#punto e contrappunto
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Appunti nietzschiani
Se non ora, quando? Era questo il momento di riprendere Nietzsche attingendo dall'originale invece di farselo spiegare sempre per interposta persona. Ho portato a termine la lettura de La Nascita della Tragedia e mi sono talmente immerso nell'esperienza estetica, immerso nel clima del romanticismo tedesco, che pur con questo caldo mi è spuntata una redingote e tuttavia anche un chitone corto al ginocchio, alla moda di Odisseo. In questo libro è il giovane professore universitario Nietzsche che scrive con lo sguardo rivolto a Wagner e a Schopenhauer, la tesi è che la bella tragedia attica di Eschilo e Sofocle emerga dallo spirito musicale di Dioniso mediato dal necessario contrappunto logico-formale dell'apollineo. Dionisiaca è dunque la pura intuizione artistica, l'infinita forza vitale da cui tutto sgorga in grado di mettere in relazione l'individuo con il Tutto (in pratica la Volontà di Schopenhauer), apollineo è il moto intellettuale che racchiude quell'infinito nella bella forma codificata. Ma ahimè, a un certo punto giunge un corruttore, un distruttore di quell'eccellente equilibrio, il suo nome è Socrate.
"il prototipo dell'ottimismo teorico che, con la menzionata fede nell'attingibilità della natura delle cose, concede al sapere e alla conoscenza la forza di una medicina universale e vede nell'errore il male in sé." "Perfino i fatti morali più sublimi, i moti della compassione, dell'abnegazione, dell'eroismo [...] derivano secondo Socrate e i suoi seguaci o simpatizzanti fino ad oggi, dalla dialettica del sapere, e sono considerati in conformità come apprendibili."
Quella di Socrate è dunque la corruzione dell'intellettualismo che limita la disposizione alla grandezza, un superficiale richiamo alla ragionevolezza che opera in nome del principio morale e moralizzatore, l'eruditismo ottimistico contrapposto alla conoscenza tragica vissuta sulla pelle dal greco antico.
Qui Nietzsche, egli stesso ottimista, non nasconde però la sua speranza che il vero spirito tedesco si stia infine risvegliando, incorrotto nella sua grandezza e portatore di antichi miti, per mezzo della musica di Wagner, e che essa possa spazzare via tutto il socratismo della vita moderna, speranza vana e come vedremo destinata ad essere disillusa (rottura con Wagner nel frattempo convertitosi al cristianesimo, ennesima emanazione del socratismo).
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Ad un certo punto ho avvertito che alla mia poesia toccava cantare la gioia, fare non solo da contrappunto alla solfa dei dolori dell’assillantissima quotidiana cronaca, di questa voce che da ogni parte, ogni giorno ci ricorda l’orrore nostro e della specie.
Non solo questo, perché la gioia secondo me non è il contrario del dolore, la gioia non ha contrari.
Ho avvertito una generale ingratitudine e il bisogno di dire un grazie larghissimo, e di dirlo nominando la bellezza del mondo.
Mariangela Gualtieri
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Cane.
Stamane per l'ennesima volta sono stato svegliato dal cane dei vicini che abbaia in continuazione, un risveglio fastidioso, come sempre non me la prendo col cane, porello, ma con i vicini. A quanto pare non lo fanno entrare e allora lui si mette dietro la porta e abbaia, ma io dico "Non vi da fastidio sentirlo sbraitare in continuazione, oppure siete sordi", nell'impeto del risveglio rumoroso ho pensato di fare colazione e prendere il rullante posizionarlo sul patio e fare il contrappunto al cane ma fff, sicuramente qualcuno avrebbe chiamato la polizia e li avrei spiegato il mio gesto e detto ai pulotti che è una prassi di quasi tutte le mattine. Peccato che la mia compagna sta lavorando fuori e quindi non posso mettere in atto il mio piano percussivo, ma un giorno lo farò 😁
Oggi leggo dell'ennesima esondazione di un fiume, a Bardonecchia, nell'articolo c'è scritto che c'è stata una frana in quota e che i detriti scendendo a valle hanno fatto straripare il fiume proprio nel punto dove c'è un ponte, sicuramente per l'effetto imbuto in quel punto. Mi dispiace naturalmente come per le altre catastrofi che capitano quando si cementifica selvaggiamente senza pensare che potrebbero capitare cose del genere perché la natura non ha freni, ma quando ne capita una ogni tot il rischio vale la candela, come si dice, nel senso che chi cementifica sa benissimo che potrebbe capitare ma si stima che una o due volte in 50/100 anni è un rischio abbordabile. In questo caso non ci sono stati morti, per fortuna, ma quando ci sono codesti individui che si intascano soldoni non hanno i sensi di colpa? Non ho mai sentito nessuno dire "Si purtroppo è stato un errore tagliare gli alberi e restringere il corso del fiume costringendolo tra pareti di cemento e mi assumo le mie responsabilità, ecc ecc", mai, tutti zitti poi gli omertosi siamo noi.
