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La maestra del vetro di Tracy Chevalier: Una Storia di Passione e Resilienza nell'Arte Vetraria Veneziana. Recensione di Alessandria today
Un viaggio nella Venezia del XV secolo attraverso la vita di Orsola Rosso e la straordinaria arte del vetro
Un viaggio nella Venezia del XV secolo attraverso la vita di Orsola Rosso e la straordinaria arte del vetro. Tracy Chevalier, autrice di fama mondiale, torna con un nuovo romanzo che ci trasporta nella Venezia rinascimentale del 1486. La maestra del vetro racconta la storia di Orsola Rosso, una giovane donna appassionata e determinata che sfida le convenzioni sociali per seguire la sua…
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Marjane Satrapi
Marjane Satrapi, fumettista, regista, sceneggiatrice e illustratrice, con il suo lavoro illustrato ha dato voce all’Iran contemporaneo.
È l’autrice del famosissimo Persepolis, il primo fumetto autobiografico sulla storia iraniana poi diventato un film, nel quale descrive la sua infanzia in patria e la sua adolescenza in Europa. La protagonista è una bambina, i suoi giochi, la scuola e la scoperta del rock, che si svolgono in mezzo all’ascesa del fondamentalismo religioso in Medio Oriente.
Una riflessione sui comportamenti legati alla superficialità e al pregiudizio che portano a identificare un paese, un’intera civiltà, con alcuni estremi, drammatici aspetti della sua storia recente.
Scritta con l’intento di “ribattere ai pregiudizi sul mio Paese senza essere interrotta” è la saga di una famiglia iraniana a Teheran tra il 1960 e il 1990.
Sua è anche l’immagine simbolo della lotta delle donne iraniane contro il regime: Donna, Vita, Libertà.
Nata a Rasht, il 22 novembre 1969, è stata educata secondo principi progressisti da genitori illuminati, che, per evitarle il clima oppressivo ed estremista del regime di Khomeini, l’hanno fatta studiare prima al Liceo Francese di Teheran e poi, ancora giovanissima, a Vienna, dove ha dovuto fare i conti con pregiudizio e razzismo nei suoi confronti.
Nel 1988, alla fine della guerra con l’Iraq, è tornata a casa e ha frequentato la Facoltà delle Belle Arti. Incapace di reggere il clima di censura e privazione delle libertà, terminati gli studi, si è trasferita prima a Strasburgo e poi a Parigi dove, frequentando l’Atelier des Vosges, gruppo di disegnatori e disegnatrici che hanno dato vita al movimento d’avanguardia della Nouvelle bande dessinée.
Nel 2001 è nato il suo capolavoro Persepolis che ha riscosso subito un grande successo grazie allo stile semplice e immediato del disegno, volutamente naif e talvolta elementare, sempre efficace.
Il libro ha venduto oltre tre milioni di copie in tutto il mondo ed è stato tradotto in oltre venti lingue. La storia ha assunto un carattere universale grazie all’astrazione conferita dal segno in bianco e nero e alla semplificazione delle figure. La forma del romanzo grafico è riuscita magistralmente a sintetizzare specificità culturali entrando in comunicazione con culture e età diverse.
Nel 2007 ne è stato tratto l’omonimo film d’animazione candidato al Premio Oscar nel 2008. Scritto e diretto da Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud è stato realizzato interamente a mano, secondo le tecniche più tradizionali, per ricreare il segno del fumetto.
Dopo Persepolis ha pubblicato Taglia e cuci, Pollo alle Prugne con cui ha vinto l’Oscar del fumetto al festival internazionale di Angoulême, Il sospiro, favole persiane, Il velo di Maia. Marjane Satrapi o dell’ironia dell’Iran.
La trasposizione filmica di Pollo alle prugne, in live action, del 2011, è stata presentata in anteprima alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Ha anche diretto The Voices (2014) e Radioactive (2019).
La sua ultima fatica letteraria è stata Donna, vita, libertà, in cui ha riunito esperti di storia, politica e comunicazione e i più grandi talenti del mondo del fumetto per raccontare l’evento che ha segnato la storia contemporanea: l’uccisione di Mahsa Amini dovuta al pestaggio della polizia morale perché non indossava “correttamente” il velo. La morte della giovane ha scatenato in tutto l’Iran un’ondata di protesta che ha dato vita a un movimento femminista senza precedenti.
Marjane Satrapi vive e lavora a Parigi, collabora con numerose riviste e cura una colonna illustrata per il The New York Times.
Nel 2024 è stata insignita del prestigioso Premio Principessa delle Asturie 2024 per la comunicazioni e gli studi umanistici per “la sua voce essenziale nella difesa dei diritti umani e della libertà“.
Nella motivazione, la giuria ha evidenziato che “è un simbolo dell’impegno civico guidato dalle donne. Per il suo coraggio e la sua produzione artistica è considerata una delle persone più influenti nel dialogo fra culture e generazioni“.
Nel ringraziare per il riconoscimento, Marjane Satrapi ha affermato: “approfitto l’opportunità per celebrare la feroce lotta del mio popolo per i diritti umani e la libertà. Oggi si onorano tutti i giovani che hanno perso la vita e a quanti continuano nella battaglia per la libertà in Iran“. E ha dedicato il premio a Toomaj Salhebi, artista di rap, condannato a morte per il suo canto alla libertà.
