#rammendo
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"C'era una volta un ago da rammendo , di sentimenti così delicati che credeva di essere un ago da ricamo ..."
- H. A. Andersen -
BUONGIORNO ♣️
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*Maestro, come posso affrontare l'isolamento?*
"Pulisci la tua casa.
A fondo. In tutti gli angoli. Anche quelli che non hai mai avuto la voglia, il coraggio e la pazienza di toccare. Rendi la tua casa splendente e curata.
Togli la polvere, le ragnatele, le impurità. Anche quelle più nascoste. La tua casa rappresenta te stesso: se ti prendi cura di essa, ti prendi cura anche di te."
"Maestro ma il tempo è lungo. Dopo essermi preso cura di me attraverso la mia casa come posso vivere l'isolamento?"
"Aggiusta quello che può essere aggiustato ed elimina ciò che non ti serve più.
Dedicati al rammendo, ricama gli strappi dei tuoi pantaloni, cuci ben bene gli orli sfilacciati dei tuoi abiti, restaura un mobile, ripara tutto ciò che vale la pena riparare.
Il resto, buttalo. Con gratitudine. E con consapevolezza che il suo ciclo è terminato.
Aggiustare ed eliminare fuori di te permette di aggiustare o eliminare ciò che c'è dentro di te."
"Maestro e poi? Cosa posso fare tutto il tempo da solo?"
"Semina. Anche un solo seme in un vaso.
Prenditi cura di una pianta, annaffiala ogni giorno, parlaci, dalle un nome, togli le foglie secche e le erbacce che possono soffocarla e rubarle energia vitale preziosa.
E' un modo di prenderti cura dei tuoi semi interiori, dei tuoi desideri, dei tuoi intenti, dei tuoi ideali."
"Maestro, e se il vuoto viene a farmi visita? Se arrivano la paura della malattia e della morte?"
"Parlaci. Prepara la tavola anche per loro, riserva un posto per ciascuna tua paura.
Invitale a cena con te. E chiedi loro come mai son giunte da così lontano fino alla tua casa. Che messaggio vogliono portarti. Cosa vogliono comunicarti."
"Maestro, non penso di potercela fare..."
"Non è l'isolamento il tuo problema ma il timore di affrontare i tuoi draghi interiori. Che hai sempre voluto allontanare da te.
Ora non puoi fuggire.
Guardali negli occhi, ascoltali e scoprirai che ti hanno messo con le spalle al muro.
Ti hanno isolato per poterti parlare. Come i semi che possono germogliare solo se sono da soli"
Elena Bernabè
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"Maestro, come posso affrontare l'isolamento?"
"Pulisci la tua casa. A fondo. In tutti gli angoli. Anche quelli che non hai mai avuto la voglia, il coraggio e la pazienza di toccare. Rendi la tua casa splendente e curata. Togli la polvere, le ragnatele, le impurità. Anche quelle più nascoste. La tua casa rappresenta te stesso: se ti prendi cura di essa, ti prendi cura anche di te."
"Maestro ma il tempo è lungo. Dopo essermi preso cura di me attraverso la mia casa come posso vivere l'isolamento?"
"Aggiusta quello che può essere aggiustato ed elimina ciò che non ti serve più. Dedicati al rammendo, ricama gli strappi dei tuoi pantaloni, cuci ben bene gli orli sfilacciati dei tuoi abiti, restaura un mobile, ripara tutto ciò che vale la pena riparare. Il resto, buttalo. Con gratitudine. E con consapevolezza che il suo ciclo è terminato. Aggiustare ed eliminare fuori di te permette di aggiustare o eliminare ciò che c'è dentro di te."
"Maestro e poi? Cosa posso fare tutto il tempo da solo?"
"Semina. Anche un solo seme in un vaso. prenditi cura di una pianta, annaffiala ogni giorno, parlaci, dalle un nome, togli le foglie secche e le erbacce che possono soffocarla e rubarle energia vitale preziosa. E' un modo di prenderti cura dei tuoi semi interiori, dei tuoi desideri, dei tuoi intenti, dei tuoi ideali."
