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Recensione de "Il Secondo Piano" di Ritanna Armeni. Di Alessandria today
Un racconto di coraggio e umanità durante l'occupazione nazista a Roma
Un racconto di coraggio e umanità durante l’occupazione nazista a Roma. “Il Secondo Piano” di Ritanna Armeni è un romanzo che ci trasporta nel cuore della Roma del 1944, durante uno dei periodi più bui della storia italiana, segnato dall’occupazione nazista. La storia ruota attorno a un convento di suore che accoglie e nasconde ebrei, rischiando la propria vita per offrire protezione e speranza…
#amore per il prossimo#autrice italiana#conventi nella storia#Convento#Coraggio#Cultura#dialoghi intensi#dignità umana#dilemmi morali#Ebrei#empatia#Fede#Guerra#Il Secondo Piano#Italia#LETTERATURA CONTEMPORANEA#lettura consigliata#libri consigliati#Memoria storica#narrativa di guerra#narrativa di resistenza#narrativa italiana#occupazione nazista#occupazione tedesca#persecuzione#Ponte alle Grazie#protagoniste femminili#Protagonisti#racconto di speranza#Recensione libro
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Omelia di don Andrea Gallo al funerale di Fabrizio De Andrè
Caro Faber,
da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità.
Quanti «Geordie» o «Michè», «Marinella» o «Bocca di Rosa» vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, «verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame». Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione.
E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior».
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua «antologia dell’amore», una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà.
E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza.
La Comunità di san Benedetto ha aperto una porta in città. Nel 1971, mentre ascoltavamo il tuo album, Tutti morimmo a stento, in Comunità bussavano tanti personaggi derelitti e abbandonati: impiccati, migranti, tossicomani, suicidi, adolescenti traviate, bimbi impazziti per l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera [«Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l’amore ancora ci passerà vicino / nella stagione del biancospino», da L’amore, ndr].
È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro «occhi troppo belli», la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli.
Caro Faber, grazie!
Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
Caro Faber, parli all’uomo, amando l’uomo. Stringi la mano al cuore e svegli il dubbio che Dio esista.
Grazie.
Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo,
prete da marciapiede.
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Oggi ci troviamo in una situazione molto pericolosa. La guerra non è solo un campo di battaglia per le armi, ma anche per l’informazione. Julian è stato messo in prigione per aver pubblicato notizie vere su una guerra impopolare, come era quella in Iraq, dove le forze di occupazione americane controllavano totalmente la narrazione dei fatti”.
Con queste poche parole al Fatto Quotidiano, Stella Moris, la moglie del fondatore di WikiLeaks, centrava l’essenza del caso Assange e WikiLeaks, mentre la guerra in Ucraina era appena all’inizio. Oggi che da Gaza a Kiev, la guerra brucia migliaia di vite innocenti e per Julian Assange è l’ultima chiamata, le parole di Stella rimangono la sintesi perfetta del caso. Sì, perché l’unica ragione per cui Assange non ha più conosciuto la libertà e rischia di perderla per sempre, forse nel giro di pochi giorni o di pochi mesi, è che lui e WikiLeaks hanno esposto le atrocità e le manipolazioni della macchina della guerra su larga scala come mai nessuna organizzazione giornalistica, aprendo uno squarcio profondo in quel “Potere Segreto”, che è il complesso militare-industriale degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma non solo: WikiLeaks non ha rivelato soltanto i crimini del mondo occidentale. Ha esposto anche i massacri dei talebani, la ferocia di al Qaeda e le complicità di tanti Paesi non occidentali nella War on Terror. Per Assange è stata la fine.
Dal 2010 a oggi: dall’arresto all’ultima udienza Inumato da vivo dal 2010, all’età di 39 anni, quando lui e WikiLeaks iniziarono a pubblicare i 700 mila documenti segreti del governo americano. Questa mattina, il giornalista australiano comparirà davanti alla High Court di Londra, per quella che può essere l’ultima udienza sul suolo inglese. Se la High Court confermerà l’estradizione negli Stati Uniti, dove rischia 175 anni di prigione, ad Assange rimarrà solo una possibilità: appellarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma il rischio che possa venire estradato prima che la Corte emetta misure protettive è reale.
I file segreti sulla verità delle guerre americane Le rivelazioni di WikiLeaks, per cui il suo fondatore rischia di passare la vita in prigione, sono tra gli scoop più grandi nella storia del giornalismo. I 91.910 Afghan War Logs e i 391.832 Iraq War Logs, report segreti sulla guerra in Afghanistan e in Iraq rispettivamente, hanno permesso di bucare la nebbia della guerra proprio mentre questa era in corso e non dopo trenta o quaranta anni dopo, quando ormai quei conflitti non interessavano più a nessuno, a parte gli storici di professione, perché troppo lontani nel tempo. Grazie a quei file segreti, abbiamo potuto confrontare quello che la macchina della propaganda ci raccontava su quelle due guerre e quello che accadeva sul campo, secondo il racconto dei soldati americani che li combattevano.
