#gli basta sorridere
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Esce il Gladiatore 2.
Non ha importanza chi sia il protagonista: c’è Denzel Washington, automaticamente il protagonista diventa lui.
Spiace ma è così.
#il gladiatore#gladiator 2#denzel washington#non sbaglia un film#quando uno ha carisma#gli basta sorridere#e hai risolto l’inquadratura
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ho 29 anni e mi ritengo una persona abituata alla morte. o almeno penso di esserla mentre guardo fuori dalla finestra ingnorando il telefono che mi suona in cuffia. se fossimo in quel film con tutte le emozioni probabilmente ora sarebbero tutte chiuse sottochiave mentre in plancia di comando ci sarebbe solo l'apatia. non ho ancora ben capito quale emozione provo nei confronti della morte, se paura, tristezza o rabbia. in questo momento provo apatia. poi mi fermo a rivedere le foto di Leo e mi dico che a volte qualcosa di buono questa famiglia del cazzo lo sa fare. Eri un bravo micio, ciecato completamente e quando ti abbiamo trovato in mezzo a quella boscaglia era un miracolo se il tuo cuore ancora continuasse a battere. eppure oh possiamo girarci intorno finché vogliamo ma quando dicono che l'amore è prendersi cura hanno ragione. sei arrivato che eri molto più morto che vivo e probabilmente te ne sei andato nello stesso modo, con quella stessa immensa incredibile voglia di rimanere attaccato alla vita. tutto ciò che su sull'amore l'ho imparato dagli animali non dalle persone. e ti giuro che abbiamo fatto davvero tutto il possibile ma a volte non è sufficiente cazzo, non basta, perché a volte i miracoli succedono ma non sono eterni e mi dispiace così tanto.... eri bellissimo anche se eri un gattino disastrato e adoravo giocare con te prima di andare a letto perché volevi saltarmi addosso anche se non ci vedevi un cazzo. eppure tu vedevi molto più di quanto si possa fare, anche se non avevi più gli occhi. un micetto con la 104 ti dicevo sempre.
mi sono sempre ritenuta una persona abituata alla morte.
soprattutto perché quando lavori con gli animali ne vedi tanti andarsene. la loro vita è breve, un soffio e forse tutto ciò che possiamo fare e voler loro bene e fare in modo che questa esistenza gli faccia meno male possibile. e mi fa sorridere questa cosa che non ci vedevi una minchia ma sapevi perfettamente dover'ero sempre, in ogni momento. e che quando mi sentivi rientrare a casa scendevi le scale. a raccontarla così sembra na cosa impossibile ma vi giuro che lui saliva sul divano, scendeva le scale, si arrampicava sul tetto.
e adesso che non ci sei più mi sento un pochino persa. sei solo un gatto sì, però sei uno di quegli animali che ti lasciano qualcosa quando incrociano la tua esistenza.
ah comunque non è vero che sono abituata alla morte, perché a quella non ti abitui mai.
ti porto nel cuore, ovunque io vada.
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Prima di pranzo, scendendo a Roma da sola, ho avuto un piccolo attacco di panico. Avevo preso da qualche chilometro l'autostrada e l'ho sentito salire, prendere le spalle, le braccia, gli occhi e il collo. Ho pensato di tornare indietro e chiedere di essere accompagnata, ho pensato di tornare indietro e basta, ho pensato di provare a proseguire, respirare e fermarmi se necessario. Mi sono fermata a fare benzina e ho respirato di pancia, come mi ha insegnato mamma, ho bevuto acqua fresca e ho messo Beethoven. Tutte le altre canzoni (canzoni che amo) non mi facevano stare bene. Non mi succedeva da tanto, diversi anni. Detesto ma comprendo il fatto che mi sia sempre successo mentre guido, per me guidare è sempre stato il più grande simbolo di libertà e indipendenza. E quello stronzo lì va a colpire. Lo capisco, ha senso. Mentre guidavo a finestrini aperti sul raccordo con i capelli bagnati mi figuravo una mappa con tutti gli amici nelle varie fermate. Ok se non riesco ad andare avanti mi fermo qui da lei. Oppure posso arrivare fino qui e andare da loro. È stato consolante anche questo. Consolante il respirare bene. Consolante il capire che stava passando e che era piccolo. Consolante sapere dove stavo andando. Consolante, forse, capire che però era successo e lo avevo capito. Ora mi resta l'immagine che un po' mi fa sorridere del raccordo dall'alto e delle facce dei miei amici in dei cerchi all'uscita dove abitano.
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Smettila!
Adesso basta flirtare con gli altri uomini di nascosto, con chiunque ti faccia un complimento! Mi fai sentire umiliato, mi fai dannare. Chiunque vorrebbe saltarti addosso solo a un tuo cenno, non lo capisci? O invece lo capisci sin troppo bene! Maledetta ossessione che sei, per me. Perché sei una femmina lussuriosa dentro: io ti conosco benissimo e mi preoccupo.
Pubblicamente, al lavoro o nelle occasioni ufficiali in società, tu semplicemente interpreti a perfezione una parte: quella della professionista compassata e seria. Sembri quasi una puritana dall’etica impeccabile e dai rapporti interpersonali cortesi ma molto distaccati. Appari formale, fredda e dall’aspetto algido, distante e sembri addirittura un po’ timorosa di eccessive confidenze.
Chi ti osserva professionalmente direbbe che sei una donna sobria, discreta. Ti sanno molto devota, la cattolica praticante che mostra di scandalizzarsi per qualsiasi parola un po’ colorita o espressione appena volgare. Infine, quando siamo in mezzo agli altri, con te non si può neppure accennare a cose di sesso: non si fa, non sta bene. Assumi immediatamente un’espressione inorridita, scandalizzata e cambi subito discorso.
Arrossisci, addirittura. “Un altro po’ di tè?” Che attrice straordinaria e spudorata! Ma a letto con me invece ti scateni. Ti trasformi completamente e potresti assolutamente dare delle lezioni - e che lezioni! - a un’attrice porno. Te lo vieni a cercare, me lo impugni, te ne impadronisci e ci giochi, ti piace. Lo brami, lo succhi e lo lecchi. Con gran gusto e perizia tecnica, te lo ficchi in due secondi tutto in gola.
Sei una vera maestra dell’arte. Mi svuoti letteralmente i testicoli. Hai la perfidia negli occhi, mentre ti fai scopare. Mi vuoi, desideri il cazzo più di ogni cosa. Sei una porca magistrale, laureata cum laude. Potresti battere in strada, per la perizia con cui maneggi il cazzo e ne tiri fuori tanta sborra. E ti piace assaporarla, giocarci. Troia schifosa e sporchissima.
Sei tu quella che conduce i giochi. Vuoi che ti sbatta il cazzo sul viso più volte, a umiliarti. E devo farlo chiamandoti troia e puttana. Si: sei inequivocabilmente una grandissima porca. Quanto mi piace, questo tuo lato! Sul letto, mi ti apri davanti all’improvviso, ti fai vedere da me ovunque, sul corpo: senza alcun pudore e socchiudendo gli occhi gemi contenta.
Il tuo culo, la tua passera e la tua bocca parlano chiaro e dicono soltanto: “penetrami, fammi godere.” Ti piace da impazzire essere osservata, desiderata, toccata, violata. Con prepotenza ti piace ancora di più. Sei assatanata di sesso: in casa vuoi il mio cazzo sempre e ovunque: in ogni momento, quando siamo soli. Mi vuoi a qualsiasi ora del giorno, se siamo a casa.
Vuoi che il tuo seno sia adorato e subito dopo leccato, assaggiato, strizzato, odorato, massaggiato. Cerchi di continuo l’uccello. Ne esigi tantissimo. Ami il lusso e gli agi. Ti approfitti della tua bellezza mozzafiato, perché sai che farei di tutto per te, per farti star bene, comoda e viziata.
Gli anglosassoni direbbero che sei una “high maintenance woman.” Entrando in camera da letto, come percepisco il tuo sguardo carico di libidine maliziosa, se ti vedo mezza nuda già capisco cosa ti passa per la mente. Non ti resisto e mi precipito su di te.
Compiaciuta di essere una femmina bellissima, sensuale e in missione segreta per conto del Dio Eros, mi sussurri all’orecchio dov’è che lo vuoi, dove e come desideri essere adorata, baciata e leccata. A lungo. Mi spompi, ne vuoi sempre di più. Sono pazzo di gelosia, per te: mi piaci da morire, mi sei entrata nel sangue. Ti voglio di continuo.
Che tu sia dannata, donna: non flirtare, non guardare, non rispondere, non dare confidenza, non sorridere. Capisco che è impossibile, ma fammetelo almeno dire. Sii solo mia, non tradirmi. Mi tradisci? Non ti basto? Dimmelo sinceramente, sgualdrina: tu sei la mia croce e delizia. E non ridere, troia. Senza il tuo profumo in giro per casa io morirei. Ama me e nessun altro. Perché io voglio te e basta.
Sei una mia vera e propria fissazione. Porto sempre in tasca con me un tuo paio di slip sporchi. Sono schiavo del tuo odore intimo. Adesso tu starai zitta e sopporterai queste sberle. Voglio vedere il tuo bel culo bianco latteo diventare rosso fuoco. E sentirti implorare pietà, piangere di dolore. Dovrai pur espiare, per tutta la gelosia che mi provochi.
Devo pur controllarti, in qualche modo, contenere la carica erotica che spandi attorno a te con non so quanta incoscienza e nonchalance. Sopporta, fallo perché mi ami. E perché... oh, per la miseria: che vera troia sei! Ti vedo che sorridi di nascosto e sembri soddisfatta, mentre ti mordi le labbra e fai finta di sentirti umiliata, ferita nell’onore, arrabbiata.
Maledetta: ti piace, essere sculacciata allora, eh? Dio: mi farai impazzire. Sei la mia dolcissima e assolutamente perfida puttana. Dai: ora usa la tua bocca nel modo che sai. Perché ti piace un sacco usarla così e sei capace di compiere veri e propri capolavori di acrobazia, con la tua lingua. Che spero tu usi solo con me. Dai, sbrigati. Succhia forte, puttana e fammiti sborrare dentro. Perché mi urgi e io ti amo troppo.
RDA
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VITTIMA DEL MATRIARCATO
Dovevano essere i primi anni ottanta e credo di essere stato in quinta elementare o al massimo in prima media, quando un pomeriggio di Agosto in spiaggia a Viareggio mentre tra amici guardavamo una partita di calcetto tra nuvole di sabbia, qualcuno vicino a me indicò una ragazza in bikini bianco, di uno o due anni più grande di noi e mi chiese a bruciapelo 'Quella lì te la tromberesti?'.
Io rimasi un po' spiazzato dalla domanda ma visto che si trattava di una risposta per forza dicotomica e comunque dell'argomento sapevo giusto giusto le basi teoriche, ovviamente risposi di sì.
Il tipo (che non era proprio un amico ma piuttosto una di quelle conoscenze estive estemporanee) sghignazzò e in men che non si dica si avvicinò alla suddetta ragazzina e indicandomi le disse qualcosa a bassa voce.
Dobbiamo dire che allora (come ora) io per le cose mondane non ero certo il più sveglio della cucciolata e quindi non riuscii a collegare quanto avevo detto al tipo poco prima con l'espressione furiosa e sconvolta della ragazza, che con le lacrime agli occhi corse verso il gruppo dei genitori sotto gli ombrelloni, tra cui c'era anche mia madre.
Dovevano essere le tre del pomeriggio ma io posso ancora ricordare che a un certo punto era sera (c'era la mezza luna in cielo) e mia madre non smetteva ancora di urlarmi contro PER LA COSA SCHIFOSA CHE AVEVO DETTO A QUELLA RAGAZZA E CHE MI DOVEVO VERGOGNARE PERCHÉ LEI DI SICURO DI VERGOGNAVA DI AVERE UN FIGLIO COSÌ.
Quando mio padre rientrò a casa ricominciò tutto da capo ma in stereo, con lui a braccia conserte che scuoteva la testa e mi diceva che ERO STATO UNA GROSSA DELUSIONE E CHE QUELLA RAGAZZA AVREBBE SOFFERTO MENO SE LE AVESSI DATO UN PUGNO NELLO STOMACO.
La cosa strana è che non provai nemmeno a difendermi spiegando che in realtà non le avevo detto proprio nulla... ho accettato il fatto di essere stato beccato mentre ballavo il tip tap in un campo minato e il giorno dopo continuai a fare quello che facevo fino al giorno prima ma diffidando di più della gente che faceva le domande stupide.
Vedete, il fatto è che io sono stato cresciuto in un ambiente familiare davvero molto aperto e inclusivo, dove c'era poco spazio per il giudizio frettoloso verso il diverso, il fragile e l'emarginato, quindi quell'episodio più che ingiusto mi parve strano... davvero c'era gente che andava in giro a dire alle donne che le voleva trombare? Ma dov'erano i genitori di queste persone?
E più tardi capii che erano proprio loro a dire queste cose e i figli semplicemente imparavano.
E ne ho conosciuto davvero tanti di figli così (che, per inciso, sono i genitori di oggi da cui altri figli imparano) e a volte non c'è nemmeno stata una responsabilità genitoriale diretta nell'aver insegnato loro certi comportamenti... a volte basta non dare peso, sorridere a certe battute e derubricare certi comportamenti a scherzi presi troppo sul serio.
Perché poi, alla fine, è sempre questione di saper stare allo scherzo, no?
E fatevela 'na bella risata invece di stare sempre a pensare a cose macabre tipo che una donna viene uccisa ogni quattro giorni!
No?
No.
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Siamo di ritorno da una cena fuori, io e daddy, abbiamo festeggiato un mio traguardo!
Appena rientriamo a casa mi dirigo in bagno per andare a cambiarmi e mettermi finalmente comoda ma quando entro in camera da letto trovo daddy appoggiato al muro e con indosso ancora camicia e giacca.
"Che cavolo fai ancora vestito così?" gli dico, mentre la visione di lui con quella roba addosso inizia a farmi sentire del calore diffuso.
