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#metaconsapevolezza
sophiaepsiche · 1 year
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Inconscio, Conscio, Metaconscio. La mappa dell’evoluzione interiore.
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INCOSCIENZA DI SE’ – distruttivi - ATTENZIONE FUORI / identificazione materiale
psicopatia: materialismo estremo – distruttivo esterno - carnefice fisico (attenzione esterna e dispersa, identificazione dispersa nella materia: l’altro come oggetto, nessun rimorso, freddezza anche per le conseguenze, pensiero meccanico inconsapevole)
narcisismo maligno: empatia esclusivamente cognitiva – distruttivo esterno - carnefice di tipo psicologico, è un bugiardo seriale e un manipolatore senza scrupoli, vendicativo per necessità identificativa. Identificazione insicura e dipendente dalla materia, dagli altri, dal valore sociale, l’altro è come un oggetto, rimorso cognitivo senza alcun pentimento effettivo. Ha una netta distinzione tra dentro e fuori ossia doppi standard, che lo rendono molto ingiusto. (Attenzione esterna e dispersa, identificazione con il solo corpo, caos mentale, usa prevalentemente il pensiero meccanico subconscio). L’unica via d’uscita è far salire il dolore da cui tanto abilmente si protegge con il controllo. Spesso diventa vittima del male stesso che vuole infliggere, soprattutto se sceglie la vittima ‘sbagliata’: una persona non manipolabile, empatica ma forte ed integra, un praticante spirituale o addirittura un contemplativo, in tal caso viene punito dalla vita e dal karma quasi istantaneamente. Purtroppo solo il dolore, che corrisponde alla riapertura della ferita narcisistica, può risvegliare un intento di cambiamento sincero, seppur lieve ed è per questo che madre natura cerca di avvicinare narcisisti ed empatici. Gli uni possono finalmente affacciarsi al dolore, gli altri devono rendersi immuni dalla manipolazione ed imparare ad accostare la loro naturale compassione alla saggezza, al distacco e alla prudenza (vedi nota a fine articolo).
narcisismo vittimistico: contenimento della distruttività. Poco rimorso per gli altri che si puniscono manipolandoli quasi esclusivamente col vittimismo/sensi di colpa. Invidiano i creativi in modo sottile e mostrano una sottile violenza, un’aggressività sottotono. Sono ancora troppo dipendenti dagli altri e dall’esterno.   (Attenzione bassa e dispersa, identificazione con il solo corpo, debolezza mentale, pensiero meccanico subconscio).
uscita dal narcisismo distruttivo esterno: in un tentativo di contenimento maggiore della distruttività, si passa ad essere auto-distruttivi – vittime dei narcisisti – deboli – manipolabili - co-dipendenti e dipendenti. La svolta è cambiare lo strumento introducendo la consapevolezza oltre al pensiero meccanico, ossia alzando l’attenzione, così inizia l’uso della capacità critica esterna. La morale è ancora eteronoma e vacillante, ma comincia a cambiare grazie alla consapevolezza. Inizia ad accennarsi un’identificazione più circoscritta, eliminando e purificando la distruttività.
- crisi importante -
CONOSCENZA DELLA VITA – creativi esterni - ATTENZIONE FUORI e NEL CORPO / identificazione col corpo: materia/vita
biofilia: consapevolezza e pensiero meccanico/ragionativo. Avendo una maggiore dimestichezza con la consapevolezza esterna, si distaccano naturalmente dai valori malsani del mondo e degli altri. Cominciano a puntare l’attenzione dentro, nel corpo, si ritirano spesso e si purificano in solitudine. Con l’attenzione puntata al corpo, riconoscono in sé e nell’altro la sacralità della vita, diventando finalmente biofili. Inizia l’equanimità, il rispetto della vita, l’empatia connaturata, la morale autonoma. Amano la vita e la creatività. Esprimono i propri talenti. Sono individui psicologicamente ‘maturi’ e relativamente sicuri. Possono stagnare a questo livello per molto tempo sentendosi arrivati o realizzati. Le rimanenti tracce di narcisismo sono sub-consce. Quando salgono al conscio sono spesso giustificate perché ritenute giuste e naturali.
