#sat cit ananda
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sophiaepsiche · 2 years ago
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Meta-coscienza di sé II
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“Se sono già sat chit ananda, perché l’ananda, la pace, non la sento quasi mai?”
Abbiamo già introdotto il tema della coscienza/consapevolezza fenomenale e della meta-consapevolezza o meta-coscienza. È un concetto che spiega forse meglio di altri il passaggio dal sub-conscio al conscio e, successivamente, al pienamente conscio. Quello che intendo con questi termini, e che spiegherò di seguito come iter e scopo stesso del conosci te stesso, è preso dalla comprensione e spiegazione di tali termini come intesi da Bernardo Kastrup, ecco il link della sua lezione a riguardo. C’è un passaggio intermedio che io sottolineo di più perché serve a noi praticanti.
Coscienza fenomenale: ciò che è sub-conscio passa inosservato, perché non gli volgiamo la nostra attenzione, è conscio ad un livello fenomenale, ossia sappiamo in qualche modo che è lì, che esiste, ma non gli prestiamo attenzione. 
Passaggio al conscio: Quando l’attenzione viene finalmente puntata al fenomeno sub-conscio c’è un momento molto chiaro, preciso e distinto in cui quel fenomeno diviene finalmente conscio. Quando parliamo di questo momento, stiamo parlando delle piccole o grandi percezioni o illuminazioni che possiamo avere durante il cammino di conoscenza di noi. Possono avvenire anche per fenomeni esterni se abbiamo un grande interesse scientifico, filosofico o artistico ed è ciò che rende possibile la genialità. Nella conoscenza di noi stessi, soprattutto quando si comincia a conoscere la mente, queste percezioni diventano piuttosto frequenti. Ce n’è una fondamentale che, come vedremo, cambia le carte in gioco e ci introduce al livello di pratica più alto. Sebbene il termine illuminazione sia in alcune tradizioni troppo esaltato e in altre volutamente sottovalutato, questo passaggio dall’inconscio al conscio è parte integrante del cammino evolutivo interiore dunque non può essere totalmente ignorato, va solo considerato nella giusta prospettiva, sapendo che ce n’è più di una. Il linguaggio semplice e neutro offerto dagli studi sulla coscienza può aiutarci a capirlo meglio che mai.
Meta-coscienza: Tale momento non è la fine del percorso, poiché ciò che è salito al conscio per diventare meta-conscio ed avere un effetto permanente e naturale su di noi, dev’essere sottoposto ripetutamente alla luce della consapevolezza. È molto facile capire l’intero iter se parliamo di eventi osservabili. Facciamo un esempio: nel conoscere la mia mente, ho una profonda percezione diretta degli effetti del desiderio sulla salute mentale. Questo momento sarà molto speciale, sentiremo che qualcosa è cambiato per sempre. Non basta però a far sparire gli effetti del desiderio, non chiude il cerchio, non trascende il fenomeno a livello basilare. Dovrà allora essere osservato e osservato ancora, fino ad arrivare ad un nuovo livello di distacco. Un esempio ancor più banale è la differenza tra sapere una cosa superficialmente, capirla profondamente e comprenderla talmente bene da saperla spiegare nel dettaglio. Il momento di comprensione apre una porta fino ad allora chiusa, è come un passaggio dall’ignoranza alla conoscenza, ma solo se l’attenzione torna ripetutamente a studiare il fenomeno in diretta, si diventa maestri nell’esporlo. Quest’ultima fase è dovuta alla meta-coscienza o meta-consapevolezza.
La pratica del conosci te stesso mira alla meta-coscienza di sé.
Nella pratica, quando l’attenzione si volge alla mente e alle emozioni, i contenuti salgono al conscio. Questa osservazione distaccata crea automaticamente saggezza sui fenomeni esposti e trascendenza. Si crea ciclicamente sempre maggiore distacco. La tappa più importante, la lezione fondamentale del conosci te stesso è ovviamente capire chi siamo. Il momento in cui si capisce è il passaggio dall’inconscio al conscio. C’è chi lo chiama satori, chi illuminazione, chi risveglio, chi battesimo nello spirito. Questa non è la fine ma il passaggio allo spirito, alla coscienza vacua e nuda. Si è aperto un nuovo varco di conoscenza, quello che ne scaturisce è la contemplazione o il samadhi o il famoso silenzio che chiunque medita sa che, prima o poi, arriverà. Qui si è chiamati a praticare ripetutamente questa conoscenza della coscienza stessa, così che si diventi meta-consci della nostra vera natura. Solo attraverso questa pratica, ripetuta il più possibile, la mente diverrà completamente pulita ed illuminata sulla verità. ‘La meta-coscienza va a braccetto con l’attenzione’, sottolinea Bernardo, ed infatti l’atma-vichara è la pratica di porre l’attenzione a se stessa o alla ‘sua fonte’. È un processo di auto attenzione che diventa un dimorare nella fonte stessa dell’attenzione/consapevolezza: la coscienza.
Cosa c’entra tutto questo con la domanda? Sat è esistenza. Tutti, a livello esistenziale ed essenziale, siamo attaccati alla fonte, altrimenti non esisteremmo, come dice San Giovanni della Croce. Chit è coscienza/consapevolezza. Nella forma più umana e comune è chiamata attenzione. Questo è il nostro campo di azione e di pratica. Qui è dove siamo evolutivamente mediocri e dobbiamo lavorare. Non ci manca l’attenzione ma non ne facciamo buon uso poiché la disperdiamo tra infiniti oggetti e questo genera l’insoddisfazione derivante dal desiderio (il desiderio materiale ci allontana da ananda). Quando finalmente volgiamo l’attenzione all’interno comincia il processo di auto-conoscenza che, per il praticante, è sentito come un intensificarsi del chit. Per questo molti parlano di diversi livelli di coscienza o di consapevolezza. Anche se, di per sé, sat chit ananda è immutevole, i ‘gradi’ con cui noi ne siamo consci e lo manifestiamo sono relativi. Al praticante esperto, sotto l’aspetto fenomenologico, risulta di aver raggiunto un ‘maggior grado di contatto con chit’, oppure ‘un livello di contatto più profondo’ con chit. Questo è essenziale per rispondere alla domanda, in modo pratico, perché solo quando riusciamo a restare ancorati, anche temporaneamente, a chit, alla coscienza pura o allo Spirito Santo, scopriamo la profonda pace che sorpassa ogni intelligenza, l’ananda. Per arrivare a questo prima deve salire al conscio la realizzazione della nostra vera natura. La meditazione è il percorso verso di essa. Una volta resa conscia la nostra natura, risulta possibile dimorarvi. Piano piano, quando il dimorare si farà sempre più naturale per noi, ci stabiliremo anche nell’ananda, che è l’ultima a stabilirsi permanentemente. Fino a quando non avremo perfetta meta-coscienza della nostra reale natura sarà inevitabile avere a che fare sia con il conscio che con l’inconscio. Avere delle fasi un po’ piatte ed altre molto intense in cui ‘perdiamo la pace’. Le ultime due fasi in cui ci si purifica dall’inconscio sono talmente intense da essere chiamate ‘notti’.
Ammiro la rigorosità nell’esposizione filosofica ma devo dire che l’accetto in pieno solo quando ad esporla è qualcuno che veramente dimora nel sat chit ananda in modo spontaneo e naturale, perché, in quel caso, è una vera e propria ‘istruzione sacra’ che può cambiarci nel profondo. Per chi, come noi, è ancora in viaggio, meglio essere pratici e capire che, sotto il punto di vista relativo, a parte il sat, che è in tutti perfettamente uguale, la conoscenza (chit) del sat varia tantissimo e che la maggioranza ne è conscia solo a livello fenomenale. Per farmi capire meglio riformulo: tutti sappiamo di esistere ma nessuno di noi sa davvero chi è. La conoscenza deve rivolgersi a se stessa per scoprirlo. Si deve conoscere se stessi fino a rendere conscia la nostra vera natura e poi, restarci quanto più possibile, per renderla meta-conscia. Questo si intende per ‘stabilità nella saggezza’ e questa solo è la manifestazione completa del sat-chit-ananda, sia sentita dal praticante che manifesta al mondo.
L’evoluzione non ci chiede altro che questo. Non ci chiede di cambiare i nostri destini con la volontà dell’ego, piuttosto ci dà una missione attraverso la quale evolvere interiormente la capacità di auto-attenzione fino a manifestare l’infinito potenziale, che è l’unico in grado di cambiare le sorti dell’umanità. Ritiriamo l’attenzione fino alla sua fonte e il resto accadrà da sé.
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industrialpoetry · 10 months ago
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last night i brought him / to the final resting place / of his soul / he was tuned just right for metempsychosis/ but he said no more honey / and i said my goodbyes as i / shifted the amplitude of his echoes outside of the spectrum of souls
i lived this dream / wish you were there too o dearest / as a psychopomp it was strange / to grant that wish of absence / that wish of non existence / sated peaceful smiling void / a door to let identity go and / lose form
as the modulation lost track / of him of this waveform that was only his / as i let it go thin vanishing and then absent / i felt fear and / i felt envy / desire for that peaceful departure
there is time / that was but a dream self working / farewell friend / you will remain in our memories until the last one fades away
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talonabraxas · 4 months ago
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Satchitananda ॐ Talon Abraxas
Satchitananda is the compound used to indicate the nature of awareness (brahman), or the self (atman).
It is important to understand, however, that…
Sat is not the limited existence of ephemeral objective phenomena.
Cit is not the consciousness of perceptible objective phenomena.
Ananda is not the emotional bliss/happiness/enjoyment associated with the experience of objective phenomena.
Sat-chit-ananda indicates limitless conscious existence.
We know the nature of the self (atma) is conscious existence because existence is only recognized as such due to consciousness of it — and consciousness is self-evidently existent.