Vedo un sorriso malefico aprirsi sulle sue labbra mentre si siede sul letto e inizia a battere, ritmicamente, la mano sulla sua coscia
"Vieni qui, bambina"
Per quanto l'eccitazione inizi a salire prendo a ridacchiare e mi oppongo, con poca credibilità.
"Vieni qui bambina, o mi arrabbierò e sarà peggio"
Mi avvicino lentamente e rimango di fronte a lui, mi toglie lentamente i pantaloni del pigiama, le mutandine e mi sistema sulle sue ginocchia.
So che sarà una notte intensa...
"Conta bambina!"
Prende a sculacciarmi e quando, presa dall'eccitazione, smetto di contare mi prende per i capelli e mi ordina di tenere il conto!
Tra una sculacciata e l'altra mi accarezza tra le cosce e mi fa notare quanto io sia già un lago.
"Stenditi sul letto"
Obbedisco, lui si stende accanto a me e inizia ad accarezzarmi tra le gambe per poi infilarmi un dito dentro e muoverlo sempre più velocemente fino a strapparmi un gemito di piacere
"Cosa bambina? Non dirmi che ti piace.."
Mentre continua a penetrarmi velocemente accende il lush, che non mi ero accorta avesse tirato fuori dal mio cassetto del piacere, e lo muove sul mio clitoride impostandolo ben presto al massimo della potenza.
Inizio a muovermi sempre di più, sempre più disperata per avere quel piacere che tanto agogno.
Gemo e lo prego non so bene neanche io per cosa.
"Cosa c'è bambina?" mi dice ridacchiando soddisfatto nel vedermi ridotta così.
Gemo e mi aggrappo alle lenzuola mentre il piacere sale e diventa sempre più intenso.
"Vieni per il daddy, fammi sentire quanto mi piace"
E a quelle parole l'orgasmo esplode e mi travolge totalmente strappandomi gemiti di piacere che lui zittisce con un bacio appassionato ed affamato.
Ancora scossa dagli spasmi mi rannicchio addosso a lui che mi abbraccia e accarezzandomi i capelli mi dice
"Non penserai che sia finita qui vero? Daddy non ha ancora finito con te"
Un brivido mi percorre tutta e qualcosa in me scatta nonostante fossi pienamente appagata.
"Dammi solo un attimo" dico, mentre faccio per alzarmi e uscire dalla stanza, lui si spoglia e mi aiuta a indossare la sua camicia per non prendere freddo. È così lunga da arrivarmi a metà coscia, mi fa da vestito e indossare solo quella mi fa sentire molto in un film americano e questo pensiero mi fa sorridere.
Mi dirigo in cucina, bevo e dopo essermi ricomposta torno in camera pronta a scoprire quale altra diavoleria possa avere in mente stavolta.
"C'è una cosa che voglio provare"
Mi dice mentre mi attira a se e mi bacia con forza, spingendomi sul letto e mettendosi seduto proprio nel centro.
Sono in ginocchio tra le sue gambe e mi basta uno sguardo per capire che ha voglia della mia bocca.
Mi chino e inizio a leccare e succhiare con quanta più passione possibile e so di star riuscendo nel mio intento quando lo sento crescere tra le mie labbra e gemere. Mi poggia una mano sulla testa e guida così i miei movimenti, cosa che trovo estremamente eccitante.
Con una nota di disperazione nella voce mi ferma e dopo aver indossato il preservativo mi chiede di cavalcarlo, sto per impalarmi su di lui ma chiede di farlo dandogli le spalle
Lo asserendo e scopro quanto possa essere intenso sentirlo così in fondo
"Muoviti, balla per me bambina"
Non posso far altro che muovermi con quanta più foga possibile, muovo il bacino cercando di sentirlo sempre di più dentro di me.
Più i miei movimenti si fanno profondi e veloci, più daddy geme e più voglio portarci al limite..
"Usalo e godi" mi dice passandomi il lush.
Lo posiziono sul clitoride e lo muovo in circolo sempre più velocemente mentre mi impalo sul suo cazzo, sento il piacere montare di nuovo dentro di me, i miei affondi si fanno sempre più disperati, disperati tanto quanto i gemiti di daddy che mi tiene stretta per i fianchi e mi spinge su di lui con foga.
Arriviamo all'orgasmo insieme, il piacere ci travolge e ci scuote con forza facendoci gridare all'unisono il nostro piacere, un grido a metà tra una supplica e i nostro nomi.
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Ore 1:05, lascio figlio n. 2 fuori la discoteca con i suoi amici. Quella non è una semplice discoteca è il Bolgia. Non faccio in tempo a dirgli la frase di rito, che ogni buon genitore di sicuro vorrebbe dire ai propri figli. Quando invece è lui che mi dice di scrivergli quando sarò tornato a casa. Che si sente in colpa di farmi fare tardi.
Nel rientrare troppa colonna su quella statale, approfitto per pensare a me e a quanto i miei figli mi hanno riferito oggi sul mio matrimonio.
Credo di aver avuto un cedimento, credo che i miei occhi mi abbiano tradito.
Una ragazza sul bordo della strada, dove “professionalmente lavora”, approfittando della fila dovuta alla colonna d’auto si appoggia al finestrino lato passeggero aperto. Mi guarda, mi sorride. Ora mi aspetto una richiesta, invece mi dice: con te ci berrei volentieri un caffè. Hai il viso di chi sta soffrendo, forse ti farebbero meglio due parole di conforto che una scopata.
E se anche una meretrice non vede in me del sesso, credo che dovrei pensare seriamente a una vita da eremita.
Due battute su quale tisana bere per parlarci e ci troviamo con gusti simili, frutti rossi.
Poi riparto e mi rimane il suo profumo in auto, il suo sorriso sincero.
Strada facendo rivedo le segnaletiche orizzontali di un senso unico forzato per dei lavori. Era l’estate di Rebecca e del concerto di The Weeknd. Che nottata!
Ultimi chilometri, ultimi pensieri di decisioni pesanti da prendere, portati avanti nell’attraversare il giardino.
Mi fermo di colpo, osservo tra l’erba alta di questi giorni di pioggia. Gli occhi non credono a quello che vedono, dopo quattro anni è tornato un riccio in giardino. Questo basta per farmi sorridere. Come un ebete.
Dopo averne visto morire uno tra le mie mani ecco che ritorna un altro. Tutto ricomincia, Leo per Alvin e il riccio per l’altro, perché quindi non una mia decisione per una nuova vita?
Tutto questo mentre il cuore ancora duole.
Ci penserò promesso. Ora riposo un po’, che poi dovrò ricuperare l’armata Brancaleone, dalla bolgia di una nottata senza pensieri.
Intanto sorrido, con occhi asciutti.
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Un giorno Isao il Dio supremo, aprì le dieci dita delle mani e le distese sull’oceano. Ne caddero alcune gocce e dall’acqua emerse una fanciulla divina, Araminta; appena la vide le disse : “il mondo ha dimenticato la poesia, ha dimenticato le favole… il linguaggio dell’amore, per questo sei nata, colorerai di fuoco i tramonti, trasformerai la favola in realtà… e la realtà in sogno, poesia”. Quindi scomparve in una nuvola di fumo viola. Attimi senza spazio e senza tempo, mentre le prime ombre scivolano sul suo corpo, solo il mare è testimone della sua nascita. “Deve essere molto triste non credere più in nulla” pensava Araminta, camminando verso il mondo; si trovò all’improvviso in una grandissima piazza piena di gente che correva indaffarata. Salì su di un alto gradino e cominciò a urlare: “Non si è mai troppo grandi per sognare; io sono Araminta e sono in mezzo a voi per ricordare a tutti che la felicità è intorno a noi. Felicità è sorridere agli altri… è svegliarsi una mattina e accorgersi che la vita è tanto bella. Io vorrei che tutti fossero sempre felici e farò di tutto perché ciò accada. La primavera arriva piano piano e quasi nessuno se ne accorge. E poi una mattina svegliandoci scopriremo che l’inverno non c’è più. Che è arrivata lei… la primavera. E’ meraviglioso vivere , innamorarsi… E’ meraviglioso stringere la mano della gente per non sentirsi più soli. L’amore non si può nascondere. Come non si potrebbe nascondere un raggio di sole. Nella vita non c’è niente che non sia amore. E’ per amore che i girasoli inseguono il sole, è l’amore che fa tornare sempre l’estate. Senza amore non esisterebbe il mondo. Basta chiudere gli occhi per ritrovarsi altrove. Un respiro profondo e la mente vola via leggera come un aquilone. Su gente fatelo insieme a me e le favole, le poesie e l’amore torneranno a far parte di voi…” Così fu che si presero tutti per mano e chiusero gli occhi per riaprirli poi su un mondo colorato e pieno di luci di stelle e d’amore, sotto lo sguardo felice di Araminta pronta per partire alla ricerca di altri luoghi e di altre persone a cui regalare la sua felicità. Un'anima sul mondo
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Mezz'ora dopo bussammo alla porta di casa del mio amico Pietro. Il vecchio si era lamentato per tutto il viaggio. Ma che cazzo di strada, che cazzo di posto, che cazzo di buio, non c'era una cosa che gli andasse bene. E giù una sfilza di cazzi che, se li avessi detti io, avrei preso sberle fino ai venti anni. Non vedevo l'ora di diventare maggiorenne per poter dire quello che volevo senza problemi.
Ci venne ad aprire il fratello di Pietro, che, appena ci vide, sfoderò un sorriso sfavillante. "Ciao giovanotto, che piacere rivederti!" Disse. E sembrava davvero che fosse felice. "Ciao, Antonio." Risposi. E basta. Senza sorridere e con troppo distacco. Iniziavo a comprendere la gravità della situazione. Lui sembrò non accorgersene, o fece finta, mi arruffò i capelli e rivolse la sua attenzione al mio vecchio: "Buonasera, con chi ho il piacere di parlare?" Mio padre ci mise un po' a rispondere, rimase lì a fissarlo con la bocca leggermente aperta. non si aspettava che dietro il primo portone, ce ne fosse un altro, altrettanto imponente e massiccio. Antonio era un vero gigante. "Piacere di conoscerti, Antonio. Io sono il papà di questo fringuello e mi chiamo Alfredo." E gli porse timidamente la mano, credo avesse paura di riaverla indietro mezza stritolata. Antonio gli strinse la mano con vigore contenuto, chissà se fosse possibile uccidere un uomo soltanto stringendogli la mano. "Prego, entrate pure, abbiamo appena finito di cenare ed il caffè è sul fuoco. Potete farci compagnia, se volete." E disse tutto senza mai smettere di sorridere. Entrammo in cucina e la bocca di mio padre si allargò a dismisura. "Caspita!" borbottò sottovoce, "E' enorme! Qua dentro c'entra tutta casa nostra. E, se lo parcheggio bene, anche il mio camion."
Il papà di Pietro, non appena ci vide, ci venne incontro, anche lui sorridente, come se fossimo amici di vecchia data, o, meglio, dei parenti stretti. Anche sua moglie sembrava felice dell'inattesa visita. Insomma, erano tutti felici; manco fosse stata la vigilia di Natale. Io però non sorridevo affatto. E di felicità neanche l'ombra. Ero triste. Triste dentro. E traditore. Incrociai lo sguardo del mio amico, sembrava scrutarmi come volesse leggermi l'anima. Ma credo fosse soltanto la mia impressione di traditore, anche perché ero convinto che lui sapesse sempre ogni cosa in anticipo. Era serio e distaccato, niente affatto preoccupato, chissà come cazzo faceva. Cercai di scusarmi, di fargli capire con gli occhi che non volevo fare la spia. Che ero stato costretto a farlo, per il mio e per il suo bene. non so se ci riuscii.
"Benvenuto. Prego, si sieda, mia moglie le verserà subito una tazza di caffè appena fatto. Poi, se gradisce, sarò io ad offrirle un bicchierino, magari anche due, di grappa fatta in casa." Disse l'altro papà al mio.
"In vita mia, mai che mi sia capitato di rifiutare un bicchierino di grappa, figurarsi se ho intenzione di dire no a quella fatta in casa." Rispose il vecchio, perfettamente a proprio agio.
"Benissimo allora. A cosa devo l'onore e il piacere di questa visita?"
"Vede, per quanto riguarda l'onore, spero che rimanga tale anche quando usciremo da quella porta, ci terrei, sul serio. Ma so già che non sarà un piacere ascoltare quanto ho da dirle. E quanto ha da dire mio figlio."
Una pugnalata mi avrebbe fatto meno male. Ecco quindi qual era il suo piano. Farmi fare una figura di merda davanti a tutti. Abbassai lo sguardo e mi concentrai sulla punta delle mie scarpe. In quel momento erano il mio centro del mondo. Nient'altro sembrava degno della mia attenzione e...E odiai mio padre! Lo odiai con tutte le mie forze per quella vile carognata. Lui avrebbe dovuto proteggermi, sempre, questo si fa con un figlio, non metterlo in mezzo. Ma che cazzo di padre era? Perché mi faceva quella vigliaccata?
Il racconto ebbe inizio. Li mise al corrente dell'incontro-scontro con l'avvocato Terenzi, di come quel figlio di cagna li avesse aggrediti verbalmente al bar, della sua falsa versione dei fatti e delle sue intenzioni di portare in tribunale tutti i ragazzini, padri compresi nel prezzo. non ci mise molto, fu preciso e conciso. Una volta esaurito il preambolo, mi chiamò vicino a se. Era il mio turno. Ero io che dovevo illustrare l'antefatto, che dovevo illustrare la scena del crimine. Mi sentivo peggio di quella volta che mi avevano portato dal dentista. L'attesa in quella saletta squallida era stata massacrante, eppure avrei aspettato tutta la vita, pur di non finire sotto ai ferri. Ma, inesorabile come la morte, toccò anche a me. L'unico ricordo sopravvissuto è il desiderio che si finisse in fretta. Ora ero nella stessa situazione. Doveva finire in fretta. Presi un lungo respiro e iniziai a parlare. Parlai senza mai fermarmi e senza mai, neanche una volta, neanche per sbaglio, guardare in faccia i presenti. Dissi tutto, a testa ostinatamente bassa, ma dissi tutto. Dissi tutto senza togliere, o aggiungere, particolari, cercando, a mo' di discolpa, di calcare la mano sulla prepotenza e la bastardaggine dei grandi. Quando ebbi finito, scese il silenzio, Un silenzio denso, pesante, non era un bel segno. Non lo era affatto.
