#senza alcuna utilità poi
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omarfor-orchestra · 5 months ago
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"Vorrei avere problemi normali fare una vita normale" Davide standing there, dead: 🧍🏻‍♂️
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lamilanomagazine · 1 year ago
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Deruba due anziane udinesi convincendole che un loro parente avrebbe cagionato un grave sinistro stradale: in arresto finto avvocato
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Deruba due anziane udinesi convincendole che un loro parente avrebbe cagionato un grave sinistro stradale: in arresto finto avvocato. Udine. Nella mattinata di mercoledì, 13 dicembre, gli agenti della Polizia di Stato in forza alla Squadra Mobile della Questura di Udine hanno arrestato un cittadino italiano 18enne per truffa pluriaggravata a danno di due anziane udinesi. Una signora 88enne, residente in città, poco dopo le ore 11.00 veniva contattata sul telefono di rete fissa da colui che si presentava come un'appartenente alle Forze dell'Ordine, dicendole che la nipote, avendo cagionato poco prima un grave sinistro stradale, era stata arrestata e che per rilasciarla era necessario pagare una cauzione di 10.000 euro. La stessa persona convinceva la signora, terrorizzata, che avrebbe potuto consegnare di lì a poco il denaro ed i gioielli dei quali disponeva ad un "avvocato", che effettivamente si presentava all'uscio di casa subito dopo, facendosi consegnare 2 orologi e due anelli, per poi darsi a precipitosa fuga a bordo di un'utilitaria. Ricevuta la segnalazione in sala Operativa e grazie anche alla visione delle telecamere della videosorveglianza cittadina, i poliziotti rintracciavano il truffatore prima che potesse prendere la tangenziale per allontanarsi dalla città, trovandolo in possesso non solo di quanto appena ricevuto ma anche di altri 1800 euro, un altro orologio e altri tre anelli preziosi, dimostratisi, all'esito dell'attività di polizia giudiziaria posta in essere, provento di un'analoga truffa perpetrata il giorno precedente, sempre a Udine, a danno in questo caso di una signora 78enne, convinta che la figlia aveva causato un incidente ed era stata perciò arrestata. Il giovane, peraltro alla guida dell'auto senza aver mai conseguito la patente, residente in un comune della provincia di Napoli, veniva quindi condotto in Questura ed arrestato per il reato di truffa pluriaggravata ex art. 640 comma 2 nr. 2 e 2bis C.P. (l'aver commesso il fatto ingenerando nelle vittime il timore di un pericolo immaginario e l'aver approfittato di circostanze, quali l'età delle persone offese, tali da ostacolare la privata difesa). Venivano, infine, recuperati e riconsegnati alle vittime, che anno riconosciuto il reo ed i preziosi, in tutto 1845 euro, 3 orologi e 5 anelli. Ieri, in sede di convalida dell'arresto, il GIP, sussistendo i gravi indizi di colpevolezza e l'esigenza di impedire la reiterazione del reato, disponeva nei confronti dell'uomo la misura cautelare degli arresti domiciliari presso la casa del padre, in Campania. Gli agenti della Squadra Mobile stanno svolgendo le ulteriori indagini volte ad identificare il complice dell'arrestato, colui che telefonava alle vittime e le convince a consegnare a questi il denaro e l'oro. Nell'occasione, la Polizia di Stato raccomanda a tutti, in particolare agli anziani che vivono da soli, di seguire questi pochi ma utilissimi consigli/raccomandazioni. -Non aprite agli sconosciuti e non fateli entrare in casa, anche se vestono uniformi o dichiarano di essere dipendenti di aziende di pubblica utilità. In caso di dubbio non esitate a contattare il Numero Unico Emergenza 112 e chiedere ausilio. -Non date soldi a sconosciuti che si qualifichino come agenti, funzionari di Enti pubblici o privati, avvocati: ricordate che nessun' Ente, e tantomeno le forze di Polizia, manda personale a casa per il pagamento di bollette o multe, per effettuare rimborsi o sostituire banconote false. Non riponete soldi e gioielli in frigo o altro luogo indicatovi dai presunti agenti: non stanno svolgendo alcuna disinfestazione e non ci sono pericoli! Chiamate invece subito la Polizia di Stato! -Se vi chiamano al telefono dicendo che un vostro parente ha bisogno di soldi per non essere arrestato o per delle cure mediche interrompete la comunicazione, è una truffa! E se volete chiamare il parente che sarebbe in difficoltà fatelo con altro apparecchio telefonico o cellulare, diverso da quello sul quale avete ricevuto la telefonata sospetta, perchè i truffatori riescono a "tenere occupata" la line telefonica, non consentendovi di trovare la linea o permettendovi solo di parlare con un altro loro complice. -Un consiglio anche per i più giovani ed i vicini di persone anziane: non lasciate sole le persone anziane, interessatevi alla loro quotidianità, ricordate loro di chiamarvi per qualsiasi dubbio o necessità, o se ricevono visite di estranei, e non esitate a chiamare la Polizia di Stato per segnalare ogni circostanza anomala o sospetta che coinvolga il vostro anziano vicino di casa.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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cerchiofirenze77 · 6 years ago
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L’arte e l’ansia della bellezza
A proposito dell'arte e dell'ansia della bellezza che esiste in quasi tutti gli artisti, propongo una comunicazione estratta dal libro "Maestro perchè" - Edizioni Mediterranee.
Sul ruolo della ricerca culturale e dell'arte per l'uomo occidentale.
Noi abbiamo sempre detto che ogni uomo evolve perchè riceve degli stimoli. Nell'uomo occidentale l'attenzione è particolarmente rivolta al mondo esterno: gli stimoli che gli vengono riguardano essenzialmente la vita che lo circonda. Non è così, invece, per l'uomo orientale, e non è così per l'uomo che ha raggiunto una certa evoluzione. Allora comincia ad avere una vita interiore. Questa vita interiore è più importante della vita dell'uomo occidentale, che si incentra tutta su quanto sta attorno a lui, sul mondo esterno.
La vita dell'uomo che volge la sua attenzione al suo intimo essere è una vita che ugualmente subisce degli stimoli, ma sono stimoli di natura più raffinata, più lieve. Mentre l'uomo poco evoluto per vibrare in qualche modo intimamente, dentro di sè, ha bisogno di stimoli grossolani, per l'uomo poco più evoluto, dal punto di vista spirituale e non solo umano, sono sufficienti stimoli più sottili.
Nasce così, la ricerca non solo di stimoli più delicati, di natura più raffinata, ma anche il desiderio di creare qualcosa che trasmetta agli altri questi stimoli lievi, sensibili, raffinati. Si può dire che tutta l'arte corrisponda a questa necessità.
Voi direte: ma tra gli artisti sensibili, dotati, vi sono anche creature che hanno commesso gravi azioni; giudicate per quello che sono, tali azioni farebbero pensare ad un'evoluzione molto, molto primitiva; come si mette la questione dell'evoluzione e degli stimoli raffinati con azioni invece molto condannabili dal punto di vista della morale?
Io vi dico che la via per arrivare all'evoluzione della coscienza individuale è diversa per ciascuno. Non è detto che le prime incarnazioni vedano ogni individuo avere l'esperienza dell'omicidio, per esempio; può darsi benissimo che l'esperienza dell'omicidio sia necessaria successivamente, nel corso delle incarnazioni ulteriori, e che all'inizio vi siano altre esperienze.
Ognuno di noi ha una sua via personale verso il raggiungimento della vita dello spirito; e può darsi benissimo che un uomo abbastanza evoluto - questo lo dico come caso limite - il quale abbia delle esperienze raffinate di tipo culturale, intellettuale, possa andare incontro anche ad esperienze grossolane quali il furto, l'omicidio, il suicidio. Ciò può benissimo essere e vuol dire che, in quel momento esatto dell'evoluzione di quell'individuo, quelle esperienze gli erano necessarie.
Questo è un altro motivo per il quale sempre vi diciamo "non giudicate": perché non si può mai sapere, dall'esterno, quale sia il grado di evoluzione degli individui; non si può mai sapere nè giudicare, dalle esperienze che essi consumano, se siano più o meno evoluti.
L'arte, quindi, è questa ricerca di sensazioni sottili. Dobbiamo però distinguere due momenti nell'artista: il momento in cui è veramente artista, quando crea oppure gode della creazione altrui; e il momento in cui è uomo, nel quale momento egli conosce tutte le ambizioni, invidie, rivalità che può conoscere un uomo che ancora non abbia raggiunto la coscienza individuale.
Nell'artista, quindi, vi sono due tipi di stimoli: uno che riguarda la vita umana, che ha in comune con tutti gli uomini non artisti; e l'altro stimolo, invece, che riguarda la sua vita di artista, la sua qualità, la qualità della sua anima, che deve essere toccata e soddisfatta da certe particolari vibrazioni.
Voi direte che vi sono anche degli uomini che non sono artisti eppure riescono ugualmente a godere delle opere d'arte, della cultura in generale. Certo, ma questo non cambia quello che ho detto: per essere giunti ad un punto dell'evoluzione in cui sono necessari certi stimoli sottili, non è necessario essere degli artisti che creano. Voi stessi sapete che cosa sia il piacere di ammirare un'opera d'arte, di ascoltare una poesia, oppure semplicemente di ammirare un tramonto, o un'alba, o un'opera della natura; eppure tra voi vi sono alcuni che non sono creatori o artisti in qualche modo. Ciò significa che la vostra evoluzione è tale che avete bisogno anche di questi stimoli sensibili, lievi, che anno a toccare il vostro intimo; avete bisogno di queste particolari incentivazioni perchè cominciate a far vibrare il vostro essere, nel profondo, a costruire sia dentro che fuori di voi.
Sul desiderio, sull'anelito alla bellezza. Come nasce? In che senso è positivo?
Io credo che l'ansia di bellezza, come il desiderio del bene non solo proprio ma anche degli altri, desiderio di ordine, di pulizia, di efficienza, di bontà, sono meravigliose aspirazioni che vengono da coloro che già sono orientati spiritualmente, e più decisamente, verso quella che è la mèta dell'uomo.
Chi invece non sente questo bisogno del buono e del bello fuori di sè, e quindi anche dentro di sè, è perchè non ha ancora raggiunto una chiarezza di indirizzo, è ancora nel pieno delle esperienze senza una precisa direzione.
Non a livello consapevole, ovviamente, ma a livello inconscio esiste nell'essere, ad un certo punto, un chiaro orientamento verso quelle esperienze che meglio possono condurlo, direttamente, verso la mèta di ogni essere. Inizialmente tale orientamento non esiste, per cui l'essere procede a tentoni e fa delle esperienze - sempre positive, come i maestri dicono che ogni tipo di esperienza è positivo - che però alla fine, quando se ne trae il succo, hanno il significato di far capire che non avevano utilità alcuna, nell'economia di quell'essere, che sono state un giro vizioso, un allungare la strada.