We know that conscious existence is limitless because all objective phenomena are only recognizable due to their existence within a “field” of conscious existence.
Even time and space (the fundamental parameters by which objects are defined) are objects whose existence is only recognizable due to their appearance within a “field” of conscious existence.
Thus that “field” of conscious existence itself must be beyond (i.e., not subject to) all limiting parameters and, thus, limitless.
This “field” of limitless conscious existence is referred to as the self (ātmā) — because it is the fundamental reality, or essential aspect, of all things.
And since there can be only ONE fundamental reality — thus the fundamental reality of the total must be the fundamental reality of the apparent individual. Since the apparent individual is a part of the total.
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tamblr · 1 year ago
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Intro to Tantric Shaivism
Shiva as a god is someone who has been deeply influential in my personal spiritual journey. From watching both Lord Ram and Ravana pray to him to seeing the relationship between Shiva and Shakthi, I was always intuitively fascinated by him and that led naturally to intellectual curiosity. In the previous write up I had summarised the meaning of Tantra, this is a small introduction to Shaivism. 
Shaivism is the worship of Lord Shiva as the supreme being. It is an ancient Hindu sect that is an amalgamation of pre Vedic and Vedic traditions. As such, some scholars have dated the sect to the Indus Valley civilisation at 2500-2000 BCE. 
Shaivism has many schools of thought, two of the most popular ones being: Saiva siddhanta and Kashmiri Shaivism from which we will draw most of the metaphysics, philosophy and cosmology from but first…
Who or what is Shiva? 
The answer to this question itself could be a series all on its own but here’s two etymologies from two of the most ancient languages: Tamil and Sanskrit.
I was reading this incredible novel called Kottravai where the author describes the etymology of the word, Sivam, this is my very rough translation of the tamil text, “from the word meaning, life (Siivam), the people named their lord sivam”. From sivam comes siivan, more predominantly pronounced as jiivan meaning soul or living being. 
Indeed, one of the most ancient names of the lord is pasu-pati, lord (pati) of animals (pasu). In Saiva Siddhanta, pasu is has a further meaning of soul so the lord of souls. 
According to Monier-Williams, the Sanskrit word "Shiva" means "auspicious, propitious, gracious, benign, kind, benevolent, friendly". The root words of shiva in folk etymology are śī which means "in whom all things lie, pervasiveness" and va which means "embodiment of grace”.
While the Tamil etymology talks about who he is, the Sanskrit one gives a description of his characteristics. 
But what is he? 
He is sat-cit-ananda (being-consciousness-bliss). Or more succinctly, the universal consciousness. Kashmiri Shaivism talks about the universal consciousness as having two characteristics: prakasa (light) and vimarsa (reflective awareness) and talks about the universal consciousness as being the efficient cause whose effect is the vibration of consciousness (spanda). Here it should be noted that cause and effect are reciprocal processes where cause leads to effect and effect back to cause.
While we talk about Shiva as masculine, it is important to note that Shiva and Shakthi are a dual principle, like two sides of the same coin where Shakthi is the instrumental cause whose effect is pure energy (kundalini Shakthi). Symbolised in Ardhanadishwara.
Similarly, while Shaivism and vaishnavism are at odds with each other in many aspects, the old name for Visnu in the Tamil was Mayon, the personification of Maya (material reality, illusion) and Shaivite traditions agree that Maya is another aspect of Shakthi. The duality of Shiva and Vishnu is symbolised in Hari-Hara.
Proof of existence 
Saiva siddhanta, a school popular in South India is a philosophical school that is based on theistic realism and therefore offers a rational argument for why the universal consciousness should exist. The proof first begins with 3 laws:
All existing things have arisen and must at some time be destroyed. 
Law I, to the thesis that the world in its entirety must have been created at one point of time, and, again at one point of time, will in its entirety be destroyed; the world has a beginning and an end. 
Everything that gets destroyed must arise again; something that exists cannot become a nothing. 
Law 2, that the world's history will not end with its destruction, but that after a certain time it will be created anew out of itself; a new world-creation will follow a world- destruction. 
Whatever arises must have existed before; a nothing can't turn into an existent something
Law 3, that an eternal living something must form the basis of this world, out of which it was created, and into which it will at some time be resolved, and from which it will at another time again be created.
But why Shiva?
Why is Shiva the personification of the universal consciousness? The answer given is quite simple. 
There is a popular Tamil saying: ‘Anbe Sivam’ which means ‘love is Shiva’ or ‘shiva is love’. To quote from Saiva siddhanta: “You must worship what engages your love, you disciples of advaita.” Advaita means non-duality of subject and object and talks about the relationship between the individual soul and the divine. So from their perspective, anything that fuels your love is your personification of the divine and for Shaivites due to the history, culture and religion, Shiva is who engages their love and hence their devotion.
This is where the idea of Tantra comes into play. ‘The exploration of the inner cosmos is Tantra that helps one discover the inner architecture of one’s self and its relationship with the outer world.’ Tantric Shaivism is essentially the exploration and recognition of the soul and its relationship to Shiva, the personification of the universal consciousness.
Why use a personification?
the soul has three faculties: knowledge, will, action 
it needs something to lean on, which it then imitates and assimilates
its faculties need to be set in motion by some impulse from outside.
When you love something, you desire to understand it, be with it and you immerse your thoughts in it. In other words, you develop devotion. This is what you lean on. The qualities of the personification of the universal consciousness as being auspicious, benevolent, full of grace enable the soul to be able to imitate it and assimilate with it. This love is fuelled by culture, mythology and other personal experiences unique to each individual so theology helps set in motion the faculties of the soul. 
Knowledge - Knowledge can roughly be of two types: intellectual knowledge and instinctual knowledge. Instinctual knowledge is brought about by faith and the faith is strengthened through intellectual knowledge gathered from reading scripture, philosophy etc. Sometimes instinct can give rise to intellectual curiosity and other times intellectual exploration can give rise to a deity that is instinctually recognised by the soul. 
Will - the will is simply the ability of a person to concentrate completely on the divine and is fuelled by devotion and resilience of one’s faith and this initiates action.
Action - action is the performance of inner (meditation, chanting mantras) and outer (puja, yoga) rituals acting as a symbolic union from which the actual union with the divine occurs
One of my main resources was the book Saiva Siddhanta: An Indian School of mystical thought in addition to other resources which I would be happy to link if anyone is curious.
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tides-of-truth · 1 month ago
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Part 2/2 of—
If you have tasted some real peace- it is a duty to care & work for the restoration & return of peace to all on Earth
Being is Sat-Cit-Ananda, therefore, the will for the creation is evolution of the expression & narrative of Consciousness towards increasing wholeness, bliss, peace & joy for everyone.
There is ultimate Truth & the Laws of Truth, through which Nature & world is regulated, so that ultimate Truth is reflected in Nature & world, as beauty, the good, the just etc. so that happiness, wellbeing & peace is the result for all living, breathing creatures.
If Nature— our primary environment, MOTHER, is engaged & exchanged with according to the laws of Nature-balance, is maintained - & there is then a place for all within the holy circle of MOTHER. The exchanges of energy flows are then relational by Nature, & reciprocity operates lawfully & naturally for all to partake in.
The moment someone takes or gets more, than lawfully needed, others must necessarily be denied. Accumulation of personal wealth is not of the Nature, of the primordial, Ancient & Natural, MOTHER, communal culture, that is the true template (temple) for regulation of energy flows (Shakti) on this Earth. This is holy MOTHER economics— based on energetic flows, through Nature, Earth & Living human bodies— in a vast interconnected circle & ecological balancing.
Patriarchy is a system that rose as the human mind became ever more separated from Nature- primary environment & the MOTHER, that is the nourisher. As the human mind became more collapsed & closed off & possessed of itself- it also feared for its survival— it had to tame & control MOTHER & Nature, by subduing the feminine wild Nature, of energy & forces of Nature, unpredictability, spontaneity & seasonality.
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arjuna-vallabha · 2 years ago
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Pradhanikam Rahasyam, Size: 15"x 8", Medium: Gouache on Rice Paper
महासरस्वती चिते महालक्ष्मी सदात्मके।
महाकाल्यानन्दरूपे तत्त्वज्��ानसुसिद्धये।।
अनुसन्दहष्मे चण्डि वयं त्वां हृदयाम्बुजे।।
Mahasarasvati is Cit (Consciousness), Mahalakshmi is Sat (Existence) and Mahakali is Ananda (Bliss). O Candi, such being Your nature, I meditate upon You in my heart to attain enlightenment.
Text and art by  Arghya Dipta
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blessed1neha · 2 years ago
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What is the best definition of God?
In the Vedas it is said, parasya saktir vividhaiva sruyate: “The varieties of energy of the Supreme Personality of Godhead are differently known." So let’s look at some of those varieties.
First off, God is the personal aspect of The Absolute Truth which encompasses the Supreme controller, the living entities, the spiritual and material universes, time and activity.
He is the original cause of all causes, an undifferentiated entity as there is no distinction between potency and the possessor thereof. He is the absolute substantive principle being the ultimate entity in the form of the support of all existence both natural and supernatural.
By necessity He is the origin, reservoir and possessor to an unlimited degree of all: Beauty. Knowledge. Wealth. Fame. Power. Renunciation.
From the personification of the Absolute Truth are manifest multifarious potencies, too many to list here, but the first group can be broken into three separate categories.
The hlādinī-śakti, or pleasure potency,
The sandhinī-śakti, or existential potency,
The samvit-śakti, or cognitive potency.
In short they are termed sat – cit –ananda. Eternity, knowledge and bliss.
Although Sri Krishna is one without a second, He has His own multiple forms corresponding to the degree and variety of His subjective manifestations. The subjective entity of Sri Krishna undergoes no transformation. His different forms are, therefore, aspects of the one form manifesting Themselves to the different aptitudes of His devotees.