Il primo a risorgere dalla paralisi generale fu il papà di Pietro. Si alzò lentamente dalla sedia, come avesse un grosso fardello sulle spalle, si avvicinò al mio amico, che era rimasto, per tutto il tempo, in piedi vicino al camino, senza mutare mai espressione, come se si parlasse di cose che non lo riguardavano, e con un manrovescio terrificante gli fece girare la testa dall'altra parte. Una sberla della Madonna! Io al posto suo avrei pianto per una mezz'ora. tuttavia al padre sembrò non bastare. Non ancora. Alzò il braccio per colpire di nuovo, ma non lo fece, non gli riuscì, l'altro figlio, quello più grande, gli afferrò il braccio bloccandolo a mezz'aria.
"Lasciami, perdio!" Urlò, per la rabbia e per lo sforzo.
Antonio, che invece non sembrava sforzarsi affatto, con un tono calmo e glaciale, in verità molto simile a quello del suo fratellino, rispose: "Basta botte. Non servono. Non toccarlo più."
Fu mio padre ad allentare la tensione che si era venuta a creare. "So che non sono affari miei, signore, ma mi permetto lo stesso di dire la mia. E mi scuso fin d'ora per l'intromissione. Suo figlio non merita di essere rimproverato. E, tanto meno, di essere picchiato. Si è dimostrato coraggioso ed altruista, sono qualità rare, specialmente tra i giovani d'oggi. Si è battuto, da solo, contro tre balordi più grandi di lui e lo ha fatto per difendere gli amici, tra i quali, mio figlio. Amici che, tra le altre cose, non hanno mosso un dito per aiutarlo. Meriterebbe un premio, non una punizione! Personalmente, sono venuto per ringraziarlo, ed è esattamente quello che farò." Si alzò dalla sua sedia, si avvicinò al Maremmano, gli tese la mano e aggiunse:" Non sono tuo padre, giovanotto, ma sono lo stesso fiero di te. E sono felice che tu sia amico del mio ragazzo. Grazie, ti sono debitore." Pietro fece un impercettibile segno di ringraziamento con il capo e gli strinse la mano. Suo padre si voltò verso il mio, lo soppesò con gli occhi, poi: "Le va di uscire un attimo? Vorrei parlarle in privato." Disse.
"Volentieri, ma prima di uscire, vorrei aggiungere un'ultima cosa, prima non me ne ha dato il tempo. Comunque vada avanti questa storia, qualunque piega prenda, voglio che sappiate che non resterete mai da soli. Io sto con voi, anche i miei amici sono della partita. Avete la mia parola. Gli facciamo il culo a quel figlio di padre ignoto dell'avvocato!"
E uscirono.
Un coro di emozioni mi stava cantando negli orecchi. Tante voci confuse insieme, con il risultato di confondermi ancora di più. Ero deluso da me stesso, ero triste, arrabbiato, confuso, affamato. Si, tra le tante cose, mi era arrivata anche la fame. Ma soprattutto sentivo il bisogno di parlare con Pietro. Volevo scusarmi, spiegare le mie ragioni, volevo che capisse, doveva capire! Con fare incerto, mi avvicinai, eravamo rimasti soli. Antonio era uscito, non so per dove, ma non era più lì e la madre era salita al piano superiore, forse per preparare i letti.
Avevo un groppo in gola, ma non mi avrebbe fermato. "Io non volevo...Scusami, Pietro, avrei dovuto tacere, non dire nulla, ma mio padre mi ha costretto. mi avrebbe ammazzato di botte!" Che figura di merda! Lui aveva preso una sventola paurosa senza fare un fiato ed io mi ero cagato addosso solo per la promessa di prenderle. Proprio una gran bella figura di merda. Poi mi ricordai che non era solo per quello, che avevo parlato anche perché, al mio vecchio, avevano raccontato delle falsità. "Poi Alberto Maria aveva raccontato un mucchio di stronzate, per non dire al padre che le aveva buscate da uno più piccolo, così ho dovuto dire la verità! Io..."
"Chi è Alberto Maria?" Mi chiese, come se fosse appena arrivato. Come se in tutto il casino che era scoppiato lui non c'entrasse affatto.
"Come chi è? Quello che se ne è tornato a casa con il naso spappolato!" Risposi tutto d'un fiato. Poi feci una cosa di cui mi vergognai immediatamente. E di cui mi vergogno ancora. Scoppiai a piangere come un poppante cui hanno rubato il ciuccio. Saranno state le troppe emozioni accumulate, non saprei, il fatto è che un fiume di lacrime mi sgorgò dagli occhi e non riuscii a trattenerne neanche una.
Pietro rimase immobile e immobile la sua espressione distante, poi si voltò, mi guardò serio, mi cinse le spalle in un abbraccio e disse: " Non stare lì a preoccuparti, amico mio. Hai fatto la cosa giusta. Tanto, prima o poi, i miei lo avrebbero saputo lo stesso. Al tuo posto, avrei fatto la stessa cosa."
Non era vero, lo sapevo. lui era un duro, un duro vero, non gli avrebbero cavato una parola, neanche con le pinze. Però gli credetti lo stesso. Avevo bisogno di crederci e lo feci. Mi sentii subito meglio. Eravamo ancora amici. Era proprio forte il Maremmano, sapeva sempre cosa dire e fare. Era un grande. Più grande degli adulti.
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🖤
Ultimamente mi fermo a pensare e mi chiedo spesso cosa voglio per me?
Chiudo gli occhi e penso che ho bisogno di serenità, niente di più, quella serenità che ti ricolma il cuore e ti senti in pace con il mondo.
Ho sempre pensato che non importa la bella vita, i bei vestiti, una macchina di lusso, no non sono queste le cose che mi rendono felice. La felicità per me sta nelle piccole cose, nei gesti semplici e spontanei e soprattutto mi basta avere accanto le persone che amo, vedere nei loro volti la gioia, la tranquillità.
Mi basta una tazza di caffè caldo al mattino per sorridere.
Mi basta una passeggiata in riva al mare.
Mi basta la stima e l'amore delle persone che sono nel mio cuore.
Le grandezze le lascio a chi vive di superficialità....
Io vivo di Emozioni!....e le emozioni non hanno prezzo, ma battiti ♡
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And I've bled every day now
L’altra sera m’è sembrato di sentire la tua presenza alle spalle, una brezza fresca fra i rami, un bisbiglio emozionato, quando mi sono voltato però non c’eri, pur essendo ancora lì con me. “Mi dispiace” ho sussurrato piangendo, “mi dispiace” e spero tu l’abbia sentito, perché tutto ciò che voglio è che tu smetta di flagellarti al pensiero di averci distrutto. A volte credo d’averti lasciata precipitare senza opporre troppa resistenza, avrei dovuto lottare! Fare qualcosa, arginare il male! Invece sono stato solo in grado di rispettare il tuo silenzio, restando pazientemente in attesa. D’un ritorno, un cenno, una spiegazione. Sono passati sei mesi e ormai m’è chiaro che più non tornerai. E in tutto questo tempo, svegliarsi scavandosi un sorriso nuovo ogni mattina, mentendo, soffocando, sopprimendo te e il dolore, giù a fondo, sotto rabbia e sconforto, roso dai dubbi e dall’avvilente irrisione del tempo nell’infinita conta dei giorni, pregare e tenere duro per mantenere integra ogni lucidità dinanzi al lavoro e ai bambini, ricordarsi di sorridere, con gli amici o in famiglia, uno per non pesare, due perché all’oscuro, e a cosa varrebbe dirlo adesso? Tanto vale che mi tenga questo dolore per me, sono bravo a fingere, non vedi? Sono stato bravo.
“Ti amo” avevi detto “e non potrò mai perdonarmi, ma non so più se sono adatta ad avere una relazione”.
“Ti amo ma non voglio tenerti con me, perché sono un disastro e non voglio negarti la felicità”.
"Ti amo ma non voglio più farti soffrire, non so come fare e non voglio deluderti”.
“Ti amo ma amarti non basta, amare non basta”.
Queste le tue ultime parole prima di svanire, e non riesco ad avercela con te, sai, non riesco a portarti rancore, perché so quanto deve esserti costato, “mi ucciderebbe” dicevi, e a volte penso che andandotene così, dalla tua prospettiva melodrammatica e contorta, tu abbia voluto compiere il più grande atto d’amore possibile al mondo, peccato però che io non te l’avessi chiesto. Non lo volevo né m’interessava, ma non m’hai dato scelta, anzi, hai scelto tu per tutti e due. Ed è qui che hai sbagliato. Tutto ciò che voglio ora è che trovi finalmente pace, so tutto e t’ho perdonata. Ora però, ti prego, perdona te stessa e non farti altro male. Hai sofferto abbastanza.
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l'esistenza del mio cane mi rende felice, quando ti senti giù puntualmente arriva lui perché vuole le coccole o basta solo che lo guardi e per quanto sia bello ti viene da sorridere. davvero riescono a farti stare meglio gli animali che le persone.
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Potessi togliere qualcosa a me per darlo a te, lo farei subito.
Mi viene da pensare a questo, mi viene da pensare a come, romanticamente forse (illusa come una merda per dirlo in modo meno romantico), non riesco ad abbandonare il pensiero della persona che sei e sei stata nella mia vita e che adesso è come una tenera bimba, capricciosa come poche dobbiamo ammetterlo Nonna. Però ti faccio sempre sorridere e finché riesco a farti ridere un po' a me va bene, me lo faccio bastare. Basta che mi sorridi e ti tiri i baci in aria che a me si annulla tutto. Quasi. Poi non mi basta sempre, lo sai. Oggi sei meno presente del solito e la cosa mi lacera... Potessi togliere qualcosa a me per darlo a te, lo farei subito. Mi strapperei, la pelle, i capelli, gli occhi e le unghie, i muscoli delle cosce, le spalle e il costato, senza una smorfia di dolore per darli a te. Ora siamo stese sul letto mentre tu fai la pennichella, con la mano sul mio polso e mi "sfruculi" con questo movimento involontario che è diventato costante, ma almeno lo fai a me e non lo fai a te. E piango. Allontano incazzata i ricordi di anni fa perché non è il loro momento, sono ricordi egoisti e vaffanculo stronzi che cazzo volete, non devono venire adesso, non è giusto, adesso cerco di crogiolarmi in questa pennichella, ti guardo e ti accarezzo le sopracciglia come si fa con i bimbi per farli addormentare.
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Gentilissima dottoressa Anna…
Quando al lavoro ricevo un'email che inizia così, mi viene sempre da sorridere. Sapessero quale perverso e irrefrenabile 'folletto del sesso' possiede totalmente la mia psiche! Lavoro da tre anni in un nuovo ufficio con due mie care colleghe: Lina, la più anziana, prossima alla pensione e Rossana, mia coetanea di circa trentacinque anni e che è anche mio Capo. Con Ros ormai siamo migliori amiche da diverso tempo e lei mi confida sempre tutto. Io a lei… be': 'quasi' tutto.
Rossana è, manco a dirlo, una rossa esplosiva. Alta e slanciata: una quarta di reggiseno. Una femmina florida e piena di curve mozzafiato. Sempre vestita in modo molto sensuale. È oggettivamente un gran bel pezzo di figliola e l'oggetto di cupidigia di chiunque abbia a che fare con lei: uomini e donne. La riempiono sempre di attenzioni, cortesie e caffè.
E invidie da parte delle donne che non possono averla o essere come lei. La corteggiano tutti, più o meno esplicitamente. Lei è la star del piano. Quanto a me invece, vesto sempre in modo classico, poco appariscente e, a parte i rapporti di lavoro, con me generalmente buongiorno e buonasera: nessuno osa andare mai troppo oltre. E così io posso essere libera di volare sotto i radar e farmi gli affari miei.
Certamente, arrivata a trentacinque anni, ho avuto anch’io le mie belle storielle: il mio primo fidanzato l’ho avuto a diciott'anni. Era gentile e piccolino, come me. È con lui che ho fatto l'amore la prima volta. C'è da dire che per mia parte sono magra, alta 1,60 e con una prima scarsa di reggiseno. Però ho un bel culetto alto, sodo e un visino d'angelo. Gambe nervose e perfette. Faccio regolare esercizio fisico in palestra e corro ogni domenica.
E comunque la donna più bella mai apparsa sulla terra - Jane Birkin - aveva il seno tra il piccolo e l'inesistente, proprio come il mio! Ho lasciato il mio primo amorino dopo un anno per un ragazzo più grande sia di età che fisicamente; incidentalmente ho scoperto che alla maggior altezza e robustezza fisica corrisponde in genere una… 'attrezzatura' maschile di calibro altrettanto superiore. E questa cosa mi ha mandata fuori di testa. Ho avuto molti altri uomini, li ho cercati sempre soltanto molto più grandi di me: sia di età che fisicamente. Mai comunque qualcosa che fosse duraturo o di emotivamente troppo impegnativo.
Mi piaceva troppo solo il fatto di farmi riempire e scopare da loro. Godevo dei loro grossi membri dentro il mio corpo: amavo sentirmi occupata e poi farcita dal loro seme. Adoravo quel contrasto sulla carta impossibile tra me e l’uomo alto e grande. Quindi progressivamente ho imparato a farmi elastica, sotto ai loro corpi, mentre mi sbattevano a destra e sinistra, spesso facendomi volare sul letto come un fuscello. Sebbene mi promettessero tutti mari e monti, non appena sentivo puzza di innamoramento, di legame o di matrimonio, tagliavo di netto. Soffrivano. Moltissimo; tornavano alla carica. A volte disperati. Io dicevo di no e basta.
