#questa non è la sua migliore ma mi piace abbastanza
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Okay la produzione è figa FA BENE GRAZIE MAHMOOD
#molti dei suoi testi sono pessimi ma adoro le produzioni delle sue canzoni e la sua voce#eccetto icaro è libero quella canzone è perfetta in tutto#questa non è la sua migliore ma mi piace abbastanza
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: “Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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Avrò il mio momento da italiana media, ma voglio commentare questa stagione di Bake Off fin'ora.
-Mi dispiace ma la ship esiste ed è innegabile. Ho convinto la mia migliore amica a guardare Bake Off letteralmente solo facendole vedere Gabriele e Tommaso insieme.
-Tommaso è tutto piccolo e carino, ma ogni volta che apre bocca tira fuori one-liner dietro one-liner e ogni volta mi spezza (per non parlare dei suoi commenti su Twitter).
-A proposito di Twitter. È. Così. Tossico. L'avevo già capito l'anno scorso con l'odio ingiustificato verso Ginevra, ma il modo in cui si offendono ogni volta che Giovina viene salvata. Dio mio, calmatevi, è uno show, non vengono ammazzati gli altri concorrenti.
-Sono abbastanza convinta da quello che ho visto che il momento in cui Gabriele dice di non conoscere Micheal Jackson sia inscenato.
-Giovanni è un mood di vita, non so da dove sia uscito fuori ma lo amo. Quando uscirà piangerò tanto.
-Idem Davide, ma più per la sua ansia che per il mood.
-Sofferto tanto per l'uscita di Xi. Per me lei, Gabriele, Tommaso, Fabio e Irene erano la top 5. Immaginatevi la mia reazione quando due di loro sono uscite una di seguito all'altra.
-Ora punto su Danila per la quota femminile della semifinale. E per orgoglio bresciano, come l'anno scorso con Davide.
-Altro mood per me era Dany. Una regina, è uscita solo per sfiga. Idem Aurèlien.
-Gli occhiali di Eleonora erano bellissimi.
-Unpopular opinion, scommetto che se Gabriele e Tommaso fossero stati insieme nella prova a squadre sarebbero andati male, tipo Chiara e Davide l'anno scorso.
-Il tema dei sogni mi piace un sacco, e fin'ora lo stanno rispettando benissimo.
-In generale amo l'amicizia che c'è fra tutti i concorrenti quest'anno. Non sono divisi in gruppetti, il che è proprio bello. Amo vedere i loro post il venerdì sera mentre guardano le puntate tutti insieme.
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okay che dire di queste due prime archon quest della 4.0? io e bestie ne abbiamo ampiamente discusso in questi ultimi giorni.
l'introduzione a fontaine è estremamente interessante e convincente (e dark!!), l'act 1 per questa regione penso sia il migliore uscito finora (non ricordo plot twist/sorprese particolari negli act 1 precedenti, a parte la 'morte' di morax all'inizio della quest di liyue), inoltre facciamo subito la conoscenza di quasi tutti i personaggi principali che ci accompagneranno nei prossimi mesi di gioco (e che cast!).
la nazione della giustizia fontaine, chiaramente ispirata al connubio fra una immaginaria francia dal retrogusto steam punk ed altre città europee, in cui vivono umani agghindati in abiti d'altri tempi e creature fantasy chiamate mélusine, è ovviamente stupenda; gli sviluppatori si sono superati e il tutto risulta molto sontuoso. la città principale è un'utopia acquatica di bianco e blu, al punto che anche la 'metro' è in realtà un tipico battello che scorre sui numerosi flussi d'acqua. tutto si concentra nell'esaltare i concetti di bellezza, arte, cultura, sviluppo tecnologico e drammaticità. un mondo sottomarino è disponibile per l'esplorazione ed era la cosa che mi preoccupava di più prima della release perchè è risaputo che nella maggior parte dei giochi le sfide sott'acqua sono noiose o macchinose, è spesso complicato controllare il pg, ma sembra che abbiano svolto un ottimo lavoro anche sotto questo punto di vista, da quel poco che ho potuto vedere. i fondali sono bellissimi e i movimenti estremamente fluidi.
a livello di trama, adoro che abbiano inserito l'esistenza di una profezia tragica (di cui dovremo ovviamente evitare l'avverarsi ANCHE SE IO QUASI CI SPERO IN UN BAD ENDING ma non accadrà mai ahah) e la lore riguardante l'hydro dragon. nulla di incredibilmente originale (considerando peró il fatto che la lore di genshin é diventata molto articolata), ma sono elementi che in un contesto fantasy apprezzo sempre moltissimo.
MA PARLIAMO DEI NOSTRI BENIAMINI
furina/focalors: I'M OBSESSED !!!! ammetto che nel trailer e nelle prime immagini che circolavano, la pretty hydro archon non mi aveva convinto al 100% perchè 1. l'ennesimo archon femmina con capelli bianchi sfumati e molto giovane d'aspetto dopo nahida mi sembrava un'occasione sprecata, per lo meno mi sarei aspettata una donna adulta 2. l'outfit non mi pareva abbastanza 'maestoso' per il dio di questa regione, soprattutto se lo confrontiamo con l'abito di navia 3. è tutta blu...come la stragrande maggioranza dei pg cryo/hydro (ma essendo appunto l'hydro archon posso anche passarci sopra lol). cioè mi piaceva in linea di massima ma non mi faceva strappare i capelli. nonostante ciò, dopo averla vista in game sono rimasta piacevolmente sorpresa e mi sono del tutto ricreduta. sia il character design che il vestito sono adatti al personaggio (adoro gli occhi di colore diverso e i guanti bianco/nero, quasi a simboleggiare il concetto di innocenza vs colpevolezza), bello il cappello e i vari dettagli, adoro il fatto che sia stata lei a presentarsi a noi a inizio quest per darci il 'benvenuto' e non viceversa, e, a differenza di molti che so che detestano la sua personalità, a me piace molto la sua attitudine da mocciosetta saputella che va pazza per gli spettacoli (praticamente vive nel teatro/tribunale?) e che è estremamente eccentrica ma è già sicuro che il suo personaggio si rivelerà anche parecchio angst (l'easter egg della fontana in cui si sente lei che piange disperata la dice lunga ahah). mi sono innamorata della sua doppiatrice inglese, è spettacolare, perfetta per questa sassy lost child. insomma, se se la giocano bene ha tutte le carte in tavola per divenire il mio archon preferito insieme al caro vecchio zhongli.
lyney: lui molto carino in generale ma dio santo se mi fa cagare il suo outfit (salvo solo il cilindro e quello pseudo strascico a coda di rondine). bello il fatto che il suo carattere sia l'opposto sia di quello della sorella e sia di quello di freminet, ed è un bel personaggio carismatico, essendo appunto un prestigiatore famosissimo. il suo spettacolo di magia con omocidio è stata una delle parti migliori dell'act 1. non vedo l'ora di provare il suo gamestyle.
lynette: onestamente mi piace più del gemello, il suo costume mi ricorda molto quello delle pattinatrici su ghiaccio ed è veramente deliziosa: mi piacciono i dettagli azzurri sul nero generale, la coda e le orecchie da gatto (finte, presumo ahah), il body scollato, i collant scuri, il fiocco enorme che le lega i capelli. non mi sarei mai aspettata che lei e fratello facessero parte dei fatui lol. presumo che si parlerà molto del loro rapporto con arlecchino (e con childe?)
neuvillette: in teoria non è un nome da donna lol? comunque sono rimasta molto sorpresa dal fatto che a quanto pare sia uno dei pg meno amati fra quelli introdotti, per ora???? capisco che la fanbase di questo gioco si concentri sulle waifu ma trovo molto improbabile che non ci sia hype riguardo questo giudice che è SENZA DUBBIO l'hydro dragon ;) dalle prime immagini/trailer sembrava un uomo estremamente freddo e intimidatorio invece si è rivelato molto diverso, gentile ed educato, molto disponibile, mi piace tantissimo e non vedo l'ora di sapere tutto su di lui e sul suo legame con furina. esteticamente non è esattamente il mio tipo di personaggio ma è proprio affascinante e ha degli occhi stupendi. bella la divisa, a parte quei cosi che penzolano tipo aghi della bilancia.
freminet: che dire, è yurio. yurio di yuri on ice. però è caratterialmente la sua antitesi, perchè freminet è timido, timido da morire e ti viene voglia di proteggerlo. a me piace un sacco, capisco che non spicca se paragonato ad altri personaggi però ho la sensazione che la sua storia sarà importante nelle prossime patch. apprezzo tantissimo capelli, lentiggini e occhi però l'outfit da diver è un pochettino anonimo. mi piace nell'insieme ma non è nulla di nuovo onestamente, e avrei preferito dei pantaloni più lunghi (perchè non possono essere tutti xingqiu ahahah). il pezzo che mi piace di più è il cappellino. comunque i need more <3
navia: regna incontrastata come regina della moda, un outfit come il suo credo di non averlo mai visto su nessun altro pg femminile in game. non le si può dire nulla, è meravigliosa. anche come personalità è esattamente come mi aspettavo. l'act 2 che si è concentrato sulla morte di suo padre è stato un filino tedioso (e moooolto dark!), ma la perdono. pensavo che lei si sarebbe confermata la mia fav della regione ma furina le ha soffiato il posto da sotto il naso. peró, essendo lei geo, mi aspetto scintille e meraviglie per risollevare l'elemento geo da questo piattume in cui è caduto da tempo 😭
charlotte: è yanfei ma versione giornalista. non mi dice nulla e se lo dico io che adoro le pinkhaired girls allora è grave...next
sygewinne e wriothesley: non sono ancora apparsi quindi evito di commentarli, peró il tipo non mi dispiace esteticamente.
clorinde: ha troppe mommy vibes, palesemente la raiden/sara di fontaine lmao. secondo me in realtá è un pg super tenero, nonostante sia apparsa per due minuti e non abbia fatto altro che combattere e testimoniare in un processo....capisco perchè tutti siano impazziti per lei, esteticamente è una vera bellezza, é elegantissima e i capelli sono top. il pezzo che apprezzo di piú del suo abito/divisa é il cappello, mi piace anche il fatto che i decori sulle spalle ricordino le divise militari d'altri tempi . spero che abbia la doppia arma come childe (spada e pistola) ✌
la OST é magica, it fits into my aesthetic so much <3<3 romantica, orchestrale, malinconica. molto ghibli. è tutto il pomeriggio che ascolto in loop alcune track.
attending solo un pc nuovo per poter riprendere possesso del mio account lol (e salvare quel cretino di childe).
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I miei post migliori nel 2022:
#5
Domani col capo si parla di bonus e paga, e il mio leitmotif sarà
Mai abituare i superiori all'idea che ci pagano abbastanza.
86 note - Postate 31 gennaio 2022
#4
I momenti della vita che non dimentichi più sono composti da due parti: una che si vede, e che vi mostro qui, un'altra che non si vede, e l'ho costruita con @neltempodiuncaffe , usando ogni risata, ricordo, storia, sfotto', pasticcio, macchia di caffè, abbraccio forte e voglia di ritrovarsi ancora ❤️
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112 note - Postate 10 aprile 2022
#3
Ieri è accaduto al Pride un qualcosa che mi ha fatto a lungo riflettere sul confine del messaggio di quella manifestazione.
Partiamo prima dal fatto.
Lungo il percorso, ad un lato della strada, c'era un piccolo gazebo, con tante scritte in tedesco tipo "Gesù è vita", "Gesù è amore", "Gesù sta tornando", e robe simili, e una donna, con tratti sicuramente non europei, da sola (particolare molto importante), che urlava, a me sembrava che addirittura piangesse mentre lo faceva, sembrava che lo facesse verso un interlocutore immaginario anche se il nostro corteo era in linea d'aria, frasi addirittura sconnesse e incomprensibili, forse parlava un tedesco misto alla sua lingua d'origine, ma comunque il messaggio era già chiaro dal numero di bibbie sul banchetto. Comunque sia, la risposta della manifestazione è stato lo scherno e la derisione, persone che si divertivano ad andarle accanto e farsi dei selfie con facce sceme, a mo' di trofeo poi da esibire quando si aveva voglia, quando non le dicevano di ogni dai carri o dalla folla.
Intendiamoci, proprio perché le scelte sessuali non rendono una persona migliore o peggiore di quello che è, ieri c'era la stessa gente di merda che si incontra ad una manifestazione politica, festeggiamento calcistico, concerto da stadio, o a qualsiasi altro Pride, ovvero la stessa gente che, tolta l'idea di società migliore, il tifo sportivo, la voglia di cantare o di urlare l'amore libero, è fondamentalmente parte di un branco, e si comporta come tale, con l'aggravante che i branchi animali hanno tutti i nostri difetti, tranne il bullismo, quella voglia di usare la forza del numero per sopprimere, anche soltanto simbolicamente, una persona diversa, e la massa, anche se colorata, sempre massa rimane. Ironia della sorte, la persona diversa ieri era proprio questa donna, che urlava cose che ovviamente non condivido, ma che a parte questo esprimeva un pensiero libero ed esercitava il suo diritto di farlo, diritto al quale avremmo dovuto non rispondere nulla o, se proprio mossi dal coraggio, con quei tanti "Free Hugs" che venivano dati a pacchi. Al più qualcuno può obiettare un suo mancato senso dell'opportunità, ma a parte il fatto che sono d'accordo fino ad un certo punto, il discorso che affronto in questo post è un altro.
