#quando uno ha carisma
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Esce il Gladiatore 2.
Non ha importanza chi sia il protagonista: c’è Denzel Washington, automaticamente il protagonista diventa lui.
Spiace ma è così.
#il gladiatore#gladiator 2#denzel washington#non sbaglia un film#quando uno ha carisma#gli basta sorridere#e hai risolto l’inquadratura
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Scusami, ma non posso controllare la mia natura… 😎
quelluomoladevesmetterediesserecosìsexymannaggialclero
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Che cosa ci volete fare...
Lo so. Sono un rompicoglioni. Uno che non si contenta facile. E non è l'età, no. Sono sempre stato così. Solo che ora lo sono di più.
Vi volevo confidare le mie impressioni di lettura su due cose che ho visto. E che mi hanno convinto poco.
La prima cosa è l'ultimo episodio di Castle. Va detto preliminarmente: la serie funziona solo per merito dei personaggi - tutti ben delineati e azzeccati - e delle loro interazioni. Le varie indagini sono un mero pretesto. La sottotrama, che riguarda sostanzialmente il passato del protagonista femminile, è banale. Ma peggio ancora è la sua risoluzione. L'episodio numero ventidue è poco plausibile e il finale, condensato in appena tre minuti, appare scandalosamente affrettato. Oltre a condensare tralascia ciò che è stato degli altri personaggi. L'ennesimo spreco, insomma.
La seconda cosa è il primo episodio di Piedone uno sbirro a Napoli. Premetto che Piedone lo sbirro era il napoletanissimo commissario Rizzo, protagonista di una fantastica tetralogia cinematografica. Lo interpretava Bud Spencer, al secolo Carlo Pedersoli, l'attore che più ho amato quando ero ragazzo (e del quale possiedo quasi tutte le pellicole nelle quali ha lavorato, da solo o in coppia). La serie televisiva racconta la storia di Palmieri, anarichico poliziotto dalle maniere spicce che si presume essere stato allievo del mitico Rizzo. Ora, l'attore è simpatico e bravo e mi piace pure. Però il carisma dell'immenso Bud non ce l'ha proprio. E poi per me Piedone significava sganassoni, dati con quegli effetti sonori caratteristici del cinema italiano. Qui non ho visto gli uni e non ho sentito gli altri.
Ve l'avevo detto. Sono un rompicoglioni.
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𝒔𝒆𝒊 𝒎𝒊𝒐 𝒇𝒓𝒂𝒕𝒆𝒍𝒍𝒐 ( 𝒂𝒏𝒄𝒉𝒆 𝒔𝒆 𝒎𝒊 𝒊𝒓𝒓𝒊𝒕𝒂𝒏𝒕𝒆 )
paura di uscire, anche se non accade | trans mtf!gianna d’antonio
⟢ a/n: la mia prima volta a scrivere in italiano scusate se ci sono errore :[
version on ao3 for quick translation | wc: 1090 | divider by @/benkeibear
Il buio gelido della mezzanotte che albeggia sulla casa della Famiglia D'Antonio, l'odore della polvere depositata su ciottoli e marmi, la puzza di un qualcosa di dolce, l'odore del mare che circonda l'Italia. Un mare freddo di notte. C'è un sentimento, quello disgustosamente opprimente dell'empatia. Non essere spietati per qualcuno, nientemeno che per Gianni stesso. Gianni D’Antonio. Il figlio d’oro. Il favorito della famiglia.
Santino è avido, è sempre stato un uomo avido, avido. Tutto quello che voleva, e anche di più, lo pretende da tutti gli altri. Lui è così.
Vuole tutto e ancora di più. Lui, è avido. Ma mantiene una facciata di elequonza.
"Gia", chiama Santino bussando alla stanza del fratello. La risposta? Silenzio. Santino bussa ancora, prima di decidere di aprire la porta a se stesso. “Gianni?” La stanza è buia, fredda. Molto freddo. L'odore del profumo—
Aspetta.
Profumo? Santino si guarda intorno nella stanza del fratello. Profuma di ciliegie e di odori dolci e femminili. Qualcosa che Santino si aspetterebbe dalle sue ragazze— e non dalla stanza di Gianni. Oro e ornamenti finemente lavorati sono sparsi ordinatamente per la stanza. Alle pareti sono appesi quadri, la collezione d'arte privata di Gia.
Santino invidia Gianni, da cose semplici a una comprensione molto più complessa. Il suo aspetto, la sua sicurezza, il suo carisma, il modo in cui si comporta; Santino vuole sentire che, la falcata sicura di Gia.
Un’altra cosa: è differente. Più morbida. Le coperte che drappeggiano il letto sono morbide, foderate di pizzo insieme ai cuscini. Fiori in vaso: sul comodino, nell'angolo, accanto all'armadio.
Ora che è qui, forse può rubare l'auto di Gianni per un'ora o due. Santino apre uno dei cassetti di Gia sulla scrivania per le chiavi dell'auto. Lo trova quasi subito, ma sotto c'è un piccolo quaderno. Suscita il suo interesse, così lo raccoglie rapidamente e si siede sul bordo del letto di Gia."Non gli dispiacerà se ho dato un'occhiata ai suoi pensieri,” Santino pensa che mentre sfoglia le pagine. Le parole non lo interessano, poiché si tratta soprattutto di come Gia racconta la sua giornata e le cose che ha fatto. A Santino non importa nulla della sua vita.
Ma c'è qualcosa che cattura lo sguardo di Santino.
‘Non mi piace essere un uomo. Vorrei essere una donna. Prima a Roma ho comprato degli oggetti che mi aiutano a sentirmi meglio.’
“Santino!” Santino ha appena il tempo di accorgersi che Gianni è tornato nella sua stanza. Rapidamente, Gia strappa il taccuino a Santino. “Cosa hai letto?”
“Niente!” Santino promette, mentre prende le chiavi della macchina e le infila in tasca. “Posso avere la tua auto?”
“Non dirlo è papà, per favore, Santino.” Gia sa che Santino sa. “Qualunque cosa leggiate qui, non diteglielo.”
Santino è silenzio, la sua lingua diventa secca. Gia espira pesantemente.
“Perché?” Santino chiede. Santino ridacchia a mezza voce. “E’ uno scherzo, vero?” Gia è silenzio stavolta. “No..?” La voce di Santino si disperde mentre guarda Gianni, osservando l'espressione del volto del fratello.
“No, Santino.” Gianni dice. “No. Vorrei che fosse uno scherzo. Vorrei. Così posso ridere con mia madre quando chiedo di andare in altri posti. Ma non. Fa male desidare qualcosa che non si avvererà.”
Santino guarda Gianni con attenzione, in attesa di qualcosa. Non si sa bene cosa stia aspettando, ma tra i due fratelli c'è silenzio. Sorella? Forse.
Schiocca la lingua prima di passare silenziosamente davanti a Gianni per andarsene. Santino non aveva intenzione di fare nulla. Ma ora lo fa. Gli costerà molto, ma non gliene importerà nulla.
Sono passate quattro o cinque ore da quando Santino è tornato alla villa e ora è di nuovo qui!
“Quello stronzo ha preso la mia macchina.” Gia sussurrò sottovoce mentre vede Santino scendere dalla sua auto. “Cazzo,”
Quel coglione sta tornando a casa dal garage con le borse in mano. Probabilmente un regalo per la sua nuova ragazza. Esibizioniste.
Gia ha un sapore amaro in bocca mentre guarda Santino che torna verso la porta d'ingresso della villa. Il palmo della mano sotto il mento, guardando con i suoi occhi verdi. Gia sospira, la mano gli accarezza la testa mentre lui sbuffa per lo stress. È in difficoltà. Il suo cuore batte forte e i suoi pensieri corrono più veloci dei cavalli in fuga. E se Santino lo avesse detto al padre? E se lo avesse detto a tutti? No, no, no. Cazzo. Non avrebbe dovuto scriverlo, non avrebbe dovuto—
“Gianni!” La voce di Santino è forte dall'altra parte della porta bianca. Bussa, con forza.
“Vattene.” Gia grida dall’altra parte. “Vattene, Santi, Vattene.”
“Le chiavi…?” Santino dice di entrare. Si lascia convincere e Gia ci casca. “Le chiavi dell'auto, le ho prese io. Se non apri questa porta, la tua macchina è mia!”
“Questo fastidioso parassita…” Gia borbotta sottovoce. “Mio dio,” Gia apre la porta, ma Santino entra a forza con un sorriso fastidioso. “sei irritante, Santino.”
“Sì, lo so, cara sorella.” Gia deve ammettere che quelle parole di essere chiamata sorella le hanno dato un po' di felicità.
Santino ha in mano delle borse. Gia è un po' preoccupata per l'interno delle borse. "Santino, che cazzo hai in quelle borse?" Gia chiede, indicandole.
"Sei molto eccitata, Gia." Un'osservazione sarcastica e sciocca di Santino, che si siede sul letto di Gia come se fosse suo. Santino apre la borsa che ha, prima di richiuderla e lanciarla a Gia perché la prenda. “Ho graffiato la tua auto. Non voglio pagare i danni.”
“Certo che hai danneggiato la mia macchina, insolente, disordinato, irritante stronzetto....” Quando gli occhi di Gia guardano la borsa, le sue parole svaniscono mentre elabora ciò che sta vedendo e che suo fratello le ha appena comprato (sacrificando la nuova verniciatura della sua auto). “Cosa?”
L'incredulità colpisce Gia.
“Cos’è questo, Santi?” Gia chiede a Santino che sta scegliendo delle scarpe di Gia che molto probabilmente vuole portare con sé.
“Ha?”
“La borsa, Santino.”
“Sì, è?”
“Gli abiti di seta sono per le donne.”
Gia dice, mentre Santino raccoglie le scarpe— "Non toccarle.” Lei dice severamente.
“Non ti ho ancora comprato un vestito o dei tacchi. Dato che potresti dover iniziare dal primo livello. Bisogna entrarci lentamente.” Santino fa spallucce.
"Non so cosa dire" Dice Gia mentre si siede e guarda l'accappatoio.
“Grazie mille?”
“Benvenuti,” Gia dice che è un modo per colpire Santino.
“Dovrebbe essere il contrario, Gia.” Santino dice.
“Hmmm….. no.” Dice Gianna prima di lanciare un paio di scarpe a Santino. "Ora vattene"
“Hey!” Santino osserva le scarpe. “Puttana.” Sussurra prima di andarsene, posando le chiavi sul letto di Gia.
