#detentivo
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osappleobeneduci · 3 months ago
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: Rivolta Notturna nel Carcere, Intervento Decisivo della Polizia Penitenziaria, Danni Ingenti ma Nessun Ferito
SANREMO – Nella notte, presso la Casa di Reclusione di Sanremo, sono scoppiati gravi disordini che hanno coinvolto una ventina di detenuti della Terza Sezione. Il consistente gruppo di reclusi si è rifiutato di rientrare nelle proprie celle, vandalizzando vari locali interni alla sezione. La situazione è rapidamente degenerata, richiedendo l’intervento urgente di tutto il Personale disponibile…
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lamilanomagazine · 2 months ago
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Manduria, agli arresti domiciliari pubblica sui social più di 300 video in 5 mesi. 41enne arrestato dalla Polizia di Stato
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Manduria (Taranto), agli arresti domiciliari pubblica sui social più di 300 video in 5 mesi. 41enne arrestato dalla Polizia di Stato La Polizia di Stato ha arrestato un uomo di 41 anni residente nel comune di Manduria perché ritenuto presunto responsabile del reato di inosservanza delle prescrizioni imposte dal suo regime detentivo.... Leggi articolo completo su La Milano Read the full article
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carmenvicinanza · 3 months ago
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Maysoon Majidi
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Sono venuta in Europa con la speranza di trovare una nuova casa e una nuova vita in una nazione in cui i diritti umani, libertà e dignità dell’individuo hanno valore. Vi prego di non lasciarmi sola. La vostra azione può fare la differenza tra speranza e disperazione, tra libertà e prigionia
Che ci faccio io qui? Ogni volta che, attaccata alla bombola di ossigeno, lotto per la sopravvivenza affrontando gli attacchi di panico. Ogni volta che perdo i sensi e cado per terra ma cerco di rimanere vigile mentre mi dico che sono dalla parte della ragione e non devo farmi ingannare dall’effetto dei tranquillanti, è questa la domanda che si ripete continuamente nella mia testa: che ci faccio qui? Perché sono venuta qui?
Maysoon Majidi è una regista e attrice curda iraniana, attivista per i diritti delle donne, scappata dalla Repubblica islamica per salvarsi la vita che è, attualmente detenuta in Italia con l’accusa di aver favorito l’immigrazione irregolare.
Rischia fino a 16 anni di carcere, una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo della nave (per un totale di 77) e il rimpatrio in Iran, dove, in quanto curda, la sua incolumità sarebbe a rischio.
Nata il 29 luglio 1996, è stata licenziata dall’università dove lavorava a causa del suo impegno sociale, politico e culturale nella promozione dei diritti delle donne. Più volte è stata picchiata e torturata, è stata anche ricoverata in ospedale per le percosse subite.
Nel 2023 ha lasciato la sua casa in Iran cercando di fuggire dal regime oppressivo che vige nel paese e si è rifugiata prima nel Kurdistan iracheno, poi ha provato a raggiungere l’Europa dalla Turchia, su una delle tante imbarcazioni di fortuna utilizzate da persone che sfidano il mare pur di trovare una vita migliore.
Sbarcata a Crotone nel dicembre del 2023, è in carcere, con l’accusa di essere una scafista, basata sulla testimonianza di due persone che viaggiavano sulla sua stessa imbarcazione. È detenuta nel carcere di Reggio Calabria, in cui è stata trasferita il 5 luglio, dopo sei mesi passati nel penitenziario di Castrovillari. 
Tutto questo accade nonostante gli evidenti errori di traduzione delle deposizioni che sono poi state modificate quando gli accusatori hanno dichiarato di non essere stati non trafficati, ma aiutati dalla donna, che non avevano mai accusato di essere la capitana del natante su cui viaggiavano. 