The power of Sri Krishna is evidently transformable by His will. These transformations of power in the cases of the antaranga and tatastha shaktis are eternal processes. In the case of the bahiranga shakti the transformations of power are temporary manifestations. The phenomenal world is the product of the external power of Sri Krishna. The Absolute Realm is the transformation of the internal power. Individual souls are the transformations of the marginal power.
To clarify the differences I will elaborate a little on these three potencies/powers.
Antaranga-shakti
Antaranga is that which pertains to the proper entity of the Absolute Person. It is also called Swarupa-shakti for this reason. The literal meaning of the word antaranga is "that which belongs to the inner body." Shakti is rendered as "power."
Tatastha-shakti
Tatastha means literally that which is on the borderline as between land and water. This intermediate power does not belong to any definable region of the person of Sri Krishna. It manifests itself on the borderline between the inner and the outer body of the absolute and constitutes all the marginal living entities that may or may not be under the control of the Lord’s illusory potency Mahamaya.
Bahiranga-shakti
The power that manifests itself on the outer body is, bahiranga-shakti.
Because there is no distinction of quality between the body and entity of the absolute person - God - the distinctions as between the inner, outer and marginal positions of His body are in terms of the realization of the individual soul. Through the agency of the three modes of nature plus time, the Supreme Lord creates, regulates, maintains and destroys all activity of material nature.
Within the material universe the SupremeLord is manifest in His different avatars.
(1) the purusa-avatara,
(2) the lila-avatara,
(3) the guna-avatara,
(4) the manvantara-avatara,
(5) the yuga-avatara,
(6) the Saktyavesa-avatara.
He is also present in His unmanifest form as Paramatma who resides within the atoms, and within the heart of all living entities. Leaving aside the entire material creation and the varieties of different manifest energies which modern science is gradually discovering and documenting, we should understand that God appeared personally in this material world in five different features 530 years ago. The Pancatattva manifest in Sridham Mayapur for the edification of those interested. Panch means five and tattva means truth. So the manifestation of Sri Pancatattva was to exhibit the five truths of the Supreme Personality of Godhead.
In his Anubhasya commentary Sri Bhaktisiddhanta Sarasvati Thakura describes the Panca-tattva as follows:
The supreme energetic, the Personality of Godhead, manifesting in five kinds of pastimes, appears as the Panca-tattva. Actually there is no difference between them because they are situated on the absolute platform, but they manifest different spiritual varieties as a challenge to impersonalists to taste different kinds of spiritual humors (rasas).
From this statement of the Vedas one can understand that there are eternal varieties of rasas, or tastes, in the spiritual world. Sri Gauranga, Sri Nityananda, Sri Advaita, Sri Gadadhara and Srivasa are all on the same platform, but in spiritually distinguishing between them one should understand that:
Sri Caitanya Mahaprabhu is the form of a devotee,
Nityananda Prabhu appears in the form of a devotee’s spiritual master,
Advaita Prabhu is the form of a devotee incarnation,
Gadadhara Prabhu is the energy of a devotee,
Srivasa is a pure devotee.
Thus there are spiritual distinctions between them. The bhakta-rupa (Sri Caitanya Mahaprabhu), the bhakta-svarupa (Sri Nityananda Prabhu) and the bhakta-avatara (Sri Advaita Prabhu) are described as the Supreme Personality of Godhead Himself, His immediate manifestation and His plenary expansion, and They all belong to the Visnu Tattva category.
Although the spiritual and marginal energies of the Supreme Personality of Godhead are non-different from the Supreme Personality of Godhead Visnu, they are predominated subjects, whereas Lord Visnu is the predominator. As such, although they are on the same platform, they have appeared differently in order to facilitate tasting of transcendental mellows. Actually, however, there is no possibility of one being different from the other, for the worshiper and the worshipable cannot be separated at any stage. On the absolute platform, one cannot be understood without the other.
Sri Nityananda Prabhu is the immediate expansion of Sri Caitanya Mahaprabhu as His brother. He is the personified spiritual bliss of sac-cid-ananda-vigraha. His body is transcendental and full of ecstasy in devotional service.
Sri Caitanya Mahaprabhu is therefore called bhakta-rupa
Sri Nityananda Prabhu is called bhakta-svarupa
Sri Advaita Prabhu, the incarnation of a devotee, is visnu-tattva and belongs to the same category.
There are also different types of bhaktas, or devotees, on the platforms of:
Neutrality. Servitude. Friendship. Parenthood. Conjugal love.
Devotees like Sri Damodara Swarupa, Sri Gadadhara and Sri Ramananda Raya are different energies. This again confirms the Vedic sutra parasya saktir vividhaiva sruyate “The varieties of energy of the Supreme Personality of Godhead are differently known.”
All these bhakta subjects taken together constitute Sri Caitanya Mahaprabhu, who is Krsna Himself, who is the Supreme Personality of Godhead, or God for short.
Because this condensed definition of God is largely incomprehensible to the average man or woman it is seldom presented. Instead, “A loving father who created everything and reaches out to individuals through His representative,” is more popular and, in fact, is enough for a person with unshakable faith, a connection with a genuine representative, and sincere determination to abide by the spirit of the representative’s instructions.
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vivekkumar66335 · 9 months ago
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purpose of life
The purpose of the life is the realization of the experience of Absolute Existence, which is the highest fulfillment all the aspirations of the whole of creation
Panchdasi as the name suggest this text, "consisting of 15 Chapters grouped into three quintads. This is very much like the three aspects of Brahman – sat (existence), cit (consciousness) and ananda (bliss), respectively
Viveka-panchaka (व��वेक-पञ्चक,  (dealing with the discrimination of the real from the non-real): Understanding the nature of reality (Viveka) which distinguishes from external world (जगत, jagata) consist of the five elements -Ether, Air, Fire, Water and Earth and individual (Jiva) consisting of the five sheaths – Annamaya (अन्नमय, annamaya, Physical), Pranamaya (प्राणमय , prāṇamaya, Vital), Manomaya ( मनोमय, manomaya, Mental), Vijnanamaya  Intellectual) and Anandamaya
 Pure spirit is encased with five sheaths to delude individual soul as self. Cosmology of creation is described similar to Samkhya  philosophy stating the relationship between pure consciousness (Brahman) with material universe.
.
Dipa-panchaka  (expounding the nature of the Self as pure consciousness) : The second set of five chapters through light (Dipa) on the Pure Consciousness (Brahman) as the only Reality with Existence (Sat). God (Isvara), World (Jagat) and Individual (Jiva) are described in detail with their mutual relationship.
 Theory of perception and process of the ascent of the Jiva to its supreme goal, liberation from Maya (illusion) to unite with Brahman the Absolute. Meaning and method of meditation the way to  contact with Reality is also described in very lucid and candid discourse.
Ananda-panchaka(dwelling on the bliss-nature of Brahman): The last five chapters go into details of Brahman as pure Bliss (Ananda). This is not worldly happiness but complex dissolution into eternal pleasure.
 Duality of Jiva and God merging into one Consciousness and Existence.
 This Atman ( Brahman) is the source of ultimate happiness the purpose of human life.
Vidyaranya has succeeded in an eminent way in setting forth the essentials of Advaita which holds that the direct means to release is the path of knowledge (jnana), and as moksa is the very nature of the Self, it is not an experience which is to be brought about through works (karma) ".
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crdenhart · 1 year ago
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Religious Reflections - Luke 17:20-37
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06/07/2023
Today’s designated Gospel reading from the Book of Common Prayer is Luke 17:20-37. The text of this passage is as follows from the NRSVue edition of the Bible:
(20) Once Jesus was asked by the Pharisees when the kingdom of God was coming, and he answered, “The kingdom of God is not coming with things that can be observed, (21) nor will they say, ‘Look, here it is!’ or ‘There it is!’ For, in fact, the kingdom of God is among you.”
(22) Then he said to the disciples, “The days are coming when you will long to see one of the days of the Son of Man, and you will not see it. (23) They will say to you, ‘Look there!’ or ‘Look here!’ Do not go; do not set off in pursuit. (24) For as the lightning flashes and lights up the sky from one side to the other, so will the Son of Man be in his day. (25) But first he must endure much suffering and be rejected by this generation. (26) Just as it was in the days of Noah, so, too, it will be in the days of the Son of Man. (27) They were eating and drinking and marrying and being given in marriage until the day Noah entered the ark, and the flood came and destroyed all of them. (28) Likewise, just as it was in the days of Lot, they were eating and drinking, buying and selling, planting and building, (29) but on the day that Lot left Sodom it rained fire and sulfur from heaven and destroyed all of them; (30) it will be like that on the day that the Son of Man is revealed. (31) On that day, anyone on the housetop who has belongings in the house must not come down to take them away, and likewise anyone in the field must not turn back. (32) Remember Lot’s wife. (33) Those who try to make their life secure will lose it, but those who lose their life will keep it. (34) I tell you, on that night there will be two in one bed; one will be taken and the other left. (35) There will be two women grinding meal together; one will be taken and the other left.” (37) Then they asked him, “Where, Lord?” He said to them, “Where the corpse is, there the eagles will gather.”
ANALYSIS:
In the first part of this passage, Jesus says, “The kingdom of God is AMONG you.” Other translations have Jesus say, “The kingdom of God is WITHIN you,” providing a clearer understanding of this teaching. One can find within himself or herself through contemplative prayer or meditation union with the Divine. This message ties in with the Hindu concept of “sat-cit-ananda” or its English equivalent “existence-consciousness-bliss.” It is the Ultimate Reality and the way one can most easily experience God at will. By tapping into this ocean of divine bliss regularly, one can raise his or her level of consciousness and thus create a better reality for himself or herself.