Ho sempre vissuto il Pride come un occasione non per dimostrare che siamo migliori di coloro che fanno di tutto per limitare i diritti del prossimo sulla base di qualsiasi scelta (anche se non sono un ipocrita, certo che in qualsiasi altro giorno penso di essere migliore!), ma ieri, come in qualsiasi altro Pride, per me è una occasione, almeno in quei momenti, per dimostrare che siamo migliori di noi stessi, e quell'episodio mi ha lasciato tanto amaro in bocca, perché non siamo stati migliori di noi, siamo sempre la stessa merda, colorata se vi piace. Quando si è trattato di scegliere tra l'amore incondizionato e quello a cazzi nostri, abbiamo agito come chiunque altro, e se avessimo avuto una penna e un foglio di carta con su scritto SI/NO, avremmo votato all'unanimità per chiuderle quella cazzo di bocca, perché tanto stava urlando stronzate che, dal nostro punto di vista, hanno come unico risultato l'omofobia con tutte le sue declinazioni. Che ha anche un fondamento di verità, ma non abbiamo contestato l'idea con altre idee, l'abbiamo solo perculata.
Lì mi è saltato alla mente lo striscione che avevo visto tipo una mezz'ora prima:
"l'amore è un diritto dell'umanità", e ho capito che siamo bravissimi a chiedere che l'amore sia un diritto di tutti, ma non abbiamo assolutamente capito come si esercita questo diritto, e che ne dovremo consumare di scarpe, perché non siamo nemmeno minimamente lontani da quelle belle parole che trovi scritte sugli striscioni.
141 note - Postate 5 giugno 2022
#2
Non avrei saputo spiegarlo meglio.
Alla frase per noi italiani è un modo per essere generosi verso voi barbari SONO MORTO.
168 note - Postate 14 luglio 2022
Il mio post numero 1 del 2022
L'altro ieri sera ho visto per la prima volta Jojo Rabbit, e nelle sue scene ho pensato alla persona che prima viveva qui. Si chiamava Hermann, comprò di fresca costruzione nel 1971 la casa dove vivo adesso, passata a me nel 2018 dopo quasi 50 anni.
Quando ho sgombrato casa, ho trovato tanti quotidiani dell'epoca della guerra, quelli che sono in foto sono solo due di questi, abbastanza esemplari, uno il 27 luglio 1944, con una dichiarazione di Goebbels, braccio destro politico di Hitler, sull'implacabilità tedesca nella guerra e su come i traditori venissero fucilati senza pietà, e il secondo con data 17 giugno 1940, 4 giorni dopo l'entrata a Parigi dei tedeschi. Nella colonna di destra c'è una foto di militari ebrei, i "Vagabondi d'Europa" (così recita la didascalia), dileggiati dalla propaganda nazista, tutto quello che si legge in queste pagine è pura propaganda.
Il signor Hermann ha conservato tutto di quei tempi, ho tanti quotidiani e documenti della propaganda, incluso un documento medico del campo di concentramento di Dachau.
Ora, del passato di Hermann non so nulla, tutto questo non dimostra inequivocabilmente che fosse un nazista, o che comunque avesse forti simpatie per quel periodo e quella ideologia. Quello che so è che conservava tantissimi lacci di scarpe, non ho mai visto tanti lacci di scarpe in vita mia, e sacchi interi di scatole di fiammiferi, di ogni colore, forma, provenienza. Erano in questo mobile,
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203 note - Postate 10 febbraio 2022
Guarda ora l'Analisi del tuo anno 2022 di Tumblr →
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mi piace scrivere, lo trovo come un ottimo metodo per sfogarmi. I miei amici probabilmente non ne possono più, lui era quello con cui parlavo sempre dei miei problemi ma oramai da più di un anno ha deciso che io non facessi più parte della sua vita, non allontanandomi del tutto però; il problema è quindi diventato lui. Credo che ora sia arrivato il momento di metterci un punto veramente, sono stufa di stare male, di essere tormentata, incazzata, nevrotica…e tutto questo per colpa sua. Cerco di dimostrarmi forte ma lo sanno tutti che io ho sempre avuto bisogno di lui, del suo amore e delle sue attenzioni, che in questo momento sta dando a tante altre. Devo capire che non è più lo stesso, il mio lui è cambiato e questo suo lato non mi piace. Perché ci sto male allora, so di sbagliare ma il cuore prevale sui pensieri. Spesso mi sembra quasi di averci messo una pietra sopra, ma poi mi rendo conto che non è affatto così…continuo a cercarlo tra gli altri, elimino completamente me stessa per una persona che infondo cosa mi porta tranne tristezza e frustrazione? Il nulla più totale. Dovrei essere sul letto a urlare di gioia per il viaggio che farò domani, eppure mi ritrovo qui a pensare e pensare. Questi pensieri mi stanno uccidendo. Ma dov’è finita la me spensierata e allegra che tutti amano, così tanto adorabile che chiunque voleva uscire con me. Parlo al passavo perché poi avendo tanti amici mi ritrovo con mia mamma che non sa più cosa dire e fare per aiutarmi ad affrontare questa pessima situazione. Lei dice che è una caratteristica del mio segno dimostrarmi forte ma essere sottona dentro, cerca di farmi ridere dicendo le cose seriamente come stanno. Tante volte mi capita di cercare di esprimere i miei sentimenti a lei e ai miei amici senza riuscirci, perché non mi capisco nemmeno io. Oggi a scuola il prof ci ha chiesto come sarebbe il mondo senza sentimenti e logicamente tutti dando la loro opinione hanno fatto capire che non si chiamerebbe vita…forse però io questa vita la ricomincerei un po’ a vivere. Sento il bisogno di distaccarmi, come faccio ad andare avanti con la mia vita se lui non si allontana completamente da me, se lo vedo ogni fottuto giorno e per di più mi viene a parlare. Dovrei forse iniziare a usare la cattiveria, che spesso è l’arma migliore, ma io non mi sento così. Qualcosa dentro di me si è rotto e tanti stanno facendo la loro parte cercando di aiutarmi, ma la cosa deve arrivare da me. Mi impongo anche di non pensarci più, perché non mi manca niente eppure continuo a starci male senza neanche saperne il motivo. Forse mi rode che pur avendomi spiegato le sue ragioni riguardo al non volere una relazione perché deve lavorare su se stesso ora si stia frequentando con la ragazza più bella della zona? Forse mi rode che a lui va sempre tutto bene e quella che ci rimane male in base ai suoi comportamenti sono io? Forse mi rode che non ricevo abbastanza attenzioni e ne sento il bisogno? L’altro giorno ho conosciuto un ragazzo, sembra molto carino e sano, si interessa a ciò che faccio e come sto. E indovinate…ogni cosa la paragono al mio lui. Ho 17 anni e mi sto rovinando il periodo più bello della mia vita che dovrebbe essere caratterizzato da spensieratezza per un ragazzo che non sa neanche dove si trova. Ho tanta rabbia, tanto nervoso e tanto bisogno di essere abbracciata. Mi sento così sola e ho così tante persone attorno a me. Sono in lacrime ed è ormai da un anno che non riesco ad uscire da questo labirinto. Delle volte mi chiedo se c’è un uscita, è possibile continuare a vivere così? Ho la testa tra le nuvole e non riesco più a concentrarmi, a dedicarmi ad altro che mi faccia stare bene. Non so nemmeno se sfogarmi scrivendo mi faccia bene visto che continuo ad immaginarlo dandogli importanza quando probabilmente sarà nel suo letto con un altra. L’ultima occasione nel quale ho scritto qualcosa di serio è stato per un libro regalato al nostro anniversario, eravamo così carini e innamorati; vorrei proprio rivivere certe cose.
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Ho litigato con la mia migliore amica da più di 10 anni.
Ci siamo conosciute alle superiori, sempre andate d’accordissimo, l’amica della mia vita.
Io quando ero una bambina ho subito un grave abus0 s3ssu4l3 da parte di una persona molto più grande di me. Potete capire che quindi il mio rapporto con gli uomini, soprattutto quelli più grandi, è profondamente cambiato.
Ne ho parlato soltanto a questa mia amica, mi è stata vicina durante i processi, la psicoterapia, tutto. Non avrei saputo come fare se non avessi avuto lei.
Poi siamo cresciute, lei ha trovato un lavoro fisso in provincia (io rimasta in città) e ci siamo viste un po’ di meno, restando comunque molto unite e raccontandoci tutto.
Da un annetto vedevo che mi ometteva qualcosa, faceva viaggi il fine settimana al mare, andava in moto con qualcuno, ma pensavo che si fosse rimessa con il suo fidanzato storico e volesse andarci piano. Dopo un po’ che questo andava avanti ho incominciato a preoccuparmi è un mesetto fa l’ho messa alle strette per farmi dire cosa stesse succedendo.
Mi è caduto il mondo addosso.
Esce con un uomo molto piu grande di lei, lei 24 lui 39, che ha conosciuto nel suo vecchio lavoro.
Non sapevo cosa dire, evidentemente sentirmi parlare di cosa ho subito non è servito a un c4zz0 .
Abbiamo litigato molto, lei dice che se è abbastanza adulta da pagare mutuo e bollette allora è anche in grado di stare con chi vuole, proprio non ci arriva che la cosa è profondamente sbagliata.
Le ho dato un ultimatum: o dice addio a questo schifo di uomo o non mi vedrà più, lei mi ha detto che non sceglie proprio nulla e che lui c’è e non è necessario che io lo incontro e diventiamo amici, devo fare finta che non esista se non mi va bene.
Lei ha dato in escandescenze e mi ha mandata a quel paese.
Dopo un po’ che non la sentivo e non rispondeva e sopratttutto ancora non ragionava ho dovuto fare l’unica cosa che mi è venuta in mente come soluzione: dirlo a sua madre (con la quale ha un rapporto un po’ conflittuale)
Sua mamma si è giustamente arrabbiata molto (questa “persona” ha solo pochi anni in meno di lei) e non si parlano più.
Lei dice che se provo ad avvicinarmi mi denuncia e non capisce che qua l’unico che deve essere denunciato è lui.
Cosa faccio? La lascio bollire nel suo brodo? Però mi dispiace molto per la mia amica che viene intortata così da un essere del genere..
Non so cosa fare
Vi siete conosciute alle superiori e siete amiche da più di 10 anni, siete entrambe maggiorenni e vaccinate, ergo, ognuna ha il sacrosanto diritto di stare con chi gli pare. Evidentemente, per non dirti nulla, la tua amica ci ha visto lungo. Il tuo trauma ti condiziona la vita, ma non è giusto che debba condizionare anche la sua. Io un'amica che cerca di manipolarmi e condizionarmi, basandosi sul suo vissuto, non la vorrei più vicino. Allora ogni volta che uscirà con qualcuno che a te non piace, dovrà rinunciare o aspettarsi che corri da mammina a fare la spia?