Afghanistan: conflitto perso in partenza Abbiamo così scoperto, per esempio, che già nel 2010 la guerra in Afghanistan era un conflitto senza speranza: dopo dieci anni, le truppe americane e della coalizione Isaf, di cui faceva parte anche il nostro paese, avevano ottenuto così poco che nel distretto di Herat, controllato dagli italiani, le forze di polizia afghane da noi addestrate avevano problemi così seri che molti di loro si univano ai talebani, perché non venivano pagati e non si capiva dove andavano a finire i loro salari. La situazione appariva così compromessa che alcuni arrotondavano con i sequestri di persona. Mentre la propaganda ci raccontava le magnifiche sorti progressive del conflitto afghano, i 91.910 documenti fotografano un fallimento che, undici anni dopo, nell’agosto del 2021, ci avrebbe portato al ritiro. Gli Afghan War Logs ci hanno permesso di scoprire unità segrete mai emerse prima, come la Task Force 373, un’unità di élite che prendeva ordini direttamente dal Pentagono. La brutalità dei raid portati avanti nel cuore della notte da queste forze speciali, aveva prodotto stragi tra forze afghane alleate, bambini e donne, creando un forte risentimento contro gli americani e contro le truppe alleate da parte della popolazione locale. A oggi gli Afghan War Logs rimangono l’unica fonte pubblica per ricostruire attacchi, morti civili ed esecuzioni stragiudiziali tra il 2004 e il 2009, a causa della segretezza di quelle operazioni. E sono una delle pochissime fonti che permettono di ricostruire i civili uccisi prima del 2007, su cui neppure la missione delle Nazioni Unite in Afghanistan, l’Unama, che compila queste statistiche, possiede dei dati affidabili.
Iraq; i morti mai contati e il carcere di Guantanamo Quanto agli Iraq War Logs, hanno permesso di rivelare, tra le altre cose, 15 mila vittime mai conteggiate prima nella guerra in Iraq. Possono sembrare statistiche, puri numeri, in conflitti come quello in Iraq, che ha registrato circa 600 mila civili uccisi e 9,2 milioni di rifugiati e sfollati – ovvero il 37 per cento della popolazione prima dell’invasione americana dell’Iraq – ma quei 15 mila civili mai conteggiati prima erano padri, madri, fratelli. È un diritto umano sapere che fine ha fatto una persona cara. E l’unica giustizia che quegli innocenti hanno avuto, è la verità fatta emergere da WikiLeaks. I documenti segreti sul carcere di Guantanamo Bay hanno permesso di conoscere 765 su 780 detenuti del lager, facendo emergere per la prima volta le ragioni per cui gli Stati Uniti li avevano trasferiti nel campo di detenzione, tra informatori comprati e torture da Inquisizione.
I cablo tra gli Usa e altri Paesi (Italia compresa) Ma le rivelazioni più cruciali sono sicuramente quelle che emergono dai 251.287 cablo: le migliaia di corrispondenze diplomatiche inviate da 260 ambasciate e consolati americani in 180 Paesi, che hanno fatto affiorare scandali, abusi, pressioni, come quelle sulla politica italiana per garantire l’impunità agli agenti della Cia (Central Intelligence Agency) responsabili per il rapimento e la tortura di Abu Omar o i sospetti dell’Amministrazione di George W. Bush che l’Italia pagasse mazzette ai talebani per evitare attacchi ai suoi soldati in Afghanistan. È per questo lavoro giornalistico, e solo per questo, che gli Stati Uniti vogliono seppellire per sempre Julian Assange in una prigione.
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2024 reading review
I was tagged by the ever lovely @ninadove and finally this is one I can actually do (I haven't been ignoring your tags, it's just that 2024 was the year I started working full time and I just did not write)! Anyway!
In 2024 I met my modest goodreads goal of 30 (scaled down from my usual 50 bc of work) and here are the highlights:
Storia del Mare by Alessandro Vanoli
Una storia del mare. Che racconti la geologia, gli uomini delle coste, le scoperte, le navi, le guerre, i miti e i sogni. Ma anche e soprattutto i pesci e gli altri esseri marini. Una storia insomma che tenga assieme tutto, uomini e animali. E naturalmente un viaggio del genere non può e non vuole essere una cronaca minuziosa di fatti e cose. Piuttosto, intende essere un racconto, fatto di volti, immagini, suoni e colori, con la speranza di restituire un po' di quello stupore che gli abissi ci hanno sempre dato.
To my knowledge this book is not currently available in any other language so this is mainly for the benefit of my Italian-speaking mutuals. I loved this book so so so much. It keeps the perfect balance of informative and fun, and the subject matter is so varied that on a very deep level it feels like those encyclopedias for kids that we'd read so proudly and then recite random facts out of for months. Best book of the year, 10/10, no notes.
The Secret Garden by F. H. Burnett
Mary Lennox, a spoiled, ill-tempered, and unhealthy child, comes to live with her reclusive uncle in Misselthwaite Manor on England’s Yorkshire moors after the death of her parents. There she meets a hearty housekeeper and her spirited brother, a dour gardener, a cheerful robin, and her wilful, hysterical, and sickly cousin, Master Colin, whose wails she hears echoing through the house at night.
This was, I believe, my third re-read of this book in the original English (I cannot for the life of me count the times I read it in Italian as a child). It's a comfort read of mine, so full of hope, warmth, and whimsy! Also, I may or may not be working on a retelling... 👀
Much Ado About Nothing by William Shakespeare
In Much Ado About Nothing, Shakespeare includes two quite different stories of romantic love. Hero and Claudio fall in love almost at first sight, but an outsider, Don John, strikes out at their happiness. Beatrice and Benedick are kept apart by pride and mutual antagonism until others decide to play Cupid.
Idk why I waited so long to hop on the bandwagon, but this skyrocketed straight into my top 3 Shakespeare comedies DESPITE having the least funny comedic subplot ever (scholars don't @ me I hate the constables, it's 100% personal), so it must be good. I've read it twice, seen it 4 times.
The Ill-Made Knight by T. H. White
The goodreads summary sucks so here: it's book 3 of the once and future king and it's all about our boy Lancelot! Ugly French child is starry-eyed and has a puppy crush on the king, ends up his best friend (read entangled in a messy homoerotic relationship with him) while also madly in love with the queen. It all hurts exquisitely. Also, we all should say thank you to Mr White for giving us the delicious image of thee king Arthur, kneeling on the ground, strapping on Lancelot's greaves so he can go and rescue queen Guinevere. What's more polycule than that.