Cambiamo discorso che è meglio, diceva quel puffo occhialuto 😄
Ieri nella mia ricerca mi sono imbattuto nell'ennesimo montaggio/composizione di Bernard Parmegiani di nome Pop Ecletic del '68, in effetti nella prima parte si potrebbe collocare il brano anche ai giorni nostri o in un lasso di tempo tra gli anni 80 e 90, fa molto Kraftwerk ed è molto interessante perché il francese gli inserisce un pò di tutto Mozart compreso, dal Don Giovanni, ve lo posto perché è un bel brano da ascoltare.
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Good Omens ficlet /// III
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Picchiettando gentilmente sul tettuccio, la pioggia incapsulava la Bentley in un bozzolo di quiete.
Il suono sordo delle gocce sulla lamiera si mescolava al ticchettio dell'acqua sui vetri; gli faceva da contrappunto la voce sottile del rigagnolo che scorreva fra le ruote, lungo il marciapiede.
L'aria era satura dell'odore del gin. Ma se Crowley dilatava le narici, lì riverso col capo rovesciato sullo schienale, poteva sentire anche il profumo verde e umido delle piante affollate sul sedile posteriore.
Se ascoltava attentamente, poteva sentire il cauto dispiegarsi delle foglie nuove, lo spandersi lento della linfa in ogni nervatura.
Se lasciava l'alcool nelle sue vene fare lo stesso, se chiudeva gli occhi, poteva quasi immaginare di trovarsi in un giardino; di essere disteso nell'erba, e non avere memoria di nulla eccetto che della terra bagnata dalla prima rugiada.
"Crowley, svegliati," disse secca una voce.
Crowley non si mosse. Impiegò qualche momento a decidersi di degnare l'intrusione con un "vaffanculo" basso ma ben distinto.
Un leggero fruscio dal sedile accanto, e anche senza guardare poté immaginare perfettamente Shax che si voltava verso di lui, per meglio esibire la nuova livrea e i gradi di cui si era certamente insignita da sola.
Imbecille, pensò Crowley.
"Ti sto facendo una cortesia," proseguì Shax, al solito riguardosa come una mannaia. "Il nuovo inviato dell'Inferno in Terra è appena stato nominato e non permetteremo che perda tempo a farti da portalettere. Questa è l'ultima volta che vengo a darti la posta."
"Fantastico," rispose Crowley senza muoversi; "Adesso, sparisci?“"
"Non c'è alcun bisogno di essere indisponenti," replicò Shax, senza dar segno di volersene andare. "Le cose si sono sistemate così bene per tutte le parti interessate. Io ho avuto una promozione. Il tuo angelo da compagnia ha avuto una promozione. E tu..." Crowley poté praticamente udire il ghigno di Shax scattare come una tagliola. "Be', immagino che avrai tutto il tempo che vuoi per nutrire le anatre, adesso."
Crowley poté solo serrare i denti per resistere al gorgo nero che gli strinse la gola.
"...e per finire di macerarti nell’alcool, suppongo." continuò Shax, smuovendo con la punta del piede la distesa di bottiglie vuote sul fondo della macchina.
"Cosa che mi stava riuscendo splendidamente, fino a un momento fa," eruppe Crowley girandosi di scatto. Era un errore, avrebbe dovuto continuare a ignorarla finché non si fosse stancata, ma il gorgo nero aveva tracimato soffocandolo di rabbia. "Adesso, per una singola volta nella tua esistenza, Shax,“ proseguì comprimendo di nuovo la voce in un basso sibilo, ”fai la cosa intelligente e sparisci dalla mia vista."