La sua vicenda sta facendo e ha scosso una parte più sensibile di opinione pubblica. Associazioni, singole persone e esponenti politici le hanno dichiarato solidarietà, è largamente diffusa la convinzione che lei sia innocente, vittima di false accuse e danno collaterale delle politiche migratorie del governo, che mirano alla criminalizzazione totale di chi arriva per mare e punisce in maniera severissima gli scafisti. Che spesso però sono soltanto persone migranti a cui viene messo in mano un gps e indicata, a grandi e incerte linee, la rotta da seguire per arrivare a terra.
Da nove mesi si trova in questa condizione a causa del Testo Unico sull’Immigrazione che le nega qualsiasi forma di protezione e la sottopone a un regime detentivo che la sta portando a una deprivazione fisica e psicologica particolarmente preoccupante. Ha già sostenuto due scioperi della fame, pesa 38 chili e in carcere le è stata negata la visita di una psicologa da lei indicata.
Una vicenda raccapricciante che vede protagonista un’attivista per i diritti umani che, sperando di trovare salvezza in un paese che doveva accoglierla, si ritrova incarcerata con accuse praticamente infondate.
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delectablywaywardbeard-blog · 10 months ago
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Catania, scoperta evasione Iva per 30 milioni: 10 arresti e sequestri a 17 società
Ascolta la versione audio dell’articolo Evasione dell’Iva per 30milioni di euro: dieci persone sono state arrestate e sono stati sequestrati beni a 17 diverse società. Capo dell’associazione per delinquere sarebbe risultato un incensurato, classe 1983, figlio di esponente del clan mafioso “Santapaola”, attualmente ristretto al regime detentivo del 41 bis nell carcere di Sulmona. I finanzieri del…
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nicolacostanzo · 11 months ago
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paoloferrario · 2 years ago
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Diritto penale; art. 41-bis, in "Diritto on line", Treccani
Il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis, co. 2, ord. penit. è una forma di detenzione particolarmente rigorosa, cui sono destinati gli autori di reati in materia di criminalità organizzata nei confronti dei quali sia stata accertata la permanenza dei collegamenti con le associazioni di appartenenza vai alla scheda: Carcere duro [art. 41-bis] in “Diritto on line”
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kritere · 2 years ago
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Cospito, governo dice che non scende a patti con chi minaccia: “Istituzioni non si fanno intimidire”
DIRETTA TV 29 Gennaio 2023 Gli attacchi e le proteste delle ultime ore “non intimidiranno le istituzioni. Tanto meno se l’obiettivo è quello di far allentare il regime detentivo più duro per i responsabili di atti terroristici”: lo afferma una nota di Palazzo Chigi, parlando di una serie di atti a favore di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto al 41bis. 8 CONDIVISIONI “Lo Stato non scende a…
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crazy-so-na-sega · 2 years ago
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l* frontier* del paradosso
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Firenze, 3 ago — Un uomo autopercepitosi come donna e dichiaratosi «trans» ha aggredito una agente del reparto femminile del carcere di Sollicciano (Firenze) dove è detenuto. Si tratta della quarta aggressione in un mese in un istituto detentivo che naviga a vista tra sovraffollamento, condizioni igieniche al limite del disastroso e problemi di disagio psichiatrico di numerosi detenuti. Una situazione comune a molte carceri toscane ad oggi affollate da 3mila detenuti. Lo rende noto Giuseppe Proietti Consalvi, vicesegretario generale Osapp.
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e niente.....i minus habens daranno mutande di ghisa alle agenti.....diversamente sarebbe sessismo....