Un anno fa Ros mi ha invitata di venerdì sera a una cena tra colleghi. E lì ho conosciuto finalmente Pietro, suo marito. Descrizione di questo capolavoro della natura: alto 1,95 per 120 kg. Un fascio di muscoli, istruttore di Mixed Martial Arts. In sostanza, un gigante forte e gentile. Molto sexy, ma spassosissimo e cortese. C'è da dire che quando il Folletto del Sesso mi si risveglia io non guardo in faccia nessuno. Dopo un rapido scambio di battute, senza farmi troppo notare dalla mia amica intima, gli ho dato il mio numero: “sai: in caso ti servisse, se magari non riesci a parlare con Ros o per qualsiasi altra cosa…” e glielo dicevo guardandolo fisso negli occhi. Lui era rosso di vergogna. Tenerissimo: me lo sarei scopato lì.
Durante la serata abbiamo anche ballato un po’ e io mi stringevo a lui in modo vergognoso. Da seduti, tra noi due: giù battute, frasi e via via discorsi sempre più seri, sino a uno sbottonarsi a riguardo di cose anche molto personali. La stessa sera, da casa mia gli ho chiesto io con un messaggio di vederci per un caffè e due chiacchiere in libertà. Così: solo perché mi stava simpatico. Sullo smartphone lui, dapprima un po’ esitante, ha infine accettato. Ci siamo visti all'indomani, sabato, in mattinata in un bar del centro e dopo nemmeno un'ora dal caffè eravamo a casa mia… a letto. L'ho conquistato letteralmente. Mi prendo chi voglio. Mi ha detto che ama moltissimo sua moglie, ma anche che lei purtroppo lo fa sempre venire fuori, che il suo culo se lo può scordare e la bocca neppure a pensarci. Al massimo quando lei è indisposta lo sega.
E’ rimasto stupito quando l’ho incitato a spaccarmi la fica senza troppi complimenti: un bestione del genere, che però ho accolto sino alla radice, senza fare neppure un urletto di dolore. Quando stava per venire me l’ha detto e sarebbe voluto uscire, perché era abituato così. Io invece l’ho trattenuto dentro di me incrociando le gambe sulla sua schiena. E tenendo le mie mani sulle sue chiappe. Gli ho anche detto di non preoccuparsi, perché prendo le mie precauzioni. Lui allora s’è indurito completamente all’idea e ha iniziato letteralmente a sfondarmi: sembrava un vero selvaggio! Mugolava, grugniva e mi diceva cose all’orecchio che mi facevano arrapare ancora di più. Mi chiamava puttanella, troia senza vergogna.
Al culmine, mi ha urlato infoiato: “sei una piccola cagna, mi stai facendo tradire mia moglie, la madre di mio figlio… voglio vedere proprio quando strillerai... e dai: strilla, maledetta puttana…” Ma per me queste erano solo parole di miele. Gli ridevo in faccia, godendo come una cagna, appunto. Dopo la nostra prima volta, la settimana successiva l’ho fatto entrare. Ero in vestaglia trasparente, nuda e mi sono messa subito sul letto: pancia sotto e a culo ben aperto, in posa inequivocabile. Lui mi ha chiesto: “ma sei sicura?” e io provocandolo gli ho detto: “ma... lo sai fare o ti devo fare un disegnino?” Per tutta risposta ha puntato il suo membro enorme contro la mia rosellina, che si è aperta magicamente e pian piano lo ha accolto completamente. Oggettivamente mi faceva un po' male, ma solo l’idea di avere un palo del genere dentro mi faceva venire!
Va detto che m’ero ben preparata, tenendo nell’ano tutta la settimana il mio fido plug di belle dimensioni. Ed eccoci qua, nel mezzo di questa storia segreta. Adoro essere il suo chiodo fisso sessuale, vedere la sua espressione sorpresa ogni volta che glielo prendo tutto in bocca senza fiatare e mi piace troppo essere la ragione delle corna della mia migliore amica, mio Capo e gran pezzo di gnocca, soprattutto se confrontata con me, donnetta slavata, insignificante e totalmente anonima. Amo i racconti che mi fa Ros di come secondo lei lui è innamoratissimo, di come lei lo tenga legato con la sua preziosa fica. Che non oserebbe mai tradirla, perché dove la trova un’altra gnocca come lei. Lo so: il mio Folletto del Sesso prima o poi mi porterà alla perdizione. Ma intanto nella mia vita, di un maschio come Pietro, timido gentiluomo ma selvaggio, enorme bestione nel sesso, non posso fare a meno.
RDA
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E’ vero, il vostro smartphone non esploderà, ma la vostra vita l’altro ieri è cambiata; Cassandra vi spiega il perché.
Quando una notizia è nuova e sensazionale succedono sempre due cose:
La prima è che i giornalisti, e più in generale i media, non capiscono nemmeno l’evidente, non sanno cosa riferire, dicono cose totalmente false e sbagliate.
Non sanno a chi chiedere, chiedono al cuggino che è un po’ acher, gli ci vogliono giorni prima di pensare a fare una telefonata alla persona giusta. E poi la notizia si sgonfia, e nessuno più ragiona e scrive del quadro generale.
La seconda è che il pubblico si lascia convincere dall’interpretazione riduttiva e sensazionalistica, si limita a sorridere riconoscendo errori marchiani, ne discute con il cuggino che è un po’ acher e poi passa alla notizia successiva. Nessuno ragiona, anche se non deve scrivere ma solo pensare, al quadro generale.
E’ questo invece il dovere, il duro lavoro, dei profeti.
Come Cassandra vi predica da oltre un decennio, ancora prima che ci fosse la parola giusta per descriverlo, l’Internet delle Cose è tra voi, è tutta intorno a voi.
Non siate voi a controllarla, lo credete soltanto, ma vi sbagliate.
Normalmente è l’IoT che si limita a controllarvi, anzi che permette ad un sacco di gente do controllare voi; già solo questo è un pericolo enorme ed un anatema sulla vostra vita presente, ed ancor più su quella dei vostri figli.
Ma da oggi sapete che, alla bisogna, può essere utilizzata anche per uccidervi.
Ieri era una profezia, oggi è storia.
Vi basta questo fatto per guardare con occhi diversi la vostra domotica, la vostra auto, il vostro televisore, qualsiasi cosa abbia dentro un computer e sia collegata a qualcos’altro con non importa quale canale di comunicazione?
E veniamo alla cronaca, anzi ai suoi effetti permanenti sul futuro.
Le caratteristiche dell’IoT sono state usate per trasformarne una piccola parte in un’arma di distruzione di massa di altissima precisione.
Vista dal freddo punto di vista della tattica militare, è stata prodotta una nuova arma di distruzione di massa a basso costo e di precisione quasi chirurgica.
Si tratta di una precisione molto migliore delle cosiddette “armi intelligenti”, che sono costosissime e precise solo “geometricamente”, ma uccidono molto più i civili che i combattenti, quindi per questo “nobile” scopo “precise” certo non sono.
Ma la cosa rivoluzionaria non è l’operazione di intelligence e di uso bellico di tecnologie quotidiane; è un argomento che possiamo lasciare ai salotti televisivi di livello intellettuale meno basso.
La cosa rivoluzionaria, di cui probabilmente nemmeno gli addetti ai lavori, per la maggior parte, si sono ancora accorti, è che i principi della guerra asimmetrica, fantasia, uso efficiente delle risorse, imprevedibilità, da sempre appannaggio del “contendente debole”, sono state oggi utilizzate dal “contendente forte”.
Infatti, chi ha detto che non poteva essere così? In futuro succederà sempre più spesso, e diventerà la norma. Sarà una delle tante armi che possono essere utilizzate da chiunque, anche dalle superpotenze, per tentare di vincere una sporca guerra.
A Cassandra, sempre proiettata verso il futuro, della cronaca presente in sé interessa poco.
Ma alle persone in generale questo argomento deve interessare. Tutti hanno qualcuno a cui non stanno simpatici. Anche se non vorremmo, anche i migliori di noi hanno “altri” che li considerano nemici, se non personalmente anche come “fazione”.
Purtroppo, da oggi, sarà necessario convivere in un mondo dove non sono le armi nucleari il pericolo maggiore, non sono gli aerei usati per abbattere i grattacieli, non sono i disperati convinti di migliorare il mondo facendosi esplodere accanto a voi.
No, saranno gli oggetti che vi circondano, le cose più semplici e più innocue, che come la bambola assassina del film horror, come il pistolero robot con la faccia di Yul Brinner del film di fantascienza, saranno usate per colpirvi a tradimento.
Come già tratteggiato in questo profetico articolo di Wired del 2014, e evidenziato nello stesso anno da Cassandra, l’IoT è fatta di Frankenthings; “Cose” dell’Internet delle Cose apparentemente innocue, ma da temere davvero e sempre!
E’ così, è stato dimostrato, non ci sono più dubbi!
Fatevene una ragione. E poi pensate ed agite di conseguenza.
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↳ summary: Difficile vivere una relazione nell'ombra, di più se neanche gli amici del tuo fidanzato ti conoscono, a volte l'amore non basta per affrontare la solitudine che la mancanza di un partner crea, cosa farai dunque?
pairing: Kim Taehyung x f.Reader
genre: romance, angst, smut
word count: 9.300
warnings: angoscia, preoccupazioni e ansie, smut, preliminari, sesso vaginale
Her – Amore
Carezzò con riguardo quelle ciocche brune, scostandole dagli occhi del bel ragazzo dormiente, attenta a non turbare il suo sonno.
Sorrise con tenerezza, lei, costretta nell'ombra. Poteva averlo solo in quel modo, in segreto, nessuno sapeva di lei. Neanche la famiglia del ragazzo, nessuno.
Ci aveva provato, a lasciarlo, ma come una stupida si diceva che un giorno sarebbero usciti alla luce del sole, mano nella mano, a fronteggiare quel mondo.
Taehyung, con la sua dolcezza infantile, glielo faceva credere.
"«Ancora un po', solo un altro po'»".
La sua voce calda, profonda, accogliente. Era quella che riusciva sempre ad ingannarla. Lei non poteva rifiutare ciò che le veniva offerto.
"Troppo poco" si diceva. Eppure ogni fibra del suo corpo la collegava a quello del ragazzo, unendoli in una danza che iniziava con passione e finiva con l'amaro in bocca, solo a causa del tempo. Quel maledetto tempo che, beffardo, scorreva velocemente quando erano insieme – troppo velocemente – e andava a rilento quando il suo uomo si separava da lei, dovendo tornare alla sua vita frenetica e faticosa, e allora le toccava aspettare. Cercando di non impazzire nel frattempo.
Era una sofferenza immane, quando lo vedeva in TV, ammiccava verso le telecamere, diventava una furia di sensualità sul palco. Ma non per lei, bensì per le sue fans, le ARMY.
Ragazze di qualsiasi età che avrebbero dato di matto nel sapere di quella relazione clandestina. Sarebbero riuscite a dividerli. Lì subentrava la paura, e come una codarda tornava al suo giaciglio. In attesa di una sua, breve, pausa. Tutto per passare dei momenti insieme, momenti intensi, ma mai abbastanza felici.
Lei non era soddisfatta di quella vita, sarebbe venuto il giorno in cui avrebbe detto addio al suo principe azzurro, in cui si sarebbe negata il tocco di quelle soffici labbra sulle sue, di quegli occhi attenti e innocenti sulla propria pelle, ma perdendosi ancora una volta in quell'espressione di pura beatitudine, che governava i tratti distesi del moro, quasi pianse. Ci sarebbe riuscita? Era la cosa giusta da fare? Forse sì, forse no. Avrebbe sofferto molto? Lui avrebbe sofferto?
Con gli occhi ormai lucidi per lo sforzo di trattenere quelle sensazioni, si lasciò scappare un lungo e silenzioso sospiro.
Sentì qualcosa risalirle la gamba e sussultò colta alla sprovvista, abbassò gli occhi per farli scontrare con due perle nere, così brillanti e animate da smuoverle quel muscolo che pompava ad alta velocità nel petto.
«Sei ancora sveglia» sussurrò, non era una domanda.
«Anche tu lo sei, da quanto?» domandò, imitandone il tono basso.
«Sono sempre stato sveglio» la portò più vicina a sé, stringendola con tenerezza e cura, come un prezioso cimelio dal valore inestimabile.
Lui sapeva dei suoi tormenti, era così prevedibile?
«Mi dispiace» continuò, deglutendo con fatica «Non riesco a renderti felice» era mortificato. Lui che cercava di far sorridere tutti, eliminando quelle espressioni tristi dai volti dei suoi amici, non riusciva a far contenta la persona che più amava, e che stava al suo fianco da ormai quattro anni.
«Taehyung, tu mi rendi felice».
«Ma non abbastanza» si sollevò di scatto, facendo scivolare le lenzuola calde dal proprio corpo «E so a cosa stai pensando» c'era urgenza nella voce, e una nota di disperazione «Ma non farlo, non lasciarmi».
Il gelo scese in quella camera da letto, troppo grande per una sola persona che attendeva il ritorno di un'altra con sempre più solitudine nel proprio cuore.
Era una richiesta egoista quella di Taehyung, ma non riusciva ad immaginare una vita senza di lei. Si era abituato a quella casa che odorava del suo profumo, di quei piccoli dettagli che solo lei poteva aggiungere alle stanze, come dei coniglietti di pezza colorati messi ad ogni angolo della finestre. Aveva comprato una casa solo per vivere con lei in santa pace, ma esattamente, quando viveva con lei?
Stava solo pochi giorni, il tempo di riprendere le forze dopo innumerevoli interviste, concerti, allenamenti e comeback. Lui e i ragazzi dopo essere stati conosciuti anche in America e nel resto del mondo erano richiestissimi ovunque, l'agenzia non faceva che sommergerli di compiti. Non avevano nemmeno il tempo di respirare. E anche il desiderio di mettere radici e crearsi una famiglia veniva posticipato di continuo.
Viaggiava, vedeva posti nuovi, incontrava nuova gente, sempre senza di lei.