And that's all folks! Thanks Again Nina for the tag. I'm curious to know what @mlem-wooloowoo @automatisma and @flussoperpetuo have been reading (no pressure tho!)
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IL RACCONTO DELL'IMMAGINE - di Gianpiero Menniti
SETTE ANNI
Ero un adolescente alla metà degli '80, quando il "secolo breve" prese la via del suo ripido declino.
I muri, patologia del confine, cominciarono lentamente a sgretolarsi come gesso sotto una minuta pioggia.
I "due blocchi", inatteso ma inevitabile residuo delle guerre suicide d'Europa della prima metà del '900, si affacciarono da un'unica soglia rimasta per un quarantennio nascosta.
L'aria aveva l'odore di una primavera di speranza e Sting cantava "Russians":
«[...] Condividiamo la stessa biologia, indipendentemente dall'ideologia. Ma ciò che potrebbe salvarci, me e te, è se anche i russi amassero i loro figli. »
Era il 1985, il mese di Marzo.
Michail Sergeevič Gorbačëv divenne Segretario Generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica.
La sua parabola durò fino all'estate del 1991.
L'anno prima era stato insignito del Premio Nobel per la Pace.
Mentre in Sudafrica Nelson Mandela riacquistava la libertà.
E nel 1989 la "cortina di ferro" di churchilliana memoria veniva abbattuta tra lo stupore e l'entusiasmo generale.
In quei sette anni di formidabile accelerazione degli eventi non finiva la storia, come qualcuno improvvidamente profetizzò: la storia riapriva i suoi volumi impolverati.
Nulla, poi, andò come previsto.
Il fragore sordo e potente del "Muro di Berlino" fece sentire i suoi effetti sismici in un mondo da tempo ridotto alla sua globalità.
E la mia generazione, senza più la macchina da scrivere ma catturata dagli schermi dei primi pc, orfana di un modello politico e incerta del futuro, visse l'ultimo decennio in corsa verso il XXI secolo osservando il paesaggio come su un treno che lascia appena l'istante di un'immagine sfocata.
Eppure, in quei sette anni, l'illusione della luce fu più ardente della sua stessa ombra.
- Michail Gorbačëv (1931 - 2022) fotografato da Francis Giacobetti (classe 1939)
#thegianpieromennitipolis#racconti brevi#fotografia#francis giacobetti#Michail Gorbacev#gianpieromenniticopywriter
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Oggi a Berlino è festa nazionale, sono tutti partiti per un weekend lungo. Io vedo questo giorno libero, grigio ma non troppo, come una piccola cattiveria del tempo, del mio tempo qui che non so benissimo come sfruttare, anche se ci provo. Ho comprato questa busta di tabacco il 19 Settembre e durerà ancora qualche giorno, il che significa che sto andando egregiamente bene sul versante nicotina, fumo di meno. Devo consegnare la tesi di dottorato il 15 Ottobre, il che significa che non sto messa proprio bene, dovrei usare questo giorno libero e non troppo luminoso per starmene a casa col nasino nel pc, non dico manco di voler fare un buon lavoro - che senso ha, adesso? - ma un lavoro qualunque, perché questa sigla di tre lettere vicino al mio nome io me la merito, anche se non so fare proprio proprio un cazzo, o così mi pare stando qui insieme a tutte queste fantastiche persone che evidentemente sanno quello che fanno, e mi sa pure che molti di loro siano sulla carta meno skillate di me. Che ipocrisia l’istituzione, ma stando qui ho ancora l’impressione che ci sia speranza - io, speranza. In questo momento.
Ho scritto a Linda un messaggio incoerente - io, comunicazione incoerente. Ma è pur sempre la fotografia di questo momento. Le ho comunicato che Valerio è morto e che io sono qui. Le ho detto “Ehi, non so se voglio parlarne, forse devo parlarne, ma forse parlarne mi farà crollare ed io mica adesso me lo posso permettere…”. Le ho detto che l’abbraccio perché so bene che dopo aver saputo di questa notizia avrà pianto per me. Il mio rapporto con la mia psicologa è piuttosto atipico, per quello che da psicologa so, ma il punto è anche che siamo colleghe. Questo mi fa venire in mente il fatto che ci sono nella mia vita tutte queste situazioni in cui le persone inquadrano la nostra relazione attribuendomi un ruolo di competenza, ma secondo me io questa roba qua non la so raccogliere molto bene. Tipo come qui a Berlino, dove parlo con tutti i gradini di questa gerarchia che mi è comunque oscura partendo dal presupposto che siano tutti intrinsecamente migliori di me, e si vede che lo faccio. Mi viene in mente che forse loro si aspettavano che questa esteemed foreign researcher sarebbe venuta a portare competenze, a mettere qualcosina sul piatto. Ed io che ho messo? Sorrisi gentili, mille “don’t worry about me”, il mio racconto da pazza detached di un lutto così recente ed enorme da essere francamente inappropriato. Qualcuno penserà che sono pazza. Io lo penso, forse mi ossessiona un po’. Sub-clinicamente, per ora. Una psicologa ha le competenze per dirle, certe cose.
Martedì ho presentato una vaga idea di quale sarà il mio lavoro di questo mese alla consueta riunione del team. Due slide mediamente colorate, un sacco di punti interrogativi. Sono una persona onesta, questo è innegabile. Mi hanno chiesto di fare cose che non so fare, ma se fossi in grado di impararle al volo sarebbe tutto ok. Nella mia esperienza è così che si fa questo lavoro. A breve però questo mese qui sarà finito, e che ne sarà di me? Dovrò dare un significato alla frase “Valerio è morto” che dico tanto spesso, dovrò tornare nell’unico posto dove so per certo di non voler essere, con una persona che esercita del potere su di me, e che io semplicemente odio. Da quando Valerio è morto ho scoperto una spinta a vivere che non credo mi appartenesse, deve essere stato una specie di contagio tipo quell’episodio di Buffy (o era Streghe? O forse tutt’e due?) in cui quando la persona impossessata moriva l’entità invisibile si rintanava nel corpo vivo più vicino. Quando Valerio è morto ero di sicuro il corpo più vicino. Mentre gli tenevo la mano deve avermi passato quel qualcosa che tanto non gli sarebbe servito più, quella testardaggine che lo ha tenuto aggrappato a questo mondo fin quando noi non abbiamo deciso che per lui era finita. Sarebbe così sensato. È così romantico. Valerio è morto. Io ancora no. Devo imparare delle nuove competenze per essere all’altezza dell’ossigeno che consumo.