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Storia Di Musica #271 - New Order, Power, Corruption & Lies, 1983
4 ragazzi di Manchester fecero una promessa, una volta creata la loro band: se uno di noi fosse andato via, la band sarebbe finita. Probabilmente non pensavamo che l’abbandono di uno dei componenti fosse definitivo. L’infausto 18 Maggio 1980, Ian Curtis, cantante dei Joy Division, viene trovato morto nella sua casa al numero 77 di Barton Street a Macclesfield: suicidio. La band si scioglie in quell’esatto momento, mentre l’album testamento, finito da poco, Closer, regala al mondo l’ultima perla oscura di quella band formidabile. Bernard “Albrecht” Dicken, nome d’arte Bernard Sumner (voce e chitarra), Stephen Morris (basso e voce) e Peter Hook (batteria) cambiano subito nome, e diventano New Order. Sono passati pochi mesi, siamo nel settembre del 1980, quando esce con questa sigla Ceremony \ In A Lovely Place, scritte in precedenza come Joy Division. Ancora confusi, scelgono una tastierista, Gillian Gilbert, e registrano un nuovo singolo, Everything’s Gone Green, che anticipa il primo disco, Movement. Legati a doppio filo all’esperienza precedente, con Sumner che cerca invano di somigliare a Curtis nel canto, idee lasciate allora e riprese con confusione, l’ancora irrisolto problema della presenza-assenza del cantante, decisamente imponente. Eppure il seme viene già gettato: seguendo i nuovi ritmi elettronici, diffusi anche dalla loro leggendaria etichetta, la Factory, che non era solo una casa editrice musicale, ma una comune artistica che segnerà l’estetica britannica e non solo, decidono di virare sui suoni dance, e Dreams Never End, Truth e Denial segnano la strada. Visto l’insperato interesse, dovuto anche all’emozione dei reduci, la Factory piazza subito una antologia di singoli, e c’è più tempo e idee da sviluppare per il secondo disco. Che arriva nel 1983, fresco e originale, spazzando via l’idea che i New Order fossero i fratelli poveri dei Joy Division. È un disco dove il basso di Hook è il gancio (proprio il caso di dirlo) con la ritmica meccanica e oscura dei Joy Division, profetizzata dal loro produttore Martin Hannet, che però si apre a riff ariosi, al canto “naturale” e non più scimmiottato di Sumner, alla batteria che si divide con la drum machine, al tappeto delle tastiere della Gilbert. Nasce un suono che farà scuola, e che segnerà la new wave. Power, Corruption & Lies sono tre parole che Gerhard Richter, un artista tedesco, scrive a bomboletta fuori da una mostra a Colonia nel 1981 come atto di vandalismo. Inizia con l’aria scanzonata e fresca di Age Of Consent, primo grande brano del gruppo, una cavalcata leggera di chitarra e voce, sorprendente. La canzone finisce così: Do you find this happens all the time\Crucial point one day becomes a crime\And I'm not the kind that likes to tell you\Just what I want to do\I'm not the kind that needs to tell you\I've lost you, I've lost you, I've lost you, I've lost you. Il gruppo sperimenta la disco (The Village), le lunghe introduzioni (We All Stand), sperimenta anche nella lunga 5 8 6, intricata e manifesto del synth pop. Altre canzoni meravigliano: Your Silent Face, con arrangiamento orchestrale, verrà citata persino da Bret Easton Ellis nel suo famoso romanzo Le Regole Dell’Attrazione (che è del 1987). Ecstasy è il lato chimico della Manchester del periodo, capitale indiretta della diffusione dell’Mdma come droga delle discoteche. Ultraviolence e soprattutto Leave Me Alone, magnifico strumentale, senza macchina ma fatta solo “dagli uomini”, sono il sigillo di un disco che attraversa il dolore con la passione dei Kraftwerk innestata sull’oscura magia del suono Joy Division, che rimarrà sempre nel loro animo. Il disco passa alla storia anche per la leggendaria copertina, opera di un grande artista e animatore della Factory, Peter Saville (che è l’autore dei quelle eccezionali dei Joy Division). Saville trova per caso una cartolina della National Gallery, che rappresenta una natura morta floreale, A Basket of Roses, opera del pittore francese Henri Fantin-Latour del 1890. Di lui, in un passaggio de Alla Ricerca Del Tempo Perduto, dirà Marcel Proust: “‘Molte mani di giovani donne sarebbero incapaci di fare ciò che ho visto là’ disse il principe indicando gli acquerelli iniziati da Madame de Villeparisis. E le chiese se aveva visto il quadro di fiori di Fantin-Latour esposto alla recente mostra”. Saville dirà sempre che “I fiori suggerivano come potere, corruzione e menzogne si infiltrano nelle nostre vite. Sono seducenti” e sceglie il quadro per la copertina. Ci aggiunge un tocco dadaista: nell’angolo in alto a destra ci sono una serie di quadratini colorati, sequenza che si può decifrare grazie a una ruota cromatica messa sul retro della copertina. Una volta risolto, il codice cromatico restituisce la scritta “FACT 75”, cioè la 75esima release di Factory Records. I New Order continueranno a suonare, e Low-Life del 1985 saluta il post punk e con Subculture e The Perfect Kiss aprono la strada al technopop. Rimangono una band che ha saputo saltare l’ostacolo, un ostacolo gigantesco, sulla cui lapide c’è scritto il suo verso più famoso: L’amore ci farà pezzi.
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Quando, tra il settembre e l’ottobre del 1935, si dedicò alla stesura de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin non sapeva ancora che la pubblicazione di quello che unanimemente è considerato il suo lavoro più influente sarebbe stato rimaneggiato dalla redazione della rivista Zeitschrift für Sozialforschung tanto da farlo incazzare come una iena e spingerlo all’ennesima riscrittura di un testo che avrebbe visto la luce solo postumo nel 1955.
Nel tredicesimo capitolo della prima stesura dattiloscritta dell’opera, Benjamin gettò lì una frase che pur fotografando una situazione fattuale anticipava nelle sue implicazioni di qualche decennio Andy Warhol: «Ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di essere filmato». Nella sua lapidarietà, questa frase rivela un mondo. Non soltanto ci parla di una nascente società di massa che si interfaccia con lo shock del cinematografo, ma ci fa comprendere come, pur cambiando a distanza di quasi un centinaio d’anni la natura dei media, l’approccio dell’ uomo “contemporaneo” non sia cambiato, anzi.