- crisi importante -
CONOSCENZA MENTE/CORPO – purificazione elementi distruttivi interni ATTENZIONE NELLA MENTE / identificazione con la vita/mente
pratica spirituale: la conoscenza della mente rende conscio l’inconscio ed ogni traccia di narcisismo residuo. Vera meditazione: consapevolezza interiore molto perseverante. Si usa in prevalenza il pensiero ragionativo e quello semplicemente organizzativo e si comincia a scartare e trascendere quello meccanico.
crisi detta ‘notte dei sensi’ – profonda purificazione dei sensi e degli attaccamenti che porta al battesimo nello spirito – satori – risveglio – illuminazione.
CONOSCENZA DI SE’ - contemplativi ATTENZIONE NELLO SPIRITO / identificazione mente/spirito.
Dopo aver reso conscia la propria natura in quanto coscienza pura o spirito, sorge la capacità di samadhi, di contemplazione,  di nididhyasana, tutti sinonimi di silenzio mentale protratto con attenzione molto alta. Questo rende possibile la conoscenza dello spirito, detta anche consapevolezza della consapevolezza, auto-attenzione, atma-vichara, auto-indagine, dimorare nel sé, nel silenzio, nel nous,  nella vacuità, nello spirito santo.  I contemplativi possono passare un lungo periodo in cui fanno avanti e indietro con l’attenzione, tra mente e sé. Il divario e il conflitto che emerge da questo andirivieni serve ad aumentare il desiderio di raccoglimento. Si scopre che l’unica soluzione è di restare il più possibile nel silenzio a prescindere dalle situazioni esterne, durante ogni tipo di attività o inattività.  L’ego (o il narcisismo) comincia a morire del tutto.
crisi detta ‘notte dell’anima’ – ultima purificazione
METACOSCIENZA DI SE’ – identificazione naturale col sé.
La meta-coscienza di sé è ora naturale e senza sforzo, si è uno col divino e manifestazione piena del divino: l’evoluzione è completa. La consapevolezza è imperante e il pensiero non è più psichico. Nessuna differenziazione è più presente tra sé e gli altri, si conosce l’Uno in ognuno, il Sé di tutti. L’amore e la saggezza sono connaturati. Si porta in manifestazione l’infinito potenziale solitamente limitato dall’ego.
ps. il termine ‘narcisismo’ qui si riferisce in generale all’identificazione estroflessa e non centrata nel nostro vero sé. Invito però tutti i miei lettori che sono perlomeno biofili ed empatici, se non praticanti spirituali, a farsi una cultura psicologica sul fenomeno del ‘narcisismo maligno’, che io conosco per esperienza diretta e da ‘sopravvissuta’ e che non posso descrivere come uno psicologo. Per noi della ‘triade luminosa’ è importantissimo capire come trattare con la ‘triade oscura’, è contro-intuitivo e spesso sembra andar contro ad alcune nozioni spirituali un po’ troppo teoriche e romantiche. Di noi, solo il contemplativo si salva senza alcuno sforzo dagli attacchi narcisistici, per gli altri c’è davvero bisogno di conoscenza per riconoscerli e relazionarsi (se proprio inevitabile), c’è bisogno di forza, integrità e libertà dai condizionamenti di stampo spirituale.
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geminicrisis · 4 years
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Il fascino glamour della larva
Critica pratica per sopravvivere ai post sulla giornata dei DCA senza risvegliare la bestia
Con i vostri cazzo di fiocchetti lilla vi ci potete soffiare il naso. Inutile fare la giornata nazionale dei disturbi alimentari quando non esiste una rappresentazione autentica di quello che è smettere di mangiare o volersi bruciare vivə per aver mangiato.
Se questa giornata avesse un senso il simbolo non sarebbe un fiocchetto ma una cazzo di bara. Invece mi imbatto solo in contenuti che romanticizzano lo schifo. Come se infilarsi in un DCA fosse una fase come lo sono stati i gruppi hipster, indie, hardcore punk, electro-pop, e i Cani.
Così continuano le storielline con foto di quando si stava peggio di ora per romanticizzare questo orrore.
Oh guarda che buffa e naive ero, portavo le converse e facevo gli scoobydoo coi fili di gomma!
