#racconti di donne forti
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pier-carlo-universe · 1 month ago
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Sentimi – Il potere delle voci femminili nel romanzo corale di Tea Ranno. Recensione di Alessandria today
Cento voci, una storia: la forza delle donne e dei loro racconti in un romanzo corale intriso di emozioni e memorie.
Cento voci, una storia: la forza delle donne e dei loro racconti in un romanzo corale intriso di emozioni e memorie. Recensione:“Sentimi” di Tea Ranno è un romanzo corale che raccoglie le voci di cento donne, intrecciando le loro storie in un unico racconto che celebra la forza e la resilienza femminile. La narrazione si sviluppa in un piccolo paese siciliano, dove ogni donna porta con sé un…
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ross-nekochan · 5 months ago
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Racconti di viaggio - parte 3
Ultimo punto dell'India è: la tradizione e la famiglia.
L'India mi è parsa una Napoli del dopoguerra anche per questo: l'attaccamento che hanno nei confronti della famiglia è fortissimo. E il matrimonio è uno dei mezzi che hai per ringraziarla. Perché sei obiettivamente obbligato a sposarti, tant'è vero che se non ti riesci a scegliere un partner, ebbene, allora ci pensano loro (roba da 19mo secolo europeo proprio). La coppia sposata va a vivere a casa del marito, letteralmente, non nel palazzo come spesso si fa al sud che si va al piano di sotto o di sopra, nono, proprio nello stesso appartamento (che sono anche più piccoli dei nostri).
Il matrimonio dura diversi giorni, anche se mi hanno detto che la cosa è molto variabile. L'India, più che una nazione è un continente: non si parla la stessa lingua (l'inglese è la lingua comune ufficiale ma non la sanno parlare tutti), non si crede nella stessa religione e le variazioni nella stessa possono essere innumerevoli (peggio del cristianesimo). Il matrimonio a cui ho partecipato io è durato quasi una settimana, anche se io ho vissuto solo 3 giorni: il primo giorno cena con tutti i parenti di entrambe le famiglie; il secondo, meno formale, solo tra i propri parenti; il terzo, cena grande con tutti quanti e col rituale più importante che dura fino al mattino seguente. Ma ci sono state altre funzioni e rituali a cui non ho partecipato. Nota curiosa: nella cultura indù non esiste lo scambio di fedi. Però ci si scambia una corona di fiori che ha bene o male la stessa valenza.
I novelli sposi non si sono mai baciati o abbracciati per tutto il tempo. Probabilmente è dato anche dal fatto che spesso ci si sposa non per amore, ma perché ci si vuole bene, come se si fosse fratelli. Ed è già tanto se si considera che ci si debba sposare per forza.
Infatti anche nei film indiani le scene con baci o leggermente erotiche sono inesistenti e viene messo in scena solo una versione di amore puro, quasi infantile. Il sesso è ancora tabù e la donna deve ancora mantenersi vergine fino alla prima notte da sposa. Allo stesso tempo, lo stupro e la violenza sulle donne è ancora un problema serissimo e le donne che denunciano o che raccontano niente sono praticamente pochissime mosche bianche.
Questi sono i motivi principali per cui l'India è una potenza economica ed è il paese più popoloso al mondo. Quando esistono valori forti come la famiglia, la società ha un futuro perché vivi tutto come obbligo morale ma naturale. Nella nostra cultura da primo mondo questo valore fondamentale si è perso e si vive per sé stessi e nessun altro. È vero, si è liberi, senza catene, ma questa libertà ha un costo psicologico e sociale che spesso non viene menzionato: la solitudine, la depressione, la difficoltà nell'instaurare nuove relazioni interpersonali e, finendo la catena, al calo demografico.
Molto probabilmente l'India affronterà lo stesso problema nei prossimi decenni, dato che, persino la Cina la sta attualmente affrontando. Chissà come diventerà.
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luigifurone · 9 months ago
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12. (Fiesta)
Il fico impudico sta abbandonato. Morbidamente sodo. Giace con l'apertura accesa, col miele che cola. Allargata al sole e forse ai miei occhi, alla mia bocca. Contornati dalle labbra bianche, tese e pronte ad aprirsi ancora, vedo i dentini. Dolci e promettenti.  Potrebbe essere la bocca di un Kraken.  Potrebbe essere un girandola.  Ma io ci vedo solo una voce che offre, una voce buona. Una voce così chiara e semplice che è difficile risponderle alla pari. Vedo il fico in mezzo alle foglie dure e rugose, nella strada che porta alla piazza. I muri sono sabbiati dal sole. Pur non essendo in piazza c'è il vibrare delle parole lontane che arriva addosso. E poi piano piano le persone si addensano fino ad essere i grumi di colore che vengono dalla pennellata più grossa, laggiù, fra poco, ormai. Nelle bancarelle la frutta si mescola agli ortaggi.
In bell'ordine. Peperoni, pomodori, carote, melanzane. Cavoli, mazzetti di prezzemolo. Zucchine, rape, semi da schiacciare. Colori forti e netti che si alternano a sfumature indicibili. Il mistico viola, il bianco che vira al marrone, ma molto chiaro, da distinguerlo appena. Tutto è ancora turgido. Lentiggini, marezzature. Triplici verdi sulla stessa pelle. L'alchimia che continuerà sul fuoco, nelle mani, e soprattutto nei racconti e nei ricordi. Quei racconti che sono diventati piatti da portare a bocche care e che germineranno ancora, nei tempi a venire. E diventeranno altri ricordi, su cui osare con un po' di timore.
Siamo in piazza. Ai margini del vociare risalta il pianto di un bambino, non ha il giocare che vorrebbe.
Stasera passerà tutto. L'odore del grasso che fa le bolle sulle braci, l'odore del vino che s'è rovesciato sul tavolo, quello all'angolo.  Il profumo che esce dai capelli delle donne, che li muovono apposta. Passerà tutto e mentre mi coricherò, sudato, che di fresco non ce ne sarà, e benedetto il sole che scalda anche di notte, ascolterò la scia della festa. Come la lascia il vento quando se ne va dalla pelle e la pelle resta smarrita. E chiederò: "Ti prego. Ancora un altro giorno. Ancora."
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Mia Via, l’ultimo romanzo di Michele Visconti
Il Primo della Classe Mia Via di Michele Visconti edito da Giovane Holden Edizioni è l’ultimo romanzo dello scrittore napoletano. Una storia dai ritmi serrati che inchioda il lettore alla pagina tra piani segreti, violenza, pandemia e “brave persone”. Una di queste è certamente Mia, il killer di professione, soprannominata il Primo della Classe, a cui quel lavoro inizia ad andare stretto, nel quale forse è stata fagocitata per caso e dal quale non ha mai lottato per uscirne. La sua fragilità è ben descritta dallo scrittore napoletano che ce la tratteggia in momenti sfuggenti di pura dolcezza e tenerezza con il suo cane, il suo amico disabile e il fratello.  La storia è ambientata nell’Italia del 2041 attanagliata da una nuova pandemia. Un gruppo di poteri forti lotta strisciando per destabilizzare il Paese e creare un ordine nuovo. Michele Visconti, classe 1979, è napoletano e da qualche anno vive e lavora a Pescara. È un impiegato presso una società di ingegneria come geometra e ha due principali passioni: la scrittura e il disegno. La scrittura in particolare gli ha regalato non poche soddisfazioni, ottenendo buoni risultati in importanti concorsi letterari, tra cui Dieci piccoli indiani e Premio letterario nazionale Bukowski. Ha pubblicato una raccolta di racconti i Fanta eroi (La quercia editore) e per il Giovane Holden edizioni ha pubblicato Il mondo sommerso (2017), l'uomo con la pelliccia (2018), Croce testa (2020) e Il ponte di ghiaccio (2022). Michele Visconti è di casa a Cinquecolonne Magazine. Lo abbiamo già intervistato in occasione degli ultimi due romanzi pubblicati e lo facciamo anche oggi per farci raccontare qualcosa in più sul nuovo libro e sulla scelta dell’ambientazione. Mia Via di Michele Visconti: intervista all’autore Partiamo dal titolo “Mia Via”. Mi piace, e io so che ha un doppio significato. Lo spieghiamo anche ai lettori?  Il titolo richiama il nome della protagonista Mia, ma è inteso anche come la mia strada, la strada di Mia. Quando cominciai a scrivere, avevo intitolato il testo: Pandemia. Poi aggiunsi su dei fogli che avevo stampato, la parola Mia: Mia Pandemia. In fase di pubblicazione però, alla casa editrice non era piaciuto molto. Mi avevano detto che la parola Pandemia non andava bene a quelli del marketing e mi avevano consigliato: Stato profondo. Ho cercato però di conservare la parola Mia, e alla fine ci siamo accordati per Mia Via. Quest’ultimo romanzo mi è piaciuto molto, anche perché ti sei spinto verso un’atmosfera futurista che non avevi mai sperimentato prima. Quanto ti sei divertito a immaginare scenari fuori dalla realtà ordinaria? Ho immaginato un futuro più lontano e più aspro del nostro. È stato un piacere ma in realtà mi è stato utile il trucco, per mettere bene in chiaro che la mia è una storia di fantasia. Se avessi parlato dei giorni nostri, molti avrebbero potuto confondere situazioni reali con le situazioni che ho immaginato. La mia storia è pura invenzione, e l'atmosfera che ho inventato è solo la cornice dei miei protagonisti. I tuoi libri come sempre sono ricchi di contenuti e anche in questo caso ci parli di amicizia, di buoni sentimenti, amori, uomini e donne al bivio e, ahimè anche violenza, tanta violenza. Qual è stata la parte che hai avvertito più impegnativa? Faccio fatica a scrivere di violenza, perché è una cosa mi ha spaventato da bambino. Ora invece mi incuriosisce, ma non sempre sono pronto ad affrontare certi temi, devo sentirmi a mio agio per farlo. È difficile anche descrivere le donne, ma è una cosa che faccio volentieri. Hanno una marcia più ed in ogni situazione portano sempre con sé tanta delicatezza e tanta dolcezza. Cerco nei miei testi di evidenziare delle emozioni, e stati d'animo, nonostante affronti temi molto ardui. Mi auguro di riuscirci almeno un po'.  Perché hai scelto di affrontare un tema ancora molto inflazionato (il virus), specialmente nei romanzi? Non hai pensato che avresti rischiato trattando questo argomento? La pandemia è stato un tema molto gettonato, mi è capitato di leggere delle belle cose in merito, osservazioni dal punto di vista economico, psicologico. Come dicevo prima, la casa editrice non ha voluto tenere quella parola nel titolo. A differenza degli altri, non mi sono soffermato molto su quelle che sono state le vicende reali. Mi sono spostato nel futuro proprio per creare distacco, non volevo che si confondesse quel che è realmente successo con il mio testo. Le vicende del virus fanno da sfondo alla mia storia. La protagonista principale è Mia, con la sua forza e la sua fragilità. Credo che sia uno dei miei personaggi più riusciti. Proprio per questo il titolo originale era: Mia Pandemia, proprio per dire: questa è una mia ricetta. Adesso partirai sicuramente in giro per l’Italia a promuovere il tuo romanzo. Hai già programmato qualche tappa? La possiamo anticipare ai nostri lettori? Oddio, in giro per l'Italia mi sembra un parolone. Qualche giorno fa mi ha intervistato una radio di Venezia, ed ho in programma a breve una presentazione presso l'associazione Culturale Amare Pescara di Piacentino D'Ostilio, la moderatrice sarà Veronica Scogna che ringrazio. La Giovane Holden Edizioni aiuta me e gli altri scrittori a promuovere i nostri testi per fortuna. Compatibilmente con gli impegni di lavoro, sicuramente organizzeremo qualche altro evento per pubblicizzare Mia Via. Approfitto di questo spazio, anche per ringraziare tutte le persone che mi sono vicine. Read the full article
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theauthorvalentina · 2 years ago
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The day is here! My first ever foreign translation. I’m so humbled by this opportunity. Thank you @virgibooks ♥️ and I’m so grateful for my amazing agent @betweave for making this happen 🥰 and @authorsalemsinclair for spearheading this beautiful project. Thank you for making this girl’s dreams come true 🥰 Repost from @virgibooks • Vox potrà anche salvarla dai suoi carnefici... Ma la battaglia più difficile per Bloom è quella con la sua memoria. 💜 Bloom aveva una vita come quella di tutte le altre ragazze. Era felice. Aveva degli amici. Un colore preferito. La sua Boston. 💜 Poi è stata r@pita. Drog@ta. Ha smesso di essere Bloom ed è diventata un codice, un automa, a servizio di un traffico sessuale che ha approfittato di lei in ogni modo. 💜 Finché non arriva Vox. Non è un uomo perbene, non è un missionario... è un agente spietato che usa ogni mezzo possibile per sgominare i trafficanti. 💜 Salva Bloom, la porta a casa sua, la rimette in sesto. Ma ora la battaglia più grande è far ricordare a Bloom chi era. E salvarla di nuovo da ciò che è diventata. UN FIORE SCOMPARSO è la novella di un'autrice che è stata una vera scoperta, Valentina, nonché il 5° volume dell'antologia solidale "Dopo la pioggia." È un racconto che, come gli altri di questa antologia, tratta con rispetto e delicatezza il tema degli abu$i sessuali e il percorso di recupero che donne, uomini e bambini sono costretti ad affrontare dopo aver subito l'impensabile. Il 100% dell'incasso di questo racconto, come di tutti gli altri, verrà permanentemente devoluto a Rainn, per aiutare queste vittime. Lo trovate su Kindle e KU e, quando saranno stati pubblicati tutti gli altri singoli racconti, lo troverete anche nell'edizione cartacea dell'antologia completa. Vi lascio il LINK IN BIO per l'acquisto. 👉🏻 Ci sono scene forti, ma non descrizioni dettagliate di ciò che Bloom ha subito. Come sempre, l'intento di queste autrici non è sottolineare la crudezza dell'abu$o, quanto la speranza di trovare il modo di ricominciare a vivere. Un altro splendido esempio di come ogni autrice possa cogliere qualcosa di completamente diverso nello stesso tema. https://www.instagram.com/p/CfwhKqSryyS/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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fallimentiquotidiani · 5 years ago
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Non credo proprio dolce anonima, ho grandissimo rispetto per uomini e donne dell'industria del porno. Ma non mi sembra che dire che una donna ha la figa slabbrata, sia un opinione. É solo cafonaggine e poco rispetto, tra l'altro per le donne su cui ti fai pure le seghe. Bacini.