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Odio la domenica pomeriggio. Credo che non esista parametro migliore per valutare quanto ti piace la tua vita, ed è evidente che la risposta sia "poco". Ho una marea di messaggi a cui dovrei rispondere ma non mi va, non mi interessa. Odio la domenica pomeriggio che in questo momento rappresenta così accuratamente come mi sento. Come? Vuota, grigia, viola, lilla. Sempre lì convergo, sulla tua ametista, B. (perché questa frase sembra vagamente allusiva?). Tu dici che anche il lilla può essere bello, ma non riesco a vederla così. Vedo che da qualche parte deve esserci per forza del dolore che devo ancora sentire; non è possibile che sia finito così, "solo perché...". Eppure non lo sento, e senza quelle nubi nere mi sento nuda, spoglia (spogliata). Dov'è finito tutto? Io non voglio stare male e bada bene, tu, ente cosmico di possibile esistenza che ti diverti a farmi gli scherzetti, non mi manca avere costantemente gli occhi arrossati dal pianto ma sono confusa, e mi sento un po' persa. Che senso ha avuto? Oggi ho realizzato che ormai è un'altra storia che si è aggiunta al mio passato. Non voglio nemmeno chiedermi se mi ricercherà mai, e forse la risposta a questa domanda è dove si nasconde quel dolore che mi sfugge, quelle lacrime che mi eludono ma che intravedo quando nel parcheggio passo davanti a quella stupida Citroen con l'adesivo della Sardegna e distolgo lo sguardo, quando lo shuffle di spotify mi palleggia tra ICU, destri e see you soon e il dito va avanti senza pensarci un secondo, quando qualcuno dice "cool" e mi scatta in automatico il "porco...", quando vedo lei che le somiglia così tanto e devo sopprimere l'istinto di abbracciarla. A lei non manco e probabilmente ha senso che sia così, ed è evidente che la disperazione che provavo i primi giorni non era reale, non era lei, erano i miei fantasmi, il mio papà. Però quello che c'era sotto era suo, era reale, e quella sofferenza dov'è ora? Accettare, parlare, riconsiderare, capire, perdonare. Tutte belle parole, dovrei essere fiera di come l'ho affrontata. Però ora è domenica pomeriggio e sto sdraiata sul letto e ripenso a quanto cazzo ci ho tenuto a questa persona che a malapena ha sfiorato la mia vita e finalmente quella lacrima in bilico mi cade giù sulla guancia, ma mi muore sulle labbra. È una, una sola lacrima che contiene tutte le cose che non abbiamo fatto e la speranza spezzata di guadagnarmi un angolino, defilato, nella sua vita in cui sedermi e dove restare. Avrei voluto così tanto che tutto questo avesse un senso, e invece un senso non ce l'ha. Penso allo sguardo indignato e schifato che ha fatto quando le ho chiesto se le fossi mancata, penso al senso di vuoto che ho provato sedendomi sul muretto di casa sua perché "volevo solo essere tua amica". E fa male, ma non brucia più. È il dolore che ho provato che ormai ho inglobato dentro, un taglio, uno dei miei sassi. In quella casa non ci entro più, è tutto spento, si accumula la polvere. Non so se riuscirò mai a chiudere quella porta però, perché ci ho creduto così tanto che potessimo farci del bene, che ne valesse la pena, che ad oggi non riesco a immaginare il giorno in cui se mi chiedesse di riprovarci io non direi "okay".
Così come la disperazione è diventata dolore quando ho smesso di sentirmi in pericolo, così come il dolore è diventato sofferenza quando ho accettato sia andata così, così come la sofferenza è diventata malinconia quando ho smesso di darmi la colpa, diventerai mai indifferente per me? La mia vita è andata avanti e anche io, anche se a volte mi dimentico che non ci sei più e mi giro quasi a cercarti per poi ricordare che non mi vedrai. E fa male perché se io ho lasciato andare, se ciò che tormentava me è diventato una ferita da guardare contro luce, quanto semplice deve essere stato per te? Sono diventata una dei tuoi fantasmi o non ero abbastanza importante? Ho paura che tu mi dimentichi e che lo abbia fatto con la stessa facilità con cui ogni volta te ne sei andata. Non so se riparleremo mai, ma spero che in qualche biforcazione dello spaziotempo le cose siano andate diversamente ed io sia riuscita almeno a lasciarti un pezzetto di me.
Non so se riparleremo mai, ma mi chiedo se ti piacerebbe la persona che sto diventando. Mi facevi avere voglia di essere una persona migliore, rendevi tutto un po' più bello. Anche me.
Metto via, e faccio finta di niente.
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Una delle cose più importanti che ho appreso dalla medicina ancestrale amazzonica è il potere del vomitare.
Il vomitare ti purifica dalle cose negative che hai assunto e che sono dentro di te. Cibo intossicato, sangue avvelenato, idee tossiche, modi di pensare tossici, memorie tossiche. Tirarlo fuori ha un incredibile effetto sulla salute, fisica mentale e chi dice pure spirituale. Kambo, ayahuasca, rapè, yopo, tabacco (nicotiana rusticana) fanno tutte vomitare per purificarti. E questi sono tutti gli strumenti dello sciamano per guarire.
Per questo scrivo di quello che mi è appena successo: devo vomitare per non farmi avvelenare.
Questo mese ho organizzato la venuta del mio sciamano peruviano a trovarmi per condividere la sua medicina con gli amici europei che lui ha fatto nel suo lavoro di curandero in Perù.
Questo signore si chiama Don Gardel: faccia da indigeno, grande sorriso e vestito con quelli che sono i vestiti più eleganti che tiene. Si perchè a Gradel piace avere belle scarpe (da 20 euri) e belle camicie. Io lo prendo in giro dicendogli che è pitucco, che vuol dai giusti eleganti. In Iquitos, una delle capitali in perù della ayahuasca, è un curandero conosciuto. Ma quello che più importa, perchè di sciamani ce ne sono fin troppi. Lui è un uomo di cuore. Un uomo della giungla, gentile, generoso.
Per questo lavoro con lui dopo essere stato con molti sciamani. Era l’unico che donava la medicina gratis agli abitanti del villaggio, e accettava qualsiasi turista anche i saccopelisti con pochi soldi. Infatti qui a Barcellona avevamo un posto dove dormire in un occupacion (casa occupata) dove viveva uno dei giovani che era stato con lui nella giungla. Don Gradel è un uomo curioso e era ben felice di venire in europa a conoscere questo mondo. Non è facile trovare persone dalla mentalità aperta come lui laggiù nella giungla. Ecco, questo uomo è stato cacciato indietro questa mattina dopo 5 giorni di detenzione come immigrato illegale in Europa con l'impossibilità di rientrare per 6 mesi. In questi 5 giorni il pover'uomo che non conosce il francese o l’inglese, si trovava privato del suo cellulare e impossibilitato a contattare i suoi amici qui. Vorrei che vi immaginaste che Don Gardel è come un bambino nella nostra società: I documenti che l’ambasciata di spagna gli aveva indicato a Lima a suo figlio, non sembravano sufficienti. Immaginatevi Don Gardel ha pure perso la sua mail, perché poverino che cazzo sa cosa è una google mail. E dove era il biglietto elettronico? Gli agenti non sono riusciti a trovare nessuna partenza da barcellona. Perché era da Milano. Ops. Al Fresco! Chiuso. Senza telefono senza capire la lingua e nessuno che lo può aiutare. Con un gruppo di amici francesi, organizziamo di riuscire a parlare con Gardel. Per capire un po’ la situazione. La situazione era un mostro poliforme e in continuo cambiamento. Tanto che stamattina, dopo che pago un legale esperto nell’aiuto dei clandestini che mi racconta che è la cosa migliore è andare là io direttamente a prenderlo. Fino ad ora non eravamo mai riusciti a parlare con una persona competente che ci spiegasse il problema. Ok. Assicurazione. Fatto in internet in 5 minuti. Ha bisogno di dimostrare che ha abbastanza soldi per vivere: 65 euro al giorno. Dopo qualche traversia per dimostrare al telefono che la mia identità corrispondesse a quella del mio passaporto. Il tutto in un caffè di Barcellona. Comunque fatto. Western Union e Don Gardel ha i soldi a suo nome. Ha bisogno di dimostrare un alloggiamento per tutto il periodo. Nessun problema. Un amico koreano direttore di un ostello a Barcellona, mi lascia una stanza per gardel e mi fa avere i documenti di pagamento e di alloggiamento fino al giorno prima di partire. Sembra tutto. Ma niente sembra aiutare l’amico. No. Non basta. Ci vuole la prenotazione fino al giorno del volo, anche se quel giorno sei in aereo (???). No problem. Internet. Prenotazione fatta. Qualcosa ancora manca. Comunicare con Don Gardel è impossibile: ci sono 3 telefoni nei luoghi di detenzione e bisogna trovare qualcuno che risponda e te lo passi, in più ogni 2 minuti la conversazione cade. Immaginatevi cosa vuol dire comunicare in queste condizioni. Gardel aveva informazioni confuse ed era spaventato. Aveva paura. Non era nella sua selva dove poteva dormire di notte senza problemi. Non capiva ed era sempre più confuso dai suoi amici prigionieri colombiani. Le medicine che don Gardel portava erano legali in Spagna e proprio per questo avevamo scelto Barcellona come soluzione più comoda. Però ora lui era all'aeroporto di cambio di Parigi. In Francia. E li non lo sono. E immaginatevi chi sono i compagni colombiani si Gardel? Lo spaventano parlandogli di droghe illegali e di quanti anni si sta in prigione. La paura sale. E il tempo passa. Ricevo nuova informazione che in realtà sono 100 euro al giorno. Dopo 4 giorni Don Gardel doveva avere un processo per immigrazione clandestina. Con un avvocato che non ho mai potuto contattare. Solo a notte tarda dopo il processo potei conversare a due minuti per volta con Gradel. Era depresso e spaventato. I documenti di prenotazione sembravano non bastare e sembrare fasulli. Il giudice lo ha minacciato di ‘macchiare’ il suo passaporto se non fosse partito il giorno successivo. L’ultima notte mangiando cibo per cani. Don Gardel decide di tornare a Lima con tutta la sua medicina.
Questa mattina depresso all’ennesima minaccia della polizia, perché legalmente hai un mese di tempo prima di essere rimpatrio forzato, è ripartito per Lima.
Sono ancora scioccato quando chiedo ad uno dei detenuti di passarmi Gardel, e lui mi risponde che è stato rimpatriato questa mattina presto.
Più che incredulo sono incazzato. In Europa avevamo la possibilità di incontrare un vero curandero del perù, che lo faceva senza scopi di lucro, ma di condividere la sua Medicina che è anche la sua vita. Visitare i suoi vecchi pazienti e farne di nuovi. E i nostri ospitanti non erano solo mochilleros senza soldi ma anche professionisti e addirittura un sindaco di spagna. In Francia ci aspettavano due interviste con due riviste sulle culture indigene e le sostanze psicotrope. E tutto questo non può avvenire perché Don Gardel è un uomo della giungla che ha perso l’accesso alla sua mail e che viaggia senza carta di credito e senza cash.
La nostra società è talmente malata che ha rigettato la sua medicina. Abbiamo cacciato un dottore con più di quaranta anni di esperienza.
Così succede spesso con le medicine sciamaniche, a quelli che non vogliono realmente guarire non fa niente. Ci sono persone la cui identificazione con quella che loro chiamano malattia è talmente forte da minacciare l'omeostasi del sistema corpo-mente, per loro la medicina non funziona. Viene rigettata, senza che possa essere assimilata. In questi casi ci vuole un lavoro subdolo: la microdose.
Barcellona, 3, Aprile, 2023
PS.
Una settimana dopo in Italia hanno tolto il diritto ai culti che usano l’ayahuasca come sacramento il suo utilizzo.
#clandestine#ayahuasca#plant medicine#racism#amazonia#illigal immigration#thankyouplantmedicine#consciousness#clandestino#diritti umani#immigrazione
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Raccolte di racconti: una selezione
Come sa bene chi mi segue da un po', a me piace molto leggere raccolte di racconti di vario genere: distopici, fantastici, romantici, improbabili, realistici, magici. Il problema vero e che non sono in grado di parlarne approfonditamente. Vorrei dire tante cose e poi mi ritrovo a fissare il foglio word vuoto e non so mai cosa dire. Ecco perché ho deciso di raccogliere in unico post i commenti ad alcune delle raccolte di racconti che ho letto nell’ultimo anno (o forse un po’ più di un anno, ma dettagli). I titoli sono i seguenti e ce n’è davvero per tutti i gusti, da personaggi reali, a realismo magico, dal fantasy alle fiabe passando per alcune delle mie case editrici preferite. Enjoy!
Morgana: L’uomo ricco sono io di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri edito da Mondadori
Fiabe Islandesi di vari edito da Iperborea
Libertà grande di Julien Gracq edito da L’Orma editore
L’uovo di Barabablù di Margaret Atwood edito da Racconti Edizioni
Fra le tue dita gelate di Francisco Tario edito da Safarà Editore
Le maestose rovine di Sferopoli di Michele Mari edito da Einaudi
"Una ragazza dovrebbe avere una stanza tutta per sé e una rendita di 500 sterline l'anno." Con questa frase politicamente rivoluzionaria e di cui purtroppo la memoria collettiva ha conservato solo la prima parte, Virginia Woolf lega strettamente il discorso sull'emancipazione femminile ai soldi, presentati come la premessa stessa della libertà. Il denaro è il vero tabù da violare quando si parla di donne perché è il potere più grande, quindi per definizione è stato per anni solo degli uomini. Ma allora perché tutt* continuano a consigliare alle donne, oggi come allora, di sposarsi con un uomo ricco? Perché in molte famiglie si insiste a non insegnare alle ragazze a gestire il denaro, facendo loro credere che farsi procurare da qualcun altr* la sicurezza materiale sia un traguardo di vita? In queste pagine troverete imprenditrici scaltre e un po' corsare, che tra rispettare le leggi o se stesse non hanno mai avuto dubbi, artiste carismatiche che non hanno pensato nemmeno per un momento di dover essere protette dal patrimonio dei loro partner. Vedrete politiche convinte che il miglior modo per arrivare in alto è non farsi vedere mentre si sale, e mistiche per le quali è la natura delle intenzioni, non il denaro con cui le realizzi, a segnare il confine tra ciò che è bene e ciò che è male. Vi emozionerete per campionesse sportive che per vincere tutto hanno rischiato di perdere la sola cosa che contasse davvero, e vi innamorerete di intellettuali contraddittorie che con la loro creatività hanno fatto abbastanza soldi per dichiarare una guerra (e pazienza se era quella sbagliata). Sono donne alle quali la libertà è spesso costata cara, ma che non hanno mai smesso di pensare di potersela permettere, perché volere beni propri e volere il proprio bene spesso sono la stessa cosa. In ciascuna delle loro vite - Oprah Winfrey, Nadia Comaneci, Francesca Sanna Sulis, J.K. Rowling, Helena Rubinstein, Angela Merkel, Madame Clicquot, Beyoncé, Chiara Lubich e Asia Argento - risuona forte la frase fulminante e sovversiva di Cher che, quando sua madre le consigliava di smettere di cantare e trovarsi un uomo ricco, ebbe l'ironia di rispondere: "Mamma, l'uomo ricco sono io".