Ma quanto colpisce del testo di Benjamin è la requisitoria che segue, una critica sociale verso la tendenza autoriale dei lettori, che abbandonavano il ruolo passivo di fruitori per diventare essi stessi scrittori. Nulla da eccepire: ci troviamo agli albori di una democratizzazione della scrittura, che in linea di massima non sarebbe in contrasto con gli ideali di Benjamin, ma che in realtà fece scattare in lui un allarme. Il sospetto era che dietro la scomparsa della distinzione tra autore e pubblico vi fosse all’opera una logica capitalista: era il lavoro stesso a prendere la parola.
Nel suo secondo pantagruelico romanzo Il pendolo di Foucault, Umberto Eco ambientò parte delle vicende nella redazione della casa editrice Garamond, dove Casaubon, Jacopo Belbo e Diotallevi vengono introdotti proprio dall’editore ai perversi meccanismi delle Edizioni Manuzio. Quest’ultima è un APS (acronimo di Autori a proprie spese): cioè una classica vanity press, con gli stessi autori che, nell’illusione di entrare a far parte del fantastico mondo dell’editoria, finanziano la stampa del proprio libro.
Il malcapitato di turno (nello specifico Eco decide per un pensionato con il vizio della poesia, tal commendator de Gubernatis) farà i salti mortali per firmare un contratto vessatorio celato dietro un lancio editoriale “satrapico”: delle diecimila copie promesse ne saranno stampate solo 1.000, di cui solo 350 rilegate. Per finire in bellezza, 200 di queste saranno cedute all’autore, le altre distribuite a biblioteche locali, redazioni e riviste pronte a cestinare il plico, nonostante le dieci cartelle di presentazione entusiasta. Un meccanismo spiegato con sottile ironia dal filosofo piemontese, ma che sostanzialmente illustra un mercato dell’editoria parallelo e, che in alcuni casi, si sovrappone a quello ufficiale.
Il mercato editoriale post-pandemico ha conosciuto un’evidente e positiva crescita, che ha visto come settore trainante quello dei fumetti, unico segmento che nell’ultimo decennio è stato in costante e continua crescita. Eppure, questo scenario idilliaco è stato scosso da un dato allarmante. Secondo uno studio realizzato da CAT Confesercenti Emilia-Romagna in collaborazione con SIL, Sindacato Italiano Librai Confesercenti, e con il supporto scientifico di Nomisma, i dati non sono così incoraggianti.
Il 30% dei libri pubblicati – spesso tra autopubblicazioni, editori improvvisati e vanity press – non vende neanche una copia, e 35.000 titoli su quelli pubblicati nel corso del 2022 hanno venduto meno di dieci copie. Quando ho letto la notizia ho subito pensato alle pagine del romanzo di Eco, e sostanzialmente la situazione nell’arco di quasi trent’anni è peggiorata: il bacino dei lettori si è notevolmente ristretto a scapito invece di quello degli autori. Certo, è indubbio che il quadro è più complesso: a una scarsa selezione a monte – con un lavoro quasi nullo di scouting e editing – si aggiunge una promozione assente o basata sull’improvvisazione e sulla buona volontà dell’autore.
Al computo dei libri che nessuno compra vanno sicuramente annoverati una serie di titoli “scientifici” o accademici spesso pubblicati grazie a sovvenzioni pubbliche o fondi personali utili a creare un rating spendibile e che praticamente hanno una vita editoriale praticamente nulla. Ma quest’ultimo è un discorso un po’ ostico.
Senza dubbio, di libri inutili ne vengono pubblicati a migliaia ogni anno, alimentando un mercato dopato e falsamente democratico. La falsa speranza che la possibilità che a tutti venga data voce e dignità di stampa nasconde, come sottolineato da Walter Benjamin, una strategia del capitale che in maniera bulimica si sostenta della vanità autoriale di lettori avidi di gloria editoriale.
Se i dati possono essere riportati anche sul segmento che riguarda il fumetto dobbiamo inferire che molti dei titoli pubblicati spesso da editori minori e con scarsa capacità di proiezione sul mercato non vengono acquistati e letti. Questo dato non può non essere sovrapposto alla scarsa qualità dei contratti proposti agli esordienti. Sull’onda della campagna #ComicsBrokeMe, anche i fumettisti italiani hanno evidenziato situazioni di sfruttamento e scarsa tutela del diritto d’autore. Spesso contratti vessatori e capestri diventano la norma,soprattutto nel caso di esordienti e wannabe interessati a entrare a far parte di questo settore.
L’associazione MeFu ha sottolineato il problema, evidenziando soprattutto le ricadute sul diritto d’autore e sulle royalties. Fermo restando che sono pochi gli autori in grado di vendere tante copie da generare compensi derivanti da royalty in un mercato curvato sui soliti nomi. Che, pur generando interesse e facendo da traino per l’intero segmento, monopolizzano un settore con poche reali possibilità di successo per giovani autori che meriterebbero più attenzioni anche e soprattutto da parte dei loro editori.
Ora, a latere sarebbe opportuno forse avere il coraggio di demistificare l’importanza del libro cartaceo: nonostante alcuni lavori non possano fare a meno della capacità del supporto cartaceo – vuoi per soluzioni cartotecniche particolari, vuoi per un formato di lettura che ha nel libro la sua struttura cardine – ci sono decine di migliaia di titoli, tra cui sicuramente anche fumetti, che non meritano la dignità di stampa e che potrebbero forse vivere una vita più agevole nella loro dematerializzazione, sfruttando le opportunità democratiche e anarchiche del web.
Forse è arrivato il momento di invertire la rotta e sovvertire l’idea che la dignità di stampa renda un’opera degna di essere letta. Il feticismo del libro come simulacro del proprio pensiero è una narrazione un po’ obsoleta e deleteria: ognuno avanza la pretesa di essere pubblicato in un mercato in cui la maggior parte dei libri finisce al macero o a prendere polvere sugli scaffali. Il libro nell’epoca dei social è un oggetto anacronistico, un vezzo avvolto da un romanticismo affettato e imbolsito.