Questa volta Shax chiuse la bocca con uno scatto, distogliendo lo sguardo. Crowley si chiese vagamente se avesse avuto paura.
"Un'ultima cosa, allora," gli disse, fingendo di ritoccarsi il trucco nello specchietto retrovisore. "Un consiglio, se vuoi. Lassù c'è movimento. Si parla di un nuovo quartier generale operativo... Stanno spostando una parte più larga delle attività sulla Terra. Naturalmente, ci prepariamo a fare lo stesso."
Shax gli rivolse un sorriso malignamente dolce. "Continua a starne fuori, Crowley." E si volatilizzò.
Crowley rimase un istante in sospeso, finché non ebbe la certezza di essere nuovamente solo. Poi si abbandonò di nuovo lungo lo schienale, sospirando pesantemente, e pescò una bottiglia da sotto il sedile. La vuotò in un'unica lunga sorsata.
Com'era la frase? Il vino è più ricercato, ma il gin è più veloce. Un vero peccato che le farmacie avessero smesso di vendere veleni. Il verde arsenico era stato una trovata geniale. E anche il vin tonique Mariani e le pastiglie per la tossealla cocaina. Che peccato. A un certo punto avevano giudicato sbagliato che le persone potessero comprare veleno per uccidersi.
Heh.
Com'era, quell’altra frase? Onesto speziale, le tue droghe sono rapide.
Da qualche parte, nei recessi della Bentley, c'era ancora quel vecchio thermos a quadretti.
Dal sedile posteriore giunse un fruscio sommesso; poco dopo lo seguì un refolo d’aria umida, che gli sfiorò il viso come il tocco fresco di una mano. Crowley aprì un occhio; uno dei finestrini posteriori era leggermente abbassato. Il ficus elastica ne aveva approfittato, sporgendo all’esterno le grandi foglie lucide.
“Andate proprio d’accordo, hm?” borbottò Crowley.
Durante il suo prolungato abbrutimento alcolico, le piante sembravano aver formato un’alleanza con la Bentley. L’auto le proteggeva dalle gelate, loro le impedivano di surriscaldarsi al sole e foderavano ormai quasi del tutto l’abitacolo, protendendo foglie e tralci sui finestrini e fin quasi davanti al parabrezza.
Non poteva fargliene un rimprovero, pensò vagamente Crowley. Aveva passato chiuso lì dentro le ultime settimane (erano settimane? O giorni? Forse mesi..?)
Non aveva piani.
Non aveva voglia di vedere il mondo fuori mentre continuava a girare in tondo come sempre. Non aveva voglia di pensare; non voleva sentire.
Se lo faceva, avrebbe dovuto farne qualcosa, di tutto l’amore che restava ad accumularsi come neve, minacciando di far collassare il tetto.
Cosa ne faccio? Dove metto adesso tutto l’amore che mi riempie le braccia, Aziraphale?
Così era rimasto dov’era. Aveva bevuto e aveva dormito e aveva combattuto con strani sogni fatti di cocci rotti, aveva bevuto ancora e nonostante questo, dal fondo dell’abisso in cui l’aveva incatenato sentiva alzarsi i lamenti strazianti del proprio cuore.
Lo lasciava lì. Lo faceva morire di rabbia.
Era così arrabbiato, era furioso, era così stanco.
Una stanchezza così desolata che beveva la sua rabbia come la terra spaccata dal sole risucchia l’acqua.
Crowley allungò la mano per cercare un’altra bottiglia. Non poteva lasciare che la rabbia lo abbandonasse. Perché senza la rabbia, gli rimaneva solo un revulsivo, miserabile senso di impotenza; la sensazione di perdere qualsiasi forza, uno svilimento pieno di frustrazione, viscido come una violazione, umiliante come la caduta.
Forse era proprio quello che riviveva in quel momento, la sensazione di trovarsi così in basso e così lontano, e la bottiglia gli scivolò dalle dita, un respiro soffocato gli scivolò dal petto, e senza accorgersene era scivolato nel fondo dell’abisso in cui aveva lasciato a morire il proprio cuore.