Ecco, all'inizio dell'evoluzione ogni essere procede quasi a tentoni, fa delle esperienze il cui insegnamento, in conclusione, è di fargli capire che le cose a cui tanto teneva, che ha sperimentato con tanta intensità, tanta angoscia, tanto dolore, non avevano un valore intrinseco. Poi, man mano che l'evoluzione procede, c'è proprio a livello inconsapevole una cernita, un cercare le esperienze che più direttamente portino, come prima dicevo, alla mèta di ogni essere nel cosmo.
Allora, chi anela alla bellezza, chi ancor più anela al buono, all'armonia, all'efficienza, significa che ha già superato il periodo evolutivo del procedere a tentoni, che è già indirizzato più consapevolmente e direttamente verso la meta finale. Il desiderare che tutto sia bello, buono, armonioso, efficiente attorno a voi, è un'aspirazione da seguire e perseguire con tutte le vostre forze, da realizzare e tradurre in atto senza che resti un'aspirazione, per costruire nel mondo qualcosa di bello, di buono, per un mondo più bello e più buono per gli altri.
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chiosacuriosa · 3 years ago
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Ode all'apprendimento
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In grassetto un estratto di Chi Muore? di Pablo Neruda.
Il resto è un testo che ha preso forma seguendo semplicemente uno spontaneo processo associativo di citazioni, riflessioni e considerazioni lette o ascoltate (Adler, Anais Nin, Apolloni, Aprile, Baum, Carter-Scott, Cecchin, Celli, ,De Monticelli, Despret, Eliot, Epitteto, Foscolo, Freni, Jung, Kauffmann, Lasch, Lentini, Marini, Mezirow, Morellet, Nietzsche, Novikov, Oliverio Ferraris, Pascal, Pradervand, Quaglino, Rand, Sansot, Savater, Sclavi, Vailati, Walt Disney, Wojtyla).
CHI MUORE ?
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
L’abitudine dimostra la sua utilità in situazioni di ordinaria amministrazione, nello svolgimento della routine quotidiana. Per tutto il resto bisogna inventare o, perlomeno, escogitare un rimedio contro l’abitudine. Quale? L’abitudine opposta. Questo è già un apprendimento.
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
Forse si potrebbe cercare di fare sempre quelle scelte che ci apriranno poi un maggior numero di altre opzioni possibili e non quelle che ci mettono con la faccia al muro. Forse si può scegliere quello che ci apre a nuove esperienze. Esperienze di apprendimento.
chi non cambia i propri traguardi,
“Quello che chiamiamo inizio spesso è la fine. E creare un termine è creare un inizio. La fine è il punto da cui si parte”. Audacia ti porti, buon senso ti scorti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo quando è infelice sul lavoro,
“Molti individui preferiscono crearsi una base per agire nel mondo che li circonda, anziché sforzarsi di contemplare le molteplici sfaccettature che essa presenta. Noi tendiamo a vivere in un mondo di certezza, di solidità percettiva priva di dubbi, ove le nostre convinzioni ci portano a credere che le cose sono come noi le vediamo e che ciò in cui crediamo non ha alcuna alternativa. È la situazione in cui ci troviamo quotidianamente, è la nostra condizione culturale, il nostro modo di essere uomini. Ma ogni individuo ha un'interpretazione diversa della realtà, di conseguenza si potrebbe affermare che non esiste una realtà universale, bensì tante realtà che sono frutto delle diverse interpretazioni che si danno ad essa. Dob­biamo sapere che molti dei comportamenti che dovremo adottare per acquisire un nuovo punto di vista, non possono inizialmente che ap­parirci irrazionali, privi di senso, l'opposto di quello che ci verreb­be spontaneo e/o che ci sembra giusto”. Sta a noi considerare un tavolo con la tovaglia una superficie piana sulla quale consumare comodamente del cibo oppure come potrebbe considerarlo un bambino una capanna, un rifugio per nascondersi, o chissà … Anche questo è apprendimento.
chi non rischia il certo per l'incerto pur di inseguire un sogno,
“I sogni diventano azione, dall’azione deriva ancora il sogno e questa interdipendenza genera la più elevata forma di vita”. "Se puoi sognarlo, puoi farlo!" Puoi assaporare il piacere che può derivare dalla perpetuazione e dalla propagazione dell’irripetibile. Del resto il solo fatto di scegliere consiste nel coniugare adeguatamente conoscenza, immaginazione e decisione nel campo del possibile, sapendo che ogni scelta proporrà sempre e comunque un’alternativa tra diversi tipi di premi e punizioni. Infatti ogni possibile opzione contiene aspetti piacevoli e cose sgradevoli. Ma anche questo è apprendimento.
Chi non si permette almeno una volta di fuggire ai consigli sensati. Spesso più che spiegare come le cose stanno, si tratta di immettere l’idea che le cose potrebbero non essere proprio così e dare poi alle persone la libertà di pensarla in un modo diverso.
Lentamente muore chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
Potrebbe essere un buon esercizio quello di rigettare la presunzione di sapere; com’è possibile incominciare ad imparare quel che si pretende di sapere. Potrebbe essere un altro buon esercizio quello di rammentare che se “agiamo senza sufficiente conoscenza o con una nozione erronea dello stato delle cose su cui stiamo per intervenire: facciamo ciò che sappiamo, ma non sappiamo del tutto ciò che facciamo”. E questo non è apprendimento.
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.
“La conoscenza utile può nascere solo da come si pensa, da come si ripensa ad una stessa cosa, da come si organizzano e riorganizzano i pensieri, da come ne nascono di nuovi. Produrre sapere non comporta l’arricchimento delle conoscenze, ma piuttosto il mettersi in rapporto con gli altri con la consapevolezza che la partecipazione e la condivisione portano ad un approccio sociale finalizzato alla conoscenza”. E questo è apprendimento collettivo.
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levysoft · 6 years ago
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Fig. XXIX. 1. – La Zebra Quaggia o Couagga – Alois Zötl, 12 maggio 1882.
La zebra fece la sua prima comparsa nei circhi romani come Hippotigris, è stata uno degli animali più popolari e resta tuttora una delle maggiori attrazioni dei giardini zoologici. Gli scienziati si sono interessati alla zebra in quanto sistema-modello per lo studio di uno dei più interessanti problemi biologici: la barratura.
Per la scienza contemporanea la zebratura rappresenta il paradigma di come i modelli in via di sviluppo si fissino già nell’embrione man mano che esso si evolve da uovo informe. Per l’occhio del profano una zebra non è che una zebra. Di fatto ne esistono tre specie: la Zebra Imperiale o di Grevy, la Zebra di Montagna e la Zebra Comune o di Burchell. Una quarta specie, la Zebra Quaggia, cacciata per la sua carne commestibile, fu ridotta all’estinzione alla fine del 1800.
Le zebre appartengono tutte alla famiglia degli equidi e si prestano agli incroci; avendo però una dotazione cromosomica diversa, gli ibridi saranno sterili come i muli. Gli ibridi cavallo-zebra sono striati, ma il disegno del mantello tende a essere differente da quello del genitore zebra, sia nel numero che nell’organizzazione delle strisce. Le zebrature delle diverse specie hanno alcuni tratti in comune, però ciascuna presenta aspetti esclusivi e facilmente riconoscibili. Esistono anche differenze di minor conto fra zebre di una stessa specie, e addirittura fra lato destro e sinistro di uno stesso soggetto. I cacciatori sostengono che non vi sono due animali uguali e che talora si riscontrano disegni aberranti in cui le strisce sono convolute o si disgregano in zone bianconere senz’ordine, o appaiono composte da una serie di macchie.
Il pigmento nero non si trova nella pelle, ma solo nei follicoli dei peli; è degno di nota il fatto che i membri della famiglia degli equidi che non siano zebre presentano anch’essi una certa quota di zebratura, ma poiché cavallo e pony sono spesso marroni o neri, tale zebratura può riuscire invisibile o quasi. Lo stesso vale per la Pantera nera, variante melanica del Leopardo,: a luce radente possiamo intravedere sul mantello nero i caratteristici disegni ocellati posseduti dagli esemplari pigmentati in modo normale.
Perché la zebra è striata? A questi disegni così appariscenti sono state attribuite le più svariate funzioni: stabilire vincoli sociali, disorientare il sistema visivo della mosca tse-tse, raffreddare l’aria generando correnti convettive. È opinione più generale, e forse più corretta, che le strisce siano importanti per il mimetismo. Un mantello dal disegno prepotente di giorno rende l’animale quasi invisibile di sera e di notte, quando strisce bianche e nere ottengono l’effetto di spezzarne la sagoma. I cacciatori sanno che durante un luminoso chiar di luna la zebra è invisibile a 50 passi, e che alla luce delle stelle si può mancarla a poco più di 4 metri e mezzo. Il mimetismo serve a proteggersi dal maggior predatore, il Leone - Panthera leo - , in agguato quando al crepuscolo la zebra va ad abbeverarsi, il momento di maggior vulnerabilità.
L’esame di embrioni di zebra per carpire il momento e il meccanismo di formazione delle barre non è di alcuna utilità, poiché il disegno è nel pelame e non nella pelle, e il pelo non spunta se non circa 6 mesi dopo il concepimento. Sono due i motivi che inducono a pensare che il disegno sia determinato molto più precocemente rispetto al 6° mese di gravidanza: le cellule della cresta neurale, da cui prendono origine i melanoblasti, migrano durante uno stadio di sviluppo molto precoce dell’embrione (circa 2 settimane per il cavallo) e la loro sorte sembra decisa subito dopo questa migrazione. Se il disegno dovesse determinarsi al momento in cui le strisce fanno la loro comparsa, il meccanismo che le produce dovrebbe essere davvero molto complesso per generare il diverso orientamento e la diversa larghezza delle strisce nelle diverse specie.
L’ipotesi alternativa più semplice è che tutte le strisce in tutte le zebre siano delle stesse dimensioni quando vengono determinate, ma che la differenziazione della crescita embrionale alteri poi i relativi orientamenti e le relative ampiezze.
Si può pertanto formulare l’ipotesi secondo cui tutte le strisce del corpo delle zebre sono in origine spaziate regolarmente e perpendicolari alla potenziale striscia dorsale lungo la groppa. Il momento della loro formazione dovrebbe coincidere intorno alla quinta settimana di vita intrauterina e distano tra loro di circa 0,4 mm.