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corallorosso · 4 years ago
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Cronache di ordinario razzismo. V libro bianco sul razzismo in Italia 7.426 episodi di razzismo in dodici anni. È con questo flash che il V Libro bianco sul razzismo in Italia fotografa il volto intollerante del Belpaese. Un flash che raccoglie le segnalazioni arrivate all’associazione Lunaria dal 1° di gennaio 2008 al 31 marzo 2020. Segnalazioni che, ovviamente, danno una fotografia sfumata della realtà, approssimata per difetto, perché «la gran parte delle ingiustizie e discriminazioni resta confinata nel silenzio di coloro che le subiscono e nell’omertà dei molti che ne sono testimoni passivi e, dunque, complici». Prima di entrare nella cronaca degli episodi di violenza verbale (5.340), di discriminazione (1.008), di aggressioni fisiche (901), di danneggiamenti alle proprietà(177) e di raccontare le storie esemplari di questo sentire razzista, il Libro parte da una premessa: non solo il razzismo è un fenomeno radicato nel territorio, ma è innanzitutto istituzionale. Cala dall’alto, sdogana i comportamenti, non contiene ma anzi convive (e spesso incita o flirta) con realtà che rivendicano con orgoglio il loro essere antisemite, negazioniste e omofobiche, eredi del fascismo e della Repubblica sociale italiana. Per far comprendere quanto di istituzionale ci sia nel razzismo che attraversa il paese, il Libro ripercorre, con analisi accurate, il contesto politico e culturale dell’ultimo decennio: l’approccio emergenziale e detentivo del fenomeno migratorio; il cambio di narrazione volta a parlare di invasioni e presunte delinquenze, a mettere in dubbio i diritti di chi arriva “clandestino” o “finto profugo” e alloggia in “alberghi di lusso” dopo essere stato saltato dai “taxi del mare”. Una narrazione (alimentata dai media) che trova legittimazione normativa e si trasforma in politica punitiva, di contenimento di persone da rimpatriare, da detenere in caserme dove l’unico diritto è dormire e mangiare. A conferma di questo, un dato: tra i 1.008 casi di discriminazioni riscontrati, 663 hanno come responsabili personaggi politici o amministrativi. Coloro che, per il ruolo che ricoprono, dovrebbero prevenire e combattere xenofobia e razzismo. Un dato che non necessita commento ed evidenzia «l’intreccio stringente tra le parole cattive di chi conta, le rappresentazioni distorte di chi racconta, le offese violente di chi commenta online e le violenze razziste fisiche». A cura di Lunaria - Nigrizia
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paoloxl · 4 years ago
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Alta sicurezza e processi sulle rivolte. Le vite sospese dei detenuti
Mario S. sta scontando un ergastolo dal 1983, quando è entrato in prigione venticinquenne. Quattro anni prima suo padre era stato ucciso in Calabria per una vendetta trasversale. Mario aveva quindi lasciato il suo lavoro e aveva iniziato la caccia agli assassini, che ha poi a sua volta ucciso in meno di due anni. In quello stesso periodo è diventato un uomo importante tra i clan del Tirreno cosentino, finché non è stato arrestato, processato e condannato.
Venticinque anni dopo, alla soglia dei cinquanta, Mario si era guadagnato la semilibertà per poter lavorare all’esterno del carcere, dove ritornava solo per la notte. Sei anni dopo la misura gli è stata revocata: Mario era stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver ricostruito il vecchio clan calabrese. In seguito al procedimento è stato recluso in regime di alta sorveglianza nel carcere di Parma.
Nel 2017 Mario è stato assolto in appello con formula piena. I pm non hanno fatto ricorso. A questo punto i legali hanno chiesto al Tribunale di sorveglianza di ripristinare i benefici che si era guadagnato, ma il giudice, pur prendendo atto dell’assoluzione, ha respinto la richiesta perché il detenuto avrebbe dovuto ricominciare un percorso per dimostrare la sua affidabilità. Le relazioni redatte dal carcere parlano di un “comportamento corretto, assenza di sanzioni, manifesta cortesia, disponibilità e interesse, relazioni rispettose, rapporti assidui con i tre figli, due dei quali affetti da handicap”. Eppure Mario, che oggi ha quasi settant’anni, ha passato tutta la sua vita in galera e si trova in una sezione di alta sicurezza per un reato dal quale è stato assolto.