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"Se dovessi morire"
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Se io dovessi morire
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia
per vendere tutte le mie cose
comprare un po’ di stoffa
e qualche filo,
per farne un aquilone
(magari bianco con una lunga coda)
in modo che un bambino,
da qualche parte a Gaza
fissando negli occhi il cielo
nell’attesa che suo padre morto all’improvviso, senza dire addio
a nessuno
né al suo corpo
né a se stesso
veda l’aquilone, il mio
aquilone che hai fatto tu,
volare là in alto
e pensi per un attimo
che ci sia un angelo lì
a riportare amore.
Se dovessi morire
che porti allora una speranza
che la mia fine sia un racconto!
Refaat Alareer è poeta, scrittore e professore universitario di letteratura comparata. Ucciso, nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023, in un raid israeliano a Gaza
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Rating: Mature
Fandom: Interview with the Vampire (tv show)
Relationships: Daniel/Armand
Characters: Daniel Molloy, Armand
Tags: Cosa succede quando Louis se ne va, Armand e Daniel parlano, Trasformazione di Daniel, Armand e Daniel lasciati da soli a casa
Lingua: Italiano
Sommario: Louis lascia soli Armand e Daniel. E questo è il racconto di quello che succede appena dopo. Almeno una delle tante versioni nella mia testa.
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Louis aveva appena lasciato la stanza.
Dal momento in cui aveva incendiato il suo laptop a quando era sparito dalla sua vista era trascorsa una frazione di secondo impercettibile.
CONTINUA A LEGGERE SU AO3
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Una veloce chiacchierata com’è d'uso dalle mie parti prima di augurarvi una (speriamo) buona lettura.
Il mondo creato dalla Rice non mi piace.
Chi mi conosce sa che per me è necessario sempre precisare certe cose, per la mia salute mentale.
In generale non mi piace il suo modo di scrivere, non mi piacciono molte delle cose che i personaggi da lei creati fanno e dicono e, nei libri, non mi riesce proprio di vederci quello che ci si dovrebbe vedere, che molti vedono. Le storie d’amore lì dentro ai miei occhi non sono storie d’amore e il racconto si concentra più su temi che per come vengono trattati sarebbe meglio non trattare affatto.
Non sto qui a precisare, ma ci sono scene all’interno dei libri della Rice che hanno risvolti e reazioni dei personaggi per me inqualificabili.
E partendo da quella base ho sempre fatto fatica a trovare interessanti sia dinamiche che personaggi delle Vampire Chronicles.
Quanto ho appena affermato cambia radicalmente quando andiamo a parlare della serie televisiva creata ispirandosi ai lavori della Rice.
Chi ha letto le mie impressioni sulla serie (se vi interessano le trovate su STIGAMES) sa che il discorso è molto più ampio di quello che posso fare qui, ma in sostanza la serie mi ha stregato.
La serie ha finalmente creato, per me, dei personaggi interessanti, pieni di sfaccettature e soprattutto NON DI GIOVANISSIMA ETÀ, cosa che in un vampiro io NON posso concepire.
La serie ha corretto certe cose, ne ha tolte altre, ha modificato al meglio altre ancora.
Come Hannibal nei confronti dei libri di Harris, anche la serie di Interview with the Vampire è una lunga fanfiction ispirata ai lavori della Rice.
E quello ha cambiato tutto, per me.
Continuo a ripeterlo perché il PER ME è importante.
Queste sono tutte opinioni personali.
Inoltre la serie mi ha dato anche la curiosità per andare a leggermi parte delle opere originali di cui ho elencato solo alcuni enormi difetti, ma che non avrei mai letto altrimenti.
Le varie versioni di Lestat e Louis conosciute finora non avevano mai destato il mio interesse.
La serie ha cambiato anche questo.
Veniamo ora a ciò che ho scritto io.
Riguarda Daniel e Armand che, al momento, trovo la coppia con le dinamiche più affascinanti.
Perché per me Louis e Lestat sono risolti, la serie è stata perfetta in quel senso e non sento il bisogno di aggiungere nulla.
Su Daniel e Armand invece c’è ancora TANTO da dire. E non vedo l’ora che la serie lo faccia.
Nel frattempo però sono qui a chiedermi che cos’hanno combinato quei due che noi non abbiamo ancora visto.
Anche in questo caso mi riferisco al Daniel e all'Armand della serie e, non serve specificarlo ma lo faccio lo stesso, il Daniel non giovane, che io trovo un personaggio infinitamente più interessante e affascinante della sua versione giovane nella serie stessa.
Perciò per me sono questi due personaggi ad interagire sempre e comunque.
Io spero tantissimo di poter vedere una versione riveduta e corretta di Devil’s Minion fornita dal team di sceneggiatori della serie che fino ad ora ha fatto un lavoro egregio. E il mio desiderio è che il Devil’s Minion della serie cominci dal punto in cui siamo adesso, senza andare a toccare mai più il Daniel giovane.
Questa è la mia speranza, poi si vedrà.