The later part of this passage focuses on what happens when the end times come. The stories of Noah and Lot are referenced in this section to emphasize how much more severe the end times will be. The moral of these apocalyptic stories is that those who are most devoted to God and not engaged in the wickedness of the world are the only ones who will be saved from total annihilation.
CALL TO ACTION:
My call to action from this passage is to learn and practice meditation and/or contemplative prayer. These activities will deepen your connection with the divine and help enliven your spirit, mind, and body. Transcendental Meditation, brought to the West by Maharishi Mahesh Yogi, is the best type of meditation I recommend. It is effortless to practice and can be easily learned by a certified teacher at a local TM center, who will provide you with incredible information on the subject. I also recommend reading the medieval book The Cloud of Unknowing which is a guide to contemplative prayer. Paramahansa Yogananda, the founder of the Self-Realization Fellowship, also has several helpful books on how meditation/yoga connects to Christ’s teachings.
My other call to action is to prepare for the end times. This does not necessarily mean to become a “survival nut,” but you should have some kind of plan in place for how you and your family will stay safe if a catastrophic event were to occur. From a spiritual standpoint, prepare yourself for your own eventual bodily death. Every so often meditate on your eventual demise and what you should do to make sure you move on peacefully and leave a good legacy.
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shinymoonbird · 2 years ago
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🕉️ 🔱  Om Namo Bhagavate Sri Arunachala Ramanaya   🔱 🕉️
The Paramount Importance of Self Attention, by Sri Sadhu Om, As recorded by Michael James
Part Three - Mountain Path: April-June 2012 - Excerpt
Note of 23rd December 1977
'How can we live a pure life in this world?'
Sadhu Om:  Once a PWD inspector asked Bhagavan, 'How can we live a pure life in this world?' and he replied, 'You know the nattan-kal [a standing stone fixed at a road junction] we have in our villages [in the Madurai district]. See  how many uses it has: villagers place their head-loads on it when they take rest, cows use it as a scratching-post, betel-chewers wipe their surplus chunnambu [lime-paste] on it, and others spit on it. We must live in this world like those nattan-kals.'
It is only in our view that Bhagavan appears to be compassionate. He actually has no compassion, because compassion entails the existence of others, and in his view there are no others. However, it is also true to say that he has perfect compassion, because he loves us all as himself, so he truly suffers with each of our sufferings. See the paradoxical nature of self-knowledge. It reconciles irreconcilable opposites. It makes having no compassion the same as having perfect compassion. Who can understand the state of self-knowledge?
'Love is our being, desire is our rising'. Love wants oneness, desire wants manyness. The movement of love is towards oneness, and of desire is towards manyness. Love is ever self-contented, desire is ever discontented. The fulfilment and perfect state of love is self-love (svatma-bhakti), which is the experience of absolute oneness, but desire can never be fulfilled.
Therefore all yogas or sādhanās aim towards oneness (which is sometimes called 'union' with God or the reality), and one-pointedness of mind is their vehicle. Sādhanā is a growth from desire to love, and self-love is the driving force behind this growth. The development of this growth towards love leads the aspirant to love just one God or one guru, which is the highest form of dualistic love, and the most effective aid to develop perfect self-love.
The guru shows the aspirant that the only means to achieve perfect self-love is self-attention. The aspirant therefore eagerly practises self-attention, but until his practice blossoms into true self-love, he continues clinging to his guru as the object of his love. His guru-bhakti is the stay and support that steadies and strengthens his growth towards self-love. This is the state that Bhagavan describes in verse 72 of Aksaramanamalai:
Arunāchala, protect [me] as a support to cling to so that I may not droop down like a tender creeper without support.
The aspirant's love for and faith in his guru constantly drives him back to self-attention, which is the path taught by the guru, and as a result he comes to be increasingly convinced that his own self is the true form of his guru. Thus his dualistic guru-bhakti dissolves naturally and smoothly into non-dualistic svātma-bhakti [love for self alone], which is his true nature. One-pointed fidelity to the guru and his teachings is therefore an essential ingredient in sādhanā, and it alone will yield the much longed for fruit of self-knowledge.
In Sri Arunāchala Stuti Panchakam Bhagavan teaches us the true nature of guru-bhakti. For example:
Arunāchala, when I took refuge in you as [my only] God, you completely annihilated me. (Aksaramanamalai verse 48)
... Is there any deficiency [or grievance] for me? ... Do whatever you wish, my beloved, only give me ever-increasing love for your two feet. (Navamanimalai verse 7) 
What to say? Your will is my will, [and] that [alone] is happiness for me, lord of my life. (Patikam verse 2)
It is necessary to attempt to practise self-attention before one can possibly write commentaries on or translate Bhagavan's works. Only *--by repeatedly trying and failing can one begin to understand his teachings.
Take for instance the first sentence of Ulladu Narpadu: 'Except what is, does consciousness that is exist?' To a mind that is unaccustomed to the practice of self-attention this will seem a very abstract idea, because the first word ulladu ['what is' or existence] will immediately suggest the existence of things, so such a mind will understand this sentence to mean, 'Unless things exist, can they be known?' But Bhagavan is always pointing to self, so by the word ulladu he means nothing other than 'I', which is the sole reality, that which alone actually exists.
However this will be immediately understood only by those who are well-soaked in the practice of self-attention. Such a person will understand this sentence to mean, 'Other than what is [namely 'I'], can there be any consciousness of being [any awareness 'am']?' which they will understand as implying, 'My self-awareness [cit] is not other than my being [sat]'. It is so simple, but to ordinary people it seems abstract.
All scriptures and gurus aim at drawing our attention to ourselves, but as I said in the first part of The Path of Sri Ramana, up till now they have all started by conceding to our ignorant outlook of taking the ego to be real, and so they start their teaching from that perspective. But why not start from the source — from what is actually real? Bhagavan was a revolutionary, so he never conceded that our viewpoint was correct, but instead always pointed directly to the one selfevident reality, 'I am'.
Nowadays people have so many strange ideas about yoga, but in Ulladu Narpadu Bhagavan has given us a clear idea of what real yoga actually is.
It is to Muruganar that we owe the composition of Ulladu Narpadu. If it were not for him those twenty-one verses would have been ignored [a reference to the twenty-one stray verses composed by Bhagavan that Muruganar gathered together and asked him on 21st July 1928 to enlarge upon to form a work revealing the nature of reality and the means by which we can experience it, which prompted him to compose during the next three weeks Ulladu Narpadu, in which eventually only three of the original twenty-one verses were included (namely verses 16, 37 and 40), leaving the other eighteen to be relegated to the supplement (anubandham). Bhagavan was so confident of the power of his silence that he took no initiative to write or record his teachings, so it is to Muruganar that we owe the composition and compilation of the three principal sāstras [scriptural texts] containing Bhagavan's philosophy, namely Upadesa Undiyar, Ulladu Narpadu and Guru Vachaka Kovai.
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Arunachala - Unnamalai and Annamalai
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santoschristos · 2 years ago
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Brahman In Hinduism, Brahman refers to the supreme cosmic power, ontological ground of being, and the source, goal and purpose of all spiritual knowledge. Non-Hindus often translate Brahman as “God,” but this is inaccurate. According to Hinduism, Brahman is said to be ineffable and higher than any description of God in personal form. Many philosophers agree that Brahman is ultimately indescribable in the context of unenlightened human experience. Nevertheless, Brahman is typically described as absolute truth, consciousness, and bliss (Sat Cit Ananda) as well as eternal, omnipotent, omniscient, and omnipresent.
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sophiaepsiche · 3 years ago
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Nāṉ Ār?
Paragrafo 2. Spiegazione di Michael James del secondo paragrafo del ‘Chi sono io?’ di Ramana Maharshi.
Chi sono io? Lo Sthūla dēha [il corpo fisico o 'grossolano'], che è [composto] dai sapta dhātus [i sette costituenti, vale a dire chilo, sangue, carne, grasso, midollo, ossa e liquido seminale], non sono 'io'. I cinque jñānēndriyas [organi di senso] quali orecchi, pelle, occhi, lingua e naso, che individualmente [e rispettivamente] conoscono i cinque viṣayas ['domini' di percezione sensoriale], quali suono, tatto, [struttura e altre qualità percepite dal tatto], forma [figura, colore e altre qualità percepite dalla vista], gusto e odorato, anche non sono 'io'. I cinque karmēndriyas [organi d’azione], quali la voce, i piedi [o gambe], mani [o braccia], ano e genitali, che [rispettivamente] compiono le cinque azioni del parlare, camminare, dare, defecare e godere [sessualmente], anche non sono 'io'. I pañca vāyus [i cinque 'venti', 'arie vitali' o forze metaboliche], cominciando con prāṇa [respiro], che esegue le cinque funzioni [metaboliche], partendo dalla respirazione, anche non sono 'io'. La mente, che pensa, anche non sono 'io'. L'ignoranza, [l'assenza di tutta la conoscenza dualistica] che è combinata solo con i viṣaya-vāsanās [tendenza a sperimentare gli oggetti di percezione sensoriale] quando tutti i viṣayas [percezioni] e tutte le azioni cessano [come nel sonno], anche quella non è 'io'. Avendo eliminato ogni cosa menzionata come non 'io', non 'io', l'aṟivu [la conoscenza o consapevolezza] che solo resta, soltanto è 'io'. La natura di [questa] conoscenza ['io sono'] è sat-cit-ananda [essere-consapevolezza-beatitudine].
(Nan ar paragrafo 2)
(Trascrizione dei sottotitoli del video di Michael James. Ho omesso le domande e risposte, se preferite vederlo ecco il link diretto al video)
 MICHAEL JAMES: Questo paragrafo è il secondo paragrafo del Nāṉ Ār?, contiene le risposte che Bhagavan diede alle prime due domande di Sivaprakasam Pillai. Bhagavan ha evidenziato le sue risposte in grassetto.