Ma vediamo quale può essere il meccanismo fisicochimico che presiede alla zebratura. Abbiamo solo scarse nozioni sui meccanismi che hanno il compito di specificare quando, come e dove la differenziazione cellulare venga distribuita in un embrione. Nell’embrione possono insorgere gradienti uniformi e continui, i quali possono venir interpretati in modo che le soglie di concentrazione agiscano da istruzioni. Può inoltre esservi uno schema sottostante di concentrazioni molecolari, oppure relativo a qualche altra proprietà biofisica, tale da rendere questo schema simile al visibile schema finale di differenziazione spaziale, controllandone al tempo stesso la produzione. L’esempio più semplice di questo tipo di meccanismo è una mappa di concentrazioni chimiche discontinue. Questo meccanismo è idoneo a spiegare i motivi zebrati.
Il problema basilare è come si generino i motivi reiterati. L’idea che possa esservi una mappa chimica stabile in cui le zone di alta concentrazione chimica possano restare adiacenti a zone di bassa concentrazione, senza che la diffusione finisca per livellare completamente la discontinuità, urta contro l’intuizione immediata. Eppure ciò può accadere. Nel 1952 Alan Turing dimostrò che reazioni chimiche autocatalitiche tra due molecole diffondentisi liberamente possono generare onde chimiche stazionarie lungo una sequenza unidimensionale di cellule; l’energia atta ad alimentare questa disposizione apparentemente instabile deriva dalla scissione di un composto ricco di energia. Questo meccanismo è stato riprodotto in provetta ed è stato dimostrato che è capace di produrre un ricco assortimento di disegni bidimensionali, tra cui strisce verticali e orizzontali nonché complessi sistemi di macchie. Dove la concentrazione è alta si forma il pigmento, dove è bassa non si forma, o viceversa.
In questi meccanismi alla Turing vi è un forte fattore di fluttuazione, il che implica che non vi saranno due disegni esattamente uguali, come dimostrato dal fatto che non vi sono due animali con identico motivo a strisce. Se il meccanismo periodico collassa, si formano in sua vece dei sistemi di macchie, come dimostrato dalle zebre maculate.
Vi sono purtroppo aspetti del disegno che il suddetto meccanismo lascia ancora inspiegati. Tra questi, per esempio, come riesca a formarsi una striscia triradiale come quella sulla spalla di tutte le zebre, e come possano le strisce della zampa essere pilotate a girare intorno all’arto invece di scendere parallele ad esso. Al momento attuale il miglior partito è forse quello di considerare il meccanismo alla Turing come qualcosa che ci fornisce una metafora intelligente per l’analisi dei disegni, piuttosto che costituire una spiegazione esauriente.
Tuttavia siamo in grado di rispondere al quesito infantile se la zebra sia un animale bianco a strisce nere o l’opposto. La maggior parte degli Europei preferisce la prima ipotesi, mente la maggior parte degli Africani Neri opta per il mantello nero a strisce bianche. L’osservazione più interessante è quella relativa alle strisce-ombra che si trovano tra le larghe strisce caudali della zebra di Burchell. L’impressione dell’osservatore è che quando queste strisce arrivano a essere sufficientemente separate, una nuova striscia nera tenta di intromettersi. Talora si formano strisce-ombra tra due strisce-ombra. Da quanto detto si deduce che la pigmentazione si forma dove può, e quindi che le strisce bianche vengono a formarsi per soppressione della sintesi di pigmento. Perciò una zebra è un animale nero a strisce bianche.
Le zebre bianche equivalgono agli albini, e la pancia normalmente bianca delle barrate si spiega col fatto che i melanoblasti provenienti dalla cresta neurale posta in corrispondenza del dorso non riescono a raggiungere il ventre quando migrano lateralmente nelle prime fasi di sviluppo embrionale. Anche in altri mammiferi pigmentati, come la Tigre - Panthera tigris - e l’antilope, le zone ventrali sono bianche. Come accade per la zebra, sono noti esemplari di tigre bianchi o quasi sprovvisti di barratura.
È ovvio che questa carrellata di idee inabituali ha uno scopo ben preciso: ciascuno di noi può fare i necessari parallelismi con il ciuffo bianco della Polish. E quali parallelismi si possono fare con la Polish bianca ciuffo nero? (figura XXI.2) Basterebbe sapere, nel secondo caso, se i follicoli del mantello sono dotati di melanociti malfunzionanti o se non sono stati colonizzati dai melanoblasti dalla cresta neurale i quali, invece di invadere la maggior parte della cute, si sono limitati al ciuffo. Questo è un esempio di come la letteratura avicola spesso sia carente di notizie importanti. Basterebbe un semplice riscontro microscopico.
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ivoryaddington · 3 years ago
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.         ⋰⋰    ↷    october 25th, 2023         𝘪𝘯𝘵𝘦𝘳𝘳𝘰𝘨𝘢𝘵𝘪𝘰𝘯  ─                       ─ detective's office   ,, #dangeroushprpg                                                 ↷    ↷    ↷ Non aveva parlato con nessuno di ciò che aveva ricordato, almeno fino alla sera prima. Non lo aveva fatto perché aveva avuto paura di ciò che aveva sognato ormai più di un mese prima, la notte del suo compleanno. Lucy sembrava fiduciosa, diceva che era soltanto un incubo e che non avrebbe mai fatto male a nessuno, ma lui non era convinto di ciò che aveva combinato quella notte, così come non ricordava affatto ciò che era successo, da un certo momento in poi, se non per quello strano ed orribile incubo. Cosa dire? La verità? Non ne aveva idea. Una parte di lui voleva raccontare anche del sogno, poiché era solo un sogno, e proprio per lo stesso motivo pensava che non vi fosse alcuna utilità nel condividerlo con il detective che l’avrebbe interrogato. Sarebbe forse servito per guadagnarsi un certo grado di fiducia? Per dimostrargli di voler collaborare dicendo qualsiasi cosa conoscesse, anche la più stupida? Proprio mentre ragionava su cosa avrebbe detto, camminando nei corridoi quella domenica mattina, giunse dinanzi all’ufficio che gli era stato indicato quindi vi entrò dopo aver rivolto un sorriso cordiale ed un saluto alla donna che attendeva alla porta. La prima cosa che notò fu un rospo sulla scrivania scura dinanzi all’ispettore, che attendeva senza apparente fretta che lui si sedesse. Lo fece, quindi si appoggiò con la schiena alla sedia e poi posò entrambe le mani sulle proprie ginocchia, cercando di non apparire troppo agitato sotto lo sguardo scuro e concentrato del detective e sotto quello chiaro della donna accanto a lui. «Non far caso al rospo, d'accordo? E' qui per registrare tutto quello che ci diremo e distorcere la tua voce in modo da renderla irriconoscibile. Quando sei pronto, dichiara ad alta voce il tuo nome, casa d'appartenenza ed anno di corso.» Che cosa strana, pensò Elijah osservando per un attimo la rana, una rana-registratore che distorceva la voce! Quasi avrebbe riso, se si fosse trovato in un’altra situazione, invece dopo qualche attimo annuì e fece spallucce, senza spostare le mani dalle proprie ginocchia. “Elijah Ivory Addington, Tassorosso, settimo anno.” Solitamente quelle presentazioni erano, almeno per lui, riservate ai duelli ai quali partecipava al club dei duellanti, ma quello non era un duello, non c’entrava nulla la propria bravura con la bacchetta e la cosa lo spaventava molto più di quanto avrebbe mai immaginato. «Tutto sembra ricondurre alla festa che ha avuto luogo durante la notte fra il cinque e il sei settembre. Che cosa hai fatto quella sera? Ti sei unito ai festeggiamenti?» Il Detective non pareva affatto minaccioso, ad Elijah, e le domande erano poste con gentilezza, senza alcuna inflessione o tono accusatorio, cosa che sicuramente mise il biondino appena a suo agio. “Vede - - io di solito non partecipo spesso a queste feste, preferisco leggere o stare con la mia ragazza. Ci sono andato proprio con lei, però. Lucy Weasley, credo l’abbiate già interrogata, no? Ma, comunque, ci sono andato con lei, alla festa, e sono più che certo di aver trascorso con lei la maggior parte della serata… con lei, con i miei compagni di stanza, forse? Vede, è difficile capire con chi trascorri il tempo alle feste, credo. Dopotutto vai un po’ qua, un po’ là, poi a prendere da bere, saluti prima questo, poi quello, insomma, non so di preciso se ho fatto qualcosa in particolare, ecco.” Rispose facendo spallucce. Era una risposta vaga, lo sapeva, ma dopotutto non sapeva davvero dirgli nulla di più preciso e ciò valeva in particolare per quella festa, nonostante fosse un ragionamento a suo parere applicabile un po’ ad ogni festa in cui regnavano musica, alcool e confusione. In poche parole, qualsiasi festa mai fatta nella Stanza delle Necessità. «Questa situazione dev'essere particolarmente difficile per voi. Abbiamo saputo che Myriam è una che si fa notare, che è sempre stata abbastanza presente nelle attività e nei progetti per la vostra casa. Come state affrontando la faccenda?» Come stavano affrontando la faccenda? Bella domanda, quella, e cosa ne poteva sapere lui, se non sapeva neanche come la stava affrontando lui stesso?! “Beh, sì - - la conosco, decisamente. Sembra sempre più grande di quello che è, o almeno si comporta spesso in modo da sembrare più grande. Se non sapessi perfettamente di che anno è, potrei quasi pensare che sia del quinto o sesto anno… poche volte l’ho vista da sola, a dirla tutta, sempre circondata dalle sue amiche, ma non so dirle molto di lei. Mi sono accorto di aver scambiato con lei poche conversazioni e sempre molto… superficiali, proprio come me fino a qualche tempo fa, ecco. Mi sono chiesto più volte cosa sia successo, ma non so proprio come affrontare tutto ciò...” «Molti dei tuoi compagni affermano di avere ricordi piuttosto vaghi in relazione agli eventi di quella serata... tu ricordi come sei arrivato alla festa? E con chi?» Eccola, la domanda fatidica, la menzione di tutta quella confusione e della mancanza di ricordi, che forse era ciò che dava più fastidio ad Elijah: non ricordare con certezza cosa era accaduto, cosa aveva fatto e cosa invece non aveva fatto. “Come le dicevo prima, Detective, sono stato con la mia ragazza, con alcuni miei compagni di casata… ricordo che una mia amica mi ha presentato il nuovo arrivato, sa, uno dei mille Torquemada di questa