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Ritratto del barone d’Handrax di Bernard Quiriny
Un trattato su chi guarda ma non compra. «È un tipo umano bizzarro. Si pianta di fronte alla vetrina di un negozio in cui ogni cosa appare desiderabile, ma non acquista nulla. Sa benissimo che non entrerà mai in possesso dell'oggetto contemplato, ma ciò non gli impedisce di continuare a fissarlo, quasi volesse impregnarsi della sua aura; da queste contemplazioni trae un piacere derivato e tuttavia reale, che rimpiazza - e al contempo nutre - il piacere originario e tuttavia virtuale, ovvero quello dell'acquisto. Anch'io, spesso, me ne vado in giro per negozi come quei bambini che, davanti alle vetrine di giocattoli, s'incantano su una macchinina che non possono comprare. Eppure non si scoraggiano; tornano li ogni volta che possono; sanno che non l'avranno mai, ma ciò, lungi dal generare repulsione e frustrazione, rintuzza il loro attaccamento e la loro brama dell'oggetto. A me accade lo stesso. Ecco, credo che questo istinto possa insegnarci qualcosa sulla psicologia umana, sul nostro rapporto con le merci e sulla nostra capacità di sperare senza credere.»
"Ritratto del barone d'Handrax" è l'ultima fatica di Bernard Quiriny edito in Italia da L'orma Editore. Io non vedevo l'ora di leggerlo fin dal momento in cui ho scoperto per caso che era uscito in un giro fortuito in libreria e sono contentissima che sia stato all'altezza delle mie aspettative. Ormai leggo il nome dello scrittore e non mi faccio più nessun tipo di domanda, voglio leggere ogni suo scritto. E ancora una volta mi sono innamorata della sua scrittura.
Il barone Archibald d’Handrax è l’ultimo rampollo di una lunga dinastia nobiliare, vive nel maniero di famiglia in un paesino che porta il nome della sua casata, e incontrarlo significa entrare in un universo bislacco in cui si parlano lingue sconosciute, si collezionano case fatiscenti, si organizzano cene tra sosia e di tanto in tanto ci si trasferisce in collegio per riassaporare il gusto dell’infanzia. Un giorno il narratore Bernard, appassionato d’arte, giunge al castello per chiedere informazioni su un avo del barone, il misconosciuto pittore Henri Mouquin d’Handrax, e si ritrova risucchiato suo malgrado in un mondo spiazzante e fuori dal tempo che finirà per cambiargli la vita. Nel Ritratto del barone d’Handrax Quiriny si abbandona al piacere dell’invenzione e dello stile, e affastella dialoghi arguti, dissertazioni erudite e brevi bozzetti di un’assurda quotidianità per consegnarci un romanzo gioiosamente strampalato che mescola con la consueta maestria umorismo nero e ridanciana ironia.
Da quando per un caso fortuito ho scoperto Bernard Quiriny non ho mai smesso di leggere tutto quello che ha scritto. Immergermi nel suo mondo è una esigenza forte che mi ha conquistato completamente e mi lascia sempre senza parole, come quando scopri un tesoro e lo devi studiare a fondo per capire cosa recuperare e tenere vicino. Quiriny ha la capacità di costruire fondamenta solide per storie che lasciano sempre senza parole, che disegnano i confini di personaggi che emergono dalla pagina scritta con una chiarezza che lascia sorpresi e compiaciuti. Non fa eccezione neanche il Barone Archibald d'Handrax l'ultimo personaggio nato dalla fantasia della sua penna. Lo scrittore belga ricostruisce la vita di questo personaggio tramite le esperienze del narratore, non percepiamo mai interamente l'intimità delle sue emozioni, ma la sua personalità e i suoi guizzi emergono chiari e precisi dalle sue interazioni e dagli episodi raccontati. Il narratore, appassionato d'arte fa conoscenza per caso del Barone d'Handrax, sta infatti cercando informazioni su un suo antenato e si ritrova catapultato direttamente nella sua vita e nelle dinamiche della sua famiglia. Mentre le sue ricerche si approfondiscono, Bernard resta affascinato dalla figura del Barone e mentre le pagine scorrono il lettore ne conosce sempre più aspetti fino a rimanere avvinghiato alla sua personalità. Il Barone è una persona curiosa, effervescente, che cerca sempre nuovi modi per affermarsi in un mondo che lo incuriosisce ad ogni passo. Bernard racconta episodi quotidiani: le cene, gli intrattenimenti, le feste e noi scopriamo la casa del Barone, i suoi hobby, le sue necessità. Mentre il gioco diventa scoprire le persone appena decedute, in una stanza della casa appare la stanza delle mappe, mentre i pasti sono un affare speciale, pure il suo menage familiare non è così scontato. Archibald è un uomo che ha un'opinione su tutto, che non si lascia facilmente spaventare, un instancabile collezionista, un portento affascinante. Mentre organizza cene con sosia di personaggi famosi, invia biglietti divertenti in giro, e mentre gli anni passano, Bernard diventa parte integrante della sua famiglia per più di un motivo. Quiriny è straordinario nel delineare un personaggio con tutta una serie di particolarissimi dettagli che creano una visione di insieme non solo di un uomo, ma di una intera situazione. In un angolo sperduto di mondo d'Handrax è una di quelle personalità molto amate e molto apprezzate, che conosce, che esplora, che vaga, che costruisce. Non è solo adamantino nelle sue esternazioni, ma diventa l'ago di una bussola per distinguere e destreggiarsi nella vita, per Bernard è più di un amico, è un riferimento che determina il cammino che continuerà ad intraprendere attimo dopo attimo. Tutto diventa un pretesto per condividere le opinioni del barone, le sue idiosincrasie, la sua visione dell'esistenza, in un insieme di aneddoti che diventano le pennellate per dipingere il suo ritratto.
Il particolare da non dimenticare? Un armadio...
