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#roma 2023 libro
rocknread · 2 years
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Roma 2023 di La Pecora Nera - Recensione
Roma 2023 è un atto coraggioso e generosissimo che la redazione de La Pecora Nera fa ai suoi lettori e a tutti quelli che vogliono affrontare il mondo del cibo e del bere con attenzione. Palco di scena della guida è Roma (c’è anche di Torino e Milano) come dice lo stesso nome. Ma non solo la città, tutto l’entroterra laziale spingendosi fino ai confini con le altre regioni. Insomma, dove c’è…
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abr · 1 year
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I plauditores di Alberto Angela mi hanno intimato di leggere Marziale: il poeta proverebbe l'affermazione del loro idolo secondo il quale presso gli antichi romani vigeva l'amore libero. In particolare omosessuale. Una notizia diffusa non ho capito se in chiave anticristiana o antivannacciana o antimeloniana (mistero) in un programma pagato dal contribuente. (...) I plauditores di Angela mi hanno intimato di leggere Marziale e io l’ho letto, anzi riletto, ed ecco l’epigramma 58 del libro I: “Un mercante di schiavi mi chiese centomila sesterzi / per un fanciullo: io risi, ma Febo glieli diede subito. / Di ciò si dispiace il mio cazzo...”. Ecco dunque l’amore libero presso i romani precristiani: la libertà dei ricchi di comprare schiavi ragazzini (Marziale scrive “puer”), e poi stuprarli.
Camillo Langone, via https://www.ilfoglio.it/preghiera/2023/10/04/news/leggere-marziale-per-scoprire-l-amore-libero-nell-antica-roma-e-una-pessima-idea-5739837/
Scolpisce da par suo quello che ribadisco, coi miei scarsi mezzi, da sempre riguardo l'ammore degli antichi: quello cd. "libero" non era ammore, era SOTTO-MISSIONE, era SCHIAVISMO.
Le Elite d'oggidì come si dice a Treviso SBOCCIANO al solo pensiero rimpiangendo Epstein, poi si sciacquano.
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anchesetuttinoino · 3 months
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Ecocidio, ultima fermata del diritto penale totale
L'ecocidio, ultima fermata del diritto penale totale - Tempi
Il partito di Bonelli e Fratoianni propone una legge per accusare di genocidio chi inquina e mandarlo in galera sulla base prove vaghe e accuse fumose in nome del principio di precauzione. Una follia giustizialista a cui bisogna opporsi
E galera per tutti. Questa potrebbe essere la riscrittura del celebre capolavoro cinematografico …e giustizia per tutti con Al Pacino, se a dirigerlo fossero stati Bonelli e Fratoianni, dinamico duo della politica italiana, due per i quali vanno bene i diritti e le libertà (queste un po’ meno soprattutto quando economiche o legate alla proprietà privata) ma per i quali alla fine l’esito, lo sbocco, l’approdo di tutto deve essere la galera. A parte quando, nella loro veste di talent scout dei candidati potenziali, si imbattono in qualcuno da tirar fuori dalle carceri, da candidare e far eleggere.
Processiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi
Bonelli si era già fatto “apprezzare”, in questa inarrestabile deriva di pan-penalizzazione totale della società e dei comportamenti umani, ventilando l’ipotesi di un reato di negazionismo climatico, ennesimo giro di vite, assolutamente indeterminato e fumoso nei presupposti e nella definizione stessa, contro le opinioni critiche, per quanto motivate e articolate.
Per dirne una, il recente libro La grande bugia verde di Nicola Porro (Liberilibri), in cui si mettono a sistema le opinioni di scienziati critici con la vulgata terrorizzante sul cambiamento climatico, nel generale canone di indeterminatezza della fattispecie incriminatrice escogitata dai rossoverdi sarebbe potuto incorrere in problemi. D’altronde la sinistra, verde e radicale, è sempre un po’ così. Processiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi.
L’ecocidio non è solo un reato ambientale, è un genocidio
Di quella roba per fortuna non se ne è sentito più niente, ma è tornata in auge un’altra antica e pessima battaglia dei rossoverdi: il reato di ecocidio. Contrariamente alle polemiche montanti in questi giorni, i materiali ideatori del disegno di legge non sono direttamente Fratoianni e Bonelli ma il loro deputato Filiberto Zaratti che tale proposta ha presentato il 24 luglio 2023. Solo ora però assurgendo a indiretta fama, nonostante l’apprezzabilissimo sforzo di partorire l’ennesimo profluvio di pene. Dal canto loro, il soccorso rossoverde si è messo subito in moto.
E Bonelli ha fatto sponda al suo onorevole, richiamando l’esigenza di modificare lo Statuto di Roma che disciplina la ragion d’essere della Corte penale internazionale; sì, avete letto bene, perché l’ecocidio, lo si intuisce sin dal nomen scelto, è a tutti gli effetti un genocidio, un crimine contro l’umanità e le generazioni future, non un mero reato ambientale. Così qualificandolo peraltro ne discende anche la abnorme conseguenza di decretarne la imprescrittibilità, cosa che infatti la proposta fa espressamente all’articolo 6: nei fatti, gli inquinatori come i componenti delle Einsatzgruppen che al comando di Otto Ohlendorf fecero scempio di ebrei, e non solo, durante la Seconda guerra mondiale.
Il Parlamento, da sempre, è innovativa e inventiva fucina di dadaismo legislativo, tanto nel merito quanto nei metodi di tecnica legislativa. In alcuni casi, stramberie persino simpatiche o puramente segnaletiche, davanti cui farsi quattro risate. Quando però scendiamo nell’ombroso e delicato campo del diritto penale, e in gioco si trova la libertà dei cittadini, c’è sempre poco di cui divertirsi e invece molto di cui preoccuparsi.
Il cattivo esempio dell’Ue e il principio di precauzione
Proprio a maggio 2024, colpo di coda della deriva iper-ideologizzata del Green Deal, l’Unione Europea ha approvato una Direttiva che ha istituito una notevole serie di nuove fattispecie incriminatrici nell’alveo della materia ambientale. Un approccio repressivo che peraltro pone a carico delle imprese tutta una ulteriore serie di incombenti e soprattutto di responsabilità di ordine penale, sulla scia dei modelli di compliance e di responsabilizzazione amministrativo-penale che pure in Italia, dal d.lgs n. 231/01 in poi, conosciamo bene. Non è difficile immaginare quanto attrattiva questa Direttiva, che dovrà essere recepita e attuata nei prossimi due anni dagli Stati membri, possa essere per investitori e soprattutto aziende.
Quando ci si preoccupa del tappo della bottiglia, direi che si sta impostando la battaglia sul crinale sbagliato: non c’è bisogno di rendersi farseschi per dire che l’Unione soffre di un feticistico complesso di iper-regolazione, soprattutto perché probabilmente sono le norme di matrice penale a dover interessare di più.
Come al solito, e questo non può che essere un tratto comune tanto all’ecocidio modellato da Zaratti/Fratoianni/Bonelli quanto dalla direttiva Ue, a fare la parte del leone è il principio di precauzione con cui negli ultimi anni abbiamo dovuto familiarizzare.
Che paura la “società del rischio zero”
Nato proprio nell’alveo del diritto ambientale, il principio di precauzione, sovente intrecciato a quello di prevenzione ma da cui pure differisce per natura e funzione, è il convitato di pietra delle società altamente tecnologiche in cui si viene a minimizzare il rischio. La precauzione infatti, a differenza della prevenzione, non ambisce a evitare il palesarsi di una data situazione che si sa con certezza essere patologica, dannosa o esiziale: al contrario essa ambisce a sterilizzare in radice la potenzialità del palesarsi di un rischio che potrebbe essere o non essere dannoso. Potentially harmful recita la Direttiva Ue. Una dannosità potenziale che troviamo non per caso anche nella proposta di legge sull’ecocidio.
Applicato all’ambiente, alle pandemie, alla bio-ingegneria, a tutto ciò che per accelerazione tecnologica non riusciamo a governare a suon di norme dettagliate, il principio di precauzione è, come ha scritto Sunstein, «diritto della paura»: si basa sulla paura che un dato evento possa palesarsi, e così facendo criminalizza il rischio. Peccato, sia per i regolatori Ue, sia per Bonelli, Fratoianni e Zaratti, che il progresso umano si sia basato storicamente sulla accettazione razionale del rischio, sulla sua comprensione e sulla emersione di strumenti di mitigazione. Dai mercanti medievali che aprirono rotte nuove collegando tra loro città e Paesi agli scienziati fino agli imprenditori della rivoluzione industriale, il rischio è stato motore non tanto invisibile della evoluzione del genere umano.
Le città mercantili della Lega Anseatica, quelle meravigliose gemme turrite che affacciano sul Baltico, recavano inscritta sul portone di ingresso delle case e delle gilde mercantili la famosa frase navigare necesse est, vivere non est necesse. La società del “rischio zero”, lo abbiamo sperimentato in pandemia, è una società statica, paludosa, museale, ferma, destinata alla estinzione, più che alla mera decrescita.
Definizioni fumose, istigazione all’ecocidio e pene severissime
L’aspetto più inquietante del diritto penale sottomesso alla ideologia è che esso raramente si perita di piegarsi ai principi garantistici propri di un ordinamento liberale: il giacobinismo rossoverde, posseduto dal sacro furore della giustizia climatica, snuda le sue metaforiche ghigliottine senza andare troppo per il sottile.
E così, scartabellando la proposta di legge, ci si imbatte ad esempio nella definizione del reato, all’articolo 2.
“Si considera reato di ecocidio qualsiasi atto illecito o arbitrario commesso con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità che il medesimo atto causi un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente o a un ecosistema”.
Una sostanziale probabilità. E quando, di grazia, la probabilità sarebbe sostanziale? Ma soprattutto, visto che parliamo di reati e quindi conta anche l’elemento soggettivo, come si prova concretamente che un soggetto si era palesato il fatto di voler commettere un atto che avrebbe, per sostanziale probabilità, cagionato un danno? Una sorta di probatio diabolica eco-penale.
Se è ecocidio possono deciderlo anche gli ambientalisti
Anche il richiamato “atto arbitrario” non è male e viene scolpito come «un atto che non tiene conto di un danno che sarebbe chiaramente eccessivo rispetto ai benefìci sociali ed economici previsti». L’ho dovuto rileggere diverse volte, e tremo al pensiero che una roba del genere possa finire nelle mani di una Procura e di un giudice; talmente evanescenti e spettrali le maglie definitorie da lasciar possibile tutto e il contrario di tutto, fino alla caducazione da parte della Corte Costituzionale quando e se sarà investita della questione.
Conformemente alla ipostatizzazione di una “volontà generale” messa in moto contro gli ecocidi, la potenziale legge individua, parola grossa, il “pubblico interessato” definito come «le persone colpite o che potrebbero essere colpite dai reati di cui alla presente legge; si considerano interessati i soggetti che hanno un interesse sufficiente o che dimostrano la lesione di un diritto, nonché le organizzazioni che promuovono la protezione dell’ambiente». Quindi il gingillo si mette in mano tanto a persone realmente colpite da disastri ambientali quanto in quelle degli eco-svalvolati.
E dato che conformemente alla loro tradizione, i rossoverdi detestano la libertà, soprattutto quella di parola, si pensa bene all’articolo 3 di introdurre il reato di istigazione all’ecocidio, punito con la reclusione da tre a sei anni. Senza alcuna definizione, senza dire in cosa si sostanzi davvero una istigazione all’ecocidio. Da dodici a venti anni invece spettano a chi commetta l’ecocidio “classico”. Una forbice abbastanza dilatata, peraltro. Che dire, opporsi alla approvazione e introduzione di questa roba è un imperativo di ordine morale per chiunque abbia a cuore la libertà.
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Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai. Quando avevo vent’anni ci chiedevamo se saremmo morti democristiani. Non importa se non avrò più molto tempo: l’importante per me ora è non morire fascista».
Queste le parole nell’ultima intervista di Michela Murgia.
Definire Michela Murgia non è semplice: da scrittrice a presentatrice, da speaker radiofonica ad attrice. In ogni ruolo in cui si applica riesce sempre a contraddistinguersi con la sua grande passione e forza che porta in ogni sua opera.
Michela Murgia nasce a Cabras, in Sardegna, il 3 giugno 1972 e la sua terra natia sarà sempre fonte di orgoglio e di costante presenza in tutte le sue opere, da quelle letterarie a quelle per il teatro. Prima di diventare scrittrice ha sperimentato una grande quantità di altre professioni e in questi lavori ha potuto conoscere persone e storie sempre diverse che sono state fonte di ispirazione per le sue narrazioni. Ed è proprio durante una di queste esperienze lavorative che avvia la sua carriera da scrittrice: stava infatti lavorando in un call center quando si rende conto che deve far sapere a tutti le condizioni e la realtà quotidiana che vivono gli operatori telefonici. Decide quindi di aprire un blog dove descrive e racconta tutto questo, dagli articoli di quel blog nascerà il suo primo libro Il mondo deve sapere, che verrà pubblicato nel 2006. Il libro diventerà un vero cult e un regista come Paolo Virzì lo prenderà come modello e ispirazione per produrre la sceneggiatura del proprio film Tutta la vita davanti.
Il primo romanzo che decreterà il successo di Michela Murgia è l’Accabadora che uscirà nel 2009 per Einaudi. Un libro molto forte che narra la storia di una professione antica, quella di colei che aiuta le anime ad andare nell’Aldilà. Si tratta di un romanzo ambientato in Sardegna e che riceverà molti premi, tra i quali il Premio Campiello nel 2010.
Il suo forte legame con la Sardegna è sancito anche dalla fondazione con altre persone della rete di librai, bibliotecari e associazioni culturali del territorio sardo dal nome Lìberos, con i quali mirano a sostenere le realtà legate al mondo della cultura e della lettura in Sardegna.
Negli anni Michela Murgia collabora con molte riviste e testate giornalistiche, con le quali porta avanti una lotta contro il maschilismo per ristabilire il valore della donna.
Lo fa anche attraverso un importante podcast ideato e condotto con Chiara Tagliaferri dal titolo Morgana.
Il successo del podcast è così forte che verranno realizzate varie stagioni e soprattutto dal podcast nasceranno ben due volumi in cui sono raccolte le storie delle donne che vengono raccontate: Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe (2019) e Morgana. L'uomo ricco sono io (2021).
Tra le sue celebri storie troviamo anche un volume illustrato: Noi siamo tempesta (2019), che nello stesso anno vince il premio Morante e la menzione speciale della giuria del premio Andersen.