scuola! Ma oltre questo non sono certo di ricordare con chi altro io abbia parlato… queste feste sono sempre un po’ confusionarie, immagino possa capirlo… Per quanto riguarda i ricordi vaghi, francamente, ne ho ben pochi, ed anche i miei sono molto… strani e vaghi, per così dire, quindi temo di non poterle dire niente di affidabile.” Rispose, fingendosi sereno, mentre il cuore gli batteva nel petto, quindi spostò le mani dalle ginocchia e le poggiò sulla proprie cosce, mentre i gomiti erano puntati sui braccioli della sedia. Alla domanda successiva, poi, aggrottò le sopracciglia. Ecco il momento in cui avrebbe dovuto mentire, oppure raccontare di quello strano incubo che lo tormentava. «Sei andato via da solo oppure ti sei allontanato con qualcuno? E' molto importante, Elijah. Non temere di fare il nome delle persone con cui eri, le nostre sono solo domande.» “Oh, certo - - lo so, è il vostro lavoro, ci mancherebbe altro.” Iniziò, per poi portarsi sue dita ad una tempia. Si grattò appena il capo con i polpastrelli, come nello sforzo di ricordare, quindi scosse il capo, osservando come il Detective stesse riempendo la propria agenda con i dettagli delle sue parole. “Sarò sincero con lei, Detective, io non ricordo neanche di essere andato via. Qualche giorno dopo ho fatto uno strano incubo in cui correvo in giro per il castello ma - - nascondevo delle ampolle vuote. Ma insomma, era un sogno ed ero agitato dal fatto di non ricordare assolutamente nulla.. quindi ecco, da allora non ho ricordato altro. Però, a rigor di logica… sono certo di essere andato via con Lucy perché è sempre insieme, che abbandoniamo queste feste, a volte l’accompagno alla torre e poi torno in camera, altre volte ci dividiamo a metà - - quindi immagino sia successa la stessa cosa.” Non poteva certamente dire che si era svegliato con lei, al mattino dopo! Ma ne era certo, comunque, e questo gli dava un certa, seppur minima, dose di sicurezza. «Qualcuno può confermare di avervi visto andar via insieme? Vedi, Elijah, spero tu possa capire perché siamo obbligati a porti questa domanda allo stato dei fatti.» “Ma certo… come dicevo, capisco bene che dobbiate indagare, è il minimo! Comunque - - non so se qualcuno ci ha visti andare via, ma sicuramente i miei compagni di stanza potrebbero averci visti uscire e poi aver visto me in camera. La mattina dopo le mie tende erano aperte, quindi sicuramente quando sono tornati in camera, o se erano già lì quando sono rientrato… beh, immagino mi abbiano visto. Ma evidentemente ero talmente stanco da essermi addormentami subito, e forse anche loro.. Stanchi e confusi, forse abbiamo bevuto tutti qualcosa di troppo, anche se non lo ricordo...” Probabilmente, se avesse continuato a parlare, il Detective lo avrebbe zittito pur di non sentirgli ripetere quanto fosse confuso. «E tu, invece? Tu hai visto qualcuno, andando via dalla festa?» “Mi dispiace, davvero, ma come le dicevo… non ricordo neanche come e quando ci sono tornato, quindi non so dirle altro… so che sembra davvero strano, ma è così.” «Sembri un po' confuso, signore. Puoi bere un bicchier d'acqua, se desideri. Credi che dovremmo parlare con qualcuno per avere un'idea più precisa di quello che ci stai raccontando?» “No, grazie, sto benissimo così.” Rispose, scuotendo appena il capo e ringraziandolo comunque per l’offerta, quindi continuò. “Avete già parlato con Lucy, questo lo so… Forse potreste assicurarvi del mio ritorno in camera con i miei compagni, ma più di questo non so dirvi. Uno è il caposcuola, uno il capitano dello squadra di Quidditch nella nostra casata, in caso le interessasse.” Sapeva che non vi era motivo di essere così specifico, dopotutto Lonsdale doveva avere una lista di camere, studenti e suddivisioni varie, ma Elijah non voleva apparire come uno che volesse nascondere qualcosa, ed i suoi compagni di stanza gli parvero le uniche persone che potevano aver visto lui e Lucy tornare nella sua camera, quella sera. «Hai motivo di credere che qualcuno ce l'avesse con lei?» A quella domanda quasi voleva scoppiare a ridere, ma non lo fece, invece alzò unicamente un sopracciglio mentre fissava il Detective e sospirava. “Come le ho già detto, Detective, non mi sono mai intrattenuto a lungo con lei, non ne so quasi nulla, ma non è che una ragazzina, chi può avercela con una ragazzina?” Sapeva di avergli posto a sua volta una domanda, ma era ovviamente soltanto una domanda retorica, per cui sperava che l’interrogatorio stesse per finire, perché non sapeva più cosa dire data la confusione che aveva nella mente. «D'accordo, direi che va bene così. La signorina Brent ti accompagnerà in corridoio, dove devo pregarti di non intrattenerti a conversare con nessuno dei tuoi compagni. Grazie, Elijah. Ti farò richiamare se avrò bisogno di qualche altra informazione. Ah, un'ultima cosa: hai per caso visto Myriam discutere con qualcuno quella sera o parlarci animatamente?» Si alzò, e stava per salutare entrambi, ma venne colto da quell’ultima domanda, inaspettatamente. Aggrottò le sopracciglia e scosse il capo ancora una volta. “Sino al momento in cui inizio ad avere questi vuoti di memoria… no, non ricordo niente del genere. E dopo, beh, direi che ha già la risposta.” A quel punto augurò ancora ad entrambi una buona giornata e se la filò, sbuffando non appena uscito dalla porta dell’ufficio. Vide altri suoi compagni in attesa, che sicuramente sarebbero stati interrogati dopo di lui, e li salutò con un sorriso generale ed un cenno del capo, mentre si allontanava con l’intenzione di gettarsi a letto e recuperare qualcuna delle ore di sonno perse a causa dell’ansia la notte precedente.                                  ↷    ↷    ↷
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unburiedsoul · 4 years ago
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Gerarchia animale
Vi racconto una storia.
Abbandonate ogni forma di morale e lasciatevi guidare dai vostri pregiudizi, anche quelli più spregevoli. Basta che siano autentici.
Ora immaginate un cane.
Quel tipo di cane che vi risulta a primo impatto poco piacevole, senza una vera e propria qualità che lo possa mettere in risalto o semplicemente che gli permetta di essere notato in confronto a tutte le altre razze più conosciute ed apprezzate.
Non privo di utilità, ma che non dia alcuna motivazione per essere preferito, dato che ci sono molte scelte migliori.
Ne accettate l'esistenza, e lo osservate quando si crea l'occasione per farlo. Ma resta pur sempre qualcosa di trascurabile, che non vi riguarda, e non avete alcun interesse per la possibilità che la situazione cambi, va bene così.
Questo cane si trova in un ambiente per lui non compatibile, come una lunga distesa senza prato, quasi completamente spoglia, nella quale però non mancano cibo, acqua, calore in inverno, fresco in estate ed un riparo per dormire e per i giorni di clima avverso. Non ha alcun timore per quanto riguarda la sua sopravvivenza, e può usufruire di tutte le comodità necessarie. una vita nella norma.
Intorno a lui, le creature presenti in maggioranza sono dei lupi. Un elevato numero di lupi, di diverse razze ma tutte riconducibili a tal specie, che hanno formato diversi branchi che coesistono tra loro.
Tutti diversi, ma tutti lupi.
Solo il cane, paradossalmente rispetto a come lo avete immaginato, si distingue in questa comunità. E lo fa fin troppo bene.
Potete immaginare quale sia la sua situazione.
Ma entriamo nel dettaglio.
Fra i vari lupi, ci sono sicuramente quelli che ignorano e continuano per la loro strada, quelli che si limitano ad osservare, quelli che si incuriosiscono nel mentre che lo fanno, e quelli che si sentono motivati a tollerare la sua presenza. Nulla di più, nulla di meno.
Ma quelli che più incidono in questa storia sono quel numero non indifferente di lupi che approcciano tale cane.
Con estrema ferocia.
Prima lo circondano, poi lo scherniscono, lo minacciano, fino al momento in cui partono all'attacco.
Benché di primo istinto faccia qualche vano tentativo, il cane non riesce a difendersi. Anzi, a dirla tutta non si spiega neppure per quale motivo dovrebbe farlo.
In fondo, si è solo trovato lì, per qualche ragione sconosciuta e che in tutta probabilità non avrà mai una risposta sul perché sia andata così.
Mentre si interroga di ciò, gli attacchi persistono.
I lupi non sono intenzionati a ucciderlo, almeno non direttamente. Non è certo un bocconcino prelibato per loro. Ma infliggergli dolore mentale e fisico è una sensazione troppo appagante per farne a meno.
Lo consumano lentamente.
Ogni ringhio rintocca nella sua testa, come un avvertimento di prepararsi a qualcosa di terribile. Anche se sa già cosa lo aspetta, la sensazione di terrore si presenta sempre come se fosse la prima volta.
Ogni morso che riceve non è forte da lasciare conseguenze irreversibili, ma lo è abbastanza da far provare dolore come se ognuno di essi fosse il primo.
E continuano, continuano senza sosta.
Continuano a tal punto che il cane si convince che questo è il solo destino che lo attende, dal quale non può fuggire.
Non importa dove possa andare, ci saranno sempre dei lupi pronti ad attaccarlo. Alcuni senza scrupoli, che puntano e agiscono alla prima occasione, che partono alla carica senza alcuna pietà. Altri che si prendono tutto il tempo del mondo e ricorrono a sotterfugi e inganni per poi colpire, quando direttamente in fronte, quando alle spalle. Si presentano come alleati, come protettori, e poi infliggono il loro colpo appena le difese sono scoperte.
Alla fine, il cane si arrende.
Realizza che non c'è spazio per lui, e che la sola cosa che gli resta da fare è lasciare che gli eventi si susseguano precariamente, con solamente la combinazione di curiosità e di speranza, tanto flebile da risultare totalmente priva di valore, di scoprire se sarà veramente così fino alla fine, e se sarà servito a qualcosa tutto quel che è successo. Tutto il dolore sopportato.
Adesso, voi che avete letto, vi invito a riflettere.
Per quanto in stragrande maggioranza, il mondo non è abitato solamente dai lupi. Ma dato il loro grande numero e la loro forza, non importa che siate un qualsiasi altro animale o voi stessi dei lupi. Le vostre uniche scelte per poter sopravvivere sono restare in disparte nella propria sicurezza o unirvi alla comunità e diventare complici.
L'unica cosa certa, in tutto questo, è che il cane sono io.