Il ritratto pieno di contrasti di un uomo che ha vissuto appieno tutte le sue peculiarità, in un insieme di episodi apparentemente scollegati ma che regalano il senso di tutta una vita, difficile e serena, dolorosa ed effervescente, piena di affetti e di sacrifici. Quiriny esplora il barone d'Handrax ma esplora tutta una pletora di emozioni umane distintive della sua produzione, guizzi creativi che si sommano in una storia che rimane nei ricordi, perché il barone diventa una figura cara indimenticabile.
Buona lettura guys!
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Capitolo 29 - Il destino del Maestro
Woland parla a Levi Matteo, guardando Mosca dall’alto
[...]
“Non vuoi invece essere così buono da riflettere sulla questione: che cosa avrebbe fatto il tuo bene se non fosse esistito il male, e che aspetto avrebbe la terra se da lei scomparissero le ombre? Sono le cose e le persone che generano le ombre.”
E poi
[...]
“Allora, sii breve, non mi estenuare, perché sei venuto?".
“Mi ha mandato lui”.
“Che cosa ti ha ordinato di dirmi, schiavo?”
[...]
“Ha letto l’opera del Maestro,” disse Levi Matteo, “e ti chiede di prendere con te il Maestro e di ricompensarlo con la pace. O ti sarà difficile farlo, spirito del male?”
“Per me non c’è niente di difficile,” rispose Woland, “lo sai bene,” tacque un momento e aggiunge: ”e perché non lo portate con voi, nella luce?”
“Non ha meritato la luce, ha meritato la pace”.
[...]
“Chiede che sia presa con voi anche colei che lo ha amato e ha sofferto a causa sua.”
La prima considerazione riguarda la riflessione che fa Woland con Levi Matteo. “Che cosa avrebbe fatto il tuo bene se non fosse esistito il male, e che aspetto avrebbe la terra se da lei scomparissero le ombre?”
C’è il bene solo in contrapposizione del male. Un concetto che mi fa richiamare alla mente l’equilibrio della filosofia taoista.
Aggiungo che la figura del diavolo in sé è molto discutibile: in parte agisce nel bene, punendo i peccatori. Quindi è il male o un agente del bene?
In seguito c’è Levi Matteo che chiede a Woland di prendersi il Maestro e Margherita. Non solo sono destinati, quindi, a una morte prematura, ma finiranno all’inferno. Non ha meritato la luce, ha meritato la pace. Per come l’ho intesa io: il Maestro, cioè Bulgakov, è un peccatore che è caduto nella malattia mentale, non può meritarsi il paradiso. Non ha fatto niente di particolarmente buono nella vita, lo salva solo il romanzo; il romanzo, in quanto forma d’arte, è espressione di bellezza e quindi non può che essere positiva e buona.
Non credo che l’inferno tratteggiato da Bulgakov sia l’inferno di dannazione eterna e dolore che sia ha nell’immaginario. Seguendo ciò che Woland e la sua gang fa a Mosca durante tutto il romanzo, l’inferno di Bulgakov è sicuramente violento e spietato, ma, d’altra parte, nutre rispetto per valori quali la giustizia, l’uguaglianza, l’onestà; inoltre disprezza l’avidità, gli arrivisti, chi sopraffà gli altri, chi ha potere. Una versione atipica di inferno, un inferno “giusto”.
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LA NAISSANCE DES GRANDS MAGASINS
L’ascesa della borghesia francese, durante il cosiddetto Secondo Impero, favorita da Napoleone III, ( che ricordiamolo è colui che diede il compito al barone Haussman di ridisegnare completamente Parigi) crea le condizioni ideali per la nascita del “grande magazzino”, come centro del commercio al dettaglio. Quell’evento, quasi prodigioso, simbolo per eccellenza della modernità, celebrato nella pittura, nella fotografia e nella letteratura, segnerà la storia del costume europeo prima e mondiale poi. La culla del grande magazzino è Parigi e proprio qui, al Musée des Arts Decoratifs, è allestita una mostra che raccoglie, manifesti, maquettes, oggetti, costumi, fotografie e molti altri materiali del rutilante mondo dei grandi magazzini, soprattutto parigini, della fine del XIX secolo (mostra aperta fino al prossimo 13 ottobre). I grandi magazzini sono all’origine di una rivoluzione commerciale che farà entrare la Francia in un nuovo ordine sociale ed economico, ovvero quello del consumismo. La mostra, attraverso nove documentatissime sezioni, segna le tappe, più concettuali che cronologiche, di questo percorso. Per dare la misura di questa rivoluzione del costume e dell’economia, ricordiamo che Émile Zola nel 1882 realizza una sorta di reportage presso i Grands Magasins du Louvre per la preparazione del suo romanzo “Au Bonheur de Dames”. Da un punto di vista meramente commerciale e del costume, i grandi magazzini, rivoluzionano il concetto di commercio a partire dall’abbigliamento della persona (soprattutto della donna), aprendo le porte al concetto stesso di moda. È qui infatti che in uno stesso reparto si trovano tutte, e tutte insieme, le componenti dell’abbigliamento, ma anche della toilette. Anche le "ventes spéciales", che noi chiamiamo oggi "saldi", nascono in seno ai grandi magazzini parigini e gli “affiches” di queste vendite sono quanto di più gustoso offra la mostra del MAD. La trionfante società borghese consente, all’epoca, una rapida crescita demografica e, soprattutto per le classi sociali più agiate, fa strada il giocattolo come strumento ludico-educativo. Anche i giocattoli, su produzione in larga scala, fanno la loro comparsa proprio nei grandi magazzini già dal 1870, così come le più raffinate strategie pubblicitarie che cercano di far leva sulle giovani mamme attraendole verso il prodotto dedicato al bambino. Ma le innovazioni del grande magazzino non finiscono qui; la mostra infatti dedica una ampia sezione alle vendite per corrispondenza, attraverso un apparato fotografico e supporti video. Amazon in fondo non ha inventato niente di nuovo: attraverso accuratissimi cataloghi, esposti in mostra, gli acquirenti potevano scegliere il prodotto anche per corrispondenza. Nel 1912 “Au Printemps” si inaugura l’atelier “Primavera” (curioso l’uso del termine italiano che richiama il nome originale del grande magazzino), un atelier che produrrà mobili e oggetti d’arte in serie, una produzione seriale insomma, che sarà qualche decennio dopo, con altre basi ma con la stessa intenzionalità, la grande novità del Bauhaus di Weimar e Dessau. A Parigi atelier saranno aperti presso le “Galeries Lafayette (Atelier “La Matrise”), Le “Bon Marché” (Atelier “Pomone”) e ancora nel 1923 “Les Grands Magasins du Louvre” (“Studium Louvre”). Tra le gli oggetti esposti, quelli che stimolano maggiormente l’immaginazione sono a mio avviso le affiches, alcune compositivaente e, perché mo, artisticamente pregevolissime, come per esempio il manifesto per “Samaritaine” di Emilio Vila del 1929 o la fantasmagorica litografia de i “Magasins Crespin-Dufayel (manifesto di proprietà del MAD), così cime deliziose sono le litografie di Jules Cheret per “Aux Buttes Chaumont”, i magazzini del Boulevard de la Vilette. L’apparato fotografico di tutto rispetto, ha certamente il suo pezzo migliore nell’album fotografico, diviso per reparti di vendita, dell’organigramma completo del personale (direttori, capi, impiegati, commessi) de “Le Bon Marché Rove Gauche” del 1887. Una mostra insomma strabiliante in una città sempre strabiliante.