Non si tiene fuori dalla politica, infatti, oltre a candidarsi in Sardegna esordisce con un pamphlet politico dal titolo Istruzioni per diventare fascisti, che ebbe un grande riscontro di pubblico al punto da essere tradotto in cinque lingue.
Dopo alcune esperienze come drammaturga teatrale, con discreto successo, dal 2018 è lei stessa a calcare le assi del palcoscenico portando a teatro sia Istruzioni per diventare fascisti sia Dove sono le donne, un monologo sulla parità di genere molto apprezzato.
Su questo tema nel 2021 esce il saggio Stai Zitta, e altre nove frasi che non vogliamo sentire più, dove indaga alcune delle espressioni maschiliste utilizzate nei confronti delle donne.
L’autrice si spegne a Roma il 10 agosto 2023.
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fashionbooksmilano · 8 months
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Emilio Federico Schuberth
Moda e media ai tempi della dolce vita
Dorothea Burato
Electa, Milano 2023, 128 pagine, 17x24cm, ISBN 97888284317
euro 24,00
Il volume è l’esito di una approfondita ricerca sulla figura dello stilista di origini napoletane attivo a Roma a partire dagli anni Quaranta. Emilio Federico Schuberth si impone sul territorio nazionale e internazionale grazie soprattutto al sapiente uso di strategie di promozione del suo marchio attraverso il medium cinematografico e quello televisivo. Nel panorama della moda italiana, che si afferma a partire dal dopoguerra, Schuberth rappresenta una voce fuori dagli schemi: il suo atelier è stato una tappa obbligata per le dive del cinema, le soubrette del varietà e le donne più eleganti del jet set internazionale. Schuberth veste le più grandi dive del cinema, come Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Martine Carol, Valentina Cortese, Alida Valli, Anna Magnani, Bette Davis e Gloria Swanson, sia dentro che fuori dallo schermo, recita in alcuni film e partecipa a trasmissioni televisive di grande popolarità come Carosello, Il Musichiere e La via del successo. Nel volume la storia dello stilista-star viene raccontata attraverso quattro macro-sezioni: la prima è dedicata alla biografia del sarto, fino ad oggi poco indagata; la seconda alla ricognizione del proficuo rapporto che Schuberth ha instaurato con il mondo del cinema in venti anni di attività, dalla partecipazione come attore in alcuni film, alla promozione del proprio marchio grazie alle più famose dive del cinema; la terza si focalizza sul lavoro di Schuberth come stilista al servizio del grande schermo; la quarta sezione è dedicata alle esperienze nell’ambito radiotelevisivo e all’uso strategico che lo stilista fa del neonato medium televisivo promuovendo le sue creazioni anche al pubblico di massa. Chiude il volume l’analisi del filmato promozionale Vedette 444, brillante analogia tra la creazione di moda e l’industria meccanica cui prende parte anche Schuberth. La ricerca, che incrocia materiale d’archivio con documenti audiovisivi e testimonianze di diversa origine, porta alla luce una figura imprescindibile per la conoscenza dello sviluppo del settore della moda che dal dopoguerra in avanti ha fatto la fortuna del Paese. Il materiale dell’archivio CSAC, nello specifico i figurini del Fondo Schuberth e le fotografie del Fondo Publifoto Roma, si è rivelato uno strumento di studio fondamentale per la ricostruzione dell’attività del sarto in oltre due decenni di attività e ha fornito un ricco repertorio di immagini e documenti per il libro. Ne è testimonianza l’album dei figurini di moda, in chiusura del libro, con una selezione di materiale particolarmente rappresentativo della vivacità e varietà che ha caratterizzato l’attività dell’atelier di Schuberth nei decenni centrali del Novecento. Lo studio, e dunque questa pubblicazione su Emilio Federico Schuberth, rappresentano quello che è il senso profondo di CSAC, ovvero la relazione imprescindibile fra le diverse forme d’arte, in cui si inserisce a pieno titolo anche la moda oltre che il cinema, e la comunicazione. Una visione inclusiva che abbraccia diversi saperi per fotografare il presente e il nostro passato recente. Il volume è il quarto di una serie di pubblicazioni e iniziative in collaborazione tra la casa editrice Electa e CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma. Lo studio, e il prezioso lavoro di riordino e catalogazione di cui questa pubblicazione offre testimonianza, ha dato a CSAC l’opportunità di catalogare e digitalizzare tutti i bozzetti e le fotografie del sarto in modo da rendere fruibile il patrimonio del fondo all’esterno.
25/01/24
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floresenfermas · 10 months
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En mis años de Universidad pasaba en su biblioteca casi todo el día y, confieso, apenas asistía a clase. Leía compulsivamente, escribía, comía a escondidas oculto en alguno de sus fríos y obscuros pasillos e incluso me echaba algún sueño vencido por el cansancio. Muchos alumnos, hartos de verme a todas horas, hasta llegaron a pensar que era el bibliotecario: les ayudaba a encontrar libros y les recomendaba otros. Allí leí por vez primera a Plutarco y algunos capítulos de sus Vidas paralelas de personajes célebres de Grecia y Roma. Ahora he conseguido la edición completa con sus 49 biografías enfrentadas en más de 800 páginas que me han hecho recordar aquellos lejanos e interminables días.
[19-XI-2023]
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libriaco · 2 years
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Quel giorno più non vi leggemmo avante
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Reticenza o Aposiopesi:
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante (Inferno, V, vv. 137-138)
B. Mortara Garavelli, Prima lezione di retorica, Roma-Bari, Laterza, 2011
Bice Mortara Garavelli (Montemagno, 18 maggio 1931 – Torino, 26 gennaio 2023) è stata una grammatica e linguista italiana, studiosa di retorica.
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rideretremando · 1 year
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Dalla bolla FB di Ivano Porpora
"Mi piacerebbe avere una piccola sezione dei 20, 25 libri più rappresentativi dei migliori autori in Italia; e credo che interessi anche i miei allievi, e chi mi segue.
Qui sotto la lista dei libri. Parte l'elezione de L'ALTRO LIVELLO. Potete votarne solo dieci. Se ne votate undici, cancello il vostro commento, perché state portando rumore. Il libro può anche non essere quello: ripeto, per me Nove ha raggiunto l'apice con La vita oscena.
Aldo Nove - Milano non è Milano, 2010
Alessandra Carnaroli - La furia, 2023
Alessandra Sarchi - L’amore normale, 2014
Alessandro Baricco - Mr Gwyn, 2011
Alessandro Piperno - Con le peggiori intenzioni, 2005
Alessio Forgione - Napoli mon amour, 2018
Alessio Mosca - Chiromantica Medica, 2022
Alfredo Palomba, Quando le belve arriveranno, 2022
Andrea Bajani - Un bene al mondo, 2016
Andrea Canobbio -
Andrea Donaera - Io sono la bestia, 2019
Andrea Pomella - L'uomo che trema, 2018
Andrea Tarabbia - La calligrafia come arte delle guerra, 2010
Andrej Longo - L'altra madre, 2016
Antonella Cilento, Lisario o il piacere infinito delle donne, 2014
Antonella Lattanzi - Questo giorno che incombe, 2021
Antonio Manzini - 7/72007, 2016
Antonio Moresco - La lucina, 2013
Aurelio Picca - Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, 2020
Benedetta Palmieri - Emersione, 2021
Carola Susani - Eravamo bambini abbastanza, 2012
Claudia Durastanti - La straniera, 2019
Claudia Petrucci - L'esercizio, 2020
Claudio Morandini - Neve, cane, piede, 2015
Claudio Piersanti - Quel maledetto Vronskij, 2021
Daniela Ranieri - Stradario Aggiornato di tutti i miei baci, 2021
Daniele Del Giudice - Orizzonte mobile, 2009
Daniele Mencarelli - Tutto chiede salvezza, 2022
Daniele Petruccioli - La casa delle madri, 2020
Dario Voltolini - Le scimmie sono inavvertitamente uscite dalla gabbia, 2006
Davide Orecchio - Storia aperta, 2021
Demetrio Paolin - Conforme alla gloria, 2016
Domenico Starnone - Vita mortale e immortale della bambina di Milano, 2021
Donatella Di Pietrantonio - L’arminuta, 2017
Edgardo Franzosini - Questa vita tuttavia mi pesa molto, 2015
Edoardo Albinati - La scuola cattolica, 2016
Edoardo Zambelli - Storia di due donne e di uno specchio, 2018
Elena Ferrante -
Emanuela Canepa - Insegnami la tempesta, 2020
Emanuela Cocco - Tu che eri ogni ragazza, 2018
Emanuele Tonon - La luce prima, 2011
Emanuele Trevi - Due vite, 2020
Emidio Clementi - L’amante imperfetto, 2017
Emiliano Ereddia - Le mosche, 2021
Eraldo Baldini - L’uomo nero e la bicicletta blu, 2011
Ernesto Aloia - I compagni del fuoco, 2007
Ezio Sinigaglia - Eclissi, 2016
Fabio Bacà - Nova, 2021
Fabio Bartolomei - We are family, 2013
Fabio Geda - Nel mare ci sono i coccodrilli, 2010
Fabio Genovesi - Esche vive, 2011
Fabio Stassi - L'ultimo ballo di Charlot, 2012
Fabrizio Patriarca - Tokyo transit, 2016
Federico Platania - Il Dio che fa la mia vendetta, 2013
Filippo Nicosia - Come un animale, 2010
Filippo Tuena - Ultimo parallelo, 2007
Francesca Genti - Anche la sofferenza ha la sua data di scadenza, 2018
Francesca Manfredi - L’impero della polvere, 2019
Francesca Marzia Esposito - Corpi di ballo, 2019
Francesca Mattei - Il giorno in cui diedi fuoco alla mia casa, 2019
Francesco Dimitri - Pan, 2008
Francesco Maino - Cartongesso, 2014
Francesco Pacifico - Class, 2014
Francesco Pecoraro - La vita in tempo di pace, 2014
Francesco Targhetta - Perciò veniamo bene nelle fotografie, 2012
Franco Stelzer - Il nostro primo solenne stranissimo Natale senza di lei, 2003
Fulvio Abbate - Roma vista controvento, 2015
Giacomo Sartori - Anatomia della battaglia, 2005
Gian Marco Griffi - Ferrovie del Messico, 2022
Gianluca Morozzi - Blackout, 2004
Gilda Policastro - La parte di Malvasia, 2020
Giordano Meacci - Il cinghiale che uccise Liberty Valance, 2016
Giordano Tedoldi - Tabù, 2017
Giorgia Tribuiani - Blu, 2018
Giorgio Falco - La gemella H, 2014
Giorgio Fontana - Il mago di Riga, 2022
Giorgio Vasta - Il tempo materiale, 2008
Giovanni Dozzini - Qui dovevo stare, 2021
Giulio Mozzi - Le ripetizioni, 2021
Giuseppe Genna - Dies irae, 2006
Greta Pavan - Quasi niente sbagliato, 2023
Helena Janeczek - La ragazza con la Leica, 2017
Ilaria Palomba - Vuoto, 2022
Laura Pariani -La valle delle donne lupo, 2011
Laura Pugno - Sirene, 2007
Letizia Muratori - Casa madre, 2008
Licia Giaquinto - La briganta e lo straniero, 2014
Lorenza Pieri - Il giardino dei mostri, 2019
Lorenzo Mercatanti - Il babbo avrebbe voluto dire ti amo ma lo zio ne faceva anche a meno, 2014
Luca Ricci - Gli autunnali, 2018
Luigi Romolo Carrino - Non è di maggio, 2021
Maddalena Fingerle - Lingua Madre, 2021
Marcello Fois - Nel tempo di mezzo, 2012
Marco Balzano - Resto qui, 2015
Marco Drago - Innamorato, 2023
Marco Mancassola - Last love parade, 2005
Marco Missiroli - Atti osceni in luogo privato, 2015
Marco Peano - L'invenzione della madre, 2015
María Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata, 2023
Maria Rosa Cutrufelli - Il giudice delle donne, 2016
Marino Magliani - Peninsulario, 2022
Mario Desiati - Spatriati, 2022
Marta Cai - Enti di ragione, 2019
Massimiliano Santarossa - Pane e Ferro, 2019
Matteo Cavezzali - Nero d'inferno, 2018
Matteo Galiazzo - Cargo, ne 2013
Matteo Melchiorre -Requiem per un albero, 2004
Mauro Covacich - La sposa, 2016
Michele Mari - Leggenda privata, 2017
Michele Orti Manara - Il vizio di smettere, 2018
Michele Vaccari - Un marito, 2018
Niccolò Ammaniti - Io non ho paura, 2001
Nicola Lagioia - La città dei vivi, 2020
Orso Tosco - Aspettando i naufraghi, 2018
Paola Barbato - Zoo, 2019
Paolo Cognetti - Sofia si veste sempre di nero, 2012
Paolo Colagrande - Salvarsi a vanvera, 2022
Paolo Giordano -
Paolo Nori - Vi avverto che vivo per l’ultima volta, 2023
Paolo Zanotti - Bambini bonsai, 2010
Paolo Zardi - Il giorno che diventammo umani, 2013
Piera Ventre - Gli spettri della sera, 2023
Piersandro Pallavicini - Atomico Dandy, 2005
Raul Montanari - Il buio divora la strada, 2002
Remo Rapino - Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, 2019
Romolo Bugaro - Non c'è stata nessuna battaglia, 2019
Rosa Matteucci - Costellazione familiare, 2016
Rosella Postorino - Le assaggiatrici, 2018
Rossana Campo - Dove troverete un altro padre come il mio, 2015
Sacha Naspini - I cariolanti, 2020
Sandro Campani - I passi nel bosco, 2020
Sandro Veronesi - Caos Calmo, 2005
Sara Gamberini - Maestoso è l’abbandono, 2018
Sebastiano Vassalli - Le due chiese, 2010
Sergio Claudio Perroni - Entro a volte nel tuo sonno, 2018
Silvia Ballestra - La Sibilla. Vita di Joyce Lussu, 2022
Silvia Bottani - Il giorno mangia la notte, 2020
Simona Baldanzi - Figlia di una vestaglia blu, 2006
Simona Baldelli - Vicolo dell'Immaginario, 2018
Simona Vinci - La prima verità, 2016
Tiziano Scarpa - Cose fondamentali, 2010
Tommaso Pincio - Panorama, 2015
Tullio Avoledo -
Ugo Cornia - Quasi amore, 2001
Valentina Durante - Enne, 2020
Valentina Maini - La mischia, 2020
Valeria Corciolani - La regina dei colori, 2023
Valeria Parrella - Lo spazio bianco, 2008
Valerio Evangelisti - Noi saremo tutto, 2004
Vanni Santoni - Gli interessi in comune, 2008
Veronica Galletta - Nina sull’argine, 2021
Veronica Tomassini - L’altro addio, 2017
Vincenzo Pardini - Il valico dei briganti, 2023
Viola Di Grado - Fame blu, 2022
Vitaliano Trevisan - Works, 2016
Walter Pozzi - Carte scoperte, 2015
Walter Siti - Troppi paradisi, 2006
Wu Ming - 54, 2002"
Poi è partita una lotta nel fango di scrittori che gridano e si tirano i capelli e dicono meglio quello meglio quell' altro e poi io, ci devo essere io. Ed i miei amici x e y..."
