uccisi – conclude Barbecue -. Ancora è in questo stato ma piano piano lo stiamo sistemando. Abbiamo sempre troppo da fare». Del resto, per i morti della “non-guerra” di Port-au-Prince la sepoltura è un lusso. Le bande bruciano i corpi delle vittime nella discarica dietro all’aeroporto. Ieri è stata una notte tranquilla. La mattina dopo, fra l’immondizia, si contano “solo” tre crani.
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