I circuiti di alta sicurezza nascono all’inizio degli anni Novanta, quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria  comincia la progettazione dei cosiddetti “binari differenziati” – ancora oggi l’unico orizzonte del potere penitenziario –, stabiliti a seconda del reato per cui l’imputato è giudicato o condannato, e della sua pericolosità. L’architettura è semplice da escogitare, non bisogna far altro che raccogliere l’esperienza di campo della repressione dell’eversione rossa (i “circuiti dei camosci”, così venivano chiamate le prigioni speciali dei sovversivi): in accordo con i meccanismi di premialità che reggono la “rinegoziazione” dei benefici, quei gironi infernali – diversificati in As1, As2, As3, regime 41-bis op. – rappresentano infatti la massima espressione dell’internamento.
La corsa per i benefici, in questo scenario, diventa una perdita di tempo, dal momento che, come nel caso di Mario, sembra mancare sempre qualcosa per ottenerli. Fa parte del gioco, non è una disfunzione burocratica, perché l’obiettivo non dichiarato del “controllo premiale” è quello di prendere tempo (tra équipe di valutazione, osservazioni della personalità, visite psichiatriche, indagini familiari, udienze nei tribunali, ecc.) costruendo una dimensione astratta di attesa e desiderio in cui il soggetto si disgrega, ricomponendo e decomponendo le proprie speranze.
I PROCESSI DOPO LE RIVOLTE
L’inferno di prove da superare, interrogatori, attese, provocazioni e minacce – orizzonte comune e quotidiano per tanti ristretti – è il vortice in cui si muovono da mesi anche i ventidue detenuti che dal 18 gennaio cominceranno le udienze del processo per la rivolta al carcere di Milano Opera dello scorso 8 marzo. Le accuse ai loro danni sono incendio, danneggiamenti, resistenza a pubblico ufficiale, con aggravanti che potrebbero portare a pene fino ai quindici anni. Le accuse, in alcuni casi, sono però fondate solo su una “auto-denuncia” attraverso cui molti detenuti ammisero, nelle ore successive alle sommosse, di aver partecipato ai fatti. Nel corso dei mesi i familiari hanno riferito che su molti accusati furono fatte forti pressioni dalle autorità penitenziarie per indurli a firmare il documento.
Se la storia processuale di quei giorni è ancora tutta da scrivere, l’impressione è che gli eventi che si sono susseguiti prima, durante e dopo le rivolte, in decine di carceri in tutta Italia, avranno un destino molto diverso gli uni dagli altri, e i procedimenti si trasformeranno in processi in tempi più o meno lunghi, a seconda del lavoro e delle letture da parte delle procure e dei pubblici ministeri. Accanto ai processi nei confronti dei detenuti, ci sono infatti anche quelli ai danni degli agenti di polizia (non solo penitenziaria) che entrarono nei reparti di diverse carceri compiendo blitz punitivi, pestaggi, violenze ai danni dei detenuti.
Un elaborato percorso di indagini ha avuto come oggetto in questi nove mesi una tra le più volente irruzioni di poliziotti nelle celle, la “mattanza” del carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. Le accuse della procura non sono ancora note perché le indagini non sono chiuse, ma le ipotesi di reato denunciate dall’associazione Antigone sono pesanti: tortura, omissioni di referto, falsificazione delle cartelle cliniche, abuso di autorità.
Per quanto riguarda le altre inchieste, non si riescono ad avere notizie precise su quanto accade a Milano e Modena, dove si sono registrati nove dei tredici decessi. Da mesi si parla di due inchieste di cui però non hanno notizie neppure gli avvocati di fiducia dei detenuti che hanno presentato gli esposti. Quello scritto dai cinque trasferiti da Modena ad Ascoli Piceno racconta nel dettaglio le violenze subite al termine della rivolta, durante il trasferimento, e una volta giunti nel nuovo penitenziario, quando il loro compagno Salvatore Piscicelli trovò la morte in cella, dopo essere stato a lungo percosso e visitato solo sommariamente in infermeria.