Ma tutto quanto scriverò riguarda loro due, perciò chiaro che chi ha deleterie ed infantili idee sul fatto che quel Daniel è troppo vecchio per quell'Armand o cavolate tristi di questo tipo può astenersi subito dal leggere perché al mio Armand quel Daniel lì piace e piace pure tanto.
Anche perché, vorrei vedere, cosa c'è che può non piacere?
Stabilito ciò poi c'è da dire che per me il mondo delle fanfictions è creatività a tutto tondo e spesso mi prendo libertà per quanto riguarda regole e ambiente che circondano i personaggi; anche perché la serie è meravigliosa e chi vuole immergersi nel vero racconto può guardarsi quella, ciò che scrivo io è solo un minimo tentativo di mettere nero su bianco quello che mi gira per la testa e mi piacerebbe vedere su schermo.
Ma sono certə che questi sceneggiatori mi stupiranno immaginandosi le cose cento volte meglio.
Nell'attesa della terza stagione questo è il mio contributo al rapporto tra Armand e Daniel.
Ne ho altre nella mia testa di versioni possibili di quanto accaduto a Dubai dopo che Louis è uscito di scena, ma al momento ho messo giù solo questa, la più breve e la più "ragionata".
Mi piace dare la mia personale versione della vampirizzazione e dei poteri che hanno i vampiri e quindi troverete alcune capacità vampiresche di cui non ho assolutamente la certezza o che ho inventato di sana pianta perché mi facevano comodo.
Come mi piace sempre ricordare: qui non c’è nulla di vero tranne i sentimenti e le emozioni.
Buona lettura!
Len
#Fanfictions#Interview with the Vampire#IWTV#Iwtv amc#Devil’s Minion#Interview with the Vampire amc#Len Irusu#Leniam#Daniel Molloy#Armand#lingua italiano#scrittura
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La spiaggia è affollata, tante persone intorno, tanti rumori, bambini, anziani, coppie, famiglie.
Disteso sulla sabbia sto entrando sempre di più tra le pagine del libro, mi sto allontanando da tutto e da tutti, il chiasso è soltanto un leggero ronzio, c'è il vuoto intorno a me, il racconto mi emoziona così tanto da farmi sentire in un altra dimensione, sono entrato dentro il personaggio, è una storia vera di vita vissuta dall'autore, una terribile e tragica esperienza, così drammatica da non riuscire neanche a immaginarla. Sento dentro me il suo stesso dolore, la sua angoscia, la sua impotenza davanti a quel crudele destino, e fa male, fa male anche a me, così tanto da costringermi a chiudere il libro.
Ritorno alla realtà, tutte quelle persone accanto a me, mi accorgo di avere gli occhi lucidi, in procinto di piangere a dirotto, non so come nasconderlo, così mi alzo velocemente, mi tuffo in un lampo nella freddo mare per sciogliere le mie lacrime in quell'immensa distesa d'acqua salata, vado in profondità per respingere quell'irrefrenabile impulso, la pressione ricaccia indietro tutte le emozioni, rimango lì sotto fino a sentire la fame d'aria, quando riemergo respiro, respiro, respiro di nuovo.
È passato, anche stavolta è passato, mi stendo di nuovo sulla sabbia, chiudo gli occhi ed è tutto passato. Sento di nuovo tutti i rumori intorno, non mi danno fastidio, perché è vita, ed è anche speranza.
Cit. Smokingago, 16 Giugno 2024
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Audrey Hepburn: la bellezza dell’anima narrata da Maura Mantellino. Recensione di Alessandria today
Un omaggio alla classe eterna di Audrey Hepburn attraverso le sue parole di saggezza
Un omaggio alla classe eterna di Audrey Hepburn attraverso le sue parole di saggezza Il racconto di Maura Mantellino, ispirato al testo attribuito ad Audrey Hepburn, ci trasporta in un viaggio intimo e toccante attraverso i principi di bellezza e umanità che l’attrice ha incarnato. “Quando le chiesero di rivelare i suoi segreti di bellezza” è più di una riflessione: è un manifesto senza tempo…
#Alessandria today#Audrey Hepburn#Audrey Hepburn funerale#Audrey Hepburn saggezza#bellezza autentica#bellezza che cresce#bellezza dell’anima#bellezza e anima#bellezza interiore#bellezza negli anni#donne e saggezza#donne iconiche#empatia e amore#empatia e ispirazione#gentilezza e altruismo#gentilezza e forza#Google News#ispirazione femminile#italianewsmedia.com#Maura Mantellino#messaggi di speranza#narrativa biografica.#narrativa emozionale#narrativa riflessiva#narrazione intima#narrazione toccante#omaggio ad Audrey Hepburn#Pier Carlo Lava#Racconti di vita#racconto Maura Mantellino
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I ragazzi della via Pál.
Il racconto si svolge a Budapest nella primavera del 1889 e racconta le avventure vissute da un gruppo di ragazzi, schierati in due bande contrapposte. Boka è il protagonista ed è a capo della banda che comprende Csele, Nemecsek, Csonakos, Weisz, Gereb e Kolnay. Questo gruppo di ragazzi, insieme, prendono il nome di I ragazzi della via Pàl.
Nel quartiere in cui i ragazzi vivono, si trova un terreno su cui sorge una segheria a vapore, piena di cataste di legna e sentieri che vi corrono attraverso, dando vita a un vero e proprio labirinto di stradine che rendono difficile l’orientamento al suo interno.