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Firenze scomparsa nelle pagine del romanzo "La donna d'oro"
La donna d’oro propone nelle proprie pagine, sotto forma di romanzo, la descrizione, nata dalla ricerca documentata, di un quartiere del centro storico della città, protagonista anch’esso e sul cui sfondo si sviluppa una storia noirIl fascino del luogo si lega a molti scritti e a molte opere d’arte, immagini e foto, che ne hanno fermato nel tempo i colori e la bizzarria: il Ghetto. continua a…
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Il segreto della felicità - Racconto delle due gocce d'olio
Tratto dal romanzo di Paulo Coelho ‘L’Alchimista’.
“Un mercante mandò il figlio ad apprendere il Segreto della Felicità dal più saggio di tutti gli uomini. Il giovane camminò nel deserto per quaranta giorni finché giunse a un castello bellissimo, in cima a una montagna: là viveva il Saggio che il giovane cercava.
Invece di incontrare un sant’uomo, però, il nostro eroe si ritrovò in una sala affollata, dove si svolgevano tante attività contemporaneamente: mercanti che entravano e uscivano, persone che chiacchieravano in ogni angolo, un’orchestrina che suonava dolci melodie, e c’era una tavola riccamente imbandita con i piatti più deliziosi di quella regione del mondo. Il Saggio conversava con tutti, e il ragazzo dovette attendere due ore finché arrivò il suo turno. Il Saggio ascoltò con attenzione il motivo della visita del giovane, ma disse che in quel momento non aveva il tempo per spiegargli il Segreto della Felicità. Gli suggerì di fare un giro nel castello e tornare dopo due ore. «Però, voglio chiederti un favore», soggiunse il Saggio, consegnando al giovane un cucchiaino in cui versò due gocce d’olio. «Mentre cammini, dovrai trasportare questo cucchiaino senza versare l’olio».
Il giovane iniziò a salire e scendere le scalinate del castello, tenendo sempre gli occhi fissi sul cucchiaino. Dopo due ore, tornò al cospetto del Saggio.
«Allora», domandò il Saggio, «hai visto gli arazzi della Persia che sono nella mia sala da pranzo? Hai visto il giardino che il Maestro dei Giardinieri ha realizzato in dieci anni? Hai notato le bellissime pergamene della mia biblioteca?» Il giovane, vergognandosi, confessò di non aver visto nulla: la sua unica preoccupazione era stata quella di non versare le gocce d’olio che il Saggio gli aveva affidato.
«Allora torna indietro e scopri le meraviglie del mio mondo», disse il Saggio. «Non puoi aver fiducia in un uomo se non conosci la sua casa».
Così tranquillizzato, il giovane riprese il cucchiaino e tornò a passeggiare nel castello, questa volta prestando attenzione a tutte le opere d’arte appese alle pareti e sul soffitto.
Vide il giardino del Maestro dei Giardinieri, in perfetta armonia con le montagne all’orizzonte. Sentì il profumo di ogni singolo fiore. Ammirò le pergamene dei testi sacri, create da uomini con pazienza e devozione. Osservò che, nonostante il Saggio possedesse moltissime opere d’arte, era riuscito a distribuirle equamente in tutta la casa, così che ognuna potesse ricevere l’attenzione del visitatore.
Di ritorno al cospetto del Saggio, riferì dettagliatamente tutto ciò che aveva visto.
E il Saggio gli domandò: «Ma dove sono le due gocce d’olio che ti ho affidato? » Terrorizzato, guardando il cucchiaino, il ragazzo si rese conto di averle versate.
«Non preoccuparti», disse il più Saggio di tutti i Saggi, «tu sei venuto qui per un consiglio, e questo è tutto ciò che ho da dirti: “Il Segreto della Felicità sta nel guardare tutte le meraviglie del mondo senza dimenticare mai le due gocce d’olio nel cucchiaino” ».
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Il blog consiglia "AMARCORD" di Giammarco Puntelli, Oligo editore. Da non perdere!
