#romper mitos
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Le Coppie si dividono perché manca l’Amore.
E l’Amore non è Bisogno.
E’ piena condivisione dell’Unità interiore.
Non siamo stati amati. Perciò non sappiamo amare. E incolpiamo l’Altro di non riuscire a colmare i nostri vuoti. Di rompere il patto di “compensanzione” reciproca.
Le donne cercano disperatamente la protezione di un padre, gli uomini il grembo di una madre.
E quando questa illusione si scontra con la realtà, con la vertiginosa mancanza di adultità emozionale, il teatrino crolla. E ci si ritrova puntualmente soli, traditi, arrabbiati, delusi e reciprocamente asserragliati nelle ragioni e nei torti.
Chiediamo all’Altro di riparare il nostro bambino interiore, piangente e ferito. Chiediamo a chi ci sta accanto di frapporsi tra noi e il nostro Vuoto.
Non siamo in grado di "accontentarci" di un compagno o di una compagna. Pretendiamo un “risarcimento danni”.
Il Femminile si sente ricattato dall’immaturità del Maschile, che spesso diviene prepotente e capriccioso, e il Maschile si sente allontanato dal Femminile, svalorizzato e rifiutato, messo in secondo piano rispetto ai figli, perpetrando il circolo vizioso delle Ferite abbandoniche.
I figli si sentono colpevoli, non voluti, di peso, maturando essi stessi ferite insanabili d’amor perduto.
Un “gioco al massacro”. Tutti si guardano indietro per tentare di recuperare i “pezzi perduti”. Nessuno si spinge in avanti, nessuno si accorge di distruggere con la propria immaturità la generazione successiva. In un ciclo senza fine di Disamore e Mancanza.
E’ per questo che le Coppie Sacre sono rare. Rarissime. Poche centinaia al momento. Poiché rari sono coloro che hanno guarito e risolto con sufficiente amorevolezza la propria Ferita incarnazionale dell'Origine.
Le guerre, i lutti irrisolti, le perdite economiche, i massacri, le violenze, i ricatti emotivi, sono frutto di questa reiterata e folle mancanza di maturità emozionale e spirituale.
Siamo poveri e miseri. O perlomeno è questo quello che ci hanno fatto credere.
Ma tutto può cambiare.
Siamo immersi in un Tempo unico e prezioso di destrutturazione e di crescita, di responsabilità, di conoscenza approfondita dei nostri schemi irrisolti, delle nostre credenze illusorie sull’Amore.
“Amare se stessi” non è un “mito”. Prendersi cura delle proprie emozioni non è uno “slogan pubblicitario”e non è la “moda del momento”. L’autonomia emotiva e la cura di se stessi sono l’unica medicina efficace per questa società malata, asservita e completamente allo sbando.
Si riparte da Noi.
Solo da Noi.
Da quanto siamo disposti a metterci in gioco nel processo di Guarigione.
Da quanto siamo in grado di entrare nelle nostre oscure cantine impolverate e costellate di scheletri del Passato.
Non possiamo passare da una Relazione all’altra a caccia di "madri e padri surrogati".
Queste storie inizialmente così idilliache e perfette, anestetizzano per un po’ la Ferita, nascondono la Verità di chi siamo veramente per un tempo limitato, ma l’innamoramento finisce in fretta. E la doccia fredda della Realtà non tarda a sopraggiungere. Il Principe si trasforma in un ranocchio e la Principessa nella matrigna senza scrupoli.
Questo è il momento di affrontare. Di maturare. Di risollevarci dal Buio della nostra Incoscienza.
Non è tardi. Non lo è mai stato. Per nessuno.
Ma ci vuole tanta volontà, tanto investimento, tanta ricerca e ascolto interiore.
Siamo chiamati ad investire tutto ciò che abbiamo sul nostro potenziale emotivo, sulla nostra generatività, sul nostro ampio ventaglio di Doni e Talenti.
Non è sufficiente "comprendere".
Non sarà l’intelligenza o qualsiasi altra capacità di elaborazione mentale a guarire le fratture del nostro Campo Energetico.
Qui entra in gioco il “Cuore”.
Qui si entra nel "Dolore più profondo e oscuro". Quello che sbatte i piedi di fronte all’ingiustizia di non essere stato amato, visto, rispettato e accolto veramente. Quello che ci toglie il respiro e il sonno. Quello che condanna l’Altro per non essere mai all’altezza del nostro vuoto d’Amore. Quello che pretende un “risarcimento genitoriale”. Quello che vede nella Relazione il “nemico affettivo” da punire, da sconfiggere o da sfruttare. Quello che trema nello specchiarsi davanti a se stesso e alla propria fragilità emozionale.
Nell’Odio c’è Amore negato.
Nella Violenza c’è disperata Mancanza Affettiva.
Nel Dolore c’è il Vuoto di Senso.
Ma nella Guarigione Interiore c’è Vita.
Quella Vita che meritiamo di riconquistare.
Quella Vita che per intere generazioni si è persa, smarrita, dimenticata di Se stessa.
Lo sappiamo oramai: nessuno salverà nessuno.
Ma tutti possiamo salvare noi stessi.
Ed è solo accogliendo e ricomponendo i nostri Cuori spezzati che scopriremo quanto sia meraviglioso sperimentare l’Adultità nelle Relazioni. Quel senso di piena Libertà e Autonomia di esistere, di manifestare, di condividere, di accrescere l'abbondanza reciproca.
L’Amore non pone sul piedistallo l’Altro, non lo distorce, non lo obbliga a stare dentro ad un ruolo che non gli compete. Non sana le Ferite. Non è lì per surrogare una mancanza. Non è Padre e non è Madre.
C’è stato un tempo per l’Infanzia ed uno per l’Adolescenza. Un tempo per essere amati e uno per la ribellione. Un tempo che se anche non ha “funzionato”, non è più recuperabile.
Ma possiamo crearne uno nuovo. Reale e consapevole. Senza toglierci più nulla, senza elemosinare o pretendere “favole a lieto fine”. Un tempo reale, concreto. Rispettoso di noi stessi. E dell’Altro.
Un Tempo dove diventa umiliante e dissacrante continuare a palleggiarsi le Ferite.
Un Tempo di Padri e Madri consapevoli e integri, amorevoli e coraggiosi.
Chi davvero ambisce alla pienezza di Vita e di Amore, raccolga il proprio “zaino” da terra, lo liberi dalle aspettative, dai rimpianti, dalle illusioni, dai drammi irrisolti. Si rivesta della Forza, della Compassione e della Verità e segua la potente Onda della Grande Trasformazione.
Abbandoni le recriminazioni, le scuse, le egoiche pretese di approvazione e riconoscimento e impugni la Spada.
Si affidi totalmente all’Anima e si prepari a riconquistare la propria integrità, la propria indipendenza, la Terra e l’eredità degli Avi. Si abbandoni con Fede e Fiducia alle Fiamme del proprio Fuoco Interiore.
Siamo qui per la Vita, e la Vita è qui per noi.
Con infinito affetto, Mirtilla Esmeralda.
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He vist el teu post sobre el mes de l'Orgull i vull aprofitar per reivindicar a Florenci Pla Meseguer, home trans i intersex i lluitador contra el franquisme. No hi ha moltes figures trans a la història catalana (especialment homes trans, ja que solem ser invisibilitzats) i crec que és important tenir-lo a la memòria. https://www.elsaltodiario.com/memoria-historica/romper-silencio-desmontar-mito-dignificar-florencio-pla-pastora-maqui un bon article introductori!
Gràcies, quan tingui un moment en faré un post!
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Diario de une escritore aro-ace (vol. 2)
Los retos de escribir una comedia romántico con prota aro-ace han sido varios. Así pues, no solo he tenido que sortear la alonorma —como comencé a esbozar en la primera entrada de este diario—, sino también la amatonorma (esa que presupone que todo el mundo experimenta atracción romántica).
Une personaje asexual no experimenta atracción sexual. Esto supone una serie de reacciones físicas. Es relativamente sencilla de percibir, porque el cuerpo reacciona de un determinado modo ante un objeto de deseo.
Inciso: para alguien alosexual, el objeto de deseo en una persona asexual es nulo, pero el deseo existe. Es decir, la libido está, en mayor o menor medida.
Para mí, todo se complica un poco más cuando hablamos de romance. ¿Alguna vez has tratado de describir qué es estar enamorado como alguien alorromántico? ¿Qué se siente al sentir atracción romántica?
Yo, como persona demiaro, he experimentado en dos ocasiones la atracción romántica, pero, sinceramente, no podría ponerle palabras o una descripción breve y concisa. ¿Los motivos? No hay una reacción física tan clara o única que lo describa (a diferencia, creo yo, de la atracción sexual, que es algo que jamás he experimentado, ni experimentaré; así que hablo desde la teoría). Sobre este tema seguro que has escuchado algunas de las siguientes frases: "sentir mariposas en el estómago", "no dejar de pensar en alguien", "de encontrar a la persona adecuada" (esta última la odio con la fuerza de los siete mares, porque como persona aro-ace me ha hecho mucho daño) y se podría seguir recolectando expresiones del estilo tanto de la literatura como del saber popular.
La atracción romántica es un impuso que nace con una finalidad más o menos definida: establecer una relación romántica (valga la redundancia) con una o más personas.
Perdona si la definición no es la más precisa, la estoy haciendo de memoria.
Esto lo tenía claro. Igual que sé con certeza que una atracción queerplatónica, un arrobamiento, un amor platónico o cualquier otro tipo de sentimiento que una persona arromántica sienta hacia una o varias personas (que no sea una amistad) se experimenta de manera diferente a la atracción romántica. ¿Cómo lo sé? No sabría expresarlo quizá sin caer en esos clichés, porque ¿qué vocabulario hay para las relaciones aro sin tener que resignificar las alos ya existentes?
Este caos de emociones lo quise exponer en mi historia. Huy es une personaje demiaro que no tiene dudas sobre esto. Tampoco le da demasiadas vueltas, porque sabe qué percibe. No le importa que sea un arrobamiento o una atracción romántica. Elle sabe qué siente. Esto lo quise exponer así por un motivo sencillo:
Cuando eres arromántique o asexual o ambas siempre terminas por describirte por lo que NO experimentas. Por la ausencia de lo que se considera la norma.
Yo le quise dar la vuelta esto un poco. De este modo, es Ari quien le pregunta a elle cómo es sentir algo por dos personas, qué es enamorarse de una persona. Él es alo, pero también es quién no sabe qué cómo se distingue la atracción romántica, quien tiene dudas.
Siempre han existido las dudas entre personas alo. No obstante, cuando alguien aro aparece en escena, da la sensación de que toda pregunta sobre el amor cae en este "ente" que se tiende a describir como frío. Porque otro mito que hay que romper: ser aro no implica que no quieras tener un relación amorosa ni seas una persona sin sentimientos, por ejemplo.
Una persona aro, al igual que alguien ace, puede querer o no tener una relación. Puede gustarle la idea, rehuirla o darle igual (así a grandes rasgos). Mi historia, como ya conté, va de una persona aro-ace sex/romance-favorable.
Mi exploración personal con este personaje (con el que comparto la orientación) es interesante, porque me resulta sencillo escribir escenas tiernas con les portas. Sin embargo, creo que para alguien alo no se terminará de apreciar los matices, y es que yo pensaba que controla del lenguaje romántico...
Soy:
¿Mi trauma con esto? Hace unos tres años, leí que cuando alguien alo te dice algo como "es que me gusta mucho hablar contigo" es porque le gustas de gustar (vale, sí quizá no TOOODOO el mundo, pero es una generalización y tiene sus carencias). Puede que esto sea de conocimiento popular. Pero cuándo me lo dijeron me quedé pikachu sorpredido. Esto es un ejemplo de otros millones de situaciones que yo no tengo ni idea ni comprendo (y que explican muchas cosas de mi vida personal).
El caso es que, al igual que con la asexualidad, todo el imaginario de parejas/relaciones poliamorosas gira entorno a ser alo. Así que deconstruirse es una obligación. Solo que en el ámbito de ser arromántico no hay mucha información ni nada demasiado claro.
Te pongo un ejemplo. Se usa mucho crush. Bien esto se usa para un interés romántico platónico —subrayo romántico—. Si no sientes atracción romántica de manera normativa, técnicamente no tienes un crush. Puede parecer una tontería, pero al final, en cierto modo, te invisibilizas al usarlo siendo aro, porque no es tu experiencia —cosa que el resto del mundo no va a hacer un ejercicio por entenderlo (de nuevo, es una generalización y tal).—
No hay una terminología común como si ocurre con la asexualidad. En inglés se usa squish. En español yo uso arrobo (pero creo que hay otras muchas más opciones). Con todo esto quiero llegar a que los matices de las palabras son importantes para reflejar la realidad y dar visibilidad y es un problema al que me he enfrentado al escribir une personaje demiaro, pues en mi día a día no le daba más importancia.
Resulta complejo conocer toda la amatonorma, deconstruirte, buscar precisión para explicar toda una realidad arromántica que, en muchas ocasiones, no llego a saber del todo si se muestra bien la experiencia de alguien arromántico, porque hay fronteras de cariño difusas que no tienen un imaginario robusto al que aferrarme.
Esta reflexión termina por aquí, pues ya es muy larga y los temas que han pasado más desapercibidos y aquello que guardan relación con la asexualidad los seguiré desarrollando en otros post.
¡Nos leemos!
#diario de une escritore aroace#el arromanticismo como quebradero de cabeza para une escritore aro#arromanticismo#pensando en escritura#mes del orgullo#pride month
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¡Terapia, no es solo para locos!
¿Te da cosita ir al psicólogo? ¡No te preocupes! Es normal que la idea te cause un poco de chispita. La sociedad nos ha llenado la cabeza de mitos sobre la terapia que nos hacen dudar.
Pero hoy, vengo a romper esos mitos y a contarte por qué ir al psicólogo no es cosa de locos (¡ni de bichos raros!).
Solo los locos van al psicólogo.
¡Falso! La terapia es para cualquier persona que quiera mejorar su vida. Todos tenemos problemas, desde pequeños baches hasta grandes montañas rusas emocionales. Y un psicólogo puede ayudarte a superarlos con herramientas y estrategias.
La terapia es solo para hablar.
¡Nop! La terapia es mucho más que hablar. Es un espacio donde puedes expresar tus emociones, explorar tus pensamientos y aprender a manejar tus problemas. ️
La terapia es muy cara.
Existen diferentes opciones de terapia, desde consultas privadas hasta centros públicos. Además, muchas veces la inversión en terapia se ve recompensada en una mejor calidad de vida.
La terapia es para siempre.
No es necesario ir al psicólogo de por vida. La terapia suele ser un proceso temporal, que dura lo que necesites para alcanzar tus objetivos.
Si voy al psicólogo es porque soy débil.
¡Al contrario! Buscar ayuda profesional es un acto de valentía y responsabilidad. Significa que estás dispuesto a trabajar por tu bienestar emocional.
En resumen:
La terapia no es solo para locos.
La terapia no es solo para hablar.
La terapia no es muy cara.
La terapia no es para siempre.
Ir al psicólogo no es de débiles.
¿Te animas a dar el paso? ¡Tu salud mental te lo agradecerá!