Di Michela Murgia nello specifico ho parlato in un post dedicato solo a lei ma trovo sempre molto interessante leggere i suoi scritti. Anche se non sempre sono d’accordo con la sua prospettiva pure fornisce sempre spunti per riflettere. Anche questa raccolta nasce dalla nuova stagione del podcast Morgana di Storielibere.fm che Michela Murgia porta avanti insieme a Chiara Tagliaferri, tutta dedicata al tema soldi e potere. La ricchezza è ancora la misura con cui si misura il successo di una persona? Ed è davvero così discriminante quando è una donna a voler emergere? Che cosa si nasconde dietro le vite di donne che ce l’hanno fatta? In genere molta sofferenza e tantissimi sacrifici e anche forse una certa dose di spregiudicatezza che non fa mai male. Quando l’unico obiettivo della tua vita dovrebbe essere accasarti, trovare il giusto partito e mettere in piedi la tua famiglia, affermare che “l’uomo ricco sono io” diventa ancora più sovversivo. Le donne raccontate dalla Murgia sono incredibilmente controverse, non per forza persone da stimare ma sicuramente donne di un certo peso, la cui storia dimostra che hanno scelto di combattere per il loro posto del mondo. Delle loro storie rimane il peso delle loro azioni, il modo in cui si sono fatte forti dei loro passi anche quando questi pesavano come macigni, anche quando tutto sembrava correre contro di loro. Michela Murgia ha la capacità di tenere il lettore lì, ancorato alla pagina, anche quando quella pagina diventa minacciosa.
Terra di miti e leggende che sembrano riecheggiare ancora nei suoi paesaggi lunari, l’Islanda ha dato voce alla sua creatività anche in un originale patrimonio di fiabe, qui raccolte in un’antologia inedita. Un mondo di castelli stregati, lotte in sella ai draghi e viaggi per mare con le barche di pietra dei troll, popolato da bellissime regine che si rivelano orchesse, elfi dispettosi che è bene farsi amici, giganti a tre teste che escono dalle grotte di lava, e una natura «vivente» piena di misteri, dove ogni roccia, animale o corso d’acqua può nascondere un’insidia o una presenza fatata. Storie che raccontano l’eterna lotta tra il bene e il male a colpi di magie, metamorfosi e prove di astuzia e di coraggio, ma anche l’origine di un proverbio o di un’antica credenza che fonde il sacro e il pagano, come quella degli elfi, i «figli sporchi» che Eva non è riuscita a lavare prima di una visita di Dio e che da allora dimorano negli anfratti rifuggendo ogni sguardo umano. Storie in cui i motivi di Biancaneve o della Bella addormentata hanno risvolti per noi inaspettati, e se la giustizia trionfa sempre come vuole la tradizione, punendo i malvagi e dando felicità e ricchezza ai probi, ogni fiaba ci sorprende con uno humour irriverente, un’inedita sensualità o una crudezza che ricorda le saghe. Pagina dopo pagina ci avviciniamo all’anima di un popolo che nelle solitudini boreali ha sempre viaggiato con la parola, l’immaginazione, la poesia.
Iperborea è una di quelle case editrici che hanno uno stile riconoscibile e chiaro, in una dichiarazione di intenti speciale e senza vie d’uscita. Se il tuo sguardo vaga tra gli scaffali di una libreria li riconosci sempre i loro volumi: sia per la grafica, che per il formato, ma soprattutto per i temi. Immergersi nel mondo della Islanda allora diventa una scelta consapevole e un cammino in cui perdersi e in cui riconoscere la stessa universalità delle nostre storie. L’uomo ha sempre avuto l’esigenza intransigente di raccontare, di spiegarsi in maniera speciale il mondo che lo circonda. E allora eccoli l’ elfi e magie, draghi e streghe, regine e contadini tutti contraddistinti da quei temi universali che ripercorrono le leggende di tutti i popoli. L’infinita lotta del bene contro il male si riconosce anche in paesaggi ricoperti di neve e dal clima terribile. Li riconosci anche quando segui folletti in posti che non riconosci e la sera intorno al fuoco c’è la capacità di rivivere ogni sfumatura dell’animo umano.
In rari e preziosi casi, la potenza della letteratura è tale da far vivere il miraggio della perfezione. Lo si scorge come un miracolo sospeso, ad esempio, nella serie di poemi in prosa che compone Libertà grande, raccolta di testi vertiginosi pubblicata originariamente nel 1946 e poi arricchita per oltre un ventennio da uno dei maestri di stile del Novecento francese. Attraversando deserti di ghiaccio, architetture trasfigurate dalla luce dell’alba e porti affollati di vele notturne Julien Gracq si abbandona a suggestioni dal sapore surrealista senza per questo rinunciare al nitore classico della frase cesellata né tantomeno a un gusto romanzesco capace di donare un afflato d’avventura a ogni paesaggio. Diario di viaggi immaginari e taccuino di estasi letterarie, Libertà grande è una celebrazione, un inno, un incantesimo dove la lingua si dispiega nel suo massimo potere evocativo e la parola è l’orizzonte in cui gli esseri umani abitano il mondo.
L’Orma Editore è una delle mie case editrici preferite e mi ha sempre regalato dei testi unici e particolari che mi hanno affascinata con la loro magia. Di Julien Gracq volevo leggere “La riva delle sirti” ma ancora non sono riuscita a iniziarlo, ma questo volume di racconti mi ha dato un assaggio della potenza della sua scrittura. Non so bene come descriverlo perché le atmosfere sognanti delle sue descrizioni sono difficili da riportare su carta ma l’espediente che usa è uno dei miei preferiti. I diari di viaggio e la descrizione di città mi hanno sempre incantato fin da quando mi è capitato in mano per la prima volta “Città invisibili” di Calvino, e questo migrare ininterrotto, questo mettersi in cammino verso un mondo sconosciuto mi ha sempre affascinato. Julien Gracq ha dalla sua l’abilità di dare in un rapido colpo d’occhio lo scorcio di prospettive uniche, delle albe indimenticabili, porti che si spalancano di fronte allo sguardo con la potenza di un sogno. Ogni prospettiva è unica e affascinante e allo stesso tempo incastonata in un percorso vagamente onirico, tutto nei suoi racconti ha il brillio del ghiaccio colpito dal sole e il freddo spettrale della notte.
Una fine che si approssima e di cui si intravedono le crepe nella parete, questo è l’incombente senso di minaccia e l’anticipo di liberazione che si deve provare dentro un uovo, un guscio protettivo e autosufficiente dove ci si prepara alla sopravvivenza in un mondo esterno probabilmente pericoloso. E proprio in quest’uovo pronto a schiudersi sembrano vivere le donne ritratte in questi racconti da Margaret Atwood, ognuna di loro, come nella favola di Barbablù, ha una chiave per entrare in una stanza segreta e ha tutta l’intenzione di usarla. Magari per abbandonarsi a reminiscenze seguendo un flusso che le conduce all’idillio di un’ultima lunga estate al riparo dalla vita adulta, trascorsa nei boschi a sfuggire da un fidanzato noioso oppure in un mare dove l’orizzonte è chiuso da ingombranti mercantili. Le Betty e le Loulou di questo mondo, impegolate come sono in complicatissimi ménage domestici, tentano di tenere tutto assieme rimandando l’inevitabile crollo, che sia con un gruppo di poeti sfaccendati che dipendono dall’unica donna della casa o una fragile esistenza fatta di colazioni accanto a un marito fedifrago. In questi momenti in cui la fine dei tempi sembra farsi quotidiana, Atwood è ancora capace di sgretolare il rivestimento di cui sono circonfuse le nostre vite per metterne a nudo tic e manie, paure e slanci.
Margaret Atwood è una donna affascinante che potrebbe parlare per ore e io starei lì ad ascoltarla ricordare aneddoti rapita. E anche in questa raccolta di racconti ritroviamo tutta la forza della sua penna. Ricordo perfettamente di aver comprato questo volume in una libreria caffè di Torino insieme ad un mio amico perché ero rimasta affascinata dalla copertina. Questo blu piuttosto opaco e poco sgargiante, il titolo evocativo come pochi, e la firma inconfondibile di una donna che mi incanta. Leggerlo è stato come entrare nelle stanze di Barbalù ma soprattutto in un mondo di donne che non sono mai troppo libere, troppo felici, troppo indipendenti. Ogni racconto apre uno scorcio, una consapevolezza, una via. Sembra tutto semplice e lineare, poi ti avvicini ed emergono i problemi sotterrati in giardino, ti avvicini e scopri le idiosincrasie di un mondo che ci vuole fragili ma capaci di mandare avanti una casa, delicate ma forti abbastanza per mettere al mondo dei figli, femminili ma non così provocanti da attrarre attenzioni indesiderate. Il contraltare di vite piene di opportunità che sono compromessi imprescindibili e lacrime di fronte alla sfortuna di aver incontrato la persona sbagliata al momento sbagliato. Ma d’altronde le nostre vite non sono mai semplici e la Atwood non indora mai la pillola, ma le sue parole sono sempre un faro.
“Fra le tue dita gelate”, dedicato all’amata moglie Carmen Farell, il “mágico fantasma” che attraversa impalpabile il respiro di ogni pagina, è considerato all’unanimità il capolavoro di Francisco Tario, enigmatico protagonista della letteratura messicana del Novecento. Scritti con una prosa di inquietante bellezza, i racconti surreali, grotteschi e sensuali qui riuniti illuminano i varchi di accesso verso una dimensione altra che scorre parallela alla comune percezione, disseminando il testo di anticipazioni che solo i lettori più scaltri sapranno individuare e svelando, solo in parte, l’enigma della narrazione. Nascite mostruose, oceani voraci e amori chimerici: lo spirito avanguardistico di Tario avverte il lettore di trovarsi sul terreno sdrucciolevole tra la veglia e il sogno, tra l’incubo e il ricordo, e che il solo modo di uscirne è attraversarlo, facendo attenzione a non scivolare per sempre nel lato del possibile.
Ah ho letto questa raccolta perché Cristina di Safarà mi ha incantato con la sua descrizioni quando sono passata a trovarla all’ultimo Salone del Libro qui a Torino. Sicuramente non è un libro facile e sicuramente è una di quelle raccolte in cui devi credere e ti devi lasciare circondare. Francisco Tario ha uno stile che non scende a compromessi che si diverte a muoversi in un mondo che è pieno di sfumature, è un equilibrista sulle pagine che diventano una tela in cui disegnare qualsiasi cosa. Incasellarlo in qualche etichetta diventa impossibile perché le pagine si affastellano in una corsa che diventa contraddittoria e impossibile, ma proprio per questo irresistibile. Ogni racconto riprende un tema, lo esacerba alla ricerca profonda di una verità che resta sepolta negli intenti dello scrittore. Evocare le sue immagini più sconvolgenti, contraddittorie e inquietanti diventa difficile ma sicuramente immergersi nel suo mondo un’esperienza da ripetere.
Ogni ossessione a Sferopoli è già stata catalogata, qualsiasi mito o superstizione trova conferma, i sogni sono moneta corrente, la letteratura è l'unica divinità. Nella geografia immaginaria e nella filologia fantastica di questo libro può capitare che il carteggio fra una padrona di casa e un inquilino precipiti in un contrappasso metafisico, e che al calar delle tenebre i teschi si raccolgano intorno a quello fra loro più loquace; che il tema assegnato da un maestro elementare susciti un maleficio, o che un esame universitario sia l'occasione per uno studente impreparato di esibirsi in uno sfoggio linguistico ultraterreno. A furia di passeggiare rimirando ogni angolo di questa dimensione, al turista potrebbe venire fame: è allora che scoprirà quanto da bambino Mozart andasse pazzo per il gorgonzola, e solo dopo aver messo in tasca una ricetta per la coda alla vaccinara potrà proseguire la visita. Non mancheranno le dispute: se si è fortunati si incontreranno gli otto rabbini più potenti del mondo pronti a sfidarsi in una gara di golem, o due parroci rivali disposti a tutto pur di raccogliere i funghi migliori. Dopo la «finzione autobiografica» di Leggenda privata, Michele Mari torna a una delle forme più congeniali: il racconto. Con la fiducia affabulatoria di chi, esplorando le infinite possibilità del genere, sa di poter sorprendere – oltre i suoi lettori – prima di tutto se stesso.