Quella mattina c’era tanto sole e c’era tanto buon umore. Era l’anno delle accelerazioni e dei cambiamenti, delle Trasformazioni e delle scoperte”. Amarcord è il romanzo d’esordio di Giammarco Puntelli, già conosciuto autore di saggistica d’arte contemporanea e di manuali di personal e business coaching. È il racconto di una famiglia italiana attraverso la voce di più generazioni. Dodici storie…
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Vacanze spezzate per Wolfgang Gross di Ilaria de Franceschi: Tra Trieste e Vienna. Recensione di Alessandria today
Quattro indagini mozzafiato per l'ispettore Wolfgang Gross tra arte, omicidi e misteri internazionali
Quattro indagini mozzafiato per l’ispettore Wolfgang Gross tra arte, omicidi e misteri internazionali. Recensione del Romanzo:Ilaria de Franceschi torna a catturare l’attenzione dei lettori con il suo nuovo romanzo Vacanze spezzate per Wolfgang Gross: Tra Trieste e Vienna. Protagonista indiscusso è l’ispettore Wolfgang Gross, che vede le sue tanto attese vacanze rovinate da una serie di…
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Rebecca Miller
Rebecca Miller, regista e scrittrice statunitense, indaga le relazioni umane alternando cinema e letteratura.
Sostenitrice delle donne nell’industria cinematografica, le sue storie hanno sempre protagoniste femminili e anche i cast tecnici sono costituiti in gran parte di donne. Per il suo impegno, nel 2003, è apparsa nel documentario In The Company of Women.
Tra i suoi film, che ha scritto e diretto, spiccano Angela, che ha ricevuto il Gotham Independent Film Award, Personal Velocity: Three Portraits, che ha vinto il Sundance Film Festival, The Ballad of Jack and Rose, The Private Lives of Pippa Lee, Maggie’s Plan e She came to me.
Ha scritto i romanzi The Private Lives of Pippa Lee e Jacob’s Folly, il libro che ha anche illustrato A Woman Who e la raccolta di racconti Personal Velocity premiata come miglior libro del 2001 dal Washington Post.
È nata a Roxbury, Connecticut, il 15 settembre 1962, da due celebrità, Inge Morath, fotografa della Magnum e il drammaturgo Arthur Miller. Cresciuta in un ambiente culturale molto stimolante, ha studiato arte a Yale e si è specializzata a Monaco di Baviera, in Germania.
Stabilitasi a New York, nel 1987, ha iniziato la sua carriera come pittrice e scultrice, esponendo in diverse gallerie.
Dopo gli studi di cinema alla New School, ha iniziato a realizzare film muti che esponeva insieme alle sue opere d’arte.
A teatro, si ricorda il suo ruolo di Anya ne Il giardino dei ciliegi di Anton Čechov diretta da Peter Brook, nel 1988.
Ha lavorato come attrice cinematografica e televisiva in film come A proposito di Henry (1991), Wind – Più forte del vento (1994) e Mrs. Parker e il circolo vizioso (1994).
Ha anche diretto un’opera teatrale.
Da regista e sceneggiatrice, il suo primo lungometraggio è stato Angela, presentato in anteprima al Philadelphia Festival of World Cinema e poi al Sundance Film Festival, che le è valso l’Open Palm Award dell’Independent Feature Project e il Sundance Film Festival Filmmaker Trophy oltre a altri importanti premi per la fotografia.
Dopo il matrimonio con l’attore Daniel Day-Lewis, da cui ha avuto due figli, si era trasferita a Dublino dove ha prestato servizio di volontariato in case rifugio per donne vittime di violenza, impegno che le ha ispirato la raccolta di racconti Personal Velocity che poi è diventata un pluripremiato film in tre episodi che esplora la trasformazione personale in risposta a circostanze che cambiano la vita.
La pellicola, proiettata al Tribeca Film Festival e all’High Falls Film Festival, ha ricevuto importanti riconoscimenti e fa parte della collezione permanente del MoMA di New York.
Nel 2005 ha scritto la sceneggiatura per l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale Proof di David Auburn, vincitrice del premio Pulitzer che ha visto come protagonisti Gwyneth Paltrow e Anthony Hopkins e ha diretto The Ballad of Jack and Rose, proiettato al Woodstock Film Festival e all’IFC Center di New York. Il film le ha procurato una menzione d’onore da MTV nel 2010 per le migliori registe che avrebbero dovuto vincere un Oscar.
Nel 2009 ha girato il suo quarto film, The Private Lives of Pippa Lee, un adattamento del suo romanzo del 2002 con un cast stellare composto da Robin Wright, Keanu Reeves, Winona Ryder e Julianne Moore.
Del 2015 è Maggie’s Plan, girato principalmente nel Greenwich Village e presentato in anteprima al Toronto International Film Festival che è stato proiettato in importanti festival internazionali.
La sua ultima fatica risale al 2023, She Came to Me presentato in anteprima mondiale al 73º Festival internazionale del cinema di Berlino, interpretato da Anne Hathaway, Marisa Tomei e Peter Dinklage.
Le sue narrazioni sono pregne di ironia, delicatezza e profondità.
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All’indomani della liberazione, dopo esser stato vent’anni in America, Anguilla torna nel paese dove è cresciuto, sulle Langhe, per avere finalmente un posto che possa chiamare casa. Nel paese tutto è rimasto uguale: le feste, il senso di amicizia, ma anche la miseria, lo sfruttamento, il fatalismo, la superstizione, la violenza. La storia qui è passata ma non ha mutato niente: la Resistenza non si è fatta rinnovamento sociale e i reazionari sono tornati a spadroneggiare. Anguilla ritrova i propri «miti», ossia le esperienze infantili e adolescenziali che porta inscritte dentro di sé e che costituiscono la sua identità; ma lui, che è un trovatello, è senza casa per nascita, e dopo aver girato il mondo, ormai non appartiene più a quel paese. Né crede che si possa cambiarlo, perché sa che il mondo è sempre uguale a sé stesso, immutabile, condizionato da quello che Pavese chiamava «destino»: un sostrato «perenne», «fuori dal tempo». Per Anguilla non c’è scelta: bisogna andarsene. Invece l’amico Nuto, che non è mai uscito dalle Langhe, è convinto che le cose si possano cambiare e che bisogna restare. Pubblicato nell’aprile del 1950, questo romanzo è caratterizzato da una prosa scarna, stilizzata, tale «che non vi sia nulla di superfluo», ma resa vivace dalle risonanze del parlato piemontese; una prosa sempre misurata, controllata da un’«ascesi» distaccata, ma inframmezzata da squarci lirici dalle sonorità e cadenze litaniche, che sono quasi dei versi nascosti. Perfetto esempio di romanzo neorealista, con la sua sintesi di realismo documentario e di simbolismo ispirato dalla lettura di Ernesto de Martino e di Jung, La luna e i falò è davvero ciò che per Pavese doveva essere un’opera d’arte: un «cristallo» ottenuto a prezzo di un lungo «maceramento», un lungo «calvario».