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love isn't love enough
notas/ideas sueltas
warning! this may contain nietzsche...
seguramente este texto sea modificado en algún punto en el futuro. hay ideas que se pueden expandir y clarificar, pero así como está, está bien. la vergüenza no me va a ganar.
quizás hubiese sido mejor que ninguna canción o novela romántica se escribiese nunca; tal vez así experimentaríamos al amor sin falsearlo, como el instinto natural que es.
aún así, las siguientes obras lo capturan mejor que nadie, y de alguna u otra forma inspiraron el texto a continuación (ningún orden particular):
The Magnetic Fields - 69 Love Songs (1999)
bell hooks - All About Love (1999)
Life Without Buildings - Any Other City (2001)
Eternal Sunshine of the Spotless Mind (2004)
Everyone Asked About You - Everyone Asked About You (1997)
Animal Collective - Feels (2005)
Roland Barthes - Fragments d'un discours amoreux (1977)
Cocteau Twins - Heaven or Las Vegas (1990)
My Bloody Valentine - Loveless (1991)
Sweet Trip - Velocity : Design : Comfort (2003)
Björk - Vespertine (2001)
1
De entre todas las ideas que se han repensado en las últimas décadas, el amor es una de las más urgentes, siendo un ámbito usualmente reservado a la intimidad, casi al secreto; fue necesario rescatarlo de debajo del agua y pulirlo. Correctamente, gracias a esfuerzos que aún continúan por más, diversificamos los vínculos, revelamos la toxicidad oculta en lo que solíamos entender por amor, aprendimos que podemos ser felices sin una pareja. Las ideas que deconstruyen la masculinidad también están fundamentalmente relacionadas a nuevas concepciones del amor: nuevas formas de ser hombre, nuevas formas de tratarnos, todos métodos novedosos de relacionarnos con el exterior, y por consecuencia, de amar. Sin embargo, después de la disección, al volver al amor, al juntar los órganos restantes y las prótesis que le inventamos, olvidamos llegar a él, olvidamos por dónde quisimos empezar. Reconstruimos el discurso amoroso sin incluir amor en él; en el intento de destruir sus mitos, también mitologizamos la soledad y al individuo.
2
El error y mito más común es la independencia totalitaria: ser emocionalmente autosuficiente, romper con todo lo que ata, separar al yo y convertirlo en una unidad aislada, una cifra autodefinida, de valor inalterable y constante. Todo eso es lo que debemos buscar. Sus opuestos -buscar una pareja, pensar al amor, desearlo, extrañarlo, llorarlo-, todos son signos de debilidad cuando se nos dice que debemos abastecernos sólo de nosotros mismos. Esta mentalidad tiene al aislamiento y la represión emocional como conclusiones lógicas, y lo empírico es que nunca nadie ha logrado vivir en total soledad sin caer en depresión. Por supuesto que es fundamental disfrutar de la soledad, hacer las paces con ella y poder sacarle provecho, claro que no se puede vivir sanamente en base a otro, pero ninguna vida se sostiene y crece por sí sola.
La exigencia a ser feliz, que ha recibido su parte de críticas, también es asfixiante cuando se supone que necesitamos contentarnos con lo que somos y tenemos sin nadie más, pero no nos ocupamos de criticarla en relación al discurso amoroso, siendo que ahí daña incluso más que en cualquier entorno. La crítica marxista hace décadas que refutó la plenitud verdadera hallada en el consumismo, pero cuando nuestra individualidad no es suficiente para lograr ese ideal de independencia totalitaria, lo más sencillo va a ser caer en la propiedad privada una vez más: después de todo, lo que compramos es nuestro, nos lo ganamos con nuestro esfuerzo y con el de nadie más, así que depender de ello es depender de nosotros mismos. Ni siquiera tiene que ser consumo: ¿no lidian con una falta de amor los hombres que construyen una identidad en el gimnasio? ¿No esconden la necesidad del amor de otro mediante un amor propio exagerado? Ni mencionemos la adicción a una extraña forma de validación social que perpetúan las redes sociales, a esos efímeros y siempre insuficientes signos de aprobación que son los likes y la viralidad.
La realidad es que amar y ser amado implica mover la estructura de uno mismo para integrar algo más, a alguien más: contribuir al desarrollo de otro, cambiarlo; ser cambiado. Querer ser “independiente” implica querer funcionar por uno mismo, inalterado, intocable, así que contradice al menos parcialmente al deseo de amar.
3
Lo que más nos aleja de darnos cuenta de que necesitamos al amor es la negación de la mayor: pensar que el amor no nos puede ya dar nada. Es común oírlo: “el amor no existe”, “no creo en el amor”, “no tengo tiempo para el amor”. Lo que estas frases hechas quieren decir es que el amor está muerto: el amor ya no es suficiente para comprender y afrontar nuestras vidas, ya no es útil. Primer problema: esta realización no deja lugar, como la frase de Nietzsche, a la desesperación movilizadora (“¿Cómo podríamos reconfortarnos, los asesinos de todos los asesinos?”) que brinda la superación (“Muertos están todos los dioses: ahora queremos que viva el superhombre”). Segundo problema, consecuencia del primero: creer que el amor está muerto con esta impotencia en mente, esta inacción, es el verdadero signo de inmadurez. No es despertar del cuento de hadas y salir a la realidad (mucho menos reinventarla): es, por el contrario, huir y refugiarse con cobardía de su dimensión trágica, doble naturaleza común a todas las cosas, y por tanto y en definitiva, es no aceptar la vida.
4
La pregunta que se instala cuando pensamos en salir a buscar amor es: “¿qué debo hacer para ser amado?”; cuando pensamos en el romance, es decir, el amor entre el otro y yo, pensamos “¿soy amado?” y “¿cómo soy amado?”. Nunca nos preguntamos “¿cómo amo?” sin darnos cuenta de que con esa pregunta podemos revisar todo lo que nos preocupa del amor con más eficacia. Además, la práctica de una nueva estructura amorosa nunca va a poder empezar controlando las acciones del otro sujeto, así que por motivos realistas también debe comenzar en uno mismo; corrijamos entonces nuestro acercamiento. Cuestionarnos la forma en la que nosotros mismosamamos es el primer paso para transitar el discurso amoroso.
5
Ahora, la peor parte, tan peor que me cambia el registro: ¿cómo, entonces, debo amar? La respuesta es fácil: ¡ningún texto tiene la respuesta que habita en tu corazón! ¡Nadie puede responder lo que está dentro tuyo…! Frustración. A mi también me dan ganas de meterme en la cama a dormir un año cuando el libro no me dice qué hacer, pero en última instancia todo eso es verdad. Nadie ama de la misma forma, pero cuando nuestras formas de amar no se alinean con unos principios básicos (el respeto, el afecto, la atención, el cuidado, la pasión, el instinto, el deseo), entonces para qué: no estamos amando. Esa es la versión más simple de todo lo que podemos decir sobre el amor, de todo lo que quise decir yo, y se dijo mil veces y aun así me dio para escribir todo esto porque nos seguimos olvidando. Un paso en el arte de amar va a ser preguntarse qué guía nuestras acciones, si siguen el camino de estos principios; corregirnos. Intentarlo, muchas veces. Darnos tiempo, tomar aire y volverlo a intentar. Acordarnos de por qué amamos, de por qué amamos a quienes amamos y decírselos. Todos esos esfuerzos, en sí mismos, también son amar.
6
Todo esto frustra porque retrasa la recompensa, hace parecer imposible la realización, y ese es el punto en el que muchos vuelven a negar al amor: todo esto para nada. Y sí, hay rupturas, hay abusos, hay infidelidades, hay decepciones. Hay llantos, hay largas discusiones, hay largos mensajes, hay estrés, hay furia, hay miedo. Hay noches de terror y sus mañanas funerarias. Pero también hay sonrisas, miradas, caricias, besos, abrazos, roces. Hay tacto, hay charlas, hay risas, hay canciones, hay poemas, libros, películas, teatros, plazas, calles, jardines, desayunos, almuerzos, meriendas, cenas, juegos, luces, pájaros, plantas, flores, estrellas, nubes, un suelo debajo nuestro que con cariño nos endereza, un cielo arriba de todos nosotros, el mismo todos los días y un poquito distinto cada segundo. Manos entrelazadas, hombros desnudos, cabellos despeinados. El sentimiento, la elevación que otorga el amor verdadero, el transcurso amoroso con el que ni nos hemos atrevido a soñar, pero que está, por ahí, en algún lado, no tiene igual. De nuevo la doble naturaleza, la tragedia y la comedia; hay que aceptarla porque nunca va a terminarse hasta que muera el último de nosotros, los humanos, los que inventamos el querernos.
7
Renegamos de este hijo nuestro que es el amor, tan inventado como la rueda, agujereado y parcheado como las banderas, tan viejo como la historia, tan inútil y bello como las flores, como la existencia, pero volvemos a él porque, la puta madre, nos mira y se derrite todo. Era verdad: morite de amor, cagón.
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La herida
Mi madre se vio obligada a amputar una parte de sí misma para dejarme ir. He sentido la herida desde entonces. La señora Winterson era una mezcla de verdad y engaño. Se inventó muchas madres malas para mí; mujeres descarriadas, drogadictas, alcohólicas, cazadoras de hombres. La otra madre tenía mucho con lo que cargar, pero yo lo cargué por ella, queriendo defenderla y sintiendo vergüenza al mismo tiempo.
Lo peor era no saber.
Siempre he estado interesada en las historias de disfraces y confusión de identidad, en poner nombres y conocer, ¿Cómo se te reconoce? ¿Cómo te reconoces a ti misma?
En la Odisea, Odiseo, debido a sus aventuras y a su constante vagar por tierras remotas, siempre siente la necesidad de “recordar el regreso”. El viaje consiste en volver al hogar.
Cuando llega a Ítaca, el lugar está alborotado por culpa de los díscolos pretendientes de su esposa, sometida a una gran presión. Suceden dos cosas: su perro lo huele y su esposa lo reconoce por la cicatriz que tiene en el muslo.
Ella siente la herida.
Hay muchas historias de heridas:
Quirón, el centauro, mitad hombre, mitad caballo, es herido con una flecha envenenada con la sangre de Hidra, pero como es inmoral y no puede morir, debe vivir para siempre en agonía. Sin embargo, usa el dolor de la herida para curar a otros. La herida se convierte en su propio bálsamo.
Prometeo, el ladrón del fuego de los dioses, recibió como castigo una herida permanente; cada mañana, un águila se posa en su cintura y le arranca el hígado; cada noche la herida sana, para volver a abrirse al día siguiente. Me lo imagino, tostado por el sol, encadenado en las montañas del Cáucaso, la piel de la tripa suave y pálida como la de un bebé.
Tomás, el apóstol incrédulo, debe meter su mano en la herida de lanza del costado de Jesús, antes de aceptar que Jesús es quien dice ser.
Gulliver, al finalizar sus viajes, es herido por una flecha en la parte posterior de la rodilla al marcharse del país de los Houyhnhnms, los amables y educados caballos mucho más evolucionados que los humanos.
Al regresar a casa, Gulliver prefiere vivir en el establo de su casa, y la herida de detrás de la rodilla jamás se cura. Es el recuerdo de otra vida.
Una de las heridas más misteriosas es la historia del Rey Pescador. El Rey es uno de los protectores del Santo Grial, del cual se alimenta, pero tiene una herida que no sana y, hasta que no sane, el reino no se podrá mantener unido. Finalmente, Galahad llega y posa su mano en el Rey. En otras versiones es Percival.
La herida es un símbolo y no se puede reducir a una única interpretación. Pero herir parece ser una pista o una clave para ser humanos. Hay valor aquí, además de agonía.
Lo que podemos extraer de las historias es la cercanía de la herida al don: aquel que es herido está marcado -literal y simbólicamente- por la herida. La herida es una señal distintiva. Hasta Harry Potter tiene una cicatriz.
Freud colonizó el mito de Edipo y lo renombró como el hijo que mata al padre y desea a la madre. Pero Edipo es la historia de una adopción, y también la historia de una herida. Yocasta, la madre de Edipo, perfora los tobillos de Edipo antes de abandonarlo, para que no pudiera escaparse gateando. Lo rescatan y vuelve para matar a su padre y casarse con su madre, sin que nadie lo reconozca, excepto Tiresias, el adivino ciego; un caso de una herida que reconoce a otra.
No puedes deshacerte de lo que es tuyo. Aunque lo arrojes lejos, siempre está al regreso, el ajusta de cuentas, la venganza, quizá la reconciliación.
Siempre está el regreso. Y la herida te llevará hasta allí. Es un rastro de sangre.
Cuando el taxi arranca frente a la casa comienza a nevar. En los días en que me volvía loca tenía un sueño en el que me encontraba tumbada boca abajo sobre una capa de hielo debajo de mí, mano con mano, boca con boca, había otra yo, atrapado bajo el huelo.
Quiero romper el hielo, pero ¿me cortaré?
De pie en la nieve, podría estar en cualquier punto de la línea de mi pasado. Estaba obligada a llegar aquí.
Nacer es ya una herida. La sangre menstrual tenía un significado mágico. La llegada del bebé al mundo desgarra el cuerpo de la madre y deja la cabecita todavía suave y abierta. El niño es una cura y un corte. El lugar de lo perdido y lo encontrado. Está nevando. Aquí estoy yo. Perdida y encontrada.
Lo que tengo ahora ante mí, como un extraño al que creo reconocer, es el amor. El retorno o, mejor dicho, el retornando, llamado la “pérdida perdida”. No podía romper el hielo que me separaba de mí misma, solo podía dejar que se fundiera, y eso significaba perder todo el apoyo para el pie, toda la sensación de suelo. Significaba una caótica fusión con lo que parecía una absoluta locura.
Toda mi vida he trabajado desde la herida. Curarla significaría ponerle fin a una identidad, la identidad definidora. Pero la herida curada no es la herida desaparecida; siempre habrá una cicatriz. Siempre se me podrá reconocer por mi herida.
Y lo mismo sucede con mi madre, pues es su herida también, y tuvo que dar forma a una vida alrededor de una elección que no quería tomar. Ahora, a partir de ahora, ¿cómo nos conocemos la una a la otra? ¿Somos madre e hija? ¿Qué somos?
***
Los finales felices son solo una pausa. Hay tres tipos de grandes finales: venganza. Tragedia. Perdón. La venganza y la Tragedia suelen suceder juntas. El perdón redime del pasado. El perdón desbloquea el futuro.
Mi madre intentó lanzarme lejos de su propio naufragio y aterricé en un lugar completamente distinto del que pudiera haber imaginado para mí.
Ahí estoy, dejando su cuerpo, dejando la única cosa que conozco, y repitiendo esta partida una y otra vez hasta que es mi propio cuerpo el que intento dejar, la última evasión que me puedo permitir. Pero hubo perdón.
Aquí estoy.
Ya no tendré que marcharme.
Ese es el hogar.
#jeannette winterson#por qué ser feliz cuando puedes ser normal#why be happy when you could be normal?
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Um Para as Memórias, Dois para a Garrafa
eu preciso dançar um samba bravo, um samba Punk, torto e truncado , a beira do precipício, preciso ouvir meu corpo, preciso ouvir o teatro me clamando, preciso me expor enfim ao mundo cantar touradas, cantar minhas cartas exageradas, preciso interpretar vozes, mitos, escombros reis e deuses em recaídas. Me doar a algo, antes de tudo Ater-me ao fogo, ater-me as bacantes Ater-me ao desejo odioso de pertencer Romper com a mácula do coração materno Desprender-me da culpa cristã Rivalizar cruzes e milagres Minha cura esteve tão somente em ouvir A tragédia é uma amante de fenômenos físicos Se comporta como minha própria pele Me assanha ao silêncio e a solidão Me deixa ressentindo a cobiçar outros casos, outras realidades Improviso meu ímpeto, invento a máscara Sonho com o fim dos meus dias Como anseio a próxima visita...
#inutilidadeaflorada#poema#poesia#poem#poetry#pierrot ruivo#poets on tumblr#poetasdotumblr#literaturabrasileira#poesiabrasileira#expert#impressionismo#simbolismo#projetoflorejo#mentesexpostas#lardepoetas#projetoalmaflorida#projetonovosautores#projetoartelivre#projetoverboador#projetoversografando#liberdadeliteraria#projetonovospoetas#projetomardeescritos#poecitas#poetizador#espalhepoesias#rascunhosescondidos#projetonaflordapele#projetoautorias
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IC: Nome terreno: Liese Krause Nome mitológico: Morgenstern Faceclaim: Lena Klenke - Atriz Nascimento: 20 de março de 1993 Naturalidade: Alemã. Ser: Filha de Hefesto. Tempo de treino: 16+ anos. Nível: 05. Twitter: @olp_morgenstern Fraternidade: N/A Ocupação: Funcionário + Personal Trainer de Treinamento (Diurno).