 La prima domanda è: ‘நானார்?’ (nāṉ-ār?), ‘Chi sono io?’. In caso sorgano dubbi sul titolo dell’opera, dato che di solito lo trovate scritto Nāṉ Yār?, sappiate che in realtà sia il saggio scritto da Bhagavan, che la maggior parte delle versioni con domande e risposte, sono intitolate: Nāṉ Ār?. In Tamil ‘ār’ e ‘yār?’ significano entrambi ‘chi’, ma dopo una consonante è più eufonico usare ‘ār’. Se diciamo ‘Nāṉ Yar?’, il suono ‘i’ sembra forzato. Mentre ‘Nāṉ Ār?’ in Tamil è più eufonico (scorre di più). Ecco perché è intitolato Nāṉ Ār?.
 Dunque, la prima domanda di Sivaprakasam Pillai fu: ‘Nāṉ ār?’ (‘chi sono io?’). E Bhagavan a quei tempi (per quel che ne sappiamo) non parlava o parlava molto poco. Le risposte che dava per lo più le scriveva sulla sabbia, a volte Sivaprakasam Pillai gli dava lavagna e gesso e Bhagavan scriveva lì o gli dava dei pezzi di carta e Bhagavan scriveva lì. Dunque la maggior parte delle risposte di Bhagavan nel Nāṉ Ār? furono scritte proprio da lui (in risposta ai quesiti di Sivaprakasam Pillai).
 La prima cosa che chiese Sivaprakasam Pillai fu:  ‘Chi sono?’, e la risposta di Bhagavan fu semplicissima: ‘அறிவே நான்’ (aṟivē nāṉ). ‘அறிவே நான்’ (aṟivē nāṉ) significa: ‘solo la consapevolezza è io’
 Dopo Sivaprakasam Pillai chiese: ‘qual è la svarūpa di aṟivu? [Qual è la natura di questa consapevolezza?].
Bhagavan rispose: ‘சச்சிதானந்தம்’ (saccidāṉandam).
 Tutto il resto di questo paragrafo fu aggiunto da Sivaprakasam Pillai, per suo stesso chiarimento.
 Il Nāṉ Ār? (sebbene queste risposte di Bhagavan a Sivaprakasam Pillai risalgono ai primissimi tempi [il 1901 o 1902]) le note di Sivaprakasam Pillai sulle risposte di Bhagavan rimasero nei suoi quaderni. Non pensò a pubblicarle fino al 1923, quando scrisse una breve biografia di Bhagavan in versi Tamil (in realtà un unico verso lungo, con la biografia di Bhagavan). Lì incluse alcune cose che Bhagavan gli aveva detto all’epoca e selezionò tredici domande e risposte (che mise in appendice, alla fine del libro). Quella fu la prima volta che venne reso pubblico che Bhagavan aveva dato risposte e che erano state annotate. Presto le persone cominciarono a chiedere: ‘Bhagavan ti ha dato altre risposte?’ Così la versione successiva, Sivaprakasam Pillai lo modificò diverse volte, ma la versione che venne pubblicata subito dopo (la prima pubblicata come opera a sé) conteneva tutte e 30 le domande e risposte, più alcune citazioni su vari argomenti, alla fine.
Dato che si rivelò molto utile, alcuni anni dopo Bhagavan, di sua stessa sponte, lo riscrisse in forma di saggio. Probabilmente nel 1926-27.
 Comunque, quando il manoscritto fu portato per la prima volta a Bhagavan, da Manickam Pillai (il nipote di Sivaprakasam Pillai, che viveva con lui e se ne occupava), quando, nel leggerlo, Bhagavan arrivò a questo paragrafo, disse: ‘perché c’è scritto questo, qui? Io non ho detto queste cose’. Manickam Pillai spiegò:
‘Beh, Sivaprakasam Pillai l’ha aggiunto per suo beneficio e ha pensato che poteva essere utile’. Allora Bhagavan disse: ‘sì, sì, lui ha studiato filosofia, pertanto sa tutte queste cose. Se è stato utile a lui, potrebbe esserlo ad altri.’ Bhagavan lo lasciò, anche nel suo saggio, ma lì Bhagavan evidenziò le sue risposte in grassetto, le volle in grassetto. Nel manoscritto originale l’aveva sottolineata in rosso e quando fu stampato, lo misero in grassetto. Così il paragrafo adesso è composto prima dal quesito: ‘chi sono?’ poi c’è l’aggiunta di Sivaprakasam Pillai. Di cui la prima frase è:
 ‘ஸப்த தாதுக்களா லாகிய ஸ்தூல தேகம் நானன்று’
(sapta dhātukkaḷāl āhiya sthūla dēham nāṉ aṉḏṟu).
‘Lo sthūla dēha [il corpo fisico o materiale], che è [composto] dai sapta dhātus [sette dhātus] non è l’‘io’.
 I dhātus sono: chilo, sangue, carne, grasso, ossa, midollo e liquido seminale. Ma non sono elencati, li menziona solo, dice:  ‘ஸப்த தாதுக்களா’ (sapta dhātukkaḷāl), che vuol dire: ‘il corpo, che è [‘composto’ è sottinteso] da questi sette costituenti’.
 La prossima frase è sui cinque organi sensoriali. La frase dice:
‘I cinque jñānēndriyas [gli organi sensoriali] ossia orecchi, pelle, occhi, lingua e naso che individualmente [e rispettivamente] conoscono i cinque viṣaya.’ Viṣaya non è traducibile letteralmente in inglese. In molti contesti si può semplicemente tradurre con ‘fenomeno’ (ma vuol dire anche ambito, dominio). Qui sta per fenomeni sensoriali, cioè il suono, il tatto (ogni tipo di sensazione tattile,consistenza ed altre qualità percepite dal tatto: freddo, caldo, tutte le sensazioni tattili), forma (si riferisce alla visione, ciò che vediamo, la figura, il colore e altre qualità percepite grazie alla vista), gusto e olfatto. È tutta una descrizione dei cinque jñānēndriyas (cinque sensi) e questi non sono l’’io’: i cinque organi sensoriali non sono l’’io’.
 La prossima frase dice una cosa simile sui cinque karmēndriyas  (gli organi dell’azione), neanche loro sono l’’io’. E sono elencati: la bocca, i piedi (o le gambe), le mani (o le braccia), l’ano e i genitali, che (rispettivamente) compiono le cinque azioni; cioè parlare, andare (muoversi o camminare), dare, defecare e godere (intende sessualmente). Tutti questi cinque karmēndriyas non sono ‘io’.
 La seguente ha a che fare con il prāṇa, che si dice consistere di cinque pañca vāyus.  ‘Pañca vāyus’ letteralmente significa cinque ‘venti’ o ‘arie vitali’. Si riferisce ai diversi processi metabolici del corpo: non solo la respirazione, ma la digestione... non so (non ho dimestichezza con queste classificazioni) ma s’intendono tutti i processi metabolici e sono classificati in cinque gruppi: respirazione, digestione, battito cardiaco, ecc. Dunque: ‘Tutti questi cinque prāṇa neanche sono ‘io’... i cinque processi metabolici [forze metaboliche o vitali], non sono ‘io’.
 Poi la prossima frase è semplicissima:
 ‘நினைக்கின்ற மனமும் நானன்று’
(niṉaikkiṉḏṟa maṉamum nāṉ aṉḏṟu),
‘La mente che pensa neanche è l’‘io’.
 E poi la prossima... sta andando dalla materia più grossolana alla più sottile.
 La frase successiva è:
 ‘சர்வ விஷயங்களும் சர்வ தொழில்களு மற்று, விஷய வாசனைகளுடன் மாத்திரம்
பொருந்தியிருக்கும் அஞ்ஞானமும் நானன்று’
(sarva viṣayaṅgaḷum sarva toṙilgaḷum aṯṟu, viṣaya-vāsaṉaigaḷ-u���aṉ māttiram porundi-y-irukkum aññāṉamum nāṉ aṉḏṟu).
 ‘Quando tutti i viṣayas [ossia tutti i fenomeni] e tutte le azioni cessano [come nel sonno: dove non siamo consapevoli di nessun fenomeno, né siamo impegnati in alcuna azione], quando tutti questi cessano nel sonno, ciò che rimane è [secondo la tradizione è] ignoranza (ajñāna)’ [in questo contesto ajñāna significa assenza di consapevolezza dei fenomeni, che è ciò che rimane nel sonno], assieme ai viṣaya-vāsanās’. Di solito si dice che nel sonno rimane l’ānandamaya-kōśa o il kāraṇa śarīra. Cioè, rimane solo la forma più sottile dell’ego (in forma di kāraṇa śarīra). Questa è la spiegazione tradizionale del vēdānta. Bhagavan dà una spiegazione leggermente diversa, di cui parlerò dopo. Comunque ‘anche questa ignoranza che rimane nel sonno, non è l’‘io’’.
 Perché nessuna di queste cose sono ‘io’? Perché siamo lì in tutti e tre gli stati. Tutto ciò che appare e scompare, tutto ciò che esiste in uno stato, ma non negli altri stati, non può essere ciò che siamo in essenza.
 Nella frase dopo c’è l’approfondimento di Sivaprakasam Pillai alla prima risposta di Bhagavan  (che, come ho detto prima, è: ‘அறிவே நான்’ (aṟivē nāṉ): ‘solo la consapevolezza è io’).
 Lui aggiunge:
‘மேற்சொல்லிய யாவும் நானல்ல, நானல்ல வென்று நேதிசெய்து’. (mēl solliya yāvum nāṉ alla, nāṉ alla v-eṉḏṟu nēti-seydu).