Oh guarda che buffa e naive ero, pesavo 2 chili vestita e mangiavo un pomodoro e una fetta di bresaola al giorno!
Peccato che non funzioni così. Avere un disturbo alimentare non è romantico, non è glamour, non è un cazzo di fiocchetto lilla. Peggio di questo dannato nastrino color nausea ci sono solo le frasi di accompagnamento tipo: “chi ha un disturbo alimentare ha fame d’amore”.
No mi dispiace, quando ero anoressica avevo fame di morte putrida e fame di qualsiasi altra cosa commestibile. L’amore c’entra ma non è il punto. 
In tutta questa faccenda non c’è nulla di estetico, nulla di poetico nulla di fascinoso.
Non riesco a condividere la scelta di chi pubblica post fotografici col proprio corpo durante la malattia e dopo un’eventuale cura. Come una dieta dimagrante al contrario, si usa nuovamente l’immagine del corpo per lanciare un messaggio, anche giusto, ma usando le argomentazioni sbagliate. Per guarire dobbiamo liberare il corpo dalla sua funzione di dover cristallizzarsi in modelli da seguire. Dobbiamo ripensarlo in linguaggi nuovi. 
Personalmente il primo spiraglio di luce l’ho avuto quando mi sono resa conto di essere più vicina ad una larva che a Kate Moss. E vorrei cancellare quella memoria dai miei occhi come da quelli di chiunque mi abbia visto in quel periodo di agonia.
Quando stavo male avrei probabilmente sfoggiato il nastrino lilla, emblema della mia vita alla Effy Stonem, dannata ribellina alternativa.
Ci ho messo quasi 10 anni a capire che l’anoressia non è rivolta, non è anarchia, non è voglia di essere diversə, non è essere alternativə.
L’anoressia è schiava del patriarcato, serva del capitale e pena di morte ultimativa. Pura voglia di raggiungere il fango e i vermi nel modo più lento possibile.
I vostri fiocchetti lilla li repello come la peste perché hanno il fascino della setta, di chi ha vissuto qualcosa di speciale. Così come le vostre foto tristi ma patinate di quando le cosce vi entravano nel palmo della mano.
I fiocchetti lilla non strozzano la narrazione marcia che produce questa epidemia di digiuni, vomiti e abbuffate.
Con i nastrini si nasconde l’orrore mostruoso di un cervello delirante. Come lo è l’aver provato invidia per il regime alimentare nei campi di sterminio perché, durante l’ora di storia, avevo scoperto che i deportati prendevano più calorie di quante me ne concedessi io.
Con le coccardine o i film Netflix sull’anoressia con Lily Collins non si vedono le stempiature stile Andreotti, i gomitoli di capelli caduti nella doccia e la laniccia di peli sulla pelle ingiallita. Senza contare lo sfarinamento delle articolazioni e l’atrofia dell’utero.
I fiocchetti lilla sono da bellə e dannatə e con l’anoressia non c’entrano nulla. C’entra invece farsi la pipì sotto perché anche se sei nel cuore dell’adolescenza, dopo due anni di digiuno, ad una certa il corpo non riesce più a contenersi e torna come quello di un neonato o quello di un novantenne. L’età non conta l’importante è essere progressivamente sempre più incapaci di intendere e di volere.
Un’altra cosa che manca negli ipocriti commenti sensibilizzanti su questa giornata è il denunciare il profondo senso di deficienza mentale che prende chi sta male.
Altra frase aberrante: Eh ma lə anoressicə sono particolarmente brillanti, perfezionistə, sensibili.
Magari prima del calvario. Posso dire con certezza che dal terzo mese di semidigiuno in poi diventi più scemə di Salvini. Il cervello non riesce a concentrarsi su nulla e tutto è coperto da un velo di sonno e fame ovviamente.
Il cervello compie ossessivamente lo stesso ragionamento 24 ore su 24. Non c’è nessuna poesia, nessun brio geniale da ragazza interrotta. Solo un calcolo continuo di energia introdotta e energia bruciata. Inali senso di colpa perpetuo mentre sviluppi una memoria inossidabile riguardo qualsiasi cibo tu abbia mangiato nell’arco di 90 giorni.