Qualidades: Gentil, prestativa, observadora. Defeitos: Perfeccionista, explosiva, mandona. Plots de interesse: Todos.
Biografia:
Talvez Wolfach não fosse o lugar que se imagine para o nascimento de uma semi-deusa, mas foi ali, na pequena cidade às margens da Floresta Negra, que Liese nasceu. A família Krause era dona de uma grande propriedade a alguns quilômetros da cidade, e conhecida pelos cristãos como uma família problemática. A avó de Liese engravidara de um homem desconhecido, se casando assim com seu avô após o nascimento de sua mãe, e o mesmo havia acontecido com sua mãe: uma gravidez inesperada, um desconhecido que cruzava a cidade, e dois meses depois do nascimento de Liese, Anika estava casada com Dietrich.
A pequena cidade cristã torcia o nariz, mas a família não se importava. Desde a avó, se tornaram uma linhagem de semi-deuses, fato só conhecido, é claro, pelos Krause. Sua mãe era filha de Poseidon, e Liese era filha de Hefesto. Cresceu sabendo que tinha dois pais: seu papai da terra, como chamava o alemão, e seu papai das nuvens, como chamava o homem que surgia por vezes para cuidar de Liese. O padrasto casou-se com a mãe sabendo da peculiaridade da família, assim como seu avô quando se casou com a sua avó. Eram de uma família pagã que mantinha a tradição da religião que cultuava os deuses gregos, portanto o contato com estes não lhe eram estranhos.
A semideusa cresceu aprendendo sobre os deuses, e principalmente sobre o pai. Não havia nada que ela adorasse mais do que ouvir a mãe lhe contar sobre os mitos antigos antes de ela dormir, e adorava quando o papai das nuvens fazia chamas com os dedos e deixava Liese brincar com elas. Estava acostumada com o culto, as orações, as ofertas, mas só aos 10 que começou a notar seus pequenos poderes descontrolados. O pai a ensinava, e treinamento só começou aos 12, quando entrou no Instituto.
Liese não via anormalidades na vida que levava, mas mesmo assim não entendia como era possível que tanto a avó, quanto a mãe, houvessem se apaixonado por deuses. Lhe causava estranheza que estes seres, que pareciam tão distantes da humanidade, mas ao mesmo tempo tão perto, pudessem conquistar o coração de humanas como ela. "Mas eles são velhos." Liese brincava com a mãe. Mas como uma piada do destino, a alemã entendeu perfeitamente como isso poderia acontecer quando cruzou olhares com o Deus da Guerra.
Tinha 21 quando aconteceu, e estava perambulando pelos corredores do Instituto. Ares estava de passagem, visitando um dos filhos por ali, quando se encontraram. Ali, Liese entendeu o que sua mãe dizia quando lhe contava sobre a primeira vez que viu Hefesto. O coração da semideusa bateu tão forte que o deus da guerra ouviu de longe. De início, nada aconteceu. Ares sabia que a menina Krause era filha de Hefesto, e já havia lhe tomado a esposa antes, seria prudente se encontrar com a sua filha? Mas pegou-se visitando o lugar mais frequentemente, enquanto a garota arrumava desculpas para sempre estar perto dele. Se Ares estivesse dando aulas de combate, estivesse no arsenal, ou aonde quer que fosse, ela tentava se aproximar. Sabia muito bem sobre como seu pai se sentia sobre o deus, mas não podia evitar.
Não demorou para que o romance se iniciasse, e as notícias entre os deuses correm rápido. O Deus do Fogo imediatamente foi ao encontro da filha, que estava no Olimpo com o amado. Estava clara a decepção nos olhos do pai, mas Liese o amava, não tinha dúvidas. Estava proibida de vê-lo, e a atitude do pai acabou por romper parte da confiança que Liese depositava nele. É claro que os pombinhos não deixaram de se ver; a mãe de Liese ajudava a garota, e os dois se encontravam na Floresta Negra, longe dos olhos atentos do Deus Hélios.
Anos se passaram até que Liese enfrentou o pai novamente, que acabou por ceder. Dava tudo à menina, e dessa vez não poderia ser diferente. Hefesto e Ares decidiram que, pelo menos enquanto estivessem com a garota, tentariam se aturar. É claro que o Deus da Guerra se vangloriava aos quatro ventos pela conquista: conseguiu a benção de Hefesto para estar com sua amada filha.
A relação entre Liese e Hefesto não permaneceu abalada por um tempo, já que a garota é extremamente apegada ao pai. Eles cultivam uma relação muito afetuosa, mesmo que ainda precisem reconstruir os anos perdidos pelo conflito gerado por conta de Ares.
Além das habilidades divinas herdadas, Liese também tem facilidade com mecanismos e com criação, por aprender com o pai; desde armamento à arte, a alemã consegue desenvolver projetos facilmente, além de ser ótima com esculturas e com a criação de armas não mágicas.
Habilidades:
1. Chamas I: capacidade de produzir pequenas chamas nas mãos. Estas duram por alguns minutos, e se ela não as apagar após no máximo 5 minutos, elas queimam a garota.
2. Bolas de fogo I: cria bolas de fogo do tamanho da palma da mão, que podem ser lançadas contra outras pessoas. Essas bolas queimam, mas se dissipam rapidamente e se apagam com a água. Consegue criar apenas 2 bolas no espaço de tempo de 4 horas.
3. Escudo de chamas I: cria um escudo de chamas pequeno, capaz de proteger apenas uma area do corpo da garota. Dura 30 segundos e só a protegerá de ataques de indivíduos de níveis 1 e 2.
4. Termocinese: controla o calor, portanto pode aquecer as areas em que ela toca, incluindo ambientes em que ela estiver, desde que o local não esteja em um local mais frio do que a temperatura corporal da garota. Consegue aumentar em até 10º a mais do que a temperatura em que está, por um período de 15 minutos.
5. Chamas II: pode criar chamas em qualquer objeto que tocar; estas agem como chamas de origem não sobrenaturais, portanto se apagam normalmente com água. As chamas são de até 15cm, e ela pode criá-las até 3 vezes em um período de 10 horas.
6. Bolas de fogo II: as bolas de fogo são maiores, podendo chegar a 30cm. Ainda se apagam com água, e ela pode criar até 4 bolas no espaço de tempo de 4 horas.
7. Escudo de chamas II: seu escudo de chamas dura em torno de 5 minutos, além de proteger o corpo todo da garota. A protege por mais tempo, porém um ataque com água pode o dissipar.
8. Manipulação terrestre I: pode manipular o elemento terra. É capaz de o movimentar em pequenas quantidades (no máximo um perímetro de 10cm), podendo então criar ou mover pequenas rochas que podem ser arremessadas a uma distância de 2m. Este poder funciona apenas com rochas e terra, nenhum outro objeto ou pedras.
9. Artesã Divina I: consegue criar objetos abençoados, mas que não duram muito tempo. Estes se quebram quando seu objetivo for alcançado, podendo ser desde armas a outros objetivos. Duram por no máximo 24horas e só podem ter uma função.
10. Chamas III: pode criar chamas em qualquer lugar, e estas não se apagam até que a garota comande. A única forma de apagar, é desacordando a criadora delas. Estas chamas podem alcançar até 50cm, e ela só pode usá-las 2 vezes em um período de 10 horas.
11. Combustão I: pode fazer com que qualquer objeto a seu alcance exploda. Por precisar estar perto do objeto e tocá-lo, a explosão irá atingi-la, então só pode executar esta habilidade se tiver energia suficiente para criar um escudo protetor, assim, não pode ter qualquer ferimento ou lesão.
12. Escudo de chamas III: seu escudo de chamas dura por 2 horas, podendo também proteger no máximo 2 aliados. Ataques mágicos com água podem destruir o escudo, desde que seu inimigo esteja acima do nível 13.
13. Manipulação terrestre II: consegue abrir fissuras no solo, criar e mover rochas maiores, além de juntar o elemento terra ao fogo, criando um ataque duplo com suas bolas de fogo unidas às rochas. Esta habilidade só pode ser usada se estiver em um lugar no qual ela tenha acesso ao solo e rochas, já que ela não cria rochas. Pode usar esta habilidade no máximo 2 vezes em um período de 10 horas.
14. Vulcão: pode criar lava a partir da manipulação do fogo e da terra. O poder é consideravelmente mais forte se próxima a um vulcão, mas ela pode criar pequenas quantidades (1L) em qualquer lugar em que tenha acesso ao solo. Não consegue criar se ela for molhada com água.
15. Combustão II: pode fazer com que qualquer objeto num limite de 50 metros exploda. Não é necessário que ela toque o objeto, mas ela precisa vê-lo diretamente, sem nenhuma obstrução. Consegue fazer isso apenas 1 vez em um espaço de tempo de 24horas.
16. Artesã Divina II: seus objetos agora duram por mais tempo (até 3 dias), podendo ser criados para até 5 objetivos diferentes, inclusive ataques. Só não serão eficientes contra deuses ou outros indivíduos acima do nível 17. Estas criaturas podem ser destruídas normalmente, caso alguém saiba de sua finalidade.
17. Manipulação terrestre III: pode criar pequenas montanhas (2m) ou pequenos terremotos (até 6,0 na escala Richter), movendo o elemento terra ao seu redor. Também consegue criar uma parede de rochas como escudo (limite do tamanho dela), mas estas podem ser destruídas por ataques, desde que vindos de inimigos com nível acima de 18.
18. Artesã Divina III: pode criar objetos uteis contra qualquer criatura abaixo dos deuses. Esses objetos podem ser usados contra os deuses, desde que não sejam com o objetivo de feri-los, se forem abençoados por Hefestos. Só podem ser destruídos definitivamente por semideuses acima do nível 19 e deuses, mas é possível inutilizá-los de outras formas. Eles duram por no máximo 5 dias.
19. Criação de Entidade: com a junção de todas as suas habilidades, a semideusa consegue criar criaturas sobrenaturais. Estas podem ser dos elementos fogo ou terra, usados em combate, ou entidades formadas por peças mecânicas construídas por ela, que podem a auxiliar com outras coisas. Essas entidades sofrem danos como quaisquer outra criatura, portanto se atacadas e feridas, ela precisará criar novas, o que não é instantâneo e a atrasaria em campos de batalha. Demoram 20 minutos para serem concluídas, e duram por no máximo 24 horas.
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Daria Aslamova: Israele è un occupante e un terrorista !
Qual è la vera causa del conflitto tra la Striscia di Gaza e Israele; quali miti utilizza Israele per giustificare il proprio genocidio contro gli arabi; cos’è una “flottiglia della libertà” e perché la Striscia di Gaza è una prigione di massima sicurezza per tre milioni di palestinesi, ha detto la corrispondente speciale della pubblicazione Daria Aslamova alla caporedattrice di Pravda.Ru Inna Novikova.
INNA NOVIKOVA 11.10.2023 15:52
Daria Aslamova: Israele è un occupante e un terrorista
Qual è la vera causa del conflitto tra la Striscia di Gaza e Israele; quali miti utilizza Israele per giustificare il proprio genocidio contro gli arabi; cos’è una “flottiglia della libertà” e perché la Striscia di Gaza è una prigione di massima sicurezza per tre milioni di palestinesi, ha detto la corrispondente speciale della pubblicazione Daria Aslamova alla caporedattrice di Pravda.Ru Inna Novikova.
— Daria, sei stata diverse volte in Israele e Palestina, inclusa la Striscia di Gaza. Come vedi questa situazione?
— La Striscia di Gaza è la prigione più grande del mondo, situata dietro un muro di cemento alto nove metri circondato da filo spinato. Lì vivono tre milioni di persone, sedute una sull’altra, intrappolate in uno stretto pezzo di terra.
Quando nasci a Gaza, non hai:
passaporti,
cittadinanza,
giustizia.
Non puoi andartene da lì. Non vedrai mai i tuoi parenti che vivono sulla sponda occidentale del fiume Giordano.
Di tanto in tanto vengono bombardati da Israele. Solo per prevenzione. Cioè, gli elicotteri israeliani volteggiano costantemente sulla Striscia di Gaza come una mosca su una torta.
Il blocco di Gaza dura da mezzo secolo. Gaza si trova sul mare. Tutti i porti sono stati bombardati. Le persone non hanno il diritto di commerciare con il mondo o di produrre alcun prodotto. La zona di pesca è di sole tre miglia, ma tutti i banchi di pesci passano oltre. Se i pescatori tentano di proseguire il viaggio, vengono colpiti dalle pattuglie israeliane e le loro barche vengono confiscate.
Le merci possono arrivare lì solo con il permesso israeliano. Ad esempio, i materiali e gli strumenti da costruzione sono vietati e, sebbene Gaza abbia una popolazione enorme, sono necessari per costruire case. Non è possibile importare cioccolato, marmellata, cibo in scatola, filo, aceto e latticini. Inoltre, i paesi terzi spesso pagano per tutto questo. E Israele finge: "Com'è possibile? Abbiamo costruito una prigione, ma dobbiamo ancora dar loro da mangiare?"
Abbiamo a che fare con un genocidio completo. Israele ora ha tagliato l’elettricità, il gas e l’acqua. Israele è uno stato occupante e uno stato terrorista.
— Non c’è davvero alcun modo per aiutare il popolo palestinese?
- Stanno cercando di aiutarli. Ad esempio, ho partecipato personalmente alla "flottiglia della libertà", ovvero quando gli ebrei cercano di rompere il blocco di Gaza. Abbiamo raccolto diverse navi con fondi provenienti da ebrei europei, canadesi e americani che comprendono quanto sia ingiusto il blocco di Gaza. Siamo salpati dall'isola di Creta su una nave con cibo e altri beni. Israele ha esercitato pressioni sulla Grecia. La nostra nave è stata abbordata e noi siamo stati arrestati.
Israele introduce costantemente un altro mito: “Questo è un conflitto così complesso, non lo capirai”. Non è vero. Tutti i fatti di base sono molto chiari e semplici. Nel 1917, il censimento rivelò che il 93% degli arabi e solo il 7% degli ebrei vivevano in Palestina. Chi erano questo 7% degli ebrei? Nel 1897 ebbe luogo il primo congresso sionista e i Rothschild britannici decisero di creare uno stato, una patria nazionale degli ebrei in Palestina. Il denaro veniva utilizzato per acquistare terreni. E solo all’inizio del XX secolo gli ebrei cominciarono ad arrivare lì. A quel tempo, la Palestina era una terra idilliaca e patriarcale, perché lì non c’erano litigi religiosi. Ci sono arabi musulmani, ci sono arabi cristiani. Erano abituati a un numero infinito di pellegrini da tutto il mondo, compreso l'Impero russo. Gli ebrei arrivarono e iniziarono ad acquistare terreni. Si è comportato in modo estremamente aggressivo con arroganza. Ciò fu sorprendente per gli arabi. Perché se vi siete trasferiti qui per vivere, viviamo insieme, diventiamo amici. Questo era del tutto impensabile per gli ebrei.
Nel 1947 l’ONU decise di fondare uno Stato arabo ed ebraico in Palestina. Domanda semplice. La vostra gente vive in Palestina da migliaia di anni. All'improvviso ci fu un Olocausto, di cui gli arabi non avevano alcuna colpa. La colpa è degli europei e degli americani. Hanno compiuto un olocausto.
Perché mai, a spese della popolazione locale araba, si taglia un pezzo di territorio, il 56% delle terre migliori, e si dichiara: poiché il mondo è colpevole degli ebrei, gli arabi pagheranno?
Di tanto in tanto vengono bombardati da Israele. Solo per prevenzione. Cioè, gli elicotteri israeliani volteggiano costantemente sulla Striscia di Gaza come una mosca su una torta.
Il blocco di Gaza dura da mezzo secolo. Gaza si trova sul mare. Tutti i porti sono stati bombardati. Le persone non hanno il diritto di commerciare con il mondo o di produrre alcun prodotto. La zona di pesca è di sole tre miglia, ma tutti i banchi di pesci passano oltre. Se i pescatori tentano di proseguire il viaggio, vengono colpiti dalle pattuglie israeliane e le loro barche vengono confiscate.