"Maestro, e se il vuoto viene a farmi visita? Se arrivano la paura della malattia e della morte?"
"Parlaci. Prepara la tavola anche per loro, riserva un posto per ciascuna tua paura. Invitale a cena con te. E chiedi loro come mai son giunte da così lontano fino alla tua casa. Che messaggio vogliono portarti. Cosa vogliono comunicarti."
"Maestro, non penso di potercela fare..."
"Non è l'isolamento il tuo problema ma il timore di affrontare i tuoi draghi interiori. Che hai sempre voluto allontanare da te. Ora non puoi fuggire. Guardali negli occhi, ascoltali e scoprirai che ti hanno messo con le spalle al muro. Ti hanno isolato per poterti parlare. Come i semi che possono germogliare solo se sono da soli"
Elena Bernabè
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Discorso rammendato da una donna, che di rammendo siamo maestre da secoli
Sono i figli della mascolinità tossica? Sì ed è esattamente di questi ometti che dovete avere paura: gelosi, insicuri, invidiosi, spaventati, egocentrici, possessivi, isterici, incapaci di affrontare i problemi.
In una parola, deboli. Da questi qua non troverete cura, perché non ne sono in grado e perché sono in eterna competizione col genere femminile. Da questi qua non troverete un alleato, ma un limite alla vostra crescita. Questi qua, purtroppo, sono capaci di ammazzarvi per gelosia, possessione o invidia. Questi sono il prodotto sano del patriarcato. Combattete il femminicida con le unghie e con i denti, combattete il machismo col cervello.
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Nessuno di noi è passato sulla faccia della terra senza il pensiero di buttarsi via, una volta almeno. Davanti a un parapetto alcuni lo hanno scavalcato. A chi si accosterà di nuovo al bordo, lascio una proposta, una piccola tecnica per convincersi meglio, a proseguire o a tirarsi indietro.
Prendi una lente d’ingrandimento, una da francobolli. Scrutati la pelle, i peli diventati aghi di pino, soffiaci sopra, tu sei il vento e il suolo, sono tuoi, ma pure di se stessi.
La ferita di ieri si è rimarginata, un rammendo rosa di notte ha sigillato la sortita del sangue.
Poi guardati il piede, il tendine specialista di equilibrio, di cammino, in salita più bravo del cavallo. Dove frughi, trovi un dettaglio che brulica di mosse proprie e indipendenti. Non sei il loro signore, tu sei il campo.
Non sei il padrone, ma l’ultimo inquilino.
Fatti prestare lo stetoscopio, appoggiatelo addosso, meglio che dentro la conchiglia senti il mare chiuso, le valvole del cuore sono branchie di pesce, senti il tuffo dell’aria nel sacco dei polmoni, l’ossigeno che s’incarna al sangue.
Lo saprà fare bene il corpo, di morire, non ti devi commuovere per questo, però ti devi accorgere in margine a te stesso, di una crosta terrestre a immagine del mondo.
I pori sono stelle e pozzi, la pelle è nebulosa e prateria, l’unghia è un deserto, la ruga è il gran canyon, l’ombelico è un vulcano e tu sei una geografia.
Di qua o di là del parapetto: il salto sarà più grande ora.
Così stanno le cose e noi siamo più piccoli di loro.
Erri De Luca
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Rammendo due buchi
a ridosso della cucitura
tra giorni e notte.
Nessuno sconfinamento.
Ora vai.
I.S.A.
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La fiducia è una cosa seria.
È come un abito di seta.
Se si strappa, si può anche ricucire, ma resta sempre il rammendo.