Una situazione simile riguarda anche il carcere di Foggia, all’interno del quale si sono verificati eventi che ricordano in maniera inquietante quelli di Santa Maria Capua Vetere: violenze e pestaggi a freddo, a rivolte ampiamente terminate, denunciate dai detenuti solo una volta liberati, tramite un esposto presentato con il supporto dell’associazione Yairaiha.
Da questo punto di vista è molto importante mantenere alta l’attenzione, perché le valutazioni degli inquirenti (numero di indagati e reati contestati) oltre a marcare una linea politica, saranno fondamentali per misurare la concretezza degli eventuali processi.
I SILENZI DEL MINISTRO
Alcuni dei detenuti coinvolti nelle rivolte furono trasferiti con grande fretta, subito dopo i fatti, nel carcere di Vigevano, un penitenziario che difficilmente raggiunge gli onori delle cronache, anche a causa della presenza di molti detenuti di origine straniera, i cui familiari fanno ancora più fatica a trovare voce. Le denunce raccolte da Napoli Monitor raccontano però di rapporti molto tesi tra detenuti e personale penitenziario, di casi di Covid che la direzione avrebbe provato a occultare, di ritorsioni rispetto alle proteste dei detenuti. La scorsa settimana un giovane tunisino ha tentato di impiccarsi; un grave atto di auto-lesionismo, in segno di protesta per la gestione quotidiana del carcere, è stato denunciato dai familiari di un altro ristretto; a fine novembre una prigioniera, che qualche giorno prima aveva incendiato il materasso della propria cella, ha avuto una “colluttazione” (così viene definita nelle veline) con un gruppo di agenti, successivamente a una visita in infermeria e alla somministrazione di psicofarmaci.
Mentre i sindacati di polizia, però, si esprimono su eventi e situazioni come queste solo per chiedere un aumento delle misure repressive nei penitenziari (nei loro comunicati è una costante la domanda d’uso delle pistole elettriche), il ministro della giustizia Bonafede continua a evitare di esprimersi sulle condizioni strutturali e sulla gestione autoritaria del quotidiano detentivo. Il 31 dicembre scorso il ministro ha visitato il carcere di Poggioreale, con un’inutile passerella che ha lasciato alla popolazione carceraria e agli operatori penitenziari solo un vuoto retorico. Sebbene l’istituto napoletano sia l’emblema dei fallimenti degli ultimi quarant’anni anni, Bonafede non ha ritenuto opportuno spendere nemmeno una parola sul contesto normativo, profittando del fatto che le richieste di modifica del sistema si perdono allo stato in inutili tecnicismi, nella riproduzione ideologica di vecchie battaglie, nelle futili istanze etico-religiose. Tutti tentativi che difficilmente si radicano negli strati sociali e che non trovano forza in un movimento generale di trasformazione, assente da tempo.
Quello che abbiamo davanti è insomma un quadro poco rassicurante, tanto più se si considera che l’insieme dei procedimenti a carico della polizia penitenziaria, il numero raddoppiato dei suicidi nel 2020, le morti e le brutalità nella gestione di episodi come quelli di marzo, restituiscono l’immagine di un sistema punitivo attraversato da enormi conflitti. Gli apparati istituzionali sono ormai privi di strumenti di assorbimento, perché le strutture disciplinanti previste dalla riforma del 1975 di fatto non servono più a nulla. Serve ossigeno. (luigi romano / riccardo rosa)
Da napolimonitor
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3nding · 5 years ago
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osappleobeneduci · 3 months ago
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Carcere di Ferrara: Secondo tentativo di introduzione di droga sventato in pochi giorni dalla Polizia Penitenziaria
Dopo il sequestro di un ingente quantitativo di stupefacenti avvenuto lunedì scorso, il Carcere di Ferrara si è trovato nuovamente al centro di un altro tentativo di introduzione di droga, prontamente bloccato dalla Polizia Penitenziaria. L’episodio si è verificato venerdì, quando due Agenti insospettiti dalle circostanze hanno fermato l’ingresso di sostanze illegali, confermando ancora una volta…
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lamilanomagazine · 7 months ago
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Marcianise: agli arresti domiciliari viene sorpreso dai Carabinieri a smontare un'autovettura rubata.