In primis non mi faccio le seghe con le pornostar perché ho sempre detto che i porno preparati mi annoiano, sono per l'amatoriale.
In secundis ti sarebbe bastato leggere uno a caso dei miei racconti o dei miei post per vedere che al 90% le protagoniste sono personaggi femminili forti che smerdano dei maschi medi. In uno di questi la protagonista taglia il cazzo al tipo e se lo porta nella borsetta al concerto, quindi hai sbagliato persona, oh se hai sbagliato.
Ma continui a non arrivarci, sarebbe come pretendere di plasmare un sasso e farlo diventare di pongo. O di porno, visto che siamo in tema.
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piusolbiate · 5 years ago
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Solbiate Olona: Nepal e Valle Olona uniti dalla Via Francisca
Una platea attenta e interessata ha affollato l’Auditorium Comunale di Solbiate Olona ieri sera, 17 febbraio, dove sono state presentate due esperienze, anche se diverse tra loro, di cammini.
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Roberto Colombo ha presentato una carrellata di fotografie del cammino di avvicinamento alla base del Monte Everest in Nepal da lui percorso in compagnia di altri italiani.
Ampi panorami montani, volti di bambini donne e uomini nepalesi, panorami di borgate sperdute nelle vallate himalayane, sherpa carichi di materiali da trasportare, templi induisti e buddisti…
Roberto su alcune di queste immagini si è soffermato, ha comunicato ai presenti la sua esperienza, le forti sensazioni ancora percettibili, ha trasmesso conoscenze di modi di vita, di pensiero e tradizioni molto diverse dalle nostre occidentali.
Ha presentato le modalità, condizioni fisiche, tempi e ritmi per poter affrontare il cammino in alture significative con area rarefatta.
Ha raccontato anche alcune vette himalayane e l’Everest, intraviste durante la marcia di avvicinamento al campo base della montagna più alta del pianeta.
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La seconda parte della serata ha visto la brillante presentazione della Via Francisca del Lucomagno presentata da Ferruccio Maruca. Una breve presentazione degli antichi cammini simili alla Via Francisca che collegavano la Pianura Padana con il Centro Europa, chi erano i camminatori/pellegrini del tempo, come si organizzavano, questi i temi che hanno fatto da introduzione alla appassionata narrazione di come si è arrivati alla riattualizzazione dell’antico cammino storico e di quanto è stato realizzato in termini di segnaletica, ricettività e comunicazione per rendere questo cammino utilizzabile dai pellegrini e camminatori di oggi.
Ultima parte è stata la presentazione di alcuni grandi monasteri e siti Unesco presenti sul percorso italo-svizzerio della Via.
Questa presentazione, costellata di informazioni storiche, geografiche, aneddoti, racconti di personaggio e memorie locali ha tenuto desta l’assemblea nonostante la tarda ora
https://www.laviafrancisca.org/nepal-via-francisca/
Roberto Colombo "Sono contento che sia piaciuta la serata; ringrazio il nostro sindaco Roberto Saporiti che l'ha sostenuta, Giuseppe Leo che ha dato un contributo determinante in tutte le fasi di organizzazione e realizzazione dell'evento e Paolo Sotgiu per l'aiuto nell'allestimento del palco. Ho cercato di trasmettere le emozioni che ho provato durante il #trekking e la passione che ti spinge a fare queste esperienze; la stessa che ha trasmesso Ferruccio Maruca nella brillante presentazione della Via Francisca del Lucomagno A questo punto non ci resta che #camminare; vediamo di farlo #assieme perché cosi si fa meno fatica e si va più lontano".
A proposito ecco il programma di Roberto per il tratto italiano della Via Francisca che farà con i soliti amici dal 29 aprile al 3 maggio. Le prime due tappe sono quelle standard con pernottamenti a Cunardo e Varese poi faranno solo 3 tappe anziché le 6 con pernottamento a casa e poi Abbiategrasso. Se qualcuno volesse accompagnarlo anche per un tratto sarebbe bello; magari sabato 2 maggio partendo proprio dal nostro Comune #SolbiateOlona in #ValleOlona fino a Castellanza.
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vividiste · 5 years ago
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~Quando una donna è stanca~
Quando una donna è stanca, ha girato la clessidra e ha deciso di riprendersi il suo tempo, dandosi del tempo, quando una donna è stanca, la vedi svuotata, illusa, delusa. Si è accorta che la sua strada è vuota, che in quella percorsa non c’è nessuno, non c'è mai stato nessuno. Quando una donna è stanca di tutto, te ne accorgi subito, non la vedi più con quella armatura che indossava ogni giorno, quella del sorriso, della spensieratezza, della felicità illusa, non la vedi più riempire i vuoti degli altri, senza mai riempire i suoi, non la vedi più vivere a cento all’ora senza più accettare la quotidianità noiosa, non è più un trofeo, da alzare e conquistare. Quando una donna è stanca ha deciso di cominciare a camminare, di guardare la realtà e indossarsela sulla pelle, e se gli racconti una favola, diventa più stanca. I suoi giorni sono diventati tutti uguali, maledettamente uguali, noiosi, non cerca neanche più un motivo bugiardo per svegliarsi la mattina, anche piccolo, rassegnate le vedi lì, ogni giorno più forti senza più donarsi al prossimo di turno, senza più la voglia disperata di trovare una emozione. Abbiamo ucciso le donne e le favole che stavano dentro di loro, le abbiamo viste sorridere e il sorriso glielo abbiamo tolto, le abbiamo viste donarsi e le abbiamo tradite, e adesso che sono senza più quella armatura che le rendeva forti, felici e spensierate, le lasciamo lì, con il nostro egoismo, accusandole che non sanno più sognare, che non sanno più amare, quando già lo facevano prima. Quando una donna diventa stanca, ha deciso di girare la clessidra, di riempire il suo tempo, e il mondo lo lasciano agli altri, senza più credere che ci possa essere altro. Hanno deciso di essere donne, mettendo da parte i sogni, il futuro e le speranze, hanno deciso di difendere la loro dignità, di non farsi calpestare, di essere se stesse, hanno deciso di chiamarsi per nome, di riprendersi, di amare ancora, ma solo ciò che hanno messo al mondo. Silenziose, straziate dalla vita sono diventate come le foglie d’autunno, si sono staccate dal loro albero e hanno deciso di non amare più nessuno, si fanno trascinare dal vento, senza più la voglia di costruirsi un destino, perché hanno capito che il destino non possono truccarlo. Perché si può essere donne senza essere mogli, si può essere donne rimanendo mamme, si può essere donne senza essere prede. Si può essere semplicemente donne, stanche, senza più nessuno da amare. Ma donne…
Alda Merini 🌻
Foto Pinterest
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julius-scaeva · 5 years ago
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Soo, @kavinskhhy here it is the third chapter: this evening I’ll put the link to the English version too (it’s already on AO3 btw):
Elai non era affatto come se l’era aspettata.
Pur avendo fatto qualche breve viaggio, soprattutto quando era molto piccolo, nei territori della Repubblica, Julius non aveva mai visitato le terre Liisiane, di cui aveva sempre solo sentito parlare nei libri di storia -itreyani- e nei racconti di suo padre, per il quale però qualsiasi cosa che non fosse la capitale si riduceva ad un mucchio di selvaggi con una lingua incomprensibile e fastidiosa. Lo spettacolo che si era ritrovato davanti una volta sceso dalla passerella del pontile, quindi, lo aveva colto impreparato: invece che da una sparuta ammucchiata di casette, Elai era formata da palazzi alti anche numerosi piani, con torri di guardia dei Luminatii visibili anche a chilometri di distanza -per non correre il rischio che un giorno quella provincia si dimenticasse di essere, appunto, una provincia e iniziasse ad agire un po’ troppo di testa sua- e i cui muri, molti di un bianco accecante, riflettevano la luce del sole tanto da fare male agli occhi. Uomini e donne dagli occhi scuri in vesti colorate si aggiravano tra banchi di pesce e carne -presumibilmente il mercato- e, anche a una certa distanza, Julius poteva sentirli contrattare a toni accesi in una lingua di cui non comprendeva che poche parole -tratte dai libri di testo e che, realizzò, nella sua testa aveva sempre pronunciato male- ma che gli sembrò molto più melodiosa della descrizione di suo padre.
Fino a qualche turno prima, non avrebbe mai potuto pensare di trovarsi tanto spaesato in un territorio che, a rigor di logica, apparteneva pur sempre alla sua Nazione e rimpianse di non essersi documentato a dovere, prima di partire.
Certo, ‘Grave era piena di schiavi liisiani -‘Grave era piena di schiavi in generale, se si faceva attenzione-, ma il giovane non aveva mai considerato di intavolare una vera e propria conversazione con uno di loro: era pur sempre figlio di un midollano.
Per quanto tempo lo sarò ancora, però? Si domandò, mordendosi le labbra ed evitando per un pelo di essere schiacciato da un carro, passato troppo vicino ai margini della strada: era in quella che credeva -sperava- essere la strada principale della città, o almeno così gli era sembrato di capire dalle indicazioni in itreyano stentato che aveva ricevuto al porto. La villa di sua zia -identificabile dal simbolo di Aa incastonato sull’estremità superiore dei cancelli, come gli aveva detto il padre- doveva essere lì, da qualche parte, ma tra la polvere, il rumore, il calore combinato dei due soli e il fatto che non mangiava da quasi un giorno intero, sentiva che sarebbe crollato a breve se non l’avesse trovata. Le cinghie di cuoio dello zaino gli stavano incidendo la pelle attraverso la camicia sottile e la borsa stessa, troppo grande sulle sue spalle, gli faceva continuamente perdere l’equilibrio. Malgrado fosse piuttosto alto per i suoi dodici anni, e questo lo portasse a spiccare tra i suoi coetanei, il suo corpo faticava ad irrobustirsi, in quel periodo in particolare soprattutto per mancanza di cibo, e questo conferiva a Julius l’aspetto di una piccola asta dall’aria fragile(1). Se non poteva dire di avere sofferto mai di stenti -i crampi allo stomaco che non ti fanno alzare dal letto, la nausea sempre presente malgrado siano passati giorni dall’ultima volta che hai messo qualcosa sotto i denti, il colorito cinereo di chi ha sempre meno forza in corpo-, nell’ultimo anno più di una volta la sua familia aveva dovuto fare dei sacrifici.
Sacrifici che, evidentemente, non erano bastati.
Atticus gli aveva detto che la zia, moglie del defunto fratello di sua madre, era l’unica erede di una famiglia facoltosa e, perciò, piuttosto ricca lei stessa. Julius non sapeva esattamente cosa avrebbe potuto spingere una donna come lei ad accogliere un lontano parente, ma pregava che il contenuto della lettera che portava con sé si sarebbe dimostrato sufficiente. Era stato più volte tentato di aprirla -voleva conoscere quanto grave fosse la situazione, avere un’idea di cosa avrebbe dovuto aspettarsi da quell’incontro-, ma il sigillo di cera del padre era troppo ben fatto e non aveva candele con sé con cui poter riparare ad eventuali danni. La paura di non essere ammesso nella casa della sua parente oscurava, in quel momento, anche la curiosità.