E si odiava per questo. Sentiva di usarla, ma ne era diventato dipendente, era assuefatto da lei e semplicemente una vita priva della sua presenza era orribile da immaginare.
«Che stai dicendo? Non ho mai detto una cosa del genere» farfugliò sotto lo sguardo implorante di lui, che le afferrò le mani stringendole con forza.
«Ci stavi pensando, chiunque ci penserebbe dopo aver sopportato questa situazione per troppo tempo».
Non riuscì a sostenere ulteriormente il suo sguardo, Taehyung aveva capito tutto e la stava praticamente pregando.
Le sue mani furono ben presto libere, il ragazzo si lasciò scappare un sospiro tremante. Le voltò le spalle.
Si sentì persa immediatamente, cosa significava?
La stava lasciando libera? Si era già arreso, valeva così poco per lui?
«Non ti tratterrò, non se questo ti fa soffrire» sussurrò dalla parte opposta. Lo stesso ragazzo che poco prima la stava implorando di ripensarci. Era questo uno degli aspetti che non sopportava di Taehyung. L'indecisione.
Fu questo che la portò ad alzarsi da quel letto, ormai fatto di spilli acuminati.
Si rivestì con una semplice maglia bianca, di un tessuto quasi impalpabile e un paio di jeans, nonostante fuori si gelasse. In quel momento moriva di caldo e aveva bisogno di una boccata d'aria, mise le sue sneakers e si mosse piano, lui rimase in quella posizione, ma poteva sentire i suoi occhi bruciarle contro la schiena.
Tear – Solitudine
Sette mesi dopo...
Lo aveva lasciato.
La notte in cui uscì faceva freddo, pioveva leggermente, eppure ciò le aveva dato modo di riflettere sull'intera relazione a mente lucida. E dunque era riuscita a fare quel grande passo. Aveva passato la notte da una sua amica e il mattino seguente era tornata da lui, per mettere un punto definitivo a quella storia.
Taehyung si era limitato a guardarla, senza nessuna espressione sul bel viso. Era apatico, freddo, non il migliore degli addii, ma detto sinceramente, quale addio era mai stato felice?
Nel frattempo aveva trovato lavoro come web designer e aveva affittato un appartamento grazie ai suoi precedenti lavori. Voleva semplicemente andare avanti, lasciarsi tutto alle spalle e rifarsi una vita senza dover dipendere da nessuno.
Ma lo vedeva in TV, ancor più di prima. La fama cresceva e con essa anche le interviste. Lui non sorrideva più, rimaneva serio rispetto agli altri suoi compagni che ridevano per stemperare la tensione. Lui rimaneva impassibile, come quel grigio giorno di pioggia. E allora il petto doleva, e pensieri come "codarda, lo hai abbandonato, in un momento così delicato poi" le intrappolavano la mente.
Si era ripromessa comunque di andare avanti, lei non poteva stare ad aspettarlo per sempre e Taehyung aveva compreso la sua scelta e si era messo da parte.
No?
Era diventata un'abitudine stare fermo a guardare il display del suo cellulare. In attesa di una chiamata, un messaggio, qualsiasi cosa che gli dicesse "Ha bisogno di te, vai a riprenderla".
I giorni trascorrevano lenti e monotoni, il cielo per quanto chiaro, risultava plumbeo agli occhi del giovane, come l'umore che lo aveva caratterizzato da quel giorno. I ragazzi avevano notato quel radicale cambiamento, ma nessuno aveva avuto il coraggio di chiedergli qualcosa, si limitavano a lanciare occhiate perplesse e preoccupate, nessuno di loro poteva immaginare la motivazione che si celava dietro quel comportamento bizzarro. Taehyung non aveva mai parlato di leiagli altri, uno dei suoi tanti errori.
Per gli idol non era permesso intrattenere certe relazioni, ma di certo questo non li fermava, e i componenti del gruppo ne sapevano sempre qualcosa. Lui invece aveva tenuto definitivamente la bocca chiusa anche con i suoi amici, l'aveva esclusa da tutto, lei era semplicemente una parentesi nella sua vita, si maledì ancora una volta per la sua stupidità.
Voleva rimediare ai suoi errori, voleva darle una vita degna di essere vissuta al suo fianco. Ma la stampa e gli haters ci avrebbero sguazzato per anni, ricordando Kim Taehyung, in arte "V", come l'ennesimo pazzo che aveva cercato di fottere il sistema. Per non parlare delle sue fan, le amava, ma purtroppo erano capaci di tutto. Non dava nemmeno a loro la colpa, gli Idol venivano visti come burattini col solo scopo di far felici i fan solo a causa delle agenzie stesse che non si preoccupavano di salvaguardare la loro dignità come esseri umani.
Quindi, come fare?
«Taehyung?» Namjoon si accostò a lui «Possiamo parlare?».
«Sì, Hyung. C'è qualcosa che non va con l'inizio di Fake Love?» chiese, prendendo una bottiglietta d'acqua fresca dal tavolino riservato agli snack.
Il suo leader scosse la testa.
«Sei stato perfetto oggi. Vorrei parlare a proposito di te».
Quasi si strozzò, cercando di mandare giù la grossa quantità d'acqua esageratamente presa.
Namjoon che voleva parlare non era mai un buon presagio, se poi si parlava di questioni personali c'era solo da scappare.
«Riguardo?».
«Tae, ultimamente sei abbattuto, non parli più molto e guardi sempre da un'altra parte, con occhi persi nel vuoto... o incollati al cellulare. Cosa c'è che non va? Devi dirci qualcosa?».
Ci pensò, ormai era andata, perché fingere ancora? La consapevolezza di non aver più nulla da nascondere lo colpì duramente.
«Mi sono innamorato, Hyung, da molto, troppo ormai. E l'ho persa» fissò distante il suo riflesso nello specchio della sala prove. I capelli erano diventati più lunghi, non riconosceva più la sua espressione, e le labbra erano perennemente portate all'ingiù, come a dire "sto male dentro, ma devono saperlo tutti" «Era davvero Fake Love?» chiese al più grande, che ancora non si decideva a parlare.
Namjoon era rimasto semplicemente a bocca aperta. Taehyung non aveva mai accennato ad una relazione amorosa in passato, tantomeno si era comportato in modo strano. Era felice per ogni cosa, anche un piccolissimo regalo era capace di farlo sorridere, ma la verità era comunque venuta a galla. Sospettava ci fosse qualcosa di sbagliato nel suo comportamento, ma non trovava una risposta ai suoi dubbi.
E ora Taehyung se ne usciva con quelle parole, dette per togliersi un peso più che altro, non certo per renderlo veramente partecipe.
Era finita, e Namjoon avrebbe dovuto esserne contento, il gruppo prima di tutto e in quanto leader doveva essere il primo a rispettare quella regola e farla rispettare. Il viso indifferente del più piccolo, però, lo frenava dal dire cose come "È meglio così, avresti rovinato tutto". Troppo cattivo, troppo poco delicato in una situazione come quella. Così sbagliato.
Rimase ancora un po' in silenzio, rispettando il dolore dell'amico e prese posto vicino a lui, sul pavimento. Gli altri nel frattempo continuavano a provare, non consapevoli del loro tumulto interiore.
Odiava profondamente Kim Taehyung.
Era ancora nella sua testa, non voleva andarsene per nulla al mondo. Lo vedeva ovunque, dietro le spalle, accanto a sé durante la colazione, a lavoro mentre parlava con i colleghi riguardo ad un nuovo progetto e, soprattutto, nei suoi sogni.
Piangeva, era in un angolo e la chiamava per nome, ma non si voltava mai a guardarla, era solo e lei poteva semplicemente guardare. Non le era permesso avvicinarsi o toccarlo, tutto perché era stata lei la prima a prendere le distanze. E ora pagava.
«Pronto? Ci sei?».
Qualcuno le schioccò le dita davanti agli occhi, si riprese.
«C-come? Sì, ci sono».
Bon Hwa la guardò diffidente «Sembravi persa nel tuo mondo, è da quando ci conosciamo che è così. Sono un tipo noioso?».
"«Sono un tipo noioso? Eeeehiiii!! Non ignorarmi, tu mi piaci sul serio, sai?»".
Spalancò gli occhi, credendo di aver sentito male, ora la perseguitava anche con i ricordi?
«Sto benissimo» sorrise al ragazzo biondo, era carino e non le aveva mai chiesto del suo passato, era un tipo che pensava più al presente, ed erano chiare le sue intenzioni, peccato che lei non era del suo stesso avviso. Sentiva di provare ancora forti sentimenti per quel dannato, non voleva far rivivere la stessa esperienza a qualcun altro. Non sentirsi abbastanza amati, fermi in una storia dove non si va avanti.
Assolutamente no.
«E non sei affatto noioso, solo... sono io il problema in verità, scusami» abbassò lo sguardo sulle sue mani, adagiate pigramente in grembo. Bon Hwa sorrise amaro.
«Ah, esci da una relazione seria» disse con tono ovvio «Sono quelle a distruggerti dentro».
Anche Bon Hwa ci era passato quindi, e da quel giorno evitò di esternare ancora una volta le sue intenzioni, rispettava il vuoto che Taehyung aveva lasciato nel suo cuore.
Guardava con un certo distacco il letto matrimoniale che si presentava ai suoi occhi, era rimasto uguale da quando se ne era andata, sfatto e con ancora il suo profumo addosso.
Lui non ci aveva messo più piede, in quella casa, troppo di lei all'interno, viverci ancora significava impazzire.
I ragazzi avevano notato da tempo che era cambiato ancor di più, usciva solo per gli impegni del gruppo e l'idea di fare shopping non lo entusiasmava più come prima. Namjoon, consapevole della sua situazione, convinceva gli altri a non insistere con domande troppo intime.
Sentiva gli occhi di Jimin sempre fissi sulla sua schiena, il più grande aveva intuito.
«Dunque è qui che vieni» la voce alle sue spalle lo fece trasalire.
«Jimin-Hyung, cosa ci fai qui?».
L'altro si limitò ad osservare l'ambiente circostante, la casa era molto spaziosa e luminosa, sui toni del bianco e del lilla, femminile. Non era stata arredata da Taehyung.
Lo stile era troppo semplice e delicato.
«Non dici nulla sul tuo stato, ti ho seguito e non te ne sei nemmeno accorto. E hai lasciato la porta aperta. È preoccupante».
Taehyung si innervosì, non voleva il suo Hyung lì dentro, anche se si trattava di uno dei suoi più cari amici, quel luogo apparteneva a loro. Il nido d'amore condiviso per anni, senza che mai nessun estraneo entrasse a farne parte. Jimin probabilmente lesse i suoi pensieri.
«Non è solo tua questa casa, tu ci vivevi con qualcuno, ed è sempre per questo qualcuno che ultimamente sei così scostante».
A poco a poco, tutti lo avrebbero scoperto, perché proprio ora? Perché quando non ce n'era più bisogno?
Sempre per colpa sua, non era stato corretto con nessuno. Era solo felice, e aveva dimenticato di condividere la sua felicità – il motivo della sua felicità – al di fuori della sua bolla di sapone, che alla fine era irrimediabilmente esplosa.
Aprì le braccia, esausto.
«Sì, qualcuno viveva qui con me. Ci siamo lasciati e ne soffro moltissimo perché continuo ad amarla e non so dove possa essere adesso, non so cosa stia facendo, se si stia frequentando con qualcuno. Ne ho completamente perso le tracce e vorrei semplicemente rimediare. E prima che tu dica qualcosa, non mi importerebbe se la gente cominciasse a parlare male di me, né che la nostra agenzia decidesse di buttarmi fuori per non far crollare i BTS a causa delle dure critiche. Ciò che fa più male è che riesco a capirlo solo adesso» finì il suo sfogo con gli occhi lucidi, Jimin lo guardò sorridente.
«Lo sospettavo, Tae. Non sei bravo con i segreti».
Il minore lo guardò sospettoso.
«Tanto ormai è finita, non dovete preoccuparvi» senza volerlo mise un broncio perfetto, che intenerì moltissimo l'uomo dalle labbra carnose.
«Non è finita, invece. Tu la ami ancora, non è da te arrenderti» gli ricordò, ma ormai nutriva ben poche speranze «Ti ricordo che noi siamo i BTS, promuoviamo l'amore nel mondo, noi per primi dobbiamo dare l'esempio. Amare noi stessi, Tae, e se ti faceva stare bene... devo continuare per forza?».
Una scintilla di speranza si accese nei suoi occhi scuri.
«Mi aiuterai?».
«Sei mio fratello, non ti lascio indietro».
«Santo cielo, oggi fa proprio caldo!» esclamò una sua collega, nonché amica. Una ragazza italiana, Eleonora il suo nome, con lo stesso carattere giocherellone di Taehyung. Il destino la voleva al fianco di persone aperte e solari evidentemente.
Il forte accento straniero la rendeva buffa davanti agli altri colleghi, che come lei la trovavano adorabile.
Sventolò uno foglio di carta mezzo stracciato, con su scritto vari appunti sulla struttura di un sito al quale stavano lavorando per una agenzia importante «Accendi la tv! Voglio vedere uno di quei programmi fighi, suuu! Questo posto è un mortorio! A saperlo mi sarei trasferita in Brasile» sbuffò la sua rossa amica, colore di capelli che molte donne – e anche uomini – le invidiavano.
«Detto, fatto» le rispose in cambio, accese il televisore e furono subito trasportate in un programma per Idol.
"Tipico della TV coreana" pensò, sperando di non imbattersi in un certo gruppo di notevole successo.
Non avrebbe retto la tensione, e non voleva perdere il controllo davanti ad Eleonora. Esatto, quando rivedeva il suo viso piangeva, si era pentita della sua scelta? Dannazione, sì.
E non c'entravano nulla cose come "ossessione" o simili. Semplicemente lo amava molto, ottima scelta un corno!
Se solo lo immaginava con un'altra ragazza impazziva. Un pensiero egoista, ma l'umano era fatto così, un peccatore nato. E adesso si ritrovava a desiderare che Taehyung non l'avesse mai lasciata andare, magari prendendola per le spalle, scuotendola fino a farle perdere persino la voglia di piangere, fin dentro l'anima.