I ragazzi della via Pál, personaggi
Al centro del terreno si trova una casupola, la segheria, diventata nel tempo il quartier generale dei ragazzi. Qui, I ragazzi della via Pal si fingono componenti di un esercito, in cui l’unico soldato semplice, l’ultimo “in grado”, è anche il più piccolo anagraficamente. Nemecsek, questo il suo nome, è un ragazzo piccolo, biondo, esile e ubbidiente, che nutre moltissima ammirazione nei confronti di Boka, considerato nel gruppo al pari di un generale. Nemecsek svolge ogni compito gli venga assegnato dai ragazzi più grandi, nella speranza di poter salire di livello nella gerarchia del gruppo
Ma i ragazzi non sono soli. Tutta la loro vita insieme si basa infatti sul confronto costante con una banda rivale, definita banda dei giardini botanici, al capo della quale si trova Franco Ats, che ne è a capo. È proprio Nemecsek a notare che Ats si sta intrufolando nel loro campo e sta rubando la loro bandiera. Questo è per i ragazzi uno smacco troppo grande da sopportare: così, insieme decidono di andare presso il quartier generale dei nemici e appendere un cartello in segno di visita.
Una sera Boka parte con una barchetta a remi e insieme a Nemecsek e Csonakos raggiunge l’isola su cui sorgono i giardini botanici. Ma non appena arrivato, ha una sorpresa: Gereb, uno dei ragazzi della banda, è un traditore e fa il doppio gioco tra le due bande. Boka resta molto scosso dalla scoperta, ma decide comunque di portare a termine quella che ormai per lui è una vera e propria missione. Purtroppo, si fa scoprire dai ragazzi rivali.
Nella sua incursione presso i giardini botanici, Boka aveva sentito Gereb e Franco Ats parlare fra loro di un piano per entrare nel rifugio della sua banda e conquistarlo. Tuttavia, decide di non parlarne con gli altri membri della banda.
È Nemecsek che nei giorni seguenti decide di tornare da solo al giardino botanico per rubare la bandiera nemica.
Purtroppo viene scoperto e gettato in acqua mentre tutti lo deridono, Gereb compreso.
Nei giorni seguenti Boka decidere di giocare a carte scoperte, e rende noto il tradimento di Gereb, cacciandolo dalla banda mentre si sta discutendo insieme di un piano di difesa del campo.
Nemecsek si ammala, ma decide comunque di partecipare alla battaglia anche se febbricitante; una volta arrivato al luogo del combattimento, viene picchiato dal capo rivale: questo dona ai suoi compagni la forza di sferrare una controoffensiva e mettere i nemici in fuga.
Per l’impresa eroica portata a termine, il piccolo Nemecsek viene nominato capitano. Purtroppo, la storia non avrà un lieto fine: il ragazzo dopo qualche giorno muore per le complicazioni della malattia. Il giorno seguente tutti i ragazzi vestiti a lutto andranno a rendergli omaggio, Franco Ats compreso.
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Nato dalla nebbia
Prima di cominciare: questo breve racconto è SPOILER di “Mistborn, l’ultimo impero”, se non l’avete letto e non volete rovinarvi l’esperienza non continuate.
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"Ma non puoi uccidermi, lord Tiranno. Io rappresento quello che tu non sei mai riuscito a uccidere, per quanto tu ci abbia provato. Io sono la speranza."
La cosa successiva di cui Kelsier fu consapevole fu l'impatto degli anelli di metallo che impreziosivano la mano del lord Reggente sulla sua guancia. Il sorriso non fece in tempo a spegnersi dal suo volto, mentre la testa si voltava dall'altra parte per la potenza dello schiaffo: il sangue schizzò intorno a lui e pezzi di carne si sollevarono. Non sentì dolore, non lo sentì nemmeno quando la lancia gli trapassò il petto, tirandogli fuori quel poco di energie che gli erano rimaste.
I suoi ultimi pensieri non furono per Mare, come aveva sempre creduto, e nemmeno per Dox o per la banda. Il suo ultimo pensiero fu per Vin. Il suo unico rimpianto era di non poter più stare al suo fianco, di non vederla crescere e diventare la donna meravigliosa che sapeva sarebbe diventata. Le augurava ogni bene e di essere felice con quel Venture che si era scelta come compagno. Sperava che per una volta lui avesse torto e gli altri avessero ragione. Era stanco, doveva chiudere gli occhi solo per qualche momento. Solo... per qualche... momen...
"Kell... è finita."
Quella voce... poteva darsi che se l'era immaginata? Guardandosi intorno, Kelsier notò che improvvisamente era calata la nebbia intorno a lui. I suoni della rivolta in piazza erano ovattati, lontani.
"Chi è?"
"Non mi riconosci?"
In un angolo della sua mente, Kelsier sapeva a chi apparteneva quel sussurro, ma gli sfuggiva. Davanti a lui iniziarono a definirsi i contorni di una sagoma che emergeva dalle nebbie.
Kelsier si tirò a sedere, ma gli girava la testa. "Stai pure seduto, figlio mio" gli disse la figura. Dietro di lui, un'altra sagoma con folti capelli e vestiti poveri lo adocchiava con curiosità. Aveva fattezze femminili, quindi era stata lei a parlare, la prima volta.
"Figlio mio, ben arrivato. Io e tua moglie ti stavamo aspettando. Vieni con noi, conosci gli altri tuoi fratelli."
"Chi sei tu?" Perché hai parlato di mia moglie?, avrebbe voluto chiedergli, ma gli parve saggio aspettare. Una domanda alla volta avrebbe risolto tutto.
"Non mi riconosci? Hai sfruttato il mio potere per gli ultimi due anni."
"Non credo di seguirti..."
"Io sono Preservazione" la figura gli tese una mano, e fu quando Kelsier si allungò per afferrarla che urlò di paura. Era fatto anche lui di nebbia. Doveva essere un brutto sogno dovuto alla perdita di sangue. Sì, doveva essere il delirio di un moribondo. "Non aver paura, figlio mio. Lascia che io e Mare ti spieghiamo: andrà tutto bene, vedrai."
"No. Mare è morta. Tanto tempo fa..."
La figura dietro Preservazione ridacchiò. "E tu allora? Sciocco, non ti ricordi nemmeno com'è fatta tua moglie?"