Un passo alla volta, Julius. Un passo alla volta.
Impossibilitato a continuare per la fatica, posò lo zaino a terra in prossimità di un incrocio e si sedette sopra di esso, gomiti sulle ginocchia e mani che gli sorreggevano il capo: guardandosi attorno, vide che la folla, meno numerosa che al porto, ma in ogni caso piuttosto densa, veniva incanalata verso una strettoia che la obbligava a rallentare, con conseguenti sospiri, alzate di occhi ed esclamazioni di cui, pur non conoscendo la lingua, Julius poteva benissimo intendere il significato.
Ad un certo punto, qualcosa sul margine destro della via attirò la sua attenzione: un uomo, che dall’aspetto sembrava ancora più vecchio di suo padre, si era fermato sotto un balcone, braccio teso in avanti e mano appoggiata contro il muro. Ad una prima occhiata, Julius pensò che fosse un ubriaco appena uscito da un’osteria e che, non riuscendo a stare in piedi, si stesse sorreggendo in tal modo in attesa che i giramenti di capo più forti cessassero. Poi, però, guardandolo meglio, riconobbe degli abiti di buona fattura -non un console, e neanche un tribuno, ma… qualche basso funzionario, magari?- e i suoi movimenti, per quanto strani, non parevano quelli di un avventore in preda ai fumi dell’alcool: sembrava, invece, che stesse parlando con qualcuno. Ma, anche sforzando la vista, il ragazzino non riusciva proprio a capire chi potesse essere il suo interlocutore.
Per un improvviso movimento della calca, il soggetto dovette spostarsi dalla sua posizione e fare qualche passo indietro, chiaramente contrariato dall’essere stato interrotto, e Julius poté finalmente capire chi fosse la controparte di quel dialogo.
Schiacciata contro un muro, con le mani strette a pugno, stava una ragazzina liisiana dalla carnagione olivastra e i lunghi capelli neri raccolti in una treccia che le arrivava fino alla vita: era vestita con quello che un tempo avrebbe potuto essere un buon capo -dopo anni passati ad ascoltare la sua matrigna sproloquiare sul suo guardaroba, Julius aveva accumulato una buona dose di informazioni, per lo più inutili, sulla moda itreyana-, ma che ormai sembrava liso e, soprattutto, troppo corto. Anche le calzature, per quello che era possibile scorgere, dovevano essere nella stessa condizione. Il giovane le avrebbe dato, forse, un paio di anni meno di lui, anche se la statura minuta e il portamento remissivo avevano influito sulla sua valutazione: tutto, dalle spalle ingobbite allo sguardo basso, sembrava indicare un’estrema soggezione nei confronti dell’individuo davanti a lei che in quel momento le stava sorridendo.
Sempre che si potesse chiamare sorriso quella smorfia.
L’uomo allungò una mano e per tutta risposta ella si ritrasse, appiattendosi ancora di più alla parete e diventando, se possibile, ancora più piccola: realizzando di averla intimidita, forse spaventata, il suo interlocutore ritirò il braccio e rimase a pensare per qualche secondo, prima di riassumere quello che Julius non avrebbe esitato a definire un ghigno e tirare fuori dalla borsa un sacchetto marrone. Lo aprì e, malgrado la distanza, il ragazzino poté vedere con certezza che lo sconosciuto aveva tirato fuori due mendicanti, che stava mostrando alla sua interlocutrice con l’aria di chi ha indovinato la mossa vincente degli scacchi.
Lei, all’inizio ancora reticente, sembrò cambiare idea alla vista delle monete e, con movimenti lenti e strascicati, si avvicinò di qualche passo all’uomo, che, sempre con il sacchetto di monete in una mano, alzò l’altra per accarezzarle il viso.
E fu in quel momento che successe.
La ragazzina, eseguendo un movimento che aveva, in tutta evidenza, ripetuto molte altre volte, si scostò dalla mano dell’uomo un istante prima che quella le sfiorasse la guancia, inarcò la schiena e, con uno sguardo negli occhi che nulla aveva a che spartire con l’uccellino tremante che era sembrata fino ad allora,(2) assestò un violento calcio nei gioielli di famiglia dell’individuo di fronte a lei, che cadde in ginocchio con un urlo strozzato, un misto di sorpresa e dolore a decorargli il volto.
Il sacchetto di monete gli cadde di mano.
E lei
lo prese
e iniziò a correre.
Era accaduto tutto in pochi secondi, niente più che un battito di ciglia, ma quasi subito qualche passante più attento degli altri notò la situazione -uomo che si contorceva dal dolore con le mani in una posizione inequivocabile, figura saltellante che si allontanava da lui- e si lanciò all’inseguimento di quest’ultima.
C’era, però, un problema: come Julius aveva giustamente notato, in quel punto la via era preda di un ingorgo quasi costante e nessuno, tra i massicci mercanti presenti, aveva la corporatura adatta per muoversi con destrezza in spazi tanto ristretti.
Nessuno tranne la ladra.
Non passò molto tempo prima che ella diventasse infatti irraggiungibile a coloro che le stavano alle calcagna: tra gomitate, falsi scivoloni e balzi, la ragazzina, che, lasciata da parte la maschera del povero cucciolo indifeso, sembrava ora essere percorsa da una corrente arkemica, si faceva strada con sorprendente facilità e una sicurezza che lasciava intendere un controllo totale della situazione. Qualche attimo ancora, e tutti gli altri l’avevano persa del tutto di vista.
Solo Julius riuscì a seguirla ancora per qualche secondo. Ella, infatti, prima di sparire in uno dei vicoli laterali, si girò nella direzione dove aveva lasciato il vecchio -ancora a terra, più per l’orgoglio ferito che per reale dolore- e, schiena dritta e mento alzato -in una posizione che al suo unico osservatore ricordò più una domina midollana che un’adolescente di strada-, fece a lui e a tutti quelli che ancora la stavano cercando un plateale gesto delle nocche. Alzò poi lo sguardo verso l’altro lato della strada e lì, per meno di un attimo, incrociò lo sguardo di Julius.
Una domanda inespressa aleggiò sulle loro teste, quando ella si rese conto che qualcuno l’aveva vista. Che qualcuno sapeva dov’era.
Una domanda che si dissolse nell’aria quando Julius scosse il capo e increspò le labbra in un sottile sorriso.
Un istante più tardi, in quel vicolo non c’era nessuno.
Dopo quella breve parentesi, Julius aveva deciso di rimettersi in marcia il più in fretta possibile. Aveva avuto più volte conferma della regola aurea che autorizzava l’ira dei potenti -quando l’oggetto della loro frustrazione non era reperibile- ad usare come ripiego i loro sottoposti meno fortunati e, anche se lui non aveva avuto direttamente a che fare con lo scippo, sapeva come sarebbe apparso, agli occhi di estranei: un ragazzo con i vestiti polverosi, uno zaino in spalla, privo di denaro, e nessuno a prendere le sue difese. Di capri espiatori del genere, a ‘Grave, se ne vedevano a dozzine.
Certo, avrebbe anche potuto andare dal funzionario e segnalargli la direzione verso cui era sparita la ragazza, ma, punto primo, dubitava che sarebbero riusciti a trovarla, e, punto secondo, non provava grande simpatia per gli idioti che si facevano fregare così facilmente.
Suo padre non era la lama più affilata dell’arsenale -di questo, il ragazzo era tristemente conscio-, ma se c’era una cosa in cui aveva eccelso, da un punto di vista oggettivo, era far aprire molto presto gli occhi del proprio figlio su quale fosse la realtà di ‘Grave e della Repubblica in generale. Julius non ricordava che il padre gli avesse mai letto -o lasciato leggere, se era per questo- favole per bambini, né che avesse mai cercato di edulcorare l’ambiente attorno a loro, e almeno di questo, a conti fatti, gli era grato: sarebbe stato di sicuro peggio svegliarsi un giorno e vedersi crollare il mondo addosso -realizzare che la vita era crudele, che il Semprevigile aiutava chi si aiutava prima da solo-, piuttosto che crescere già con quella mentalità.
E anche se ogni tanto Julius si faceva delle domande e si chiedeva perché Itreya fosse arrivata a quel punto, se fosse sempre stata così -priva di speranza tranne che per coloro che sapevano come muoversi nelle sue ombre-, e nonostante non si sentisse perfettamente a suo agio con le risposte che si dava -una pesantezza nel petto e un gusto amaro in bocca-, si era sempre concentrato sul tenere a bada la paura di cadere lui stesso.
Ascolta quanto puoi.
Sta’ in silenzio quando devi.
Non abbassare mai la guardia.
Non ci sarà nessuno a impedirti di precipitare, se farai un passo falso.
Per questo non aveva rivelato a nessuno quello che aveva visto, sulla strada principale: la ragazzina aveva capito le regole del gioco e le aveva sfruttate a suo favore.
Era un atteggiamento, quello, quantomeno degno di stima.
Lo zaino aveva di nuovo cominciato a fargli male alle spalle e pregò Aa di essere sulla strada giusta: non sapeva per quanto a lungo sarebbe potuto andare avanti in quelle condizioni.
Stava quasi sedersi di nuovo sul polveroso selciato sotto di lui -chiudere gli occhi, trarre un respiro profondo, immaginare per qualche secondo di essere ancora a ‘Grave-, quando vide la fila di case interrompersi per lasciare spazio a un muro di cinta piuttosto lungo, al cui centro spiccava un enorme cancello, bianco a tal punto da risultare quasi accecante. In mezzo ad esso, infine, i tre occhi del Semprevigile.
Era arrivato.
Malgrado tutti suoi ragionamenti, Julius era pur sempre un ragazzino e la prospettiva di poter essere ricevuto dopo tutti quei turni in un ambiente accogliente, seppur lontano dalla sua città e dalle uniche due persone che aveva sempre considerato la sua familia, lo riempì di un po’ di calore.
Ora doveva solo sperare che la zia lo accogliesse.
Tenendo la mano sinistra sulla camicia e traendo conforto dalla sensazione della carta da lettere sotto di essa, si avvicinò al cancello e si guardò attorno: la casa vera e propria era a qualche piede da lì, troppo lontana per arrivare fino alla porta e bussare, ma sulla destra del muro vi era un cordone collegato ad una campana, presumibilmente per annunciare la propria presenza alla padrona di casa.
Con il cuore che gli batteva forte nel petto e la fronte sudata per il gran caldo, Julius prese la cordicella tra le mani tremanti e la tirò una, due, tre volte.
E restò in attesa.
Per una manciata di secondi -un tempo spaventosamente lungo se hai dodici anni e sei a mille miglia da casa- non successe nulla, e Julius iniziava già a temere che qualcosa fosse andato storto, che le indicazioni che aveva ricevuto fossero sbagliate, che Atticus lo avesse semplicemente mandato lì per toglierselo di torno, quando la porta della casa si aprì.
“Chi è?” chiese una voce femminile con un marcato accento liisiano.
“Sono Julius” rispose lui, sforzandosi di mantenere la voce ferma e di darle un’intonazione di cui suo padre sarebbe andato fiero “Julius Scaeva. Mio padre mi ha inviato da voi, mea domina”
Di nuovo, vi fu un momento di silenzio.
Poi, finalmente, la risposta.
“Tuo padre è Atticus Scaeva?”
“Sì, mea domina. Ho una lettera per voi con cui…”
“Ti stavo aspettando. Mando qualcuno ad aprirti. Bada bene, però: sei già in ritardo”
Al sentire quelle parole, il momentaneo sollievo che Julius aveva provato quando la padrona di casa aveva risposto si tramutò in una profonda inquietudine: Atticus gli aveva detto che non c’era stato tempo di avvertire la zia, che quello era il motivo per cui gli consegnava la lettera.
E lui, come uno stupido, ci aveva creduto.
Ma se invece lei sapeva che stava arrivando…
Su cos’altro poteva avergli mentito suo padre?
Aveva una pessima, pessima sensazione(3).
Perso nei suoi pensieri, quasi non si accorse che un uomo, basso e tarchiato, probabilmente un servitore, era arrivato ad aprirgli e gli faceva segno di seguirlo.
I tre occhi del Semprevigile, infissi nel cancello come lo erano nella volta celeste, lo osservarono entrare.
(1) Come immagino potrete immaginare da voi, l’aspetto in questo caso traeva piuttosto in inganno.