- Diamo il benvenuto ad un gruppo conosciuto in tutto il mondo. Stiamo parlando proprio di loro, i BTS! Questi sette ragazzi partiranno presto per il loro tour mondiale, hanno appena rilasciato l'album "Love Yourself: Answer" poco dopo il rilascio di "Love Yourself: Tear". Sono un astro nascente e i loro fan li amano tantissimo, menti brillanti e amore nel cuore, questo fa di loro dei protettori per la nuova generazione -.
Guardò scioccata l'intervista, un'altra maledettissima intervista!
Ed erano tutti così felici, anche lui era felice. Sorrideva a trentadue denti e aspettava impaziente il suo turno per poter esprimere tutto l'affetto e l'amore che lo legava agli Army.
Lo guardò con malcelata rabbia, poteva sentire le sue guance scaldarsi e divenire rosso fuoco, le sue orecchie stavano fumando, ne era certa.
«Porca puttana, che figoni loro! No, d'accordo. Sono felice di essere venuta in Corea» le parole della sua amica la fecero innervosire di più, fin quando l'uomo biondo non parlò, lasciando finalmente uscire la sua meravigliosa voce profonda.
- Vorrei solo dire che inizieremo il nostro tour qui, a Seoul, spero vivamente che i nostri fan vivranno quei momenti insieme a noi con uno splendido sorriso in viso. C'è un'altra cosa che vorrei dire in realtà... ma questa è una sorpresa, qualcosa che ci farà capire quanto gli Army possano essere speciali –.
Finì di parlare con un sorrisetto che la mandò all'altro mondo. Era più bello, più maturo, ma quei capelli lo facevano sembrare un lecca lecca al doppio gusto, che gli donavano un'aria più bambinesca. Cosa che Taehyung non era, non più almeno.
Era cresciuto senza di lei in quei lunghi mesi.
Answer – Amarsi
Il momento era giunto, il concerto sarebbe iniziato tra meno di quindici minuti, guardò i ragazzi.
Tutti lo avevano appoggiato quando avevano saputo tutto, si erano arrabbiati perché tenuti allo scuro per troppo tempo, dando ragione a lei, ma gli avevano anche sorriso rassicuranti.
L'unico da convincere era stato Namjoon, come leader sentiva di aver dato il permesso ad una pazzia, i rischi erano tanti e il gruppo stava per essere messo in pericolo proprio durante l'inizio di un tour così importante. Ma Jimin era stato chiaro, quando si parlava d'amore il biondo angelo sapeva scegliere le parole giuste, toccando con delicatezza i cuori delle persone, era fiero di avere un amico così unico.
«Stai tranquillo, Taehyung. Noi siamo qui» gli canticchiò all'orecchio un Hoseok molto emozionato, stringendolo in un forte e caloroso abbraccio, neanche fosse stato lui il protagonista di quella vicenda.
«E il signor Sejin si occuperà del resto» aggiunse Jungkook, mostrando i suoi teneri incisivi da coniglietto, il loro Manager Sejin era un angelo in verità.
«Ragazzi, è ora» urlò Namjoon, richiamandoli per il loro saluto di gruppo prima di entrare in scena, acclamati dagli Army.
Taehyung sperò di farcela davvero, il suo sangue vibrava di speranza.
Quando suonarono alla sua porta era in tuta e giacca larga, tipico abbigliamento di quando stava in casa comoda a riposare per il giorno seguente, non si aspettava di ricevere ospiti, altrimenti non si sarebbe fatta trovare in quel modo sciatto.
Aprì la porta con cautela e ciò che vi trovò dietro la portò a richiuderla con violenza. Il cuore le pompava in una velocità inaudita.
Cosa ci faceva quell'uomo lì?
Riaprì con cautela, incontrando gli occhi straniti dell'uomo alto, molto alto.
Indossava fini occhiali tondi, aveva un taglio sbarazzino e indossava una camicia bianca con giacca e cravatta di colore nero, così come pantaloni e scarpe lucide.
"Un perfetto manager per un gruppo come il loro".
«Lei è la signorina ___ ___?» chiese con un tono composto, si ritrovò a sbattere le ciglia più e più volte.
«S-Sì, ha bisogno di qualcosa?».
Lo domandò più per cortesia ed educazione, quella visita era stata veramente troppo scioccante, cosa ci faceva lì Kim Sejin?
«Ho il compito di scortarla» disse semplicemente.
Un attimo. Scortarla dove? Perché proprio ora? Cosa stava succedendo?
Era tutto così assurdo!
«La prego di venire».
E lei accettò, senza logica, accettò. Taehyung poteva anche aver pensato di ucciderla per vendicarsi, ma se ne fregò della ragione. Uscì in tuta e giacca, non pensò a cambiarsi, non pensò a nulla quando l'uomo le aprì la porta del sedile posteriore, i vetri erano scuri, nessuno poteva vederla all'interno dell'auto.
Si sistemò come meglio poté, il suo corpo si era notevolmente irrigidito per la tensione, Sejin ogni tanto la guardava dallo specchietto, per accertarsi che non desse di matto molto probabilmente.
«Signorina, si sente bene?» si sentì chiedere. Cosa poteva rispondere? Una domanda abbastanza stupida in effetti; era tardi, le strade buie le davano un senso di oppressione, sola in una macchina con un uomo che conosceva solo di vista – e che sapeva il suo indirizzo senza che lei glielo avesse dato – e la stava portando chissà dove. D'un tratto si pentì della sua scelta e iniziò a guardare con insistenza la testa del guidatore, sperando in un qualcosa che la portasse a scappare.
"Dopotutto... se facciamo un incidente muore solo il conducente" pensò con stupidità, ricordando i suoi anni di studio in Italia, dove i ragazzi erano soliti dire quella frase per far arrabbiare l'autista del bus, che a un certo punto si ritrovava anche a cacciarli.
Si diede della cretina, non poteva aver pensato sul serio ad una cattiveria come quella.
Il sorriso di Sejin la colse impreparata, i suoi occhi erano socchiusi, ma attenti alla guida. Ora cosa gli prendeva?
«Taehyung ci ha parlato di lei, è bello sapere che in questi anni ha avuto qualcuno su cui contare anche nel privato. Noi dipendenti facciamo quel che possiamo per i nostri ragazzi, non è mai molto purtroppo».
Abbassò gli occhi sulle sue ginocchia, non era vero. Lei era scappata, quelle parole le fecero parecchio male. Saperlo solo dopo che se n'era andata fu una pugnalata al petto.
«Non credo di essere ancora adatta per Taehyung, mi guardi. Gli ho solo provocato sofferenza, sono profondamente imbarazzata. Non dovrei nemmeno essere qui» mormorò a testa china.
Sejin si fece più serio «La vita di un ragazzo famoso è difficile, molto difficile. Sono al suo fianco dall'inizio; l'ho visto cadere, farsi male, piangere. Tutte le volte si è rialzato con un sorriso, le cicatrici sono ancora lì, ma da quelle ha imparato come muoversi in questo mondo. Voi siete giovani, è più facile sbagliare, ma è importante rimediare. Solo quello conta, lei vuole rimediare?» le lanciò un'occhiata profonda, ne rimase stupefatta.
Sì, maledizione, voleva rimediare!
L'auto si fermò, così come il suo respiro.
"Olympic Stadium".
Erano al concerto, l'ansia che fino a poco tempo prima era stata attenuata, riprese possesso del suo corpo e i piedi si fecero di piombo. Non si accorse nemmeno di Sejin che aprì la porta e la prese per un braccio, facendola uscire quasi a forza, né si rese conto dell'entrata a quello stesso edificio, riservata allo staff.
Molte ragazze si girarono a guardarla, così come i due omoni ai lati di una porticina che portava, probabilmente, ai camerini. I loro sguardi duri non le piacevano, ma non dissero nulla quando Sejin mostrò una carta per farsi riconoscere, ottenendo l'accesso.
Si fermarono davanti ad una porta con su scritto il nome del gruppo in oro, deglutì disperata. Era proprio un coniglio.
«Entri qui dentro. Guardi il televisore, è già sintonizzato» le disse con una nota di mistero nella voce, fu lasciata sola così. Aprì con un tremore alla mano la porta bianca, fissò con attenzione il nuovo spazio che le si presentava.
C'erano dei divanetti dello stesso colore della porta, sembravano veramente soffici. Ai lati della stanza erano presenti specchi e sedie, su dei tavolini c'era l'occorrente per acconciature e make-up. Sollevò il viso verso il televisore, cercò un telecomando per alzare il volume e fece come le aveva detto di fare Sejin, guardare con attenzione.
C'erano fan ovunque, ovunque.
Acclamavano i loro amati ragazzi, i quali si muovevano con potenza e sinuosità su quel palco. Erano loro a comandare. Gli sguardi carichi di determinazione la lasciarono senza fiato, erano gli stessi ragazzi sorridenti nelle interviste?
L'occhio le cadde inevitabilmente su Taehyung, V.
Era magnifico, fiero come un leone, il Re della savana. Lanciava sguardi che avrebbe definito illegali alle telecamere, e le fan lo adoravano. Lo chiamavano trepidanti, in attesa di essere notate, e quando ciò avveniva lui sorrideva con gioia e passione. I suoi capelli sudati si incollarono alla base del collo e all'attaccatura della fronte, dandogli un aspetto ancora più selvaggio.
Quello era V dei BTS, il camaleonte. Colui che cambiava personalità in un batter di ciglia. Gli occhi le si inumidirono, l'uomo che popolava la sua vita era lì, a pochi metri da lei.
Mentre ballava sulle note di I'm Fine si sentiva il corpo in fiamme. Guardava con amore i volti di tutti i suoi fan, immaginando la persona che ora stava aspettando nel suo camerino. Sejin era apparso da dietro le quinte, con un veloce "ok" che lo aveva mandato in fibrillazione. Lei era lì, lì per lui.
Varie sensazioni si fecero strada in lui; ansia, paura, felicità, amore. Le unì e ciò che ne uscì fu solo potenza nelle sue gambe, voleva dare il meglio quella sera, gli sguardi dei suoi compagni erano infuocati quasi quanto il suo.
"Questo sarà un giorno da ricordare".
«Army, vi siete divertiti insieme a noi?» la voce potente del leader destò gli animi del pubblico, il quale si liberò in un alto coro di esclamazioni felici ed emozionate. I ragazzi erano completamente sfiniti e sudati, ma soddisfatti del loro operato. Centinaia e centinaia di volti li guardavano con meraviglia, ogni volta era sempre una gioia per i BTS scorgere quelle espressioni, ne andavano più che fieri, i loro fan li amavano e ciò accese ancor di più Taehyung, più intenzionato che mai a mettere fine a quella spirale di indecisione e timore.
Voleva essere felice, amandosi, e per ciò doveva essere sincero non solo con sé stesso, ma anche con tutti quei fan che avevano sostenuto il suo gruppo, sperando di ricevere altro sostegno.
Lanciò un veloce sguardo a Namjoon, il quale annuì con serietà, dandogli il suo consenso, i ragazzi si strinsero le mani.
Cominciò a parlare con un tremore alla voce.
«Army...» venne interrotto da un boato di urla che lo portarono a sorridere «Sono sempre stato convinto che il rapporto che ci lega è nettamente diverso da quello di altri fan con i loro artisti, lo abbiamo detto anche più di una volta. Siamo una famiglia, ci amiamo, ci proteggiamo a vicenda, cerchiamo di amare noi stessi insieme a voi. È inutile ribadirlo, ma per me è necessario. Siamo stati insieme in questo lungo cammino, tra dolore e gioia, siamo arrivati fin qui solo grazie a voi. Sono sicuro che continueremo a stringerci la mano come abbiamo sempre fatto. BTS e Army, due parti che combaciano perfettamente tra loro».
Altre urla popolarono lo stadio, molte ragazze cominciarono a piangere, altre tenevano accesi i cellulari per registrare. Deglutì con fatica, ora arrivava la parte difficile. Jimin e Yoongi gli andarono vicini, cercando di farlo sciogliere un po', ne aveva proprio bisogno.
«Proprio per questo amore e affetto che ci lega, io vi chiedo di capirmi» come una reazione a catena tutti si zittirono di colpo «Io non sono solo un idol, non sono solo V dei BTS. Io sono anche Kim Taehyung, un ragazzo umano che prova delle emozioni, certo, questo lo sapete, ma non è una cosa da poco. Proprio come ogni ragazzo umano, mi sono innamorato di una persona per me molto speciale, con la quale ho sofferto, pianto e riso. La metà di Taehyung, non di V» esclamazioni sorprese dalla folla, ma continuò senza più freni «Non sto dicendo che vi amo meno, è impossibile per me non amarvi, come ho già fatto capire con il discorso precedente. Ma mettetevi nei miei panni, come vi sentireste se qualcuno vi proibisse di amare liberamente? Suppongo male, veramente male. E come abbiamo sempre detto, noi dei BTS abbiamo il compito di rendervi felici, come voi fate felici noi ogni giorno. Continuerete a renderci felici, accettandoci per quel che siamo e per quel che faremo?».
La domanda rimase sospesa nell'aria, tutti tacevano.
Jimin si inginocchiò sul palco, seguito da Namjoon. Seokjin ed Hoseok tenevano le mani premute sulla bocca, Yoongi guardava le fan a braccia conserte, nessuna espressione lo tradiva, mentre Jungkook batteva ripetutamente il piede sulla superficie lucida del palco.
Taehyung avvertiva tutto ovattato, sentì la testa farsi leggera e improvvisamente si udì battere le mani da un punto imprecisato delle tribune, seguito da un altro, e un altro, e un altro punto ancora, finché non si udirono nient'altro che urla e applausi.
Vide molte ragazze nelle prime file con i volti rigati dalle lacrime, ma degli enormi sorrisi adornavano i loro volti, improvvisamente tutto il peso che sentiva sul petto svanì, così com'era venuto.