( wickblr pride anon if you see this i love you )
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Storia Di Musica #300 - Miles Davis, Live-Evil, 1971
Quando si ascoltò questo disco per la prima volta, i critici ebbero un profondo senso di smarrimento: Come bisogna definirlo? Cosa è? È jazz? È rock? È qualcosa di altro? In parte era lo scopo del suo creatore, in parte perfino a lui, genio incontrastato delle rivoluzioni musicali, qualcosa "sfuggì di mano", divenendo addirittura qualcosa di altro dalla sua idea primigenia. Questo è un disco che parte da un percorso iniziato qualche anno prima, quando Miles Davis e il suo storico secondo quintetto iniziano ad esplorare le possibilità che gli strumenti elettrici e le strutture della musica rock possono dare al jazz. I primi esperimenti con Miles In The Sky (1968), poi con quel capolavoro magnetico che è In A Silent Way (1969), il primo con la nuova formazione elettrica, la quale sviluppa a pieno quella rivoluzione che va sotto il nome di jazz fusion con il fragoroso, e irripetibile, carisma musicale rivoluzionario che fu Bitches Brew (1970, ma registrato qualche giorno dopo il Festival di Woodstock, nell'Agosto del 1969). Davis è sempre stato curioso e non ha mai avuto paura di guardarsi intorno dal punto di vista musicale, ne è testimone la sua discografia. E nell'idea che il jazz stesse morendo, era sua intenzione innestarlo di nuova vitalità contaminandolo con altri generi, non solo il rock, ma anche il funk, il soul, la musica sperimentale europea. A tutto ciò, per la prima volta nel jazz (e questa fu l'accusa più viva di eresia), il ruolo del produttore, del suo fido e sodale Teo Macero, è proprio quello di cercare tra le sessioni di prove le parti migliori, o come amava dire Davis "le più significative", e metterle insieme in un lavoro sorprendente e meticoloso di collage musicale, che in teoria elimina la componente espositiva solista del musicista jazz, ma che allo stesso tempo regala una nuova filosofia musicale ai brani, del tutto inaspettata. Decisivo fu, nel 1970, il compito che fu affidato a Davis di curare la colonna sonora del film documentario A Tribute To Jack Johnson, di Bill Cayton, sulla vita del pugile che nel 1908 divenne il primo pugile di colore e il primo texano a vincere il titolo del mondo di boxe dei pesi massimi, quando sconfisse il campione in carica Tommy Burns. Per questa ragione fu considerato una sorta di simbolo dell'orgoglio razziale della gente di colore all'inizio del ventesimo secolo, soprattutto poiché nel periodo erano ancora in vigore le leggi Jim Crow, leggi che di fatto perpetuarono la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di "separati ma uguali" per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi razziali diversi dai bianchi, attive dal 1875 al 1965.
Il disco di oggi somma tutte queste istanze, in maniera unica e per certi versi selvaggia, divenendo di fatto una sorta di manifesto che Il Signore Delle Tenebre ostenta alla sua maniera, cioè nel modo più sfavillante possibile. Live-Evil esce nel Novembre del 1971, ma è frutto di storiche serate live al The Cellar Dome di Washington DC, dove la band di Davis si esibì per diverse serate nel Dicembre del 1970, e una parte di registrazioni in studio sotto lo sguardo attento di Teo Macero, presso gli studi della Columbia di New York. Con Davis, nelle esibizioni al Cellar Dome, che come prima pietra dello scandalo usa la tromba elettrica, infarcita di pedali di effetti e di wah wah (amore trasmessogli da Jimi Hendrix) c'erano Gary Bartz (sassofono), John McLaughlin (chitarra elettrica), Keith Jarrett (piano elettrico), Michael Henderson (basso elettrico), Jack DeJohnette (batteria) e Airto Moreira (percussioni) e in un brano solo, come voce narrante, l'attore Conrad Roberts. Nelle sessioni in studio di aggiungono altre leggende, tra cui Herbie Hancock e Chick Corea (con lui nei precedenti dischi citati), Billy Cobham, Joe Zawinul e il fenomenale musicista brasiliano Hermeto Pascoal, la cui musica e i cui brani saranno centrali in questo lavoro. Tutto il magma creativo di queste idee sfocia in un doppio disco dalla forza musicale devastante, tanto che oggi alcuni critici lo definiscono un heavy metal jazz, che parte dalle origini più profonde ma sfocia in una musica caotica e sfacciatamente meravigliosa, trascinante e indefinibile, che gioca tutto sulle dissonanze, sugli ossimori, sui palindromi simbolici e musicali. E manifestazione più chiara ne è la copertina, bellissima, di Mati Klarwein, artista francese autore di alcune delle più belle copertine musicali, tra cui quella di Bitches Brew: lasciato libero di creare da Davis, pensò alla copertina con la donna africana incinta, come simbolo di creazione "primordiale", ma fu lo stesso Davis, a pochi giorni dalla pubblicazione, una volta deciso il titolo, che gli chiese un nuovo disegno, che accostasse il "bene" al "male" attraverso una rana. Klarwein in quel momento aveva una copertina della rivista Time che raffigurava il presidente Hoover, che fu presa come spunto per la rana del male, che campeggiò sul retro della copertina, e che vi faccio vedere:
Musicalmente il disco si divide in brani autografi di Davis, che diventano lunghissime jam session di sperimentazione, di assoli di chitarra, sfoghi di batteria, con la sua tromba elettrica che giganteggia qua e la, che raccolgono quel senso di rivoluzione, anche giocata sulla sua storica abilità di comunicazione (Sivad e Selim, che sono il contrario di Davis e Miles, la seconda scritta per lui da Pascoal, languida e dolcissima), il medley Gemini/Double Image, scritta con Zawinul, e le lunghissime e potentissime What I Say, quasi una dichiarazione di intenti, Funky Tonk, rivoluzionaria e la chiusura con Inamorata And Narration by Conrad Roberts, che è quasi teatro sperimentale, e le altre composizioni di Pascoal, Little Church e Nem Um Talvez, musica che stupì tantissimo lo stesso Davis, che considerava Pascoal uno dei più grandi musicisti del mondo: il brasiliano, polistrumentista, arrangiatore, produttore, è una delle figure centrali della musica sudamericana, e essendo albino è da sempre soprannominato o bruxo, lo stregone. Tutti brani vennero "perfezionati" da Macero, e addirittura nelle ristampe recenti è possibile leggere nelle note del libretto l'esatta costruzione dei brani, ripresi dalle sessioni live e dalle registrazioni in studio. Di quelle leggendarie serate al The Cellar Dome, nel 2005 la Columbia pubblicò un inestimabile cofanetto, di 5 cd, The Cellar Door Sessions 1970 con le intere esibizioni del Dicembre 1970: le parti usate in Live-Evil sono nel quinto e sesto disco, nei precedenti ulteriori esplorazioni musicali da brividi, per una delle serie di concerti storicamente più importanti del jazz.
Il disco verrà considerato il capolavoro che è solo dopo anni, in un periodo, quello degli anni '70, dove Davis accettò apertamente di sfidare la critica con la sua musica. Da allora però, per quanto in parte ancora enigmatico e "difficile", è considerato l'ennesimo pilastro della leggenda Davis, in uno dei suoi capitoli musicali che ebbe più fortuna, poichè buona parte dei fenomenali musicisti che contribuirono a questo disco erano in procinto, o già alle prese, con esperienze musicali che partendo dalla lezione del Maestro, ne approfondiranno i contenuti, e ne esploreranno i limiti: sarà quest'ambito che legherà le altre scelte di Novembre e questo omaggio, che come i precedenti numeri miliari (1,50,100,150,200,250) è dedicato al formidabile uomo con la tromba.
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@levireonhato
*Non esiste uomo che percorra la proprio strada senza che essa gli venga sbarrata dinnanzi.
E' così caotica la vita. Sembra quasi senza senso.
Le persone temono troppo il futuro, così tanto da non godersi il presente.
E quando quel futuro arriva, sono sempre le prime a piangersi addosso e a rimuginare sui rimpianti del passato. Non si riesce più a godere del presente.
Ed è proprio in questo presente che fonderai nuovamente le tue radici, Dimitri. E' in questo presente che l'eco del tuo spirito inizierà a progredire con un crescendo sempre più imponente.
Una marcia militare la tua. Imperterrita, costante, retta sulla tua via, ed incalzante come un coro che si innalza all'interno di uno stadio.
Bhe, che dire: Showtime!!.
Rieccoci. Rieccoti!. Camminare lungo quelle fredde strade che non scorciavano la tua presenza da parecchio tempo.
Ed effettivamente era così. Sei sparito per molto tempo, e solo tu sai cosa è successo in quell'asso temporale che ti ha visto profondamente cambiato.
Nessun'altro deve saperlo.
La tua siluette camminava composta ed eretta in quella strada del centro città formata da pavimentazione a sanpietrino.
La suola delle tue scarpe eleganti rintoccava sui ciottoli dell'asfalto intonando un eco simile ad una goccia che lentamente sgorga da un tubo.
Postura dritta e signorile, con le braccia incrociate dietro la schiena a sorreggere quello che all'apparenza sembrerebbe un bastone, e spalle larghe e rigide.
Le iridi rosse brillavano di luce propria nell'oscurità della notte, così come quel tuo sorriso sornione a 32 denti che non si abbandonava ad ulteriore espressione facciale alcuna.
Un sorriso spettrale, che dava un senso di autorevolezza e carisma ma al contempo un effimero sorriso autoimposto per celare qualcosa di ancora più oscuro e tenebroso, qualcosa che ad occhio non esiste, ma c'è.
Quando la luce dei lampioni andava ad illuminare quel che bastava della tua figura, l'ombra che veniva riflessa sui prospetti delle case era ben diversa dalla figura umanoide che in realtà possiedi.
Era spettrale, dai denti aguzzi e grosse corna, da dita affilate come lance ed una struttura corporea dall'altezza smisurata e molto magra.
Sembrava che anche l'ambiente, senza il tuo volere, venisse condizionato al tuo passaggio totalmente privo d'intenzione.
Un pò come se la tua essenza maligna e demoniaca non riuscisse a rimanere totalmente assopita.
Eri inquietante, sei inquietante.
Dalla parte opposta della strada, venendo in tua direzione, scorgi una figura maschile.
Riuscivi a sentire la sua presenza sulla tua pelle, come se fossi entrato in campo elettromagnetico, o quando ti strofini un palloncino sulla pelle.
Non ti era per nulla nuova quella energia.
L'avevi già sentita, parecchio tempo fa.
Più vi avvicinavate e più potevi ricongiungere quell'aura a qualcuno a te di familiare.*
< James?...... >
*Dissi tu mantenendo sempre vivo e costante quel sorriso che come un effige indelebile solca la tua faccia.*
< James Rehonato?. No, probabilmente mi sto sbagliando. >
*Continuasti andandoti ora a fermare piantandoti con piedi uniti dinnanzi al ragazzo a qualche passo di distanza.
La tua elegante e nobile postura eretta, avvalorata dalla tua altezza, ti costringevano ad abbassare leggermente la testa, la quale ora era chinata leggermente di lato per poterlo guardare meglio.