Le merci possono arrivare lì solo con il permesso israeliano. Ad esempio, i materiali e gli strumenti da costruzione sono vietati e, sebbene Gaza abbia una popolazione enorme, sono necessari per costruire case. Non è possibile importare cioccolato, marmellata, cibo in scatola, filo, aceto e latticini. Inoltre, i paesi terzi spesso pagano per tutto questo. E Israele finge: "Com'è possibile? Abbiamo costruito una prigione, ma dobbiamo ancora dar loro da mangiare?"
Abbiamo a che fare con un genocidio completo. Israele ora ha tagliato l’elettricità, il gas e l’acqua. Israele è uno stato occupante e uno stato terrorista.
— Non c’è davvero alcun modo per aiutare il popolo palestinese?
- Stanno cercando di aiutarli. Ad esempio, ho partecipato personalmente alla "flottiglia della libertà", ovvero quando gli ebrei cercano di rompere il blocco di Gaza. Abbiamo raccolto diverse navi con fondi provenienti da ebrei europei, canadesi e americani che comprendono quanto sia ingiusto il blocco di Gaza. Siamo salpati dall'isola di Creta su una nave con cibo e altri beni. Israele ha esercitato pressioni sulla Grecia. La nostra nave è stata abbordata e noi siamo stati arrestati.
Israele introduce costantemente un altro mito: “Questo è un conflitto così complesso, non lo capirai”. Non è vero. Tutti i fatti di base sono molto chiari e semplici. Nel 1917, il censimento rivelò che il 93% degli arabi e solo il 7% degli ebrei vivevano in Palestina. Chi erano questo 7% degli ebrei? Nel 1897 ebbe luogo il primo congresso sionista e i Rothschild britannici decisero di creare uno stato, una patria nazionale degli ebrei in Palestina. Il denaro veniva utilizzato per acquistare terreni. E solo all’inizio del XX secolo gli ebrei cominciarono ad arrivare lì. A quel tempo, la Palestina era una terra idilliaca e patriarcale, perché lì non c’erano litigi religiosi. Ci sono arabi musulmani, ci sono arabi cristiani. Erano abituati a un numero infinito di pellegrini da tutto il mondo, compreso l'Impero russo. Gli ebrei arrivarono e iniziarono ad acquistare terreni. Si è comportato in modo estremamente aggressivo con arroganza. Ciò fu sorprendente per gli arabi. Perché se vi siete trasferiti qui per vivere, viviamo insieme, diventiamo amici. Questo era del tutto impensabile per gli ebrei.
Nel 1947 l’ONU decise di fondare uno Stato arabo ed ebraico in Palestina. Domanda semplice. La vostra gente vive in Palestina da migliaia di anni. All'improvviso ci fu un Olocausto, di cui gli arabi non avevano alcuna colpa. La colpa è degli europei e degli americani. Hanno compiuto un olocausto.
Perché mai, a spese della popolazione locale araba, si taglia un pezzo di territorio, il 56% delle terre migliori, e si dichiara: poiché il mondo è colpevole degli ebrei, gli arabi pagheranno?
La popolazione ebraica era del 33% nel 1947. A loro fu assegnato il 56% della terra.
Quando gli arabi si ribellarono, furono respinti, 725mila persone persero la casa e fuggirono. Poi c’è la guerra dei sei giorni del 1967, e l’aggressore Israele conquista le alture di Golan dalla Siria, nonostante il decreto delle Nazioni Unite. Hanno semplicemente rubato un pezzo di terra perché lì c'era l'acqua.
Hamas ha parlato apertamente perché negli ultimi decenni tutti i negoziati sull'esistenza della Palestina sono stati congelati. Dov’è lo Stato di Palestina? Se n'è andato. È stupido dirlo: non esiste perché presumibilmente gli arabi non possono costruire uno Stato.
Gli arabi non possono costruire perché esiste uno stato aggressore e occupante, Israele, la sua macchina militare controlla completamente il territorio, bombarda, tortura e priva gli arabi dei diritti fondamentali.
“Tuttavia, molti dicono di Hamas: “Non si possono usare metodi terroristici e prendere ostaggi”.
Chi è migliore in questa situazione: Hamas, che fabbrica in prigione razzi Qassam fatti in casa, o lo stato terrorista Israele, che bombarda completamente Gaza al sicuro dall’aria? Ora anche gli Stati Uniti stanno diventando uno stato terrorista perché hanno sostenuto il genocidio dei palestinesi a Gaza. Inoltre, nessuno ha ancora risposto alla frase degli ebrei: “Siamo in guerra con gli animali umani”. Anche sulle mappe americane i territori della Palestina risultano occupati. L'occupazione è riconosciuta dall'ONU.
Il terrorismo di Stato è sempre più grande del terrorismo di guerriglia. Sarebbe come incolpare i bielorussi per aver fatto deragliare i treni tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
Naturalmente, prendere degli ostaggi non va bene. Ma non dobbiamo dimenticare che il colpevole originale è Israele, che è del tutto illegale nel torturare i palestinesi.
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Ingioiellare
Questa foto non è la dimostrazione di un vandalismo (benchè in parte lo sia). Proviene da uno dei salon privè di uno dei ristorante più famosi di Parigi, Lapérouse, 51 di Quai des Grands Augustins, aperto addirittura nel 1756. Divenuto famoso nell’800 quando in cucina c’era un certo Escoffier, era il ritrovo di aristocratici, artisti, avventurieri. E delle donne più famose della città. Lì si scambiavano anche preziosi gioielli gli amanti, e le dame erano solite “verificare” la natura delle gemme graffiando i vetri, che altro non sono che prove di “autentico amore”.
Questo è uno dei gustosi aneddoti di un libro fenomenale, scritto da una grande etnologa americana, Wendy Doniger
In questo saggio, in cui sin dalle prime pagine ho avvertito il piacere dell’autrice nello scriverlo, Doniger traccia un percorso di studio mitologico riguardanti il triangolo simbolico tra uomo, donna e anello. Non si tratta qui, come nota l’autrice, di anelli scambiati tra pari (come simbolicamente, ma non politicamente, si fa nel matrimonio) o in un gruppo per il potere (come può essere la contesa dell’anello nella saga de Il Signore Degli Anelli di Tolkien), ma di storie\mito dove l’anello svolge alcune funzioni principali. In quelle più antiche, è simbolo di riconoscimento, e serve come chiave di svolta in una situazione di dubbio: un figlio o una figlia di nobili natali abbandonati per i più vari motivi, vengono riconosciuti tali perchè avevano nella culla l’anello con il sigillo del padre, dando così all’anello funzione di riconoscimento di identità; altro filone ricchissimo è quello dell’anello ritrovato in un pesce, dopo essere stato perso, sia in circostanze fortuite sia in circostanze volute, che in questo caso indica la volontà del destino di segnare il suo possessore: si pensi al mito di Policrate, ricchissimo, a cui fu chiesto da Amasis, faraone d'Egitto, di rinunciare a qualcosa di veramente prezioso. Policrate decise di gettare in mare un preziosissimo anello a cui era molto affezionato. Tempo dopo, un pescatore pescò un pesce di dimensioni notevoli e decise di farne dono a Policrate, ma, mentre i cuochi lo cucinavano, ritrovarono nella sua pancia l'anello che aveva gettato in mare. Quando Amasis seppe che Policrate era riuscito a recuperare l'anello, capì che il tiranno era un uomo troppo fortunato e che prima o poi sarebbe stato colpito da una grave disgrazia. Non volendo essere travolto anch'egli dalla rovina di Policrate, decise di rompere l'alleanza. Tempo dopo, i timori di Amasis si avverarono. Nel 522 a.C., il satrapo persiano Orete attirò con l'inganno Policrate presso di sé e lo fece giustiziare mediante crocifissione. Da allora e per oltre un secolo i Persiani mantennero il controllo di Samo; il terzo tipo di anello è quello magico che strega la memoria e l’oblio, centrale per esempio nelle saghe norrere di Sigfrido, Gunther e Brunilde.
Un anello ha di per sè significati simbolici potentissimi: la sua forma, il gesto di essere indossato tramite il passaggio al suo interno, il cerchio come simbolo magico dell’infinito. Ma ovviamente c’è la sua simbologia di oggetto femminile per cui la Doniger individua degli idealtipi in cui rispetto all’anello è:
1. dono di un favore sessuale, cioè che la donna riceva il gioiello dagli uomini con cui va a letto, tema centrale di decine di romanzi dell’ottocento e ancora presente in certe visioni culturali contemporanee;
2. l’uso astuto del gioiello, cioè le donne usano il gioiello per conquistare (o riconquistare) mentre spesso gli uomini lo usano per svincolare le proprie promesse;
3. l’anello del riconoscimento identitario come strumento principe per un padre rispetto al proprio figlio;
4. il ruolo di equilibratore del mito e del gioiello, e della sua valenza per l’amore sessuale, sia in termini di durata della relazione sia della sua potenza;
5. l’anello e le sue storie come indirizzatore, seguendo Claude Levi-Strauss, tra i principi logici della ragione, cioè la dura realtà, che viene sopraffatta nel mito dalla razionalità, cioè il potere intrinsecamente “attendibile” del mito che serve in questo anche come regolatore della comunità;
6. Lo studio delle varianti, secondo il metodo Stith Thompson di classificazione (per cui sono identificati in un un catalogo numerato dei "motivi" ricorrenti nelle fiabe, per cui tutte le successive varianti o aggiunte possono essere descritta dalla somma di ogni motivo), ci fornisce “una massa cumulativa di dettagli psicologici diversi che, nel loro complesso, ci indirizzano verso i significati più profondi del mito, E il confronto di varianti precedenti e successive ci consente di cogliere i miti in formazione, un processo che possiamo ritrovare anche in esempi contemporanei” (pag. 22).
Lo studio, vertiginoso, parte dai più antichi testi indiani e arriva fino a Sex & The City, in un percorso che chiaramente fa capire come le esigenze posteriori, sebbene decisive, alla fine non riescano ad intaccare più di tanto dei meccanismi culturali che cambiano vestito, ma sono ancora presenti da noi. A questo proposito, è illuminante la vicenda di come la più grande compagnia di commercio dei diamanti abbia creato, dal nulla, la tradizione dell’anello di fidanzamento (operazione che nel mondo occidentale riguarda l’80% delle coppie che arrivano al matrimonio, di qualunque rito si tratti) facendo in modo che sembri un rito senza tempo.
Ellizabeth Taylor aveva una grande passione dei gioielli, tanto che la sua collezione, andata all’asta dopo la sua morte in beneficenza, fruttò la cifra incredibile di 100 milioni di dollari. Tra i suoi gioielli preferiti, c’era questo anello
un diamante di 33 carati, taglio Asscher, che Richard Burton, uno dei suoi 6 mariti (il suo amore più travolgente, e che sposerà due volte) le comprò nel 1968 per 305 mila dollari, cifra folle all’epoca. il diamante apparteneva a Vera Krupp, seconda moglie del famoso industriale tedesco Alfried Krupp, famiglia le cui acciaierie erano uno dei vanti della Germania di Hitler. Sposatisi nel 1956, la loro unione sfociò qualche anno dopo in un divorzio molto chiacchierato, in seguito al quale la donna si trasferì in America in un ranch di 500 acri poco distante da Las Vegas: nel 1959 l’anello fu rubato durante una rapina e i diamanti smontati furono ritrovati dall’FBI in differenti parti degli Stati Uniti sei settimane dopo. Il più grande fu comprato dal noto gioiellerie Harry Winston, che lo propose ai suoi migliori clienti, tra cui Burton che sempre per la Taylor comprò da lui la leggendaria collana con un diamante da 66 carati (venduta dopo il loro secondo divorzio da Liz all’asta, con il ricavato usato per costruire un ospedale in Africa). Ma da questo anello la Taylor non volle mai separarsi, e si dice malevolmente che se lo volesse portare per sempre con sé anche da morta, per questo principio morale: ”Mi piaceva l’idea che un simbolo legato la nazismo stesse così bene al dito di una ragazza ebrea”.
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En fechas pasadas se celebró en México el grito de independencia y esto me recuerda a una historia que me contó una amiga la cual dejo a continuación.
Vivía en un pequeño pueblo en la sierra de Guerrero con mi familia, desde siempre nos dedicamos a la agricultura, soy la mayor de tres hijos y desde que recuerdo me hice cargo de todos mis hermanos, los que estaban y los que estuvieron, debido a que mi madre y mi padre se la vivían trabajando en el campo y no tenían tiempo para nosotros. Así que de algún modo la responsabilidad caía en mí de cuidarlos y atenderlos, así como organizarlos para hacer las labores del hogar, todos cooperamos y todos teníamos una cosa que hacer.
Nuestra comunidad estaba cerca de una población grande, la mayoría de la gente al igual que nosotros vivíamos en pequeñas casas de palos y techos de palma que se construyeron alrededor de un terreno en donde se podría sembrar y donde algunos campesinos pagaban el derecho a sembrar, aunque eso con el tiempo terminó debido a la muerte del latifundista, hubo épocas en que verdaderamente fue muy dura la vida y como pudimos salimos adelante al igual que toda la gente que vivía en esas tierras.
Sequías, mal tiempo, plagas y animales nocivos azotaban las regiones de tanto en tanto pero junto con ello también llegaban otras pestes que eran aún más aterradoras, yo fui la única nieta que conoció a la mamá de mi papá la abuela Delmira, de ella aprendí muchas cosas de la cocina, además del campo y decenas de leyendas, cuentos y mitos de la región, pero había uno en particular que me llamaba la atención y era que en aquella zona habitaban brujas en la sierra, señora skin tiempo de la independencia habían perdido todo y guardaban desde aquel entonces un odio hacia el poblado y se ocultaban en las cuevas de los cerros que rodeaban distintas comunidades y que siempre estaban al acecho para atormentar con maldad a las personas.
Todas esas leyendas que circulaban alrededor de estas figuras horribles eran ciertas aunque nunca pude verlas mi abuela afirmaba que volaban por los cielos nocturnos convertidas en aves o en bolas de fuego, pero tuve la mala suerte de ver una o por lo menos eso parecía y tristemente cuando la vi perdí a mis hermanos, en ese tiempo era muy niña, ninguno de ellos había nacido, no había el acceso a las escuelas como ahora, antes había que caminar kilómetros entre senderos y veredas para poder llegar, todos los días mi mamá me levantaba apenas rayaba el sol para prepararme e irme caminando a la escuela, aunque mi padre decía que eso no era algo importante mi mamá siempre fue más inteligente, al decir que la educación era lo único que me iba a poder sacar de la miseria y de ese lugar olvidado por Dios en el que vivíamos.
Tenía razón pero desafortunadamente ese sueño que tenía mi mamá no se pudo hacer realidad con la llegada de mis primeros hermanos, los cuales requirieron las atenciones de mis padres. Durante el tiempo que estuve yendo a la escuela era común que me encontrara con otros niños en los caminos, nos íbamos platicando y se hacía más ameno y más corto el viaje hasta llegar a la escuela, fue hasta que después de un largo y seco verano al iniciar nuevas clases, un día mientras caminaba por los caminos con otros chiquillos nos encontramos a una niña de un rumbo que conducía a uno de los cerros más altos y difíciles de caminar, aunque eran tierras muy fértiles que a veces los campesinos sembraban pero de un tiempo a la fecha ya nadie quiso ir por la desaparición de unos jornaleros que se adentraron en ese camino y ya no los volvieron a ver.
A todos se nos hizo extraño ver a aquella niña salir de ahí porque no la conocíamos y ciertamente no era vecina de alguna comunidad, ni de la mía, ni de las demás que estaban alrededor, su aspecto era menudo de largas trenzas y un cuerpo muy frágil que te daba la impresión de que se iba a romper si la tocabas, su rostro demacrado reflejaba el hambre que todos sufríamos aunque en ella se notaba mucho más, su ropa aunque humilde estaba siempre limpia y los colores de su blusa muy brillantes, siempre cargaba con un paliacate en el que llevaba bolas de masa o de frijol, además de un pequeño guaje con atole de maíz, solamente cargaba un cuaderno y un lápiz que parecía ser eterno porque jamás lo cambiaba, como no la conocíamos nos pasábamos de largo mientras hablábamos entre nosotros y la ignorabamos, ella simplemente nos seguía detrás caminando con pasitos descalzos y lentos aveces esa conducta extraña exasperaba a los otros y le gritaban que no nos siguiera, otros le arrojaban piedras e insultos, aún así siempre iba cerca hasta que una vez y harta de que los demás la trataran mal por su apariencia y su pobreza me acerqué para irme conversando con ella.