Ecco dove l'aveva già sentita quella voce. Prendendosi qualche momento in più per studiare quell'ammasso di nebbia dalle sembianze umane, riconobbe le fattezze di Mare. La sua Mare. Aveva passato così tanto tempo a pensare alle parole che avrebbe usato per scusarsi, se solo avesse potuto, che adesso gli sembravano tutte di troppo.
"Io... io..." si trovò a balbettare tra i singhiozzi, cercando di tirarsi in piedi.
"Non c'è bisogno che tu dica niente. So che lo sai. Sono sempre stata al tuo fianco. E ho imparato a conoscere quella ragazza che ti sei scelto come pupilla, Vin. Ti somiglia molto."
"Avrei giurato che somigliasse più a te" finalmente trovò la sua solita parlantina. "Ha la tua forza."
"E la tua intelligenza. Farà grandi cose, là fuori."
"Mi mancheranno tutti così tanto" singhiozzò Kelsier, faticando ad ammetterlo ad alta voce.
"E tu mancherai a loro: eri la loro fiaccola, la loro bussola morale" intervenne Preservazione. "Guarda" agitò una mano e si ritrovarono nel covo della banda. Stavano leggendo una lettera. Alcuni piangevano, altri cercavano di trattenere le lacrime. Sazed stava cercando di consolare Spook e Vin con uno dei suoi soliti discorsi motivazionali sulla fede. A Kelsier strinse il cuore vedendo le condizioni in cui la squadra si era ridotta per colpa sua.
"Mi vuoi spiegare chi sei?" balbettò per evitare di mettersi di nuovo a piangere.
"Una cosa alla volta. Per adesso ti basti sapere che fornisco io il potere a voialtri. Misting e Mistborn. E che a tutti loro servirà il mio aiuto se vogliono sconfiggere il lord Reggente e quello che verrà dopo. Volete venire con me per scoprire come andrà a finire?"
A Kelsier dava immensamente fastidio essere lasciato all'oscurodi tutto, ma supponeva di esserselo meritato.
Lui e Mare si guardarono, lei gli strinse la mano. Annnuirono, all'unisono. E seguirono Vin e Saze, che stavano uscendo dal covo proprio in quel momento.
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Fuori dal coro
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Ho appena visto (lo confesso: in streaming) "C'è ancora domani" della Cortellesi. L'ho trovato, per certi versi, imbarazzante. La premessa, e di questo ne sono certo, è che il tono del film VOLESSE essere parodistico, nel senso che tutti i personaggi dovessero deliberatamente risultare come delle figurine piatte ed unidimensionali, caratterizzazioni artificiose e sopra le righe: lei l'archetipo della madre/donna sottomessa, lui il padre/maschio aguzzino, e poi il suocero un totale troglodita, i due bambini la quintessenza dei rompicoglioni, l'ex spasimante bravo ragazzo, eccetera. Come detto tutti personaggi tratteggiati con una tale rozzezza da risultare - ripeto -volutamente come degli archetipi di nessuno spessore drammaturgico. La speranza della Cortellesi, immagino, è che poi il film "facesse il giro" e cioè che il tutto quanto così sfacciatamente e didascalicamente rappresentato, potesse, quasi magicamente, diventare autentico e credibile e coinvolgente. Invece, a mio modo di vedere, tutto questo non succede: il film rimane grottesco, i personaggi finti, le situazioni inverosimili, e il racconto appare puerile. La liberazione della donna può essere raccontata in un milione di altri modi e tutti quanti sarebbero più coinvolgenti di questo.
Alla fine del film la domanda che mi sono fatto è stata una sola: come ha fatto un bell'uomo come Mastandrea a sposarsi una morta di sonno come la Cortellesi? La vera vittima del film è il marito.
Preoccupa che un film così rozzo e ruffiano sia diventato campione d'incassi.
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Troppi eventi lo hanno sconquassato, intrappolato, rinchiuso in una bolla che disperatamente vorrebbe far esplodere: una bolla che lo tiene imprigionato oramai da troppo tempo. Cosa gli resta?
Un vuoto enorme, impossibile da colmare dopo la morte della madre; un padre che a stento ricorda e Letizia, tornata improvvisamente a Genova con la famiglia. Cosa gli resta? Cos’altro può fare? Andarsene? Affrontare il mondo? Affronterà un viaggio da raccontare agli amici di sempre. Un viaggio nella quale, una successione di episodi divertenti, imprevedibili ed improbabili, lo accompagneranno lontano dalle sicurezze del piccolo paese. Ascolterà storie, incontrerà personaggi intriganti, pericolosi e superficiali che lo guideranno alla ricerca di se stesso. Non sarà semplice e travolto dagli eventi, quel viaggio, prenderà una piega differente da quella programmata.
Il mio primo romanzo lo trovi su KOBO.
Acquistando il mio libro, sostenete uno scrittore sognatore ed indipendente 🩷
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
L'ARTE E L'ECO DEL SENSO
Sono particolarmente affezionato alla sensibilità, delicata, sommessa eppure di rara forza espressiva di Amneris Ulderigi, poetessa, fotografa e artista marchigiana, di Recanati, neanche a dirlo celebrato luogo natio di uno dei più grandi poeti e filosofi italiani, Giacomo Leopardi.
E quel grandioso antico respiro echeggia in alcune sue opere del 2022, intense, struggenti, di impressionante inventiva.
Si tratta d'inserzioni fotografiche in "lastre" radiografiche, presentate in una mostra, proprio a Recanati, dal titolo:
"E l'anima vola... Respiri di cielo. Relazioni d'amore".
Immagini che racchiudono un racconto di affetti, di storie, di un vissuto che ha l'apparizione coinvolgente di un sorriso, l'intensità di uno sguardo, anche nel dolore della scomparsa, nella fragilità della perdita, nella conclusione ineluttabile, infine nella possibilità, nella speranza.