I tuoi occhi penetranti e serpentini sembravano lame che si conficcavano sull'altrettanto sguardo del ragazzo*
< Mi devi perdonare, avvolte faccio fatica a ricordarmi quanta progenie ha popolato questo mondo. Dimmi ragazzo, quale dei tanti, oramai ex pargoli, del mio buon vecchio amico James sei tu? >
*Al termine della domanda ecco che vai a far roteare quel tuo bastone che fino poc'anzi tenevi dietro la schiena poggiandolo con la punta per terra dinnanzi a te avendo così un comodo appoggio per le mani, le quali reggevano entrambe il pomello posto al vertice.
La tua voce non sembrava arrogante o in qualche modo spaventosa o minacciosa.
Al contrario era, si particolare, quasi gracchiata, ma al contempo molto magnetica e persuadente, surrogata anche da quel tuo aspetto sornione*
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High and Low The Worst Episode 0 + High and Low the Worst
Il nemico del mio nemico è mio amico
Sono tornati. E più belli che mai.
Non mentirò: fino a quando non ho ripreso in mano la Saga di High and Low non avevo idea di tutti questi nuovi drama/film.
D'altronde dopo High and Low: the story of SWORD, High and Low 2, Road to High&Low, High&Low The Movie e High&Low The Red Rain e gli ultimi due film High & Low: End Of Sky e The Final Mission, uno pensa che finiranno ad una certa!
Ero rimasta alla fine di High and Low e la vittoria dei Nostri contro i cattivi e sapevo che mi mancava solo la serie DTC per chiudere il cerchio di tutta la storia. Certo, avevo adocchiato anche la presenza di The Worst - sia drama che film - ma l'avevo preso più come uno spin-off di High and Low, facilmente saltabile poiché non si parlava più delle vicende dello SWORD.
La mia presa di posizione era centrata In virtù anche del fattore emotivo: nessuno avrebbe mai potuto prendere il posto di Cobra, Rocky, HYUGA... sono personaggi così amati e così entrati nel profondo del mio cuore che pensare di poter affezionarmi ad altri personaggi, ad un altra storia, pareva pura utopia.
Pareva.
Perché dopo la serie ad a metà del film successivo, mi sono ritrovata a commentare sorridendo:- " alla fine ti ci affezioni a questi piccoli mostri."
Ma andiamo con ordine:
La serie - tra i due prodotti - è quella che mi è piaciuta meno. Fondamentalmente è una presentazione dei ragazzi che andranno poi ad essere i futuri protagonisti della storia ( esattamente come la prima stagione di HIGH and LOW presentava i propri componenti e basta!) e che almeno qui, non mi hanno fatto morire, onestamente.
Nota a margine per Todoroki, gemma che splende tra la bigiotteria tutta uguale.
Questo infatti è stato il mio problema con i personaggi presentati: mi sembravano tutti uguali. Nessuna particolarità, mania o caratterizzazione che potesse distinguerlo dalla massa di ragazzini intenti a conquistare la posizione di leader.
In High and Low, ogni gruppo aveva delle particolarità che li differenziava dagli altri: I Rude Boy praticavano parkur e proteggevano la loro baraccopoli, i White Rascal si vestivano tutti di bianco e proteggevano le donne ed i bambini e così via... erano talmente diversificati che li inquadravi subito.
In The Worst invece, oltre all'ambizione di conquistare la vetta dell'Oya, di questi personaggi poco si è parlato.
Ed ecco che allora Todoroki splende. Un po' perché l'ho visto leggere un libro - oggetto mistico al pari del Santo Graal - ed un po' perché la sua determinazione a sconfiggere Murayama e prenderle sempre, era davvero ammirevole.
Ho apprezzato come la sua forza non significasse necessariamente la sua posizione di leader - come ci ricorda Murayama - ma è necessario il carisma per conquistare tutti gli studenti e che questo, lo stesso Todoroki lo capisca nel finale, quando accetta Fujio come capo.
Tra questi baldi giovani alla conquista del trono, vanno notati Tsukasa e Fujio. Se il primo - uno dei più belli, esteticamente parlando - si mostra "dormiente" per gran parte della serie, il secondo passa il tempo con il nonno, facendoci sì vedere il suo buon cuore e l'essere un bravo guaglione ma d'altra parte togliendolo dall'azione per tutta la storia. Infatti Fujio entrerà in scena solo nel film.
Tsukasa poi è quello che mi ha lasciata più perplessa: chiaramente si era iscritto all'Oya per conquistare la vetta al fianco dell'amico ed è bello che si sia "fatto da parte" per amicizia accettando un ruolo "secondario." La perplessità nasce quando lo vedo andare a far a botte con Fujio per superare i propri limiti ed ho pensato che alla fine volesse anche lui partecipare alla corsa per il trono.
Ed invece no.
E la scazzottata allora? che ci siamo andati a fare?!
Va bene, non importa.
Ho visto così tante botte in testa, sediate nei reni e cazzotti in faccia che una rissa in più o una in meno ormai non mi sconvolge manco più.
E finisce così la serie di The Worst, con questi ragazzi che si presentano nelle classi, distruggendo porte, sedie, facce... mentre si urlano addosso imprecazioni ed intanto progettano la conquista del trono.
Ma.
Ma se c'è un trono vuol dire che c'è un RE.
E mi spiace per tutti loro, ma L'UNICO VERO RE è e sarà per sempre Murayama. #stacce
tutta la sua sobrietà in questa gif XD
Che qui, con questa serie e film si conferma uno dei personaggi più belli ed il mio migliore dell'intera saga.
Potrei scrivere un ode su questo personaggio, facendo notare come abbia preso un liceo di ragazzini e l'abbia trasformato in un gruppo capace di stare sullo stesso piano dello SWORD, di poter sedersi allo stesso tavolo con "i grandi " della città. Come ci ricorda la voce narrante nell'intro " Il Liceo Oya contribuisce alla forza dello SWORD".
Oppure potrei parlare della sua evoluzione da tizio forte che sa solo menar le mani a leader capace sotto i consigli di Cobra. Trasformazione che trova il suo apice sul finire di questa serie, quando Murayama nega agli studenti del tempo pieno la partecipazione agli affari dello SWORD. Capolavoro.
Ed infine potrei parlare della sua maturità sul finale del film, quando ormai diventato uomo, lascia il Liceo per diventare finalmente "grande" ed andare avanti con la sua vita, lasciando il passo alla generazione che verrà.
Perché High and Low, tra botte e amicizia, parla anche di cambiamento e crescita e nessuno più di Murayama ha saputo racchiudere questa tematica.
VOTO: 7+
E poi c'è il film.
Solo dopo averlo visto si capisce l'intento della serie precedente: un conto è vedere un centinaio di ragazzi sconosciuti che se la suonano di santa ragione. Un altro è vedere i ragazzi a cui un minimo ti sei affezionata, vederli spaccarsi teste, rotule e ginocchi in maxi risse sotto i ponti.
Ed in effetti, funziona. Funziona perché ho onestamente seguito con attenzione questi combattimenti, preoccupandomi un po' per tutti, riconoscendoli e facendo il tifo per ognuno di loro.
Il film segue diversi filoni che si riuniscono poi nel finale:
Mentre lo SWORD è in guerra con i Doubt e la yakuza, gli studenti a tempo pieno della Oya High sono combattuti tra la guerra delle fazioni all'interno della scuola, il conflitto con la Housen Academy e il tentativo di sconfiggere Kidra, una banda di spacciatori che stanno cercando di infiltrarsi nelle scuole locali.
(la vita impegnatissima degli studenti dell'Oya. E' per questo che non studiano. C'hanno da fa'!)
Murayama, che è il leader della Oya High, trova la sua posizione messa alla prova da un gruppo di ambiziosi nuovi arrivati, soprattutto lo studente trasferito Hanaoka Fujio. ( fonte mydramalist)
Ora, questa è un po' una cazzata perché tranne Todoroki, NESSUNO di questi pretendenti al trono ha mai avuto le palle di sfidare in combattimento Murayama. XD
Ovviamente i più attenti hanno già rizzato le orecchie perché leggendo questa trama c'è una parola che immediatamente dovrebbe far alzare in piedi la gente a festeggiare gasata come un furetto sotto steroidi.
Housen.
La Housen.
Ma io infatti vedevo questi ragazzi pelati con l'uniforme e pensavo:-" io questi lo ho già visti. Ma dove? sto nome non mi è nuovo."
Crows Zero docet.
Ed infatti sono proprio loro: la scuola che nel secondo film di Crows Zero si scontrò contro il Suzuran in un epica guerriglia fatta di pugni, calci, risse e mani in faccia.
Aggiungo che vengono presentati con una delle OST più belle e azzeccate di sempre. Appena ascoltata la loro canzone mi sono precipitata a scaricarla!
In questo film si presentano in una veste nuova, con nuovi attori ovviamente, ma sempre ordinati e preparati come piccoli soldatini super efficienti. e ovviamente pelati
Ma c'è di più: se nel film di Crows Zero, loro erano i "cattivi", i rivali da abbattere, questa volta sono dalla "parte nostra" ... nostri alleati. Ed è un piacere conoscerli in questa veste.
Ho dato il mio cuore a Odajima Yuken, sappiatelo. Con l'addio di Murayama ho trovato una nuova fonte di gioia.
I ragazzi dell'Housen si dimostrano dei delinquenti dal cuore d'oro ( più o meno). Degli specchi dei nostri Oya e vederli combattere tutti assieme è una gioia per gli occhi. Il film infatti, ne approfitta per delinearli e caratterizzarli un po', prima come avversari e poi come alleati.
Tra l'altro, mentre vedevo i ragazzi dell'Housen assaltare un palazzo con delle scale, dopo averle usate a mo' di scudo, pensavo:-" ed io che mi sono emozionata per la battaglia la Fosso di Helm! Guarda questi che stanno a fa'!!! "
Nota di merito poi per Fujio che finalmente viene messo in primo piano ed in relazione con gli altri: come prevedibile risulta avere quel carisma necessario ad unire l'Oya ed in più - per diversificarlo da Murayama - ha quella vena di pazzia ingenua dei bambini che ti lascia piacevolmente sbigottita.
Perché andare sotto casa del Suzuran per spiarne i ragazzi e vedere quanto sono forti è follia.
Mi ricorda un personaggio come Rufy di One Piece: quella sconsideratezza gioiosa che porta il sorriso ovunque vada.
Ma se con l'Housen di toccano i cuori degli amanti di questo genere di drama/film, è con il nome Suzuran che The Worst tocca l'epicità. Prima solo nominato - con riverenza - e poi fattaci vedere solo l'entrata, il film ti alza l'hype a livelli atomici facendoti supporre uno scontro/ sfida / incontro futuro contro i ragazzi del Suzuran.
E ma qui giochi troppo facile! mi sono gasata peggio dei bambini!
Ed infatti andando ai trailer dei prossimi drama/film di High and Low, indovina chi ci sta?!