Sapeva che non era finita, bisognava affrontare le critiche e le malelingue, ma i suoi Army erano lì, ad urlare il suo nome, incitandolo con forza a non abbattersi mai, loro sarebbero stati con lui.
Namjoon sorrise, mettendo in mostra le sue adorabili fossette.
"I BTS e gli Army ancora una volta insieme".
Continuò a guardare lo schermo del televisore con gli occhi che bruciavano, pianse per la commozione e l'amore che provava per quel ragazzo così unico e adorabile.
Nonostante la sofferenza a cui era stato sottoposto in quei mesi aveva trovato il coraggio di dire in diretta, pubblicamente, che era innamorato e chiedeva ai suoi fan di capirlo e accettarlo così com'era, un essere umano, non solo un idol.
Si era aspettata di tutto, urla rabbiose da parte di quelle persone, magari sarebbe scappato anche qualche insulto. Ma nulla di tutto ciò si era presentato. Il pubblico aveva riservato solo tanto affetto, come mai prima d'ora. Forse era vero, gli Army erano speciali e i BTS sette ragazzi fortunati e meravigliosi.
Vide il concerto fino alla fine, rimanendo seduta lì, con il cuore gonfio nel petto, in attesa del confronto finale, quello che avrebbe definitivamente deciso la tappa finale della loro storia.
Non era ancora finita.
Rimase fermo a scannerizzare la porta, entrare o aspettare?
Non la vedeva da poco più di un anno, sarebbe stato strano?
La testa gli scoppiava, aveva appena superato un ostacolo enorme, i suoi fan avevano compreso la sua scelta. Purtroppo non tutti gli idol avranno la sua stessa fortuna, ma doveva andare avanti giungendo finalmente ad una fine.
Lei era lì, dentro quel camerino ad attenderlo. Si era spogliato di tutto, finalmente poteva guardarla a testa alta e dire "Adesso possiamo vivere alla luce del sole".
Qualcuno bisbigliò alle sue spalle.
«Cosa fai ancora lì? Entra! Al vecchio Bang ci pensiamo noi» disse Hoseok, mentre Yoongi e Namjoon annuivano con forza.
«Allora vado?» chiese, improvvisamente intimidito, e Jungkook gli strizzò un fianco con forza.
«Vai!».
Massaggiando la povera zona maltrattata aprì piano, senza farsi sentire. Inizialmente non la vide, la stanza gli sembrò vuota e una sensazione amara lo colpì dritto nello stomaco, poi però sentì un singhiozzo mal trattenuto e sgranò gli occhi.
Eccola, davanti ad uno degli specchi, intenta a tamponarsi un fazzoletto sugli occhi, la squadrò con una nuova emozione che si fece strada nel suo petto; tenerezza.
La trovò tenerissima vestita con un'orrenda tuta dall'accecante colore arancione e una giacca larghissima che le scendeva oltre i fianchi, tipico abbigliamento da casa che aveva avuto l'onore di prendere in giro, quando ancora stavano insieme e le preoccupazioni erano affossate sotto enormi mattoni di incertezza e paura. I capelli erano legati in una disordinata treccia laterale, vide chiaramente i suoi tratti, erano corrucciati in un'espressione di angoscia, forse dovuta all'ansia di rivederlo.
Con la lingua secca sussurrò il suo nome, lei si voltò.
Il tempo sembrò fermarsi per entrambi, nessuno dei due riuscì a parlare, ma nei loro occhi si fece spazio la consapevolezza che no, non potevano stare divisi ancora un altro po', avevano aspettato anche troppo.
Proprio per questo quando lei corse verso di lui con un gridolino strozzato, la accolse prontamente tra le sue grandi braccia, stringendola con forza e respirandone l'odore fresco e pulito, circondando il suo corpo con facilità e gioia.
«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace» cominciò a dirgli, tra le lacrime che non riuscì a fermare in tempo.
«Dispiace a me, credimi» le disse all'orecchio, ma la ragazza scosse la testa.
«È colpa mia, dovevi andare avanti piuttosto che pensare ad una come me» mormorò con il viso affondato nel tessuto della giacca, che stava bagnando «Non so nemmeno perché sono qui».
«Sei qui perché mi ami, non puoi fare a meno di me. Ammettilo» le disse in tono scherzoso, ma anche affettuoso. Si guadagnò un piccolo schiaffo sul braccio.
«Non sto scherzando, Taehyung. Sono stata una stronza».
«Sei stata una stronza» ammise candidamente, lei fece una smorfia dispiaciuta «Ma ho capito proprio per questo i miei errori, ci ho messo molto, ma ho preso coraggio e ora siamo qui. Adesso tutti sapranno che stiamo insieme, potremo passeggiare all'aria aperta senza paura di beccare un giornalista impiccione che sveli il nostro segreto, molti ci giudicheranno, sono pur sempre un membro del gruppo più famoso al mondo, ma saremo insieme ad affrontare tutto, con noi ci saranno anche i ragazzi, vogliono conoscerti» le prese una mano tra le sue, la baciò leggermente con adorazione «Potevo scegliere una strada più facile, come hai detto tu... ho avuto la possibilità di andare avanti, gettare la nostra storia alle spalle e continuare a ricevere amore incondizionato dai miei fan. Ma io ho scelto te, continuerò a farlo perché sono un idiota, lo dico apertamente, ho sofferto, ma sceglierei sempre te. Poco fa ho dato il massimo per arrivare fin qui, da te. Voglio darti una vera vita al mio fianco ___ ___. Accetti?».
Cosa doveva rispondere a quel ragazzo così sfacciato e bambinesco?
Guardò quei suoi occhioni scuri e dalle lunghe ciglia, dannazione, lo amava da morire.
«Kim Taehyung, non mi stai ancora baciando. Si può sapere cosa aspetti? Non guardi mai film d'amore, te l'ho detto mille volte che sono important-».
Con un sorriso leggero e divertito le tappò immediatamente la bocca, lasciando spazio solo a quel dolce contatto, sentire ancora una volta quelle labbra sulle sue era come rivivere, dopo un secolo passato a vagabondare, lo stesso fu per lei che le schiuse, lasciandogli il permesso di approfondire, saggiandone i contorni, la morbidezza, il sapore.
«Rimani il solito cretino, Kim» sussurrò a fior di labbra, ancora non del tutto lontane da quelle umide del suo ragazzo,il quale ghignò. Consapevole di averla in pugno.
«Zitta e continua, stai parlando troppo e dobbiamo recuperare mesi e mesi di inattività» e la attirò a sé, stringendola per la vita.
«Ti accompagno a casa piuttosto, abbiamo molte cose da dirci».
Che diavolo tentatore.
Sospirò, riprendendo ad abbracciarlo, assaporando ancora una volta il suo calore, facendosi cullare dalla sua stretta, mentre un pensiero la faceva sorridere.
" Sono la sua scelta".
Nessuno dei due capì esattamente chi aveva dato inizio a quel vortice di baci bisognosi e respiri affannati.
Non avevano nemmeno avuto il tempo di accendere le luci in casa, troppo occupati a cercarsi con le mani e gli occhi. Taehyung aveva liquidato tutti, adesso voleva semplicemente prendersi del tempo per dedicarlo a lei, anzi, a loro.
«Andiamo in stanza» gli disse tra un bacio e l'altro, Taehyung scosse la testa.
«Non credo che ci arriveremo» mormorò sulla pelle del suo collo privo di imperfezioni, premurandosi di mordicchiarlo con cura e pazienza, lasciando alcuni segni rossi lucidi della sua saliva, un respiro strozzato le uscì dalle labbra in risposta.
Non ci mise molto a sollevarla, trovando la lucidità di portarla almeno sul tappeto del salotto.
Si allontanò quel poco che bastava per ammirarla completamente, il petto si abbassava e sollevava con rapidità, il collo era esposto e i capelli erano ormai una massa disordinata sparsa sul pavimento, la ragazza si puntellò sui gomiti e aprì le gambe, in modo da farlo stare più comodo.
«Non te l'ho detto prima, ma questa giacca è orribile» sogghignò, prima di sfilarglierla con estrema semplicità, come abituato a quel teatrino «E questa canotta? Troppo aderente, non va affatto bene» ringhiò imbronciato, passando le mani sul suo ventre e sul petto, toccando con delizia e possessività quelle forme tonde prive di reggiseno. Agganciò due dita ai bordi di quel sottile pezzo di stoffa, scoprendo poco a poco ogni centimetro di quella pelle divina che lo faceva impazzire ogni volta, lei gli era mancata, ma gli era mancato anche il suo corpo sul quale annegava ogni forma di pensiero e desiderio.
Lei ridacchiò «Sembri arrabbiato» sussurrò leggera.
«Non sono arrabbiato, sono arrapa-».
«Taehyung!».
Lui sorrise con scioltezza, prima di liberarla definitivamente da quel pezzo di stoffa, e avere una visuale molto più seducente, una visione, aveva sempre avuto un'ossessione per quelle perle rosate che stavano alla punta dei suoi seni. Non perse tempo a prenderne una in bocca, modellandola con facilità contro il palato, girandoci intorno con la lingua umida e calda, mandandole brividi lungo la schiena che la portarono ad alzare il bacino, scontrandosi contro i fianchi del ragazzo, che gemette in risposta, inducendolo a ripetere quel movimento che alla fine scaldò ulteriormente i loro corpi.
Abbandonò il capezzolo ormai turgido per dedicarsi al resto del suo corpo, scendendo sempre più in basso, lasciando una scia di baci bollenti fino al suo ombelico, a cui si dedicò con cura.
Lei dal suo canto sentiva il suo corpo fatto di gelatina, avere le mani del suo uomo dappertutto non era cosa da poco, sentiva di perdere la testa e l'attesa aumentava il desiderio di unirsi a lui.
Con delicatezza Taehyung fece scendere i pantaloni della tua fino alle caviglie, di cui lei si liberò ben presto scalciando. Le lunghe ed eleganti dita si mossero leggere verso l'elastico delle sue mutandine, ma deviò direzione e questo la fece sbuffare.
«Stai giocando, Tae?» la voce che le uscì non era certamente sua, era graffiante, nervosa, decisamente infastidita.
Il sorriso squadrato del ragazzo arrivò puntuale come un orologio svizzero.
«Forse».
«F-Forse?».
La sua faccia doveva essere veramente comica, perché il ragazzo scoppiò improvvisamente a ridere, abbassò il viso e le schioccò un bacio a stampo, per poi spostarsi verso il suo orecchio «Sto scherzando, piccola. Non sono così cattivo, Jimin lo è» le sue parole la tranquillizzarono, non capì il riferimento a Jimin, ma non le importò.
«Dimostrami che non ti sei arrugginito, piccolo» gli soffiò in faccia, portando la sua intimità contro la sua dolorosa e pulsante erezione, gli occhi di Taehyung si fecero più scuri.
Le tolse finalmente anche le mutandine, lasciandola completamente nuda sotto di sé, e si abbassò verso la sua femminilità, dandole quel piacere che ormai agognava da troppo tempo.
La trovò calda e bagnata, con le dita sfiorò quelle pieghe umide e calde, tastò con la lingua il suo sapore, finché non trovò il clitoride, ci girò intorno stuzzicandone la morbidezza, così facendo delle profonde scariche di piacere la colpirono duramente.
«Mh-ah!» contrasse le dita e gli afferrò con forza i capelli, spingendolo di più contro la sua femminilità, alla ricerca disperata di qualcosa.
Taehyung intensificò la presa, e si permise di penetrarla con un dito, era morbida e cedevole, completamente sottomessa alle sue azioni, perché prese a muovere il bacino contro la sua bocca famelica, mormorando parole indistinguibili, il qualcosa si avvicinò sempre di più dopo che aggiunse un secondo dito alla sua entrata, i sospiri andavano via via ad accelerare a causa della potenza di quelle sensazioni.
Scoppiò in un lungo e asfissiante gemito quando lo sentì mordicchiare dolcemente le sue pieghe, provocandole altre scariche di piacere più acute delle precedenti, ansimò incapace di fare altro e tutto il suo corpo si fece improvvisamente pesante e stanco. Taehyung finì la sua opera leccandole una scia di umori che gocciolò lungo le sue gambe tremanti.
Il ragazzo prese a spogliarsi con velocità disperata, mentre lei si risollevava, quasi sfinita ma desiderosa di ricambiare il piacere provato.
Ogni lembo di pelle scoperta rappresentava un nuovo bacio o una carezza incantata. Il fisico di Taehyung non era ben definito come quello di Jungkook o possente come quello di Jimin, eppure li eguagliava nella sua semplice normalità.
"È così carino..." pensò, andando a formare dei piccoli cerchi sulla pancia piatta e morbida, provocando nel ragazzo una piccola risatina, quanto le era mancata quella risata da bambino contento. Quando rialzò gli occhi, però, a guardarla non era un bambino, bensì un adulto in tutti i sensi, un adulto insoddisfatto che desiderava ricevere delle attenzioni particolari.
«Ora chi sta giocando?» mise un broncio adorabile, in contrasto con gli occhi che la guardavano quasi minacciosi.
«Lamentati per altro» rispose con un piccolo ghigno, quando infilò la mano sotto il tessuto dei suoi boxer e tastò l'eccitazione del ragazzo con dita fintamente timide. Le labbra solitamente sorridenti di Taehyung si assottigliarono, così come i suoi occhi, che preferì chiudere alla fine per assaporare al meglio la sensazione della sua stretta attorno all'erezione ben presente.
Lo liberò dai boxer, ormai divenuti solo un fastidio, e con la mano percorse tutta la sua lunghezza, carezzando con cura ogni centimetro, persa ad osservare le reazioni quasi impercettibili del suo uomo, il quale deglutì più di una volta, portando inconsapevolmente le dita ad arricciarsi, incapace di stare fermo un secondo.
La ragazza aumentò volutamente la velocità della sua azione continua, passando le dita anche sulla punta, ormai resa lucida dal liquido pre-eiaculatorio, e quando vide che il petto di Taehyung prese ad abbassarsi e alzarsi più velocemente, prese il suo membro in bocca, sollecitando con la lingua le parti più sensibili, portando il ragazzo a rilasciare gemiti sempre più forti e decisi. Era tutto così amplificato.