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fab2872 · 4 years ago
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Della Dott.ssa Grazia Dondini, medico di base in provincia di Bologna.: “Noi medici di medicina generale, tutti gli anni, generalmente da ottobre a marzo, vediamo polmoniti interstiziali, polmoniti atipiche. E tutti gli anni le trattiamo con antibiotico. Si tratta di sintomi simil-influenzali - tosse, febbre, poi compare “senso di affanno” - che non si esauriscono nell’arco di qualche giorno. La valutazione del paziente e l’evoluzione clinica depongono per forme batteriche; si dà loro un antibiotico macrolide (e nei casi più complicati del cortisone) e, nell’arco di qualche giorno, si riprendono egregiamente con completa risoluzione dei sintomi. Quest’anno non è andata così. Il 22 febbraio di quest’anno è stata comunicata la circolazione di un nuovo coronavirus. Il Ministero della Salute ha mandato un’ordinanza a tutti noi medici del territorio, dicendoci sostanzialmente che eravamo di fronte a un nuovo virus, sconosciuto, per il quale non esisteva alcuna terapia. La cosa paradossale è che fino a quel giorno avevamo gestito i medesimi pazienti con successo, senza affollare ospedali e terapie intensive; ma da quel momento si è deciso che tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non poteva più funzionare. Non era più possibile un approccio clinico/terapeutico. Noi, medici di Medicina generale, dovevamo da allora delegare al dipartimento di Sanità Pubblica, che non fa clinica, ma una sorveglianza di tipo epidemiologico; potevamo vedere i pazienti solamente se in possesso di mascherina FFP2, che io ho potuto ritirare all’ASL solo il 30 di marzo. Ma c’è una cosa più grave. Nella circolare ministeriale, il Ministro della Sanità ci dava le seguenti indicazioni su come approcciarci ai malati: isolamento e riduzione dei contatti, uso dei vari DPI, disincentivazione delle iniziative di ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale. Dunque, le persone che stavano male erano isolate; e, cosa ancora più grave, il numero di pubblica utilità previsto non rispondeva. Tutti i pazienti lamentavano che non rispondeva nessuno; io stessa ho provato a chiamare il 1500 senza successo. Un ministro della salute che si accinge ad affrontar (at Toronto, Ontario) https://www.instagram.com/p/CO6dd-6Na1V/?igshid=824p8tx252yq
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giancarlonicoli · 4 years ago
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Un'intera Asl nella bufera per abusi, corruzione e assenteismo                              
A Caserta, il 118 affidato in base a regali e assunzioni spariti i soldi dei progetti per le 'fasce deboli'
CASERTA 22 febbraio 2021 12:22 News
Dodici arresti, 6 misure interdittive, 79 indagati (tra funzionari e dipendenti) e un sequestro di oltre 1,5 milioni di euro: sono i numeri della maxi-indagine "Penelope" della Procura di Napoli Nord sull'Asl di Caserta che ha consentito di fare luce su numerosi episodi di assenteismo, corruzione e gare d'appalto truccate. La stessa indagine, nel novembre scorso, ha portato alla sospensione di 22 "furbetti del cartellino", tra cui importanti funzionari in servizio al distretto ASL di Aversa.
Secondo l'indagine, l'affidamento dei servizi di trasporto in emergenza (118) avveniva in cambio di regali e assunzioni.
Grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali sono emersi, secondo gli inquirenti, numerosi gravi violazioni penali, come l'affidamento a poche ditte compiacenti, di lavori di adeguamento e ristrutturazione di locali aziendali gestiti direttamente dal Dipartimento di Salute Mentale (Dsm), in cambio di somme di danaro e regali vari, una serie di falsi ed abusi, in ordine alla gestione di pazienti con patologie psichiatriche, che venivano affidati a strutture esterne convenzionate senza alcuna valutazione del piano terapeutico riabilitativo da parte del competente organo specialistico (U.V.I.), assoggettando l'onere di degenza, dalla somma di diverse migliaia di euro per ciascun paziente, a carico dell'Asl di Caserta. Gli inquirenti hanno accertato l'affidamento dei servizi di trasporto in emergenza (118) ad un'associazione di volontariato i cui vertici, in cambio, avrebbero corrisposto ad uno dei componenti della commissione aggiudicatrice ed ad altri dipendenti compiacenti dell'Asl, regali e altri vantaggi, come l'assunzione di propri familiari.
Sono stati poi riscontrati episodi di corruzione dei gestori delle strutture di riabilitazione convenzionate che, in cambio dell'affidamento diretto dei pazienti e dell'omessa attività di controllo sui piani riabilitativi, corrispondevano periodicamente somme di danaro e altre utilità ai funzionari pubblici che erano preposti alla tutela e corretta attività di recupero dei pazienti psichiatrici. È emerso inoltre la gestione occulta da parte di alcuni funzionari dell'Asl, con intestazione fittizia a persone compiacenti, di strutture private convenzionate presso le quali venivano indirizzati i pazienti, affidati con onere a carico dell'Asl (diaria di circa 88 euro), direttamente dai medesimi funzionari.
Nel corso dell'attività investigativa del Nas di Caserta, coordinata dalla Procura di Napoli Nord, è anche emersa la sparizione dei fondi dei progetti finalizzati alla cura dei pazienti delle cosiddette "fasce deboli", mai attuati, che, secondo gli investigatori, sarebbero finiti nelle tasche dei dipendenti del Dipartimento di Salute Mentale. Il Nas ha anche scoperto un giro di affidamenti pilotato degli incarichi legali. Il mantenimento degli incarichi di vertice all'Asl avveniva mediante traffici di influenze illecite. Ed ancora: Procura di Napoli Nord e Nas di Caserta hanno accertato l'acquisto di beni strumentali ad uso privato con i fondi pubblici dell'Asl, e il solita condotta di illecito allontanamento dal servizio, da parte di alcuni dipendenti Asl, che dovevano svolgere faccende personali e familiari.
Figura anche il presidente del Consiglio regionale della Campania Gennaro Oliviero, tra le persone indagate nell'inchiesta del Nas e della Procura di Napoli Nord sull'Asl di Caserta. Secondo quanto si apprende, ad Oliviero viene contestato il reato di traffico influenze in relazione a un singolo episodio. Il presidente del Consiglio regionale, in una nota su Facebook ribadisce "piena fiducia nella Magistratura. Sono a completa disposizione - scrive - per chiarire al più presto la mia estraneità ai fatti".
Tra gli arrestati l'ex funzionario del Dipartimento di Salute Mentale di Aversa (Caserta) Luigi Carrizzone, figura centrale dell'indagine, andato in pensione da non molto tempo, che avrebbe ottenuto tangenti, e avrebbe gestito come socio di fatto due strutture di riabilitazione psichiatrica in cui indirizzava i pazienti che aveva in cura come funzionario medico dell'Asl, ovviamente a spese dell'azienda sanitaria, grazie alla complicità di alcuni colleghi; tra questi ultimi sono finiti ai domiciliari il psichiatra dell'Asl Nicola Bonacci, il dipendente Antonio Stabile. Ci sono poi gli imprenditori arrestati, accusati di aver siglato accordi corruttivi con i funzionari Asl: in manette è finito poi l'imprenditore di Sessa Aurunca Michele Schiavone, titolare di Rsa e centri per la riabilitazione psichiatrica, padre di Massimo, ex presidente del consiglio comunale di Sessa Aurunca nonché candidato alle recenti Regionali nel PD . C'è poi Cuono Puzone, presidente della Misericordia di Caivano (Napoli), associazione privata che effettua il servizio di emergenza 118 nel Casertano; Puzone è accusato di aver pagato tangenti ai funzionari del Dsm per avere alcuni appalti relativi al trasporto dei malati psichici. Arresti domiciliari anche per due imprenditori edili che effettuavano lavori per l'Asl, ovvero Alberto Marino di Casaluce e Antonio Papa di Marano di Napoli, e per un commercialista di Teverola, Antonio Scarpa.
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frontedelblog · 5 years ago
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UN SUGGERIMENTO AI COMPLOTTISTI NEGAZIONISTI DELLA PANDEMIA DA CORONAVIRUS
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Contemporaneamente al diffondersi delle prime notizie sul contagio da coronavirus, è iniziato sui social il tam tam  dei complottisti che lo negano. Costoro sono ben noti. Sono gli stessi che fanno propaganda contro i vaccini, a loro giudizio del tutto inefficaci a prevenire le malattie infettive e causa di altre molto gravi, come  l'autismo. Riguardo all'epidemia attualmente in atto, affermano in modo perentorio che non esiste. Si tratterebbe dell' inganno ordito da un'alleanza occulta tra èlite egemoni, tra cui "Big Pharma", la lobby delle multinazionali farmaceutiche. La stessa che starebbe adoperandosi per farci credere che i vaccini sono necessari, lucrando poi sulla loro commercializzazione. Nel caso del coronavirus, ci sono i complottisti sull'origine del virus (una voce così diffusa da aver contagiato le diplomazie americane e cinesi) e i complottisti negazionisti, che denunciano una macchinazione. La falsa notizia dell'epidemia sarebbe diffusa ad arte per provocare panico, e poi tirare fuori dal cilindro un vaccino salvifico a cui la popolazione mondiale docilmente si sottoporrebbe,  con immensi guadagni per "Big Pharma". È difficile ragionare coi complottisti negazionisti. Costoro si sentono come il protagonista del film "Essi vivono", non a caso un cult tra di loro. Il personaggio un giorno scopre, per caso,  che un certo un tipo di occhiali permette di vedere i pericolosi extraterrestri che si sono sostituiti agli umani, assumendone ingannevolmente le sembianze. I complottisti negazionisti ritengono di possedere quegli occhiali. Gli altri, la maggioranza ignara, e forse un po' beota, ne sarebbe sprovvista. Riguardo ai vaccini, considerano tendenziose tutte le fonti scientifiche ufficiali che sostengono la loro utilità e la sostanziale irrilevanza dei loro effetti collaterali. Al contrario, i complottisti negazionisti considerano prova inoppugnabile della loro tesi tutti i casi, parecchi, in cui genitori di bambini vaccinati denunciano che i loro figli dopo la vaccinazione si sarebbero ammalati di autismo. Per contro, non riconoscono alcuna credibilità agli studi scientifici che dimostrano l'inesistenza di un rapporto di causa ed effetto tra vaccinazione e autismo. Per forza: i ricercatori di questi studi non possiedono i miracolosi occhiali di "Essi vivono". O sono extraterrestri sotto mentite spoglie. Ebbene: forse riguardo all'epidemia di coronavirus si può riuscire a trovare un terreno di confronto con i complottisti negazionisti. Io risiedo a Bergamo e da più di due settimane tutti i miei concittadini sanno che negli ospedali locali sta avvenendo qualcosa di inusitato. Lo sanno perché molti di noi, come me ad esempio, hanno parenti o amici che in quegli ospedali ci lavorano, e il passaparola si è velocemente diffuso, ancor prima che i media si accorgessero della situazione. Negli ospedali bergamaschi stanno massicciamente affluendo ammalati di polmonite bilaterale intersiziale  bisognosi di cure urgenti. Spesso non c'è  altra scelta che ricorrere alla ventilazione artificiale previo sedazione e intubazione. Niente di più niente di meno di quanto accade quando un paziente deve subire un intervento chirurgico. Solo che questi malati debbono rimanere in quella condizione per molti giorni prima di riprendersi. Parecchi di loro, in un numero che supera di gran lunga la normale mortalità ospedaliera, muoiono. Per riassumere lo stato di cose, cito un caro amico medico, che mi ha lasciato senza parole: "Non ho mai visto così tanta gente gravemente malata, né cosi tanta morire." Oramai tutti sanno che la polmonite bilaterale interstiziale è la complicanza più seria dell'infuenza da  coronavirus. Bergamo è nota per la sua articolata rete sanitaria, con svariate strutture pubbliche o private convenzionate. Propongo a una delegazione di complottisti negazionisti di chiedere di visitarle. Potranno così scoprire se il personale sanitario delle stesse, prezzolato da Big Pharma, menta. O, in alternativa, denunciare che questi "angeli in camice bianco", come molti (anche io !) li considerano per l'impegno con cui si dedicano a soccorrere l'ondata di ammalati, siano in realtà malvagi extraterrestri. Noi no, ma loro,  con quei portentosi occhiali, possono smascherarli. Rino Casazza Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza - QUI Read the full article
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exterminate-ak · 7 years ago
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Matria (o del perché della patria non mi fido)
Non c’è un’accezione amabile della patria, e se c’è è forse proprio quella che dovremmo temere di più. La terra dei padri, questo significa patria, è un concetto letterario le cui ambiguità è utile tenere ancora presenti, se non altro perché dimenticarle ci ha dato lezioni amare per tutto il ‘900. La prima ambiguità è nelle parole stesse: la patria non è una terra, ma una percezione di appartenenza, un concetto astratto, tutto culturale, che si impara dentro alle relazioni sociali in cui si nasce e dentro alle quali, riconosciuti, ci si riconosce. In un mondo dove i rapporti di confine tra le terre sono cambiati mille volte e le culture si sono altrettanto intrecciate, dire “la mia patria” riferendosi a una terra significa creare di sé un falso logico, oltreché geologico.