Tornano i ragazzi della scuola più malfamata del circondario! E l'effetto nostalgia vola altissimo. Io ero anche convinta che non avrei visto più prodotti di High and Low! Ma non si può dir di no all'Housen e al Suzuran.
Tornando al film in questione, due sono le cose che mi hanno lasciata invece più freddina: la prima è la questione di Arata.
L'amico di Fujio che spaccia droga per pagare le spese ospedialiere della madre e tutto il contorno degli amici che si conoscono da bambini è idealmente molto bello. Ma devi farmelo vedere.
Il film e la serie prima ci dicono che Fujio e Takeshi ad esempio sono amicissimi, tanto che il secondo fa da braccio destro al primo, ma non viene mai mostrata questa grande amicizia nata a quanto pare in passato.
Idem per i ragazzi del bar della Nonna. Non basta farmeli vedere da bambini mangiare tutti assieme una volta per farmi percepire la grande amicizia che dovrebbe legarli. Soprattutto se poi ognuno di loro è andato e va per la sua strada.
L'altro problema è lo stesso che riscontro sempre nei drama di High and Low: i villain sono piatti come tavole da surf. Cattivi perché sì, senza nessuna introspezione o profondità che fanno cose malvagie perché gli va. Sono tutti uguali, tanto che da Ranmaru alla yakuza, per passare ai Dubt e adesso a questi Kidra, se ci metti dei cartonati al loro posto, sarebbe uguale.
Detto questo, The Worst è un bel film per chi piace veder menar le mani in modo coreografico:
ha un buon ritmo, una storia un po' contorta per gli standard di questo genere ma che poi si semplifica verso il finale, due grandi ritorni che toccano il cuore dei nostalgici come me e belle scene d'azione.
Il combattimento contro l'Housen prima e il Kidra poi è spettacolare: musiche, inquadrature, montaggio... una bella visione che non può non emozionare gli amanti delle scazzottate.
Con questo film, High and Low di apre a nuovi protagonisti che hanno un ardua missione: non far rimpiangere le colonne portanti di High and Low. Ci riusciranno? Per me è ancora troppo presto per giudicare, avendo visto solo un drama e un film ma voglio dargli fiducia.
Il pezzo forte di High and Low, oltre alle botte e ai bei messaggi d'amicizia, erano i personaggi, le loro personalità e le loro introspezioni.
Fujio può essere un buon protagonista, diverso da tutti gli altri dello SWORD. Todoroki può interpretare il freddo ma costante contraltare del leader, così come Tsukasa e Jamuo possono diventare interessanti.
Va capito se anche gli altri prodotti di The Worst prenderanno i ragazzi dell'Housen come "protagonisti" o li lasceranno in secondo piano. Ricordo che in High and Low, la serie era iniziata con Cobra ed i suoi amici come protagonisti, per poi virare sugli altri leader dello SWORD, fino ad arrivare ad approfondire Murayama, per dire. Faranno una cosa simile anche per questa storia?
Oh, a me, se mi mettono l'Housen come "protagonisti" mi va benissimo, eh!
Ed infine l'ultima cosa che ci tengo a dire:
per quanto io ami alla follia le storie di ragazzi - di cui il 99% ha superato l'adolescenza da anni - che si gonfiano per diventare il capo della scuola e le storie di scuole VS scuole, onestamente non vorrei vedere di nuovo questa dinamica.
In Crow Zero assistevamo alla scalata di Genji e nel secondo film alla battaglia del Suzuran contro l'Housen. In High and Low The Worst episode 0, seppure in misura minore, abbiamo avuto lotte per la conquista della vetta e con il film, una lotta contro un altra scuola.
Qua si è differenziato con le scuole che si univano contro gli spacciatori ed ho apprezzato il cambio di mood e vorrei che rimanesse così.
Ho un po' paura infatti, di vedere sempre la stessa dinamica sapendo già che la versione di Crow Zero rimarrà imbattibile.
Vedremo cosa accadrà.
Anche perché risulterebbe inevitabile. Con la divisione dei ragazzi dell'Oya in studenti a tempo pieno e part-time, questi ultimi non possono più partecipare agli affari dello SWORD. Ciò significa che se anche i ragazzi di High And Low si trovassero ad affrontare nemici da ogni parte, Fujio e compagnia non potrebbero essere presenti.
Ed ecco quindi che per loro, l'unica possibilità di scontro è con le altre scuole.
Boh, vedremo...
Per adesso...
VOTO: 8
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[✎ ITA] Weverse Magazine : Recensione : Se Guardassimo nel Cuore di Jimin, Questo È Ciò che Troveremmo | 30.11.23⠸
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Se Guardassimo nel Cuore di Jimin, Questo È Ciò che Troveremmo
__ Recensione del "Jimin's Production Diary __
__ di RANDY SUH | 30. 11. 2023
Twitter | Orig. KOR
Se dovessi descrivere Jimin in una parola, userei “accattivante”. Ha un aspetto ammaliante ed è un ballerino fantastico, ma ciò che apprezzo di più di lui è il modo in cui canta. La sua voce è diabolicamente seducente. La sua impronta canora è unica, delicata come il tratto raffinato di una penna ad inchiostro, eppure risoluta, e trovo ci sia una tumultuosa bellezza in tutto ciò— il tipo di carisma che non passa inosservato. Qualsiasi sia il brano che sta cantando, la sua voce vi dona quella che potremmo descrivere solamente come luce. Che si tratti di un leggero luccichio come di stella nel firmamento o di un lampo improvviso. Alla canzone “Angel Pt. 1”, colonna sonora dell'ultimo film della saga Fast & Furious, Jimin riesce a portare come una scossa improvvisa, anche se il suo a parte pentatonico non fa che ripetere la stessa melodia più e più volte. Ma quello è il potere della sua voce.
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I 10 anni di carriera di Jimin sono costellati da una serie di momenti mozzafiato ed iconici: la coreografia “333” al minuto 3:33 del video musicale di “FIRE”; i delizioso triplo attacco all'inizio di “Blood Sweat & Tears” rappresentato dai suoi passi di danza, la sua voce e la sua espressione facciale; le sue movenze, pari allo sfarfallio delicato di petali di ciliegio, in “Spring Day”; l'espressività della sua struggente performance in “Black Swan”; le varie esibizioni preparate per cerimonie di premiazione e spettacoli di fine anno come la cover di “Perfect Man” e la sua danza con i ventagli. Nel mondo idol, Jimin è un vero e proprio maestro ed è considerato uno degli artisti pop più grandi di questa generazione. Il modo in cui sa illuminare il palco, come per magia, è talmente impressionante che se effettivamente nel mondo idol esiste un ideale artistico cui aspirare, Jimin sicuramente lo ha già raggiunto.
Ma per arrivare a questo livello di perfezionismo, è evidente Jimin abbia dovuto fare i conti sia con le sue insicurezze che con l'impazienza. Se guardiamo ai vecchi filmati di retroscena delle sue esibizioni soliste e dei grandi eventi di fine anno, Jimin appare spesso angosciato - prima, durante e dopo la performance. E questo nonostante quelle fossero proprio le esibizioni che hanno suscitato maggiore entusiasmo. In un recente episodio di SUCHWITA con ospite TAEMIN (in cui Jimin fa un'apparizione a sorpresa), SUGA ha detto che quando Jimin sta per salire sul palco, gli altri membri dei BTS sono soliti “guardare e pregare [per lui]! Del tipo, ‘Ti prego, Jimin, cerca di non agitarti’.” Nonostante le performance di Jimin siano già assolutamente magnifiche, l'artista si pone standard sempre più vicini alla perfezione, caricandosi di tantissima pressione. È per questo che, a suo dire, sulle prove e le esercitazioni pratiche non transige, devono essere più che abbondanti. Ma questo suo perfezionismo sicuramente è un'arma a doppio taglio: è ciò che gli permette di allestire esibizioni mozzafiato, sì, ma è anche causa di una terribile ansia che non fa che consumarlo.
Con l'inizio del Secondo Capitolo dei BTS, Jimin ha rilasciato l'EP FACE, il suo primo album solista. Viste le traccie soliste scritte e pubblicate precedentemente nei progetti di gruppo, ciò che mi aspettavo dal suo EP erano brani similmente belli e coinvolgenti. Ma FACE è stata una vera e propria sorpresa, al di là di ogni aspettativa. Le canzoni non sono state commissionate individualmente a diversi autori, ma composte da un gruppo compatto di tre produttori – nell'arco di 10 mesi – in quello che è stato un processo creativo piuttosto intimo ed affiatato. Il risultato è stato un disco che, come suggerisce il titolo, offre uno sguardo al volto più naturale e vulnerabile di Jimin. Questo suggerisce anche che l'artista ha finalmente trovato le forze per fronteggiare le proprie insicurezze, la trepidazione e le difficoltà che possono sorgere nelle relazioni interpersonali, dalle quali, fino a quel momento, si era lasciato sopraffare.
Il Jimin’s Production Diary è un documentario - rilasciato su Weverse – che parla nel dettaglio del processo creativo seguito dall'artista. Come per l'album, il titolo di questo documentario è più che diretto ed esplicativo. Questo progetto, che rappresenta il presupposto creativo per la carriera solista di Jimin, ci mostra dunque chiaramente che lui non è solo un ideale artistico per giovani aspiranti idol o un interprete dal fascino diabolico, ma anche un essere umano: Jimin si è formato nei BTS, d'altronde, ha studiato musica, sì, ma anche come interagire con le/i fan, proprio alla maniera dei BTS, insomma.
Con il rilascio di FACE, Jimin è diventato il 3° membro dei BTS a contribuire al Secondo Capitolo del gruppo, nonché il 1° della vocal line. La rap line dei BTS è formata da RM, SUGA e j-hope, mentre la vocal line comprende Jin, Jimin, V e JungKook. Nonostante la suddivisione in questi due gruppi non sia poi così categorica, l'idea originaria per il gruppo vedeva i rapper concentrarsi sull'hip-hop ed i vocalist mirare ad un'immagine più simile a quella degli idol dei primi anni 2000. In un esperimento senza precedenti – almeno per il 2013 – unire questi due lati, la musica idol e quella hip hop, ha già portato ad una prima, elettrizzante reazione chimica.
Nei primi anni di gruppo, il compito di scrivere musica era per lo più responsabilità della rap line. Ancor prima del Secondo Capitolo, ognuno dei rapper aveva, dunque, già rilasciato minimo una mixtape e preso parte alla produzione album per i BTS. Dal canto suo, la vocal line ha dato il proprio apporto sia attraverso la stesura di alcuni testi di gruppo che il rilascio di tracce individuali. Ancor prima dell'evolversi del loro Secondo Capitolo, dunque, i membri dei BTS avevano già in programma di produrre e pubblicare delle mixtape soliste. E questa nuova fase delle loro carriere sembra aver presentato loro un bivio: pubblicare un progetto individuale di propria produzione, come una mixtape, o fare altrettanto ma con un po' di aiuto dall'esterno. Nel Commentary filmato per il suo documentario, Jimin ha confidato che l'idea che sta dietro all'album era mostrare tutto il suo potenziale in quanto idol.