(2) Assomigliava, se mi permettete un paragone poco signorile, più a un kraken delle sabbie piuttosto incazzato. Oppure, se avete in voi l’animo dei poeti, ad un esemplare femmina di ragno sorgivo.
(3) Julius ebbe modo di imparare, col tempo, che raramente il suo istinto sbagliava a temere il peggio.
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pleaseanotherbook · 5 years ago
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BEST OF 2019: I DIECI LIBRI PIÙ BELLI LETTI QUEST’ANNO
È venerdì 3 gennaio, sono in pausa pranzo dopo aver ripreso in mano la email di lavoro e la mia agenda e cercando di raccapezzarci qualcosa, il problema è che ho rimosso tutto. Per fortuna il vero problema sarà rientrare in ufficio il 7 gennaio, con il clamore del rientro. Ma questo è un dettaglio per un altro momento. Fare i conti con le mie letture dell’anno potrebbe essere più problematico che mai, dal momento che ho si raggiunto la sfida di Goodreads di leggere 100 libri, ma ho barato un po’: ho letto tanti libri brevi, tante novelle, tante raccolte di racconti, tante romance. Se ripenso ai libri davvero belli che ho letto quest’anno me ne tornano in mente pochi. E in effetti sono poche le letture che hanno colpito il mio immaginario. Ho recuperato un sacco in realtà durante le vacanze di Natale, solo a dicembre ho letto 22 libri, che sono tantissimi (certo, valgono le raccomandazioni di cui sopra). È per questo che quest’anno voglio darmi un obiettivo più basso, ma leggere libri di sostanza, che mi interessano davvero e che non sono semplici tappabuchi. Non che quelli che ho letto quest’anno non mi abbiano intrigato, preso, conquistato. Ma sono stata piuttosto pigra. La sera ho preferito andare a letto o guardare serie tv (ho rifatto una super mega maratona di Scrubs, telefilm della vita) e/o drama.
Ma voglio sicuramente rimediare nel 2020. Vorrei leggere della bella narrativa, orientarmi di più sui saggi, e tornare a leggere classici. Ecco mi piacerebbe avere un insieme di letture più consistente, meno quantità e più sostanza. Considerando che per me le romance sono un vero e proprio antistress vedremo come si metterà. Un’altra cosa che mi piacerebbe fare è leggere i cartacei che ho accumulato nel tempo, ormai sono davvero sommersa, ho pile ovunque. E pur avendone letti tanti, tantissimi restano intonsi, a meno degli autografi che ho beccato.
 E ora, eccoci con l’elenco dei dieci libri più belli che ho letto quest’anno, ci tengo a precisare che non si tratta di una classifica, ma di un elenco casuale. Tra l'altro si tratta di una classifica tutta al femminile, e non posso che esserne infinitamente contenta.
Enjoy!
I leoni di Sicilia – Stefania Auci
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Dal momento in cui sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra, nel 1799, i Florio guardano avanti, irrequieti e ambiziosi, decisi ad arrivare più in alto di tutti. A essere i più ricchi, i più potenti. E ci riescono: in breve tempo, i fratelli Paolo e Ignazio rendono la loro bottega di spezie la migliore della città, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni dagli spiantati nobili palermitani, creano una loro compagnia di navigazione… E quando Vincenzo, figlio di Paolo, prende in mano Casa Florio, lo slancio continua, inarrestabile: nelle cantine Florio, un vino da poveri – il marsala – viene trasformato in un nettare degno della tavola di un re; a Favignana, un metodo rivoluzionario per conservare il tonno – sott’olio e in lattina – ne rilancia il consumo in tutta Europa… In tutto ciò, Palermo osserva con stupore l’espansione dei Florio, ma l’orgoglio si stempera nell’invidia e nel disprezzo: quegli uomini di successo rimangono comunque «stranieri», «facchini» il cui «sangue puzza di sudore». Non sa, Palermo, che proprio un bruciante desiderio di riscatto sociale sta alla base dell’ambizione dei Florio e segna nel bene e nel male la loro vita; che gli uomini della famiglia sono individui eccezionali ma anche fragili e – sebbene non lo possano ammettere – hanno bisogno di avere accanto donne altrettanto eccezionali: come Giuseppina, la moglie di Paolo, che sacrifica tutto – compreso l’amore – per la stabilità della famiglia, oppure Giulia, la giovane milanese che entra come un vortice nella vita di Vincenzo e ne diventa il porto sicuro, la roccia inattaccabile.
Di questo libro mi rimarrà impresso l’abbraccio che ci siamo date io e Stefania Auci nello stand della Gems nel mezzo del Salone del Libro, in cui perse completamente le speranze di incontrarla, me la sono trovata di fianco mentre salutavo Alice Basso e naturalmente ha autografato la mia copia del romanzo. Ma di questo libro ero immensamente curiosa: un po’ perché seguendo la Auci da tanto tempo so quanto sia meticolosa, attenta, capace, un po’ perché le saghe familiari sono uno dei filoni che più mi attraggono, soprattutto se parliamo di uno sfondo storico, soprattutto se verità e leggenda si confondono. La storia di una famiglia, di una città, di una impresa dai colori sgargianti del mare, dai profumi delle spezie, dai miasmi delle carcasse dei tonni, dalle intemperanze degli uomini e dai sentimenti autentici di chi cerca di emergere a dispetto di tutto.
La mia recensione.
Circe – Madeline Miller
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Nella casa del dio Sole nasce una bambina, Circe, tanto diversa dai suoi genitori e fratelli divini. Ha un aspetto fosco, un carattere difficile e, soprattutto, preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Per queste sue eccentricità, e a seguito dei primi amori infelici, finirà esiliata sull'isola di Eea, dove affinerà le arti magiche, scoprirà le virtù delle piante e apprenderà a addomesticare le bestie. Qui il suo destino si incrocerà con quello di alcuni dei principali eroi della mitologia classica: l'inventore Dedalo e il suo figlio ribelle Icaro, il mostruoso Minotauro, l'avventuroso Giasone e la tragica Medea, e poi, naturalmente, il suo amato Odisseo, ma anche il figlio di lui Telemaco e la moglie Penelope…
Quando si affrontano personaggi tanto famosi c’è sempre una certa trepidazione, perché inevitabilmente si deve fare i conti con l’immaginario collettivo, la tradizione consolidata, i mille tentativi di rappresentazione più o meno riusciti. Circe poi è un personaggio controverso e complicato che non si conquista certo un bel posto nelle preferenze dei lettori, soprattutto per quell’immagine inquietante della maga che trasforma gli uomini in maiali presa da una rabbia feroce e irrefrenabile. Eppure la Miller riesce in un’impresa meravigliosa, prendere Circe e trasfigurarla, in una donna, in una figura femminile forte, consapevole, intelligente, umana. Circe è la somma delle proprie scelte, dei propri sentimenti, dei propri incantesimi. È l’emblema della maga, ma è anche una donna appassionata e passionale, che vive tutte le sue battaglie con coraggio e amore. Questa è la storia di una dea maga, ma è soprattutto la storia di una donna alle prese con tutto il caleidoscopio di esperienze che la rendono umana.
La mia recensione
LeAli – Rebecca Quasi
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Una figlia appena nata, una promessa alla quale non può sottrarsi e un futuro tanto incerto quanto doloroso, sono ciò che Adriano Abregal, ingegnere di Formula Uno, si trova a dover affrontare. Il fatto che al suo fianco ci debba per forza essere Bianca Bastiani, una ballerina dallo stile di vita turbolento, non è certo incoraggiante. E per far funzionare la cosa i due “soci” studiano un patto blindato e preciso come un pit stop, una terra di nessuno asettica e impersonale dove all'apparenza sentimenti e passione non dovrebbero avere diritto di cittadinanza.
Ci sono incontri fortuiti e non premeditati che avvengono per caso e riescono a cambiare prospettiva sulle cose. Ci vuole poco in effetti e poi riescono a cambiare le prospettive. Con Rebecca Quasi è stato così, me ne stavo a lamentarmi su Goodreads del fatto che non trovassi romance all’altezza delle mie aspettative, quando una ragazza mi ha suggerito il suo nome. A quel punto è stato inevitabile comprare il primo libro e leggerlo, innamorarmi, e letteralmente macinare le pagine di tutta la sua produzione in una decina di giorni frenetici. E questo volume non fa eccezione, forse il mio preferito. Le sue storie riescono a restituire una atmosfera in cui riconoscersi, storie realistiche, mai banali, che allo stesso tempo non hanno bisogno di chissà di quale artificio per essere godibili. “LeAli” non fa eccezione e si illumina di due protagonisti dalle passioni forti e contrastanti che però riescono a trovare più di un punto in comune. Una storia che sembra svolgersi su un palcoscenico, la danza, inquieta e impietosa, di due dolori che si intersecano per creare una nuova realtà. Un cerchio che si chiude guidato dalla penna magica di Rebecca Quasi.
La mia recensione
I Cieli – Sandra Newman
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New York, 2000. Kate e Ben si incontrano a una festa e s'innamorano subito. È l'alba di un nuovo millennio, il primo senza una guerra in nessuna parte del mondo. L'ONU ha appena piantato la sua bandiera su Marte. Una senatrice del partito dei verdi sta per diventare la prima presidente degli Stati Uniti. Kate si addormenta, consapevole di essere amata. Londra, 1593. Da sempre, ogni notte, Kate sogna di essere Emilia, musicista e poetessa italiana nell'Inghilterra della fine del Cinquecento. Tormentata dal presagio di una città bruciata e distrutta, decide di salvare il mondo. Ogni decisione che prenderà, influenzerà la vita di un giovane e sconosciuto poeta, William Shakespeare, quella di Kate e di Ben, il mondo del Duemila. Una storia d'amore, di universi alternativi, di follia, di poesia e di viaggi nel tempo. Un sogno annidato in un bizzarro risveglio; un romanzo su quel che abbiamo perduto e quel che ancora possiamo salvare.
È difficile incasellare questo libro, è difficile trovargli una collocazione ed è anche estremamente complicato parlarne senza spoilerare tutto, in un incastro di situazioni sempre più rapide in un mondo che evolve con un battito di ciglia. È una storia travolgente, che ridisegna i confini del mondo così come lo conosciamo e che si riassesta ad ogni cambiamento, ad ogni modifica in maniera quasi incongruente. Una storia incerta e assoluta, la sovrapposizione di così tanti layer, di così tante decisioni, che è il risultato probabilmente anche delle interpretazioni del lettore. A tratti angosciante e a tratti illuminante, I Cieli è una storia da leggere in un fiato.
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Persone normali – Sally Rooney
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A scuola Connell e Marianne fanno finta di non conoscersi. Lui è popolare e ben inserito, la star della squadra di calcio della scuola, lei invece è una solitaria, orgogliosa e ci tiene alla sua privacy. Ma quando Connell va prendere sua madre che fa la domestica a casa di Marianne, una strana e indelebile connessione cresce tra i due adolescenti – una connessione che sono determinati a tenere nascosta. Un anno più tardi, stanno entrambi studiando al Trinity College a Dublino. Marianne ha trovato il suo posto in una nuova realtà sociale, mentre Connell rimane in disparte, timido e incerto. Durante i loro anni al college, Marianne e Connell si rincorrono, deviando verso altre persone e possibilità, ma sempre, magneticamente e irresistibilmente attratti l’uno verso l’altro. Poi, mentre lei vira verso l’autodistruzione e lui inizia a cercare significati altrove, devono confrontarsi entrambi su quanto entrambi sono disposti a sacrificare per salvare l’altro. Sally Rooney porta il suo brillante acume psicologico e la sua prosa in una storia che esplora il sodalizio di classe, l’elettricità del primo amore e il complesso legame tra famiglia e amicizia.
È una storia potente che sfugge alle linee guida della narrativa e si incunea nella descrizione dei millennial, con i loro egoismi, le loro sensazioni, le loro idiosincrasie e le loro inadeguatezze. Le storie, anche quelle d’amore, partono sempre dagli individui singoli che creano una coppia, partono dai loro pensieri, le loro emozioni, le loro paure. È sempre la somma di due entità che si amalgamano, di scelte che si comprimono, di egoismi che si snaturano. Non è facile trovare il compromesso, non è facile prendere in mano la propria vita, soprattutto quando sei in una provincia dispersa, con i pregiudizi che si affastellano intorno a te. Sally Rooney ha la capacità di cristallizzare momenti e fissare dialoghi in diapositive che riassumono il disincanto di una generazione e i disagi della giovinezza, in un imperativo impellente che sfugge le logiche di quella che comunemente chiamiamo normalità.