 ‘Eliminando [o facendo neti: negando] ogni cosa menzionata come ‘non io, non io’,
 ‘தனித்து நிற்கும் அறிவே நான்’ (taṉittu niṟkum aṟivē nāṉm),
 ‘la consapevolezza che solo resta o rimane isolata, soltanto è ‘io’’
 Una cosa che Sivaprakasam Pillai ha chiarito grazie alla sua aggiunta è che Bhagavan dice che solo la consapevolezza è ‘io’, dobbiamo capire molto bene che intende Bhagavan; anche altrove Bhagavan fa una chiara distinzione tra la consapevolezza consapevole dei fenomeni (o consapevolezza che è consapevole di tutto il resto) e la semplice consapevolezza. Nel sonno, dice Bhagavan, rimane solo la pura consapevolezza. Quando non siamo consapevoli di altro, quello è lo stato di pura consapevolezza, quella è la nostra vera natura, ed è la consapevolezza a cui Bhagavan si riferisce qui. Ecco perché Sivaprakasam Pillai dice: quando tutti questi altri fenomeni (menzionati prima) sono messi da parte (come ‘non io’) ciò che rimane sola (in completo isolamento), quella pura consapevolezza soltanto è ‘io’, questa è l’implicazione.
 Poi chiese a Bhagavan: ‘Qual è la natura di quella consapevolezza?’ Bhagavan rispose semplicemente ‘சச்சிதானந்தம்’ (saccidāṉandam).
 Quando Bhagavan lo scrisse in forma di saggio unì la domanda di Sivaprakasam Pillai e la sua risposta in un’unica frase:
 ‘அறிவின் சொரூபம் சச்சிதானந்தம்’
(aṟiviṉ sorūpam saccidāṉandam),
 ‘la natura della consapevolezza è sat-cit-ānanda’.
 Sat-cit-ānanda: ‘sat’ vuol dire (in questo contesto), ‘sat’ in realtà è un participio che vuol dire ‘essente’ o ‘esistente’, ma è anche usato come nome, col significato di ‘ciò che davvero esiste: ciò che è reale’.  Ciò che davvero esiste è ‘sat’. Cit è ‘consapevolezza’, più o meno come arivu. Di nuovo, vuol dire pura consapevolezza e non la consapevolezza consapevole dei fenomeni. Quando rimaniamo solo in quella pura consapevolezza, che siamo realmente, che è la nostra vera natura (sat-cit), proviamo solo ānanda. ‘La natura di quella consapevolezza è ānanda: perfetta e pura felicità’. Come Bhagavan dice altrove ‘è solo quando la mente emerge che sembra esistere l’infelicità’. Nel nostro stato naturale (nel sonno), nessuno è triste (siamo contenti nel sonno); È solo quando la mente emerge che proviamo un mix di piacere e dolore, la felicità e l’infelicità. Come l’ha scritto qui Sivaprakasam Pillai è un po’ tecnico, per dirlo più semplicemente, i cinque involucri non sono ‘io’. I cinque involucri sono il corpo materiale (a cui fa riferimento nella prima frase): il prāṇa (la vita che anima il corpo), la mente (il manōmaya-kōśa),  l’intelletto (il ‘vijñānamaya kosha), e l’ānandamaya-kōśa, come lo si chiama solitamente, (anche detto kāraṇa śarīra), è chiamato ānandamaya-kōśa perché si dice essere ciò che rimane nel sonno. Ma Bhagavan ha chiarito questo punto nell’Uḷḷadu Nāṟpadu.
 Nel quinto verso dice:
 ‘உடல் பஞ்ச கோச உரு’ (uḍal pañca kōśa uru):
‘Il corpo è una forma composta da cinque involucri’.
 Quindi tutti e cinque sono inclusi nel termine ‘corpo’. Perché Bhagavan lo dice? Secondo Bhagavan, la natura dell’ego: non è altro che la falsa consapevolezza di sé: ‘io sono questo corpo’. Non siamo consapevoli di niente all’infuori di noi stessi, a meno che non percepiamo noi stessi come un corpo. Nello stato di veglia, confondiamo questo corpo per l’‘io’, e con i sensi del corpo percepiamo il mondo. Allo stesso modo, nel sonno, percepiamo un corpo come ‘io’, e con i cinque sensi di quel corpo percepiamo un mondo.
Ora, nella veglia, è chiaro a tutti che quel corpo che credevamo essere noi nel sogno era, in realtà, solo una proiezione mentale. Secondo Bhagavan questo corpo non è differente. Perché questo stato, percepito come stato di veglia è, in realtà, solo un altro sogno. E anche mentre sogniamo, percepiamo un mondo. Il mondo che percepiamo e il corpo che prendiamo per ‘io’, sembrano fisici. Sembrano essere... mh - sembrano reali finché siamo dentro al sogno. Se nel sogno siamo in una situazione pericolosa, il pericolo ci appare molto, molto vero. Se siamo in bilico su un precipizio siamo davvero, genuinamente, preoccupati di cadere. Anche se pensiamo – potremmo dire ‘oh no è solo un sogno’, ma rimane un concetto, per noi l’intera situazione è ancora del tutto reale in quel momento. Perché sembra reale? Perché scambiamo quel corpo nel sogno per noi stessi e, dato che noi siamo reali, anche quel corpo ci sembra reale (perché lo prendiamo per noi stessi). E dato che il corpo sembra reale (il corpo è parte del... il corpo è parte del mondo intero), allora il mondo intero sembra reale. Dunque la realtà che diamo al mondo, la realtà che diamo al corpo, sono la nostra stessa realtà, che super-imponiamo su di essi, equivocando il corpo con l’‘io’.
Così, in qualsiasi stato siamo, le cose che percepiamo in quello stato sembrano vere. Quando lasciamo uno stato, per andare in un altro stato simile, del precedente diremo: ‘oh, era solo un sogno, la mia immaginazione; questo è lo stato reale’. Bhagavan dice che questo non è più reale di un sogno. Ma mentre si sogna, il sogno sembra essere la realtà. Se avessimo questa conversazione in un sogno, ci riferiremmo al nostro stato come se fosse la veglia, perché è ciò che ci sembrerebbe essere. La spiegazione comunemente data nella filosofia Advaita è che il corpo che confondiamo per noi stessi nella veglia è lo sthūla dēha (il corpo fisico). Il corpo che percepiamo come noi stessi nel sogno è sūkṣma dēha (il corpo sottile). E l’ignoranza di cui facciamo esperienza nel sonno è il corpo causale. Il corpo causale è formato solo dai vāsanā (visaya-vāsanā: il desiderio di essere consapevoli di cose all’infuori di noi), che rimane in forma germinale nel sonno. Per Bhagavan, non è la spiegazione corretta. A volte, quando parlava a persone che avevano assimilato quel punto di vista, Bhagavan rispondeva come se l’accettasse ma rese molto chiaro (altrove) che il corpo che crediamo essere noi, nel sogno, e che ora chiamiamo corpo sottile, mentre sogniamo sembra un corpo materiale: sembra essere un corpo fisico. Secondo Bhagavan tutti e cinque gli involucri non coprono il nostro vero sé, sono involucri che vengono con l’ego, ed è l’ego che si copre. Se rimuovi gli involucri, allora l’ego si dissolve nella sua fonte. Ma la reale pura consapevolezza non è mai coperta da nulla, perché per lei non c’è altro che lei stessa. Quindi i cinque involucri vengono in esistenza con l’ego e scompaiono con l’ego. Dato che l’ego sprofonda nel sonno, non c’è nessuno di questi cinque involucri lì. Per questo Bhagavan dice che tutti i cinque involucri collettivamente sono il corpo.
Non si può fare esperienza di noi con un corpo morto, se ci sentiamo essere un corpo, è sempre un corpo vivo. C’è un corpo materiale e il prāṇa (la vita), non possiamo fare esperienza dei due separatamente. E (quando equivochiamo il corpo come ‘io’) siamo anche sempre svegli (o sognanti, se lo giudichiamo all’infuori di quello stato), quindi anche la mente e l’intelletto sono sempre funzionanti. Questi quattro involucri vengono tutti insieme. Non proviamo mai la mente senza un corpo fisico, e mai senza un corpo fisico vivo. Dunque questi quattro involucri esistono sempre insieme. E l’ignoranza su di sé è la tenebra di fondo in cui tutte queste cose appaiono, ossia il ‘corpo causale’: la forma più sottile dell’ego, la basilare non conoscenza di sé. Altrimenti l’ego non potrebbe emergere – l’ego è un’auto-consapevolezza falsa, l’auto- consapevolezza erronea... è un tipo d’ignoranza; non può emergere senza quel buio: senza quell’ignoranza su di sé. Dunque secondo Bhagavan tutti e cinque gli involucri, appaiono insieme all’ego e scompaiono assieme all’ego. Nella veglia e nel sogno sono presenti tutti e cinque, nel sonno nessuno di essi è presente: tutto ciò di cui facciamo esperienza nel sonno è pura auto-consapevolezza. Solo dal punto di vista dell’ego (nella veglia o nel sogno) quel sonno sembra uno stato di buio. Perché quello che esperiamo nel sonno è pura auto-consapevolezza. Anche adesso siamo quella pura auto-consapevolezza, ma in quanto ego, mischiamo l’auto-consapevolezza pura con la consapevolezza del corpo. Dato che non riusciamo a distinguere la pura auto-consapevolezza, ora, dalla prospettiva dell’ego (che non distingue mai l’auto-consapevolezza pura), il sonno (in cui esiste solo la pura auto-consapevolezza) sembra essere uno stato buio, perché non siamo consapevoli di nulla nel sonno. Dal punto di vista dell’ego, sembra essere uno stato d’oscurità; Bhagavan in realtà disse che è uno stato di pura consapevolezza. E possiamo capirlo anche dalla nostra esperienza. Se usiamo un po’ di logica, siamo tutti pienamente consci d’aver dormito, ne siamo tutti consci... Se il sonno fosse uno stato di totale inconsapevolezza saremmo consapevoli solo di due stati: la veglia e il sogno, uno dopo l’altro. Ma siamo chiaramente consapevoli che c’è un intervallo tra questi stati. C’è un terzo stato in cui non siamo consci di nulla. Il fatto che siamo ’consci’ di quel terzo stato (in cui niente appare), significa che siamo comunque consci in quello stato, ma non ‘di’ qualcosa - in quello stato esistiamo solo come pura consapevolezza. E quella pura consapevolezza secondo Bhagavan è la nostra reale natura.