La dittatura e l’isolamento dettati dal proprio cervello nei fiocchetti lilla non ci sono e non ci saranno mai. Sono andata a mangiare fuori più in un anno di CoVid che nel biennio 2012-2014.
I nastrini lilla non tengono conto neanche della furba metaconsapevolezza suicida. Del sapere di andare incontro alla morte e continuare comunque a saltare il pranzo.
Quindi che dire amicə, non fiocchetti lilla ma rivolta e rabbia pura. I DCA proliferano nella narrazione che pretende ci sia un modello di corpo maschile, un modello di corpo femminile, un modello di corpo umano e un modello di corpo animale. E invece no, maledetti voi e i vostri nastrini categorici.
Non fiocchetti lilla ma cannonate di fuoco. I nostri corpi sono come galassie, siamo masse di energia libera che pervade la natura e brucia i vostri cazzo di nastrini e le vostre storie instagram con Skinny love di sottofondo.
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sophiaepsiche · 1 year
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Meta-coscienza di sé II
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“Se sono già sat chit ananda, perché l’ananda, la pace, non la sento quasi mai?”
Abbiamo già introdotto il tema della coscienza/consapevolezza fenomenale e della meta-consapevolezza o meta-coscienza. È un concetto che spiega forse meglio di altri il passaggio dal sub-conscio al conscio e, successivamente, al pienamente conscio. Quello che intendo con questi termini, e che spiegherò di seguito come iter e scopo stesso del conosci te stesso, è preso dalla comprensione e spiegazione di tali termini come intesi da Bernardo Kastrup, ecco il link della sua lezione a riguardo. C’è un passaggio intermedio che io sottolineo di più perché serve a noi praticanti.
Coscienza fenomenale: ciò che è sub-conscio passa inosservato, perché non gli volgiamo la nostra attenzione, è conscio ad un livello fenomenale, ossia sappiamo in qualche modo che è lì, che esiste, ma non gli prestiamo attenzione. 
Passaggio al conscio: Quando l’attenzione viene finalmente puntata al fenomeno sub-conscio c’è un momento molto chiaro, preciso e distinto in cui quel fenomeno diviene finalmente conscio. Quando parliamo di questo momento, stiamo parlando delle piccole o grandi percezioni o illuminazioni che possiamo avere durante il cammino di conoscenza di noi. Possono avvenire anche per fenomeni esterni se abbiamo un grande interesse scientifico, filosofico o artistico ed è ciò che rende possibile la genialità. Nella conoscenza di noi stessi, soprattutto quando si comincia a conoscere la mente, queste percezioni diventano piuttosto frequenti. Ce n’è una fondamentale che, come vedremo, cambia le carte in gioco e ci introduce al livello di pratica più alto. Sebbene il termine illuminazione sia in alcune tradizioni troppo esaltato e in altre volutamente sottovalutato, questo passaggio dall’inconscio al conscio è parte integrante del cammino evolutivo interiore dunque non può essere totalmente ignorato, va solo considerato nella giusta prospettiva, sapendo che ce n’è più di una. Il linguaggio semplice e neutro offerto dagli studi sulla coscienza può aiutarci a capirlo meglio che mai.
Meta-coscienza: Tale momento non è la fine del percorso, poiché ciò che è salito al conscio per diventare meta-conscio ed avere un effetto permanente e naturale su di noi, dev’essere sottoposto ripetutamente alla luce della consapevolezza. È molto facile capire l’intero iter se parliamo di eventi osservabili. Facciamo un esempio: nel conoscere la mia mente, ho una profonda percezione diretta degli effetti del desiderio sulla salute mentale. Questo momento sarà molto speciale, sentiremo che qualcosa è cambiato per sempre. Non basta però a far sparire gli effetti del desiderio, non chiude il cerchio, non trascende il fenomeno a livello basilare. Dovrà allora essere osservato e osservato ancora, fino ad arrivare ad un nuovo livello di distacco. Un esempio ancor più banale è la differenza tra sapere una cosa superficialmente, capirla profondamente e comprenderla talmente bene da saperla spiegare nel dettaglio. Il momento di comprensione apre una porta fino ad allora chiusa, è come un passaggio dall’ignoranza alla conoscenza, ma solo se l’attenzione torna ripetutamente a studiare il fenomeno in diretta, si diventa maestri nell’esporlo. Quest’ultima fase è dovuta alla meta-coscienza o meta-consapevolezza.