E lui alla fine ha tolto il post.
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Amici e amiche di Tumblr con grande orgoglio condivido con voi la locandina della prima presentazione del mio libro. Essa si terrà a Perugia e l'ingresso sarà ovviamente libero e gratuito. So che siete tutti sparpagliati in giro per l'Italia ma io ve la butto là, magari diventa un'ottima scusa per fare un bel giretto tra le colline Umbre. Per cui se vi interessa conoscere tutto ciò che c'è stato dietro alla realizzazione del volume e dialogare un pochino sulle tematiche affrontate nell'opera siete assolutamente i benvenuti!
Per cui Save the date: 21 gennaio 2023, ore 17, sala della fondazione sant'anna, viale Roma 15, Perugia.
(Saranno anche distribuiti dei magici segnalibri)
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Entrevista al historiador italiano Emilio Gentile ¿Quiénes son los fascistas?
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Por Mariano Schuster
Fuentes: Nueva Sociedad
El debate sobre el fascismo está cada vez más presente en la arena pública. ¿Ha vuelto el fascismo? ¿Nunca se fue y existe un fascismo eterno? En esta entrevista, Emilio Gentile, una referencia en los estudios del fascismo italiano, vuelve sobre ese régimen y sobre el papel que tuvo en él el propio Benito Mussolini.
En un contexto político internacional en el que emergen extremas derechas, regímenes iliberales y gobiernos autoritarios, la palabra «fascismo» ha vuelto a estar a la orden del día. Hay quienes definen como «fascistas» a Donald Trump, Víktor Orbán, Marine Le Pen, Giorgia Meloni y Santiago Abascal, y quienes se refieren a un «retorno del fascismo» para explicar las oposiciones conservadoras a las agendas feministas y de los colectivos de diversidad sexual. La situación va incluso más allá: la palabra es utilizada también para acusar a izquierdas autoritarias, a movimientos y grupos religiosos y hasta para definir actitudes genéricamente «antiliberales». El concepto se ha transformado, en definitiva, en un arma arrojadiza que adversarios políticos e ideológicos se endilgan entre sí. Pero ¿qué fue realmente el fascismo? ¿Cuáles fueron sus características? ¿Qué diferencia a las extremas derechas actuales de esa experiencia?
Profesor titular de Historia Contemporánea en la Universidad La Sapienza de Roma hasta 2012 –y hoy profesor emérito en la misma casa de estudios–, Emilio Gentile ha historizado, a partir de documentos y de un laborioso trabajo de archivo y de interpretación de fuentes históricas, el fascismo italiano. En su extensa trayectoria historiográfica, Gentile ha escrito numerosos libros, muchos de los cuales han sido traducidos al español. Entre ellos se destacan Fascismo: historia e interpretación (Alianza, 2004); La vía italiana al totalitarismo. Partido y Estado en el régimen fascista (Siglo XXI, 2005); El culto del Littorio. La sacralización de la política en la Italia fascista (Siglo XXI, 2007); El fascismo y la marcha sobre Roma (Edhasa, 2014); Mussolini contra Lenin (Alianza, 2019) y ¿Quién es fascista? (Alianza, 2019). En 2022 publicó, por el sello Laterza, Storia del fascismo, un volumen de 1.376 páginas en el que explica minuciosamente, sobre la base de una vasta documentación de archivo, el nacimiento y el desarrollo del fascismo en Italia. Su último trabajo es Totalitarismo 100. Ritorno alla storia (Editrice Salerno, 2023).
En esta extensa entrevista, Emilio Gentile dialoga con Nueva Sociedad sobre el nacimiento y el desarrollo del régimen fascista y profundiza en las características particulares de ese movimiento y de ese régimen político a poco más de un siglo de la Marcha sobre Roma.
Profesor Gentile, todavía hoy, cuando nos remontamos al tiempo en que nació el fenómeno fascista, nos encontramos con un contexto particular y específico que, por su diversidad de aristas, no siempre somos capaces de comprender por completo. Pensamos en los escuadristas, en el bienio rosso, en las consecuencias humanas y políticas de la Gran Guerra, en la fragilidad del régimen liberal-democrático. ¿Cómo era realmente el clima en Italia en la época del ascenso del fascismo?
Desde el final de la guerra hasta el advenimiento del fascismo, el clima en Italia fue muy agitado. Entre 1919 y 1920, ese clima se caracterizó por una serie de violentos enfrentamientos de clase que fueron seguidos, en los dos años posteriores, por una reacción escuadrista que desató una verdadera guerra civil contra las organizaciones del proletariado. Esas acciones violentas del escuadrismo fascista se dirigieron principalmente contra el Partido Socialista, pero también contra el Partido Popular, el partido aconfesional de los católicos, y el Partido Republicano. Se trató, en definitiva, de un periodo muy crítico para una Italia que, si bien había resultado victoriosa en la Primera Guerra Mundial –con el sacrificio de más de medio millón de hombres y la movilización de todo el país–, tendió a vivir los años posteriores a la contienda como si hubiese sido derrotada y como si se encontrara a las puertas de una revolución bolchevique.
En aquel marco posbélico, buena parte de la clase obrera –que había sido militarizada durante la guerra, pero que, a diferencia de los campesinos, había estado mayoritariamente en las oficinas y no en el campo de batalla– se sintió atraída por aquellos que habían condenado la participación italiana en la contienda: es decir, el Partido Socialista. Esa organización experimentó, en consecuencia, un fuerte crecimiento, a tal punto que resultó la fuerza más votada en las elecciones de noviembre de 1919 y consiguió 150 bancas en el Parlamento italiano. Un mes antes, el Partido Socialista había adoptado una línea revolucionaria que quedó fijada en sus estatutos partidarios, según la cual su objetivo era lograr la dictadura del proletariado mediante la conquista violenta del poder. El problema, sin embargo, era que la dirigencia de la Confederación General del Trabajo –la organización sindical más importante del país, que alcanzaba casi dos millones de miembros y era una de las que sostenían al Partido Socialista– era reformista y contraria a la revolución. Todo esto provocó una política esquizofrénica entre la voluntad de una revolución bolchevique que no podía hacerse –y ni siquiera se intentaba– y una posible revolución democrática, que habría podido producirse si el Partido Socialista hubiera apoyado a los partidos laicos y reformadores dentro del Parlamento, como los republicanos, los radicales y los socialistas reformistas. El Partido Socialista, que había condenado totalmente la guerra, y de hecho había atacado con violencia e incluso con algunos asesinatos a quienes la reivindicaban, recibió pronto la reacción de todos aquellos que creían que la guerra había sido una necesidad para que Italia se convirtiera en una gran potencia, pero que, estando dominada por las masas socialistas, el país había ganado en el campo de batalla pero había perdido en el campo de la paz. Es en ese sentido en el que hablaban de una «victoria mutilada», lo que constituía un mito sin fundamento alguno porque, con el tratado de paz con Austria, Italia obtuvo las que eran sus principales aspiraciones. No solo consiguió las tierras que se encontraban bajo el dominio del Imperio austríaco –y que eran habitadas mayoritariamente por italianos–, sino también tierras habitadas mayoritariamente por alemanes o eslavos, quienes, sin embargo, debían garantizar fronteras seguras para Italia. La idea de la victoria mutilada fue una reacción, un mito de la reacción a la condena de la guerra por parte de las masas socialistas. Y fue, además, el comienzo de un choque violento contra los socialistas por parte de los nacionalistas, a los que se sumó luego el movimiento fascista, con la fundación de los Fascios de Combate. En este sentido, suelo ser muy cauto a la hora de hablar de un biennio rosso. Lo cierto es que se produjeron agitaciones cotidianas y ataques a oficiales y generales, pero sin que nunca se desarrollara un verdadero intento de golpe revolucionario como el que Lenin había dado en Rusia, porque incluso mientras el Partido Socialista sostenía una línea revolucionaria o bolchevique, mantenía una práctica política parlamentaria y reformista. Que el país sintiera, por tanto, que la posibilidad de una revolución bolchevique era cercana no quiere decir que efectivamente lo fuera. Cuando se habla de biennio rosso, debe recordarse eso.
En definitiva, la situación italiana en vísperas de la Marcha sobre Roma, y sobre todo en los tres años anteriores, era más confusa que revolucionaria. Es una situación marcada por desórdenes muy violentos pero sin la posibilidad de que en Italia pudiera producirse realmente una revolución bolchevique, por la simple razón de que Italia había ganado la guerra, su Ejército era todavía poderoso para poder reprimir una revolución interna y no disponía de todos aquellos recursos naturales que permitieron a la Rusia bolchevique, después de 1921, iniciar su propia industrialización. Era posible, en cambio, una revolución democrática, porque después de 1919 los dos partidos más importantes en el Parlamento eran el Partido Socialista y el Partido Popular, este último fundado por el sacerdote Luigi Sturzo, de inspiración católica pero con una política democrática. Si esas dos fuerzas políticas se hubieran entendido en términos del posible desarrollo de una revolución democrática, se habría podido producir una profunda transformación capaz de impedir que fuera posible la victoria de los nacionalistas. Sin embargo, la división entre estos dos grandes partidos que podían controlar el Parlamento italiano, sumada a la división dentro del Partido Socialista entre reformistas y revolucionarios –estos últimos luego fueron expulsados y dieron nacimiento al Partido Comunista–, hicieron imposible ese proceso. La izquierda, en ese contexto, peleó más entre sí que contra el fascismo emergente: las disputas entre los socialistas maximalistas, el Partido Comunista y el Partido Socialista Unitario, que manifestaba una línea reformista, fueron constantes. Por otra parte, estaba el Partido Popular, que también tenía problemas para avanzar en la dirección de una unidad por una revolución democrática, ya que, como partido católico, no podía aliarse con un partido revolucionario y ateo, pero tampoco con los liberales dirigidos por Giovanni Giolitti, que rechazaban a un partido que era dirigido por un sacerdote. Todas estas divisiones favorecieron, a partir de 1921, el ascenso del fascismo hasta su conquista del poder.
A partir del análisis histórico, usted ha planteado que el fascismo de 1919 –el de los Fascios de Combate– no era necesariamente la semilla para la formación del fascismo de masas que nace en 1921. ¿Cuál es la diferencia entre ese primer fascismo y el de los escuadristas?
Efectivamente, yo sostengo que lo que llamamos fascismo nace en 1921 y no tiene su semilla ni su embrión en los Fascios de Combate creados por Mussolini en 1919. Al mismo tiempo, sostengo que el fascismo de 1919 no constituía un movimiento nuevo, sino que era, en rigor, una reconstitución de los Fascios de Acción Revolucionaria que Mussolini había creado en 1915 para apoyar la intervención italiana en la Gran Guerra. El fascismo diecinuevista era, de modo muy evidente, un movimiento reformista –y no revolucionario y anticapitalista como muchas veces se lo ha definido–, que no buscaba una conquista insurreccional del poder, pregonaba la colaboración de clases, hacía una fuerte defensa de la burguesía productiva, pretendía el sufragio universal masculino y femenino, esgrimía demandas como la jornada laboral de ocho horas y se manifestaba nacionalista, democrático y anticlerical. Ese fascismo, el de los Fascios de Combate, solo se refería al término «revolución» para hablar de modo genérico de una «revolución italiana», concepto que era utilizado para reivindicar a los ex-combatientes como los verdaderos representantes de la nación. Además de ser un movimiento reformista, el fascismo de 1919 estaba a favor de una mayor autonomía regional frente a la centralización estatal, hecho que también lo diferenciaba muy claramente de lo que luego sería el programa del fascismo como fuerza escuadrista y como partido político. Si quisiéramos ver en una imagen la diferencia clara entre el fascismo diecinuevista y el fascismo nacido en 1921, deberíamos acudir al símbolo de Il Fascio, el órgano oficial de los Fascios de Combate de 1919. La insignia, entonces, no era el fascio littorio –ni en su versión romana ni en su forma republicana francesa–, sino un puño cerrado sujetando un manojo de espigas.
Otro aspecto que debemos mencionar es que, en el fascismo diecinuevista, como luego sucedería también en el Partido Fascista, Mussolini no era el líder reconocido oficialmente como tal, sino solo la figura nacional más importante. Desde 1912, primero como líder socialista, después como líder intervencionista [en la guerra] y luego, sobre todo, como editor de un periódico político nacional, Il Popolo d’Italia, Mussolini estaba en escena y era conocido, mientras que el resto de los líderes eran personalidades que habían desarrollado su actividad política en la izquierda socialista o sindicalista, pero que no tenían fama nacional. A pesar de ello, Mussolini no se erigió, como lo hicieron Lenin y Hitler, como líder oficial y absoluto de su propio movimiento. Mussolini solo fue miembro del Comité Central de la Junta Ejecutiva y, siendo un gran orador, no hizo casi nada por recorrer Italia y multiplicar las inscripciones en el Fascio. Permaneció en Milán y, a diferencia de Hitler, hizo muy poca propaganda política en la península, hasta 1921.
Excepto por unos pocos hombres y por el apoyo de las organizaciones paramilitares de los Arditi (los soldados de asalto de elite del Ejército italiano en la Primera Guerra Mundial), el fascismo de 1919 no tiene nada que ver con lo que sería luego el fascismo escuadrista de 1921. Hay mucha documentación al respecto y, por ello, mi posición es muy clara en este sentido. Y es que en el fascismo de 1919 no se encontraba el germen de lo que llamamos «fascismo histórico», aunque ya en julio de 1920 una organización armada de escuadras fascistas establecida en Trieste atacó e incendió la Narodni Dom, la sede de las organizaciones de la minoría eslava. Sin embargo, este «fascismo fronterizo» no constituyó un movimiento de masas.