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Le avventure di Washington Black – Esi Edugyan
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George Washington Black, detto Wash, è uno schiavo di undici anni in una piantagione di canna da zucchero delle Barbados. Wash è terrorizzato dalla scelta del suo padrone di cederlo al fratello come servitore. Con sua sorpresa, tuttavia, l’eccentrico Christopher Wilde risulta essere un naturalista, un esploratore, un inventore e, soprattutto, un abolizionista. Presto Wash viene introdotto in un mondo di bizzarre invenzioni, in cui una macchina volante può trasportare un uomo attraverso il cielo, dove un ragazzo nato in catene può abbracciare una vita di dignità e libertà e dove due persone, separate da classi sociali distinte, possono vedersi solo come esseri umani. Ma quando un uomo viene ucciso e viene messa una taglia sulla testa di Wash, Christopher e Wash devono abbandonare tutto. Quello che segue è il loro volo lungo la costa orientale dell’America e, infine, verso un remoto avamposto nell’Artico. Presto la fuga spingerà Wash ancora più lontano, alla ricerca del suo vero sé. Dai campi di canna da zucchero dei Caraibi al lontano Nord, dai primi acquari di Londra agli inquietanti deserti del Marocco, La storia di Washington Black racconta una faccenda di tradimento, amore e redenzione, ponendo una domanda universale: qual è la vera libertà?
Questo libro mi è apparso davanti gli occhi in una scorribanda in libreria questa estate. La copertina mi ha incuriosita, la trama mi ha conquistato completamente. Prendete una storia insolita, un esploratore, un pallone aerostatico ed eccomi sono pronta a partire per l’avventura. E in effetti questo libro ti risucchia completamente nella storia. La storia di Esi Edugyan è una freccia scagliata nel buio, che segue, inevitabilmente le peregrinazioni di un giovane uomo che sfugge a tutta quella che potrebbe essere la sua condizione di schiavo fino alla fine dei suoi giorni per una serie fortuita di eventi. Ma anche chi ce la fa in fondo, ha sempre dalla sua lo zampino della sorte, che fornisce o le condizioni ideali o i presupposti per far muovere i passi alla storia. Descrizioni incredibili, un’emozionante avventura, un viaggio fisico e mentale per il globo e nel cuore alla ricerca delle risposte alle domande universali che sono in testa all’uomo da secoli. Perché la vita è un viaggio e ogni viaggio una scoperta.
La mia recensione
Una volta è abbastanza – Giulia Ciarapica
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L'Italia è appena uscita dalla guerra. A Casette d'Ete, un borgo sperduto dell'entroterra marchigiano, la vita è scandita da albe silenziose e da tramonti che nessuno vede perché a quell'ora sono tutti nei laboratori ad attaccare suole, togliere chiodi, passare il mastice. A cucire scarpe. Annetta e Giuliana sono sorelle: tanto è eccentrica e spavalda la maggiore - capelli alla maschietta e rossetti vistosi, una che fiuta sempre l'occasione giusta - quanto è acerba e inesperta la minore, timorosa di uscire allo scoperto e allo stesso tempo inquieta come un cucciolo che scalpita nella tana, in attesa di scoprire il mondo. Nonostante siano così diverse, l'amore che le unisce è viscerale. A metterlo a dura prova però è Valentino: non supera il metro e sessantacinque, ha profondi occhi scuri e non si lascia mai intimidire. Attirato dall'esplosività di Annetta, finisce per innamorarsi e sposare Giuliana. Insieme si lanciano nell'industria calzaturiera, dirigendo una fabbrica destinata ad avere sempre più successo. Dopo anni, nonostante la guerra silenziosa tra Annetta e Giuliana continui, le due sorelle non sono mai riuscite a mettere a tacere la forza del loro legame, che urla e aggredisce lo stomaco. In queste pagine che scorrono veloci come solo nei migliori romanzi, Giulia Ciarapica ci apre le porte di una comunità della provincia profonda: tra quelle colline si combatte per il riscatto e tutti lottano per un futuro diverso. Non sanno dove li porterà, ma hanno bisogno di credere e di andare.
È uno di quei libri capitati per caso nella mia lista delle cose da leggere, ma sono rari i libri ambientati nelle Marche, mia terra di origine e non potevo lasciarmi scappare l’occasione di immergermi in quelle colline baciate dal mare e dalla montagna, con quintali di storia da scoprire e centinaia di piccoli Borghi. La Ciarapica mi ha conquistato fin dalla prima pagina, con il suo linguaggio schietto e le descrizioni stringate, con il carattere tipico di un popolo un po’ diffidente e un po’ alla buona. Giulia Ciarapica ha tratteggiato una storia che supera i confini di un territorio e parla a tutti, pur conservando strette le proprie radici. Questa è una storia di forza, di sacrificio, di valori che si nutrono di sofferenze e sorrisi, di famiglia e di nemici, con un finale mozzafiato. Benvenuti nelle Marche.
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La fabbrica delle bambole - Elizabeth Macneal
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Giorno dopo giorno Iris Whittle siede nell’umido emporio di bambole di Mrs Salter e, china sui visi di porcellana in lavorazione, dipinge schiere di boccucce e occhietti tutti uguali. Ma la notte esce di soppiatto dal letto, scende in cantina, tira fuori colori e pennelli e riversa sulla carta la sua passione per la pittura. La tecnica è primitiva, certo, la famiglia e la società contrarie, e perfino la sua gemella Rose, un tempo sua complice ma ora esacerbata da un male che l’ha deturpata per sempre, le è ostile. E c’è quel leggero difetto della spalla a consigliarle di cercarsi un buon marito e accontentarsi di quel che ha. Ma lo spirito di Iris è indomito, la sua vocazione prepotente e, quanto alla presenza femminile nell’arte pittorica, non esiste forse il precedente di Lizzie Siddal, pittrice oltre che modella di John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, esponenti di quella cosiddetta «Confraternita dei Preraffaelliti» che fa tanto parlare di sé? Quando Louis Frost, un altro membro della stessa cerchia, le chiede di posare per lui, Iris, in spregio a ogni convenzione del decoro vittoriano, accetta, ma solo in cambio di lezioni private di pittura. Per lei si aprono nuovi orizzonti: la libertà per sé e quelli che ama, da sua sorella Rose al generoso monello di strada Albie, l’arte, l’amore, molti incontri importanti, alcuni insospettati. Passeggiando in quella tumultuosa fucina di novità che è il cantiere per la Grande Esposizione di Hyde Park, la sua figura singolare cattura lo sguardo di un passante fra i molti. È Silas Reed, tassidermista di poco conto e grande ambizione, con un morboso attaccamento per le cose morte e una curiosa predilezione per ciò che è imperfetto. Silas, Iris, Louis, il monello Albie, le prostitute del bordello, i clienti della taverna, i pittori preraffaelliti danno vita a un romanzo storico vividissimo e carico di tensione che appassionerà i lettori di Jessie Burton e Sarah Perry.
Questo libro è entrato nelle mie cose da leggere perché mi sono innamorata a prima vista della copertina (curioso vero?) e perché al primo accenno di atmosfere della Londra Vittoriana ero già partita per la tangente, compreso il riferimento ai pittori Preraffelliti che mi hanno sempre colpito molto. Ci è voluto un attimo per perdermi nelle atmosfere di questo libro, e innamorarmene. Sono sempre particolarmente affascinata dalle atmosfere vittoriane, di quella Londra ottocentesca che si sviluppa all’ombra delle fabbriche a vapore e che si destreggia tra la povertà estrema e la ricchezza più sfarzosa, che trova il suo culmine proprio nella Grande Esposizione, un ricettacolo di invenzioni, scoperte, eventi. La bravura della Macneal, una ceramista, sta proprio nella sua incredibile bravura nel delineare personaggi e situazioni, tratteggiandoli con pochi semplici tratti. Una storia affascinante e misteriosa, che segue le aspirazioni, le paure e gli amori di un gruppo di persone apparentemente lontanissime tra loro, ma collegate dalla trama del destino. Un viaggio tra tecniche di imbalsamazione, studio pittori e stratagemmi per la sopravvivenza. Un ritratto magico e impressionante della Londra Vittoriana.
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Chirù – Michela Murgia
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Quando Eleonora e Chirù s'incontrano, lui ha diciotto anni e lei venti di più. Le loro vite sembrano non avere niente in comune. Eppure è con naturalezza che lei diventa la sua guida, e ogni esperienza che condividono - dall'arte alla cucina, dai riti affettivi al gusto estetico - li rende più complici. Eleonora non è nuova a quell'insolito tipo di istruzione. Nel suo passato ci sono tre allievi, due dei quali hanno ora vite brillanti e grandi successi. Che ne sia stato del terzo, lei non lo racconta volentieri. Eleonora offre a Chirù tutto ciò che ha imparato e che sa, cercando in cambio la meraviglia del suo sguardo nuovo, l'energia di tutte le prime volte. È cosí che salgono a galla anche i ricordi e le scorie della sua vita, dall'infanzia all'ombra di un padre violento fino a un presente che sembra riconciliato e invece è dominato dall'ansia del controllo, proprio e altrui. Chirù, detentore di una giovinezza senza più innocenza, farà suo ogni insegnamento in modo spietato, regalando a Eleonora una lezione difficile da dimenticare. Michela Murgia torna al romanzo, e lo fa con coraggio, raccontando la tensione alla manipolazione che si nasconde anche nel più puro dei sentimenti. Negli occhi di Eleonora e Chirù è scritta la distanza fra quello che sentiamo di essere e ciò che pensiamo di dovere al mondo: l'amore è la più deformante delle energie, può chiederci addirittura di sacrificare noi stessi.
Potevo probabilmente scegliere altri libri della Murgia, ne ho letti altri nel 2019, Il mondo deve sapere o Noi siamo tempesta, ma è Chirù che più mi ha colpito. È una storia complicata e anche provocatoria, sopra le righe e un po’ inquietante, ma è anche molto onesta e offre parecchi spunti di riflessione. La Murgia scava in Eleonora e attraverso di lei veniamo a scoprire anche le contraddizioni presenti in Chirù, il suo allievo. Ma la protagonista indiscussa è lei, una donna che lotta per affermarsi, ma che è troppo fragile per essere davvero felice. Un complesso racconto che si staglia tra un passato rivangato sempre più malvolentieri più ci si avvicina al nocciolo della imperturbabilità di Eleonora e alle vere ragioni del suo tentennare, quel passato che plasma e uccide pezzi di noi. Una storia complessa che mi ha molto colpito.
La mia recensione.
E ogni corsa è l’ultima – Leila Awad
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“Lui è mio” è quello che Daisy Potter pensa guardando Niccolò De Santis, con orgoglio, gioia e un pizzico di paura. Su Niccolò ha costruito i propri progetti per il futuro, i sogni, le speranze. Non come fidanzato o come amante, ma come pilota di punta della scuderia di Formula 1, la Potter Racing, di cui sta prendendo le redini. Quello che Daisy non ha considerato, però, è che Niccolò non è solo il vip che nel tempo libero si improvvisa dj e si accompagna a modelle sui red carpet. Quando una convivenza obbligata li costringe a mettersi a nudo, in una Roma da scoprire attraverso le parole di un diario antico secoli, ogni distanza comincia ad affievolirsi e quel “è mio” assume tratti diversi. Troveranno il coraggio di affrontare i rispettivi sentimenti o si nasconderanno dietro muri di maschere e paure?
Questo libro è in questo elenco perché se devo pensare ad un libro che mi ha fatto bene al cuore penso inevitabilmente alla storia di Daisy e Niccolò. Leggerla è come fare un tuffo in una realtà alternativa e si percepisce immediatamente la passione per un mondo, come quello della Formula1, serio, dinamico, sfidante e totalizzante. La storia di Daisy e Niccolò è un viaggio, alla scoperta delle proprie passioni e delle proprie origini che lascia lo spazio a nuove emozionanti avventure. E io, ne voglio ancora. La bravura di Leila emerge chiara dalle pagine, in una corsa contro il tempo e contro le paure dei protagonisti, in un incontro scontro che evolve tra momenti magici e atmosfere adrenaliniche, in mezzo ad un mondo, come quello della Formula1, che non lascia troppi spazi a dubbi.
La mia recensione
Quali sono i libri che hanno segnato il vostro 2019?
Raccontatemelo in un commento.