La pratica del conosci te stesso mira alla meta-coscienza di sé.
Nella pratica, quando l’attenzione si volge alla mente e alle emozioni, i contenuti salgono al conscio. Questa osservazione distaccata crea automaticamente saggezza sui fenomeni esposti e trascendenza. Si crea ciclicamente sempre maggiore distacco. La tappa più importante, la lezione fondamentale del conosci te stesso è ovviamente capire chi siamo. Il momento in cui si capisce è il passaggio dall’inconscio al conscio. C’è chi lo chiama satori, chi illuminazione, chi risveglio, chi battesimo nello spirito. Questa non è la fine ma il passaggio allo spirito, alla coscienza vacua e nuda. Si è aperto un nuovo varco di conoscenza, quello che ne scaturisce è la contemplazione o il samadhi o il famoso silenzio che chiunque medita sa che, prima o poi, arriverà. Qui si è chiamati a praticare ripetutamente questa conoscenza della coscienza stessa, così che si diventi meta-consci della nostra vera natura. Solo attraverso questa pratica, ripetuta il più possibile, la mente diverrà completamente pulita ed illuminata sulla verità. ‘La meta-coscienza va a braccetto con l’attenzione’, sottolinea Bernardo, ed infatti l’atma-vichara è la pratica di porre l’attenzione a se stessa o alla ‘sua fonte’. È un processo di auto attenzione che diventa un dimorare nella fonte stessa dell’attenzione/consapevolezza: la coscienza.
Cosa c’entra tutto questo con la domanda? Sat è esistenza. Tutti, a livello esistenziale ed essenziale, siamo attaccati alla fonte, altrimenti non esisteremmo, come dice San Giovanni della Croce. Chit è coscienza/consapevolezza. Nella forma più umana e comune è chiamata attenzione. Questo è il nostro campo di azione e di pratica. Qui è dove siamo evolutivamente mediocri e dobbiamo lavorare. Non ci manca l’attenzione ma non ne facciamo buon uso poiché la disperdiamo tra infiniti oggetti e questo genera l’insoddisfazione derivante dal desiderio (il desiderio materiale ci allontana da ananda). Quando finalmente volgiamo l’attenzione all’interno comincia il processo di auto-conoscenza che, per il praticante, è sentito come un intensificarsi del chit. Per questo molti parlano di diversi livelli di coscienza o di consapevolezza. Anche se, di per sé, sat chit ananda è immutevole, i ‘gradi’ con cui noi ne siamo consci e lo manifestiamo sono relativi. Al praticante esperto, sotto l’aspetto fenomenologico, risulta di aver raggiunto un ‘maggior grado di contatto con chit’, oppure ‘un livello di contatto più profondo’ con chit. Questo è essenziale per rispondere alla domanda, in modo pratico, perché solo quando riusciamo a restare ancorati, anche temporaneamente, a chit, alla coscienza pura o allo Spirito Santo, scopriamo la profonda pace che sorpassa ogni intelligenza, l’ananda. Per arrivare a questo prima deve salire al conscio la realizzazione della nostra vera natura. La meditazione è il percorso verso di essa. Una volta resa conscia la nostra natura, risulta possibile dimorarvi. Piano piano, quando il dimorare si farà sempre più naturale per noi, ci stabiliremo anche nell’ananda, che è l’ultima a stabilirsi permanentemente. Fino a quando non avremo perfetta meta-coscienza della nostra reale natura sarà inevitabile avere a che fare sia con il conscio che con l’inconscio. Avere delle fasi un po’ piatte ed altre molto intense in cui ‘perdiamo la pace’. Le ultime due fasi in cui ci si purifica dall’inconscio sono talmente intense da essere chiamate ‘notti’.