Tuttavia, alla fine Jimin ha optato per scrivere musica che lo rappresentasse nel suo insieme [*e non solo come idol]. È sul finire del 2018 che ha pubblicato la sua prima traccia solista in acustico, “Promise”. Durante un V LIVE, successivo al rilascio, Jimin ha confidato che lavorare a quel brano lo ha aiutato a liberarsi di alcune emozioni che si teneva dentro da tanto. E FACE, in un certo senso, segue lo stesso principio, diventandone una sorta di sequel.
Ora che tutti i membri dei BTS hanno rilasciato i propri progetti solisti, possiamo constatare che Jimin è stato il primo e solo dei ragazzi della vocal line a pubblicare un album disvelativo insieme ad un gruppo ristretto di produttori.
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Credevo il processo creativo dietro ad un lavoro simile fosse stato fonte di considerevole stress e che l'avesse messo sotto pressione, ma il Jimin che ho visto nel suo Production Diary non mi sembra poi così turbato. Ovvio, questo tipo di progetto ha le sue difficoltà – e sono evidenti nel documentario – ma è altrettanto ovvio quanto Jimin sia felice e si sia divertito. Nel Jimin's Production Diary, vediamo l'artista impegnarsi seriamente sul lavoro insieme ad un gruppetto selezionato di persone di fiducia, invece che il mordi e fuggi di incontri con tante persone diverse, tipico di questo genere di progetti. Uno dei temi portanti dell'album di Jimin è la delusione che accompagna talvolta le relazioni interpersonali. Al contempo, però, l'artista sembra realizzare che è proprio grazie alle relazioni col prossimo che ha trovato la forza di andare avanti. Lo vediamo, infatti, tutto contento ballare insieme ai produttori sui beat cui stanno lavorando, ed esclamare pieno di entusiasmo quanto si sta divertendo. La parte migliore è proprio seguire man mano il membro dei BTS nella sua scoperta del piacere musicale. Nonostante la maggior parte del tempo lo si vede in luoghi mondani—come il suo salotto, l'appartamento del produttore Pdogg (che praticamente è diventato anche un po' casa di Jimin), lo studio presso la Hybe o la sala registrazioni—emotivamente parlando, Jimin sembra attraversare l'intera gamma emozionale umana, dimostrando d'essere più che un semplice cantante.
Il documentario ci offre anche uno sguardo su chi sono le altre persone che hanno aiutato a fare di FACE una realtà. I produttori della BIGHIT MUSIC, Pdogg e GHSTLOOP, ed EVAN compaiono praticamente in ogni scena, ed il modo in cui i quattro sono sempre seduti insieme a discutere e scambiarsi idee, procedendo poi a trasporle subito in note e testi, ricorda un po' il fare musica di una band. Dopo aver praticamente vissuto insieme per 10 mesi, Jimin ha addirittura rinominato il gruppetto come la Smeraldo Garden Marching Band, durante il gioco a quiz relativo al documentario. La BIGHIT MUSIC non è nuova a questo tipo di produzione completamente in proprio, specialmente in momenti cruciali—come nel caso di “FAKE LOVE”, ad esempio, il singolo principale dell'album dei BTS, LOVE YOURSELF: Tear (2018). È proprio questo il motivo per cui la musica dei BTS solitamente viene percepita come più ermetica ed introspettiva rispetto all'approccio usato tipicamente per il K-pop – i cui riconoscimenti presentano lunghe liste in cui compaiono tuttə coloro che hanno partecipato alla stesura dei brani ed un ampio catalogo di personale reclutato appositamente per il progetto. Il che è ancor più interessante e significativo, se consideriamo che l'album di Jimin è arrivato primo su diverse classifiche, inclusa la Billboard Hot 100.
Nel documentario, appaiono anche gli altri membri dei BTS. RM, ad esempio, entra in gioco quando il gruppo si trova in difficoltà con la prima parte del testo della title track, dà loro qualche saggio consiglio e poi esce di scena. RM aiuta Jimin a mettere ordine nelle sue emozioni, una volta trasposte su carta: “La cosa più importante è l'intenzione che sta dietro la canzone” dice, spiegando poi che un artista, innanzi tutto, deve essere ben consapevole e sicuro di ciò che vuole trasmettere; “Credo ci sia bisogno di una traccia, una storia” aggiunge, reiterando l'importanza fondamentale della narrazione; “Prova a buttare giù una bozza”, consiglia. JungKook, poi, compare in “Letter” - traccia dedicata alle/i fan – prestando, come sempre, un'incredibile performance nel ritornello. Un altro dei membri a comparire nel documentario è j-hope, il primo ad aver pubblicato musica individuale nel Secondo Capitolo dei BTS, con il suo album Jack In The Box. J-hope mostra il suo supporto, dando dei buoni consigli a Jimin nel momento in cui quest'ultimo sembra più incerto rispetto all'imbarcarsi per la prima volta in questa monumentale avventura solista: “Provaci. Fai questo tentativo, così poi vedrai” come si fa e su cosa concentrarsi per la prossima volta. Inoltre, nel video Commentary scopriamo anche che “Set Me Free Pt.2” si intitola così perché inizialmente SUGA avrebbe dovuto partecipare come rapper, e quindi il nome era un riferimento a “Interlude: Set me free”, una delle tracce della sua mixtape, D2.
Ciò che traspare chiaramente – e a più riprese – dal documentario è la tenacia di Jimin. Anche quando lo vediamo passare tutta la notte a contorcersi disperato nel tentativo di buttar giù dei buoni testi per il suo primo album, Jimin rifiuta di darsi per vinto. Proprio come prova e riprova le coreografie fino allo sfinimento, quando si tratta di scrivere canzoni, tiene duro fino alla fine. Ma la differenza principale rispetto al ballo, è che con i suoi testi non c'è dubbio Jimin si sia trovato faccia a faccia con le proprie emozioni e che abbia dovuto affrontarle. Nel Commentary, Jimin dice di essersi sentito un po' come un ragazzino “che tiene con costanza un diario personale” e tramite questo progetto ha potuto “mostrarne qualche pagina, una parte di me”. È un commento fatto con leggerezza, ma la sfida che ha dovuto affrontare con se stesso è evidente nel modo in cui dice “con costanza.”
È cosa risaputa che ognuno dei membri dei BTS adora esibirsi. Ed il motivo principale per il brivido e l'entusiasmo che provano sul palco è la presenza delle/gli ARMY. Quando scrivono musica, è in previsione del momento in cui potranno ritrovare il loro pubblico o arrivare ai cuori degli/lle ascoltatori—in altre parole, potremmo dire che si tratta di un esercizio di resistenza in previsione della futura gratificazione. A quanto sappiamo, quando il mondo ha dovuto chiudere i battenti a causa della soffocante pandemia da COVID-19, Jimin ha attraversato il periodo più difficile di tutta la sua carriera. Ma, ancora una volta, se l'è tenuto per sé – di propria volontà ed iniziativa – e questo, in un modo o nell'altro, gli ha poi permesso di creare FACE. Non è facile guardarsi dentro ed affrontare chi si è veramente. Non c'è dubbio, quindi, che dover andare a ripescare momenti emotivamente difficili per riviverne le sensazioni e poterne cantare sia doloroso. E sebbene non sia obbligatorio riversare tutta la propria anima nella musica, è proprio ciò che Jimin ha scelto di fare, e di farlo con estrema onestà—proprio come ha fatto RM con la sua mixtape omonima e SUGA con Agust D, quando i BTS erano relativamente ancora alle prime armi. Era qualcosa di cui sentivano il bisogno.
Ora che ho visto il Jimin’s Production Diary, trovo che il Jimin che ha rilasciato FACE sia molto diverso dall'uomo che era prima. Le insicurezze e la trepidazione non sono svanite, ma ora che ha avuto modo di sperimentare il senso di libertà che deriva dall'affrontare il proprio bagaglio emozionale, sono piuttosto sicurə che, quando sarà il momento di fare i conti con nuove sfide, non crollerà più come in passato. Non vedo l'ora di scoprire quale sarà la sua prossima mossa, adesso che è più orientato alla crescita personale che mai e si è creato delle basi solide da cui ripartire. Da grande fan della sua voce quale sono, la prospettiva [dei suoi futuri lavori] mi entusiasma molto, perché so che farà grandi cose con la sua voce magica. È con estrema sicurezza che mi sento di dire che l'unica persona al mondo che sa cantare come Jimin è Jimin stesso. Ho come l'impressione questo sia stato solo un assaggio dell'uomo che vedremo in futuro, del Jimin che sicuramente lavorerà con costanza incrollabile al suo prossimo progetto, forte di ciò che ha imparato nell'aprirsi e svelarsi al mondo grazie all'instancabile processo di analisi introspettiva che ha dovuto affrontare nello scrivere e promuovere quest'album.
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La scena del documentario che più mi è rimasta impressa è quella in cui, una volta finito di lavorare all'album, commenta: “Grazie a quest'opportunità, ho capito più chiaramente cosa dovrei e posso fare. E ora posso dire con sicurezza che ci sono tante più cose che vorrei provare.” Sebbene Jimin abbia già fatto tanto e sopportato ancor più, ha ancora sempre gli stessi occhi luccicanti da sognatore.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
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Journaling 17.02.23
Femminilità. Cosa intendo per femminilità? Me lo chiedo. Me lo chiese la mia psicologa, qualche anno fa. Cosa intendi per femminilità? Non lo so. I capelli lunghi? Carisma. Sì forse carisma. Quello che io non ho. Avere le attenzioni su di sé. Persuadere. Una donna femminile. Io non mi sono sentita mai così. Quella delicatezza. Ma quindi non sono delicata? Io mi sento delicata a volte. Quindi a volte sono femminile? Non lo so. Poco fa Nanni mi ha suggerito il profilo di una nutrizionista su qualche social che ha visto, dicendomi che una tizia ha smaltito 26 kg e che fa anche la ricomposizione corporea. Questo lo faceva anche il mio di nutrizionista, vorrei dirle. Ma sono io, sono io che ho deciso di smettere per l’ennesima volta. Le cause ormai le conosco così bene. Ogni volta accade. Ultimamente penso ai giorni che volano via. Si susseguono tutti uguali, mi ricordano una matrioska. Non so perché. Il perché lo so, lo so bene. Ogni giorno mi alzo e rivivo le stesse sensazioni (stavo per scrivere emozioni, magari lo fossero). Non riconosco le emozioni. Dicevo… beh, ogni volta mi alzo al mattino con una brutta sensazione addosso. La stessa che avevo dopo la morte di mio fratello. Nel momento in cui apro piano piano gli occhi è la disperazione. Vorrei non averli aperti. Proprio come i suoi. È lì, in quel momento, che vorrei una pistola tra le mani. Quando mi alzo, penso già al cibo. Alla prima colazione, a cosa mangiare. Pensate un po’ che ossessione. Mi dico di mangiare qualcosa di leggero. Lo faccio. 200 ml di latte con 30 gr di cereali integrali c’è scritto sulla dieta. Lo faccio. Sedentarietà. Di nuovo tu, ci risiamo. Niente più palestra durante il giorno. Dopo un periodo di abuso piacevole. E poi niente. Capita durante il giorno di sentirsi così: annoiati, tristi, felici, arrabbiati. Tutto sfuma. Pranzo e cena, sregolarmente mangio. E così tutti i giorni. Nanni mi parla di nutrizionista, in fondo è solo uno stupido nutrizionista.