Ese fascismo de masas nace en 1921, se organiza de modo militar en el escuadrismo, luego toma la estructura de partido milicia [el Partido Nacional Fascista], se dedica a destruir las organizaciones del proletariado y se propone y logra la conquista del poder con la Marcha sobre Roma. En cambio, el fascismo diecinuevista no buscaba instaurar una dictadura; usaba la violencia, pero no con el objetivo de destruir sistemáticamente las organizaciones proletarias; no planeaba, como el fascismo escuadrista nacido en 1921, una insurrección revolucionaria para conquistar el poder, y tampoco quería convertirse en un partido político (a punto tal que se declaraba apartidario).
Según su perspectiva, Mussolini no creó el fascismo, sino que el fascismo creó a Mussolini. ¿Cómo consiguió hacerse con el liderazgo de ese movimiento y qué tensiones vivió en ese proceso?
Primero debemos puntualizar que Mussolini llegó a ser reconocido como el líder del fascismo, pero nunca oficialmente, en tanto no fue jamás el secretario general de los Fascios de Combate, ni el secretario general del Partido Nacional Fascista que nació en noviembre de 1921. En agosto de 1921, tras el crecimiento del escuadrismo como movimiento de masas, Mussolini pensó que reivindicando la paternidad del fascismo podría imponer su voluntad, llegando incluso a promover un pacto de pacificación con el Partido Socialista y con la Confederación General del Trabajo. Es decir que, después de que el escuadrismo destruyera el control y la hegemonía del Partido Socialista sobre las masas, Mussolini pensó en transformar a esa masa de escuadristas en un partido laborista para las clases medias. Hizo incluso un programa para hacer las paces con los socialistas y para desarmar a los escuadristas armados y, finalmente, lanzó una propuesta a los socialistas reformistas para que se desvincularan del Partido Socialista –que aún seguía inspirado en Lenin– y formaran una coalición con los fascistas y con el Partido Popular. Pero los escuadristas, que eran en su gran mayoría jóvenes de alrededor de 25 años y que se habían unido al fascismo en 1920, querían algo muy diferente.
Para ver la diferencia entre los Fascios de Combate, creados por Mussolini en 1919, y el fascismo como escuadrismo, conviene repasar los números. Los Fascios de Combate eran un movimiento marginal que en su primer año contaba apenas con unos 800 miembros. El número ascendió a unos 10.000 a finales de 1920, pero solo con el surgimiento y la explosión del escuadrismo los inscriptos pasaron a ser casi 200.000. En definitiva, Mussolini vio crecer de forma repentina y vertiginosa un movimiento que llevaba un nombre como el que él había creado, pero qué él no había inventado ni propuesto. En ese marco lanza la idea del pacto de pacificación, pero no toma en cuenta que los escuadristas no apoyan ese pacto, porque aspiraban a seguir conquistando el poder local. Es así que, en agosto de 1921, los escuadristas se rebelan contra Mussolini y lo llaman «traidor». Dicen: «El que ha traicionado al socialismo ahora traiciona al fascismo»[1]. Los escuadristas del Valle del Po marchaban cantando «Quien ha traicionado traicionará», dirigiendo ese dardo contra Mussolini. Al final de esa rebelión, los escuadristas le ofrecieron a Gabriele D’Annunzio el liderazgo del movimiento fascista, que ya se había convertido en un movimiento de masas. Pero D’Annunzio no aceptó hacerse cargo de la situación. Ese es el momento en que Mussolini renunció a su programa de transformar al escuadrismo en un partido parlamentario y aceptó seguir a los escuadristas. Y fueron los propios escuadristas quienes decidieron crear el Partido Nacional Fascista como partido armado. Por eso digo que no era Mussolini quien dirigía el fascismo, sino que Mussolini era quien seguía al fascismo. Y esto sucedió hasta la Marcha sobre Roma. Quien decidió atreverse con una insurrección armada no fue Mussolini, sino el secretario del Partido Fascista Michele Bianchi. Mussolini todavía estaba negociando en secreto con ex-líderes liberales como Giovanni Giolitti, Antonio Salandra y Francesco Saverio Nitti la posibilidad de formar un gobierno en el que el fascismo tuviera cuatro o cinco ministerios, pero que estuviera presidido por uno de esos viejos líderes liberales, cuando el 26 de octubre Bianchi lanzó la idea de un gobierno liderado por Mussolini como forma de chantaje al rey y a la dirigencia liberal. Hay una llamada telefónica del 27 de octubre a las 2:40 de la madrugada en la que Bianchi le advierte a Mussolini que la insurrección ya había comenzado y en la que Mussolini le responde: «Espera un poco».
Otra confirmación de esta situación se produce el 10 de junio de 1924, el día del asesinato del líder socialista reformista Giacomo Matteotti. En esa fecha, en la que el fascismo parecía colapsar, Bianchi le escribe una carta a Mussolini en la que lo acusa de haber obstaculizado siempre el programa revolucionario y le recuerda que fue él, y no Mussolini, quien desató la destrucción de las últimas organizaciones proletarias en agosto de 1922. Allí le dice: «Fui yo quien lanzó la Marcha sobre Roma, mientras tú me acusabas de ser un loco salvaje». En ese mismo documento Bianchi asegura que fue él, un sindicalista revolucionario calabrés, el verdadero creador de la organización político-militar fascista y el que luego se atrevió a chantajear al gobierno y al rey imponiendo el nombre de Mussolini.
¿Esto significa que Mussolini fue forzado o empujado a hacer la Marcha sobre Roma?
Forzado no, pero digamos que se enfrentaba al riesgo de ser desautorizado por Michele Bianchi, Italo Balbo y Roberto Farinacci, los verdaderos lideres revolucionarios del escuadrismo fascista, que eran quienes controlaban efectivamente a la masa armada. Tenga presente que, en octubre de 1922, los escuadristas armados controlaban las principales ciudades, las capitales y todo el Valle del Po, desde Trentino hasta Bolonia, y luego la mayor parte de Italia central. Todas estas provincias estaban ya antes de la Marcha sobre Roma bajo un dominio dictatorial del Partido Fascista. El verdadero éxito de la Marcha sobre Roma como insurrección es que, entre el 27 y el 28 de octubre, les permitió a los escuadristas ocupar grandes ciudades, organismos gubernamentales e incluso cuarteles. A partir de allí, se produce el chantaje de Bianchi al rey y a los liberales para imponer a Mussolini como nuevo jefe de gobierno. Y allí es donde sí se expresa el genio político de Mussolini, que, sabiendo que se trataba de un movimiento arriesgado, ve que no hay ninguna resistencia por parte del gobierno ni de las Fuerzas Armadas, pero tampoco por parte de los trabajadores –millones de ellos aún organizados por los partidos antifascistas–. No hubo, fíjese, ni siquiera una huelga. Con esto quiero decir que los fascistas pudieron llegar a Roma teniendo ya el control de gran parte del norte y del centro de Italia con la fuerza armada del escuadrismo, sin encontrar ninguna resistencia por parte de las organizaciones obreras. Por tanto, en el libro El fascismo y la Marcha sobre Roma [2], sostengo que no hubo compromiso para que Mussolini y el fascismo llegaran al poder, sino que se produjo la victoria completa del chantaje.
Uno de los aspectos centrales de la mitología fascista es la de haber salvado al país del «peligro bolchevique». ¿Cómo se construyó esa mitología, sobre la que usted trabaja en su libro Mussolini contra Lenin, y por qué la considera históricamente falsa?
La idea de que Mussolini evitó una revolución bolchevique en Italia fue, en rigor, una invención de la prensa conservadora inglesa, y muy particularmente del periodista Percival Phillips, quien poco después de la Marcha sobre Roma escribió un libro titulado The «Red» Dragon and the Black Shirts: How Italy Found Her Soul: The True Story of the Fascisti Movement [El dragón «rojo» y los camisas negras. Cómo Italia encontró su alma: la verdadera historia del movimiento fascista][3]. La tesis de Philips, un periodista estadounidense con claras simpatías por el fascismo, falsificaba completamente los hechos históricos, a punto tal que llegaba a afirmar que, incluso durante el proceso de la Marcha sobre Roma, había en Italia un peligro revolucionario de tipo leninista. Esta tesis fue, lógicamente, usufructuada y utilizada por el propio régimen para crear el mito del fascismo como el salvador de la nación. La realidad, por supuesto, era muy distinta, y existen numerosas pruebas documentales que permiten demostrar la falsedad de esas afirmaciones. En primer término, el movimiento fascista no había conseguido monopolizar el consenso de las masas –recordemos que en las elecciones solo obtiene 35 diputados, que luego se convierten en 30–, pero sí el de las clases medias, es decir, de ese amplísimo sector de la población italiana que se había convertido en mayoritario en los años comprendidos entre 1911 y 1921 y que no tenía representación política propia y se identificaba con la nación, con el Estado y con los valores de la burguesía. En segundo lugar, la llamada izquierda revolucionaria estaba completamente dividida y desorganizada. El conflicto y la división en su seno eran de tal magnitud que, hacia 1921, el Partido Comunista estaba mucho más claramente decidido a destruir al Partido Socialista que a luchar contra el fascismo.
Observando la completa división entre socialistas y comunistas, pero también lo que estaba sucediendo en la Rusia Soviética –donde había terminado la guerra civil, la dictadura bolchevique se había asentado y se estaba adoptando una política neocapitalista como la Nueva Política Económica (NEP)–, es el propio Mussolini quien, en el verano de 1920, afirma que el intento de exportar el leninismo a Europa ya había fracasado. Y en julio de 1921, vuelve a declarar que hablar del peligro bolchevique en Italia es «una tontería». A tal punto la consideración de Mussolini es que el peligro bolchevique está muerto que, en ocasión de la Conferencia Internacional de Génova –que es convocada por las potencias vencedoras de la Primera Guerra Mundial para discutir los problemas económicos de la posguerra–, no se opone a la asistencia de Lenin. En aquel momento se llega a admitir la posibilidad de que Lenin viaje personalmente a Italia, y Mussolini, como si fuera el amo del país, escribe: «El señor Lenin puede venir, pero no debe hablar de política, de lo contrario nuestros escuadristas se encargarán de él».
Pero permítame agregar algo más. Que el peligro bolchevique no existía en Italia era también claro por el hecho de que, cuando se desarrolla la Marcha sobre Roma, los dirigentes maximalistas del Partido Socialista y los del Partido Comunista toman un tren y se van a Moscú para la Conferencia de la Internacional Comunista. Dicen que en Italia no pasa nada, que lo que está sucediendo es solo una disputa entre burgueses. Fíjese que el 27 de octubre de 1922, luego del gran mitin de los escuadristas fascistas en Nápoles, el periódico comunista L´Ordine Nuovo, dirigido por Antonio Gramsci, afirma que todo se trata de una farsa y sostiene que se está asistiendo a las «vísperas de la desintegración del fascismo». Frente a estos documentos, frente a estos datos, hablar todavía hoy de un peligro rojo revolucionario, de una amenaza comunista en Italia, es una de las mayores tonterías que se pueden decir. La idea del «peligro bolchevique» fue instalada y utilizada por el fascismo para construir su mito de salvación nacional, pero está completamente alejada de lo que fueron los hechos históricos.
En muchos de sus libros, pero en particular en El culto del Littorio. La sacralización de la política en la Italia fascista[4], usted definió el fascismo como una religión política y lo ubicó dentro del fenómeno más amplio de la «sacralización de la política». ¿Qué es lo que constituye una religión política y qué hizo que el fascismo se constituyera como tal?
Efectivamente, la religión política es un aspecto del totalitarismo fascista y los primeros en referirse al fascismo como una «religión política» fueron los católicos antifascistas y los liberales. Ellos alegaban que el fascismo pretendía imponer su ideología, es decir, la exaltación de la nación, la exaltación del Duce y la exaltación del propio fascismo como un dogma al que todo el mundo debía someterse, constituyéndose como una «religión política de la nación». Ese tipo de práctica de imposición se desplegó incluso antes de que el fascismo desarrollara su dictadura. Ya a fines de 1923, y a través de feroces palizas, los fascistas obligaban a la gente a quitarse el sombrero y a hacer reverencias a su paso. Los católicos antifascistas, como Luigi Sturzo, entendieron que el fascismo no podía ser de ninguna manera compatible con el catolicismo y que la Iglesia no podía apoyar el fascismo porque era un movimiento pagano que sacralizaba la nación y el Estado. El término de «religión política» se extendió luego entre otros antifascistas que observaban la forma en que el régimen imponía sus ritos, sus símbolos y sus mitos a toda la población italiana por medio de la violencia. Es este el sentido en que, en 1924, el periodista Igino Giordani, que adhería al Partido Popular de Luigi Sturzo, definía el fascismo como una «religión política pagana».
Debo aclarar, sin embargo, que la religión política no es exclusiva del fascismo, sino que pertenece a todos los totalitarismos. Fue, por ejemplo, un fenómeno visible en la Rusia bolchevique de 1918 y 1919, pero sobre todo tras la muerte de Lenin en 1924. En este sentido, y atento a su pregunta, me gustaría hacer algunas puntualizaciones. La primera es que la religión política forma parte de un movimiento más extenso que, como usted bien dice, he denominado «sacralización de la política» y que concierne a todos aquellos movimientos que sitúan la política en el centro de la vida humana y la convierten en una entidad suprema a la que incluso la religión debe someterse. En este marco, debemos diferenciar lo que constituye una religión política, que es típica de los regímenes totalitarios, de lo que constituye una religión civil, que caracteriza a los países democráticos. Tenemos, de hecho, el ejemplo de Estados Unidos, donde existe pluralismo religioso, pero cuando todos los creyentes, desde protestantes a católicos, pasando por judíos, musulmanes o sijs, se reúnen y cantan «God Bless America», reconocen a un dios que no es el dios de una religión concreta: es el dios de Estados Unidos. Estados Unidos es el primer ejemplo de una sacralización de la política en la que la política misma se convierte en el centro de una devoción. Esto se difunde y se extiende de manera más decisiva con la Revolución Francesa, con la dictadura jacobina, con Napoleón y luego, durante el siglo XIX, en los diferentes países y continentes, entre los que se incluye América Latina, donde distintos movimientos políticos pretenden definir el sentido último y la finalidad de la vida en esta tierra.