Ammiro la rigorosità nell’esposizione filosofica ma devo dire che l’accetto in pieno solo quando ad esporla è qualcuno che veramente dimora nel sat chit ananda in modo spontaneo e naturale, perché, in quel caso, è una vera e propria ‘istruzione sacra’ che può cambiarci nel profondo. Per chi, come noi, è ancora in viaggio, meglio essere pratici e capire che, sotto il punto di vista relativo, a parte il sat, che è in tutti perfettamente uguale, la conoscenza (chit) del sat varia tantissimo e che la maggioranza ne è conscia solo a livello fenomenale. Per farmi capire meglio riformulo: tutti sappiamo di esistere ma nessuno di noi sa davvero chi è. La conoscenza deve rivolgersi a se stessa per scoprirlo. Si deve conoscere se stessi fino a rendere conscia la nostra vera natura e poi, restarci quanto più possibile, per renderla meta-conscia. Questo si intende per ‘stabilità nella saggezza’ e questa solo è la manifestazione completa del sat-chit-ananda, sia sentita dal praticante che manifesta al mondo.
L’evoluzione non ci chiede altro che questo. Non ci chiede di cambiare i nostri destini con la volontà dell’ego, piuttosto ci dà una missione attraverso la quale evolvere interiormente la capacità di auto-attenzione fino a manifestare l’infinito potenziale, che è l’unico in grado di cambiare le sorti dell’umanità. Ritiriamo l’attenzione fino alla sua fonte e il resto accadrà da sé.
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sophiaepsiche · 2 years
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Meta-coscienza di sé
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“Quando il potere della meditazione è stato intensificato così tanto da avere la capacità di rifiutare la parte esterna della percezione e rimanere solo nella parte interna, quello stato è il samadhi”. (Swami Vivekananda – ‘Raja Yoga’)
Un modo più moderno di descrivere la pratica e lo scopo del ‘conosci te stesso’ si può elaborare sfruttando la differenza tra la consapevolezza fenomenale e la meta-consapevolezza. Ad oggi è chiaro che la consapevolezza non si perde mai, in modo fondamentale, neanche quando dormiamo. Ci sono studi che dimostrano che siamo consci di fenomeni molto sottili anche nel sonno profondo, soltanto che non vengono registrati o memorizzati. Nella veglia possiamo essere consapevoli in modo fenomenale, ossia in modo ‘distratto’ oppure in modo meta-conscio, ovvero in maniera talmente attenta da poter riferire e spiegare il fenomeno atteso nel dettaglio.
Nel conosci te stesso passiamo dalla coscienza fenomenale di noi stessi, cioè dalla consapevolezza trascurata e data per scontata della nostra esistenza, o del nostro io, a quella pienamente attenta: la meta-coscienza di sé.
Credo che moltissimi dubbi sull’attuabilità del ‘conosci te stesso’ nella vita quotidiana, sulle sue fasi e sui suoi risultati, possano essere chiariti da una spiegazione più semplice e moderna degli insegnamenti dei grandi saggi di tutti i tempi. Gli insegnanti restano loro, ma una traduzione più spicciola e attuale dello scopo ultimo e del ‘viaggio’, può aiutare a capire alcune sfumature e chiarire dei malintesi.
Innanzitutto si chiarisce il fatto che nel ritiro dell’attenzione non c’è una perdita di funzionalità, poiché, come tento di far capire nel disegno e come indica la citazione, non dobbiamo davvero ‘girare’ l’attenzione dalla parte opposta, negandola totalmente all’’esterno’, piuttosto dobbiamo riposizionarci in noi, che siamo la fonte dell’attenzione. Invece di rimanere nella parte esterna (la punta della freccia) dobbiamo stabilirci  alla base dell’attenzione (rappresentata dal cerchio nella freccia)
Se indietreggiamo così tanto da sederci comodamente in noi, nella sede dell’attenzione, entriamo in un samadhi in cui non si perde alcuna funzionalità ma si diventa meta-consapevoli di noi stessi. Siamo pienamente consci, il pensiero scompare e il corpo si muove e fa ciò che deve fare durante le normali attività quotidiane. Quando si è soli, e/o inattivi, il samadhi può anche introiettarsi di più. In quest’ultimo caso, ciò che può essere percepita come ‘inconsapevolezza’ dagli altri è, in realtà, un’iper consapevolezza, un picco di profonda conoscenza di sé, in cui si perde temporaneamente ogni interesse ad interagire, ma non la ‘capacità’ di interagire. È come fosse un ritiro ‘portatile’, la propria caverna interiore, il proprio rifugio. Bhagavan Ramana Maharshi era pienamente conscio di ciò che gli accadeva intorno quando appariva ‘inconsapevole’ e l’ha dimostrato più volte raccontando eventi che erano avvenuti mentre lui sembrava, agli occhi degli altri, ‘assente’. Non si deve vivere sempre in quell’assorbimento profondo, è solo un picco di meta-coscienza di sé utile e inevitabile. Nella pratica durante le ore diurne attive ci stabilizziamo in una ‘via di mezzo’. Non ci ritiriamo così profondamente da sembrare ‘assenti’ e restare inattivi, ma restiamo sufficientemente attenti a noi stessi, così da vivere in silenzio e in pace mentre fuori siamo attivi, evitando però di estrofletterci al punto di perderci di nuovo tra i fenomeni (ricreando l’ego, la mente e i suoi fattori divisivi).