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☆ 𝒕𝒂𝒌𝒆𝒏,
☆ 𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒊𝒕𝒚 𝒄𝒂𝒓𝒅
☆ 𝒏𝒐𝒎𝒆 𝒆 𝒄𝒐𝒈𝒏𝒐𝒎𝒆: Beatrice Nerissa Hawke ☆ 𝒅𝒂𝒕𝒂 𝒅𝒊 𝒏𝒂𝒔𝒄𝒊𝒕𝒂: 21.11.2013 ☆ 𝒔𝒆𝒈𝒏𝒐 𝒛𝒐𝒅𝒊𝒂𝒄𝒂𝒍𝒆: Drago ☆ 𝒍𝒖𝒐𝒈𝒐 𝒅𝒊 𝒏𝒂𝒔𝒄𝒊𝒕𝒂: Eros ☆ 𝒍𝒆𝒈𝒂𝒎𝒊: Jasmine, migliore amica ☆ 𝒔𝒐𝒄𝒊𝒂𝒍 𝒎𝒆𝒅𝒊𝒂: @faerieoflove ☆ ��𝒕𝒕𝒊𝒗𝒊𝒕𝒂̀ 𝒆𝒙𝒕𝒓𝒂𝒄𝒖𝒓𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒂𝒓𝒆: Canto & orchestra, filmografia & teatro. ☆ 𝒎𝒂𝒕𝒆𝒓𝒊𝒂 𝒆𝒙𝒕𝒓𝒂𝒄𝒖𝒓𝒓𝒊𝒄𝒐𝒍𝒂𝒓𝒆: Studi delle Dimensioni Parallele e dei Multiversi, Viaggi Astrali e Sogni Lucidi
☆ 𝒂𝒍𝒍𝒊𝒏𝒆𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒐: buono ☆ 𝒄𝒐𝒓𝒔𝒐: alfea ☆ 𝒈𝒆𝒏𝒆𝒔: fata ☆ 𝒑𝒊𝒙𝒊𝒆: lasciare vuoto
☆ 𝑮𝒖𝒊𝒅𝒆𝒍𝒊𝒏𝒆:
Beatrice Hawke, fata di rara bellezza e potere, proviene dal pianeta di Eros, dove amore e lusso dominano la vita. Cresciuta nell'eleganza e nel fascino, ha sempre ottenuto ciò che voleva senza fatica, sfruttando il suo aspetto e il suo carisma. Ma quando capisce che la sua bellezza non basta per diventare una delle fate più potenti, decide di studiare seriamente magia ad Alphea, l'accademia per fate straordinarie. Qui abbandona la superficialità, ma non rinuncia ai suoi vizi. Determinata a essere ricordata per la sua grandezza, la sua avventura è appena cominciata.
𝒔𝒕𝒐𝒓𝒚𝒍𝒊𝒏𝒆:
Beatrice Nerissa Hawke, nata su Eros, un pianeta dove l’amore regna sovrano, è figlia della famiglia reale di Eros, famosa per il suo potere dell'amore e il dominio della moda. Cresciuta nel lusso, circondata da abiti e gioielli, Beatrice non si accontenta della fama ereditata, ma sogna di costruire un nome tutto suo. Con il suo carisma naturale e talento nella moda, diventa una delle influencer più seguite di Eros, fondendo eleganza e audacia. Le sue collaborazioni con altre magiche celebrità e la sua presenza sui social sono leggendarie. Dietro l’immagine perfetta, però, Beatrice nasconde un sogno più grande: unire la bellezza esteriore e il potere interiore per cambiare il mondo. Con la sua carriera da influencer e il marchio della sua famiglia, Hawke Couture, è ormai un simbolo di lusso e magia, mentre continua a ispirare milioni, dimostrando che l’amore può davvero trasformare tutto.
𝒑𝒆𝒓𝒔𝒐𝒏𝒂𝒍𝒊𝒕𝒚:
Beatrice ha una personalità complessa, che mescola simpatia e ambiguità. Inizialmente, può sembrare superficiale, frivola e ossessionata dall'apparenza, famosa per la sua bellezza, il suo stile di vita lussuoso e il suo atteggiamento spensierato. Con un ottimismo contagioso e una propensione a fare battute per attirare l'attenzione, è una ragazza vivace, ammirata o odiata a seconda di chi la guarda. Ma dietro questa facciata, Beatrice nasconde una mente acuta. Nonostante la sua inclinazione per il facile e il conveniente, sa come usare il suo fascino e carisma per ottenere ciò che desidera, dimostrando una profondità che pochi vedono.
𝒄𝒖𝒓𝒊𝒐𝒔𝒊𝒕𝒊𝒆𝒔 𝒂𝒏𝒅 𝒔𝒆𝒄𝒓𝒆𝒕𝒔:
La sua sessualità segreta Beatrice ha sempre mantenuto la sua sessualità un segreto, celato nel profondo del suo cuore. È omosessuale, ma ha paura di dichiararlo apertamente, rivelandolo solo alla sua migliore amica, Jasmine.
Il sogno proibito di diventare una cantante Sin da piccola, Beatrice ha coltivato una passione segreta per la musica, sognando di diventare cantante. Oltre alla moda, ha imparato a suonare il pianoforte e la sua voce è potente e melodiosa.
Una collezione segreta di lettere d'amore Beatrice nasconde un segreto intimo: una collezione di lettere d'amore. Non solo quelle scritte alla sua crush secolare o ricevute da ammiratori, ma anche lettere anonime trovate per caso – in caffè, mercatini o inviate da sconosciuti.
𝒑𝒐𝒘𝒆𝒓𝒔 𝒂𝒏𝒅 𝒂𝒃𝒊𝒍𝒊𝒕𝒊𝒆𝒔: La sua magia è incentrata sul potere dell’amore, un incanto che abbraccia ogni forma di affetto e desiderio. I suoi poteri sono radicati nella capacità di influenzare le emozioni, di evocare la bellezza dell'amore in tutte le sue sfaccettature, dalla passione travolgente alla dolcezza dell’amicizia. Il suo scettro di luce rosa, uno strumento di grande potere, rappresenta la fusione perfetta tra grazia e forza, bellezza e potenza. Lo scettro di Beatrice, le è stato regalato dalla nonna, forgiato con una luce eterea e potente, simile a una lunga bacchetta dorata con una gemma rosa brillante in cima.
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Gianna Furio: l’ex moglie di Luca Giurato che lo ha reso padre
Luca Giurato, nome noto del panorama televisivo italiano, è stato un personaggio amato e ricordato per la sua lunga carriera come giornalista e conduttore televisivo. Uomo di grande carisma e ironia, ha saputo conquistare il cuore del pubblico non solo per la sua professionalità, ma anche per le sue celebri gaffe, che lo hanno reso una figura simpatica e vicina al popolo. Il suo recente decesso, avvenuto l’11 settembre 2024, ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo dello spettacolo italiano, suscitando commozione tra i colleghi e i fan. Luca Giurato: il giornalista tra ironia e riservatezza Luca Giurato è stato una presenza costante nel mondo della televisione italiana, noto soprattutto per aver condotto programmi di successo come La Vita in Diretta, Uno Mattina e Domenica In. La sua carriera, iniziata nel giornalismo e poi proseguita in televisione, lo ha reso una delle voci più riconoscibili del panorama mediatico. Sempre sorridente e pronto a scherzare anche su se stesso, è stato protagonista di numerose gaffe in diretta, che lo hanno reso particolarmente amato dal pubblico. Negli ultimi anni, però, la sua presenza in televisione era diventata più sporadica. La malattia al cuore, che lo affliggeva da tempo, lo aveva costretto a ritirarsi dalla scena pubblica, conducendo una vita più tranquilla. Si era trasferito a Roma, in una zona esclusiva vicino a Villa Borghese, dove passava le sue giornate passeggiando e godendosi la natura. Lontano dai riflettori, Luca Giurato ha continuato a mantenere un profilo basso, pur restando sempre nel cuore dei suoi fan. Il suo addio definitivo alla televisione era arrivato nel 2016, quando aveva lasciato il programma Uno Mattina con un commosso saluto, dichiarando di aver “finito” la sua carriera. Gianna Furio: l’ex moglie che lo ha reso padre Luca Giurato non è stato solo un volto noto del piccolo schermo, ma anche un uomo di famiglia. Dalla sua unione con Gianna Furio, è nato il suo unico figlio, che ha giocato un ruolo importante nella sua vita privata. Sebbene non si conoscano molti dettagli su Gianna Furio, a causa della sua scelta di mantenere un alto livello di privacy, è chiaro che il loro legame abbia segnato una fase importante della vita di Giurato. Dopo la separazione da Gianna, il giornalista ha mantenuto un rapporto stretto con il loro figlio, il quale lo ha reso nonno, un ruolo che Giurato ha sempre vissuto con grande gioia e orgoglio. Nonostante la separazione da Gianna Furio, Luca Giurato ha sempre messo la famiglia al centro della sua vita. Il loro figlio, di cui poco si conosce pubblicamente, ha comunque avuto un ruolo centrale nel mantenere il legame affettivo tra l’ex coppia. Si racconta che Luca, nonostante i suoi impegni lavorativi, abbia sempre cercato di essere presente come padre e nonno, trovando nella famiglia una fonte di serenità. Dopo il matrimonio con Gianna Furio, Luca Giurato ha trovato un nuovo amore nella giornalista Rai Daniela Vergara, con la quale ha vissuto gli ultimi anni della sua vita. Sebbene dal matrimonio con Daniela non siano nati figli, il loro legame è stato saldo e duraturo. La coppia viveva a Roma, e insieme hanno condiviso momenti di serenità e complicità lontano dai riflettori. Daniela è stata un supporto fondamentale per Luca durante gli anni della malattia, rimanendo al suo fianco fino agli ultimi giorni. Read the full article
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Generalizzando un pò è vero che le ragazze giocano sul fatto che da un lato, con il movimento metoo ecc si dica che debbano essere trattate con i guanti e poi in realtà sotto sotto vogliono quello che se ne infischia un pò ed è abbastanza audace? Cioè noto proprio una discrepanza tra ciò che molte sostengono sia corretto e poi il reale modo in cui vogliono essere prese, ho visto lo stesso ragazzo provarci in modo gentile con una ed essere deriso quando invece c'ha provato un pò da stronzo hanno scopato subito..Per carità c'è sempre la cosa che chi è sicuro/a di sè ha più carisma ma non capisco perchè questo modo di fare ipocrita, cioè è come se vi piacesse metterci alla prova, conosco fidanzate che rompono talmente tanto le palle ai fidanzati che li fanno diventare senza palle, devono stare attenti a tutto ciò che dicono e poi però sembra che questa cosa allo stesso tempo gli faccia perdere interesse in loro, ma perchè??? Che cattiveria è mai questa, scusa il piccolo sfogo ma sono curioso di avere il punto di vista di una donna, se lo dico è perchè già solo io guardandomi attorno, tra ragazze di amici e parenti ho notato spesso questi atteggiamenti il chè mi fa pensare che siano abbastanza comuni
è un discorso un po’ difficile perché io tendo ad analizzare caso per caso senza grandi generalizzazioni, quindi non saprei come darti una risposta particolarmente esaustiva, ma ci provo anche se sono in post sbronza