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Marcianise (Caserta): agli arresti domiciliari viene sorpreso dai Carabinieri a smontare un'autovettura rubata. Era sottoposto al regime detentivo degli arresti domiciliari il 48enne di Casalnuovo (NA) sorpreso, dai carabinieri della Compagnia di Marcianise a smontare, unitamente a un 53enne di Napoli, in un cortile di un'abitazione di Scampia (NA), un'autovettura Peugeot 2008 rubata. Nel corso della successiva perquisizione i carabinieri hanno ritrovato e sequestrato parti metalliche di altre autovetture, verosimilmente appartenenti ad una Fiat Panda e ad una Lancia Y, di cui non sono stati ritrovati ulteriori segni distintivi. Rinvenuta e sequestrata anche attrezzatura da carrozziere. Il 48enne è stato quindi arrestato per evasione e verrà giudicato per direttissima. Sia lui che il 53enne complice sono stati denunciati in stato di libertà per ricettazione.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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uncantuccio · 5 years ago
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quando ero in grecia a fare volontariato, la prima attività che facevamo con i bambini del centro era ricordare insieme a loro in che giorno della settimana fossimo, in quale mese, in quale stagione e pure in quale anno. lo facevamo senz’altro per allenarli con la pronuncia dei numeri in inglese ma il vero motivo per il quale ci ritagliavamo quel momento era che i bambini, all’interno del campo, perdevano la cognizione del tempo. in un luogo detentivo, il tempo perde la sua misurabilità, diventa soltanto un’estenuante attesa. si desidera incessantemente la rottura di quel tempo dilatato e tutto uguale, in cui la condizione di povertà e assenza di diritti appare come un destino comune e inevitabile. ma anche prima della grecia e cioè quando ancora si tentava di sopravvivere in siria, i bambini non avevano conosciuto un tempo “normale”. molti di loro non conoscevano la data in cui erano nati...
anche a noi in questi giorni capita di perdere la cognizione del tempo, c’è chi è aiutato dalle scadenze del lavoro oppure dalle lezioni online, ma siamo tutti attraversati da questo strano intorpidimento che ci fa fiacchi e un po’ rallentati rispetto ai ritmi che eravamo soliti sostenere. negli spazi chiusi (e piccoli), sembra che il tempo passi più lentamente: non capiremo mai davvero il dolore dei detenuti nelle carceri sovraffollate, degli immigrati ammassati nei cpr, ma possiamo allenarci a immaginarlo, a sentirlo. e poi politicamente a prendercene cura.
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livornopress · 2 years ago
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Gorgona: trovato un telefono nella cella di un detenuto, il Sappe: "Non è la prima volta, schermare le carceri"
Isola di Gorgona (Livorno), 21 ottobre 2022 Nuovo rinvenimento di telefoni cellulari all’interno del Reparto detentivo della Sezione distaccata di Livorno Gorgona isola. Come spiega il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, per voce del segretario regionale per la Toscana Francesco Oliviero: “un detenuto di origine albanese, con l’intento di eludere l’agente di Polizia Penitenziaria in…
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amattanzanews · 4 years ago
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Morto Raffaele Cutolo: il boss fondatore della Nuova camorra organizzata
Morto Raffaele Cutolo: il boss fondatore della Nuova camorra organizzata
È deceduto, all’età di 79 anni, il boss Raffaele Cutolo, fondatore e capo della Nuova camorra organizzata, era ricoverato nel reparto sanitario detentivo del carcere di Parma, lo stesso dove morì a fine 2017 Totò Riina. Cutolo aveva problemi respiratori, il suo avvocato Gaetano Aufiero, legale del boss, ha dichiarato a LaPresse : “era ricoverato da diversi mesi nell’ospedale di Parma ed è morto…
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