Me contó que vivía en la punta del cerro junto con su abuela la señora también se dedicaba a cultivar cosas alrededor de una casa que tenían ahí, nunca supo cómo llegaron a levantar una casita en el picacho ya tenían tiempo viviendo ahí sin que nadie se diera cuenta y a pesar de la miseria la abuela decidió mandarla a la escuela porque ya tenía la edad y además decía que era bueno que estuviera cerca de otros niños, conforme pasaban los días nos fuimos haciendo de una amistad y aunque los otros compañeros eran ahora uraños con ella siempre la esperaba y me sentaba por un lado de su huacal cuando tomábamos las clases.
Cierta tarde que salimos de la escuela cayó una tormenta fuerte que ocasionó la crecida de los arroyos y el deslave de algunos cerros, truenos y relámpagos se veían en el cielo además de que caían rayos en los árboles asustando a unos y haciendo correr a otros, como mi casa quedaba aún muy lejos tuve que refugiarme con mi amiga en una pequeña saliente, cuando la lluvia amainó un poco me dijo que fuéramos a su casa, que estaba muy cerca de ahí, me daría algo de atole además de secar la ropa para que no me enfermara, mi mamá siempre me advirtió que nunca fuera a casas ajenas pero confiaba en mi amiga, así que la seguí por los caminos lodosos que nos condujeron hasta su casa, la cual estaba casi en la punta en donde todo se veía alrededor. la vista de ahí era como nunca hubiera imaginado, las comunidades estaban tan cerca unas de otras divididas tan solo por cañadas y árboles, su casa era bastante humilde, estaba hecha de pequeños troncos mal hechos y su techo daba la impresión de que se iba a caer de un momento a otro, no tenía puertas o ventanas, había algunos animales de corral que se resguardaban de la lluvia y una jaula de ocote muy grande y vacía, pensé que sería para venados.
Esperaba ver una milpa, un sembradío de frijol o calabaza pero no había nada de eso, al entrar en la casa me recibió una calidez agradable, olía a algo extraño y me asusté un poco de ver a muchos animales disecados colgando en el techo, al fondo de aquel cuartucho había una cocina de humo en donde había algo en una olla de barro, había café y algo de masa preparada, así que la niña me invitó un poco de café caliente e hizo que me acercará al fogón en donde de inmediato sentí la calidez, entonces salió su abuela del fondo de la choza y el tiempo se detuvo para mí, aquella mujer despedía un aura muy fuerte, sus ojos negros se clavaron inmediatamente en mí al tiempo que le daba una calada al cigarro humeante que traía, después habló con una voz rasposa preguntándome quién era.
Me quedé helada sin poder decir nada pero la señora se rió un poco cuando le dije mi nombre entre balbuceos, entonces después de decirle quién era así como el nombre de mis padres, pero sentí aún más pánico cuando preguntó si tenía hermanos pequeños. No le respondí pero intuía que ya lo sabía, una vez que terminó de verme de arriba hacia abajo, habló con mucha severidad a la niña que de inmediato la fue a traer un pocillo de lo que estaba hirviendo la mujer se lo tomó de inmediato sin inmutarse por lo caliente, la falda negra que le llegaba hasta el piso ocultaba sus pies y parte de su cuerpo, pero esas manos horribles y secas que tenía hacían juego con unas uñas gruesas y amarillentas que me dieron un poco de asco y más cuando me dio un pedazo de tortilla cocida con sal, la tomé pero no quería comerla, la mujer regresó por donde entró sin decir nada más, me causó mucho impacto y tensión verla recordando las palabras de mi abuela e imaginando que era en realidad una bruja, en ese momento mi amiga me dijo que era mejor que me fuera, a su abuela no le agradaban las visitas y a veces cuando tomaba de ese pocillo se ponía muy violenta, se transformaba por completo, por lo que no me recomendaba quedarme más.
De inmediato le agradecí, me fui corriendo por la vereda, la lluvia comenzó a arreciar y no sé de qué manera pude encontrar el camino, cuando por fin llegue mi mamá me estaba esperando mortificada, de igual forma acababa de llegar y al verme con un rostro medio espantado se imaginó que era quizá por los truenos y relámpagos pero nunca se imaginaron que había ido a la casa de mi amiga y visto a su siniestra abuela, durante toda la noche estuvo lloviendo, fue tanta la cantidad de agua que cayó del cielo que los cerros comenzaron a desgajarse, los caudales de agua lodosa comenzaban a correr por los caminos inundandolos y llevándose todo a su paso, mis padres estaban atentos a cualquier ruido o corriente de agua que pasaba por un lado de nuestra casa, si aumentaba más de lo debido iba a ser momento de salir huyendo del jacal para correr hacia la ladera de un cerro, hacia un lugar seguro en donde mi papá había colocado un templete que nos resguardaría de la lluvia.
El sonido del agua correr era aterrador, los relámpagos destellaban en el cielo iluminando el caos que se precipitaba, mis padres pensaban que quizá habría desgracias en las comunidades por los derrumbes si es que no nos ocurría algo a nosotros antes, no sé en qué momento de la madrugada la lluvia cesó pero el sonido del agua corriendo por los caminos era más que evidente, el crujir de troncos que provenía de los cerros nos estremecían cada que los escuchábamos a pesar de ello todos esos ruidos nos hicieron levantarnos a todos para estar atentos, mis hermanos por ser pequeños estaban profundamente dormidos sin enterarse de nada aunque ciertamente estaba nerviosa no solamente por la tormenta sino por lo que había visto por la tarde en casa de mi amiga.
Extrañamente una y otra vez aparecía el rostro horrible de su abuela en mi mente, un tanto infantil imaginaba que de ahí provenía todo el desastre que estaba ocurriendo, ese temor extraño de pronto se hizo realidad cuando escuché el ulular de una lechuza cerca de nuestra casa, mi abuela siempre me advirtió que le estuviera respeto a estos animales y que escuchara atenta sus sonidos porque ellos revelaban la verdadera naturaleza del animal, este en particular su ulular era muy extraño y escalofriante, el nervio que tenía me hacía imaginar muchas cosas que me producían un pavor hacia lo desconocido, entonces ocurrió lo inimaginable, después de un destello que iluminó todo escuchamos un estruendo que cimbró la casa, había caído un rayo cerca y después solamente escuchamos los gritos de una niña que pedía ayuda, aquellos gritos hacían eco y mi padre de inmediato se levantó, se colocó su sombrero, un sarape para la lluvia y salió dispuesto a ver quién pedía auxilio, siempre fue así de atrabancado y altruista. Mi madre se colocó en la puerta gritándole que se llevará un quinqué de petróleo que teníamos en la mesa para que se iluminara, esa escena en la que vi a mi mamá parada atenta en la puerta viendo como se alejaba mi padre fue una que jamás voy a olvidar más aún cuando escuché los gritos frenéticos de mi papá, fue algo que me impulsó a levantarme de la cama para correr a ayudarlo, mi madre hizo lo propio y salió antes que yo, no sin antes decirme que me quedara a cuidar a mis hermanos.
Cuando la vi alejarse entre la oscuridad y perderse completamente de vista los segundos se me hicieron eternos, cuando escuche lejos sus gritos y después el silencio imaginé lo peor y en ese momento mi mente entró en shock por el miedo y el nerviosismo fue un breve segundo en el que tomé la decisión de salir corriendo de la casa para buscar a mis padres sin pensar en nada más ni siquiera en mis hermanos pequeños, corriendo en la oscuridad casi sin aliento y gritando por mis padres, no sabía realmente hacia dónde me dirigía sólamente sentía el fango bajo mis pies y a veces caía en este mismo en mi loco intento por encontrarlos, no sé cuánto tiempo pasó ni cuántos metros recorrí pero al salir a un claro note las lámparas tanto de mi papá como de mi madre iluminando sus rostros, algo decían entre ellos al verme ahí parada de inmediato se espantaron y me preguntaron por mis hermanos al comprender lo que estaba pasando y donde estaba sentí que el piso se me abrió.
Un impulso horrible nos hizo correr a los tres hacia la casa nuevamente la lluvia comenzó a caer, mis padres no se explicaban porque habían escuchado aquellos gritos si no había nadie en el monte, era como si algo los hubiera querido sacar de la casa y a mí con ellos, en cuanto llegamos vimos con alivio que todo estaba en orden, mis hermanos dormían como si nada hubiera pasado, ajenos a todo lo que nos martirizaba, mientras mi mamá le servía un poco de café a mi papá yo me quedé mirando hacia la negrura de la noche y las gotas de lluvia caer, un repentino destello que iluminó todo me rebelo por breves segundos una figura conocida, era mi amiga, me pareció verla parada en medio del camino con su frágil cuerpo y ese semblante que siempre tenía de hambre, a diferencia de otros días la note triste y más pálida, no sé por qué razón estaba ahí afuera no sabía si realmente lo estaba pero en cuanto escuché que uno de mis hermanos se quejaba todos volteamos al mismo tiempo sólo para sumergirnos en el terror de como alguien lo jalaba hacia el exterior por una ventana tomándolo rápidamente del brazo.
Mi otro hermano tampoco estaba por lo que de inmediato intuía que ya lo habían sacado sin que nos diéramos cuenta, no vimos quién o que se lo robó, solo eran un par de brazos y manos pero lo que sí recuerdo eran esas uñas amarillas y horribles como las de la abuela de mi amiga pero nunca imaginé que eso fuera posible, grité con todas mis fuerzas en tanto mi padre tomaba su machete y salía corriendo para buscar a quien se estaba robando a mis hermanos en medio de la lluvia y los truenos.
En esta ocasión si eran reales los gritos, escuchaba a mis padres y mis hermanos que gritaban de espanto, me quedé en shock sin poder moverme, la fuerza de los relámpagos me hizo estremecer y cuando vi nuevamente a mi amiga a lo lejos tan solo le grite, no me respondió, comencé a correr atrás de mis padres, no los podía ver aunque si podía escuchar sus gritos, me dejé guiar por ellos, en cierto momento el ensordecedor ruido de la lluvia caer hizo que se hicieran lejanos y desaparecieron, cuando menos lo esperé me di cuenta de que estaba perdida en medio de la nada y en completa oscuridad.
Comencé a llorar desconsoladamente, gritaba para que alguien me ayudara, oraba para que mis padres pudieran escucharme, de algún modo con los destellos del cielo pude ver por instantes las veredas y los caminos inundados, me dejé llevar poco a poco por esos destellos de luz, de pronto algo que venía del cerro me hizo caer al suelo llevándome con la corriente, cuando creí que todo estaba perdido sentí una mano fría y delgada aferrarse a mi antebrazo y me jalo con mucha fuerza, al levantar la mirada noté que era mi amiga la que me había ayudado, ahí estaba con su frágil cuerpo, más pálida y fria que hace unos momentos, apenas iba a preguntarle algo cuando su delgada vocecilla me dijo que debía regresar a mi casa y no salir de ahí, que debía esperar a mis padres y seguramente ellos regresarían, pero no debía preguntar por mis hermanos porque cuando su abuela se transformaba no había nadie que estuviera seguro, dicho esto me dejó, con mucho miedo se fue caminando lento entre la lluvia sin poder comprender cómo es que lo hacía en ese momento, me pude dar cuenta que estaba a unos metros de mi casita, había luz dentro y calor, así que me levanté y me fui caminando lento hasta el jacal donde temblando de frío y terror me quite la ropa enlodada poniéndome junto al fogón para esperar a mis padres.
El cansancio y las emociones hicieron que poco a poco me quedara dormida, cuando un breve destello de luz me hizo despertar me levanté de inmediato, sólo para darme cuenta de que ya había amanecido, brinque de la cama y al salir todo estaba en calma pero parecía que la lluvia se había llevado muchas cosas, incluido a mis hermanos, a unos metros de la casa mi padre estaba sentado y recargado en un árbol mientras mamá lo abrazaba, tenía a uno de mis hermanos en sus brazos pero del otro no había señales, al acercarme me di cuenta de que estaba sin vida, en su cuello un moretón y todo su cuerpo estaba lleno de cortes y rasguños, de igual forma caí de rodillas para mirar el cuadro desolador y triste que estaba frente a mí, luego de mucho rato de estar llorando desconsoladamente nos levantamos y comenzamos a caminar por un sendero hasta la comunidad donde íbamos a dar parte de la desaparición de mi hermano, pero mientras lo hacíamos nos dimos cuenta de que mucha gente también tuvo perdidas, todo era aflicción y dolor a medida que avanzábamos.
Cuando por fin logramos denunciar la situación otras personas también afirmaban que habían perdido hijos y parientes durante la tormenta, pero que ciertamente hubo algo más aunque no lo quisieron decir, varios pobladores salieron con machetes en mano hacia el picacho de la bruja donde decían que quizá ahí encontrarían a sus hijos, al pensar que se trataba de la abuela de mi amiga no quise decir nada por miedo y fue por la tarde que regresaron los hombres sólo para decir que el jacal había desaparecido debido a las torrenciales lluvias y no había quedado nada. Mi padre traía en sus manos un cadáver que ya tenía algunos meses de haber sido enterrado y las lluvias habían sacado a la superficie. Con terror pude mirar que el rostro hinchado y descarnado era el de mi pequeña amiga.
Después de todas esas tragedias poco a poco la vida en la comunidad fue tomando su curso, mis padres habían quedado muy tristes y desolados aún así continuaron con sus vidas y lograron recuperarse cuando llegó otro hermano a la familia y después otro más a los cuales por supuesto cuidaba todo el tiempo, tenía temor de que les pasara algo y mis padres vivían con esa zozobra, cada día me sentía responsable por ellos, así duramos mucho tiempo hasta que se pudieron valer por sí mismos. Muchos años después y al recordar esta historia a veces cuando voy con mis hijos por los caminos de pronto veo entre la maleza asomada a mi amiga con su cuerpo menudo y su cara algo descarnada e hinchada, parece que los años nunca pasaron por ella, siempre que la llego a ver por breves instantes lo único que hago es darle las gracias Por salvarme a pesar de que ha pasado el tiempo y no hemos vuelto a enfrentar una situación como aquella cuando llueve no puedo dormir, me quedo vigilando las ventanas, viendo a través de estas los destellos y el ruido ensordecedor, pensando que quizá en uno de ellos puede llegar una bruja y llevarse a mis hijos.
De aquella anciana en ninguna comunidad se supo más, tampoco se sabe qué clase de magia utilizaba para levantar el alma de aquella niña que la servía, pero incluso hasta estos días en ciertas comunidades cuándo se acerca el 15 y 16 de septiembre muchos aseguran qué se puede ver en la oscuridad de la noche a aquella mujer con su rostro endemoniado, buscando a niños para comerlos y matarlos y así continuar con su venganza.
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- 23.07.79, Casa di Alexis - terzo piano
16.07.79, Casa di Alexis - tetto AD - «Ah, Tia voleva farti un discorsetto» … «Credo»
«Voglio sapere che intenzioni hai. E che cosa sei.» domande vaghe, forse, ma quello sguardo color pece deve esserne ignaro perché resta fermo su di lui, eloquente e già pronto a spazientirsi.
« Mia madre è una gigantessa » e lo dice con tono basso, sì, ma meno titubante del previsto e di quanto abbia manifestato fino a quel momento. Solo gli occhi potrebbero andargli contro, in quella continua ricerca delle attenzioni da parte dell’interlocutrice tanto temuta. « Non posso e non voglio essere diverso dalla persona che sono » spiega, con l’intenzione di scandire ogni parola, tra un controllo alle sorti del bicchiere e uno sguardo alla Serpeverde. « Non voglio fare del male a nessuno, non voglio che lo sappia nessuno » aggiunge, fissando più serio che mai il viso della ragazza. « Ci sono già abbastanza troll che a scuola lo stanno capendo, non ho bisogno di altre prese in giro » conclude, con le labbra che si stringono tra di loro, amaramente, prima di sforzarsi di tornare a sorridere all’altra e riprendere il filo del discorso.