prendendo in considerazione che le ragazze siano esseri umani esattamente come i ragazzi è ovvio che pretendano un certo tipo di rispetto, e questo rispetto si chiama semplicemente umanità
poi ci può essere quella che ha bisogno di essere presa un po’ per il culo, oppure quella che vuole essere trattata come una rosa, però anche lì dipende dalla situazione: se un ragazzo che non interessa a livello sentimentale fa il grazioso e carino penso che generalmente sia apprezzato, ma dato che il sentimento non è ricambiato ovviamente si tende a comportarsi in tal modo da allontanarlo
se invece si tratta di una scopata così l’unica cosa da fare è sbattersene del modo in cui x persona si approccia, tanto lo si vede una volta e poi a mai più
ma credo accada la stessa identica cosa al contrario, se io vado da uno che mi piace e voglio provarci sentimentalmente e mi comporto in modo dolce e carino ma lui non ricambia è ovvio che cercherà di allontanarmi, se invece il mio interesse è passarmi una serata e basta avrò un comportamento anche più freddo e meno accurato, perché io quella persona non voglio conquistarla ma voglio solo passarci un paio d’ore sul letto hahaha
invece per quanto riguarda quelli fidanzati che si fanno mettere i piedi in testa dalla ragazza beh, sono un po’ sottoni e non credono nel rispetto (= umanità) che si meritano e soprattutto dopo un po’ se uno diventa senza palle diventa anche un po’ noioso e quindi finisce che la tipa si stanca e se ne cerca un altro che magari le tenga un po’ testa, ma tenere testa non vuol dire non rispettare, vuol dire semplicemente stare sullo stesso piano e cercare di mantenerlo, e questo comprende anche l’essere “stronzi” quando è necessario (ovviamente senza superare un certo limite), se poi alla tipa non va bene sono cazzi suoi hahaha
non so se questo discorso abbia effettivamente un senso logico e non so nemmeno se possa essere un pensiero condiviso, quindi boh prendi il tutto con le pinze e magari per farti un’idea più globale chiedi la stessa cosa a più persone così puoi analizzare le congruenze e le incongruenze e darti da solo una risposta definitiva che secondo te possa avere un senso
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Rebel Moon - Parte 1: figlia del fuoco, Zack Snyder ha il suo Star Wars
Rebel Moon - Parte 1: figlia del fuoco, film di Zack Snyder che apre le porte a una nuova saga ispirata all'universo di Star Wars. Su Netflix.
Zack Snyder è uno di noi. Con lo slow motion facile e un piano di allenamento sicuramente migliore, ma è comunque uno di noi. Perché anche lui, quando ha visto il primo Star Wars da bambino, ha detto: un giorno voglio fare un film di Guerre Stellari tutto mio. La differenza è che Snyder non si è fermato alla collezione di action figures: lui ce l'ha fatta sul serio. Nato proprio come storia facente parte dell'universo creato da George Lucas, con l'acquisizione di Lucasfilm da parte di Disney il progetto è stato modificato, diventando un mondo a sé stante. Questa è la versione in carne e VFX dei giochi immaginati da un bambino che sognava una galassia lontana lontana.
Rebel Moon - Parte 1: figlia del fuoco, disponibile su Netflix, è la prima parte di una saga che si articolerà su più media. Il secondo capitolo, girato back to back con questo, è arrivato questo aprile, sempre su Netflix, ma Snyder ha già dichiarato di voler fare anche un terzo film. Arriveranno poi un videogioco, una serie prequel a fumetti, dal titolo House of the Bloodaxe, e un corto animato. Le potenzialità sono quindi elevatissime. Non solo: Rebel Moon è, per ammissione del regista, ambientato nello stesso universo di Army of the Dead, altra saga, di stampo più horror, che sta sviluppando sempre insieme a Netflix. Chissà quindi che le due prima o poi non si incrocino.
Rebel Moon si poggia sulle spalle di Sofia Boutella, ballerina che nel cinema d'azione ha trovato una seconda vita brillante. L'attrice interpreta Kora, che potremmo definire una Darth Vader sotto coperta: ha fatto intatti il percorso opposto a quello del personaggio immaginato da Lucas, passando dal Lato Oscuro al Lato Chiaro. Era una delle più potenti guerriere al servizio dell'Imperium, ma poi ha preferito abbandonare la lotta, scegliendo una vita semplice in mezzo ai coltivatori di grano. Quando l'ammiraglio Atticus Noble (Ed Skrein) porta terrore nel suo villaggio, decide però che è arrivato il momento di ribellarsi e di mettere insieme una squadra dei migliori combattenti della galassia per contrastare il Motherworld.
Rebel Moon - Parte 1: Figlia del Fuoco, Sofia Boutella in una sequenza
L'universo muscolare di Snyder
In un'altra vita Zack Snyder probabilmente era uno scultore nella Grecia classica: tutto il suo cinema è infatti basato sulla plasticità dei corpi. È stato così in 300, lo è stato nel suo viaggio con i supereroi DC e continua in Rebel Moon. Le parole a Kora non servono: il suo strumento è il suo corpo, che esprime una chiara e netta volontà. Nessuno può decidere per lei. È con questo spirito indomito e libero che si affianca e conquista i suoi compagni di avventure.
Con lei c'è Gunnar (Michiel Huisman), contadino che decide di seguirla per aiutarla. Sul cammino si aggiungono poi il mercenario Kai (Charlie Hunnam); il nobile Tarak (Staz Nair), diventato un fabbro; il generale Titus (Djimon Hounsou), caduto in disgrazia, ma formidabile stratega; la spadaccina Nemesis (Doona Bae) e infine uno dei capi dei ribelli contro l'Imperium, Darrian Bloodaxe, interpretato da Ray Fisher, che torna a collaborare con Snyder dopo il travagliato Justice League.
Un gruppo vario e dalla fortissima presenza scenica, che per Snyder sfoggia tutto il carisma di cui è capace, dando vita a intense scene di combattimento. Le interazioni tra questi interpreti sono tra i momenti più interessanti del film e, come si intuisce, saranno fondamentali nei capitoli a venire.
Una lunga preparazione
Rebel Moon, proprio come Star Wars, è fantascienza piena di vento e sabbia ed è anche un western tra Sergio Leone e Kurosawa. I riferimenti non finiscono qui però: ci sono anche influenze da Matrix e Il Signore degli Anelli. Insomma, praticamente il meglio che il genere fantasy e sci-fi abbiano offerto negli ultimi 40 anni. Il regista non rinuncia ai suoi tratti distintivi, ovvero fotografia desaturata e scene in slow motion, ma sembra aver trovato un equilibrio nel loro utilizzo rispetto ad altre opere più recenti. Trattandosi di un lungo prologo, il film risulta però decisamente frammentato, perché è un susseguirsi di introduzioni dei vari personaggi e pianeti.
Le premesse però per un universo che lascia la curiosità di continuare a essere esplorato ci sono tutte. Infine il desiderio di Snyder di mettere in piedi squadre numerose di protagonisti che lottano per uno scopo comune è quasi commovente: in questo momento storico pensare a eroi che agiscano insieme per il bene della collettività e non come agenti del caos solitari è qualcosa che fa piacere vedere.
Conclusioni
In conclusione Rebel Moon - Parte 1: figlia del fuoco, la nuova saga creata da Zack Snyder si ispira dichiaratamente a Star Wars. Al centro di tutto c'è la guerriera Kora interpretata da Sofia Boutella: passata dalle forze oscure dell'Imperium a una vita semplice in mezzo a dei contadini, quando questa comunità viene minacciata decide di ribellarsi e mettere insieme una squadra dei migliori combattenti della galassia per reagire al potere. Cast dal carisma muscolare, Rebel Moon è un primo assaggio di questo nuovo universo creato da Snyder, che risulta molto frammentato perché è un continuo susseguirsi di introduzioni di personaggi e luoghi. Le basi per un mondo che si fa guardare con curiosità sono però gettate.
👍🏻
Il carisma della protagonista Sofia Boutella.
Il cast dalla forte presenza scenica.
Le scene di combattimento.
La costruzione consapevole di una nuova mitologia.
👎🏻
Dovendo introdurre molti personaggi, il film è frammentato.
Gli elementi caratteristici e divisivi di Snyder, slow motion e fotografia desaturata, ci sono: nel bene e nel male.
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4 giu 2024 16:34
L’ONESTÀ DI ENRICO – 1984, INDRO MONTANELLI SULLA MORTE DI BERLINGUER – ‘’IL LUCIFERINO PAJETTA, CHE NON LO HA MAI AMATO, DICEVA DI LUI: “FIN DA GIOVANISSIMO S’ISCRISSE ALLA DIREZIONE DEL PARTITO” - BERLINGUER È RIMASTO ALLA GUIDA DEL PCI PER 12 ANNI GRAZIE AL REGIME DI MONARCHIA INCOSTITUZIONALE CHE VIGE NEL PCI, DOVE SOLO PER PUTSCH IL RE PUÒ ESSERE SBALZATO DAL TRONO - SE È VERO CHE UN BUON NEMICO È ANCORA PIÙ PREZIOSO DI UN BUON AMICO, DOVREMO PIANGERE E RIMPIANGERE ENRICO BERLINGUER: UN NEMICO COME LUI, SU QUELLA SPONDA, NON LO TROVEREMO PIÙ” -
Dal “Fatto quotidiano”
Degli editoriali sul Giornale raccolti nel libro “Come un vascello pirata”, pubblichiamo quello sulla morte di Enrico Berlinguer (12 giugno 1984)
IL CARISSIMO NEMICO
Non sapremo mai se Togliatti designò alla propria successione Berlinguer perché aveva capito chi era, o perché non lo aveva capito. Quel ragazzo cresciuto nella sua segreteria doveva piacergli per molti versi.