 Questo è uno dei modi in cui gli stati vengono analizzati. Sivaprakasam Pillai ne dà un’analisi leggermente più tecnica. Tutte le cose che elenca qui, la ragione per cui sono menzionate nella filosofia advaita non è che sono davvero necessarie alla filosofia advaita. Come dice Bhagavan in un paragrafo successivo del Nāṉ Ār?: come nel salone di un barbiere si deve spazzare e buttar via tutta la spazzatura e non analizzare i capelli grigi e quelli neri e i bianchi o i rossi. Non si analizzano, sono rifiuti, sono da buttare; allo stesso modo, non è necessario analizzare questi tattva. Ma la maggior parte delle filosofie sono rivolte all’esterno, al mondo manifesto e lo classificano in diversi modi. Nell’antica India c’erano tantissime filosofie in competizione tra loro. Quelle filosofie erano divise in due gruppi: le āstika (quelle che accettavano i Veda) e quelle che non accettavano i Veda, le nāstika. Le nāstika erano il Buddismo, con le sue varie scuole, il Giainismo e il materialismo. E quelle āstika erano il Vedanta, il Samkhya, ce ne’erano sei.
C’erano moltissime diverse scuole filosofiche che competevano l’una contro l’altra. Sostenitori di ogni tipo di filosofia cercavano di presentare al meglio la loro scuola come la ‘filosofia giusta’. S’impegnavano in dibattiti con gli esponenti delle altre filosofie. E dato che l’advaita doveva contendere con tutte le altre filosofie, molti dei (concetti derivanti dagli altri sistemi filosofici) si fecero largo nell’advaita. Tutte queste classificazioni, non sono strettamente necessarie, dato che il punto cruciale è che questi non sono l’’io’.
Se non sono ‘io’, perché analizzarle così dettagliatamente? La filosofia advaita si è dedicata a questa analisi, proprio per rispondere agli altri sistemi filosofici. Quindi possiamo capire Sivaprakasam Pillai che (quando studiava al college) aveva studiato filosofia indiana e aveva appreso tutto questo. La risposta di Bhagavan fu estremamente semplice; ma per aiutarsi a capirla, la mise in relazione con tutta la filosofia che aveva imparato al college.
 A noi non servono... tutti questi dettagli, per noi non sono importanti. Il punto principale, nei termini più concisi possibili, è che: qualsiasi cosa appare, ovviamente scompare, e qualsiasi cosa appare e scompare, non può essere noi, perché noi siamo consci della comparsa e della scomparsa di tali cose. E la radice di tutte le cose che appaiono e scompaiono è l’ego. Come dice Bhagavan nel verso 26 dell’Uḷḷadu Nāṟpadu:
‘Se l’ego viene in essere, tutto viene in essere’. ‘Tutto’ qui vuol dire tutti i fenomeni (i fenomeni fisici, mentali: tutto ciò che non è noi). Viene tutto in essere, solo quando l’ego viene in essere. Se l’ego non esiste, niente esiste, nient’altro esiste. Per cui Bhagavan dice: ‘l’ego è ogni cosa: l’ego è il seme che germoglia in tutto questo’.
 Un altro modo di spiegarlo è che l’ego è l’elemento della mente che percepisce. Generalmente usiamo la parola ‘mente’ come nome collettivo per tutti i pensieri (tutti i fenomeni mentali) che prendiamo per la mente. Ma tra tutti i fenomeni mentali, ce n’è uno che percepisce: ecco la parte della mente che percepisce è l’ego. Bhagavan dice che l’ego è la radice della mente, è l’essenza della mente. Spesso quando Bhagavan usa la parola mente, si riferisce in realtà solo all’ego, perché secondo Bhagavan, è l’essenza della mente.
Poi l’ego si espande nella mente e in tutti i fenomeni... e, secondo Bhagavan, niente esiste indipendentemente dalla mente, l’intero mondo, per Bhagavan, non è altro che pensieri. Noi li prendiamo per cose fisiche: la sedia, il tappeto, il muro, ci sembrano fenomeni materiali; secondo Bhagavan sono tutti pensieri. Cioè, sono solo fenomeni mentali. Sono tutti una nostra proiezione mentale. E mentre sogniamo, vediamo quel che crediamo dei fenomeni fisici, vediamo un mondo materiale, persone, cose. Sembra tutto fisico finché sogniamo; ma quando ci svegliamo, riconosciamo che era tutta una nostra proiezione mentale.
Secondo Bhagavan anche questa è una nostra proiezione mentale. Tutto ciò che vediamo non è altro che i nostri pensieri. Tutto, tutti i fenomeni, sono fenomeni mentali. E i fenomeni mentali sono solo... proiettati dall’ego: sono un’espansione dell’ego. La sostanza di cui è fatto questo intero mondo è l’ego. E la sostanza dell’ego... (qual è la reale sostanza dell’ego), è la pura auto-consapevolezza, che realmente siamo.
 Quando Bhagavan dice che solo la consapevolezza è ‘io’, noi {…} dobbiamo capire bene a cosa si riferisce.
Nell’Uḷḷadu Nāṟpadu distingue in modo chiarissimo la vera consapevolezza dalla consapevolezza che appare e scompare: la consapevolezza che è conscia di cose che sono diverse da sé. Ossia, la consapevolezza che è consapevole di altre cose è la mente. Quella è la falsa consapevolezza per Bhagavan. Ciò che è reale nella mente è solo la pura auto-consapevolezza. Ma quando sorgiamo come mente o ego, sorgiamo come ‘io sono questo corpo: sono questa persona’. E questa falsa auto-consapevolezza si espande a tutti i fenomeni. Dunque la metafisica di Bhagavan è estremamente semplice.
 Bhagavan ha … se leggete la filosofia advaita, potreste rimanere sommersi nei dettagli... ma Bhagavan ha messo da parte la maggior parte dei dettagli inutili e ci ha dato l’essenza dell’advaita. Che è: la radice di tutto è l’ego; dato che l’ego sorge, tutto il resto sembra esistere.
 Perché l’ego sembra esistere? A causa del pramāda: non siamo sufficientemente auto-attenti (siamo interessati di più a prestare attenzione a cose diverse da noi). Non appena diamo attenzione a cose diverse da noi, sembriamo essere separati. Ci limitiamo a questa persona. E, dato che l’ego è la falsa consapevolezza di sé, il modo per eliminarlo è proprio la pura consapevolezza di sé. Solo dando attenzione esclusivamente a noi possiamo sradicare l’ego. La mente che si affaccia fuori diventa tutto questo. In ‘Day by Day’ (in un paio di punti), Bhagavan dice, qualcuno gli chiese, (una domanda simile): ‘qual è la differenza tra la mente e il sé (o mente e consapevolezza pura)?’ Bhagavan rispose: ‘Quando si affaccia fuori è chiamata mente, quando la stessa consapevolezza guarda se stessa è chiamata pura auto-consapevolezza o sé (ātman)’.
 È proprio così semplice; a noi la scelta. Scegliamo di guardare fuori o scegliamo di guardare dentro?
Beh, sfortunatamente, la ragione per cui siamo qui è che stiamo tutti ancora facendo la scelta sbagliata, siamo ancora affacciati fuori. Ma pian pianino, se vogliamo davvero seguire il sentiero di Bhagavan, dobbiamo coltivare l’abitudine di guardare dentro, stare dentro.
 Come dice Bhagavan in un verso dell’Akṣaramaṇamālai:
 ‘‘திரும்பி அகம் தனை தினம் அகக்கண், தெரியும்’ என்றனை என் அருணாசலா’
(‘tirumbi aham taṉai diṉam aha-k-kaṇ kāṇ; ṭeriyum’ eṉḏṟaṉai eṉ aruṇācalā),
 ‘Oh Arunachala, che [meraviglia]! [Mi] hai detto: ‘Voltandoti dentro, quotidianamente (intende costantemente), volgendoti dentro costantemente, guarda te stesso con l’occhio interiore [l’’occhio interiore’ è l’attenzione introvertita: l’auto-attenzione]; e ti sarà svelato: ‘தெரியும்’ (ṭeriyum)’.
 Questo verso contiene l’intera filosofia di Bhagavan in poche parole. È quello che Arunachala ha insegnato a Bhagavan in silenzio e lui ha insegnato a noi in parole. Nonostante io parlo sempre degli insegnamenti di Bhagavan {ride}, tante parole non sono davvero necessarie. Le parole sembrano necessarie perché, malgrado ascoltiamo gli insegnamenti, la nostra mente continua ad uscire fuori. Allora abbiamo bisogno di ponderare le parole di Bhagavan per ricordarci perennemente di voltarci dentro. Oltre che a quello, le parole non sono necessarie. Alla fine, dobbiamo solo arrivare ad essere come siamo davvero, e basta. Che vuol dire essere pura auto-consapevolezza. Il che implica porre l’attenzione a noi stessi, la pratica dell’ātma-vicāra che Bhagavan ci ha insegnato.
 È tutto davvero semplice.
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ibegyourindulgence · 5 years ago
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What is Krsna Consciousness & What are the Vedas? Who is God? Who am I?