La seconda ambiguità è in quel plurale monogenitoriale, quel categorico “padri” che solleva simbolicamente dalle loro tombe un’infinita schiera di vecchi maschi dal cipiglio accusatorio rivolto alla generazione presente. Le madri nella parola patria non ci sono, benché per definizione siano sempre certe, né generano appartenenza, nonostante ce ne sia una sola per ognuno di noi. Non possono esserci perché nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice. È in quanto estensione del maschile genitoriale che la patria è divenuta fonte del diritto di identità, perché è il riconoscimento di paternità che per secoli ci ha resti figli legittimi, né è un caso che le rivoluzioni culturali post psicanalisi si definissero anche come “uccisioni dei padri”. Gli apolidi dentro questa cornice si portano inevitabilmente addosso l’aura del figlio bastardo, gli espatriati per volontà sono sempre traditori della patria e gli emigrati economici hanno il dovere morale di coltivare e manifestare a chi è rimasto a casa un desiderio di ritorno, pena il passare per rinnegati.
E se per una volta – solo una, giusto per vedere l’effetto che fa – provassimo a uscire dalla linea di significati creata dal concetto di patria? Averlo caro del resto non ha alcuna attualità; appartiene a un mondo dove il diritto di sopraffazione e la disuguaglianza sociale ed economica erano voci non solo agenti, ma indiscutibilmente cogenti: per metterle in crisi ci sono volute rivoluzioni di pensiero prima ancora che di piazza, e quelle rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo. E se proprio non è possibile uscire dalla percezione genitoriale dell’appartenenza collettiva – padre, ma anche l’ossimoro madre patria - potrebbe essere interessante cominciare a parlare di matria. La prima utilità di questo cambio di senso sarebbe immediata: ci costringerebbe a ripensare la cittadinanza così come la conosciamo. Legarla alla patria (e quindi alla paternità) ha infatti confermato solo le appartenenze che storicamente vengono dai padri: consanguineità e patrimonio, cioè ius sanguinis e ius soli, entrambe matrici squalificanti e divisive dello stare insieme. 
Lo ius sanguinis è il principio di tutti i patriarcati e di conseguenza di tutti i nazionalismi, perché se il sangue genitoriale definisce la tua appartenza allora non importa più chi sei, ma solo di chi sei. Il singolo non ha valore se non come estensione dell’identità collettiva. Chi difende lo ius sanguinis pretende che tutte le relazioni individuali siano subordinate alla relazione collettiva originaria, quella dell’essere sangue del sangue di un cittadino italiano. Per questo non importa da quanti anni sei nato qui, se ci lavori, se ci sei cresciuto o ci sei andato a scuola: senza quell’atto d’origine non sei nella nostra genealogia sociale, sei nessuno. 
Con lo ius soli non va molto meglio e per questo la battaglia pur necessaria per ottenerlo anche in forma blanda è una battaglia di retrovia storica, già superata dalle esigenze del presente. Il diritto del suolo ha fondato infatti gli imperialismi e le colonializzazioni, perché se è la terra che possiedi a darti l’identità, è legittimo accaparrarsene quanta più possibile, non importa come, e difendere quella che hai con ogni mezzo. Perché la terra ti definisca come proprio è infatti indispensabile che tu a tua volta la definisca come tua in modo non sindacabile, altrimenti chiunque ti porti via la terra ti porterebbe via anche l’identità. Paradossalmente si sono fatte più guerre per lo ius soli che per lo ius sanguinis, perché la terra, a differenza del sangue ricevuto una volta per tutte, è sempre a rischio di sottrazione.
Va da sé che fondare cittadinanza su questi principi – entrambi strutturali al concetto di patria - porta e ha portato già alle tragedie che ci sono note. Pensarsi come Matria consente di sradicare questa prospettiva, perché la madre nell’esperienza di ognuno di noi non è un soggetto imperativo, ma è la prima cosa vivente scorta, la prima amata. Simbolicamente intesa, la maternità è un’esperienza relazionale elementare, perché nutre e si prende cura. Prima di suscitare timore, suscita amore. Prima di evocare autorità, evoca gratitudine. Nella prospettiva dell’appartenenza, il materno è uno spazio dove a legittimare l’esistenza e l’identità è quello che ti offrono, che è la matrice e non la conseguenza di ciò che poi offrirai tu. Non è strano che le persone che arrivano qui scappando dal proprio paese a volte possano dire: “mi sento a casa”. Non è un esproprio, ma la prova che stanno ridefinendo la loro appartenenza dentro alle relazioni anche istituzionali che hanno incontrato. Lo slittamento semantico cambia la prospettiva, perché tra patria e matria c’è la stessa differenza che esiste tra una somma e una moltiplicazione: se la patria è il luogo che ti riconosce, la matria è quello in cui tu impari a riconoscere chiunque. Sarebbe un grosso errore pensare che solo uno dei due sia il luogo della politica.
Michela Murgia 
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sciamanourbano · 6 years ago
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Stanco di filosofi
Kant ha detto e prima di lui Aristotele, però poi Hegel ha trasformato e Heidegger ha ribaltato: ma che dire dunque di Levinas e Gadamer? Che arroganza questa fetta di storia del pensiero. Se la techné ci aliena è perché le accademie ci hanno lottizzato il pensiero! Ho conosciuto più filosofi di strada che ermellinato Umberti. Non solo Eco, ma anche Galimberti che da giovane aveva idee anche utili, mentre oggi prevalgono le sentenze oltre alle solite citazioni. Proviamo a pensare: la Storia della Filosofia, quella importante, non quella vera esiste solo da quando esiste la scrittura; ma questa è una realtà tutto sommato giovane nella storia dell'umanità. E tutti quelli che non hanno scritto prima della scrittura o nei luoghi dove la scrittura non esisteva? E tutti coloro che se ne sono fregati di scrivere perché non ne valeva la piena? A peggiorare le cose sono state le mafie intellettuali note come Accademie e Università che hanno certificato i pensieri buoni da tutti quelli che non appartengono ai clan? Quanti danni hanno fatto al pensiero libero? Rudolf Steiner ha scritto tantissimo e ha citato numerosi pensatori della sua epoca, tuttavia si sa che l'insegnamento più importante l'ha tratto da un incontro casuale con una persona anonima e che tale è rimasta senza alcuna speranza di sapere chi fosse. Costui non comparirà mai in nessuna storia della filosofia o delle religioni. Smettiamo di celebrare gli autori e diventiamo noi pensatori. Aiutiamo le persone reali e non il potere degli intellettuali. Il mondo cambia senza che noi ne si comprenda la direzione e solo chi saprà individuare il codice possibile dell'adattamento, per il quale nessun pregresso sarà d'aiuto perché altrimenti l'avremmo usato da sempre, sarà davvero utile. Dopo di lui gli accademici sapranno interpretarlo e collegarne il senso a qualche remoto filosofo che però non avrà avuto alcuna utilità per il cambiamento. E adesso faccio anch'io qualche citazione: intanto Plebe che indica la via dell'euristica mercuriale contro l'ermeneutica del potere manipolatorio; e poi quel Nietzsche citato da Foucault per il quale il sapere non è conoscere, ma prendere posizione; e infine Gargani che poeticamente ha individuato nell'attività del pensiero la paura (e aggiungerei l'orrore) che si è data un metodo. Pensa e fatti pure ispirare, ma non credere mai ad un accademico e lascia perdere I filosofi: la sola filosofia che conta è quella che si inventa nel quotidiano. Fai filosofia e segui meno che puoi i filosofi, almeno altrettanto poco quanto, pur ascoltandoli e usando di loro solo quel che ti serve, segui scienziati e tecnici.
Arrogantemente saggio, segui te stesso e inventa il tuo futuro: ne puoi essere capace!
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andrejnansen · 6 years ago
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Creo quel che Penso
“Non è la materia che genera il pensiero, è il pensiero che genera la materia” [Giordano Bruno]
    Molti ritengono che la Mente sia ciò che ci fa letteralmente assumere una forma piuttosto che un’altra, ed in parte ciò corrisponde a verità. Pensieri, Emozioni e Sentimenti infatti, ci permettono di essere quello che siamo, unitamente alle nostre esperienze personali. La nostra mente è quindi contiunamente impegnata in un costante processo di aggiornamento dei dati contenuti in memoria, processo che si svolge, molto semplicemente, attraverso sinapsi neurochimiche.