Puntavo il libro di Mari da un sacco di tempo perché proprio come quello di Julien Gracq mi ricordava le atmosfere delle città di Calvino. Ma devo dire che in realtà mi ero immaginata tutto un libro, con esattamente il mood della scoperta, la vividezza delle immagini e lo pregustavo così tanto che sono rimasta interdetta quando mi sono trovata davanti effettivamente “Le maestose rovine di Sferopoli”. Sono ancora indecisa nell’affermare se mi sia piaciuto o no, ma non è colpa del racconto di Mari ma solo della mia fantasia. Effettivamente è un libro di città, ma è anche una raccolta di immagini e di tradizioni (la storia del Gorgonzola davvero molto divertente). Si è un po’ turisti e un po’ storici, un po’ esperti di cibo e un po’ sognatori mentre si esplora il mondo immaginario di Mari che fonda le sue radici esattamente al centro delle nostre leggende e abitudini più consolidate. Si esplora, si scopre e si sogna in un intreccio di possibilità che rendono possibile qualsiasi cosa anche il tracimare in mondi che sono tutt’altro che perfetti.
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Crolli Vitali
Crolli Vitali Piece Teatrale
Titolo: Crolli Vitali
SottoTitolo: Epigrafe involontaria
Autore: Giorgio Viali Bozza 20 Febbraio 2023
Personaggi: Liliana (Protagonista) Cecchin (Servitore) Un Attore (Visitatore) Una Attrice (Coinquilina)
Stanza di un Appartamento popolare Pareti bianche. Spoglie. Un Divano bianco a due posti consumato Una Poltrona Singola bianca Un Vaso di Fiori (tulipani bianchi) sfioriti
Protagonista: Non voglio scrivere un monologo. O un soliloquio. O mettere in scena un lavoro monoteatrale. Siamo già così soli al mondo che costringerci ad esserlo anche a Teatro o al Cinema mi pare una condanna insopportabile e ingiusta. Ma certo come recita il proverbio meglio soli che male accompagnati. Certo. Meglio Vivi che Morti. Non sempre. Non è sempre vero. Non voglio essere sola. Non voglio sentirmi sola. Non voglio attori e attrici in scena da soli. Che si sentono soli. Che parlano da soli. Che immaginano da soli. Che straparlano da soli. Non li voglio soli. Non voglio che gli altri li vedano soli. Siamo già tremendamente soli abbastanza. Non che mettere in scena più personaggi assicuri minore solitudine. Come, d'altra parte, mettere in scena un attore o attrice da solo o sola non implica necessariamente la loro solitudine. E non voglio che le Parole si sentano sole.
Abbandonata al momento l'idea di realizzare un Documentario di Interviste, provo a considerare il senso di tradire l'autore con più forza e determinazione. Provare a renderlo definitivamente personaggio e a metterlo in scena. Ma il primo nodo da affrontare, che mi si pone, in questo caso, si tratti di una performance, di uno spettacolo teatrale, di un film o solo di una visione terapeutica, è quello di nominare questo Scrittore, Attore, Sceneggiatore. Di dargli un Nome. Per tradirlo meglio. Per renderlo assente e quindi ancora più presente e definitivo. L'Autore che non ha ancora un Nome ha tradito più volte altri Autori. Ha rubato con tenacia e recidiva più e più volte. Con compiacimento a volte. A volte come tutti inconsapevolmente. A volte con violenza o per sfida. E' diventato dipendente anche da alcuni di loro per qualche tempo. Ed è l'unica dipendenza che ha sviluppato nella sua vita. Considerato che non è diventato dipendente dalla droga e non è diventato o meglio non ha voluto diventare dipendente dal successo. L'Autore, ricordiamolo, ha scritto una piece teatrale su un Uomo politico. E una su un Architetto famoso. Dalle piece si desume chiaramente chi sia l'Uomo politico e l'Architetto ma l'Autore non usa mai il loro Nome.
Autore. Lo chiamerò: Autore Sì potrei. Sì mi piace. Al momento mi pare possa essere una soluzione per tradirlo e sconfessarlo nel migliore dei modi. E Autore sia. Per il momento.
Non posso poi non inserire il Personaggio di Cecchin. Cecchin come sa bene chi conosce l'Autore è un Servitore. Il Servitore. Una Maschera. Cecchin veste in modo militare. Con pantaloni da lavoro non nuovi, usati e di vecchio taglio, con tasche e tasconi sia sui pantaloni sia sulla giacca. Di poche parole. In tasca ha un coltello. Mangia in modo ascetico. Perlopiù banane e latte. Socratico. Il suo compito è quello di far nascere negli altri pensieri e riflessioni. O di permettere a questi pensieri e riflessioni di diventare parole. Oppure il compito di stare vicino a qualcuno o qualcuna. Semplice vicinanza o convivenza asettica. Ma fisica. Cecchin sarà in scena con il protagonista o la protagonista.
Entra in scena Cecchin. Così come descritto.
Protagonista: Cecchin, per cortesia, prepari lo zaino con lo stretto indispensabile?
Cecchin: Certo
Protagonista: Ed il protagonista? Chi può essere? Non ho via di scampo. La protagonista di questa performance non posso che essere io. Se voglio seguire le tracce dell'Autore non posso tirarmi indietro. Nascondermi. Devo entrare in scena personalmente. Io. Non posso che essere io la protagonista di questa piece teatrale. L'Autore è Maschio. Io sono Femmina. Per quanto questo voglia dire. Si vedrà. Nella performance non posso che essere quello che sono. Non posso non portare in scena me stessa. Vivo. Scrivo. Dirigo. A volte Riprendo. A volte mi si chiede di scegliere un Punto di Vista.
Non posso e non voglio chiamarlo Maestro. Non posso e non voglio. Non c'è un legame emotivo. Non voglio che ci sia. Ma Maestro sarebbe un bel modo per metterlo ancora di più in scena. Il Maestro. Il mio Maestro. Quanti Maestri ho avuto nella mia vita? Quanti Maestri abbiamo tutti noi seppellito, dopo averli affrontati spesso con un corpo a corpo? E questo Maestro pretende ed esige più di altri un corpo a corpo definitivo. Ne ho ancora le forze? Ha ancora un senso un altro corpo a corpo? Per il momento teniamo Autore. Autore o Maestro, in ogni caso un Male Necessario.
Campanello
Protagonista: Cecchin per cortesia vada a vedere.
Cecchin esce di scena Rientrano l'Attore e Cecchin. L'Attore è vestito da Arlecchino. Cecchin ritorna a sistemare lo zaino.
Attore: Sono contento d'averti trovata. Non ti ho svegliata? Non stavi dormendo?
Protagonista: No. Dormo poco alla mattina.
Attore: Sono in scena in questo periodo. Arlecchino come vedi. Per tutto Carnevale. Dopo Carnevale dovrò interpretare Creonte.
Ho bisogno di te. Ho bisogno di qualche indicazione.
Musica che arriva da fuori scena. Se perdo te di Patty Pravo. Entra in scena l'Attrice coinquilina. Sta ascoltando la canzone sul cellulare. Mette in pausa la canzone.
Attrice: C'è qualcosa di commestibile in casa? O al solito non c'è niente? Hai dormito? Com'è andata la notte?
Rivolta a Cecchin: Buongiorno Cecchin Ha chiesto lo Zaino anche oggi?
Cecchin: Rivolta all'Attrice: Sì. Lo sto preparando. Ha dormito come sempre. Le solito quattro ore scarse. Non c'è niente da mangiare in casa. Come al solito.
Attrice esce di scena e rientra in scena con una tazzina con un infuso. Si siede accanto alla Protagonista. Sorseggia il suo Infuso. Fa partire di nuovo Se Perdo te. Solo l'inizio della canzone. Poi passa ad ascoltare l'inizio di Ragazzo Triste e l'inizio di La Bambola.
Attrice: Cecchin, per cortesia, chieda all'ospite se sta giocando ancora con le maschere?
Attore: Cecchin, per cortesia, chieda all'Attrice qui presente come ha fatto a passare dal Teatro sperimentale a Instagram Tiktok e OnlyFans?
Protagonista: Basta così! Sul Set o a Teatro faccio quello che mi dicono di fare. E sempre il meno possibile.
Cecchin esce di scena e rientra con un piano da stiro e un ferro da stiro. Inizia a stirare alcuni capi della Protagonista.
Attore si alza in piedi. Un foglio in mano.
Attore: Rivolto alla Protagonista: Ascolta. In base a questo io ho proclamato un giusto bando per di Edipo i figli: Eteocle che è caduto combattendo con valore a difesa della città, abbia un degno sepolcro ed onorato sia con i riti e con le devozioni che accompagnan sotto terra i migliori, ma Polinice di costui fratello…
Senti Non funziona Non ha un senso Non riesco a dargli un senso Non ha una sua forza O forse non è questione di Forza
L'Attore si siede
Protagonista: Ecco adesso dovrei cercare di ricordare le compagnie aeree con cui ho volato nella mia vita. Chiedere a Cecchin di ricordarmi con che compagnia ho volato quella volta che sono andata in Turchia? Oppure potrei elencare i Lavori che ho fatto. In omaggio all'Autore. Primo Lavoro? Ho lavorato in Conceria un paio di estati durante gli anni del Liceo. Solo che sono stato io a chiedere a mio padre di trovarmi un lavoro per l'estate. E non avevo una bicicletta da comprare. E di certo, anche avessi avuto una bicicletta da donna, mi sarebbe andata più che bene. Primo Lavoro vero e proprio? In una Cooperativa di disabili psichici. Di Matti. Non ho, al momento, sperimentato, come l'Autore, un Ricovero. Ma ci ho lavorato con i Matti. Poi. A caso. Ho lavorato come Grafica in una azienda Meccanica. Ho insegnato in un doposcuola di bambini extracomunitari. Ho lavorato come Portiere di notte in un Hotel di Vicenza. L'Hotel dove ha soggiornato la troupe di Matteo Garrone durante le riprese di Primo Amore. Dove ho incontrato il mio prima suicida. Un cliente impiccato in una stanza d'Hotel. Che ho trovato io. Una notte di molti anni fa. Ho scritto per una Rivista e collaborato per la Radio svizzera. Ho fatto la Rilevatrice per l'Istat per diversi anni e ho percorso e viaggiato per un territorio diffuso che ho conosciuto a fondo. All'aperto per giorni e giorni. Per lo più a piedi o in bicicletta. Ho lavorato come Informatica. Vari lavori occasionali per alcuni Comuni. Come raccogliere domande e formalizzare pratiche per l'assegnazione delle Case Popolari. Ho fatto la Fame. Per alcuni periodi della mia vita mi sono ritrovata completamente povera. Senza lavoro. Senza pane quotidiano. Una volta finite le riserve, quando non sarò più in grado di pagare le bollette, quanto resisterò in casa dopo che mi avranno tagliato luce, acqua e gas? Poi ho ripreso a fare la Portiere di notte. Una Stagione estiva al mare, Una stagione estiva in Montagna. Ho fatto la Fotografa in un villaggio turistico a Jesolo. Ho lavorato e lavoro nella Sicurezza. Per aziende private. Ho passato e passo notti e notti a guardare Monitor. A scandagliare Schermi di decine di telecamere di VideoSorveglianza. Dimenticavo. Ho fatto il Lavapiatti. In un paio di Ristoranti. La Cucina è l'ambiente più brutto e fascista che ho mai sperimentato. Il luogo in cui mi sono confrontata con il Potere assoluto del Monarca/Cuoco. In Cucina il Potere dello Chef è Assoluto. L’altra sera ero in un autogrill e pensavo che per un periodo potrei fare la barista di Autogrill. Un lavoro di quel tipo, senza grandi responsabilità.
Cecchin: Ricorderei anche che Lei è stata in Carcere. Tra le altre cose.
Protagonista: Non è un Lavoro Cecchin.
Cecchin: La macchina fotografica lo porta via? La metto nello Zaino?
Protagonista: Il Mondo delle immagini da anni è saturo. Il Mondo delle Parole è ancora vitale. Anche il Mondo del Cinema è in affanno. Mentre il Teatro sembra ancora voler sopravvivere. Dopo esser stato dato per morto per l'ennesima volta. Mi piace rubare. Impunemente. Sì Cecchin metta le batterie a caricare e poi metta batterie e macchina fotografica nello zaino. Grazie.