Se siamo ai primi tentativi, nella pratica, il nostro  ‘ritiro’ potrebbe non portarci dentro di noi con tale successo. In questo caso la consapevolezza si ritroverà in mezzo alla mente. I picchi, in questo caso, saranno costituiti da momenti di silenzio in cui riusciamo ad andare oltre la mentre mentre la stabilizzazione quotidiana consisterà nell’allenare l’abilità a ‘restare dentro’ durante le attività, badando bene a non partecipare ai fenomeni mentali. Il consiglio migliore è di ‘star fermi’, senza scappare all’esterno per fuggire ai contenuti inconsci. A tal proposito è buono rimarcare che ciò che si intende per ‘inconscio’ o ‘sub-conscio’ è quel contenuto che si crea quando siamo totalmente distratti esternamente, quando siamo costantemente nella ‘parte esterna della percezione’, nella punta della freccia. Anche se non siamo mai totalmente inconsci di tali contenuti a livello fenomenale, li trascuriamo e li ignoriamo restando fuori.
Il conosci te stesso inizia quando cominciamo a restare abbastanza dentro da rendere meta-consci tali fenomeni interiori, senza parteciparvi. Quando dico che la pratica è sempre la stessa ma i risultati e i consigli sono differenti, è perché alcuni negano del tutto l’utilità di questa fase nonché dei maestri che offrono il suggerimento di ‘prestare attenzione’ alla mente. Dicono così perché, a livello assoluto, è un consiglio che spinge l’attenzione comunque fuori dalla base. Ma questo è vero solo per chi ha già l’abilità di entrare nella base, in sé, di entrare in samadhi, per intenderci. È invece un ottimo consiglio per chi tende a star sempre fuori e non introietta sufficientemente l’attenzione. Insomma dipende da noi, da dove siamo noi di solito. Se capite qual è la direzione da prendere o ‘la parte giusta in cui stare’, non sarete confusi quando troverete consigli o ‘insegnamenti’ in apparenza contraddittori. Non è una pratica differente ma un risultato differente, dovuto all’inesperienza del praticante che, per forza di cose, comincia dall’esterno. Per chi non ha mai introiettato l’attenzione, questa fase è inevitabile e costituisce un primo passo fondamentale: un primo distacco dalla mente. Il motto è: ‘non riscappare fuori, resta in te’ e ‘comincia a distaccarti da ciò che vedi’, ‘non partecipare’. I contenuti mentali possono essere molto spiacevoli soprattutto perché, in una società come la nostra, i traumi che subiamo sin da piccoli mettono in moto una serie di fughe, nevrosi e dipendenze senza fine. La fuga diventa una risposta involontaria ed automatica. Avere il coraggio di restar dentro e di star fermi di fronte alle paure, ai dolori e ai contenuti mentali prima ignorati è molto importante, purifica la mente ed elimina comportamenti auto-distruttivi. In più, porta ad un’intensificazione naturale della perseveranza nella pratica. Come ripeto spesso questa fase serve a capire chi non siamo e a sperimentare la trascendenza, mentre l’ultimo serve a scoprire chi siamo e a stabilirci fermamente in noi, che siamo la trascendenza stessa. Quando ci si stufa di trascendere i contenuti pezzo a pezzo, si è pronti a restare con più determinazione nella consapevolezza. Questo basterà a trascendere la mente nella sua interezza e a restare nel silenzio che siamo.