El hecho de que el fascismo pretendiera erigirse como una totalidad espiritual del Estado lo llevó a contradicciones con el campo religioso, tal como usted lo documenta en Contro Cesare[5]. En su libro usted muestra una relación pragmática entre el fascismo y la Iglesia católica, a la vez que puntualiza la complejidad que el fenómeno fascista suponía para muchos cristianos, en tanto se producía un conflicto entre el primado de Cristo y el del César (el Duce). ¿Cómo fue esa relación y qué influencia tuvieron los católicos antifascistas como Luigi Sturzo y Francesco Luigi Ferrari, a la hora de sentar las bases de una oposición cristiana al fascismo?
Al aproximarnos a este tema siempre debemos hacer una distinción entre el Estado Vaticano –es decir, la Iglesia como Estado– de la Iglesia como expresión de una religión determinada. En las relaciones con el gobierno fascista –que no es lo mismo que con el fascismo–, Pío XI aceptó inmediatamente ir por el camino de un Concordato, en tanto había aspectos que el papa compartía. Estos eran el antimarxismo, el antiliberalismo, la crítica a la democracia y, sobre todo, la condena y el rechazo de la soberanía popular y del libre pensamiento. Estos aspectos del fascismo eran compartidos porque eran los mismos objetivos religiosos que tenía la Iglesia en ese momento desde el Concilio Vaticano I. En ese sentido, tenían enemigos comunes. Y ese es el motivo por el que Pío XI intenta y consigue un Concordato con el Estado italiano. Pero el mismo papa, como líder de una religión que predicaba la igualdad –aunque solo fuera en términos espirituales–, el amor entre los pueblos y la condena de la violencia, tenía enfrente un poderoso movimiento político que divinizaba a la nación, que exaltaba a Mussolini como una especie de ídolo y que, sobre todo, contaba con una organización militar armada que se lanzaba no solo contra las organizaciones socialistas, sino también contra las organizaciones católicas y los párrocos que no aceptaban los símbolos fascistas o se rehusaban a recibir a los escuadristas en la iglesia. En ese sentido, se produjo una doble situación. Por un lado, estaba el papa que, como jefe de la Iglesia, buscaba un Concordato para convivir con un Estado laico, pero, por el otro, estaba el mismo hombre que, como líder de una religión, veía ante sí un movimiento que pretendía, cada vez más explícitamente, ser él mismo una religión terrenal que quería para sí no solo la obediencia, sino también la entrega de los ciudadanos. En mi libro Contro Cesare he mostrado con documentos la falsedad de esas teorías –o más bien de esas fábulas– según las cuales el papa Pío XI era un hombre con una personalidad similar a la de Mussolini, por lo cual, supuestamente, era piadoso con él. He publicado documentos que demuestran que, desde 1925, mientras buscaba el camino para un acuerdo entre Estados, el papa manifestaba una marcada angustia por el paganismo fascista y por lo que él llamaba, en algunos de sus documentos, una «religión civil». Pero esto no sucede solo en 1925, sino que continúa en el tiempo. El papa estuvo incluso dispuesto a romper el Concordato antes de su firma, cuando Mussolini, en 1929, pronunció una frase herética, claramente blasfema, al afirmar que «sin la romanidad, sin ser trasplantado a Roma, el cristianismo seguiría siendo una pequeña secta judía en Palestina». Pese a que acabó prevaleciendo la diplomacia y el Concordato se firmó en 1929, en mayo de 1931 el Partido Fascista lanzó una guerra escuadrista contra las organizaciones católicas con la intención de destruir el intento de la Acción Católica de convertirse en una especie de refugio para el Partido Popular –que era católico y antifascista–. En ese contexto, el Papa publicó una encíclica en italiano en la que condenaba el paganismo y la estadolatría fascista. Es decir, utilizó en 1931 las mismas palabras que habían empleado Luigi Sturzo y Francesco Luigi Ferrari entre 1923 y 1925, y por las que se habían visto obligados a abandonar Italia y exiliarse. Eran estos católicos los que escribían desde 1923 contra el peligro que una religión neopagana como la fascista suponía para la fe cristiana. Aun así, a pesar de la posición del papa, el fascismo no dio marcha atrás, y fue el propio papa quien tuvo que retroceder pidiéndole a la Acción Católica que solo se ocupara de asuntos religiosos. Sin embargo, el mismo conflicto volvió a estallar en 1938 y, como demuestro en mi libro, las acusaciones de Pío XI contra el fascismo y su dimensión totalitaria volvieron a ser continuas. Cuando el papa muere, el 10 de febrero de 1939, en vísperas del décimo aniversario del Concordato, tenía ya preparada una encíclica, Humanis generis unitas, para romperlo. En esa encíclica condenaba como herejías el totalitarismo de la nación, de la raza y de la clase (es decir, el fascismo, el nazismo y el comunismo). El papa murió sin que la encíclica fuera publicada, y el nuevo pontífice, Pío XII, enfrentado a la amenaza de una guerra inminente, prefirió guardarla en un cajón. Esa encíclica fue finalmente descubierta y dada a conocer en 1995 por algunos estudiosos[7]. Por tanto, cuando nos enfrentamos a la historia de las relaciones entre el fascismo y la Iglesia, debemos siempre distinguir, por un lado, las relaciones entre un Estado y una institución que asume el carácter de Estado, y, por otro, la relación entre las dos religiones. Entre el Estado fascista y la Iglesia católica hay un Concordato, a la vez que un conflicto continuo, cada vez más grave y cada vez más aterrador para el papa. Los documentos demuestran que esos son, para el papa, diez años de sufrimiento continuo. Es absolutamente ridículo confundir un acuerdo de convivencia entre Estados –sobre todo, en un país en el que en los estatutos el catolicismo era la religión estatal– con una simpatía entre el movimiento fascista y la religión católica. No era posible una real convivencia entre una religión que quería a todo el mundo para sí y un movimiento, como el fascista, que también quería a todos los seres humanos para él en este mundo y que, por lo tanto, no aceptaba la competencia de la Iglesia.
Quisiera ir introduciendo la entrevista, si me permite, en el campo del análisis de la relación entre el fenómeno fascista y otros procesos que tienen lugar en nuestros tiempos. Actualmente se discute mucho sobre el crecimiento del apoyo de los trabajadores a las nuevas extremas derechas. Si volvemos atrás en la historia, ¿cuál era la composición de clase del movimiento fascista? ¿A qué sectores pertenecían aquellos primeros escuadristas armados?
Una pequeña porción del grupo dirigente fascista, tanto en los Fascios de Combate como luego en el escuadrismo, estaba constituida por hijos de la burguesía. Pero la mayor parte –entre la que se encontraban líderes como Italo Balbo, Dino Grandi y Roberto Farinacci– eran hijos de pequeños profesionales locales, abogados o incluso profesores de escuela secundaria. O, como en el caso de Renato Ricci, de un trabajador de las canteras de mármol de Carrara. Por su parte, la base social del movimiento fascista estuvo compuesta, desde el principio, por las nuevas clases medias. Nuevas en el sentido de que muchos de aquellos que militaban eran jóvenes, mayoritariamente del valle del Po, hijos de antiguos agricultores que habían logrado comprar tierras durante el periodo de la gran crisis –que se había extendido entre 1911 y 1921–. Esos hombres, que se habían convertido en propietarios, no querían, lógicamente, someterse a ningún sistema socialista que impusiera una socialización. Debemos tener en cuenta que, entre 1911 y 1921, a partir de la desintegración de la gran propiedad capitalista en el campo, se formó un millón de nuevos propietarios, es decir, personas que habían luchado como campesinos por tener la propiedad de la tierra y que no querían cederla para ninguna idea proletaria o socialista. Si hacemos un ejercicio y le atribuimos a cada una de esas personas un solo hijo varón, tenemos un millón de jóvenes que están en contra del socialismo y que, habiendo sido la mayoría de estos combatientes en la Gran Guerra y habiéndose identificado con la nación, se veían a sí mismos como la nueva clase dirigente. Son ellos quienes dan vida a las nuevas escuadras fascistas, a los líderes fascistas y a los que serán luego los líderes del régimen fascista durante los 20 años de gobierno.
El fascismo tuvo un componente de trabajadores, pero se trataba de trabajadores agrarios que, después de la destrucción de las organizaciones socialistas, habían sido obligados a unirse a los sindicatos fascistas con la promesa de acceder a la tierra –algo que finalmente la mayoría de ellos no obtendría–. Esto nos muestra que la composición de clase del fascismo fue muy diferente de la del nacionalsocialismo, en tanto nunca logró capturar un fuerte apoyo de la clase trabajadora. Mientras que el nazismo tenía un importante apoyo obrero, el fascismo no logró ganarse ese sostén de los trabajadores, exceptuando a los de segunda generación, es decir, a aquellos que no habían conocido la violencia escuadrista. Estos sí eran más favorables al fascismo, tal como lo reconocieron los propios dirigentes comunistas. En 1935, el líder comunista Palmiro Togliatti expresó en una conferencia en Moscú que, en ese punto histórico, ya no era necesario luchar con las armas contra los fascistas, sino entrar en el fascismo, usar los mitos fascistas como el de 1919, y finalmente así conquistar los sindicatos fascistas. Togliatti llamaba a esos obreros «hermanos con camisa negra». Lógicamente, el intento de Togliatti fracasó, porque los fascistas podían ser muy estúpidos en muchos aspectos, pero justamente no para reconocer a sus enemigos. En eso sí que eran muy inteligentes.
Por no remontarnos a muchas otras experiencias que han sido calificadas genéricamente como fascistas, le mencionaré solo algunos casos contemporáneos: un partido como Vox, en España, ha sido calificado como fascista; el gobierno de Jair Bolsonaro en Brasil ha sido calificado como fascista; Donald Trump ha sido calificado como fascista; Mateo Salvini ha sido calificado como fascista. Todo esto por no mencionar los casos en que la expresión se usa aún más indiscriminadamente, llegando a conceptos como «fascismo de izquierda» o «islamofascismo». Usted está manifiestamente en desacuerdo con el uso de ese apelativo. ¿Por qué en ningún caso es válido?
Porque todo lo que no hace crecer nuestro conocimiento de las nuevas realidades que produce la historia es inútil y nocivo. El conocimiento progresa a través de la distinción, no a través de la confusión ni de las analogías. El agua es un líquido, y el aceite y la gasolina también lo son. Si yo digo que todos esos líquidos son agua no avanzo en el conocimiento y puedo correr el riesgo de cocinar fideos con gasolina. Si yo digo que todos los regímenes o movimientos autoritarios son fascistas, corro el riesgo de equivocarme claramente y de no analizar y comprender, de modo concreto, un determinado fenómeno. Ahora bien, ¿por qué puede usarse de este modo extenso, confuso y equivocado el concepto de fascismo? Fundamentalmente porque en su etimología el concepto «fascismo» no significa nada precisamente político. Le daré un ejemplo. Si digo «comunismo», seguramente no apoyo la propiedad privada, sino la comunidad de bienes. Si digo «liberalismo», no apoyo la socialización de los bienes, sino la propiedad privada. Si digo «anarquismo», no apoyo el poder estatal, sino la anulación de cualquier poder. Pero si digo «fascismo» digo solo «fasci», «fascio», que significa literalmente «estar juntos». ¿Entonces todos los movimientos que proponen estar juntos son fascistas? Claramente no. Ahora bien, según el uso extenso de la palabra «fascismo», que es homologada casi a cualquier movimiento o régimen autoritario, podríamos decir, por ejemplo, que Dios es fascista. Fíjese que, si aplicamos ese criterio, el Dios de la Biblia, del Antiguo Testamento, cuando ordena exterminar a las mujeres, niños, hasta la última descendencia, debería ser considerado de ese modo. ¿Y qué diríamos de Caín? Este también podría ser considerado el primer fascista que, para colmo, ha desatado una guerra civil al matar a su hermano Abel.
Hago estas bromas, pero, como usted sabe, todo esto conforma una ironía verdaderamente trágica. Esta difusión del término fascismo ha creado una profunda incapacidad para entender nuevos fenómenos en los que, si bien hay elementos que estaban presentes en el fascismo, no está presente ninguno de los que verdaderamente lo definían, lo hacían particular. Esos elementos son el totalitarismo, el imperialismo, la religión política, la revolución antropológica y la guerra como fin principal de la vida humana. A los regímenes y expresiones políticas que usted planteó en tono jocoso, podríamos agregar los de [Silvio] Berlusconi, [Charles] De Gaulle o [Juan] Perón. ¿Encontramos en ellos algunos elementos similares a los que había en el fascismo? Sí, por supuesto, porque el fascismo siempre fue imitado, sobre todo a través del uso de símbolos, de rituales, de mitos. Pero ¿están los componentes fundamentales del fascismo, aquellos que permitían definirlo como tal? No, no están. ¿Cómo se puede calificar de fascista un movimiento como Vox, que quiere afirmar la primacía de la catolicidad sobre el Estado, sobre la nación, sobre la educación, cuando la primacía del fascismo era la de la política, la del Estado? Hemos llegado a tal punto de confusión, que hay quien no es capaz de distinguir un movimiento nacionalista de inspiración católica que sostiene posiciones de la extrema derecha católica en temas asociados a cuestiones como la familia –donde se opone decididamente al aborto y al feminismo– del propio fascismo. Lo mismo sucede con Salvini y La Liga. ¿Cómo puede ser fascista un movimiento como La Liga, que ha pregonado históricamente la secesión de una región de Italia, cuando uno de los puntos fundamentales del fascismo es el de la unidad de la nación, que fue siempre considerada de carácter sagrado?
Las cosas, como usted comentaba en su pregunta, van incluso más allá. El uso del término fascismo se ha vuelto tan simplista que se lo puede aplicar desde a Trump hasta a Putin. Cualquier régimen autoritario con culto a un líder es llamado fascismo. Corea del Norte entonces sería fascista, la misma China comunista sería fascista. Evidentemente, esto no ayuda a entender los fenómenos contemporáneos que enfrentamos. Este uso priva a la categoría «fascismo» de los componentes que realmente le son propios y que solo se encuentran si los analizamos en la historia.