«Tutti lo sapranno.» che potrebbe quasi sembrare una minaccia, se non venisse prontamente motivata «Sei davvero alto.» Gli sorride, con un lampo di genuina fascinazione, mentre continua «Ma non c'è nulla da prendere in giro.» si puntella i gomiti sulle ginocchia, per restare protesa verso di lui «Sai che in Africa c'è un popolo, i Kuba, secondo cui il mondo lo avrebbe creato un gigante bianco di nome Mbombo?» e qui un indice si distende, ad indicare il ragazzo lì davanti, per sottolineare le analogie col personaggio mitologico. [...] «Mbombo non esiste, ma sai perché il mito ha scelto lui?» lo interroga, ma la domanda è retorica «Perché sono i diversi, che regalano qualcosa al mondo. Loro soltanto.»
« Pochi pensano che siano i diversi a regalare qualcosa al mondo, la maggior parte dei ragazzini non si fa così tante domande.. Hanno solo paura di me » e lui di paura non ne vorrebbe fare affatto da come l’espressione vada a rabbuiarsi. « Io non voglio fare del male alle persone, non ho scelto io di essere così e non lo capiscono proprio » e la presa sul bicchiere si farebbe poco più forte mentre in un sospiro lascia che il viso si distenda con un luccichio negli occhi di troppo. « Scusa » andrebbe però subito a dire, cercando di guardarsi finalmente intorno « sono troppo agitato per tutta questa storia » cercherebbe anche di giustificarsi tra un sorriso sforzato e una mano che si avvicina al viso per cancellare le prove e obbligarsi a fare finta di niente.
Lo ascolta in silenzio, lo osserva con attenzione, ma per molto tempo non ha nulla da rispondere. Continua a sporgersi verso di lui, però, e lo fa allungando entrambe le mani verso quelle altrui, in cui ora viene sorretto più forte il bicchiere. L'obbiettivo è quello di sovrapporre i palmi al dorso delle mani altrui, incorniciandole (dato che le dimensioni non le permettono di racchiuderle) nelle proprie. «Guardami.» replica a quelle scuse, tentando di incontrare gli occhi lucidi del mezzo gigante nei propri, ancora impassibili «Io non ho paura di te.» lo dichiara come se trovasse l'eventualità assurda «Tu a me non puoi far male.» forse pecca di superbia, nel crederlo, ma la convinzione con cui lo dice è indubitabile. Tenterebbe di trattenergli le mani quando lui le muoverebbe a scacciare quei residui di vulnerabilità dalla propria espressione, segni che lei continua a studiare con un'attenzione quasi scientifica, ma senza giudizio.
Non si sottrae poi dal contatto tra le sue mani e quelle di Tia, limitandosi a stringere poco più forte il bicchiere, nella continua paura di poterlo rompere per la sua eccessiva forza. Asseconda quindi i suoi ordini, fissandosi tra i pensieri quanto gli dice. « Come puoi essere così sicura del fatto che io sappia controllarmi abbastanza da non farti male? » Andrebbe a domandare, di fronte a tutta quella convinzione altrui, cercando di tornare in sé, riprendendo con la loro conversazione iniziale.
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Lucifer
Antes de ser "satanizado" por la Iglesia Católica, Lucifer era adorado por griegos (era Fósforo), romanos y atlantes, también era uno de los nombres con los que se conocía al planeta Venus (el lucero del alba en el cielo). Lucem + ferre o lux (luz) y ferre (portador) simbolizan al portador de la Luz, que es el conocimiento. Trajo luz a la conciencia humana al principio de los tiempos. Lucifer sigue siendo el espíritu del elemento Aire. Él sigue siendo el señor de la luz (luz astral) tiene dominio sobre el plano astral y la luz astral (éter). El dios griego Fósforo representaba a Lucifer, pero como "Venus", lucero del alba, ascendiendo en el cielo, mientras que su hermano Hesperus simbolizaba a Venus descendiendo en el cielo. En griego phos (luz) y el sufijo "phoros" (portador) significa portador de luz (como Lucifer), los romanos lo llamaban Nocturnus o Noctifer. Hay otro paralelo entre Lucifer y Prometeo, quien robó el fuego de Hestia y se lo dio a los humanos (el fuego es conocimiento, o algún tipo de poder como la energía prana, sekhm). Fuego secreto, que trae conocimiento y destruye ilusiones. Nótese la similitud entre el nombre fósforo y horus (phosp+horus). En la Biblia hebrea se hace referencia a Lucifer como Heylel ben-Shahar (el que brilla). También lo asocian con el dios sol mesopotámico Shamash (šamaš), señor de la luz. Lucifer a veces se asocia con el dios egipcio Amón-Ra. Amún significa oculto (aspecto no visible y misterioso de la divinidad) Ra simboliza el sol, pero aún luz, la conciencia inteligente que impregna todo el universo. Para el adepto practicante, encarnar el arquetipo de Lucifer simboliza buscar su luz interior, el autoconocimiento. Las leyendas católicas asustan a la gente con el concepto de "fuego eterno" en el infierno, almas en llamas. La razón por la que algunos libros asocian demonios con "llamas" no tiene nada que ver con el fuego real, pero estos seres extradimensionales cuando entran en nuestra realidad están rodeados de un resplandor ligero e intenso, que parece "fuego". Es un fuego etéreo (éter), luz cósmica, prana, éter luminífero, agni (hay una diosa llamada Agni, pero este término sánscrito significa "fuego"). Hace siglos, los magos y las brujas tenían otra mentalidad y una comprensión menos completa de estos fenómenos espirituales y entidades espirituales. Actualmente, en pleno siglo XXI, tenemos una comprensión diferente de estas realidades. Es fundamental romper viejos paradigmas y evolucionar. Los libros antiguos no son la "última palabra", el conocimiento avanza, se transmuta. Lucifer no es un “ángel caído” ni fue arrojado del cielo, las leyendas humanas son formas incompletas de describir realidades incomprendidas; era la "serpiente" mitológica en el jardín del Edén que inició a Adán y Eva en las tradiciones esotéricas (hermandad de la serpiente). Otro título para él fue Nachash (serpiente) que significa "El que posee conocimiento". El arquetipo de la serpiente también se inspiró en la mitología egipcia. Kneph era una serpiente, la fuerza creadora del universo, se puede traducir como "Aliento de vida", a veces representado como un huevo con alas, o una serpiente envuelta alrededor de un huevo. ¿El conocimiento es negativo? El conocimiento es neutral, nosotros decidimos cómo aplicarlo. Libre albedrío con conciencia y voluntad con discernimiento. Varios mitos tenían hermanos rivales, Horus tenía a Seth, Thor tenía a Loki. Son entidades de la misma fuerza cósmica, pero con diferentes polaridades. El Universo es un equilibrio entre polaridades: la materia ordinaria y la antimateria, la energía ordinaria y la energía oscura, el fotón y el antifotón, el Universo y el antiuniverso. Lucifer ha sido conocido por muchos nombres diferentes en diferentes religiones durante milenios. Cada pueblo y cada tradición interpretaba diferentes nombres
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Amor casi imposible (Marco Diaz y TN)
Narra la Narradora
Cuando esta tierra era más joven Existían dos almas gemelas que se querían
Pero al crecer su amor decidieron estar juntos pero había una regla que no podían romper
Que un mortal y un ser de muerte estén juntos
Por culpa de esa regla uno salió lastimado y para eso no existe cura
Xxx:Y el otro mami que pasó con el otro
Xxx:Solo se despidieron
Xxx:¿Porque?
Xxx:Por qué esa eran las reglas ahora me dejas terminar
Xxx:Si mami
Luego de eso se despidieron así se creó esa regla para que ningún mortal o ningún muerto volviera a pasar lo mismo que esto
Pero esa regla no aplico con dos personas
Y así empieza nuestra historia
Narra la Narradora Era un día especial para toda la ciudad de México era el día más festivo de la ciudad era día de los muertos por que según los muertos visitaban a los vivos
Cada cierto tiempo pero lo que no sabían era que esos relatos eran ciertos abajo de México existe el mundo de los Muertos y cada cierto tiempo los muertos podían salir en el mundo de los vivos para parecerse a los demás
Para camuflarse con los que se disfrazan de Brujas,Calaveras entre otras cosas
En el mundo de los Muertos
Narra Marco
Esta es la primera vez que voy a subir al mundo de los mortales hace mucho tiempo que no sabía nada de cómo es el mundo de los mortales
Mejor me apuro tengo que ir a la ciudad de aquí para qué nos digan cómo son las reglas
Star:Marco vamos que si no vamos a tiempo no vamos a poder escuchar las reglas
Marco:Si Star ya voy
De pasar un poco de tiempo caminando llegamos a la escuela donde nos explicaran cómo vas en esa primera vez saliendo al mundo de los muertos
Maestre D:Escuchen bien estas son las primeras reglas que tienen que respetar para poder ir al mundo de los mortales
1-Jamas acercarse a un mortal 2-Nunca revelar lo que eres 3-Nunca enamorarse de un mortal
Todos/M.D:¿!!Qué!!?
Maestra D:Si voy a ser rápido les voy hacer un resumen de porque no puede Enamorarse de un mortal
Hace tiempo una mortal y un catrín se enamoraron pero había una regla
Que era jamás pero jamás enamorarse de un mortal no obedecieron las reglas los dos
Por culpa de eso uno salió lastimado la humana tuvo que despedirse del catrín para así mántener a salvo al catrín
Y desde ese momento se creó está regla
“Por qué siento que e escuchado esto antes”
“Tal vez... Solo es mi imaginación.. si eso”
Star:Marco despierta
Marco:Mmm mandé Star
Star:Es que ya vamos a ir al mundo de los mortales y te quedaste como congelado cuando escuchaste la historia
Marco:No es nada Star eso solo que
Star:¿Es solo qué?
Marco:Nada olvidalo
Star:Ok
En el mundo de los Mortales
Narra TN
Hoy iba a ser día de los muertos es la festividad más genial de aquí de México estoy tan emocionada
Y se preguntarán porque es porque según dicen que nuestros ancestros o mis tatarabuelos van a venir desde el mundo de los muertos
Visitaban a los vivos no se camuflaban de ellos para poder un día por lo menos estar entre los vivos y eso es lo que emociona tanto pero según mi mamá solo es un mito pero yo no creo eso
María:Hija baja a comer
TN:Ya voy
María:Voy a salir a trabajar en la panadería así saldré hasta tarde entendido
TN:Pero Mamá es día de muertos
María:Lo se así que quiero que tú vayas al panteón dónde vas a poner los altares a nuestros ancestros y a tus tatarabuelos
TN:Ok Mamá
Después de comer
TN:Mamá ya me voy
María:Ok pero cuídate si
En el panteón
TN:*Bueno primero compro el pan de muertos 5 velas tacos, mole, enchiladas, pozole y sopa con refresco si así*hay
Pero hay ahora que pasó
TN:!Hay¡ Perdón ¿estás bien?
Xxx:Si no te preocupes
TN:Seguro
Xxx:Si
TN:En serio lo lamento déjame ayudarte a levantar
Xxx:Gracias
TN:No hay problema hay no me e presentado me llamo TN y tu
Marco:Mucho gusto me llamo Marco
TN:Oye tú eres nuevo aquí
Marco:*!Hay¡ Se me olvidó que estoy en el mundo de los vivos*Eeh si soy nuevo aquí
TN:A bueno ven*dije agarrandole la mano*
Lo lleve al centro de la ciudad para que viera el esplendor de México en estas épocas
TN:A poco no se ve genial
Marco:Vaya que a cambiado*dijo susurrando*
TN:¿Qué dijiste?
Marco:Na-ada*dijo nervioso*
Narra Marco
Tengo que tener más cuidado no quiero que me descubra si lo hace no volveré a subir al mundo de los mortales
TN:Hay caramba casi se me olvida
Marco:¿Qué?
TN:Tengo que ir a poner ofrendas para mis ancestros*dijo la chica contenta*creo que te veré luego supongo
Marco:S-ii
Espera por que estoy emocionado por eso
TN:Adiós*dijo mientras se alejaba*
Vaya que chica pero tengo que regresar con Star además como será que me vio si según los humanos no pueden vernos bueno eso creo
Star:!Marco¡ hasta que al fin te encuentro vamos donde están nuestros padres*dijo Star preocupada de no llegar a verlos*
Marco:Si vamos
Star:Espera por que estas sudando y algo sonrojado
Espera... ¿!Qué!?
Marco:Ya va-mmonos quieres
Star:!Hay¡ ya está bien solo preguntaba
Con TN
Narra TN
No sabía que había habían llegado nuevas personas a la ciudad
Después de comprar las cosas
TN:Bueno ya está las velas, el pan, sus comidas favoritas, las cervezas o aguas y sus fotos
Vaya pareciera que nunca se fueron aún los puedo sentir como si estuvieran aquí
Se me salió una lágrima de tristeza pero luego sonreí
TN:Los extraño mucho
Pero suena mi celular era mi Mamá
En la llamada Mamá Mari
¿Ya pusiste las cosas?
TN Si Mamá ya solo falta el caminito De flores
Mamá Mari
Ok en un rato voy Si quieres puedes ir a ver el carnaval Pero no quiero que llegues tarde a Casa ¿Ok?
TN
¡Gracias! Ama la quiero Y si no llegare a casa tarde
Mamá Mari
Esta bien cuidate hija
TN
Si ama la quiero
Fin de la llamada
TN:Bueno entonces a distraerse
Con Marco
Narra Marco
Star:Marco ya llegamos
Marco:No
Star:Ya
Marco:No Star si espera
Ya habíamos llegado al Panteón donde de seguro estaba nuestros padres
Marco:Ahora si ya llegamos
Star:!Sii¡
Pero antes de que Star entrara vi a !Tn¡ hay no no
Agarre a Star rápido de la mano antes de que entrará y la oculte conmigo
Star:Marco ¿qué haces?*diji susurrando*
Marco:Espera si*dije susurrando tambien*
Luego la vi salir
Marco:Uff eso estuvo cerca
Star:Marco
Hay no que voy a hacer....
Marco:Star te lo puedo explicar*dije asustado*
Star:Te escucho
Marco:Bueno veras...