Roberto Rigoni
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LA MODA GIUSTA (parte II)
(Segue )Ed effettivamente la catena è troppo lunga, tanto è vero che il 42 per cento delle imprese del settore non sa né dove, né da chi siano fabbricati i propri vestiti. Ma tra gli obblighi morali di chi fa moda, oltre a quello di cercare di soddisfare il proprio cliente, ci sarebbe o ci dovrebbe essere anche quello di creare profitto con qualcosa di eticamente sostenibile . Purtroppo ben poche sono le aziende che scelgono di mantenere una dimensione contenuta, ma stabile, a tutto vantaggio di un consumismo sfrenato che promette grandi margini di profitto anche, anzi soprattutto, sulla pelle di chi lavora e viene sfruttato da questa diabolica e perversa macchina. “All’industria della moda interessa poter contare su lavoratori con poca voce e ancor meno diritti: per questo i suoi operai preferiti sono gli animali…” scrive ancora la Riezu: oche e anatre spennate per farci piumoni, conigli d’angora scuoiati vivi e serpenti, anch’essi vivi, gonfiati d’acqua per ottenere maggiori quantità di pelle. Insomma un mondo infernale dove lavoratori e animali sembrano trovarsi nello stesso girone, a tutto vantaggio del nostro futile apparire. Certo che è abbastanza semplice comprendere che, se per produrre un solo paio di jeans occorrono circa 8.000 litri d’acqua, cioè quanto una persona può bere in dieci anni, i danni provocati dalla moda al nostro ambiente diventano più che evidenti. Marta Riezu però non espone solo fatti o denuncia solo il malaffare del sistema moda, ma propone anche soluzioni, in particolare nella seconda parte del libro intitolato “Proposte”. La principale può essere riassunta nel paradigma (che susciterà le ire di qualcuno, anzi più di qualcuno) che afferma che occorre comprare di meno. Secondo l’autrice comprare di meno è quello che distingue una persona con i piedi per terra da un incosciente. Il cliente non ha sempre ragione, poiché siamo davvero arrivati alla fine del percorso: senza materie prime è necessario uno stop ai “negozi carini” (di questo ormai si tratta) per l’indispensabile tutela del pianeta. Per proteggere l’ambiente dovremmo avere più cura delle nostre cose, non solo quindi consumarle, ma anche imparare a ripararle e questo vale per tutti gli oggetti, a cominciare dai capi di abbigliamento che indossiamo. La Riezu cita non a caso il lavoro dell’artista tessile britannica Celia Pym che nel suo lavoro di “rammendo etnografico”, medita sul parallelismo tra cura del corpo e cura dell’indumento che indossiamo. Ma poi, lontano da ogni romanticismo, il volumetto prende in considerazione i veri giganti del vintage, come i siti Yoox, The RealReal, Vestiaire Collective. Poshmark, Rebelle, Designer Exchange, Tradesy, che hanno fatto del riuso una filosofia di massa. Un altro tema trattato è quello della tracciabilità del capo di abbigliamento, che certo richiede un certo allenamento e una alta capacità di discernere tra tessuti, luoghi di produzione, distributori ecc. Insomma un inconsueto viaggio nel mondo della moda per insegnarci a scegliere con consapevolezza, pur accettando l’idea che la moda è un fatto piuttosto serio, non tanto per i suoi aspetti semantici, ma per i risvolti materiali che influenzano massivamente la vita sulla terra e della terra.
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Anch'io, nel rapporto instaurato con mia moglie, lavo, stiro, cucino, rammendo etc. Questo, per me, deve essere l'incontro di due anime, dove entrambi si vengono incontro senza vergogna perché, fin dalla notte dei tempi, il lavoro casalingo è quello più duro e difficile, ti tempra dentro e ti aiuta ad educare i tuoi figli. In un rapporto di coppia, bisogna condividere tutto. Mia madre mi ha insegnato "a fare i servizi" ed io cerco, con mia moglie, di trasportare questo dono ai miei figli perché anche così s'insegna il rispetto per il prossimo, la gentilezza e la cortesia.
La donna non deve vergognarsi di cucinare, stirare, pulire. Anzi, deve esserne fiera.
Così risuonano le parole di saggezza tramandate di generazione in generazione, parole che sanno di antichi valori e di profonda dignità. Ogni gesto quotidiano, ogni compito domestico, è un atto d'amore che costruisce e sostiene le fondamenta della nostra esistenza. Cucinare, stirare, pulire: azioni che racchiudono un mondo di cura e di dedizione, di attenzioni silenziose che parlano di rispetto e di affetto.