En resumen, lo que intento transmitir es que muchas veces se sostiene que tal o cual movimiento es fascista porque entre sus ideas figuran posiciones racistas, o apelaciones a la pureza de la nación, o porque desprecia la democracia representativa. Pero todas esas ideas preceden al fascismo. Que haya racismo o que haya autoritarismo no quiere decir que haya fascismo. Esas no son cualidades específicas del fascismo, sino que aparecieron incluso en otras latitudes y todavía perduran. El fascismo no existía durante el tiempo del primer racismo en Francia, o en el siglo XIX cuando había racismo en Inglaterra y en Estados Unidos, país en el cual todavía desgraciadamente sobrevive en muchos estados. Mucho antes del fascismo hubo sociedades, y no solo de Occidente, que afirmaron una identidad nacional que excluyó, por ejemplo, a grupos étnicos de diverso tipo. Con esto quiero decirle, aunque usted lo sabe, que no es posible atribuir a cualquier movimiento, construyendo analogías generales, el carácter de fascista.
Le aseguro que yo me esfuerzo mucho por entender estas analogías, pero las analogías no sirven para comprender la historia, sino para hacerla más confusa. Eso es lo que yo denomino «ahistoriología», es decir, una historia hecha como la astrología, que, en lugar de estudiar científicamente los hechos, se limita a interpretarlos según los propios deseos, esperanzas y temores.
Es completamente cierto que todos esos movimientos o regímenes son nítidamente distintos del fascismo o tienen características que no pueden ser circunscriptas a él. Pero ¿qué sucede con la primera ministra italiana Giorgia Meloni, de Fratelli d’Italia, que proviene de una fuerza política que sí se ha reivindicado como neofascista, como el Movimiento Social Italiano? De hecho, en su propio símbolo, Hermanos de Italia lleva la vieja insignia del Movimiento Social Italiano, la llama encendida…
Efectivamente, entre 1946 y 1994, hubo en Italia un partido neofascista con representación parlamentaria y que llegó a ser el cuarto partido a escala nacional. Hablamos, como usted bien dice, del Movimiento Social Italiano (MSI), una organización política que fue fundada por funcionarios, jerarcas y adherentes al régimen fascista que, aunque nunca llegó a 10% de los votos, rozó esa cifra en las elecciones de 1972. Ese partido participó en la elección de al menos un par de presidentes de la República, y compitió democrática y pacíficamente en las elecciones generales y locales. Como usted sabe, el MSI se disolvió en 1994, transformándose, con el liderazgo de Gianfranco Fini, en el partido Alianza Nacional. Ese partido repudió el fascismo –aunque Fini en los años 2000 seguía diciendo que Mussolini había sido el mayor estadista de toda la historia de Italia– y formó parte de todos los gobiernos de Berlusconi. En tal sentido, desde 1994, Alianza Nacional se despegó de su matriz original de neofascismo y se encaminó a un proceso de transformación hacia una derecha nacional conservadora, posición que ahora es recogida por el partido de Giorgia Meloni.
El partido de Meloni bebe de esa experiencia y, en tal sentido, no tengo inconveniente alguno en considerarlos como posfascistas que han aceptado las reglas del Estado democrático y de la República y que han jurado sobre la Constitución, y que se inscriben en esa derecha nacional conservadora. Por supuesto, la herencia del MSI es visible en el modo de concebir la política y en la relación con los adversarios. Pondré un ejemplo. Por estos días, se habla en Italia de la reforma constitucional. Meloni quiere el presidencialismo y se dirige a la oposición diciéndole: «Si no están de acuerdo con lo que yo digo, avanzaré igual». Evidentemente, no es una actitud democrática dialogar con la oposición bajo esta premisa. Recuerda a aquello que hiciera Mussolini en 1923, cuando siendo líder de un gobierno de coalición, se dirigió a sus opositores parlamentarios –los socialistas y los liberales antifascistas– diciéndoles: «¿Pero ustedes que quieren? Pongámonos de acuerdo». Y ellos respondían: «No queremos escuadristas armados, no queremos violencia». Y Mussolini terminaba diciendo: «Si ustedes no quieren lo que yo impongo, yo seguiré mi propio camino». En esto, digamos, hay un tipo de actitud similar. A esto se suma la perspectiva mitológica que expresan algunos de los que forman parte del gobierno de Meloni, según la cual el fascista fue el mejor gobierno que Italia jamás haya tenido, «excluyendo» las leyes racistas. Esto no implica, sin embargo, que siete millones de italianos que han votado a ese partido y a ese gobierno sean fascistas. De hecho, tampoco se trata en sí de un gobierno fascista –ya hemos dicho que no hay escuadristas armados, no se propicia una revolución antropológica de la sociedad, no instala una religión política, no construye un régimen totalitario–. Es un gobierno que tiene a un partido como Fratelli d’Italia, que convive con otros muy distintos. Fíjese, sin ir más lejos, que en este gobierno convive el partido de Meloni, que reivindica el «orgullo nacional», pero aliado a un partido como La Liga, que ha negado históricamente la propia existencia de la nación italiana y buscaba la secesión de una parte del país –aunque hoy la llamen «autonomía diferenciada»–. Y participa también una fuerza como la de Berlusconi, que exalta el liberalismo y el hedonismo.
Profesor, creo que ya la respuesta surge de sus propias respuestas previas, pero de todos modos le haré la pregunta. Como usted sabe muy bien, en 1995 el ensayista Umberto Eco utilizó la categoría «fascismo eterno» en una conferencia pronunciada en la Universidad de Columbia, que sería publicada algunos años más tarde. Eco no solo apuntaba 14 rasgos que él definía como «fascistas», sino que además asumía que el fascismo era casi una identidad política móvil, que ya no usaba solo uniformes militares sino también «trajes civiles» y que volvía en «nuevos ropajes más inocentes». Su conclusión lógica era que el deber de los demócratas era «desenmascararlo». ¿Cuáles son los inconvenientes que, según su parecer, tienen esta definición y esta idea? ¿Qué problemas puede traer aparejados la idea de una «eternidad» en la política?
Permítame responderle comenzando por el final de su pregunta. Debo decirle que, en comparación con Eco, yo soy un poco avaro, porque he definido al fascismo no en 14 sino en 10 puntos, pero podría reducirlos incluso a tres. El problema con los 14 puntos de Eco es que pueden ser aplicados también a la Iglesia católica o a la Falange española. Y si se pueden aplicar de ese modo, entonces no definen algo particular del fascismo. A eso agregaría otra cuestión de igual importancia. Si los fascistas aparecen, como dice Eco, disfrazados de demócratas, ¿cómo distinguimos a los demócratas antifascistas de los demócratas fascistas? Es decir, ¿quién tiene derecho a definirse como un demócrata antifascista si, por ejemplo, como hizo Gramsci, llamamos semifascistas a socialistas como Filippo Turati, a liberales como Giovanni Amendola, a católicos democráticos como Luigi Sturzo? ¿Y cómo hacemos para decir que el verdadero antifascista fue Gramsci, que fue encarcelado en 1926, mientras que Matteotti fue asesinado en 1924, Amendola fue atacado en 1923 y 1925, y Sturzo se vio obligado a exiliarse en 1924, y Turati en 1926? Lo mismo ocurre con el concepto según el cual el fascismo puede repetirse en otras formas y depende de los demócratas desenmascararlo. Una posición de ese tipo les otorga una suerte de poder totalitario a los llamados demócratas para decidir cómo, cuándo y quién es un fascista disfrazado. Con ese criterio, todo el mundo podría decir «tú eres el fascista, yo soy el verdadero antifascista».
Yo siempre tuve una gran admiración por Umberto Eco, un semiólogo con un enorme conocimiento de la retórica y también de la historia. Pero no podía ni puedo estar de acuerdo con él cuando afirma su tesis del «fascismo eterno». ¿Cómo se puede sostener la idea de algo eterno en la historia, cuando ni siquiera las divinidades se revelan eternas? ¿Dónde están hoy Júpiter y Apolo? ¿Dónde están los dioses de Persia? ¿Estamos seguros de que el cristianismo y el islam serán eternos? Hasta ahora, de hecho, han vivido menos que la religión egipcia. En la historia nada es eterno. Es un absurdo hablar de eternidad en la historia. Y, por otro lado, ¿solo el fascismo sería eterno? No veo que nadie hable de un «liberalismo eterno» o de un «bolchevismo eterno», de un «jacobinismo eterno» o, para referirme a su país, de un «peronismo eterno». Pareciera que solo el fascismo estuviera dotado de eternidad. Pero si el fascismo es eterno, entonces todo antifascista está derrotado de antemano. Nunca ganará porque, al parecer, su adversario es poseedor de un don único que no tiene ninguna otra ideología y ningún otro régimen: la eternidad. Ese supuesto carácter de la «eternidad» se basa, tal como le decía, en la práctica de las analogías. Se basa en atribuirles a movimientos o regímenes no fascistas la categoría de fascistas.
Al mismo tiempo que se ha producido toda esta banalización con la tesis del fascismo eterno, también se ha producido el fenómeno que usted ha denominado como «desfascistización del fascismo». ¿Podría explicar en qué consiste ese proceso?
Por supuesto. Mi concepto de «desfascistización del fascismo» se refiere, sobre todo, a lo que sucedió en Italia inmediatamente después de la Segunda Guerra Mundial, cuando distintos grupos ideológicos se enfrentaron al problema de pensar el fascismo tras el propio fin del régimen. Lo que había sido, a todas luces, un régimen de 20 años que había tenido características opresivas y excitantes para toda la sociedad italiana, se transformó, en algunas conceptualizaciones de los propios hombres de la izquierda que lo habían derrotado, en un fenómeno que básicamente consistía en una banda de criminales que se habían quedado con el poder frente a unas masas siempre hostiles al régimen y sometidas a la miseria. Entre los mismos antifascistas que habían derrotado al fascismo se evidenció un fenómeno de falta de rigor a la hora de definir ese régimen. Lo mismo sucedió, claro, desde el lado neofascista, que definía el fascismo como un régimen que había hecho mucho bien al país pero que, desgraciadamente, se había convertido en una dictadura porque el comunismo amenazaba a Italia. Esa derecha neofascista intentaba decir que el fascismo no era totalitario, que recién se había vuelto racista en 1938, que se había convertido en un régimen de partido único solo porque Matteotti había sido asesinado y porque la izquierda y los antifascistas querían derrocarlo. En definitiva, desde la izquierda y desde la derecha se produjo una banalización del régimen que impedía ver su especificidad. Se «desfascistizaba» el fascismo. En la izquierda se llegaba incluso a afirmar que el fascismo no tenía ideología, no tenía una visión de la economía, y hasta que ni siquiera había existido un régimen fascista: solo había mussolinismo.
En torno de este tema conviene mencionar la influencia que tuvo un libro que seguramente usted conoce y ha leído. Me refiero a Los orígenes del totalitarismo de Hannah Arendt, en el que la autora, sin saber nada del fascismo, afirmaba que el fascismo no era totalitario. En su libro, en el que el único régimen que aparece como totalitario es el estalinismo –ni siquiera considera totalitarios a Lenin y a Mao–, tampoco consideraba totalitario el nazismo: solo le atribuye esa cualidad desde el inicio de la guerra. La tesis de Arendt fue utilizada durante la Guerra Fría como un manifiesto propagandístico para ubicar en el mismo lugar la Rusia de Stalin y la Alemania de Hitler, pero sobre todo, para justificar que Estados Unidos y distintos países de la Alianza Atlántica estuvieran aliados a regímenes como el de la España de[Francisco] Franco y el Portugal de [António] Salazar, que tenían aspectos comunes con el fascismo. El concepto de Arendt según el cual el fascismo no era totalitario sino autoritario les servía a los países aliados a regímenes que tenían algunos aspectos del fascismo para afirmar que, si era autoritario, era «menos malo» –e incluso en ocasiones podría ser bueno– que el totalitarismo, es decir, que la Alemania de Hitler y la Rusia de Stalin. Este tipo de posiciones contribuyeron a la desfascistización del fascismo. A ese proceso de desfascistización del fascismo también contribuyó el hecho de que muchos fascistas reales de los tiempos de Mussolini se hicieran luego democristianos, comunistas o socialistas, por lo que los partidos debían decir que el fascismo no había tenido ninguna influencia y solo se dedicaban a ridiculizarlo.
Mire, cuando yo era niño no vi ni una sola película en la que no se ridiculizara el fascismo. Nunca tuve la sensación, de niño y de joven, de que el fascismo había sido algo trágico, que había allanado el camino para el nazismo y el totalitarismo en Europa. En lugar de hacernos entender cuál había sido la tragedia del fascismo, lo tomaban todo en broma, como algo gracioso. De las atrocidades del fascismo, solo se recordaba el crimen de Matteotti y la muerte de Gramsci. Si usted mira los primeros documentales sobre el fascismo, se dará cuenta rápidamente de que todo era una caricaturización, una serie de burlas y de chistes. Esto influyó mucho. Y el beneficio, por supuesto, se lo llevaron los neofascistas reales, que se presentaban como defensores de las «buenas políticas» del fascismo, de las grandes obras arquitectónicas, de las grandes fábricas, del bienestar de los trabajadores. Utilizaban toda esa palabrería amparados en ese proceso de desfascistización del fascismo. Decían, por ejemplo, que el fascismo había hecho buenas obras, para justificarlo. Usted sabe bien aquello que decía Cervantes: que no hay ningún libro malo que no contenga algo bueno.
Permítame que insista con las cuestiones relativas al uso de la palabra «fascismo» como arma arrojadiza para calificar a los adversarios políticos e ideológicos. Usted recordaba que en 1924 Gramsci llamó «semifascistas» a Amendola, Sturzo y Turati. Podríamos mencionar también que Palmiro Togliatti aplicó conceptos similares a Carlo Rosselli, el socialista liberal que murió luego a manos del fascismo. ¿Qué incidencia tuvo en el uso extenso y equívoco del término fascismo que vemos actualmente el hecho de que los comunistas siguieran la tesis del «socialfascismo» y aplicaran el concepto indiscriminadamente contra sus adversarios políticos, incluso contra aquellos que eran claramente antifascistas?
Tuvo un gran impacto, porque como usted dice, en el antifascismo italiano hasta 1935 e incluso en algunos casos hasta 1937, para los comunistas todos los izquierdistas no comunistas eran fascistas o semifascistas. Quien no se convertía a la interpretación comunista del fascismo era un fascista. Esta interpretación se suspendió durante la guerra y durante el periodo de la Resistencia, pero volvió a ganar lugar tras la Liberación. Después de 1947, los comunistas comenzaron a llamar fascista a Alcide de Gasperi, que era democristiano y antifascista, y ese proceso comenzó otra vez. Fíjese que Lelio Basso, militante marxista antifascista, en 1951 publicó un libro titulado Dos totalitarismos: fascismo y democracia cristiana. Una homologación realmente sin ningún sentido. Y debemos tener en cuenta que esto lo decía Lelio Basso que era quien, en un artículo publicado el 2 de enero de 1925 en La Rivoluzione Liberale, dirigida por el joven antifascista Piero Gobetti –víctima de los escuadristas, obligado al exilio y muerto en París en 1926, a los 25 años— había inventado el término «totalitarismo» para definir el régimen fascista.