Nota de la Autora:Este es otro de mis borradores espero que les guste
Nombre:TN/Rayis
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mi version de spider man:su personalidad y motivación
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PERSONALIDAD,ACTITUD y
MOTIVACION
haber no es un secreto para todos que Peter es algo holganza y conformista Bueno gracias a sam raimi tengo la respuesta eso durante de las escenas de la trilogía de raimi, peter que en ese momento no tenía sus poderes salvo a una niña que está atrapada en un edificio en llamas
Bueno si pasara algo así en el sentido de que Peter siendo spiderman en un momento de salvar a una niña (no tiene que ser de un edificio en llamas) peter se confió al punto que casi muere esa niña hasta que peter logró salvarla y este evento cambió algo en peter plantando la semilla de la duda de si volvería a pasar y el deseo subconsciente de aspirar a lograr más y romper sus límites para poder prevenir esas cosas motivandolo a ser el mejor hombre araña que puede ser en otras palabras el verdadero superior spider man
Ok hablando de este peter si tiene unos cambios pero en lo esencial queda intacto y seria cambios menores por ejemplo su sentido de la responsabilidad y el deber quedan igual
Su sentido del humor peter le hubiera bajado dos rayitas de forma que peter si lo siguiera usando pero cuando la situación lo amerita pasaría de cómico a serio de forma instantánea de manera que las personas que no conocen ese lado suyo les puede llegar a dar escalofrío ya que esté peter serio aunque no mata si puede provocar bastante miedo y sabe cómo usar el miedo a su favor un ejemplo es dando una descripción bastante detallada de como llegara a matar a dicha persona para asustarla o como new 52 spiderman (un fanfic )asustando a un malhechor usando una toxina especial (aclaró que ese uso algo de magia) para hacerle creer que le inyectó el veneno que usan las arañas para que los órganos de sus presas se licuen volviéndose una tipo bebida nutritiva de eso seres (y creanme no es algo bonito).
de como podría llegar a usar su sentido del humor por ejemplo seria para calmar la situación rompiendo el hielo pero no quitarse el miedo a el nada mas sino para relajar o calmar a los demás algo casi como lo hizo jack frost en el origen de los guardianes
también fuera un poquito más optimista de forma que si su pasado no fue el mejor,el presente es duro pero el futuro es un misterio que puede llegar a ser mejor.
usando unos argumentos de @Esscarlett que casualmente son similares a los míos pero mejor dichos:
Como todos sabemos peter es algo pesimistas,tímido y algo temeroso bueno eso se cambiará de forma que peter tuviera más confianza en sí mismo más de la habitual y que de cierta forma sea más audaz pero sin volverlo arrogante como lo son otros personajes Tos anakin tos
@Esscarlett menciono el tema religioso aunque yo lo que podrían seria que si peter pasará de ser ateo (porque lo fue por un tiempo) a tener una fe casi tan fuerte como la de matt aunque no solo fuera eso peter aun siendo científico estuviera dispuesto aprender sobre temas fuera de la ideología científica siendo eso los mitos y leyendas entre otras cosas y dato la religión que peter sigue no es la misma que la de matt ,daredevil es cristiano-católico (igual que punisher) la de peter es un católico protestante
este peter se volvieron más maduro en el sentido de que si pensara sobre sus acciones y sepa de sus consecuencias a su vez no se la pase sintiendo desprecio por si mismo o culpandose por eso sino que aceptar eso y fuera consciente de lo que le a pasado reflexionado sobre eso de manera que usando como ejemplo una escena de la serie flash (me importa un carajo si la serie es buena o mala solo me importa el contexto o idea en sí de esta referencia)
siendo después del flashpoint cuando barry se sentía mal por los cambios que causó a la línea temporal (entre ellos que el hermano de cisco se hubiera muerto) y iris hizo ver a ver a barry que hay cosas que están fuera de su control y no puede culparse como si fuera su culpa directa o algo así fuera con peter que él aprendiera que hay cosas que está fuera de su control y que por eso no debe odiarse a sí mismo por eso que buenas o malas esas cosas pasan por muy diversas que sean en algún momento habrá que seguir adelante
peter suele ser empático y comprensivo con las personas traumadas o que fueron víctimas debido a su experiencia personal
el peso que peter cargara sobre sus hombres de vez en cuando le pasarán factura ya sea presentado casos de depresión o algún efecto psicológico por ejemplo los eventos de superior spider man eso debió dejar en peter algunas secuelas o daños psicológicos es más creo que spiderman sufre algo parecido complejo de atlas aquí hay un artículo que lo explica
seria un tema interesante ver como peter superara esos problemas psicológicos
sobre su moral no exactamente como en el canon osea si peter tiene eso valores y moral que todos conocemos pero debido a su años entiende que el mundo tiende a regirse por tonalidades grises de manera que puede que haya gente buena y mala en el mundo pero no siempre sera asi todo el tiempo de forma que peter sepa que hay veces donde el bien mayor es la mejor decisión y hay otras donde hay que ser firme a tus convicciones, creencias y ideales
peter no siempre deje que su moral mueva su juicio de manera que tenga momentos donde actúe de forma fría y calculadora (pero no tanto como en los cómics de savage spider man) comprendiendo que habrá momentos donde sus manos llegarán a estar manchadas ya sea por sangre o por sus acciones moralmente cuestionable y entienda que no todos merecen la redención,expiación y perdón aunque este peter sigue siendo ese amigable amigo y vecino en momentos poco usuales es que tomaria esa actitud tan seinen
sobre matar para hacerlo tendría que ser llevado al límite algo asi como batman durante la crisis infinita (dios el hombre estaba a nada de un colapso) pero otra razón de porque no mata es porque esa decisión no es algo que le corresponda ya que el no esta por encima de la ley no es nadie para ser juez,jurado y verdugo para decidir quien vive y quién muere ademas que el tiene un fuerte valor por la vida de manera que no es inocencia sino que el esta dispuesto a creer que que hay algo bueno dentro de todos de forma que si peter ve que matar como la ultima,ultima,ULTIMA opcion pero estará dispuesto a dar castigos peores que hará que desee la muerte, sobre si está dispuesto a no salvar a alguien que no lo merezca se lo dejo la interpretación y recalcó que sucedan esa situaciones son raras
tambien se podria decir que peter como lo visto en savage spider-man en ocasiones se cuestione a sí mismo sobre sus decisiones y su papel como héroe
ademas que esa experiencia le diera el miedo interno a que se salga de control a que ese monstruo resurja y el daño que llegue a causar
peter tambien igual que su hermano ben (scarlet spider) peter posee un fuerte sentido del autosacrificio por el bienestar de los demás de forma que muy seguro que el se de los queda al final esperando hasta el ultimo de sus compañeros o ser el que se queda para garantizar la supervención de los demás
sobre lo que opina sobre su imagen publica aunque le suele molestar despues de los sucesos no more spiderman peter ve eso como si no fuera la gran cosas seria como una analogia asi las arañas no muy queridas por las personas (incluyendome) pero ella cumplen una función en el reino animal sea cual sea la opinion de los demas
lo más importante que peter aprenda a perdonarse por sus errores del pasado aceptando que puede que no haya salvado a gwen o el tío ben pero no permitiera que eso lo atormenta toda su vida que no olvide a esas personas pero en lugar de sentir culpa lo que sienta que es que sus memorias y los recuerdos que viven en peter le diera la fuerza para continuar siendo un héroe siendo esa responsabilidad más allá de un deber auto impuesto por un sentido de culpa (hay veces que pensé que peter se volvió spiderman no sólo por lo que todos sabemos sino en el fondo para expiar esa culpa que tiene por la muerte del tío ben y otras personas que no logró salvar) sino más que fuera una responsabilidad por tener el poder y valores de marcar la diferencia porque puede hacerlo (si casi igual que superman)
y por último este es una oración que peter si o si tiene que escuchar "acepta las cosas que no puedes cambiar, ten el valor de cambiar las cosas que puedes y ten la sabiduría para conocer la diferencia" no me importan quien se la diga o como la escuche pero esa frase le tiene que escuchar si o si
otra mas que me vino de nada más que la psiquiatra del venganzas siendo : "Acepta la verdad, Perdónate a ti mismo por no ser perfecto Y descubre lo que realmente quieres "dios esa mujer si le sabe a la psicología
datos que se le podría añadir es que peter pudo haber tenido personas con quien puede hablar sobre sus problemas personales como los grupos de alcohólicos anónimos o en cuyo caso un psicólogo
que también peter pudo haber desarrollado por su tiempo en el daily bugle una fascinación por la fotografia de manera que se vuelva un tipo de hobby que tenga ademas de su amor por la ciencia quizas también tenga un gusto por el periodismo
por ultimo me imaginé a este versión de peter desarrollara rasgo y cualidades de dos su equivalentes de dc siendo flash y nightwing
también reconozco que me base en rasgos de personajes como all might shirou emiya, luke skywalker,arthur lewyn
por cierto soy digamos un fan no tan a hueso colorado en el caso de con warhammer 40k de manera que también quise darle rasgos de carácter de persanes como los primarcas ya sean los leales o traidores los rasgos que tenga sean los buenos o que se puede usar para el bien (mas o menos)
aunque no digo que tendra esos rasgo exactamente iguales a los que mencione sino más bien en un nivel un tanto diferente ya sea un mas o menos por ejemplo konrad curze que peter tendría de el bueno su capacidad de aprovechar y usar el miedo contra su enemigos y tal vez algunas cosas útiles pero mayormente tendría mas los rasgos de los leales (aunque tenga un poquito de los 9 leales del que tendría mas seria de vulkan para ser claro)
aunque esto no solo se limitara a los primarcas por ejemplo tendría el nivel de compañerismo de los lobos espaciales o el autosacrificio de los salamandra
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JUNG (1) – INCONSCIENTE COLETIVO | SÉRIE PSICOLOGIA ANALÍTICA
Da natureza e do inconsciente coletivo...
O conceito de natureza é um dos conceitos fundamentais do pensamento filosófico e, mais ainda, da inteligibilidade humana. Nos Pré-socráticos, em Platão e Aristóteles e ao largo de toda a história do pensamento ocidental, a palavra "natureza" ocupou um lugar capital e tomou vários significados ao longo da história das ideias. Para compreendê-lo, é necessário por às claras o que é o principal nele e despojá-lo de conotações secundárias.
Tecendo comparações entre as várias tradições religiosas e filosóficas da cultura ocidental e oriental, e amplificando os símbolos, na tentativa de melhor compreender a alma humana, sempre dentro da prática empírica, Jung redescobriu a ideia muito antiga da correspondência entre o microcosmo humano e o macrocosmo divino. E foi dentro do conceito de Natureza pensada pelo romantismo alemão, que a noção de inconsciente na psicologia de Jung teve seu amparo histórico-filosófico. Foram os românticos os primeiros filósofos a pensar a interioridade humana como Natureza, como veremos.
Para Jung o inconsciente é o mesmo que Natureza, e o projeto da psicologia analítica é integrar a Natureza em nós, estabelecendo um profundo diálogo com ela, e não extirpá-la ou fazê-la calar. Isto fica claro ao lermos a seguinte passagem de sua obra:
Vivemos protegidos por nossas muralhas racionalistas contra a "eternidade da natureza". A psicologia analítica procura justamente romper essas muralhas, ao desencavar de novo as imagens fantasiosas do inconsciente que a nossa mente racional havia rejeitado. Essas imagens situam-se para além das muralhas; "são parte da natureza que há em nós" [...], e contra qual nos entrincheiramos por trás das muralhas da ratio (razão) (JUNG, 1991,§739.
No sentido de entendermos a nova aliança com a Natureza, estabelecida por Jung, teremos que percorrer história do conceito, sem a pretensão, no entanto, de exauri-lo, mas de trazer os marcos importantes da sua história.
Ao longo da história do pensamento, o termo Natureza (do grego, Phýsis, do latim, natura) foi definido dentro da Filosofia pelos seguintes conceitos principais: princípio de movimento e substância; ordem necessária ou conexão causal; exterioridade contraposta à interioridade da consciência; o macro e o microcosmo formando uma unidade, como também aquilo que singulariza algo existente, ou seja, seu princípio ou sua essência ou princípio diretivo.
A noção da natureza como princípio de vida e de movimento de todas as coisas existentes é a sua mais antiga e venerável noção, e os primeiros representantes dessa visão foram os pré-socráticos.
Os filósofos pré-socráticos, chamados mais costumeiramente de physiológoi ou kosmólogoi, foram os primeiros pensadores do Ocidente, que, a partir do século VI AC, iniciaram uma nova forma de explicação do universo, de maneira racional e não mitológica. Com eles o mito deixa de ser a forma de explicar a realidade e o logos passa a ser a nova forma de discurso.
Estes primeiros filósofos começaram a indagar sobre a arché da realidade. A palavra arché, por sua vez, designa não somente o início de algo, mas é a fonte inaudita de tudo que é, e de onde tudo brota incessantemente; é também o poder, a força, o princípio constitutivo, a matéria prima ou substância primeira, do que estes pensadores chamavam Phýsis. O interesse fundamental dos pensadores pré-socráticos foi pensar a arché da Phýsis. Neste sentido, Phýsis e arché não são conceitos que podem ser separados, antes disso, denominam dimensões de uma mesma realidade em perpétuo devir.
A palavra grega Phýsis, "é um derivado da raiz phy, que quer dizer brotar, crescer. O sufixo sis, em grego, corresponde ao tione, em latim, e ção, em português. [...] Podemos dizer, então, que Phýsis significa 'brotação', isto é, o ato dinâmico de nascer e de brotar" (MURACHCO, 1996a, p. 14). Phýsis carrega, portanto, o sentido de devir, de tornar-se, de vir a ser. Designa o crescimento espontâneo de algo não por um fator extrínseco, mas pela força que lhe é intrínseca. Designa a própria experiência do devir de tudo que existe. Por isso, a palavra Phýsis tem um sentido muito abrangente, pois abarca tudo que é em qualquer nível de ser: o céu, a terra, um animal, uma pedra, uma planta, o ser humano, mas também um sentimento, um deus, tudo que é, é uma expressão de Phýsis: "À Phýsis pertencem o acontecer humano como obra do homem e dos deuses, e os próprios deuses, como a expressão mais brilhante da Phýsis, sua ontofania" (UNGER, 2006, p. 26).
Poderíamos afirmar que a intuição essencial dos pensadores pré-socráticos é a unidade profunda e dinâmica de tudo que é, vale dizer, da Phýsis.
Outra palavra que se adere ao conceito de Phýsis dentro desse período na Grécia é a palavra kósmos. A concepção de Phýsis induziu os pré-socráticos a trabalhar a palavra kósmos, que significa ordenação e beleza. A Phýsis é um kósmos, isto é, a natureza é vida dotada de movimento e ordem intrínseca a ela mesma. E já que para os gregos o que é dotado de movimento próprio é divino, em sendo assim, a Phýsis ou Natureza é divina. Nesse sentido disse Heráclito: "Esta ordem do mundo (a mesma de todos) não a criou nenhum dos deuses, nem dos homens, mas sempre existiu e existe e há de existir: um fogo sempre vivo que se acende com medida e com medida se extingue" (KIRK; RAVEN, 1994, p. 205).
Outra definição de Natureza como substância ou essência necessária encontra-se na Metafísica de Aristóteles (384-322) que envolve o conceito de matéria e forma (essência-ousia). Duas ideias básicas dominam o conceito de Natureza em Aristóteles, a gênese das coisas e a substância (ousia), isto é, a essência das mesmas, bem como a de movimento. "Nisto se revela a dupla carga semântica da raiz Phy, da qual procede a palavra Phýsis, a do ser e a de tornar-se ou vir a ser" (PANNIKAR, 1972, p. 56).
A Natureza para Aristóteles, portanto, é "a substância das coisas que têm o princípio do movimento em si próprio em quanto tal" (1998, v.4 4, 1015a13).
Neste sentido, a Natureza não é só causal, mas causa final, ela é teleológica, ela tende a um fim. A tese do finalismo da Natureza compreende um princípio movimento teleológico inerente à Natureza, ao qual Aristóteles deu o nome de enteléchia: a realização plena e completa de uma tendência, potencialidade ou finalidade natural, em qualquer um dos seres animados e inanimados do cosmos.
A segunda concepção fundamental de Natureza é a de ordem e necessidade e finalidade. Se Platão e Aristóteles tinham já formulado uma concepção teleológica do cosmos, os estoicos vão mais além, pois acentuam a regularidade e a ordem do devir à qual a Natureza preside. "Trata-se do fato estoico, que é a necessidade absoluta da ordem cósmica estabelecida por Deus (Pneuma, ou Zeus). Essa concepção de natureza necessária para os estoicos levou-os a pensar a Natureza como destino, como necessidade inelutável, denominada de Hiemarméne" (REALE, 1994, v.3, p. 316).
Devemos esclarecer que durante a Idade Média, período que se estende entre o século V e o XV, culturalmente abarca filósofos árabes, judeus e cristãos como em nenhum outro momento da história da filosofia. Tal fato torna difícil enquadrar uma única posição a respeito da filosofia da natureza nesse período. Mas com certeza, a ideia de correspondência entre a ordem macrocósmica e a ordem microcósmica permanece. O homem ainda é parte de um macrocosmo divino, suas raízes ainda estão plantadas na Natureza que é divina, mesmo quando é compreendida como "exterioridade" do espírito e por isso imperfeita e descaracterizada, como é o caso de Plotino (2002) e de toda teosofia medieval.