In una cucina, il profumo del pane appena sfornato si mescola a quello delle erbe aromatiche, creando un'armonia che riscalda l'anima. Ogni piatto preparato è un dono, un modo per nutrire non solo il corpo, ma anche lo spirito di chi ci è accanto. Ogni camicia stirata, ogni pavimento lucidato, è un segno tangibile di una presenza costante, di un amore che non conosce riserve.
Questi gesti, spesso dati per scontati, sono in realtà carichi di una bellezza nascosta, di una poesia silenziosa che si manifesta nei dettagli. La fierezza sta non solo nella perfezione del risultato, ma nella consapevolezza di avere messo il cuore in ogni azione, di avere dato una parte di sé agli altri.
Le mani che svolgono questi compiti portano i segni del tempo e della fatica, ma sono mani forti, capaci di accarezzare, di sostenere, di proteggere. Mani che insegnano il valore del lavoro umile, della dedizione senza clamore. Ogni volta che cuciniamo, che stiriamo, che puliamo, celebriamo un antico rituale che ci lega alle nostre radici, che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.
In quei gesti semplici, in quell'amore silenzioso che scorre tra le dita, c'è il senso profondo della nostra esistenza. E mentre la vita scorre, troviamo conforto e orgoglio nel sapere che attraverso le nostre mani, attraverso la nostra dedizione, continuiamo a costruire e a nutrire il mondo che ci circonda.
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"C'era una volta un ago da rammendo , di sentimenti così delicati che credeva di essere un ago da ricamo ..."
- H. A. Andersen -
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Dignitas infinita, l'inganno di un ritorno alla legge naturale
La recente Dichiarazione vaticana costituisce un “rammendo” degli strappi in campo morale di questo pontificato? Incertezze e stranezze ridimensionano il recupero di temi e termini tradizionali, che si rivela illusorio. Continue reading Dignitas infinita, l’inganno di un ritorno alla legge naturale
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''Dai figli del rammendo, ai padri della toppa, una riflessione sulle trasformazioni sociali e culturali" di Riccardo Rescio
Come si cambia, non solo dell’apparire……. In ogni epoca, i cambiamenti socioculturali si riflettono nelle pratiche quotidiane e nelle percezioni collettive, gettando un ponte tra le generazioni passate e quelle attuali.Per cogliere l’entità di come il condizionamento mediatico modella i nostri comportamenti, il nostro pensiero e il nostro agire, può essere utile, soprattutto per le persone di…
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Ogni giorno è una lotta, ogni giorno si sbriciolano illusioni che poi rammendo sistematicamente, solo che poi rimane difficile rammendare su strappi già esistenti.
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Senza rammendo - Whitout mending
🌸Senza rammendo🌸La memoria non cancella e ritorna il sale sulle feritecome se il temposia rimasto fermoa quello strapposenza rammendo11.03.2023 Poetyca🌸🌿🌸#Poetycamente🌸Without mendingThe memorydoes not deleteand the salt returnson woundsas if timesia rimasto fermoa quello strapposenza rammendo11.03.2023 Poetyca
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Espettorando un martedì,
sputo fuori un 2 senza importanza
e rammendo un buco
che mi faceva corrente.
Odigi prestabilito,
sbadigli incorporati;
lascio scie dietro di me,
sembrano binari.
Prima ch'io spenga questa cicca,
vado a farmi una risata.
I.S.A.
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Costruiamo e rammendiamo
Io vengo da un’epoca lontana. Vengo dall’epoca in cui si usava il “rammendo” (si, mi hanno insegnato a fare anche quello, a rammendare: calze, pullover, lenzuola e vestiti), anche gli oggetti rotti si riattaccavano, destinandoli magari ad altri usi (i giapponesi in questo sono stati maestri, hanno inventato la bellissima arte del kintsugi facendo di un ciocco rotto un pezzo pregiato grazie alla…
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