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corallorosso · 5 years ago
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dalla A di Pamela Anderson alla Z di Vittorio Zucconi: Pamela Anderson / attrice, fotomodella “premio Nobel, la nuova leader della sinistra, italiana e globale”, “la preferivo in costume” Ambra Angiolini / conduttrice, attrice “Non tutte le donne hanno la fortuna di essere ricche e famose” Anarchici “vigliacchi, nazisti rossi” Anpi – Associazione nazionale partigiani “fate schifo” Asia Argento / attrice “mi racconti i problemi che hai e vedo se posso aiutarti” Jean Asselborn / politico lussemburghese “non hanno nessuno di più normale che faccia il ministro?” Cesare Battisti / ex terrorista “vigliacco”, “non è rieducabile, non deve uscire dal carcere fino alla fine dei suoi giorni” Don Marco Bedin / sacerdote “dovrebbe candidarsi alle elezioni anziché impiegare il suo tempo insultandomi sul bollettino della parrocchia” Don Massimo Biancalani / sacerdote “buonista pro-immigrazione” Tito Boeri / economista, ex-presidente Inps “è in perenne campagna elettorale: ha stufato. Si dimetta, si candidi col Pd alle Europee e la smetta di diffondere ignoranza e pregiudizio”, “vive su Marte” Laura Boldrini / ex presidente della Camera “ci è o ci fa?”, “questa vive su un altro pianeta” Massimo Cacciari / filosofo “intellettualone di sinistra sempre agitato” Andrea Camilleri / scrittore “sinistro” Luciano Canfora / storico e saggista “professorone di sinistra” Luca Casarini / attivista “pluripregiudicato, coccolato da Pd e sinistra” Centri sociali “delinquenti”, “teppisti da stadio”, “centri a-sociali”, “zero utilità sociale”, “maleducati e anche un po’ brutti”, “non ci sono più i comunisti di una volta, consiglio più uovo sbattuto e meno canne al centro sociale”, “4 sfigati”, “poveretti”, “disturbatori comunisti”, “quattro poveretti”, “pochi, penosi figli di papà antagonisti, che tante coccole ricevono da certa sinistra”, “poverini, cos’hanno nella testa?”, “mi fanno pena”, “sanno solo odiare e insultare”, “vergogna, fate schifo”, Chef Rubio / cuoco e personaggio televisivo “paladino dei clandestini” Cina “sta depredando l’Africa” Ada Colau / sindaca di Barcellona “Barcellona merita di meglio” Furio Colombo / giornalista “Il noto intellettuale della sinistra al caviale, mi fa schifo e mi vergogno per lui” Commissione Europea “burocrati di Bruxelles”, “servi degli interessi della finanza e dei poteri forti” Nick Conrad / rapper “idiota” Consiglio d’Europa “baraccone” Cedu – Corte Europea per i diritti dell’uomo “buonisti, Corte Europea per i Diritti dei Rom” Massimo D’Alema / politico, ex-presidente del Consiglio “poveretto, buon Maalox” Don Giorgio de Capitani / sacerdote “Pregate per questo prete, ne ha bisogno” Luigi De Magistris / sindaco di Napoli “non riesce a dare risposte ai napoletani e si preoccupa dei clandestini”, “amministratore incapace” Domenico De Masi / sociologo “fenomeno del giorno, professorone Alessandro Di Battista / ex parlamentare, esponente del M5s “ignora e parla a vanvera” Droghe leggere “una boiata pazzesca, lo stato spacciatore non lo accetterò mai” Europa/Unione Europea “ci entra in casa”, “bloccata”, “dei banchieri, dei burocrati, dei barconi e dei buonisti”, “un incubo”, “business”, “della precarietà”, “ci entra in casa, in banca, nel frigorifero”, “quella della precarietà, della Fornero, dell’immigrazione selvaggia, delle tasse, della distruzione del Made in Italy”, “ci impone di aumentare tasse, Iva, i conti correnti”, “ci vogliono far mangiare le schifezze che arrivano dall’altra parte del mondo“, “incapace e dannosa” Fabio Fazio / conduttore Rai “mi piacerebbe che guadagnasse meno”, “fa politica e guadagna troppo”, “stipendio milionario e vergognoso pagato dagli italiani”, “simpatico buonista e accogliente milionario di sinistra”, “radical chic” Femministe “ce l’hanno con la famiglia, gli suggerisco di preoccuparsi di quell’estremismo islamico che le donne le vorrebbe sottomesse”, “estremiste di sinistra”, “femministe radical-chic” Giuliano Ferrara / giornalista “che tristezza un Maalox anche per lui” Fmi – Fondo monetario internazionale “una minaccia per l’economia mondiale, una storia di ricette economiche coronata da previsioni errate, pochi successi e molti disastri” Elsa Fornero / economista, ex ministro del Lavoro “con la sua legge ha rovinato la vita a milioni di italiani”, “questa ha rubato sei anni di vita a milioni di italiani”, “la legge della signora aveva rovinato e tradito vita e dignità degli italiani, i suoi insulti per me sono medaglie” Francia “ha alimentato venti di guerra per interessi economici” Gemitaiz / rapper “chi è sto fenomeno, che problemi ha?” Giuseppe Genna – giornalista e scrittore “intellettualone” Germania “andiamo a spiegare ai tedeschi come si lavora” La giuria di Sanremo “otto radical chic” Giuseppe Grezzi / vicesindaco di Valencia “vicesindaco buonista di Valencia” Udo Gümpel / giornalista “il signor giornalista tedesco, si permette di dare lezioncine agli italiani” Islam “una religione che dice che la donna vale meno dell’uomo non sarà mai padrona a casa nostra” J-Ax / cantante “rapper sinistro, fatti una cantata” Konrad Krajewski / cardinale “se il cardinale riuscisse a dare una mano anche agli italiani che rispettano la legge gliene sarei grato”, “ricordo a questo cardinale che 5 milioni di italiani non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena” L’Espresso / settimanale italiano “questo caldo africano gli avrà dato alla testa”, “questi non sono normali” L’Express / settimanale francese “buonisti e radical chic transalpini” Achille Lauro / cantante “canzone penosa e pietosa” Spike Lee / regista “pensa di aver capito tutto dell’Italia, mi sembra più demoniaca la sua risata della mia”, “più soldi hanno più sono arroganti” Left / settimanale “vergognatevi, cretini” Gad Lerner / giornalista “radical chic”, “maglietta rossa e Rolex” Bernard-Henri Levy / filosofo e saggista francese “dice fesserie, si preoccupi di ciò che succede in Francia” Mimmo Lucano / ex-sindaco di Riace “fenomeno”, “pseudo associazione di volontariato, ci prende per scemi” Emmanuel Macron / presidente della Repubblica francese “rappresentazione dell’élites europee architettate a tavolino”, “pessimo governo e pessimo presidente della Repubblica” Nicolas Maduro / presidente del Venezuela “dittatore che sta affamando e torturando il suo popolo”, “prima si toglie di mezzo e meglio è”, “fuorilegge, affama, incarcera e tortura il suo popolo”, “dittatore rosso” Andrea Maestri / politico, esponente di Possibile “mi fa ridere” Mahmood / cantante “ormai la sinistra riesce a vincere solo con la giuria d’onore”, “usato dai radical chic” Malta “nessuno può permettersi di darci lezioni, se continueranno a prenderci in giro ne pagheranno le conseguenze in sede europea”, “regala ai barchini benzina e bussole ai clandestini, non ci faremo intimidire” Mannelli / vignettista e illustratore de Il Fatto quotidiano “rosicone” Mercati finanziari “non vorrei che qualche speculatore volesse ostacolarci a tutti i costi”, “mi viene il dubbio che qualcuno giochi a colpi di finanza per comprare le nostre aziende sottocosto” Angela Merkel / cancelliera tedesca “con lei non ho niente a che fare” Gianfranco Micciché / presidente dell’Assemblea regionale siciliana “ha bisogno di studiare la storia e di un dottore bravo” Dunja Mijatovic / Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa “ignoranza e pregiudizio anti-italiano. Straparla, farebbe meglio a guardare in casa propria” Mario Monti / politici, ex presidente del Consiglio “dice enormi sciocchezze”, “tanto amato e sostenuto dai suoi amici burocrati europei”, “il grande professore e salvatore dell’Italia” Nanni Moretti / regista “regista radical chic” Giampiero Mughini / giornalista “che pena, mi vergogno per lui” Michela Murgia / scrittrice “intellettuale radical chic”, “la geniale ideatrice del fascistometro, certi intellettuali se non ci fossero bisognerebbe inventarli” Ong “aiutano gli scafisti”, “aiuta chi utilizza soldi degli immigrati per commerci di droga e armi”, “vice-scafista”, “ha messo a rischio vite umane”, “non sono soccorritori, sono scafisti e come tali verranno trattati”, “finti generosi”, “complici del traffico di esseri umani”, “operano un traffico di esseri umani organizzato”, “signori finanziati da Soros”, “avvoltoi del Mediterraneo” Onu – Organizzazione delle Nazioni Unite “sono matti” Leoluca Orlando / sindaco di Palermo “distratto, ossessionato dai clandestini e dal sottoscritto”, “un altro eroe del Pd che anziché pensare ai problemi dei palermitani mette al primo posto i diritti dei clandestini”, “vergognoso” Papa Francesco “sono contento di avergli dato una risposta nei fatti e non con le parole, la politica di questo governo sta azzerando i morti nel Mediterraneo” Partito democratico “perdenti”, “chiacchieroni”, “ossessionati, poverini”, “hanno l’ossessione di Salvini e della Polizia, poverini”, “disperato, raccoglie quello che ha seminato”, “con loro al governo l’Italia stava diventando il paradiso dei delinquenti”, Luigi Patronaggio / pm di Agrigento “se vuole far sbarcare qualcuno si candidi e diventi ministro” Romano Prodi / economista, ex presidente del Consiglio “Non ha già fatto abbastanza danni all’Italia?” Virginia Raggi / sindaco di Roma “i romani hanno diritto a un sindaco migliore”, “Roma è in condizioni pietose e i cittadini meritano di meglio”, “Pensavo che i 5 Stelle facessero meglio: la prossima volta i romani sceglieranno qualcun altro”, “non sei in grado di fare il sindaco, lascia che qualcun altro lo faccia”, “non è più adeguata a fare il sindaco di Roma” Rahmi / bambino senza cittadinanza italiana, ostaggio dello scuolabus a San Donato Milanese “strumentalizzato da qualche adulto” Matteo Renzi / politico ed ex-presidente del Consiglio “poltronaro amico dei banchieri” Regole europee “ha fatto aumentare il debito”, “stanno strangolando le nostre economie”, “assurde”, “massacrano i nostri agricoltori e pescatori”, “affamano le famiglie italiane” Richiedenti asilo “ci portavano la guerra in casa”, “nella maggior parte dei casi si rivelavano delinquenti, spacciatori, stupratori”, “finiti bambini”, “violentano, rubano e spacciano”, “finti profughi” Rolling Stone Italia / ex settimanale, sito web “rosiconi” Rom “vivono con la luce elettrica rubata e i roghi tossici”, “i campi Rom si confermano una attrazione per i delinquenti”, “gli unici nomadi che mi piacciono sono quelli del gruppo musicale”, “sono stufo di mantenere gente che educa i figli al furto e che campa a scrocco”, “vogliono campare alle spalle degli altri”, “ce ne sono molti che sono dei delinquenti. Fuori da Stazione Centrale non ci sono gli svedesi a scippare i turisti” Salmo / rapper “che tristezza, apri la mente fratello” Pedro Sanchez / primo ministro spagnolo “chiacchierone” Michele Santoro / giornalista “radical chic (col portafoglio a destra)”, “ricco giornalista e intellettuale radical chic” Sanzioni economiche contro la Russia “una follia”, “strumento inutile che sta danneggiando migliaia di aziende italiane” Roberto Saviano / giornalista e scrittore “simpatico, buonista e accogliente milionario di sinistra”, “chiacchierone”, “il ricco scrittore mi insulta, preferisce New York”, “dice fesserie” Eugenio Scalfari / giornalista e fondatore di Repubblica “amichetto del Pd”, “Il decano dei giornalisti radical-chic, queste parole e questo atteggiamento mi fanno schifo”, “voglio salvare il Paese, ma da Scalfari e da quell’illuminata classe dirigente, con cuore a sinistra e portafoglio a destra, che ci ha portato in queste condizioni” Vauro Senesi / vignettista “squallido personaggio, fa schifo”, “non è normale” Sinistra “rosiconi e sinistri vari”, “intellettualoni, professoroni, analisti, sociologi”, “rosiconi radical-chic della sinistra caviale & champagne”, “buonisti e rosiconi”, “intellettuali sinistri”, “I comunisti sono una specie in via di estinzione e come gli orsi bruni e i panda vanno tutelati, perché sono pochi ma simpatici”, “stanno finendo la scorta di Maalox”, “ma quanto rosicano? Hanno esaurito le scorte di Maalox nelle farmacie italiane”, “nervosi perché hanno perso un bel po’ di quattrini”, “intelligentoni”, “ecco la sinistra in Italia, avvertimenti in stile mafioso”, “magliette rosse”, “preferiscono tutelare l’illegalità, l’abusivismo e le merci contraffatte”, “l’Internazionale dei rosiconi che sta andando avanti a Maalox dal 4 marzo”, “hanno umiliato l’Italia”, “questi sono da ricovero” George Soros / finanziere e filantropo ungherese “vorrebbe che l’Italia fosse un grande campo profughi perché a lui piacciono gli schiavi”, “sogna Europa piena di immigrati” Stampa “giornaloni e telegiornaloni”, “titoli vergognosi dei giornaloni”, “fanno solo comizi di sinistra”, “qualche giornalista fazioso e disinformato falsifica perfino i numeri e la realtà” Gino Strada / medico, attivista, filantropo “maleducato”, “poteva mancare al coretto degli amici dei clandestini?“, “maestro dell’orchestra sinfonica buonista” Svezia “non vogliamo fare la fine della Svezia, no all’Eurabia”, “accecata dalla paura di venire considerata razzista, non si può impedire a un immigrato di discriminare una donna“ Oliviero Toscani / fotografo “un poveretto”, “il kompagno che schifa la cittadinanza italiana e vorrebbe essere africano”, “non sta bene”, “penoso” Turchia “non sarà mai in Europa” Yanis Varoufakis / economista, ex-ministro dell’economia greco “chiacchierone radical chic” Guy Verhofstadt / politico “burocrate europeo, complice del disastro di questi anni, vergognoso” Don Alex Zanotelli / sacerdote “un uomo di chiesa può essere sempre così pieno di risentimento e di odio?”, “forse qualcuno rimpiange i miliardi del business dell’immigrazione, e migliaia di morti?”, “digiunante buonista” Don Armando Zappolini / sacerdote “forse, più che fare il sacerdote doveva mettersi in politica. Chissà se i parrocchiani sono contenti” Nina Zilli / cantante “vincitrice del premio furbizia” Vittorio Zucconi / giornalista “giornalista sinistra e caviale” WIRED