Così, il freddo di una lastra capace di illuminare la materia sotto la pelle, il simbolo contemporaneo dell'antico oracolo, perde la sua funzione tecnica, abbandona la sua parola inospitale, dimentica la sua figura di spettro fino a trasformarsi in traccia sorprendente, in atto di memoria, in presenza che sboccia ancora da inaspettate radici rimaste sottili.
Una sorta di rizoma che si prolunga in mille direzioni, allargandosi, infittendosi, colmando lo spazio e respingendo il buio, riannodando fili solo apparentemente spezzati.
Il segno compie un nuovo percorso.
E il simbolo diventa immagine: ricompare.
E risponde alla domanda di senso, ancestrale, incessante: si tratta di una "rifondazione".
Insufficiente?
Priva della parola?
Relegata al suo apparire silenzioso?
No.
Transita.
Deve compiere il suo cammino.
Non impone ma disvela.
Giunge alla "riconciliazione".
Nasce un dialogo nuovo.
Come un afflato spirituale intenso: un'espressione di fede che trasforma quelle immagini in qualcos'altro ancora, in un atto collocabile a ridosso del margine estremo, quell'assenza di luce sullo sfondo che simboleggia la possibilità e non più l'annullamento.
L'arte come tramite, l'arte che nel contemporaneo lambisce il sacro, lo ripropone, lo lascia riemergere.
È questa, direi, la traccia più feconda dell'opera di Amneris Ulderigi.
- Nelle Immagini: foto di Amneris Ulderigi e alcune opere dell'artista.
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Sono il tipo di persona che se combatte per se stessa si sente spietata, un mostro. Però sono pure assurdamente convinta di dovere qualcosa a quella me stessa, e lì va in tilt l’algoritmo. Non so come uscirne. Valerio ha provato a mostrarmi l’alternativa, quella in cui avrei dovuto sentirmi a posto con lo spazio che occupo, ma alla fine la sua malattia era più importante di me, forse è per questo che abbiamo fallito. O forse è per questo che lui poteva permettersi di provare ad insegnarmelo, non lo saprò mai. Ad agosto ad un certo punto è morto il signore senza volto che occupava il letto di fianco al suo in terapia intensiva, per me lui era solo il rumore del monitor dietro la tenda di plastica e un’altra cosa molto più umana: il volto scavato e rugoso della moglie che incontravo fuori, in quella terribile sala d’attesa. Lei non avrà mai un nome per me, lui sì: si chiamava Roberto. Quando lui è morto Valerio stava un po’ meglio, e mi ha raccontato di aver fermato la moglie per esprimerle la sua vicinanza. Lei le ha dato un bacio sulla fronte e le ha detto “adesso sono una cittadina libera, perché non si è mai liberi fin quando una persona che si ama soffre”. Io ho paura che sua madre sia stata sollevata dalla sua morte - ne ho paura perché purtroppo lei è sempre stata una figura problematica, ne ho paura perché lo sembra, perché lo è davvero. Ma è normale, siamo esseri complessi e viviamo esperienze che portano sempre dentro ambivalenze, sia io che Valerio non siamo mai sfuggiti a questo genere di consapevolezze. Ma forse ne ho paura soltanto perché ho paura del mio di sollievo, e mi chiedo dove cazzo sia, combatto con quello che di me è sopravvissuto alla sua morte, mi scavo dentro a mani nude per scovare la mia parte di colpa, e mi incazzo peggio perché ancora non la trovo, perché so che deve essere lì da qualche parte. Poi però trovo che ci sia anche dell’altro, una colpa più neutra, il dolore di sapere che a me non è cambiato niente, o poco, quantomeno nei fatti. Il lavoro operato su me stessa per costringermi a fare i conti col fatto che Valerio non poteva più essere il mio pilastro, tre anni fa. Questi tre anni a prendermi il meglio ed il peggio, la sensazione di vuoto derivante da quell’apprendimento forzato: non è il caso di chiamarlo, chiamerà lui. E lui poi chiamava, ma erano i suoi momenti per me, i momenti in cui ero chiamata ad essere per lui, momenti in cui mi dava tantissimo e prendeva quel poco che avevo da dargli, che - lo so - per lui era tantissimo. Lui era tantissimo per me, ma non potevo dipendere da lui, non potevo nemmeno farci affidamento. La prima parte dovrebbe essere normale: l’amore non è dipendenza, giusto? Io però ero stata così pronta a farlo, quando il suo corpo ancora ce lo consentiva. Lo farei anche adesso se potesse essere qui, se potesse contenermi, se potessi contenere lui. Quindi credo di non essere sollevata dalla sua morte, sono portata a credermi sincera, anche se mi pare inaccettabile - il conflitto. Al contrario, però, penso senza remore che la sua morte mi abbia davvero liberata, e per questo mi sento in debito con questo tempo, col momento presente, con quello che stabilirò come normale per i prossimi anni. È difficile. Vorrei darmi il tempo per piangere. Non ci riesco. Ho pianto tantissimo tre anni fa, ho pianto più quando è morta quella speranza di quanto non abbia fatto adesso, che lui è davvero un racconto chiuso, senza possibilità di scrivere nuove pagine. Forse sto strumentalizzando la sua morte, come ho provato invano a fare anche con quella di papà, forse sono un mostro, e adesso non ho più scusanti per chiedere al mondo di lasciarmi stare, nessun alibi in più. Forse ho ragione io e la vita è davvero solo questo, farsene qualcosa di quello che ci succede - qualcosa come qualsiasi cosa, basta che ci cambi. Perché le cose morte non possono più farlo, e quelle vive sono costrette a subire il cambiamento anche quando sono inermi. Io credo di avere questo problema: non mi accetto inerme. Mi ci sento sempre però.
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