Protagonista: Inseguo l'Autore ormai da un anno. Da quando si è tolto la vita. Scrivendo una pagina scontata e prevedibile nella sua esistenza. Ma essere prevedibile non è in alcun modo un difetto. Forse più che prevedibile l'Autore ha dimostrato di essere coerente. Mi disturba innanzitutto non sapere e non conoscere i dettagli del Suicidio. L'Autore aveva iniziato anni fa una ricerca e una catalogazione dei Suicidi avvenuti in Veneto. Ricerca che aveva poi dovuto abbandonare per mancanza di dati. Dati che anche nel suo caso non abbiamo. Per una qualche sorta di pudore immotivata e morale. Come si è suicidato? Con dei farmaci? Degli psicofarmaci? E' stata una scelta consapevole? Il suicidio è stato lucido o un accadimento per accumulo momentaneo di desolazione? Vorrei sapere. In modo semplice e chiaro. Lo seguo come un fantasma. Anche se ormai è morto. Ho una predilezione per Compiti che vanno eseguiti e che nessuno si prende la briga di eseguire. Ho una predilezione per occupare solo spazi privati, sociali e politici, che nessun altro occupa e che rimangono vuoti. E dovrebbero invece essere riempiti.
Protagonista: La parte perfetta per l'Autore. Che non c'è più. So bene cosa direbbe l'Autore a questo Attore. Di fare un Viaggio. Non una vacanza. Un Viaggio. Di imparare a camminare. Non a passeggiare. A camminare. A camminare in viaggio. Magari in Nigeria. A novembre io vado in Africa. Lì mi trovo bene, ho degli amici: sono pragmatici, essenziali. Lì hanno problemi seri, non c’è tempo per masturbazioni mentali. Prima di accostarsi a parole come quelle di Creonte. Di fare esperienza dei Cannibali. Ma un Viaggio non ci può essere ordinato o consigliato.
Proviamo a partire dalle Parole. Il Viaggio, poi, in caso, arriverà.
Protagonista: Rivolta all'Attore Tutto inizia dalle parole. Dalla constatazione e dalla consapevolezza che le parole hanno una propria dignità. Non devono essere tradite, non devono essere sfruttate, non devono essere travisate, non devono essere evocate senza motivo, non devono essere maltrattate, non devono essere comprate e vendute, non devono essere usate, devono essere scritte o pronunciate con attenzione, con cura e rispetto. Devono essere lette con attenzione, cura e rispetto. Per uno scrittore il rispetto per se stesso , per gli altri, per una comunità, passa per il rispetto che lui per primo ha per i suoi strumenti di lavoro: le parole. Lo stesso per un Attore o un'Attrice. Le parole sanno ricambiare. Le parole possono tradire, abbandonare, sconvolgere, violare quando non rispettate. Le parole sanno risplendere e illuminare. Sanno consolare e abbracciare. Sanno accudire e riscaldare. Sanno starci vicino e prenderci per mano. Mostrarci la via. Indicarci il Bene. Aprirci la Mente e il Cuore. Quest'ultima parte decisamente non sarebbe piaciuta all'Autore. No. Decisamente no.
All'Attore: Riprova Libera la tua mente da qualsiasi pensiero Concentrati sulle singole parole che stai leggendo Dai attenzione e cura ad ogni singola parola Trova un ritmo e un tempo Non preoccuparti del Personaggio Ci sono le Parole. Le Parole bastano In piedi Posizione ferma e immobile Se ti è utile stringi una mano a pugno
Attore si alza in piedi. Fa vedere che stringe una mano a pugno. Posizione ferma e sicura. Legge:
In base a questo io ho proclamato un giusto bando per di Edipo i figli: Eteocle che è caduto combattendo con valore a difesa della città, abbia un degno sepolcro ed onorato sia con i riti e con le devozioni che accompagnan sotto terra i migliori, ma Polinice di costui fratello che, tornato dall'esilio, bruciare volle la patria e degli dèi gli altari, si dissetò con il fraterno sangue e in schiavitù cercò di assoggettarci, contro di lui il bando è proclamato: che nessuno di lui pianga la morte né onori il corpo, insepolto dovrà restare, preda di uccelli e di cani. Così ragiono. Mai avverrà che i probi ricevan onori dai giusti.
Bene. Meglio. Non ancora perfetto. Si siede e rimugina per conto suo.
Attrice: Come sta andando il tuo Corpo a Corpo? Il tuo Breakdown si avvicina? E' invitabile. Lo sai? Questi appunti cosa sono?
Attrice prende un foglio e legge:
Poi c’è F, 19 anni, biondo, occhi azzurri, frangia sugli occhi, rapper maledetto che ha tentato il suicidio, e ora è dentro per uso di sostanze stupefacenti e alcol, con cui lego, chiacchiero di musica, e mi metto d’accordo per una session post prigionia. E G., 23 anni, anche lei bionda, pelle bianchissima, alta, slanciata, bellissime mani che tremano, e bellissimo viso dell’est dagli zigomi alti, tipico di questi luoghi, fresca di tre giorni di rianimazione dopo un tentato suicidio.
Prende un altro foglio e legge: La cosa che resta da dire è che i ricoverati, tutti i ricoverati, a prescindere da sesso e religione, hanno in comune una cosa: sono tutti, ripeto tutti italiani, di classe proletaria e sottoproletaria. E sono bianchi. Perché c’è poco da fare o da dire: è il proletariato e il sottoproletariato italiano bianco, oggi, a rappresentare la classe sociale meno protetta di tutte, la meno vista di tutte. Agli italiani bianchi di classe sociale inferiore, l’assistenza sociale di stato può espropriare i bambini, mentre la psichiatria di stato, dal canto suo, può internare a colpi di Aso e Tso, e trattare ogni cosa a forza di psicofarmaci.
Ma come fai ad occuparti di questo Maiale? Proprio non lo capisco. Cosa ti affascina? O cosa ti spaventa? Qual'è il punto? Hai qualcosa in comune con questo Misogino, Violento, Fascista. Labile. Introverso. Asociale. Stronzo. Puttaniere. Una Bestia fuori tempo e fuori luogo. Fuori di testa. Venale. Scriveva sempre e solo se veniva pagato. Ha sfruttato anche il suo ricovero in Psichiatria per farsi pagare. Racconterà questa esperienza drammatica in un libro o in un testo teatrale? Pensavo a un articolo, se ben pagato. Sono passate un paio di settimane. Lo shock è riassorbito. Sto scrivendo un reportage, come fossi stato non un paziente, ma un inviato speciale in incognito. Inviato speciale? L'hanno lasciato andare. Dovevano tenerlo rinchiuso. Buttare la chiave. Tra l'altro sarebbe ancora vivo. La sua è una scrittura sintetica. Nel doppio senso di scrittura definita da psicofarmaci e nel senso di scrittura che non ha niente di umano. Spacciatore e Tossico. E' solo un caso che non sia morto per droga o che non sia diventato un assassino o un barbone. Le sue due possibili oscillazioni. Con le sue parole infettive. Ha ammorbato il nostro presente. Ipotecato parte del nostro futuro. Serve un antidoto e un vaccino per scardinare le barricate semantiche che questo impostore ha messo in atto. Farà danni. Molti danni. Con il lascito ingombrante di luoghi comuni che ci ha lasciato. Nordest Periferia Diffusa Congestione.
Dai non te la prendere. Esagero.
Protagonista: Sono stato a dei colloqui di lavoro per operatrice ecologica. Non mi hanno presa. Questo è un lavoro di pulizia? Mi devo occupare di riciclare o smaltire rifiuti ingombranti? O mi è chiesto di esprimere per l'ennesima volta una pietà che comincio a non avere più? Voglio un Colpo di Scena. Per l'Autore un Colpo di Scena è un Sacrilegio. Una profanazione. Ma noi siamo abituati ai nostri sconfinamenti. Siamo abituati a fallire. Vogliamo fallire. E l'Autore che è in noi dobbiamo metterlo alla prova. Capire quanto è forte. Quanto ci ha irretito. Quanto ci domina e ci sottomette. Fino a che punto. Se ci sarà un senso di colpa. Se ci rialzeremo dopo essersi inabissati in questo abisso perverso di amore assoluto per le parole e ossessioni paesaggistiche orgiastiche. Dionisiache e apollinee. Un Colpo di Scena narrativo. Drammatico. Edificante. Educativo. Eccolo.
La Scena all'improvviso si oscura completamente. Tutto buio. Buio e silenzio. Per una decina di secondi. La luce ritorna. La stanza in cui siamo si è rimpicciolita. La protagonista, cioè io, indossa una tuta da ginnastica un po' macchiata. Grigia. Tuta da ginnastica anche per la mia coinquilina. Ma rosa pallido. L'Attore, in tuta blu scura, recita ad alta voce parole sconnesse. Che sembrano uscite da una Tragedia. Cecchin (indica Cecchin) indossa un camice da infermiere e si avvicina con un vassoio in mano. Nel vassoio un bicchiere di plastica pieno d'acqua e un blister con dei farmaci. Prendo delle pillole e bevo un bicchiere d'acqua. La protagonista mima l'azione di prendere le pillole e di bere un bicchier d'acqua. Non siamo in un appartamento. In una abitazione privata. Siamo in un reparto di Psichiatria. Ed io vi sono rinchiusa. Potrebbe succedere. Ma se succederà sarà solo per evitare che ci vada qualcun altro. In fondo meglio io. Che potrei sopportare. Che qualche altra anima fragile. Non ho ancora trovato il tempo di andare sulla Tomba dell'Autore. Non ho trovato il tempo Sepolto e abbandonato in un piccolo loculo di un cimitero vicentino. Autore abituato ad abitare e scrivere di spazi architettonici anche sepolcrali di ben altro stampo e foggia. Il destino ci riserva quello che si spetta. E quell'umile loculo proletario sembra fatto su misura per lui. Lo lascino riposare dov'è.
Volenti o nolenti qualcosa ci sopravvive. Per quanta attenzione si faccia ad andarsene senza lasciare tracce ingombranti. E gli altri possono fare ciò che vogliono dei nostri resti. E gli altri faranno ciò che vogliono con i nostri resti. Non ci sono usi impropri. Non c'è appropriazione o furto. Si può essere anche fotografici, drammaturgici, addirittura cinematografici; ma l’essenziale, anche qui è un Non, nel senso di Non-Didascalici.
Ho sbagliato. Ho sbagliato tutto. Adesso lo vedo. Tutto quello che ho detto e scritto non ha un senso. Devo prendere atto dell'ennesimo fallimento. E ricominciare. Sempre che invece la soluzione non stia nel sospendere questo insensato ricominciare. Sempre che invece la soluzione stia non nel compiacersi nello scrivere ma scrivere solo su richiesta. Solo su committenza. Mai scritto niente per me stesso, neanche la lista della spesa.
Attore: Grazie delle indicazioni. Adesso devo andare Ho le prove.
L'Attore sta per uscire. Si ferma prima di uscire di Scena. E dice: Devi scrivere qualcosa per me Mi piacerebbe che tu scrivessi qualcosa per me. Lo farai? Ti saluto
L'Attore esce di scena.
Protagonista: Ecco. Si riceve quel che si chiede. Pensare che possa scrivere un testo teatrale essendo andato al teatro solo una volta da adolescente. L'Autore, sì sempre l'Autore, in un'intervista: un Arlecchino Servitore di due Padroni potrebbe essere oggi un separato precario e povero che ha bisogno di guadagnare e un lavoro precario non gli è sufficiente. Partire da qui. Il nostro Arlecchino è uno scrittore separato precario. Questo nostro scrittore precario trova un lavoro precario per un uomo Politico di estrema Destra. Deve scriverne i testi durante la campagna elettorale. Ma i soldi che guadagna non gli bastano per pagare la ex moglie e il mantenimento dei figli. Il nostro Scrittore è in difficoltà. E quando un altro Politico, questa volta di estrema Sinistra, gli chiede se è disponibile a scrivere i testi per la sua campagna elettorale accetta. Il resto da sviluppare. Un Arlecchino servitore di due padroni. Di due Politici. L'Autore non ha mai scritto niente per la Politica. Ma immagino, rigoroso com'era, che se un Politico gli avesse chiesto di scrivere per lui, ben pagato, l'avrebbe presa come una sfida e l'avrebbe fatto. Devo trovare un Ruolo per Cecchin. Cecchin BodyGuard di entrambi i Politici.
L'Attrice: Prima che per Lui devi scrivere per Me Te l'ho chiesto per prima Ed io sono tua Amica Oltre che coinquilina Che ti sopporta Ti sono sempre stata vicina Sono stanca e umiliata di dover recitare sempre e solo come comparsa.