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Love is our greatest, deepest need. Our bodies do need air, water, and food, but these bodily needs don’t satisfy our desire for loving and being loved. Where does our longing for love come from?
The wisdom literature of ancient India explain that it comes from our innermost self, our soul. The soul, called in Sanskrit as the atma, animates the body just as a driver activates a car. The soul is by its very constitution sat-cit-ananda, eternal, full of knowledge, and full of bliss. Bhagavad-Gita (15.07) describes that the soul is an eternal fragmental part of God.
The ancient Indian wisdom literature are a vast body of literature derived from the Vedas. Vedas are traditionally considered to have divinely co-manifested with the world as a manual for the world, and the body of literature that follow the Vedic conclusions are referred to as the Vedic texts. Among the most important of the philosophical Vedic texts is the philosophical masterpiece, Bhagavad-Gita (know in short as the Gita), which Ralph Waldo Emerson proclaimed as ‘the voice of an old intelligence that has pondered and disposed all the questions that exercise us today.’ While the Gita, and the Vedanta-Sutra, are the primary metaphysical texts, the Ramayana, along with the Mahabharata, are the primary pastime texts that have attracted millions for millennia. About Ramayana’s influence, eminent literary historian A. A. Macdonnell noted: ‘Probably no other work of world literature has produced so profound an influence in the life and thought of a people as the Ramayana.’  
The Vedic texts reveal God to be much more than the stereotypes of a stern judge or a pliant order-supplier. God, the Vedic texts explain, is an enchanting loving person, replete with all the qualities that attract us to various people in this world. We are attracted to beautiful people; God is supremely beautiful. We are attracted to powerful people; God is supremely powerful. Similarly, God is supremely wise, supremely wealthy, supremely famous, and supremely renounced. Over and above these six excellences, God has a seventh, most endearing excellence—the supremely loving nature. God personally and fully reciprocates love with every single soul. The one God who is known in different religious traditions as Jehovah, Christ, Allah, reveals himself in various eternal forms in His own kingdom. Prominent among those forms are the forms of Rama and Krsna. The names ‘Rama’ and ‘Krsna,’ though often thought of as referring to Hindu gods, refer etymologically to universal attributes of God. ‘Rama’ means ‘the source of all pleasure,’ and ‘Krsna’ refers to ‘the all-attractive one.’
In fact, the Vedic revelation of God is even more inclusive, even more appealing. God manifests himself eternally in two forms: one male and one female. Thus God is not just Rama, but Sita-Rama, where Sita is not just the eternal consort of God, but also God in a female form. Similarly, God is not just Krsna, but Radha-Krsna. The reciprocation of love between the Divine Couple is the original divine romance that goes on eternally in the spiritual realm. All souls share in that divine romance according to their individual spiritual natures. 
The Gita (8.20) describes that this wonderful realm of love—called variously as the spiritual world or the kingdom of God—exists far beyond the material world.
God wants all souls to relish fully the joy of loving him. As true love is not possible without freedom, so all souls are endowed with free will. The material world where we presently reside is the place for those souls who unfortunately misuse their free will and choose not to love God, but to try to be God themselves, that is, they try to be the Supreme themselves. 
In this world, souls are offered material bodies, which cause them forgetfulness of their spiritual identities and give them pseudo-identities. In this material world, the souls seek substitutes for God—be they people or things or ideas—and repose love in them to find happiness. However, this just doesn’t work primarily because having once tasted the sweetness of loving God, nothing else can satisfy the soul’s hunger for love. Sadly, the souls rarely realize this and keep chasing one object after another till their bodies grow old, get diseased, and die. Then they are given new bodies according to their desires and activities, and they transmigrate in the cycle of birth and death through the millions of species that populate this world. All of us are among the numerous souls living in forgetfulness of our spiritual treasures. 
The Lord, out of his causeless love for all souls, sends his sons, messengers, and messages, to remind us of his love and to invite them back to their original home. However, his love for us is so great that he is not satisfied with these spiritual relief measures. So he himself descends to this world periodically as an avatar to display his world of love and thus attract the forgetful souls to return, just as the trailer of a movie attracts us to watch the full movie. The Sanskrit word ‘avatar’ is often translated as ‘incarnation,’ but that English word literally means ‘to come in flesh.’ The Lord, however, does not appear in a material form, but appears in his eternal, spiritual form, and so a more accurate English rendition of ‘avatar’ is ‘descent’ or ‘divine descent.’ 
When the Lord descends, he teaches primarily the path of love, also known as bhakti-yoga, to help souls regain their spiritual rights to an eternal, joyful life. The word ‘bhakti’ refers to the sentiment of love, especially when it is directed to God. And the word ‘yoga’ refers to the process that links the soul with God. (The bodily postures that are popularly known as yoga are one stage of one type of process to connect with God). Thus bhakti-yoga, also known in short as bhakti, is not a sectarian Hindu process, but is the universal essence of all the theistic religions of the world. All these great religions declare their ultimate perfection to be developing the practitioner’s love for God, which is the purpose of bhakti-yota too. 
The Vedic bhakti tradition explains that bhakti-yoga is much more than an isolated activity done occasionally in a life filled with worldly preoccupations, which is the notion about religion among most people—even most religious people. Bhakti-yoga introduces us to a worldview and a culture that integrates and harmonizes the apparently material aspects of our life with the spiritual purpose of life. 
Thus, in bhakti-yoga, we learn to see our family spiritually as God’s family, as comprising of God’s beloved children entrusted to our care. Thus we can develop our love for God by loving and serving our family members and helping them develop their love for God. In this way, bhakti-yoga dramatically transforms our vision of our self-interest. By material calculations, we lose when we have to serve others except for the future gain we may get if they reciprocate with our service. But by devotional calculations, we gain, here and now, by serving others because that service awakens our love for God in our own hearts, irrespective of whether they reciprocate or not. Thus bhakti-yoga, by freeing us from being dependent on others’ responses, helps bring the best from within us, which in turn inspires others to bring out their best. 
Similarly, bhakti-yoga enables us to see our profession spiritually, as an arena where we can develop our love for God by using our talents and energies to help make the world a better place so that everyone can learn to love Him. With this vision, we understand that irrespective of whether our specific projects succeed or not, we keep succeeding in life’s ultimate project as long as we keep trying our best. This reassurance of our spiritual success frees us from the stress and anxiety that weakens and cripples so many people today due to the uncertainty of their material success. And, paradoxically, the more we are freed by our spirituality from dependence on material success, the more we can focus our energies on giving our best performance, thus increasing the probability of that success. 
Many people fear that if they become spiritual, then they will not be able to perform in the material sphere. In bhakti-yoga, the more spiritual we become the better we can be materially, because our spirituality gives us a vision and purpose that empowers us to function in the material sphere without being dependent on its dualities and its uncertainties. 
In this way, bhakti-yoga paves the way to the culture of loving service. 
-Chaitanya Charan Wisdom from the Ramayana On Life and Relationships
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talonabraxas · 5 months ago
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Brahman In Hinduism, Brahman refers to the supreme cosmic power, ontological ground of being, and the source, goal and purpose of all spiritual knowledge. Non-Hindus often translate Brahman as "God," but this is inaccurate. According to Hinduism, Brahman is said to be ineffable and higher than any description of God in personal form. Many philosophers agree that Brahman is ultimately indescribable in the context of unenlightened human experience. Nevertheless, Brahman is typically described as absolute truth, consciousness, and bliss (Sat Cit Ananda) as well as eternal, omnipotent, omniscient, and omnipresent.
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poetyca · 3 years ago
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L’Uno senza secondo – The One without a second – Sankara
L’Uno senza secondo
L’individuo sciocco pensa: io sono il corpo, l’individuo erudito nelle scritture pensa: io sono una combinazione di corpo e anima vivente, ma il conoscitore (lo gnostico), fornito di discernimento, pensa: io sono Brahman, e considera il sempre esistente atma come il supremo atman. […] Se realizzi l’Uno senza secondo – che è sat-cit-ananda, di là da tutte le forme e da ogni agire – tu porrai fine all’illusione di essere i tre corpi. Così, come l’attore all’ultimo atto, saprai gettare la maschera del personaggio con cui ti sei identificato. […] Così, senza porre indugio, cessa d’immedesimarti con l’ahamkara, con lo sperimentatore, semplice riflesso dell’atman; con quel senso dell’io che ti ha fatto conoscere la sofferenza della nascita, della vecchiaia e della morte, per quanto tu sia stato sempre il Testimone, essenza di conoscenza e di beatitudine assoluta. Sankara
The One without a second The individual fool thinks I am the body, the individual learned in the scriptures thinks: I am a combination of body and soul alive, but the knowledge (gnostic), equipped with discernment, thinks I am Brahman, and always consider the existing atma as the supreme atman. […] If you realize the One without a second – which is sat-cit-ananda, beyond all forms and from every act – you’ll end illusion to be the three bodies. Thus, as the actor last act, know shed the mask of the character with which you have identified. […] So, without placing undue delay ceases to empathize with the ahamkara, with the investigator, a mere reflection of atman; with that sense of self that made you know the suffering of birth, old age and death, as you were always the Witness, essence of knowledge and absolute bliss. Sankara
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thehappyheartblog-blog · 7 years ago
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The Muslim got the word "Allah", the Christian the word "God", the Buddhist the word "Enlightenment", the Yogi "Sat-Cit-Ananda" (unattached being-unity-bliss) and the atheist "Cosmos"... They were arguing about their prayers and could not agree on a verbal level. So they decided to end their conflict and prefer to concentrate on the spiritual practice. They lived many years together on the mountain top... And they great light transformed them. They saw the light in all beings and all things of the world. They realised that they are all brothers and sisters. May we stop all religious wars in the world. May we build a golden age of love, peace and happiness on earth.
- Yoga Basic Knowledge, Nils Horn
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