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perilleonedisanmarco · 6 years ago
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@blogitalianissimo @asklecce Settimana delle Regioni | Favourite AU | Day 4, 28 marzo
☆ American Gods AU: fem!Veneto, come Reitia, la dea degli antichi Venetkens 
◇ Chi è Reitia:
Reitia era la dea madre dell'antico popolo dei Venetkens. Accompagnata spesso dall'epiteto di potnia theron, ovvero dominatrice degli animali, era la divinità creatrice, una dea misericordiosa e benevola, legata al culto importantissimo delle acque sacre, da lei tutelate, della guarigione, degli animali, delle piante, della navigazione e del commercio. Tra questi, forse era anche la divinità che presiedeva al parto e alla fertilità. Era la dea del matriarcato, elemento che continuò ad appartenerle anche in seguito, con il cambiamento della società venetica, che stava divenendo una società patriarcale. La sua femminilità era talmente importante da influenzare anche i nomi: i fiumi più piccoli, ad esempio, erano indicati al maschile, al contrario dei corsi più grandi, indicati al femminile come succedeva anche per villaggi (maschile) e città (femminile). Il femminile era utilizzato per indicare qualcosa di ampio ed importante, come la dea. Solitamente era raffigurata mentre indossava il costume tipico delle donne venetiche, costituito da un abito colorato, con una gonna a campana, un grembiule legato in vita e un velo sopra la testa. Era spesso accompagnata da animali, solitamente un lupo e un'anatra, e reggeva sempre nella mano destra una chiave, simbolo  del destino degli uomini. Era anche legata, infatti, al culto degli Inferi e attraverso la chiave poteva indirizzare gli uomini lungo le vie che preferiva. I suoi santuari sorgevano sempre nelle prossimità di un corso d'acqua e la sua classe sacerdotale, composta soprattutto da donne, si occupava di eseguire i riti, accogliere i pellegrini, insegnare la scrittura venetica e la magia, quest'ultima in modo particolare alle donne. Alla dea venivano fatte offerte sia in forma di doni, confermato dal ritrovamento di vasi e coppe cerimoniali, sia in forma di sacrifici, testimoniati dal ritrovamento di ossa nei focolari. Solitamente quello che le si chiedeva erano protezione e guarigione. La dea è stata spesso associata, ed in seguito sostituita, alle figure di Diana e Minerva. Un'altra dea romana legata a Reitia pare essere Ecate, che ritroviamo anche in alcune fiabe popolari venete, con caratteristiche che rimanderebbero alla divinità dei Venetkens.
◇ Reitia in American Gods:
La dea sopravvive alla scomparsa del popolo che la adorava, proprio affiancandosi alle divinità romane che vanno a sostituirla. Dopo essersi ritirata  in quella zona del Veneto che si estende tra il territorio dell'alto Vicentino e le montagne, si prodiga lei stessa nel tramandare le sue memorie, diventando prima una sorta di cantastorie, poi una più semplice levatrice, con la passione per le storie popolari. È così che i bimbi delle classi più povere del Veneto apprendono le avventure del Mazariol, delle anguane, delle maranteghe e di quella strana dea, chiamata Ecate. Preso il nome umano di Giulia, riesce quindi a ritagliarsi un piccolo spazio nell'immaginario collettivo, riuscendo a non scomparire. Arriva in America del Sud, precisamente in Brasile, proprio grazie a questi racconti, forti tra gli emigranti veneti che prendono in massa la via del Nuovo Continente. Da lì, raggiunge poi gli Stati Uniti, in quel momento critico che vede la nascita di uno scontro tra le vecchie divinità e gli dei del mondo contemporaneo.
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cinquecolonnemagazine · 2 years ago
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Il Fragore del ricordo di Anna Maria Basso
Un diario ritrovato Il Fragore del ricordo di Anna Maria Basso edito da Bonfirraro è un libro appassionante che ci svela l’importanza dei ricordi e la necessità di mantenerli vivi per costruire un futuro consapevole. Il romanzo è un racconto corale che, dal cuore della città di Napoli e passando per Maratea, ci conduce fino a Dallas, negli Stati Uniti.   Tutto inizia in modo occasionale. Lara è una giovane neurologa lucana che studia le malattie neurodegerative e che ha ottenuto un contratto di ricerca presso l'Università UTS di Dallas. La sua professione si intreccia improvvisamente con la storia della sua famiglia quando Lara, prima di andare via, scopre un diario della nonna Adelina. Un mondo di sogni e desideri mancati, gioie e dolori si svela a Lara che porta nel cuore, dall’altra parte del mondo, la vita nella nonna. In America Lara vive una nuova vita fatta di successi, nuovi amori e nuove conoscenze su cui ricama la storia della sua adorata Adelina. Nel Fragore del ricordo di Anna Maria Basso non mancano forti riferimenti ad argomenti sociali e legati alla solidarietà, tematiche a cui l’autrice nei suoi romanzi ha sempre dato ampio spazio.   Anna Maria Basso è nata a Potenza, dove vive. È autrice di opere poetiche: Attese (1999), Images/Trame (2001), Quel palpito d’altrove (2010), premio Matera 2019, capitale europea della Cultura, e di racconti brevi, pubblicati in raccolte antologiche. È presente in diverse riviste letterarie nazionali e internazionali. È componente di giurie. Coordina gruppi di lettura nell’ambito del Premio Basilicata e collabora alla promozione e realizzazione di iniziative culturali. “L’impermanenza” (2018) è il suo primo romanzo. Il Fragore del ricordo di Anna Maria Basso Nell’intervista di oggi, l’autrice ci parla di molti aspetti legati al suo libro che, al di là della storia, appassionante e ricca di risvolti, si presta a diversi livelli di lettura. Grazie alla disponibilità dell’autrice, oggi parleremo di tematiche interessanti tra cui il tema generazionale, le malattie neurodegenerative, l’importanza dei ricordi e molto altro; grandi temi che affiorano tra le pagine del Fragore del ricordo. Nel suo romanzo si racconta la storia di due donne, due generazioni a confronto. Perché ha scelto di soffermarsi su questo tema? Il tema generazionale è sempre più considerato come la lente d’ingrandimento attraverso cui interpretare l’evoluzione della società e le trasformazioni culturali che ne seguono. Ogni generazione porta con sé una visione del mondo, una filosofia di vita, bisogni, valori, stili di comunicazione, di relazione, di linguaggio, molto diversi tra loro ma anche con alcuni punti di contatto. La generazione di Adelina è quella del post-guerra, della ripresa economica, del cambiamento, delle innovazioni. Quella di Lara è la generazione dei Millenials, quelli con più istruzione e con maggiori aspettative sul mondo del lavoro, i primi ad avere dimestichezza con gli ambienti e le tecnologie digitali. Pertanto soffermarmi su questo tema mi ha consentito di inserire più spunti di riflessione nella narrazione, anche riguardo ai livelli di parità di genere diversi nelle due generazioni a confronto.  Adelina e Lara sono le protagoniste del suo libro. Hanno qualcosa in comune i due personaggi? Pur appartenendo a due generazioni diverse, Adelina e Lara, le due protagoniste del libro, hanno molte cose in comune. Intanto l’affetto familiare che le lega profondamente tanto da essere sempre l’una il sostegno dell’altra. Poi la determinazione, quell’aspetto caratteriale che le porta ad affrontare la vita con la consapevolezza della propria destinazione e a saper gestire le difficoltà con coraggio anche quando le strade intraprese si presentano piene di ostacoli e interruzioni e occorre prendere altre direzioni. Un altro punto in comune tra le due protagoniste è il senso di appartenenza alla propria terra anche se scoperto da Lara attraverso l’allontanamento e la mancanza. Il suo autore preferito le farà scoprire che: ”Ogni posto è una miniera... uno specchio sul mondo,  una finestra sulla vita... un teatro di umanità... la miniera è esattamente dove si è. Basta scavare.” (Tiziano Terzani). C’è un tema del romanzo che ha trattato e che le sta particolarmente a cuore? Sì, certo. È il tema del ricordo che diventa il leitmotiv di tutta la narrazione. Oggi viviamo sempre più nel tempo smemorato. Un tempo che non ci educa più al sentimento del passato, a quella naturalezza del rievocare non solo le cose belle ma anche quelle meno piacevoli per farci scorgere la risorsa nascosta che può accompagnarci, nel modo giusto, attraverso il presente, verso il futuro. Ricordare è riportare al cuore ciò che si è vissuto o tornare al cuore delle cose vissute dove abbiamo la possibilità di rinnovarle guardandole con occhi nuovi e scoprendone significati diversi. Ecco perché il ricordo fa rumore, quel rumore che scaturisce da qualcosa che rompe, si rompe o irrompe come il tuono dopo il lampo. È legato a questo tema anche la perdita dei ricordi causata da una nota malattia neurodegenerativa e l’importanza della ricerca scientifica. Perché perdere il passato, la nostra memoria, è perdere il proprio fondamento, la coscienza di sé nel tempo.  “Il Fragore del ricordo” è il suo secondo romanzo. C’è un filo conduttore che lega entrambi i romanzi oppure sono due lavori completamente diversi? Le trame, ovviamente, sono completamente diverse.  Nel mio primo romanzo, l’Impermanenza, predomina il tema del viaggio come ricerca interiore. Il protagonista è un uomo tormentato dai suoi limiti, capace di vivere solo fuggendo da se stesso in un orizzonte fatto di ritorni e di partenze ma che tenta di recuperare un suo equilibrio nell’attesa di un’apertura più fiduciosa verso il mondo. Anche per le protagoniste del mio secondo lavoro si può parlare di viaggio interiore. Per Adelina è quello che fa quando lascia tra le pagine di un diario la sua vita per sottrarla all’oblio. Per Lara è il viaggio oltreoceano che diventa un percorso individuale che culmina in una sorta di interiore catarsi. Penso, inoltre, che si possa rintracciare qualche legame tra i miei due romanzi anche negli intenti narrativi. Come l’inserimento di temi sociali, l’interesse rivolto al mondo della medicina, la costruzione del setting, come dicono gli inglesi: ambienti e paesaggi che cerco di far diventare parti integranti della storia, quasi a renderli essi stessi personaggi.  Cos’è per lei la scrittura? E per Adelina? Per me la scrittura è prima di tutto un’arte: è rappresentare attraverso le parole la vita, come un pittore fa con i colori. Ma è anche un viaggio nelle parole con le parole alla scoperta di sé e dei propri campi emotivi. E sono le parole a condurmi lungo la strada della scrittura, quelle parole che “... come carovane si muovono alle prime luci del giorno sino a sera, s’intrecciano, si snodano, si perdono, si ritrovano, disegnano orme... alla ricerca di se stesse, del loro senso, della loro essenza...poi riprendono il cammino. Perché c’è una vita da inventare. Una vita da raccontare. Ogni giorno.” (Da Quel palpito d’altrove) Per Adelina la scrittura è salvare la sua vita dalla dimenticanza, fermarla sulle pagine di un quaderno perché possa un giorno diventare memoria. Un quaderno fatto anche di pagine bianche dove continueranno a vivere i suoi sogni irrealizzati, il suo amore impossibile.  Read the full article
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actimond-blog · 5 years ago
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Uganda: 7 anni or sono...