  Tanto per incominciare, una delle domande che sarebbe opportuno ci ponessimo per renderci conto se siamo in condizione di dovere realmente cambiare qualcosa di noi stessi e quindi riprogrammare il nostro cervello, è: “Qual è il sentimento che mi pervade quotidianamente in modo dominante, servendo così da agente paralizzante, tale  da costringermi nei fatti a non modificare nulla nei miei comportamenti e quindi nel perseguimento del mio successo personale?” Si potrebbe iniziare a lavorare in questo modo per eliminare eventuali sensi di colpa, o di vergogna, oppure la sensazione di non meritare di essere felici e di non valere niente che ci sono stati inculcati fin da piccoli. E questo sarebbe già un modo eccellente di iniziare perchè cominceremmo a liberarci di tutto ciò che ci distrugge dall’interno da troppo tempo, tutto ciò che ci tiene rinchiusi e ci fa sentire prigionieri. E, magicamente, inizieremmo a smettere di sentirci in trappola e senza via di scampo.
  Il problema sta nel fatto che che molti dei nostri pensieri sono inconsci e difficilmente riusciamo a gestirli consapevolmente. Di contro, la buona notizia è che possiamo iniziare ad osservare i pensieri che facciamo quotidianamente, cioè a porre attenzione alla qualità dei nostri pensieri. Non si tratta di nascondere o soffocare emozioni negative o formulare semplicemente pensieri positivi evitando parole come “no” o “impossibile”, pur avendo anche questo una grande utilità. Dovremo piuttosto imparare a sviluppare una maggiore consapevolezza, ed a fare un lavoro di trasformazione dal quale poi nasceranno automaticamente pensieri e atteggiamenti positivi imparando ad utilizzare i quali, potremo trasformare letteralmente la nostra realtà. I pensieri sono il frutto di ciò che siamo, della nostra coscienza, per cui l’aspetto sul quale dovremo focalizzare l’attenzione sarà proprio il nostro livello di coscienza.
  In altri termini, ciò che stiamo dicendo è che noi siamo gli unici responsabili di quello che ci capita perché, sebbene possiamo accusare gli altri di portarci o di averci portato a stare male o ad essere depressi, siamo noi, e solo noi a decidere di continuare sulla stessa strada senza cambiare direzione di marcia. Noi potremo invece in ogni momento cambiare la nostra mentalità e creare nuovi sentieri attraverso cui la mente possa orientarsi in modo affatto diverso da quello abituale. È il “Quisque faber est sui cuique fortunae” dei Latini, riletto però in una chiave più vera e naturale.
  La scienza ci dice che tutto è energia. Anche ciò che apparentemente è inanimato, in realtà vibra ad una determinata frequenza perfettamente misurabile. Anche i nostri pensieri quindi sono forme di energia che interagiscono con un campo nel quale tutto è interconnesso. È dimostrato da gran parte della Fisica Quantistica come il pensiero sia capace di influenzare il comportamento della materia attraverso l’osservazione probabilistica. In verità però questo potere sembra spaventare la maggior parte delle persone piuttosto che incoraggiarle a provare. Abbiamo già detto di come la paura contribuisca a creare barriere difficilissime da superare. Figuriamoci quando detta paura sia poi stata inculcata da superstizioni ancestrali e religiose, ormai talmente radicate da sembrare quasi parte del nostro patrimonio genetico, ad opera di chi abbia voluto da sempre asservire l’Uomo ai propri interessi particolari, mascherandoli sotto la veste delle più svariate ed improbabili “volontà divine”. Ma cosa avverrà quando, una volta fatto il primo passo, ci si renderà conto dell’immenso potere che abbiamo a disposizione, senza nemmeno averlo mai immaginato, praticamente da tutta l’Eternità? Perchè su questo ormai non è più possibile avere alcun dubbio. Ovviamente non siamo atei, non potremmo esserlo nemmeno volendolo, arrivati a questo punto. Ma siccome “est modus in rebus”, è  bene precisare che per raggiungere il nostro obbiettivo - il controllo della realtà attraverso la mente - occorre prima imparare ad accettare - ed a credervi senza riserve - l’esistenza di un’Intelligenza Superiore Cosciente più che al di sopra, oltre tutto quello che conosciamo e che tale Intelligenza è da sempre dentro di noi e soprattutto, non ha mai voluto imporci alcuna regola di nessun tipo. Questa Intelligenza Superiore è tuttavia dormiente in noi per la qual cosa ci occorrerà quindi imparare a risvegliarla. Dopodichè potremo finalmente iniziare a reinventare noi stessi, ossia pensare a come ci piacerebbe essere, sia dal punto di vista Fisico (Mens sana in corpore sano) che Mentale e Spirituale. Dal vederci banalmente più snelli insomma, fino all’essere magari più comprensivi verso il nostro prossimo, passando per tutte le possibili sfumature di Corpo, Anima e Spirito. Per ottenere questo sarà necessario iniziare ad immaginarsi con quelle caratteristiche, quali che siano, come fossero già incluse nel proprio “inventario”. Ed ancora, occorrerà tenere sempre presente che non esistono nè il Bene nè il Male ma che, come per tutto il resto, cominceranno ad esistere, con tutte le caratteristiche che noi avremo impresso loro al solo atto di pensarli, creando quindi di contorno, ulteriori nuovi ostacoli etici e nuove barriere al materiale realizzarsi della nostra Volontà concreta.
   Percepire ciò che ci circonda in un determinato modo oppure provare determinate emozioni, sono cose che possono realmente modificare la realtà. Occorre solo focalizzare la mente su un unico pensiero, su quel desiderio, quel sogno, quel particolare successo. Il Pensiero si farà carico del resto. Ciò accade perchè la mente, in determinate condizioni, smette di distinguere tra ciò che è reale e ciò che è pensato. Volendola riprogrammare pertanto, si dovrà andare a modificare moltissime informazioni che vengono conservate lì da tutta questa vita ed oltre. Va da sé che questo non solo serve per i cambiamenti interni o esterni del nostro corpo, bensì anche per quello che vogliamo ottenere in concreto, qualunque cosa sia. Immaginarlo più volte aumenterà le possibilità che diventi reale. Molto simile, come meccanismo, a quello che agisce con le cosiddette profezie che si autoadempiono. Tutto il mondo che vediamo, tutto ciò che crediamo essere la realtà, cioè qualcosa al di fuori dalla  coscienza, in realtà si trova al suo interno ed è qualcosa che viene creato dal nostro sistema percettivo. I sensi ci fanno vedere qualcosa che crediamo essere là fuori, immagini, suoni, forme,  colori, materia, ma la verità è che si tratta di un mondo interamente generato dal nostro sistema percettivo che rileva dei dati e li fa elaborare dal cervello il quale li trasmette al sistema nervoso che a sua volta, attribuisce loro dei significati. La percezione è un evento di natura esclusivamente mentale e soggettiva, ed è qualcosa che avviene nello spazio interiore di ciascuno di noi.
  Non c’è niente di mistico in questi risultati. Dio – continuiamo a chiamarLo così per chiarezza pur senza attribuirGli alcuna “divisa” – non ha bisogno di Trascendenza. Già Parmenide di Elea nel V secolo a.C. affermava con assoluta certezza che “L’essere è, il non essere non è” descrivendo così il fenomeno per cui ciò che non esiste non può nemmeno essere rivestito di “forma pensiero”, mentre ciò che si immagina esiste anche necessariamente, già mentre lo si sta immaginando. Si tratta quindi solo della medesima Intelligenza che organizza e regola le funzioni fisiche, quella che permette al cuore di battere centomila volte al giorno, o ai polmoni di respirare mille volte o alle palpebre di sbattere “senza pensarci”. Tutto qui. Ed a questo proposito, vale infine la pena di sottolineare come, ogni volta che si produce un pensiero vengano rilasciate all’interno del nostro corpo diverse sostanze chimiche come le endorfine, responsabili del cosiddetto effetto placebo. Mai dimenticare quindi che anche i pensieri negativi nascono in questo stesso modo e che perciò, lasciati andare, producono effetti anche molto dannosi. Fate la prova pensando a qualcosa di triste: in pochi secondi sarete pervasi dalla malinconia. Di contro, provate ad immaginare qualcosa di allegro e vi renderete conto di quanto possa cambiare istantaneamente l’abito mentale che indossate.
  Noi dovremmo prestare moltissima attenzione ai nostri pensieri, perché è proprio attraverso il pensiero che creiamo la nostra realtà. Dovremmo imparare ad osservarci ed a riconoscere gli schemi inconsci della nostra mente, cercare di essere sempre presenti a noi stessi ed a non reagire in modo automatico, ma sempre con maggiore consapevolezza. Tutto, veramente tutto, è nelle mani della nostra mente. Come ripeteva spesso un Maestro Spirituale - la cui Appartenenza su cui preferiamo mantenere il riserbo stupirebbe molti, ed a cui l’Autore è rimasto nei decenni molto legato al di là dei confini di questa esistenza terrena - “Noi siamo Dei. Se non riusciamo a fare anche i miracoli è solo perchè siamo come bambini che ancora non hanno imparato nemmeno a camminare”.
Andrej Nansen
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pangeanews · 4 years ago
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“Un uomo che ha imparato a non provare paura, trova diminuita di molto la fatica della vita quotidiana”. La ricetta della felicità secondo Bertrand Russell
Cosa ci rende felici? È ancora possibile la felicità?
Sono domande che ci siamo posti, continuiamo e continueremo a porci, domande cui ha provato a rispondere anche il premio Nobel Bertrand Russell con il suo La conquista della felicità, un saggio del 1930 che sembra un manuale di autoaiuto, di quelli che di solito vendono milioni di copie. Si tratta di un testo divulgativo accessibile a tutti, che usa un linguaggio semplice e chiaro, e che proprio per questo arriva dritto al cuore e alla mente del lettore.
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L’intento di Russell, come scrive lui stesso, è quello di suggerire un rimedio contro quel quotidiano, comune scontento del quale soffre la maggior parte della gente nei paesi civili e che è tanto più insopportabile in quanto, non avendo alcuna causa esterna evidente, sembra inevitabile.
Russell attribuisce la colpa di tutto questo a un modo errato di considerare il mondo, a un’etica sbagliata, ad abitudini sbagliate. Non si nasce felici, e non è detto che le cose durante l’infanzia vadano sempre bene, ma la felicità si può conquistare, con l’impegno e la tenacia, ma bisogna prima di tutto desiderarla. Non si sceglie deliberatamente di essere infelici, eppure, sembra che nella nostra epoca ancora troppo spesso ci si faccia vanto dell’essere insoddisfatto, del vedere solo le atrocità del mondo, dell’essere pessimista. Russell scrive: “Gli uomini che sono infelici, come gli uomini che dormono male, ne menano sempre vanto”.