Prima di tutto perché, appunto, era cresciuto nella sua segreteria, poi perché era un esecutore scrupoloso, silenzioso e zelante delle sue direttive, perché ormai conosceva a menadito la cosa più importante, l’“apparato ”, perché non aveva mai fatto parte di camarille, e forse soprattutto perché non era “reduce” di nulla.
Berlinguer non veniva dalla cospirazione antifascista – non ne aveva avuto il tempo – né dal fuoruscitismo, e anche con la Resistenza credo che avesse avuto ben poco a che fare. Il luciferino Pajetta, che non lo ha mai amato, diceva di lui: “Fin da giovanissimo s’iscrisse alla direzione del partito”.
Ma forse fu proprio per questo che Togliatti lo prescelse. Il vecchio navigatore formatosi alla scuola di Stalin e sopravvissuto – uno dei pochissimi, di quella leva – alle sue purghe, diffidava dei rivoluzionari e dei dottrinari: è sempre da costoro che poi vengono fuori i dissidenti e gli eretici. Voleva dei commis, come in Francia si chiamano gli alti funzionari dello Stato. Attribuendone le qualità a Berlinguer, vide giusto. Ma non si accorse che gliene mancava una, e forse la più necessaria: il cinismo.
Berlinguer è rimasto alla guida del Pci per dodici anni grazie unicamente al regime di monarchia incostituzionale che vige in quel partito, dove solo per putsch il re può essere sbalzato dal trono. Berlinguer, che probabilmente aveva fatto poco per ereditarlo, non ha mai avuto bisogno di fare molto per conservarlo, e dubito che lo avrebbe fatto. Non ha mai dato l’impressione di attaccamento alla poltrona e di disponibilità ai giuochi di potere.
La mancanza di ambizioni dovette rendergli ancora più pesanti le croci che via via gli toccò di portare. Fra i veterani della nomenklatura italiana non era amato: lo consideravano, per la sua mancanza di medagliere, una specie di abusivo che aveva saputo sfruttare (e non era vero) le simpatie del Grande Capo. Quanto alla cosiddetta “base”, solo da morto è riuscito a scaldarla.
Da vivo, non aveva nemmeno mai tentato. Uomo di sinedrio, più che agitatore di folle, non aveva il carisma né l’oratoria del tribuno, e quando saliva su un podio di piazza, sul volto malinconico e nel mesto sguardo gli si leggeva il disagio. Non giuocò mai al personaggio, mai cercò la passerella e il flash che anzi visibilmente lo imbarazzavano: a Costanzo e alla Carrà non saltò mai in testa d’invitarlo a uno dei loro intrattenimenti.
Le circostanze non lo favorirono. Appena entrato in carica dovette affrontare la drammatica emergenza del brigatismo rosso. Un leader più cinico di lui chissà come avrebbe giuocato quella carta. Berlinguer non nascose la sua ripugnanza a servirsene, che poi esplose, col caso Moro, nell’aperta sconfessione della violenza.
Credo che quest’ultimo episodio abbia segnato, per lui, una svolta decisiva. Berlinguer è stato certamente l’uomo dell’intesa coi cattolici – il famoso compromesso storico non solo perché a indicargliela erano stati Togliatti e, prima di lui, Gramsci. Ma perché ci credeva. Quello che molti si ostinavano a considerare soltanto uno zelante burocrate, un “secchione” di “apparato”, è stato forse il dirigente comunista che più e prima di ogni altro ha avvertito la crisi del comunismo, e ha cercato di risolverla nell’abbraccio coi cattolici.
Era logico che su questa strada incontrasse Moro, il cattolico che più e meglio degli altri sentiva la crisi della Democrazia cristiana e cercava di risolverla nell’abbraccio coi comunisti. In molte cose i due uomini si somigliavano: nel pessimismo, nella sfiducia, nella premonizione della disfatta.
La fine di Moro fu, per Berlinguer, quella del suo unico valido interlocutore. E orami chiedo se fu proprio lui a favorirla ponendo il veto a ogni trattativa coi terroristi; o se fu il partito a imporglielo per tagliargli la strada. Per i falchi del Pci, Berlinguer era ormai un personaggio scomodo e pericoloso, specie da quando aveva cominciato ad allentare gli ormeggi che lo legavano a Mosca.
Gli era perfino scappato di dire (a Pansa) che voleva in Italia un regime comunista, ma sotto l’ombrello della Nato che lo tenesse al riparo dalle soperchierie del padrone sovietico: la più grave e blasfema di tutte le eresie in cui un capo comunista possa incorrere. Lasciamo volentieri la ricostruzione di queste vicende agli esperti delle Botteghe Oscure, anche se non ne hanno mai azzeccata una.
Noi vogliamo solo rendere l’onore delle armi a un uomo che può anche aver commesso degli errori: ma mai disonestà o bassezze. Se è vero – com’è vero – che un buon nemico è ancora più prezioso di un buon amico, dovremo piangere e rimpiangere Enrico Berlinguer: un nemico come lui, su quella sponda, non lo troveremo più.
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Storia Di Musica #301 - Weather Report, Mysterious Traveller, 1974
I detrattori di Miles Davis hanno sempre puntato in particolare su un aspetto: non è mai stato un virtuoso del suo strumento, la tromba. Effettivamente l'osservazione ha senso, ma nel progetto musicale di Davis è irrilevante il virtuosismo esecutivo, dato che aveva sempre in mente ben più potenti rappresentazioni musicali. Ma perfino i suoi più acerrimi avversari non hanno mai potuto dire nulla sua sul carisma da band leader e sul suo fiuto di talent scout, capaci di mettere insieme gruppi di musicisti sulla carta perfino antitetici, ma che con lui non solo hanno dato il loro meglio, ma hanno persino continuato e ampliato le sue idee. Questo successe al pianista, tastierista e organista Joe Zawinul e al sassofonista Wayne Shorter. Il secondo è stato il pilastro del secondo grande quintetto davisiano (a cui dedicai il mese celebrativo della 250.ma Storia Di Musica), il primo fu uno degli innesti decisivi in quel piccolo arco di tempo che attraverso i già citati capolavori In A Silent Way e Bitches Brew porta al jazz fusion. Zawinul è il più entusiasta della svolta, e anche quello più aperto alla sperimentazione, Shorter forte della sua esperienza è colui che lo asseconda ma lo tiene anche con un piede per terra. Il mix diviene perfetto quando si aggiunge il musicista cecoslovacco Miroslav Vitouš, virtuoso del contrabasso, formando il trio centrale di una nuova formazione che decidono di chiamare come qualcosa che la gente ricordi facilmente: Weather Report, il bollettino meteo.
Il primo album, omonimo Weather Report, è inciso nel marzo del 1971 in soli tre giorni. Con i tre ci sono il batterista Alphonse Mouzon e i percussionisti Barbara Burton e Don Alias entrambi agli inizi della carriera. Airto Moreira, che invece è l’unico a comparire nelle note di copertina, incide solo qualche intervento. Partono da dove era finita la lezione "elettrica" del Maestro Davis, ma spingendosi verso una spiritualità musicale, con atmosfere ancora più eteree e sfuggenti: la critica ne è rapita, tanto che la rivista Downbeat lo colloca al primo posto come album dell’anno. Il momento creativo è magico, e nello stesso anno pubblicano I Sing The Body Electric. L’album riprende il titolo da un racconto del 1969 dello scrittore Ray Bradbury che, a sua volta lo aveva preso da una composizione poetica di Walt Whitman del 1867. Nell’album compare per la prima volta il sintetizzatore di Zawinul che da qui in avanti caratterizzerà il musicista: Zawinul ne diventerà un pioniere, tanto che alcune grandi aziende produttrici se lo contenderanno sia come testimonial sia proprio come sperimentatore, e molte innovazioni tecniche di questi strumenti, e alcune derivazioni come i vocoder, devono molto all'opera del musicista nato in Austria. Le ultime tre tracce vengono registrate in Giappone durante una tournée del gruppo, e sono utilizzate anche per il terzo album Live in Tokyo dello stesso anno. Dom Um Romao alle percussioni e Eric Gravatt alla batteria subentrano nella sezione ritmica ai musicisti originari. Nel 1973 esce Sweetnighter, più orecchiabile dei lavori precedenti, che è apripista per il disco di oggi, che chiude in un certo senso il primo percorso della band.
Vitouš si chiama fuori, e parteciperà solo ad una traccia di Mysterious Traveller, che esce nel marzo del 1974, frutto di registrazioni del Novembre del '73 e di una giornata di perfezionamento poco prima dell'uscita del disco nel marzo 1974. Infatti è presente solo in un brano, la sua American Tango, musica che più si mantiene legata agli standard iniziali, e lascia il posto ad Alphonso Johnson, fenomeno del basso elettrico, che porta con sé tutta la forza della nuova musica nera; entra nel gruppo insieme al batterista Ishmael Wilburn, il quale prende il a sua volta il posto di Greg Errico, batterista nelle sessioni e nel tour di Sweetnighter, ma che declinò l'offerta di entrare in pianta stabile nel gruppo. Mysterious Traveller si apre con uno "scherzetto": gli oltre dieci, magici, minuti di Nubian Sundance, una sorta di rituale musicale magico con un celestiale coro scat singing, furono registrati in una surreale unica take di registrazione, e per valorizzarne l'effetto, fu fatta passare come un brano live, a cui aggiunsero applausi e brusii di pubblico in post produzione. Il disco mostra come ormai sia quasi del tutto naturale la contaminazione nelle strutture del jazz di sonorità funk, R&B, persino di musica etnica, che proprio in quegli anni stava avendo un notevole interesse di riscoperta. Cucumber Slusher è il funk del basso che accompagna gli assoli di Shorter e le terzine ai piatti di Wilburn e le percussioni etniche, in uno dei brani più famosi della compagnia. Mysterious Traveller è un brano sognante e armonioso, che sfuma nel duetto\scontro tra Zawinul e Shorter di Blackthorn Rose, vertiginosa scalata elettrica. Scarlet Woman, compassata e ritmica e l'intro quasi prog di Jungle Book (che sarà il punto di partenza per chiunque si accosterà alla materia per mille future divagazioni world e fusion) segnano un passaggio storico al pieno utilizzo degli strumenti elettronici nel jazz. Il risultato fu accolto con grande successo sia di pubblico, con il disco che va altissimo nelle classifiche di vendite jazz, e non sfuggì all'occhio attento dei lettori della rivista Downbeat, che lo decretarono disco dell'anno.
Zawinul continuerà ancora a registrare questo jazz-funk-rock fino al 1976, quando l'incontro con un altro genio, Jaco Pastorius, renderà ancora diverso, rinnovandone l'unicità, il suono meraviglioso e distintivo di una band che volle chiamarsi con un nome che tutti potevano facilmente ricordare.
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