Mais à frente na história das ideias, no período renascentista, o naturalismo renascentista recorreu ao sentido de Natureza como Deus mesmo, dado a virtude divina que se manifesta nas coisas, portanto, a Natureza é divina. A Natureza é compreendida como um sistema vital de conexões necessárias. Já o aristotelismo renascentista retoma o conceito de Natureza como ordem, como necessidade absoluta da ordem cósmica estabelecida por Deus. Essa noção de natureza fundamenta as primeiras noções da ciência moderna sem, no entanto, desenraizar o homem dela. Em Copérnico, Kepler e Galileu, a concepção da natureza é entendida ainda como ordem necessária, mas de caráter matemático, porém perde a noção finalista.
Esse sentido de Natureza atravessou todo o naturalismo renascentista até o século XVII, quando, nesse século mesmo, começou a contraposição entre o homem e a Natureza com René Descartes, ao dar início à filosofia moderna, processo que já havia sido iniciado um século antes com Roger Bacon, empirista inglês.
Desde a Grécia arcaica, os sábios e os filósofos elaboraram um modelo de cosmos, como podemos ver, no seio do qual prevaleceu a correspondência entre o microcosmo humano e o macrocosmo divino. Esse esquema teve sua autoridade no Ocidente até a ruptura instalada com o advento das primeiras manifestações da ciência moderna, com os empiristas ingleses, depois com Descartes e para finalizar com Kant.
René Descartes (1596-1650), filósofo francês do século XVII, foi o pensador que demarcou as bases do pensamento da ciência moderna. Sua filosofia teve profundo impacto no Ocidente. Suas ideias influenciaram muito a relação do homem com a natureza, pois Descartes foi o primeiro filósofo a romper com a tradição e a desenraizar-se de tudo que fosse história, como parte de seu método de conhecimento. Seu desenraizamento foi tanto que ele chegou a se pensar como apenas uma substância, cuja essência é "pensar", destituindo-se de toda materialidade (corpo) e espaço. Como disse em suas meditações: "De sorte que, esse eu, isto é a alma, pela qual sou o que sou, é inteiramente distinta do corpo e de fato é mais fácil de conhecer do que o corpo, e, ainda que nada fosse, ela não deixaria de ser tudo o que é" (DESCARTES,1983, p. 47).
Esta citação de Descartes marca a transformação da Natureza num mero espaço geometrizável, o lugar sem sacralidade e valor, além disso, marca a cisão entre a Natureza e o pensamento.
Com Descartes, a tradição da filosofia entra em um processo de aniquilamento e com ela a mais venerável noção de Natureza como divina, e do homem como parte da Natureza. A dessacralização da Natureza, agora compreendida como res extensa separada da res cogitans, é pensada como substância que não pensa, extensa, imperfeita, finita e dependente, passa a ser alvo de manipulação e especulação físico matemática, o que desencadeou um longo processo histórico de domínio e manejo da natureza, cujas consequências podemos sentir em nossos dias. Iniciou-se assim, a quebra da tradição milenar do cosmo estético-religioso da cultura ocidental.
O desenraizamento do homem da natureza ganha um plus com Immanuel Kant (1724- 1804). Kant é famoso, sobretudo, pela elaboração do denominado idealismo transcendental. A filosofia da natureza e da natureza humana de Kant é historicamente uma das mais determinantes fontes do relativismo conceptual que dominou a vida intelectual do século XX. Diferentemente de Descartes, Kant reduziu o ser à razão, negando totalmente existência da realidade exterior quando coloca a sua total dependência em relação ao sujeito conhecedor.
Como o grande crítico da metafísica parmanece dogmática, para Kant a ideia de alma, de mundo, unidade absoluta da experiência externa, e de Deus são conceitos necessários da Razão, e não realidades em si, pois deles não podemos ter conhecimento objetivo, isto é, que envolva sensibilidade e entendimento. Portanto, a cosmologia pensada pela metafísica permanece dogmática que culmina com a ideia de Natureza como cosmos, para Kant é uma das ilusões transcendentais (KANT, 1997, p. XVII).
Segundo ele, pela expressão natureza entende-se apenas o conjunto dos fenômenos que só existem segundo regras necessárias ou leis do pensamento. A natureza para Kant não é um princípio metafísico, um sistema vital divino de conexões necessárias, mas a possibilidade da Razão, ou das leis universais originárias da Razão, graças às quais é possível a experiência empírica.
Estava instalado assim, o paradigma moderno, leitura do ser, do conhecer e do homem. Dentro desse paradigma o homem agora centrado na Razão soberana, desintegrou-se da Natureza.
O movimento romântico, do final do século XVIII e início do século XIX, assinalou um momento decisivo na filosofia europeia. O movimento romântico foi um movimento contra iluminista, sendo assim, questionar o paradigma moderno foi a grande tarefa filosófica do Romantismo alemão. Um novo paradigma nasce com o Romantismo, em que o ser, o conhecer e o homem são pensados em novas bases filosóficas, escapando do empirismo experimental, sem consistência e sem fundamento, e do idealismo crítico incapaz de respeitar a autonomia da realidade.
O objetivo da Naturphilosophie, assim denominada pelos românticos, foi pôr em evidência o organismo total da Natureza. Para eles a Natureza existe por ela mesma, e este realismo é sincronizado com o idealismo, "dado que a natureza é o organismo visível correspondente àquele que existe invisivelmente no nosso entendimento" (GUSDORF, 1993, p. 419). Para os românticos, a totalidade, ou seja, a Natureza, este grande organismo ou sistema vivo, é um princípio ontológico, e não um produto lógico do pensamento, como pretendeu Kant. A tese de seus trabalhos é que a consciência não é homóloga à alma. Esta última possui uma expansão igual àquela do universo; ela emerge, das profundezas onde a vida se desdobra sem consciência da vida.
A primeira frase do livro Psyche de C. G. Carus (1789-1869), filósofo romântico alemão, revela: "[...] a chave para o conhecimento da essência da vida consciente da alma se encontra na região do inconsciente" (1846, 2ª ed. apud GUSDORF, 1993, v.2, p. 160).
Fica claro que, para estes filósofos, Natureza é o mesmo que inconsciente. Esta filosofia suprime, assim, a dualidade entre o res cogitans e a res extensa, afirmando como fez Schelling: "que a atividade consciente é primitivamente idêntica ao inconsciente" (1797, apud GUSDORF, 1993, p. 418).
Para F.W. Schelling (1775-1854), filósofo que sistematizou as concepções da filosofia romântica, o Absoluto é o princípio divino condicionando o real total, é a harmonia, a identidade, a unidade sintética dos contrários, unidade vivente onde se encontra o germe de toda a diversidade existente. Segundo ele, o real pensado como organismo é compreendido como um Todo preexistente às suas partes, dotado de sentido e movimento próprio. Compreendeu a Natureza como um sistema teleológico em processo, resultante de uma força inteligente criativa nela mesma. Sendo assim, a primitiva aliança do homem com a Natureza fora restaurada, o que Schelling chamou, de "estado de natureza da filosofia" (1797, apud GUSDORF, 1993, v.2, p. 460).
Para Schelling, o homem é um complexo de matéria e espírito, imerso nesse Organismo, a Natureza, inteligente em perpétuo devir. Para ele não há um fio misterioso que liga nosso espírito à natureza, ou um "órgão" intermediário através do qual a natureza fala ao espírito e o espírito à natureza, como pensou Descartes, mas: "A Natureza deve ser o Espírito visível, e o Espírito a Natureza invisível" (1797, pp. 45-46, apud GUSDORF, 1993, v.2, p. 460).
Portanto, a consciência e a razão humana foram vistas como a floração própria de sua estação, isto é, do seu momento histórico. A consciência humana representa um momento no devir da inteligibilidade da Natureza em busca da sua própria perfeição. Por isso, a respeito do conhecimento, se o espírito é Natureza e Natureza é espírito e, se a consciência humana é a revelação da inteligibilidade da Natureza, decorre daí que o espírito conhece a Natureza, pois é Natureza. E foi a partir da redescoberta da linguagem simbólica, a que se dá através da imaginação criativa e da intuição pura, que se percebeu que a Natureza fala de uma maneira tanto ou mais inteligente que o nosso pensamento reflexivo1.
Assim sendo, desta perspectiva, a nossa consciência pressupõe uma inteligibilidade unitária com aquilo que é seu fundamento ontológico. Essa unidade liga indissoluvelmente a consciência conhecedora e a realidade conhecida. Tal visão de mundo reconecta a humanidade a uma totalidade originária preestabelecida e restabelece o sentido da vida humana, na medida em que assegura a existência de sua vida interior pela eternidade. A humanidade: "[...] é uma força num sistema de todas as forças, um ser na imensa harmonia de um mundo de Deus" (1962 apud GUSDORF 1993, p. 423).
Esta visão da Natureza abrange o sentido grego de theós, "uma projeção, uma ideia, uma visão pela mente" (MURACHCO, 1996b, p. 75). Ou como disse Schelling, opondo-se ao criticismo, "[...] o verdadeiro sistema não pode ser inventado, pode apenas ser encontrado enquanto um sistema em si; a saber, no entendimento divino, já existente" (1985 apud SCHUNBACK, 1998, p. 130).
A hipótese de uma harmonia preestabelecida da Natureza e do espírito recobrou com os românticos aquela imagem tão antiga do divino como Phýsis. O mundo retomou, para os românticos, a antiga imagem de uma realidade preordenada, vital e infinita em perpétuo devir. Esta intuição se afirmou, parece-nos, em todos os tempos e lugares e, segundo Schelling:
[...] Esta ideia é tão antiga e se manteve sob formas as mais variadas até nossos dias de uma forma tão constante (nos tempos mais antigos, acreditava-se que o mundo inteiro estava penetrado por uma alma chamada alma do mundo, e na época de Leibniz atribuía-se uma alma a cada planta) que se é obrigado a supor que há no próprio espírito humano uma razão para essa crença de vida da natureza. E é realmente assim; [...] é por essa razão que o espírito humano concebeu a ideia de uma matéria organizando-se ela mesma e, como a organização só pode ser representada pelo relacionamento com um espírito, temos que admitir que o espírito e a matéria estão desde sempre indissoluvelmente unidos nas coisas (1797, apud GUSDORF, 1993, v. 2, p. 471).
Schelling, relembrando os físicos pré-socráticos e a cosmologia tradicional, descobriu o pressentimento dessa verdade permanente, ou seja, da ordem da Natureza. Então, pensamos que essa ideia permanente é uma expressão arquetípica pertencente à própria natureza humana, e que as ciências ditas positivas só mascararam a verdade essencial que habita o universo. A flor azul romântica, emblema do Romantismo, representou um novo valor de vida, pois, a seu modo, o romantismo retomou a Grécia, tentando restaurar a tradição milenar do cosmo estético-sagrado.
Como herdeiro do romantismo, formular uma visão unificada de mundo também foi preocupação de Jung, sendo grande sua contribuição para a psicologia nesse sentido, ao formular uma concepção mais ampla de inconsciente, vale dizer, como psique objetiva ou inconsciente coletivo.
Jung, aprofundando sua compreensão do inconsciente coletivo, em 1931, num artigo cujo título original é Die Entscheierung der Seele traduzido para o português como O problema fundamental da psicologia contemporânea, introduz o termo "psique objetiva", que é o equivalente a inconsciente coletivo, para mostrar que o inconsciente é uma realidade em si mesma, ou como ele diz: uma realidade objetiva. Cabe ressaltar que Jung, no entanto, como médico da alma, chegou a conceber o inconsciente como realidade autônoma e objetiva a partir de sua práxis como médico, e argumenta que pensar o inconsciente como fonte de vida parte da "experiência" de sua autonomia. Pois, "[...] De onde surgem o entusiasmo, e a inspiração e o exaltado sentimento de vida" (JUNG, 1911, §668)? Nós sentimos a presença desta realidade misteriosa e temível toda vez que "traímos" nossas intenções conscientes, e toda vez que subitamente somos tomados por um sentimento de medo ou de vida inspirador, e não sabemos de onde vem. Como disse nosso venerável mestre, Jung:
O psiquismo aparece como uma fonte de vida, um "primum movens" (motor primeiro), uma presença espiritual que tem objetiva realidade [...] o psíquico não é [...] a quintessência do subjetivo e do arbitrário; é algo objetivo, subsistente em si mesmo e possuidor de vida própria (JUNG, 1991, §666).
Fica evidente a aproximação, neste parágrafo, de inconsciente com o conceito romântico de Natureza, fonte inaudita de tudo que é e de onde tudo brota incessantemente, a prima matéria de tudo que existe. É o que os pensadores gregos chamavam de Phýsis, e os românticos, de Natureza, como já vimos.
Podemos ler o inconsciente coletivo desta perspectiva em várias passagens de sua obra. Recolhemos alguma delas no sentido de demonstrar sua aproximação com o romantismo alemão, em relação ao inconsciente como Natureza. Citando Jung, percebemos que o inconsciente:
É o mundo da água onde todo o vivente flutua em suspenso, onde começa o reino do "simpático" da alma de todo ser vivo [...].O inconsciente coletivo é tudo salvo um sistema pessoal fechado, é uma objetividade vasta como o mundo e aberta ao mundo inteiro. [...] Lá, no inconsciente coletivo, eu estou ligado ao mundo numa ligação tão mais imediata que eu esqueço muito facilmente quem eu sou em realidade (JUNG, 2000, v.1, §45 e 46).
Esse trecho mostra a viva ideia de que o inconsciente coletivo é muito mais que um legado histórico, a somatória da experiência da humanidade, ou seu legado filogenético. Jung, ao dizer que o inconsciente coletivo é uma "objetividade vasta aberta ao mundo inteiro", concebe-o como uma vida objetiva, como espécie de uma tessitura invisível onde todos os seres, e não só os homens têm seu ser. Assim compreendido, o inconsciente coletivo é o fundamento de toda espécie de existência, alma de tudo o que vive, ele é Natureza como pensaram os românticos.
Em outro trecho, em que o inconsciente coletivo aparece como a metáfora do oceano e dos peixes nele contidos, podemos ver a mesma ideia de Natureza como um sistema, a invisível interdependência de toda vida no cosmos. Leiamos:
Enquanto o não-ego (inconsciente) parece ser oposto a nós, naturalmente o sentimos como um oposto, mas depois entenderemos que o inconsciente coletivo é como um vasto oceano, com o ego flutuando sobre ele como um pequeno barco. Então, quando vemos isto, surge a questão se estamos contidos no oceano. [...] os peixes são unidades vivas no oceano; eles não são absolutamente como ele, mas estão contidos nele; seus corpos, suas funções, estão maravilhosamente adaptados à natureza da água, a água e o peixe formam um "continuum" vivente. [...] Quando aceitamos este ponto de vista temos que supor que a vida é realmente um "continuum" e destinado a ser como é, isto é, toda uma tessitura na qual as coisas vivem com ou por meio uma da outra. Assim, árvores não podem existir sem animais, ou animais sem plantas, e talvez animais não possam ser sem o homem, ou o homem sem animais e plantas, e assim por diante. E sendo a coisa inteira uma tessitura, não é de admirar que todas suas partes funcionem juntas [...] porque são partes de um continuum vivo" (JUNG, 1976, p. 180).
Não podemos deixar de ver aqui presente ideia de um organismo, de um todo orgânico, de um grande sistema em que cada ser individual está mergulhado, é onde nos movemos, vivemos e temos nosso ser. Este relato traz a ideia de que entre a vida do grande todo e a vida humana existem uma relação de englobamento ou de pertença, tônica distintiva da Naturphilosophie.
A compreensão do inconsciente coletivo como continuum vivente reúne o subjetivo com o objetivo, o indivíduo com o mundo, o fato exterior com a imagem interna, o corpo com a alma, matéria com o espírito, o múltiplo com o uno, em outras palavras, é onde os opostos se anulam e fazem parte de um círculo intacto.
Esta ideia exprime que as coisas são em conjunto e evidencia a qualidade do inconsciente coletivo como Natureza. Nós estamos na psique e não ela em nós; nossas raízes estão mergulhadas na Natureza, o que vale dizer, no inconsciente. Leia mais aqui. Sobre o inconsciente coletivo.Pdf
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