El uso indiscriminado del término «fascismo« en Italia se relaciona directamente con esa acusación de fascistas contra todos los antifascistas no comunistas. En términos globales, la incidencia en ese uso indiscriminado la tuvo claramente la victoria de la Unión Soviética de Stalin en la Segunda Guerra Mundial, en tanto los comunistas extendieron la idea de que, como ellos habían vencido, eran los verdaderos opositores al fascismo. En consecuencia, podían marcar como fascista a cualquiera que se les opusiera. Y de ese uso extenso y confuso de la categoría derivó su pasaje a todos los ámbitos, a punto tal que los anticomunistas empezaron a llamar fascistas a los comunistas. Se transformó en una categoría para utilizar como arma contra cualquier opositor ideológico. Por eso vuelvo a mi razonamiento inicial: si el término «fascista» en sí mismo no contiene ninguna idea política clara, fascista puede ser cualquiera. ¡Incluso usted puede ser fascista porque me está haciendo preguntas para meterme en dificultades! Cuando reprobaba alumnos y debían repetir el examen, ¿qué decían?: «¡Este es un fascista!».
El hecho de que usted no utilice, por todas las razones que ha expresado, el concepto de «fascismo» para referirse a fenómenos políticos muy diversos, no implica que no observe los graves problemas de las democracias contemporáneas y sus derivas «iliberales». En tal sentido, usted ha acuñado el concepto de «democracia recitativa». Al mismo tiempo, ha advertido que el mayor peligro en la actualidad es la presencia de líderes elegidos democráticamente pero que carecen de ideales democráticos. ¿Qué significa el concepto de democracia recitativa y cuáles son, según su perspectiva, los dilemas que atraviesa la democracia hoy?
Si nosotros utilizamos el término «fascismo» para referirnos a lo que históricamente ha sido –es decir, que se ha expresado como organización, como cultura y como régimen en una cultura irracionalista y mítica fundada en la exaltación del Estado y de la nación, en una militarización de la política, en el totalitarismo y el imperialismo, en el racismo, en la revolución antropológica de la sociedad y en la guerra como fin último de la vida humana–, entonces debemos concluir que esto no está presente en los países democráticos. Sin embargo, en todos los países democráticos, incluso en los más antiguos, se están verificando una serie de procesos muy preocupantes. Uno es el creciente descontento de la ciudadanía, expresado en términos de desconfianza y, sobre todo, en una fuerte abstención electoral. Otro es la permanente y galopante intrusión de la corrupción. Y el que considero más importante es la renuncia al ideal democrático. El ideal democrático no es lo mismo que el método democrático, que consiste en el proceso de elecciones libres y pacíficas por el cual los ciudadanos eligen a sus gobernantes. Con el método democrático, lo sabemos muy bien, es posible elegir gobiernos racistas, antisemitas, machistas o antifeministas. Por eso el ideal democrático, por el cual durante 200 años muchos ciudadanos han sacrificado su vida en manifestaciones, en agitaciones, en revoluciones y en guerras, no consiste solamente en que los ciudadanos puedan elegir pacífica y periódicamente a sus gobernantes, sino en trabajar constantemente para eliminar todos los obstáculos y discriminaciones entre los gobernados.
Si la desigualdad de riqueza, y la pobreza y la precariedad son cada vez mayores, entonces tenemos un problema democrático –y en buena medida, parte del voto de los trabajadores a la extrema derecha se vincula a estas cuestiones–. Las estadísticas mundiales nos dicen que el 10% más rico del mundo posee hoy alrededor de 76% de la riqueza global. En Italia, durante la pandemia, el 5% más rico aumentó su riqueza, mientras que todas las demás clases perdieron poder adquisitivo salarial. Esa profunda desigualdad en la riqueza hace a un problema democrático muy serio: ¿quién, sino los ricos, puede acceder a propagandas electorales televisivas?
Al problema de la desigualdad, que impacta seriamente en la democracia, se agrega otro, y es el que usted menciona: el de la recitación. Una de las razones por las cuales se produce una fuerte abstención electoral se vincula a la consideración ciudadana de que la democracia se ha transformado en un espectáculo que tiene lugar solo en el periodo electoral. Los ciudadanos sienten que son convocados a votar y que, luego, los dirigentes políticos toman decisiones arbitrarias, de espaldas a la ciudadanía. En definitiva, toman las decisiones que quieren. En el sistema político italiano, los candidatos ni siquiera son elegidos por la ciudadanía, sino por sus compañeros de partido, y la ciudadanía es obligada a aceptar lo que los partidos han decidido. Todo esto hace a la calidad democrática. Es en este sentido en el que hablo de «democracia recitativa».
Ahora bien, es importante destacar que el método democrático prevalece, a diferencia de lo que sucedía hasta 1945, cuando movimientos fascistas y nacionalsocialistas negaban el principio mismo de soberanía popular. O a diferencia de los regímenes comunistas, que predicaban el principio de la soberanía del proletariado, pero que, finalmente, sostenían dictaduras de tipo totalitaria. Hoy todos los partidos, y también los llamados «populistas», reconocen ese principio y, de hecho, se refieren directamente a él. Evidentemente, este tipo de apelación al diálogo directo entre las masas y el pueblo puede constituir un desafío a la democracia liberal, como lo vemos en casos de Europa oriental, en la Rusia de Putin, en la Turquía de [Recep Tayyip] Erdoğan. Pero eso no los vuelve fascistas. No se puede ser fascista y apelar a la soberanía popular. Sería como ser bolchevique defendiendo la propiedad privada. Por lo tanto, los principales riesgos de la democracia emergen de la democracia misma. Repito: no debemos olvidar que la democracia como método basa su acción en el propósito y el objetivo de alcanzar algo más, el ideal democrático. Sin ese ideal, tenemos una democracia recitativa en la que, efectivamente, pueden producirse mayorías racistas, nacionalistas, iliberales. Si se abandona la realización del ideal democrático y la democracia es solo una recitación, el desarrollo del individuo se obstaculiza sin que exista ningún tipo de régimen fascista. Por lo tanto, para evitar la elección de gobiernos racistas, machistas, iliberales, de lo que se trata es de que la democracia no se limite al método democrático, sino que persiga el ideal democrático.
Permítame hacerle una última pregunta asociada a su propia trayectoria como historiador. Usted tuvo entre sus maestros a Renzo de Felice, un historiador de enorme relevancia, que desarrolló una de las más importantes biografías de Mussolini que se hayan escrito hasta la fecha. ¿Cómo conoció a De Felice y qué aprendió de él en términos del quehacer historiográfico?
Déjeme comentarle que, de niño, yo tenía dos grandes pasiones. Una era la pintura y la otra era la historia. Luego, por una serie de circunstancias, no me fue permitido seguir la vocación que más apreciaba que era la pintura, así que me dediqué a mi otro campo de interés. Mis primeros intentos fueron en historia medieval, y cuando tenía 18 años y estaba terminando el bachillerato, hice un ensayo  sobre la poesía de Dante. Sin embargo, el trabajo fue rechazado por el que entonces era mi profesor. Sinceramente, yo había puesto mucho empeño en ese texto, había dedicado mucho trabajo, y pensé que podía pedir otra opinión sobre aquel ensayo. Entonces se me ocurrió escribirle a Giuseppe Prezzolini, un escritor y periodista que escribía en Il Tempo, el periódico que leía mi padre. Prezzolini era un hombre muy famoso que, entre otras cosas, había sido el fundador de una revista La Voce en la que habían colaborado Giovanni Amendola, Benedetto Croce, Mussolini. Cuando le escribí yo desconocía por completo que él tenía 84 años y, en mi carta, lo traté de «tú», como si se tratara de un amigo. Él me respondió muy amablemente que, por la cultura que expresaba mi artículo, no creía que yo tuviese 18 años. Y así comenzó una relación. Luego, ya realizando mis estudios universitarios en Historia, conocí a un historiador antifascista que había sido amigo de Piero Gobetti y que tuvo una gran influencia para mí. Me refiero al gran historiador Nino Valeri, que fue el primero en estudiar el fascismo de manera científica. Yo quedé fascinado porque Valeri hablaba del periodo giolittiano y de los contestatarios de ese tiempo, entre los que se encontraba un joven intelectual que era el mismísimo Prezzolini. Lo cierto es que Valeri se convirtió en el director de mi tesis, pero se retiró de la academia antes de que yo la terminara. Mi director pasó a ser, entonces, Ruggero Moscati, pero necesitaba, sin embargo, un codirector. Y fue Prezzolini quien me dijo: «Fíjate que en Roma hay un historiador que yo admiro mucho. Se llama Renzo de Felice. Yo te daré una carta de presentación». Y así llegué a De Felice y se convirtió en mi codirector de tesis. Aun así, y a diferencia de lo que muchos creen, e incluso de lo que se afirma en la Enciclopedia Italiana, yo nunca estudié con él ni fui su discípulo directo.
De Felice era, ya entonces, un hombre muy importante en términos históricos. En 1965, cuando me estaba graduando del bachillerato, yo había leído el primer volumen de su extensa biografía de Mussolini, que había sido publicada ese mismo año. Ese libro me causó una profunda impresión. Aunque me fastidió un poco que el libro de De Felice estuviera escrito con un estilo muy difícil –yo siempre he preferido las frases breves, a lo Tácito–, quedé muy impactado por el aparato de citas bibliográficas que manejaba. De hecho, las notas casi duplicaban el tamaño del libro. Todas esas citas de archivo me fascinaron. Fue así como descubrí que no solo existía la historia que yo había leído en los libros de Benedetto Croce, que eran sintéticos y casi sin notas, sino que también estaba esto: la posibilidad de encontrar libros como el de De Felice, donde el archivo y las notas bibliográficas eran fundamentales.
Lo cierto es que, luego de graduarme, con De Felice como codirector de mi tesis, pasé un buen tiempo sin verlo, en tanto yo no comencé rápidamente la carrera académica, sino que me dediqué, algunos años, a enseñar italiano y latín, y luego historia del arte y por último historia y filosofía, en escuelas secundarias. Sin embargo, en 1971, conseguí una beca que no solo me dio una excedencia en la escuela secundaria en la que daba clase, sino que me permitió investigar en Roma. Esa beca hacía necesario tener a un profesor como garante de la investigación, y decidí pedirle ese rol a quien había sido mi codirector de tesis de grado. Acudí a De Felice y me contestó que sí, que él sería el garante de mi investigación. Fue entonces cuando comencé a colaborar en sus clases y seminarios. Esos fueron, para mí, dos años de un enorme aprendizaje. En primer lugar, aprendí la importancia de basar cada hecho histórico en la mejor documentación posible. Y, observando e interactuando con De Felice, entendí el verdadero significado de la independencia intelectual. Recuerdo que en una oportunidad le llevé unos capítulos de mi tesis para que los leyera y él, como buen profesor, me hizo una serie de observaciones. Yo le contesté, muy ingenuamente: «Muy bien, profesor, ahora mismo lo voy a modificar, voy a cambiar esto y aquello». Pero De Felice, a quien yo muchas veces veía en su casa, no me dejó ni siquiera terminar de hablar, me interrumpió y me dijo: «Escuche, Gentile, si usted cambia una palabra porque yo le he hecho una serie de observaciones, no venga más a verme». Fue entonces cuando aprendí lo que es ser un profesor universitario de gran valía pero que, como el propio De Felice decía, no quiere crear su copia en papel carbón.
Yo, que nunca fui su alumno, tampoco soy, como algunos dicen, su mejor heredero. Se dice que lo he seguido, pero en realidad, si esto es así, también lo he traicionado. De Felice argumentaba que el fascismo no había sido totalitario, pero yo llegué a la conclusión contraria a partir de mi trabajo con documentación histórica. Luego, De Felice también se convenció de ello. Fíjese que yo escribí en la década de 1980 muchos artículos sobre este tema, discutiendo la propia tesis de De Felice según la cual el fascismo no había sido totalitario. ¿Y sabe dónde se publicaron algunos de esos artículos? En la revista que dirigía el propio De Felice. Fue él mismo quien los publicó. Eso es lo que él me enseñó. Lo que realmente aprendí de De Felice es que hay que ser muy riguroso en la investigación documental y que no hay que escribir una frase que no corresponda a los documentos, a los hechos tal como resultan de los documentos, evaluándolos, por supuesto, críticamente. Y el otro gran aprendizaje que tuve fue que jamás debes oponerte a alguien que defiende una tesis distinta de la tuya si antes no compruebas si esa persona tiene razón y tú estás equivocado. Yo también he intentado enseñar esto a mis alumnos, muchos de los cuales se convirtieron luego en mis colegas. Son lecciones que hay que aprender. Aunque sea muy cansador e implique un trabajo continuo. El año pasado, en octubre, publiqué una historia del fascismo de 1.300 páginas, pero en el año 2002 publiqué una historia del fascismo de 29 páginas.[7] ¿Cuál es la verdadera? Ambas. Solo que en la primera no documenté todo lo que afirmaba. En la segunda, en cambio, no hay nada de lo que afirmo que no esté documentado. Y esto me parece importante.
Notas:
1. Se refiere a la militancia previa de Mussolini en el Partido Socialista.
2. Edhasa, Buenos Aires, 2014.
3. Carmelite House, Londres, 1922.
4. Siglo XXI, Buenos Aires, 2007.
5. Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi, Feltrinelli, Milán, 2010.
6. Georges Passelecq y Bernard Suchecky: L’Encyclique cachée de Pie XI: Une occasion manqué de l’Église face a l’antisemitisme, La Découverte, París, 1995.