«Asp- aaah» la prese per i capelli e accompagnò con la mano ogni suo gesto, quasi perse il controllo quando la avvertì succhiare con decisione sulla punta, non fermando mai il movimento circolatorio della mano. Ma prima che potesse venire con un urlo strozzato riuscì a fermarla.
Non voleva arrivare all'orgasmo in quel modo, doveva possederla al più presto altrimenti la sua sanità mentale non avrebbe retto.
Non trovò nemmeno difficoltà a riprendere il controllo della situazione, lei ormai era totalmente presa dall'aspettativa e lo lasciò fare, si stava fidando di lui anche dopo molto tempo e questo significava molto per entrambi. Magari una coppia normale avrebbe atteso molto prima di tornare così intima, ma loro non erano mai stati una coppia normale e di certo non avrebbero cominciato ad esserlo ora. Quei mesi di totale pausa erano stati troppo lunghi, grigi e dolorosi. Non si sarebbero privati del calore che i loro corpi uniti sprigionavano, non più.
Così Taehyung entrò con una spinta lenta e moderata, fermandosi un attimo in quel modo. Chiuse gli occhi e posò la testa sulla spalla della sua metà, cercando di darsi un po' di controllo per non finire, perché volendo sarebbe venuto in quel preciso momento solo per aver sentito la sua eccitazione avvolta tra quelle membra calde.
La donna si irrigidì, cercando a sua volta di riabituarsi a quella presenza, rilassando così la stretta che stava diventando dolorosa per il ragazzo, ormai al limite e con i nervi a fior di pelle. Intenerita da quella vista, lasciò un lungo bacio sulla tempia imperlata di sudore del biondo, che a sentire quelle labbra morbide su di lui, rilasciò un lento sospiro. Riprendendo a muoversi.
Con una mano la tenne stretta a sé per i fianchi, mentre con l'altra le sollevò una gamba per ricevere maggior accesso alla sua intimità. Buttò la testa indietro, eccitato dai piccoli gemiti che sfuggivano dalle loro labbra e dai deliziosi brividi al basso ventre, respirò pesantemente dalle narici e spinse con più durezza tra quella carne cedevole. Le unghie della donna gli graffiarono leggermente la schiena, provocandogli la pelle d'oca.
«Tae...» mormorò esausta, andando incontro alle sue spinte lunghe e lente, cercando di aumentare il ritmo.
«Ho capito...» rispose, gli occhi si fecero liquidi e sollevò la ragazza verso il suo petto, aumentando finalmente la velocità e approfondendo sempre di più quel rapporto, torturò ancora una volta il capezzolo del seno sinistro e la baciò con forza, mischiando i loro sapori e facendo morire le sue urla su di lui.
Dal punto in cui le loro intimità si scontravano con violenza sempre maggiore, prese a crescere anche una forte sensazione di vertigine, i tremori erano sempre più vividi, così come il sudore sulla pelle e gli umori dovuti all'eccitazione che scendevano tranquillamente a bagnarli.
Taehyung spinse con più decisione e mancò per alcuni secondi il respiro ad entrambi.
Stringendo sempre di più la presa sui suoi fianchi, quasi a farle male ormai, il ragazzo venne dentro di lei dopo tre potenti spinte, ringhiando contro la sua pelle a causa della meravigliosa stretta che le pareti stavano esercitando sulla sua erezione, lei arrivò al suo apice pochi secondi dopo, grazie a quella sensazione di pienezza che le fece tremare violentemente le gambe, spingendo per un'ultima volta contro il suo corpo, ormai stanco e ansante, crollò su di lui abbracciandolo.
La stava guardando da una buona oretta ormai, era mattina presto e Taehyung si trovava nel letto, accanto a quella che poteva considerare ufficialmente la sua fidanzata.
Nemmeno sapeva dove aveva trovato lui stesso le forze per alzarsi, prenderla in braccio e trasportarla in camera dopo quella nottata, un concerto durato ore e poi quel rapporto tutt'altro che tranquillo non erano cosa da poco, ma per lei avrebbe fatto questo ed altro.
La donna si mosse, scoprendo un po' il suo corpo alla vista dell'altro, scostando di poco il sottile lenzuolo. Per quanto fosse tentato di svegliarla a modo suo, si costrinse a fare il bravo. La coprì di nuovo e lasciò una serie di piccoli baci sulla guancia lasciata ben visibile. Averla di nuovo davanti ai suoi occhi era molto meglio, immaginarla non era niente in confronto, un leggero broncio segnò il suo viso.
La preoccupazione era sempre ben presente, in verità. Oltre quelle ciglia lunghe si nascondeva una bambina, in realtà. E le critiche del web non sarebbero tardate ad arrivare, soprattutto contro di lei.
Taehyung lo aveva notato benissimo, quando scoppiava uno scandalo del genere era sempre la donna a prendersi la maggior parte degli insulti, l'uomo veniva semplicemente compatito e trattato come il coglione di turno che si era fatto tentare dall'infido serpente, un peso sul petto crebbe in lui.
Allungò il braccio e le sfiorò il viso ancora una volta. L'amava, ma avrebbero sopportato i problemi insieme?
«Mi stai ancora fissando, Taehyung?» la voce suonò roca a causa del sonno, la ragazza aprì gli occhi con lentezza «Non vado da nessuna parte, non più» sussurrò.
Il ragazzo sorrise arrossendo un po'.
"Beccato".
«Ancora non ci credo, sei qui» mormorò lui, stringendole la mano.
«Sei preoccupato, non è da te».
«È una situazione totalmente diversa. Non si tratta di sbagliare una coreografia, la mia scelta potrebbe rovinarci la vita. Tu conosci le Sasaeng? Sono delle fan tremende, io non né ho mai conosciute, ma cosa succederebbe se-».
«Ehi!» esclamò, per bloccarlo «Prendi un respiro, dannazione. Non posso sentirti parlare così, non dopo il coraggio dimostrato su quel palco! In più, la scelta è anche mia, quindi nostra. io non sarò da sola, tanto meno tu».
Ecco, si stava facendo prendere dal panico, di nuovo. Pensò ai suoi compagni, alla sua famiglia e ai suoi fan che gli hanno dimostrato sempre tanto amore, tirò un profondo respiro.
«Hai ragione, devo stare calmo. Non siamo soli».
Lei gli sorrise apertamente.
«E poi... ti ho promesso una relazione alla luce del sole, io non mi rimangio le parole, voglio stare davvero con te».
La ragazza avvertì un nodo in gola, gli occhi le si riempirono di lacrime.
Quanto aveva atteso per sentirgli dire quel genere di parole? Tanto, davvero tanto.
Il ragazzo la abbracciò ancora una volta, cercando di bloccare in qualche modo i singulti che le scuotevano le spalle. Non potevano credere di essere insieme, ancora una volta.
Il telefono del ragazzo squillò da un'altra stanza, provocando un pesante e sfinito sospiro da parte di entrambi. Taehyung si alzò nella più completa nudità per andare a rispondere.
«Mi stai guardando?».
«Hai un bel sedere, devo guardarlo».
Il biondo ghignò «Solo quello?».
«VAI A RISPONDERE!» gli urlò dietro, lanciandogli dietro un cuscino, un po' rossa in viso per le lacrime e l'imbarazzo.
Taehyung controllò lo schermo, era Jimin.
< Tae, ti stiamo aspettando! >.
< Arrivo, Hyung. Dammi il tempo di rivestirmi e arrivo >.
< Rivestirti? ... aah, ho capito... quindi, insomma- >.
Il ragazzo sbuffò con divertimento, certo che il suo Hyung era proprio tardo.
< Sì, hai capito bene e... vorrei farvela conoscere, abbiamo ancora tempo? >.
< MA CERTO! ERA ANCHE ORA, DANNAZIONE! >.
Taehyung sgranò gli occhi, era Jin-Hyung quello che gli aveva praticamente strillato nelle orecchie?
Sentì improvvisamente bisbigliare in modo concitato, e un dubbio gli attraversò la mente.
< Jimin... hai messo il vivavoce? >.
La risposta tardò un po' ad arrivare.
"Pettegole tremende, ma pur sempre pettegole".
< No. Cosa te lo fa cred... - Venne interrotto da un violento starnuto - ... Namjoon-Hyung! >.
< D'accordo, ci sentiamo dopo. Bye ~~ >.
< Tae, un momento! >.
Chiuse immediatamente la chiamata, correndo in camera.
Entrò di nuovo in tutta la sua gloriosa nudità, prendendosi anche un degno insulto dalla sua fidanzata, e con un enorme sorriso le disse di prepararsi.
«Andiamo? Dove?» la voce si fece un po' insicura, facile parlare, ma per i fatti ce ne passava tempo.
«Non guardarmi come un cane bastonato, non sarai più una semplice parentesi per me» le disse, ricordando benissimo che in precedenza l'aveva trattata più come un passatempo che una persona.
«I miei amici vogliono conoscerti, e... un attimo, anche tu vuoi. No?» la guardò improvvisamente spaesato, stava di nuovo decidendo per entrambi?
Lei scoppiò a ridere «Ovvio che voglio conoscerli, hai sempre detto che sono la tua famiglia, mi farebbe piacere spettegolare di te con quelli che consideri fratelli» sogghignò, mentre si alzava per prendere alcuni capi dell'armadio. Taehyung la strinse da dietro.
«Oh, bene ~~ Loro sono molto pettegoli, in effetti. Ti troverai bene» e la baciò teneramente sulla guancia.
Quattro anni dopo...
«Cazzo, sei bellissima» si lasciò sfuggire Jimin, subito preso violentemente a sgomitate da Seokjin «No! Hyung, dico solo il vero!».
Effettivamente era così, la ragazza sorrise ai suoi più cari amici attraverso lo specchio. Non c'era voluto molto per abituarsi a quel gruppo di scalmanati coinquilini. I BTS erano proprio come si mostravano in televisione; semplici, genuini e divertenti.
Per quanto riguardava Bang PD nim, rimproverò duramente Taehyung, si era azzardato a prendere una simile decisione senza prima consultarlo, e con lui anche Namjoon si prese le sue responsabilità in quando Leader. Ma vedendo la reazione in buona parte positiva, da parte dei fan, permise la loro relazione senza troppe complicazioni.
Adesso, fasciata da un elaborato e delicato abito bianco dallo scollo a cuore, era intenta a raggiungere il suo futuro marito all'altare.
Seokjin si asciugò velocemente una lacrima scesa a tradimento.
«Ti ho visto!» ridacchiò, il maggiore rise a sua volta.
«Non sto piangendo, ho solo pensato che tu e Taehyung vi state sposando prima di me, tutto qui» e tirò su col naso. Jimin commentò con un basso "Hyung, sei imbarazzante".
«Yah! Vai dagli altri in chiesa tu» strillò, buttandolo fuori quasi a calci, riuscendoci «Quel moccioso deve imparare a stare al suo posto» ringhiò, mettendosi a posto la giacca scura.
Venne richiamato dalla sposa, che gli chiese di unire le loro mani. Lei e Seokjin avevano legato immediatamente, l'uomo desiderava conoscerla da tempo ormai, rivelandosi così un caro amico.
«Ti voglio bene, Seokjinie».
«Te ne voglio anch'io, piccola. Qualunque cosa accada avvisami durante il viaggio, soprattutto se Taehyung vomita. Yoongi ha fatto aggiungere le ostriche al menù e per quanto piacciano a quel cretino del tuo ragazzo, gli fanno male».
Scoppiò a ridere davanti all'espressione schifata di lei.
«Non ti prometto nulla, Jin».
«Mi va comunque bene così, sono felice che ci sia tu a sostenerlo. In questi anni sei stata tu la sua colonna portante, e lasciamo stare il detto "Dietro un grande uomo, c'è sempre una grande donna", perché non sei mai stata dietro di lui. Hai preso il tuo posto al suo fianco e vi siete tenuti per mano anche durante i momenti più critici. Vorrei che ci fosse una tua copia anche per me» le sorrise e si abbracciarono.
«Devi solo cercare, Seokjin. Sono sicura che è dietro l'angolo, devi solo pensare un po' a te stesso» qualcuno bussò con forza alla porta.
«Insomma, siamo pronti?! Yeontan ha già fatto la pipì sul tappeto dell'entrata alla chiesa, Taehyung invece sta tartassando il parroco con domande inappropriate ad un uomo di fede e Namjoon è in compagnia di Eleonora, devo dire altro?!».
Scoppiarono a ridere ad immaginare una simile scena.
«D'accordo, ti lascio con i tuoi adesso. Non vorrei trovarmi tra le grinfie di tua nonna, quella signora è anche fin troppo affezionata a me» le comunicò, ripensando alle mani arzille della anziana che premevano contro il suo fondoschiena, palpando tutto quel "ben di Dio", come le piaceva dire.
Arrivò all'altare quasi svenendo, lei e Taehyung avevano deciso di comune accordo per una piccola e intima cerimonia, così da non fare troppa confusione, il problema era uno solo. Niente confusione, nessuna distrazione. Così il cuore le batteva nel petto peggio di un martello pneumatico impostato alla massima velocità. Deglutì con forza, sorridendo rigidamente davanti al cameraman che stava filmando le sue nozze.
Non doveva farsi prendere dal panico, ma è quando incontrò il sorriso a trentadue denti di Taehyung che si sentì svenire definitivamente. Era meraviglioso, i capelli lunghi e scuri erano perfetti, gli incorniciavano il viso con dolcezza e l'espressione di amore che le rivolgeva era un toccasana per il suo stato.
Si presero per mano con leggerezza, un gesto naturale per loro due, e ascoltarono ciò che il prete aveva da dire.
Non furono le promesse a farle mancare il respiro, nemmeno il suo Sì mozzato a causa del respiro veloce, ma bensì ciò che Taehyung le disse dopo, con uno sguardo intenso, ripetendo ciò che anni prima le aveva detto quella notte.
«Sei tu la mia scelta».
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