Protagonista: Io penso che la donna sia meschina, e io non faccio eccezione. E’ difficile essermi amica o amante, non a caso non ho nessun amico o amica o amante di lunga data. Io tengo nota di tutto. E non perdono niente. L'Autore deve esserci in questa piece. Senza nominarlo. L'Autore. E le sue Donne. L'Autore e un Libro ossessivo sulle Donne che ha frequentato Sul Sesso fatto con queste Donne Titolo: Fucks
Una piece femminile Con un solo personaggio maschile: Cecchin. Ambientato in un Hotel. Cecchin Portiere di Notte. Con un bel completo blu. Camicia bianca. Cravatta blu.
Una ex compagna dell'Autore, viene in possesso di un libro d'appunti dell'Autore. In questo libro l'Autore in modo preciso ed ossessivo ha preso nota di tutti i rapporti sessuali parziali o completi che ha avuto. In vista di scriverne un Libro dal titolo Fucks. E' venuta in possesso del libro in modo fortuito. L'autore avevo deciso di distruggerlo. La Donna ha letto il libro. Letto e riletto soprattutto la descrizione dei rapporti sessuali che lei ha avuto con l'Autore. Nella categoria Rapporti Ordinari. Nel libro non ci sono Nomi. Solo date e descrizioni accurate dei rapporti sessuali. Raramente dei preliminari. Non c'erano preliminari con l'Autore. Solo scopate. Di vario genere. La Donna contatta altre due donne che sa essere state compagne dell'Autore. Inserite nella Categoria Rapporti ExtraOrdinari. E chiede loro di incontrarle. In un Hotel. Discreto. Prenota a loro nome una stanza. La piece teatrale inizia con Tre Donne in scena in una stanza d'Hotel nel momento in cui si incontrano. Tre personaggi femminili. Un personaggio maschile: Cecchin Portiere di notte dell'Hotel dove le protagoniste soggiornano
Attrice: Vorrei stare in scena senza fare praticamente niente. Proprio niente. Un paio di battute. Per il resto Farmi i cazzi miei in scena. Ed essere comunque pagata. Bene. Magari, se me la sento, farmi un pianto. In scena. O dare di matto. O abbracciare uno dei personaggi. Non Recitare. Partecipare ad un happening. Si può fare?
Cecchin ha finito di preparare lo Zaino. Lo porge alla Protagonista che lo prende.
Cecchin: Tempo di andare al Lavoro.
La luce in scena si spegne.
L'Attrice nel Buio: Non Readings ma Opere Teatrali
Non mi è venuta bene… Riprovo
Non Readings ma Opere Teatrali
Scrivere per il Teatro mi viene naturale, è nelle mie corde. È meno pesante della prosa. E se un testo va in scena e fa una discreta tournée, ha un riscontro economico più rapido.
Crolli Vitali Piece Teatrale
Titolo: Crolli Vitali
SottoTitolo: Epigrafe involontaria
Autore: Giorgio Viali Bozza 20 Febbraio 2023
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L'inesistente carriera di Viktor Gnoìnar
Ero al supermercato per animali, quello dove compri tutto ciò che concerne la sopravvivenza in casa del tuo felino da esterni. La scelta è immensa. Troppe scatolette e bustine diverse. Troppi colori, carni, illustrazioni. Cosa gli piacerà? E se questo lo fa vomitare? E se con questo ingrassa? Ah, che bello questo prodotto, si chiama Happy Cat, io voglio che il mio gatto sia felice, però aspetta, il gatto in fotografia mica mi sembra tanto felice, meglio non fidarsi. Ho passato un’ora così. Quando si tratta di scegliere qualcosa da mangiare per me lo faccio in un secondo ma no, per il gatto valuto ogni possibile variante e conseguenza.
Qualche tempo fa ero in Italia, nella mia vecchia cittadella. Una cosa che faccio sempre quando torno è aprire la nota app per appuntamenti e vedere chi è single adesso in città. Ah guarda, lei è alla ricerca, di nuovo, si era sposata con quello e boh, deve essere finita. Però sta bene. Oh lei me la ricordo, non ero figo abbastanza per te 20 anni fa e adesso? Chi ride adesso? Non io sicuramente, dato che sono a sparare acido su una app per appuntamenti. Faccio un censimento del passato. Guardo cosa mi sono perso, che futuri ho evitato. Poi è successa una cosa strana, capita un match con una ragazza. Quando una rarità del genere accade io penso solo a una cosa: ci deve essere stato un errore, sicuramente è un bot. Così non scrivo. Invece mi scrive lei. “Ma tu sei quello dei Diari dell’orso! Ti ascolto sempre!” e io non sapevo come rispondere. Mi sono sentito un po’ in imbarazzo. Nel senso, se ascolti il mio podcast sai praticamente tutto di me (o almeno di quello che decido di spettacolarizzare e condividere). Quindi parto con un immenso svantaggio. Ma sono fatto così: datemi un lampo di celebrità e io mi prostituirò. Mi lascio andare e si esce a bere una cosa. Ho pensato perché no, al massimo ci guadagno una storia nuova per il podcast. Dopo un po’ che ci raccontiamo dice “Ma sai che quando parli mi sembra proprio di sentire il tuo podcast!” eh grazie al cazzo zia, è la mia voce, non è che ho la vocetta da paperino che poi modifico con un software. Mi scappa uno sbadiglio (non per colpa sua, perché sono un anziano che la sera non dovrebbe uscire a bere dei drink) “No vabbè ma sbadigli proprio come nella sigla!” e li ho capito che deve essere durissima per una celebrità vera, non uno sfigato con un podcast che avrà manco un centinaio di ascoltatori, uscire con qualcuno. Ovviamente non è successo nulla, non c’era tempo e non mi piace seminare nel terreno che ho abbandonato di proposito, però alla fine era pure simpatica, sicuramente meritevole di finire in un racconto.
Sto cercando di andare avanti da quest’estate, di dimenticare cosa è accaduto. Non voglio buttarlo giù per iscritto perché poi diventa vero e io odio quando le mie paure diventano reali perché poi devo affrontarle. Quando i sospetti si materializzano e i “lo sapevo” vanno spuntati perché avevo ragione. La mia ex e il mio migliore amico. Penso stiano assieme. Non lo so di preciso, non appena è venuto lui a parlarmi di quello che stava per accadere io ho scelto di non voler ricevere nessun tipo di informazione ulteriore. Lo sentivo nell’aria però.
C’è questa idea che tutti hanno di me e vi farà ridere, ma fuori di qui sono percepito come una persona aperta, riflessiva ma divertente, leggera ma profonda, intelligente e cinica. Tutti pensano “Ma sì, Matteo capirà, a lui non da fastidio niente, è così rilassato” e quindi vengo spesso inondato di responsabilità o informazioni che non mi merito. Come appunto, il mio migliore amico che viene a dirmi “Ma sì, tanto tu sei uno in gamba, sicuro capisci, sicuro non ti da fastidio, poi sono passati anni, che vuoi che sia per te che sei così aperto e cool e rilassato”. Invece manco per il cazzo. Questa parvenza di stabilità che dimostro è il frutto di notti insonni passate a studiare cosa dire per non far trasparire quello che provo sul serio. La matassa informe di insicurezze che mi compone nonostante l’età. Non sono geloso, non me ne frega un cazzo sinceramente. Qualche anno fa dopo aver scopato nuovamente (per quella stupida cosa che si fa tra ex, una specie di aggiornamento per vedere cosa si è imparato in anni di distanza) avevo capito che non c’era nulla a legarci, se non appunto un po’ di curiosità. Avevo ascoltato tutte le volte in cui mi parlava dei suoi nuovi ragazzi, di come stava bene in tutte le nuove relazioni e lo avevo fatto con rispetto e neutralità, direi quasi con amicizia. Anche con lui, avevo ascoltato sempre, sostenuto in tutto e per tutto anche quando non condividevo per niente, ma questo si fa con gli amici no? Si ascolta, si supporta, si sfotte quando possibile.
Ci ho ragionato molto. Perché mi da fastidio? Perché prima ero amico di tutti e due e adesso non voglio sapere più niente? Purtroppo non ho una risposta. Il cambio di equilibrio mi ha spiazzato. Non voglio sapere le loro storie, sentire i racconti di lei (questa volta con lui come protagonista), o guardare le foto dal mare, magari uscire e sentire lui che si lamenta di atteggiamenti che io ho provato sulla mia pelle in anni di relazione passata.
Vorrei essere la persona che gli altri si aspettano io sia. Quella cool e intelligente e rilassata ma non lo sono. Sono un cazzo di adulto che sta in piedi per puro caso e vuole essere lasciato in pace dato che tutto mina la mia stabilità. Voglio le mie certezze. Quelle stupide che dicono che le ex dei tuoi amici non le devi guardare perché sono brandelli di un passato che non ti riguarda. Perché ci deve essere qualcosa di minimamente sacro ancora. Cioè dai, uno che pensa queste cose è completamente non cool. Io non ci credo quando mi vengono a dire “Eh che ci vuoi fare, ci siamo innamorati, mica le controlli certe cose, è successo!” ma andate a fanculo. Innamorarsi non succede. Certo, si può prendere una sbandata, ma innamorarsi è l’attuazione di un processo dopo attenta valutazione del tutto. Se si decide di andare avanti nonostante le conseguenze, allora è una scelta e io posso voler non essere coinvolto nelle scelte altrui.
Ho razionalizzato e deciso di andare avanti, tanto non vivo più nella mia vecchia città e qualunque cosa accada laggiù non mi riguarda. Perché devo restarci male? Beh perché ho perso due amici in una botta sola ma vabbè, ho un gatto adesso su cui riversare quasi tutte le mie frustrazioni. Infatti, non appena varcato il confine e tornato a Vienna, tutto il dolore era sparito. La distanza davvero aiuta. Si può guarire da quasi ogni male usando i chilometri e diluendo tutto con litri di tempo. La delusione resta e forse è per questo che voglio comprare cibo sempre miglior per il mio gatto, perché lui non mi tradirà mai (finché mangerà bene).
Mi sa che ho raccontato questa storia alla tipa del presunto appuntamento. Poi uno si domanda come mai non scopo.
Passeggiavo con mio nipote e lui è entrato in quella fase dove ripete tutto. Era bel tempo ed eravamo nel parco vicino casa. Lui mi chiede sempre di dare un nome alle cose. Vuole sapere come si chiama tutto e poi lo ripete, per allenarsi e per accumulare termini nel vocabolario. - Qvuetto? (che vuol dire “E come si chiama questo” nella sua lingua) - Questi sono i binari. I binari del tram. Qua passa il tram. Questi sono i binari. Sai dire binari? - Bi-na-i - Dai, quasi - E qvuetto? - Ecco questa è una panchina. Ci si siede quando si è stanchi. Sai dire panchina? - Pa-ì-na - Ma sei bravissimo!!! (Mento sempre a mio nipote dato che ancora non se ne accorge) Io sono contrario al cat-calling. Mi da fastidio tirare fuori del becero machismo per strada. Però faceva davvero caldo quel giorno e io vivo in un’altra nazione, 90% delle persone non capisce quello che dico quando parlo in italiano e io parlo spesso da solo nella mia lingua madre. Passa una ragazza davvero bella e scollata e io non urlo niente, perché cerco di fare meno schifo possibile, però nel mio piccolo mi scappa un commento. - Che bocce signorina - Qe bo-sce gno-i-na! - No!!! Vito!!! Non ripetere questo!!! - Qe bo-sce!!!! - Ti prego no!!! Smettila!!! - Boooo-sce!!!
Ho imparato che se un bimbo di poco più di due anni capisce che è sbagliato ripetere una parola, deciderà di ripeterla il più possibile solo per darti fastidio e ridere come un dannato. Per fortuna non ci ha sentiti nessuno e dopo qualche minuto si era dimenticato ed eravamo passati a nuove parole molto più eccitanti tipo altalena, cagnolino, camper, anticapitalismo.
Riporto mio nipote a casa sua e lo consegno a mio fratello. Dopo qualche giorno mi chiama: - Senti Matteo, ma tu sai perché Vito continua a ripetere “che bocce”? - Ah! Che strano! Forse ehm, si ricorda di quando siamo passati a vedere gli anziani giocare a bocce, ecco, sì! - Ma dove? Qua a Vienna nel nostro distretto nessuno gioca a bocce. - Eh no in tv! Anzi no, sul telefono, sai, gli facevo guardare qualche video per intrattenerlo… - Video di bocce? Tu guardi video di bocce? - Sì certo! Da lontano sento la vocina di Vito urlare: - Qe bo-sce gno-i-na!!! - Eh sì, sta proprio citando il grande giocatore di bocce Viktor Gnoìnar, Campione Nazionale 2022, dovresti vedere che giocate che fa!
Mio fratello mi saluta. Ovviamente non mi crede. Io vivo con la consapevolezza di aver rovinato mio nipote.