7. En Fascismo: Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002.
Fuente: https://nuso.org/articulo/entrevista-emilio-gentile-fascismo/
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ginogirolimoni · 9 days
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“Il 27 ottobre 2005, nel programma su Rai 1 Rockpolitik, Adriano Celentano e Roberto Benigni fanno il verso a Totò e Peppino e scrivono una lettera di scuse al premier Silvio Berlusconi. Benigni detta a Celentano: «Silviuccio, hai fatto tante cose belle per gli italiani, come per esempio …». E li si blocca. Lunga pausa di imbarazzo, poi Benigni telefona a un ex compagno di scuola per farsi dare un suggerimento. Invano. «Ha detto che fa un giro di telefonate e poi richiama». E torna a dettare a Celentano: «Le cose belle che hai fatto sono tante e le sai te. Per scriverle tutte ci vorrebbero talmente tanti fogli e biro …». Quella sera, mentre in secondo governo Berlusconi volge al termine e i sondaggi danno il centrodestra in picchiata, molti italiani si riconoscono nell’imbarazzo di Roberto e Adriano: che cosa ha lasciato il Cavaliere di utile per tutti i cittadini all’infuori di sé? Nulla”.
(Marco Travaglio, Il santo. Beatificano B. per continuare a delinquere. Il libro definitivo per non dimenticare nulla, Paper First, Roma, 2023, p. 349).
Il cdx è al potere dal 1994, con alcune pause in cui ha governato il csx, stupisce oggi dopo 30 anni constatare il divario fra le promesse elettorali e ciò che hanno davvero realizzato, l’incapacità di ciascuno di noi di poter affermare che qualcosa di buono per tutti l’hanno veramente fatto, insieme, o singolarmente.
Salvini è stato più volte ministro, vi viene in mente qualcosa da ricordare durante questi suoi incarichi? Giorgia Meloni fu ministra della Giovinezza, ricordate qualche provvedimento speciale per i giovani?
Nulla? Ma proprio nulla?
A dire il vero io qualcosa l’ho trovata, la legge che vieta di fumare nei luoghi chiusi del ministro della salute Sirchia nel 2003 durante il governo Berlusconi II; la cosa stupisce ancora di più se consideriamo che i suoi predecessori furono Umberto Veronesi (governo Amato) e Rosy Bindi (governo Prodi - D’Alema I e D’Alema II), nessuno di loro ci aveva nemmeno pensato.
Per il resto il NULLA, non sto qui a ripetervi dell’aumento delle pensioni, del calo delle tasse, della lotta alla disoccupazione, delle infrastrutture, del Ponte sullo Stretto …
E ora se ne viene ancora Salvini, bello fresco come un mazzo di rose e spara: “Voglio un treno ad alta velocità che colleghi Palermo a Vienna, altro che grigismo ideologico”.
Vienna calling! Lucio Dalla cantava del "treno Palermo Francoforte" però.
Tutto questo accade durante una catastrofe in cui treni, aerei, piroscafi, navi, bus e corriere arrivano regolarmente in ritardo, tanto che il ministro ha furbescamente modificato l’orario di percorrenza, allargandolo, così da rientrare nei limiti.
Questo è l’unico fascismo dove i treni non arrivano in orario, oppure vengono fermati ad personam per far scendere qualche ministro. 
Già che ci siamo io vorrei anche un negroni con la fetta d’arancia e l’ombrellino sopra, servito dolcemente da cameriere giovani e belle vestite di un pareo multicolori hawaiano e di una collana di fiori, prego ministro, veda un po’ se ci può stare nel suo treno.
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blogexperiences · 18 days
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Vision & Global Trends: Il Kazakistan secondo Fabrizio Vielmini
Giovedì 25 febbraio presso il Caffè letterario Horafelix – Via Reggio Emilia, 898 – Roma, verrà presenato il volume “Kazakistan: fine di un’epoca. Trent’anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della Terra” (Mimesis, 2023), di Fabrizio Vielmini. All’incontro partecipano: Fabrizio Vielmini – autore del libro – professore associato di Relazioni internazionali alla Webster University di…
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cinquecolonnemagazine · 2 months
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We Are Who We Are
Triennale Milano presenta We Are Who We Are Stratificazione di linguaggi nell’arte contemporanea, un progetto di Damiano Gullì in collaborazione con Annika Pettini dedicato ad approfondire pratica e poetica di artiste e artisti italiani caratterizzati da uno sguardo trasversale e un approccio sempre più fluido rispetto alle diverse discipline. Gli incontri – parte del programma di Triennale Estate – sono strutturati in tre conversazioni one to one: ogni appuntamento è dedicato a un singolo artista con l’obiettivo di far emergere, attraverso un confronto intimo e spontaneo, la capacità di analisi e narrazione che è racchiusa nei processi di ricerca artistica e le diverse modalità in cui essa si declina. Mercoledì 10 luglio, alle ore 19.00, il terzo appuntamento vede Annika Pettini, scrittrice e responsabile Cultura per Edizioni Zero, in conversazione con l'artista Alba Zari. Alba Zari (Bangkok, 1987) si è laureata al DAMS di Bologna. Ha frequentato un corso intensivo di Fotografia Documentaria presso l’International Center of Photography di New York e ha conseguito un Master in Fotografia e Visual Design presso la NABA di Milano. Utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine e autoanalisi, interrogandosi sulla sua capacità di funzionare come traccia, indizio e sulla sua natura ingannevole. Il suo approccio apparentemente rigoroso e scientifico nasconde una capacità interpretativa profondamente poetica dei temi della memoria e dell'identità. Fin dall'infanzia ha condotto una vita nomade che l'ha portata a vivere in diverse città e paesi. La sua esperienza come viaggiatrice influenza e si riflette nella sua pratica fotografica, che esplora temi sociali, come ad esempio i suoi visual studies sui centri di salute mentale e sui diffusi disturbi alimentari della società americana.  Le sue ultime opere includono Fear of Mirrors (2023-2024), Rakshasa (2023-2024), Occult (2019-2023), un visual study sulla propaganda della setta dei Bambini di Dio. The Y- Research of Biological Father (2017) nasce da un viaggio alla ricerca delle sue origini attraverso il padre che non ha mai conosciuto. Places (2015), un libro e un progetto fotografico realizzato con ElementWo che si occupa di analisi della comunicazione visiva della propaganda ISIS. Ha pubblicato il breve documentario FreiKörperKultur (2021) presentato in anteprima alla Settimana della Critica di Venezia. Sta lavorando al suo primo documentario White Lies. Con il progetto Y è parte del Foam Talents 2020.  Il suo lavoro è stato presentato a festival e musei internazionali come MAXXI, Roma, London Art Fair, Circulation Paris e Athens Photo Festival. Ha vinto il premio speciale della giuria a Images Vevey (Svizzera, 2022) con l'opera Occult, il Premio Graziadei (2021) e il secondo premio al Backlight Prize (Finlandia, 2020). Le sue opere sono presenti in collezioni private e musei, tra cui Fotomuseum Winterthur, MAXXI, Fondazione Orestiadi e Collezione Donata Pizzi. Read the full article
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marcogiovenale · 3 months
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alberto d'amico improvvisa & legge da "aenigma" (ifix, 2023): studio campo boario, roma, 16 giu. 2024
_ https://slowforward.net/wp-content/uploads/2024/06/alberto-damico-legge-da-aenigma-allo-studio-campo-boario-16-giu-2024.mp3 il libro: https://www.ifixweb.it/shop/alberto-damico/ _
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gammm-org · 3 months
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Lo storicizzando proseur Giovenale, in presenza & in dialogo con lo studioso e collezionista Giuseppe Garrera, coordinati entrambi dall’autore e filosofo Valerio Massaroni, lunedì alla libreria Panisperna, alle ore 18:30, si misureranno con antichi manufatti testuali risalenti in alcuni casi perfino al 2013, al 2019, al 2023, raccolti in quello che i paleografi e gli etologi sono ormai concordi nel chiamare Papiro di OGGETTISTICA, pubblicato da TIC.
Si parlerà forse di gif di gatti, espedienti per contenere il suicidio, di boomerism, forse di prosa in prosa, e di un diverso libro che nell’ancor più remoto 2009 sconvolse l’equilibrio glicemico della poesia italiana, iniziando a ignorarla bellamente. Facile vengano infine citate leggendarie figure del mesolitico come Corrado Costa e Giulia Niccolai, Emilio Garroni e Carlo Bordini, Amelia Rosselli e Carmelo Bene, Viky il vichingo, Doctor Who, Scramble, Daitarn 3 e Debbie Harry, Prigionieri delle pietre e Ritratto di donna velata.
In ogni caso non si parlerà di romanzi, nemmeno se belli, né di poesia. Contenuto di poesia in OGGETTISTICA = 0 %. Libro adatto agli intolleranti alla poesia e al romanzo.
Piuttosto, facendosi largo a martellate nella foresta pietrificata di neuroconnessioni del proseur, gli interlocutori tenteranno di cavargli fuori dati utili a divisare come mai possa succedere che una prosa scritta nel 2013-2023 non abbia quasi alcun rapporto con Sanguineti 1956, e addirittura si capisca, contraddicendo così tutte le pandette di quella inclita maggioranza di giureconsulti che quando sulla pagina non vede Sereni picchia a folle la folla di teste d’atropo sulla teca della neoavanguardia.
https://slowforward.net/2024/06/28/antichi-remoti-oggetti-testuali-in-libreria-1-luglio-a-roma-al-quartiere-monti-oggettistica-di-marco-giovenale/
_Siate Sereni, e venite a sentire senza timore, vi aspettiamo e vi divertirete_
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micro961 · 3 months
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In partenza il “Diversa Tour” della cantautrice Gea
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Parte con location internazionali il “Diversa Tour” di Gaia Daria Miolla, in arte GEA, la cantautrice barese che porta il pubblico nell’esperienza unica ed imprevedibile del suo progetto artistico. Dopo i Live-preview del tour dei mesi scorsi a Genova e a Taranto, Gea aprirà il suo tour in Spagna, a Valencia. Gli appuntamenti del 20 giugno h 21, al MAT32 per i 10 years of Disruptiòn records, the decennal showcase by Berklee Artist; del 21 giugno h20 al THE ARTIST e del 22 giugno allo Special Event BEACH JAM, sono realizzati con collaborazione di “Stargazer Club” e a cura di Jeremy Feng e Colin Shea. Di ritorno in Italia, ancora un’altra collaborazione di taglio internazionale la vedrà impegnata il 26 luglio, come opening artist dei Creeedence Cleaneweare Revived per l’ULTRASUONI Festival di Taranto. Il “Diversa tour” è finanziato da Nuovo IMAIE nell'ambito del “Bando art. 7 Audio anno 2022 - Premi e Concorsi” vinto da Gea in quanto vincitrice di MArteLive 2022.
In una dimensione acustica, elegante e libera dagli schemi Gea, cantautrice polistrumentista, trasporterà gli ascoltatori in un viaggio emozionale senza confini, attraverso un “fare musica” che amalgama e unisce elementi di soul, indie, country, elettronica, pop e influenze arabe; le sue canzoni, scritte in italiano, francese ed inglese, sono un labirinto di ritmo e sonorità coinvolgenti che toccano ii cuore e l'anima.
All’interno del tour, Gea si avvarrà di uno strumento di nome “Plants Play” che è di una magica collaborazione con il creatore stesso, Edoardo Taori, capace di tradurre gli impulsi elettrici delle piante e degli esseri viventi, ovvero il loro bioritmo, in musica. Il connubio perfetto per riunire l’uomo con la natura in una chiave onirica e fuori dagli schemi.
Nata come batterista, Gea compone e produce i suoi brani anche con chitarra e voce e ii suo talento si esprime nella sua completezza nel condurre il pubblico in una dimensione dove le emozioni risultano protagoniste indiscusse, e che l'artista ha voluto chiamare “Fantàsia” in omaggio al poeta Michel Ende.
Anche il suo curriculum è stato sino ad ora un viaggio molto vario e pieno, giocato tra formazione, palchi e sale di registrazione; passato dall'esperienza di varie band, di un duo e di differenti collaborazioni con altri artisti e approdato, da qualche anno, al suo progetto personale come solista; tra le sue esperienze troviamo la realizzazione di una colonna sonora per Mediaset RTI, un concerto al Teatro Forma di Bari, la partecipazione a talent come Amici e The Voice e le più recenti presenze con live musicali al Salone Internazionale del Libro di Torino 2024 nell’incontro dei 1200 fan con Jeff Kinney e come ospite del programma di Radio24 “Non mi capisci” di Federico Taddia e Matteo Bussola.
Vincitrice al recente “Apulia Voice 2024” di Taranto e della Biennale “Martelive” 2022 di Roma, nello scorso anno è stata finalista: al contest per cantautrici “Permette Signorina” di Lunatika a Roma, al “New Generation Award Life” - Premio per giovani musicisti pugliesi del Medimex e menzione d'onore al “Music for Phest” di Monopoli, nonchè selezionata al “Music for Change” tra novecento musicisti di tutta Italia.
Batterista selezionata per l'esperienza delle Clinic di “Umbria Jazz”, ha partecipato come cantautrice ad alcuni Festival tra cui: Festival “Green&Blu 2024” di Milano, il “Corviale Urban Lab” di Roma, il “Festival dei Buskers” di Mirabello Sannitico (Cb), l'Urban Lab al Parco di Loseto (Ba), il “Pax Festival della Pace” a Bari, due edizioni del Festival “In the Land” a Locorotondo e Monopoli, il “Gipsyland Festival itinerante internazionale” di Noci, il “Mannaggia alla musica” a Terlizzi e il Concerto del “1° Maggio barese 2023”.
Ha inoltre suonato al Roxybar del Barone Rosso di Red Ronnie, all’Alexanderplatz Jazz Club Roma, all'Apollo
di Milano e al Rockin 1000 allo Stadio dei Marmi di Roma nel 2023.
I suoi live hanno portato ii suo progetto musicale anche a Lecce, Ascoli Piceno, Andria e Trani e ha portato il suo innovativo Laboratorio di Songwriting musicale al I Convegno internazionale “Creatività e plus- dotazione” del Lab Talento dell'Università di Pavia, con cui collabora per i Laboratori SteamA.
Vivere un concerto all'insegna della diversità e dell'arte dell'improvvisazione con ii pubblico, attraverso la musica di GEA, farà viaggiare in una linea del tempo che non traccerà limiti alle emozioni e all'immaginazione e che trasporterà tutti in un mondo di musica e poesia.
GEA la si può ascoltare sulle piattaforme musicali online e, per scoprire le date del suo tour, seguirla sui social come Gea o @gea_official. Le foto sono di Giorgio Amato, le grafiche di Giulia Iaquinta, il booking a cura di Artmosfera di Roma. Spotify:https://open.spotify.com/intl-it/album/39ykm9ViUm2oEwqbisTkwx?si=q5QnjeijQJqaAMMJ9FpoBw
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