6 aprile 2012
Cari amici
Dopo tantissimo tempo torno a scrivere uno dei miei resoconti per aggiornarvi sulla mia esperienza qui a Kampala.  Comincio col dire che il tempo è davvero volato, siamo ormai a Pasqua e questa esperienza sta volgendo al termine. Al termine intendo alla fine di questo contratto, perché come alcuni di voi già sanno, la mia intenzione e di poter star qui più a lungo, ragion per cui sto cercando un altro lavoro.
Guardandomi indietro guardo ora con occhi diversi, con occhi che hanno visto le sofferenze, che in qualche modo sanno guardare, non per giudicare ma per accogliere ciò che gli altri hanno da dirci tutte le volte che ci incontrano. In questo penso che l’Africa mi abbia cambiata in meglio o in peggio non lo so, di sicuro quando tornerò in Italia saprò apprezzare l’acqua correntee la luce elettrica ma anche altre piccole cose. Ma vivere in Africa non serve solo per fare paragoni, serve anche a crescere!!
Vi racconto un piccolo aneddoto, successomi proprio oggi. Avendo raffreddore e temperatura sopra i 37° ho deciso di andare a fare il test della malaria. Non si sa mai. Ho chiesto alla mia vicina di casa di indicarmi una clinica nella zona in cui abito. La ragazza delle pulizie, Meggie, mi ha gentilmente accompagnato. Sono arrivata a fare il test e mi han detto di sedermi e aspettare. Regnava un silenzio accogliente, non quell’atmosfera dei nostri dottori, una sorta di aura celeste, in cui ognuno pareva aver cura dell’altro. Mi sono sentita bene. Ho atteso, giocherellando con una bambinetta seduta vicino a me, e quando è stato il mio turno (circa 20 minuti dopo) mi hanno preso una goccia di sangue, per analizzarla al microscopio. Ho atteso gli esiti (che vengono dati dopo 15 minuti) osservando quella clinica. Li non c’è l’organizzazione delle nostre ASL , non c’è il numero da prendere per fare gli esami, ne la fila delle 7,30, ne orari fissi e inflessibili che dicono quando, dove e come. Li regna un disorganizzazione accogliente!! So che sembra assurdo, ma è così e la gente, come sempre , mi stupisce per la sua dolcezza, i sorrisi e il modo di vivere la vita..con tranquillità..a volte un po’ troppo, ma a volte c’è così tanto da imparare!!!
Un’altra esperienza davvero emozionante l’ho avuta domenica scorsa. Sono andata in chiesa per la domenica delle palme.  Purtroppo quest’anno non ho avuto modo di vivere la quaresima in modo intenso come vivevo in Italia, ne sono riuscita a tenere il passo con il tempo (l’assenza di stagioni mi ha fatto un po’ perdere il conto dei mesi) tuttavia ho deciso di andare domenica, per riprendere il cammino perduto. E’ stato assolutamente sublime, tutti avevano il ramo di palma, il prete ha benedetto i rami, mentre tutti li sventolavano e cantavano. C’era un fruscio, cullato dalle note dell’organo che faceva venire la pelle d’oca. Il rito della benedizione mi ha stupito, ma ciò che più mi ha commosso è stato il Santo.  Un canto solenne, cantato da un coro a mille voci, acute, profondo e lo sventolare delle palme da parte di tutti, uomini, donne, bambini mi ha commosso. Ho chiuso gli occhi per un momento per assaporare l’atmosfera, mi sono venute le lacrime tanta era la commozione e il messaggio che attraversava la chiesa, per mezzo di quelle voci…è stato indimenticabile!!!
Non so perché ma, andare in chiesa qui ha più senso, sento molto più il bisogno di quanto ne ho a casa. Le emozioni sono forti, la realtà che circonda non è facile..nella chiesa trovo conforto, ma anche lezioni di vita, nelle omelie cosi cariche di messaggi, di suggerimenti e ramanzine!!
Oltre a queste esperienze..più spirituali devo dire che è stato un periodo bello pieno, anche per via delle varie visite che ho avuto.  E’ stato assolutamente piacevole avere la mia famiglia e gli amici qui accanto!!! Un modo per condividere l’esperienza che sto vivendo e per far capire come si vive qui…non è mica tanto male!!! Il safari credo sia stato davvero emozionante..ma anche vivere senza acqua e luce…si apprezza davvero ciò che si ha in Italia dopo esser stati qui per un po’..a volte ti rendi conto che basta l’essenziale per essere felici..per sentirsi a casa..per vivere bene!
E poi Laura..una carica di energia positiva e di iniziativa che mi ha accompagnato per 15 giorni…pieni di attività, di chiacchierate, di escursioni; indimenticabile!!! E la clinics che abbiamo fatto per visitare i pazienti delle zone rurali…un bel momento per imparare ma anche condividere le sofferenze delle persone che vedono il medico una volta o due l’anno..non per scelta ma per la condizione di povertà in cui vivono e che non gli permette  di andare..di camminare 30 km per raggiungere il più vicino ospedale. Esperienze di vita..e un po’ di aiuto!! Non si cambia il mondo ma si cerca di migliorare un pochino la vita di queste persone. Grazie Laura..delle emozioni che ci siamo regalate!
E infine..la mia cuginetta Lorena che non vedevo da tanto tempo! E’ stato un tornare indietro..un riprendere le chiacchierate di tanto tempo fa..ridere e scherzare come due sceme!! Ma anche discutere di lavoro, di questi Paesi, della condizione di questa gente..e del loro Paese. Per non parlare della contrattazione..per ogni cosa…perché dato che sei un Muzungu…sei pieno di soldi..e allora perché non farti pagare il doppio del prezzo!!
Con Lorena e Emanuele ho anche potuto sperimentare il rafting sul Nilo, esperienza indimenticabile, tra rapide pazzesche e immagini mozzafiato e qualche livido alla fine, è stato davvero unito!! Da ripetere davvero, con il prossimo che verrà a trovarmi.
Questo in breve, qualche news sulla mia vita qui.  Avrei mille altre cose ma voglio lasciarle per racconti diretti, che rendono più l’idea dell’esperienza e fra non molto potrò raccontarvi a voce!
Per ora, visto che siamo al Venerdi Santo, non mi resta che farvi i più sinceri auguri di Buona Pasqua. Perché la gioia della Risurrezione, sia occasione per riconciliarsi con chi ci ha fatto qualche torto e per stare insieme.
Un abbraccio
Vale
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cinziafiorericciofficial · 6 years ago
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Ti offro mani forti per sorreggere il peso di tutte le donne che sei,
ti offro la grandezza del mio sguardo che ha visitato terre lontane affinché io potessi allargare i confini di ogni mio umano limite.
Ti offro i mille racconti dei mondi in cui ho vissuto e che hanno riempito il mio bagaglio di vita rendendo l’uomo che sono ricco di sapere.
Ti offro ogni fragile emozione, ogni palpito impaziente che nell’anima tace.
Ti offro la mia carne, la mia tentazione che ogni volta muore e rinasce nelle gambe tue sacre.
©️ Cinzia Fiore Ricci
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@cinziafiorericciofficial
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Caro amico,
oggi mi presento a te come B, nessun nome, solo una lettera, B di buio.
Ho deciso di scriverti una lettera importante.
Vorrei tanto raccontarti una storia, la storia di un posto, delle persone che lo popolano e del loro incessante calvario.
Si chiama Taranto, una città creata da un dio che ha voluto farla galleggiare tra le onde del mar mediterraneo.
Non è una metropoli ben organizzata e valorizzata come dovrebbe, ma è tanto bella, sembra una conchiglia, come quelle rosa e grandi che si trovano sulle spiagge, quelle che, se accostate all'orecchio ti fanno sentire le onde.
Ha il sapore del sale e del calore, come il sole estivo che scalda la pelle.
Costruita sulle rovine della Magna Grecia, Taranto si estende colorata e spumeggiante in Puglia.
Tanto bella quanto dannata questa terra.
Vorrei fosse una lettera felice, colma di racconti sulle brache e i delfini che riempiono i mari di questa città, sui sapori forti e tipici della cucina tarantina, sulle feste dei quartieri, le tradizioni e i ritrovamenti spartani del territorio.
Mi rammarica deluderti, caro amico, è una lettera che parla della morte di quella che un tempo era la forte Taras.
Sul magnifico paesaggio c'è un demone che incombe, è una fabbrica un tempo chiamata ILVA e che, da qualche tempo a questa parte, ha cambiato nome e proprietario.
Non importa ora soffermarci su questo ma sulle cause di quello che viene chiamato "Il Mostro".
È una grandissima fabbrica che giorno dopo giorno riempie il cielo di fumo denso rendendo l'aria pesante e pericolosa; quando c'è il vento in alcuni quartieri, quelli più vicini alla fabbrica, ai bambini viene impedito di uscire per andare a scuola o a giocare perché da li arrivano le polveri rosse del minerale.
Ci sono stata di notte in quei quartieri, non si vedono le stelle, tutto il blu della notte viene coperto da una fitta patina rossa che sembra volerti schiacciare.
Il territorio sembra riempirsi di sangue, e quanto ne fa versare quel mostro così perfido.
Qui la gente vive con il grande male, si, il tumore.
Ci si ritrova a lottare per la vita solo respirando, alle volte i bambini nascono lottando.
Ho visto donne disperate abbracciare il corpo del loro neonato morto chiedere a Dio un perché.
Caro amico, ci ho pensato tanto e anche io mi sono domandata perché.
Perché avviene tutto questo?
Come può essere possibile che pur di avere una fabbrica in grado di fruttare denaro si debba far morire qualcuno?
Non è rimasta certo anonima questa cittadina, è arrivata fino ai così detti "piani alti" la problematica inquinamento e morte, ma, è come se alle cariche politiche poco importasse di tutto il dramma che siamo costretti a vivere giorno dopo giorno.
Hanno deciso di salvarla la grande fabbrica.
Decreti a tutela del cancro della città, false indagini statistiche sui danni causati dalle emissioni della fabbrica.
Lo so, amico mio, è triste, ma non è certo finita qui la storia perché oltre al grande Mostro ci sono una marea di altri fattori che distruggono la città.
Basti pensare alla raffineria Eni, ai due inceneritori, alla discarica e al centro di stoccaggio di rifiuti tossici e radioattivi.
Scioccato non è vero?
E se ti dicessi che Taranto è la città che emette il maggior numero di gas serra in tutta Europa?
Se ti dicessi che non muore solo la gente ma anche la terra?
Se ti dicessi che le cose peggiorano ogni istante di più?
A danno della città c'è anche la noncuranza.
Non generalizzerò, ma, posso assicurare che c'è una vasta porzione di popolazione che ha adottato il menefreghismo come stile di vita.
Ho avuto il piacere di conoscere tanta gente, di ogni genere, con differenti ideali, con pensieri di forte contrasto, ho persino conosciuto gente dalla quale bisogna stare lontani e poi ho conosciuto chi ha preferito contribuire all'assassinio del magico borgo.
Non credevo fosse possibile odiare così tanto la propria terra natia al punto di rovinarla dal profondo.
Qui alcuni hanno deciso di perdere le speranze, non si lotta più per la cultura, per i diritti, per la vita.
Vige l'omertà tra le vide di questa terra.
Caro amico, avrei voluto raccontarti di quanto sia grata per essere nata in questo magico posto, però, mentre ti scrivevo ho visto attorno a me, la tristezza mi ha colpito forte il cuore.
Ho tanti amici che hanno deciso di fuggire via da qui, lontano dalla grande gabbia che, a lor dire, poteva solo schiacciare.
Io ho deciso di restare, voglio lottare per le mie radici e per la vita del posto che per me è casa.
Per ora, mio malgrado, c'è solo buio ma io lo so che un giorno tornerà il sole.
Ti terrò informato.
Tua
                                                                         B.
P. S. Una volta qualcuno mi ha detto che anche solo una persona può bastare a cambiare il mondo, e che a poco a poco, cambiamento dopo cambiamento, il sistema muterà completamente.
Spero che tu ti aggiunga a me.
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