Ora mi resta solo il gatto. Con lui non posso sbagliare. Gli insegnerò ad essere rispettoso e a non provarci con le ex fidanzate. Anche se è una partita persa. Già adesso se qualcuna si invita da me è solo per passare del tempo con Ernesto. Vabbè, ho avuto le mie annate buone. Mi resta sempre il podcast e il piangermi addosso. Minchia se sono bravo in quello. Direi quasi che potrei essere chiamato il "Viktor Gnoìnar del piangersi addosso".
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Ieri mi è capitata davanti la data della notte in cui è morto Claudio.
Sono rimasta a fissarla per un po’. Era sotto il mio naso da settimane e settimane, affissa al muro in un altro documento, per un’altra storia, un altro fatto, altre persone.
L’ho fissata perché per una manciata di secondi mi è sembrato assurdo che quella data stesse lì e che nel resto del mondo fossero successe altre cose mentre il mio migliore amico non c’era più.
Che i negozi fossero aperti, le strade brulicanti di persone, nessuno col naso all’aria quel pomeriggio, dove ancora incredula lo cercavo tra le nuvole e quel cielo bruciava rosso e rosa su Napoli, anche se era pieno dicembre e il freddo mi stava spaccando le ossa.
Ma forse non era il freddo, forse il dolore mi aveva immobilizzata. Doveva essere così.
Quando penso a Claudio – e ci penso tutti i giorni, più volte al giorno, perché la memoria non si prende né ferie né feste – penso spesso a questa nostra foto. Al modo in cui la sua presenza è stata l’arma con la quale ho iniziato a scoprire me stessa, e come quel modo di guardarci ce lo siamo guadagnato in anni e anni di solletico, abbracci e litigi.
Sono passati tre anni e mezzo e oggi ci sono giorni che mi dico che mi sta bene anche la compagnia della sua assenza. Che voglio ancora parlare di lui e della sua morte, e che lo faccio con un certo orgoglio, anche se timido e mesto.
Ma due giorni fa ero sola a guardare assorta il palazzo davanti al mio, e io non conosco nessuno, qui. A luci spente osservavo la vita di una famiglia all’interno di una casa che ho scelto come soggetto della mia inquisizione solo perché mi piace a la luce che faceva la loro lampada.
E per un momento, solo un momento dove non ho riflettuto abbastanza, avrei voluto che da quella finestra spuntasse la sua sagoma. Il suo viso bianco latte, quell’espressione che invecchia con me solo nei sogni.
Quando penso a Claudio penso a come siamo stati a vicenda la scuola per imparare a scoprire l’altro, a come in fondo continuerò a cercarlo e come alla fine, forse, mi andrà bene così.
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Non mi piaccio. Nel senso che non mi piaccio come persona. Anonima, disinteressata, egoista, manipolatrice e sempre triste.
Chiacchiero tanto su quanto i dolori che accompagnano la mia esistenza siano gravosi sul “mio dolce animo”, e poi in realtá sono la versione più evoluta dell’hydra: per ogni testa mozzata ne ricrescono 3 invisibili, che fanno capoccella non appena attiro l’ignara vittima grazie ad una facciata di falsa bonarietà.
Vorrei essere una persona più comprensiva, mooolto più altruista, più istruita; penso “mh dai me piace legge e i documentari sull’animali, sto avanti”. Cogliona.
E invece non me ne frega ncazzo de niente. Me ne sbatto sonoramente le palle di tutto quello che non mi è immediatamente redditizio.
Prendi il fatto che non c’ho più rapporti con papà (uomo che faceva la ceretta alla propria figlia perchè aveva dovuto imparare a far anche da madre, vista l’incompetenza/assenza di quella biologica). Eppure piagnucolo del fatto che non mi considera quasi più, che vive giustamente la sua nuova vita. Ridicola.
Penso “dai alla fine sono interessante”, da stupida narcisista penso di essere diversa dagli altri, migliore, di essere in grado di fare bei ragionamenti imbellettati da bei discorsi. Ma invece FACCIO CAGARE AL CAZZO. Ma la so sempre questa cosa eh, cioè la consapevolezza dell’essere in realtà abbastanza anonima sta sempre nella tasca del pantalone, è che ogni tanto ci spruzzo del profumo sopra per non sentirne il tanfo, e vado avanti prendendomi per il culo.
Io merito tutta la tristezza che ormai dal 2015 mi accompagna fedelmente, e non meriterò mai nulla di più del rispetto base che si dà ad un altro essere vivente; solo perchè alla fine condivide con te ‘sto strazio chiamato esistenza..
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Mi sento sopraffatta da tutta questa frenesia che pervade le persone. Forse perché contribuisce a rendermi ancora più insoddisfatta di me e della mia vita. Sento sempre di non fare abbastanza. Proprio negli ultimi mesi ben tre persone che conosco si sono trasferite a Milano, la città che al solo sentirne pronunciare il nome mi mette un’ansia sociale assurda, incarna tutto ciò che non mi piace. La vita frenetica, le conversazioni spicciole, la ricchezza imperante, il sogno di aderire tutti alla medesima immagine, quella della persona estroversa, intraprendente, sveglia e ricca. Come entrano in contatto queste persone? Come si parlano? Già considerando che i miei incontri con le tre persone in questione sono stati un disastro o, comunque, mi hanno lasciato sensazioni spiacevolissime, posso immaginarlo. La prima è ormai una mia ex amica, nonostante in estate avessimo fatto un viaggio insieme, è partita senza passare a salutarmi, mandandomi un messaggio mentre era sul treno. Il mio ultimo messaggio alla sua risposta è stato inviato domenica, e ancora non si è degnata di controbattere a ciò che le ho scritto. Sono sempre stata a disagio in compagnia, non l’ho mai considerata una persona con cui avrei potuto confidarmi, troppo superficiale, frivola. Non nascondo anche una leggera invidia nei suoi confronti, perché era molto più bella di me e quella bellezza sapeva portarsela. Ma al di là di questo, non ci parlavo proprio di niente, nemmeno quando eravamo in viaggio. Anzi, quella settimana non ha fatto altro che permettermi di capire che io non c’entravo proprio niente con lei, più episodi mi hanno spinto a pensare ciò, come il fatto che davanti a me insultava la madre perché non le aveva messo in borsa il pacchetto di pillole giusto, o il fatto che sminuisse la sua migliore amica con cui aveva discusso dicendo che non le importava perché era l’amica ad essere nel torto, oppure il fatto che quando i tacchi mi avevano scorticato i talloni e non riuscivo a camminare il giorno dopo non si degnò neanche di chiedermi come mi sentissi. E ora è andata a Milano in un’università privata per fare una triennale che le serve a ben poco per ciò che vuole fare lei, dato che poi la specializzazione potrà farla solo in un’altra città. Ciò avvalora la mia idea che sia voluta andare lì solo perché è Milano. Un’altra persone che si è trasferita lì è un ragazzo che ho frequentato per poco tempo l’estate scorsa, all’inizio ero molto presa, ma l’ultima volta che ci siamo visti mi ha riaccompagnata a casa nemmeno due ore dopo essere usciti, il perché si può immaginare. E anche lui era una persona piena di sé, uno che “mi faccio foto ogni giorno”, uno spocchioso che neanche per un attimo a provato a mettermi a mio agio. L’ultima è una ragazza che conobbi anni fa, amica di una ragazza con cui uscivo ogni tanto, anche lei la classica ragazza ricca del mio paese che ostenta la sua ricchezza mostrando, per esempio, la piscina privata dell’albergo in Grecia, gli abiti firmati, screditando il modo di vestire altrui. Ricordo ancora che la sera che la conobbi doveva incontrarsi con un ragazzo che poi scaricò perché “non è alla mia altezza”. E allora mi chiedo perché tutte le persone, tra le più superficiali che ho conosciuto, puntino a Milano. E so che il mio è un pregiudizio, ma credo che non sia neanche così infondato. Mi chiedo che se la vita frenetica che desidero, la rete sociale che bramo, mi renderebbe davvero felice. Mi renderebbe felice riempirmi la giornata per dare valore alla mia persona? Mi rende felice frequentare persone che si baserebbero solo sulla mia apparenza senza davvero nutrire l’interesse di conoscermi? Mi renderebbe felice essere apprezzata sulla base del mio aspetto fisico? Non lo so, io non credo. Sarebbero dei palliativi per riempire un’esistenza che avverto come vuota, vuota perché già di per sé frenetica, già di per sé fatta di rapporti superficiali, già di per sé desolante.
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Ti ho scritto molte lettere ma non ti ho mai davvero detto ciò che avrei dovuto -e voluto- dire
Non mi piace il modo in cui affronti i conflitti, perché non è un modo o nemmeno una modalità, mi fai sentire in pericolo quando alzi la voce, trasformi ogni piccola incomprensione in un grande dramma
Manchi di capacità critica, credi di saperti mettere in discussione affrontando le sfide che ti propone il tuo lavoro ma quello non è un vero terreno di sviluppo per te, quello è un qualcosa che ti è stato imposto, a cui non sai dire no, non ci sai rinunciare perché ti è cresciuto addosso ed è diventato parte integrante di te
Abbiamo sempre detto che l'età è solo un numero ma tu in trent'anni di vita non ti sei mai posto una domanda, non hai mai riflettuto sui tuoi giorni, sul tuo stile di vita
Non trovi sia grave?
Ami le citazioni perché di parole per te stesso non ne hai, non hai contenuti, ti appropri indebitamente della vita di altri per cercare di rendere più sopportabile la tua
Funziona? Certo che no, e lo sai anche tu
Ti è sempre piaciuto credere di essere il mio primo sostenitore, che quello fosse supporto ma era solo una misera forma di paternalismo non richiesto
Con quel tuo atteggiamento patronizzante spicciolo che mi affascinava perché un padre mi era sempre mancato
Ma quello non era sostegno
I tuoi amici non sono veri amici, fanno schifo così come fa schifo la tua famiglia ed i tuoi tentativi di farla apparire decente agli occhi del mondo
Fanno schifo i tuoi clienti sessisti, la tua omertosa connivenza
Il tuo silenzio davanti al tuo migliore amico che si diverte alle spalle di una persona con disabilità
Che non mostra rispetto nè per sè stesso e nè per gli altri
E tu che neanche vuoi ammetterlo ma sei così misero da sentire il bisogno di stargli accanto, di vivere degli scarti della sua patetica luce che può esistere solo in contesti in cui l'apparenza viene privilegiata all'essenza
Ti piaceva anche fingere di essere il mio protettore, ne avevi bisogno per alimentare la tua mascolinità fragile
Tutte le volte che mi dicevi che era ok non scopare, e poi cercavi il mio corpo, cercavi il contatto fisico e mi facevi sentire indirettamente obbligata a darti quello che apertamente stavi manifestando di volere
Voglio anche dirti che se sei così debole da aver bisogno di inseguire altre donne nei momenti di crisi per dimostrare a te stesso di essere veramente uomo, loro possono anche tenerti
Che il nostro dialogo non è mai stato un vero dialogare perché mi hai sempre nascosto la verità
Che fa schifo il tuo attaccamento alla religione che non è amore per dio ma un tentativo di nascondere quanto a livello umano tu sia mediocre e squallido
Ci tengo a dirti che questa lettere a differenza delle altre non è per te ma per me
Per mettere i confini che avrei dovuto mettere tanto tempo fa
Perché quella volta in cui iniziasti ad urlare in macchina mentre piangevo a dirotto nel parcheggio dell'ikea io mi sentivo davvero in pericolo e non ho avuto la forza di dirlo
Sono rimasta accanto al mio abuser pensando che tutto quello fosse normale ma in verità non lo era assolutamente
E lo devo a me stessa di fare di meglio ed essere meglio e liberarmi
Voglio anche dirti che non c'era assolutamente niente che non andasse in me o nel fatto che non riuscissi a raggiungere l'orgasmo
Semplicemente non mi hai mai saputa prendere o prendere abbastanza e io voglio un uomo che sappia e non abbia paura di fare l'amore
Voglio dirti che sei un narcisista e sei un pericolo per te stesso e per quelli che ti stanno attorno
Hai bisogno di darti delle arie e mi sembra così evidente adesso
'Mio padre ha detto che qualsiasi persona stia con me sarà una donna fortunata'
Mi fa un pò tristezza pensare che mi sentissi così tanto sola e bisognosa d'affetto da credere ad una cazzata del genere
Però mi perdono incondizionatamente perché lo merito e perché non potevo fare di meglio
Quindi qual è la differenza tra me e te?
Nemmeno tu hai saputo fare evidentemente di meglio
Probabilmente questo è quello che ci accomuna sul serio e che accomuna tutti
Quindi devo perdonare anche te
E invece io continuo ad avere questa forte rabbia che non so nemmeno spiegare
Sono arrabbiata con te perché mi hai fatto del male e sapevi esattamente cosa stavi facendo e questo non posso perdonartelo perché in questo non ci assomiglieremo mai
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