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E perché lo fanno? Perché spesso chi è circondato da un’aura da ‘bello e dannato’, da infelice cronico, da esistenzialista, sembra avere un fascino senza eguali e un’aura di superiorità, e questo perché, scrive Russell, coloro che attribuiscono i loro dolori al loro modo di concepire l’universo, mettono il carro davanti ai buoi; la verità è che sono infelici per qualche motivo del quale non hanno coscienza, e questa infelicità li induce a soffermarsi sulle caratteristiche meno piacevoli del mondo nel quale vivono.
L’uomo troppo introspettivo è malato, e rischia di fissarsi solo sul vuoto che ha dentro invece di rivolgersi all’esterno per cogliere il multiforme aspetto del mondo. Per Russell non c’è qualcosa di grande nell’infelicità dell’uomo introspettivo.
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Ma quali sono, secondo Russell, i motivi della nostra infelicità?
La competizione
La noia e l’eccitamento
La fatica
L’invidia
Il senso di colpa
La mania di persecuzione
La paura dell’opinione pubblica
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La competizione nel senso della ricerca spasmodica del successo, del puntare tutto sul lavoro, dimenticando il resto. Russell scrive che questo genere di persone non ha paura di non poter mangiare ma di non riuscire a farsi invidiare dai propri vicini; la noia è definita da Russell come il contrasto tra le circostanze presenti e qualche altra circostanza più gradevole che si impone irresistibilmente all’immaginazione; la fatica intesa come esaurimento nervoso, stress da lavoro e ruminazione mentale. E poi l’invidia, che non ci fa vedere mai le cose in se stesse, ma soltanto in rapporto ad altre; il senso di colpa, che spesso non ci permette di fare le scelte più giuste per il nostro bene e quello degli altri, e che si fa vivo particolarmente nei momenti in cui la volontà cosciente è indebolita dalla stanchezza, dalla malattia, dall’alcol, o qualunque altra causa; la convinzione che ci sia qualcuno o qualcosa che trama perennemente contro di noi e che ci fa dimenticare che gli altri in realtà dedicano meno tempo a pensare a noi di quanto non facciamo noi stessi; la paura del giudizio, di quello che le persone possono pensare di noi.
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Come vincere tutti questi ostacoli alla nostra felicità?
Per Russell bisognerebbe ricercare una vita tranquilla, che sa ancora godere delle pause, dei ritmi lenti, una vita che non deve dimenticarsi di far parte della terra, e che si ricordi che come per la natura sono essenziali il riposo come il moto.
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“Una certa capacità di sopportare la noia è quindi indispensabile per avere una vita felice, ed è una delle cose che si dovrebbe insegnare ai giovani”.
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Da non confondere però con l’immaginario del ‘contadino felice’, perché Russell ci ricorda che nel volgersi all’agricoltura l’umanità decise di sottoporsi alla noia e alla monotonia, per diminuire il rischio di morire di fame. Quando gli uomini ricavavano il loro cibo dalla caccia, il lavoro era un piacere, come si può vedere dal fatto che i ricchi si dedicano ancora a queste preoccupazioni ancestrali per divertimento.
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Secondo Russell sono i sentimentali a parlare del contatto con la terra, perché il desiderio di qualsiasi ragazzo di campagna è andare a lavorare in città, libero dalla fatica dei campi, per vivere nell’atmosfera fidata e umana dello stabilimento e del cinematografo.
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Un altro modo per cercare di ambire alla felicità? Cercare di capire che è inutile farsi travolgere dalle preoccupazioni nei momenti in cui nulla si può fare per cercare di risolverle. Russell scrive che ce le portiamo anche a letto e che continuiamo a rimuginare problemi senza darci tregua, ed è proprio questo ad annebbiare la nostra facoltà di giudizio, a guastare il nostro umore.
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“L’uomo saggio medita sui suoi crucci soltanto quando è di qualche utilità farlo; in altri momenti pensa ad altre cose, o se è notte, a niente”.
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Russell sa bene che non è facile farlo, soprattutto quando si vive una grande crisi, ma suggerisce di prendere una decisione importante dopo aver valutato tutti i dati concernenti alla questione, e poi di non tornarci più sopra – se non si viene a conoscenza di qualche fatto nuovo – perché nulla stanca quanto l’indecisione, e nulla è altrettanto sterile.
Oltretutto è più facile che arrivi un’intuizione, una soluzione, quando silenziamo la mente e smettiamo di arrovellarci con il pensiero discorsivo.
Inoltre, Russell ci ricorda che persino ai grandi dolori si può sopravvivere; preoccupazioni che sembra debbano mettere fine alla felicità per tutta la vita, col passare del tempo si attenuano, fino a che diventa quasi impossibile ricordarne l’intensità.
È bene rammentarci che ogni cosa è impermanente, sia i pensieri sia le grandi crisi della nostra vita.
L’obiettivo è quello di guardare in faccia anche la sofferenza, anche la possibilità peggiore, perché è la paura a generare l’ansia e di conseguenza la stanchezza, lo stress.
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“Un uomo che ha imparato a non provare paura, trova diminuita di molto la fatica della vita quotidiana. Ora la paura, nelle sue forme più nocive, nasce quando vi è qualche pericolo che non vogliamo affrontare”.
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Russell ci invita a non distogliere la mente dalle difficoltà con il divertimento, il lavoro o altro, ma a riflettere intensamente sulla nostra paura, fintanto che essa ci diventi familiare, perché sarà la stessa familiarità a scacciare il terrore. Ed è quello che insegna anche la parola tibetana Gom che vuol dire ‘familiarizzare’, e che viene usata per spiegare a cosa serve la meditazione, e cioè familiarizzare con i propri contenuti mentali.
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A ogni cosa il suo giusto tempo, e per il resto cercare di mantenere la mente calma per quanto possibile, perché l’armonia giunge nel momento in cui si mette pace tra le proprie parti interiori, quando si usa il raziocinio e non si permette a convinzioni irrazionali di passare incontrastate o di imporsi alla ragione.
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“Nulla è più nocivo non soltanto alla felicità, ma alla efficienza di una persona, di un dissidio interiore. Il tempo speso a far armonizzare tra di loro le diverse parti della propria personalità è tempo speso utilmente”.
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“La felicità veramente soddisfacente si accompagna al pieno esercizio delle nostre facoltà e alla completa comprensione del mondo nel quale viviamo”.
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Russell in questo libro è precursore dei tempi moderni o forse alla fine le cose non sono cambiate poi molto rispetto al secolo scorso. Gli ostacoli alla felicità di cui parla sono anche molto concreti e attuali, parla di quei giovani che non riescono a essere felici perché non trovano un impiego adeguato al loro talento; parla di un senso diffuso di smarrimento e insoddisfazione che sentiamo anche oggi; parla di sesso, famiglia, di genitori incapaci e confusi, di amore, e dice una cosa che fa molto riflettere: “Una concezione della vita che consente così poca felicità agli uomini da uccidere il loro desiderio di avere figli, fa sì che questi uomini siano biologicamente condannati. Non passerà molto tempo che uomini più lieti e più spensierati prenderanno il loro posto”.
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Dice anche che solo gli uomini con doti eccezionali possono trovare soddisfazione nel proprio lavoro, per gli altri, l’unica vera gioia rimarranno i figli. E parla già di emancipazione femminile, dicendo che un figlio non deve essere una barriera insormontabile all’attività professionale della madre, anche perché là dove la società esige da una madre dei sacrifici irragionevoli in nome del figlio, la madre se non è eccezionalmente nobile e generosa, si aspetterà dal figlio una ricompensa superiore a quella che ha il diritto di aspettarsi. Una madre che si è sacrificata per il figlio, non potrà mai essere totalmente soddisfatta e felice. È importante che la donna abbia sempre la possibilità di dedicarsi ai suoi interessi e altre attività.
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Russell è anche cinico e spietato in certi punti, come quando se la prende con i santi, gli asceti e i mistici devoti della dottrina della rassegnazione, per i quali, d’altronde, la vita è davvero nient’altro che illusione e sofferenza, un peso di cui liberarsi definitivamente per raggiungere l’Assoluto: “I paesi che credono nella rassegnazione e in ciò che erroneamente viene chiamato concetto «spirituale» della vita, sono paesi nei quali la mortalità infantile è molto elevata. La medicina, l’igiene, la disinfezione, una dieta adatta, sono cose che non si raggiungono se non ci si preoccupa della vita terrena; richiedono energia e intelligenza rivolte all’ambiente materiale. Coloro che pensano che la materia sia un’illusione, sono propensi a pensare lo stesso del sudiciume, e così pensando possono causare la morte dei loro figli”.
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La felicità è ancora possibile?
Sì, se si superano gli ostacoli, se si prova un sincero e cordiale interesse per le persone e le cose, se si hanno numerose passioni, se ci prendiamo cura anche dei nostri affetti e non solo di noi stessi, se ci amiamo, amiamo l’altro e troviamo il coraggio di farci amare, se riscopriamo il valore della famiglia, se portiamo avanti i nostri propositi, se lavoriamo per portare a compimento una grande impresa costruttiva, se non ci lasciamo innervosire e se non ci stanchiamo troppo, se non ci sentiremo individui isolati ma membri di una grande comunità e non saremo meschini ed egoisti, se non ci lasceremo vincere dai turbamenti della mente, se manterremo una saggia linea di condotta morale ed etica, se sapremo apprezzare le gioie della vita, se non ci rassegneremo di fronte a un incidente o a una crisi, se faremo il meglio che si può, lasciando al destino il risultato.
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La banalità del bene: il pane e un tetto, la salute, l’amore, un lavoro fortunato e il rispetto del proprio ambiente. Se queste cose mancano, solo l’uomo eccezionale può essere felice, ma dove esistono, forse solo uno squilibrio psicologico è la causa dell’infelicità.
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Russell conclude il saggio con queste parole: “L’uomo felice è colui che non soffre di alcuna di queste mancanze di unità e la cui personalità non è né in contrasto con se stessa, né in contrasto con il mondo. Un uomo siffatto si sente cittadino dell’universo, gode liberamente dello spettacolo che offre e delle gioie che arreca, non turbato dal pensiero della morte, perché non si sente realmente separato da coloro che verranno dopo di lui. È in questa profonda unione istintiva con la corrente della vita che si trova la massima gioia”.
Dejanira Bada
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ggdbcheapsale-blog · 5 years ago
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