Ancor prima c’è la maturazione psicologica basilare, nonostante non sia una ‘pratica’ e ognuno ci arrivi a modo suo (e che purtroppo moltissimi non ci arrivino affatto), ci sono alcune indicazioni utili atte a velocizzarla. Innanzitutto prestare una grande attenzione, sempre. Sviluppare un atteggiamento critico e scettico verso l’esterno e mettere in discussione tutto, soprattutto ciò che diamo per scontato, è utilissimo. Evitiamo così di credere ai nostri condizionamenti precedenti e perdiamo il vizio di ‘prendere senza comprendere’. L’atteggiamento interiore migliore è quello di scoprire dove si cela la lezione per noi, con grande umiltà e senza badare alla lezione che dovrebbero imparare gli altri. Una buona dose di solitudine aiuta molto, intesa sia come passare tempo da soli che come affrontare la vita in autonomia. Passare tempo da soli rende possibile un primo contatto interiore con la propria ‘ombra’ psichica ed inizia il processo del conosci te stesso in modo del tutto naturale. La solitudine rende possibile vivere fisicamente le emozioni che prima evitavamo, purificandoci dalla parte più nevrotica, dipendente e traumatizzata dell’ego. Anche offrirci ad affrontare la vita senza poggiarsi emotivamente sugli altri è un aspetto importante della solitudine. Nonostante ci siano amici, parenti, ecc., è buono prendersi carico delle proprie responsabilità e non adagiarsi troppo su conforti e aiuti. Ciò fa scoprire la propria forza, ci rende indipendenti. Sviluppiamo così una morale autonoma e un sistema immunitario psicologico che debella le nostre risposte più distruttive. Grazie ai primi passetti indietro: dalla parte esterna della percezione, al corpo, diventiamo finalmente maturi.
Il ritiro nel corpo serve allora a vivere senza troppi conflitti esterni. Il ritiro nella mente risolve molti conflitti interiori e prepara la base per la cosiddetta spiritualità. Il ritiro in noi è il salto nella nostra sede reale, in cui si trascende tutto e si scopre la pace. Poi non ci resterà che stabilizzarci in noi fino a che la mente non avrà più il potere di confonderci. Queste tre fasi, dalla più bassa alla più alta, sono sempre lo stesso movimento di riposizionamento indietro dell’attenzione. Fanno tutte parte del ‘conosci te stesso’.
Tutto questo ‘percorso’ è atto ad eliminare l’ignoranza su di noi, a far cessare l’attuale identificazione mentale egoica distruttiva ed auto-distruttiva ed equivale a diventare meta-consapevoli della nostra vera natura interiore, della sostanza di cui siamo fatti. 
Non possiamo essere meta-consci di noi tramite la conoscenza indiretta. Per quanto possano essere validi o sacri i libri che leggiamo, essere auto-attenti è un’attività presente, un riposizionamento conscio nella base, nella sede o nella fonte dell’attenzione ed è da attuarsi col nostro ‘occhio di saggezza’ (Sri Ramana Maharshi), con la nostra consapevolezza. È inoltre evidente che questo non è un vero ‘percorso’, perché non dobbiamo arrivare da nessuna parte, dobbiamo semmai smettere di vagare. Siamo solo noi a renderlo un ‘processo’, a causa del fatto che ricadiamo spesso nel vizio di estrofletterci nella parte esterna dell’attenzione. Tanto più ricadiamo fuori, quanto più lo renderemo un processo lungo, un ‘viaggio’ spazio-temporale. Tanto più restiamo attaccati alla nostra vera base, alla nostra consapevolezza, quanto prima scopriremo che non c’è nulla da raggiungere o da ottenere, dobbiamo solo stare in noi, stare fermi. Mi raccomando allora di non prendere questa mappa alla lettera, pensando di dover iniziare dal principio e proseguire gradualmente. Non è proposta allo scopo di creare un sistema o di riempirvi la testa di concetti inutili, ma solo nella speranza che la usiate  per capire dove siete ed incrementare l’auto-attenzione in modo pratico e stabile nella vostra vita. È solo un modo razionale e parsimonioso di comprimere tutti i messaggi dei grandi saggi nella loro vera essenza e nel loro scopo: la meta-coscienza di sé.
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