La luna e i falò di Cesare Pavese è disponibile in edizione digitale o cartacea. Tutte le info a questo indirizzo: https://edizioni-omnibus.it/catalogo/cesare-pavese/la-luna-e-i-falo/info.php
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Verrà inaugurata mercoledì 21 febbraio alle ore 17.00 presso il Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato di Guarcino (FR) -Via San Michele Arcangelo - l’esposizione “Continenti dell’altrove, Le Città di Calvino tra invenzione rappresentazione”, a cura di Francesca Tuscano. Organizzata in occasione del centenario dalla nascita del grande scrittore, la mostra “Continenti dell’altrove” è dedicata al celebre romanzo Le Città invisibili, tra i testi letterari del secolo scorso maggiormente rappresentati e che in questa collettiva prende forma attraverso il linguaggio delle arti visive. Motivi ispiratori delle opere sono difatti le 55 città descritte da Calvino, ognuna delle quali è al centro di un’interpretazione al tempo stesso personale, perché data dalla specificità della ricerca dei singoli artisti, e contestuale, in quanto va ad estendersi e a comprendere i concetti stessi dell’abitare e del vivere collettivo. Già esposta a ottobre presso la Biblioteca Raffaello di Roma e a novembre nella sede del Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di “Tor Vergata”, la mostra è stata promossa in collaborazione col Museo Civico d’Arte di Olevano Romano e con diverse gallerie, associazioni e spazi d’arte. In concomitanza con l’apertura dell’esposizione presso il MAC di Guarcino - visitabile fino a venerdì 22 marzo 2024 - sarà nuovamente allestita presso l’Aula Consiliare “Helga Rensing” del Comune di Olevano Romano - Via del Municipio, 1 - la sezione della mostra dedicata alle “città inventate” e più in generale a una rilettura del contesto urbano presso l’Aula Consiliare “Helga Rensing” di Olevano Romano, visibile da lunedì 26 febbraio fino a domenica 17 marzo 2024. La realizzazione del progetto ha visto la collaborazione di diverse istituzioni museali, di associazioni e spazi indipendenti attivi nella sperimentazione e nella promozione delle arti visive e del loro rapporto con la letteratura. Tra i musei e le altre realtà partecipanti, oltre al Museo Civico d’Arte di Olevano Romano, capofila del progetto, e al Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato di Guarcino, l’Associazione AMO, la galleria Il Torcoliere, I Diagonali, Aliud Edizioni, le gallerie Alea Contemporary Art e Storie Contemporanee, la Stamperia del Tevere, lo spazio indipendente Off1c1na, la stamperia d’arte La Linea e l’associazione Ars&Tèchne. Partecipano all’esposizione delle “città inventate” (Aula Consiliare “Helga Rensing” del Comune di Olevano Romano): Bruno Aller, Paolo Assenza, Eclario Barone, Gianluigi Bellucci, Aldo Bertolini, Marina Bindella, Ettore Consolazione, A.Pio Del Brocco, Adriano Di Giacomo, Mimmo Di Laora, Franco Durelli, Marisa Facchinetti, Giancarla Frare, Leonardo Galliano, Carlo Lorenzetti, Loredana Manciati, Giovanna Martinelli, Gianluca Murasecchi, Giulia Napoleone, Enzo Lionello Natilli, Franco Nuti, Giovanni Reffo, Mario Ricci, Pasquale Santoro, Guido Strazza, Mara Van Wees. Partecipano all’esposizione delle “Città invisibili di Calvino” (Museo d’Arte Contemporanea del Piccolo Formato di Guarcino): Bruno Aller, Rita Allescia, Arianna Angelini, Giulia Apice, Paolo Assenza, Laura Barberini, Maryam Bakhtiari, Eclario Barone, Claudia Bellocchi, Gianluigi Bellucci, Aldo Bertolini, Paolo Bielli, Francesco Calia, Virginia Carbonelli, Claudia Catalano, Malgorzata Chomicz, Valerio Coccia, Michele De Luca, A.Pio Del Brocco, Felice Del Brocco, Mimmo Di Laora, Franco Durelli, Marisa Facchinetti, Alessandro Fornaci, Francesca Gabrielli, Leonardo Galliano, Salvatore Giunta, Lucia Graser, Federica Luzzi, Loredana Manciati, Frank Martinangeli, Giovanna Martinelli, Donato Marrocco, Fausto Maxia, Elena Molena, Gianluca Murasecchi, Giulia Napoleone, Massimo Napoli, Veronica Neri, Anastasia Norenko, Isabella Nurigiani, Franco Nuti, Andrea Pacini, Vincenzo Paonessa, Lucia Sapienza, Giovanni Reffo, Marta Renzi, Rosella Restante, Anna Romanello, Azadeh Shirmast, Alessandra Silenzi, Virginia Sobrino, Massimo Spadari, Nicola Spezzano, Lello Torchia, Rosana Tuscenca, Raha Vismeh.
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📷EVENTI: L’ACCADEMIA D’ARTE LIRICA DI OSIMO - 13.02.2024 - L’ACCADEMIA D’ARTE LIRICA DI OSIMO PROPONE “DAL ROMANZO ALL’OPERA” Domenica 18 febbraio alle ore 18.00, al Teatro La Nuova Fenice di Osimo, nuovo… 🎥 https://www.twinssebastiani.it/dettaglio.php?id=11270
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