E nel fondo di quell’abisso buio dovette ascoltarne le preghiere.
Era un richiamo contraddittorio. Una necessità che, se tornava presente a se stesso, sentiva forte e irrefutabile; un istinto irresistibile come quello che guida gli uccelli migratori, le rondini che sorvolano mari e deserti immensi.
Non aveva alcun senso, e non aveva alcuna speranza.
Era una certezza inspiegabile, ma con radici così profonde che era ormai fatta della stessa sostanza di lui stesso. Come un cancro, come qualcosa che lo avrebbe certamente ucciso, come qualcosa senza la quale Crowley non era se stesso.
Era un conto alla rovescia cominciato nell’istante in cui Aziraphale se n’era andato.
Era la certezza incrollabile, contro qualsiasi istinto di conservazione e anche contro ogni evidenza, che il suo posto era al fianco di Aziraphale, e quello di Aziraphale era accanto a lui.
Crowley riaprì gli occhi nella Bentley lavata dalla pioggia, nell’acqua che scivolava copiosa lungo il parabrezza, nelle lacrime che gli scivolavano a fiotti sul viso, e da quel momento cominciò il suo cammino di ritorno.
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#good omens ficlet#sì grazie tutto male#“autoterapia” i say as i gut myself with my own two hands#good omens spoilers#frammenti
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ALEXANDER HAWKINS TRIO: “CARNIVAL CELESTIAL” (parte II)
(Segue) In “Make it new", Hawkins e i suoi straordinari musicisti riprendono questo imperativo categorico, attribuito al poeta Ezra Pound (ma che viene dalla notte dei tempi), per proporre composizioni che stanno al di qua e al di là del jazz. Hawkins cammina sempre su un confine, a volte lo supera, a volte ritorna sui suoi passi, una specie di zigzagare tra generi musicali, principalmente due, ovvero il jazz e la classica, ma anche altri, come avviene in questo disco alludendo alla vitalità ritmica della Calypso music. Un trio formato da pianoforte, contrabbasso e batteria, sembra essere l’idioma classico del jazz e la sfida di Alexander & Co. sta proprio in questo: una formazione prettamente jazzistica che porta a spasso la musica su terreni sconnessi, difficili e accidentati. Ce ne rendiamo conto subito con “Rapture” che apre il lavoro, quasi sotto traccia, un distillato di piccoli suoni, sollecitazioni sonore provvisorie e quasi impalpabili che si presentano come il manifesto programmatico di tutto il disco, ed è il ben più vigoroso “Puzzle Canon” a darcene immediata conferma, con quel piano disarticolato che dialoga con un contrabbasso monocorde. Arriva subito di seguito una fuga, dove il contrappunto è mimetizzato dall’accavallarsi delle note nella magnifica “Fuga, the Faste One” ed è quasi impossibile non fare riferimento a una fuga in un compositore come Hawkins, quasi ossessionato da Bach. Ma è in “Canon Celestial” che tutto il disco sembra trovare la sua misura, il suo punto di equilibrio in una serie di continue variazioni, nella ripetizione di accordi dati e sostenuti da suoni delicatamente elettronici e da una batteria ripetitiva che amplifica il ricamo del piano. Ecco ricomparire, come un interludio una nuova versione di “Rupture” con il contrabbasso di Neil Charles nella sua forma più greve e pacata e il piano di Alexander che “pilucca” negli spazi lasciati vuoti. “Sarabande Celestial” è forse quello che, di tutti i pezzi dell’album, assomiglia più al jazz, mentre più meditativo, quasi “sospeso” è un brano dal titolo piuttosto misterioso: si tratta di “Unlimited Growth Increases the”. E a proposito di titoli suggestivi ecco “If were the nature a bank, they wo”, il brano più elettronico dell’intero album, dove il pianoforte è sostituito dal sintetizzatore e la ripetizione quasi seriale dei suoni la fa da padrone. Aspettavo, sin dal principio del disco, di ascoltare “Carnival Celestial” e l’attesa è ricompensata da questa composizione complessa dove il pianoforte, vorrei dire nudo e crudo, porta avanti un discorso musicale fatto di piccole frasi che si compongono in un discorso, una specie di monologo asciutto e senza fronzoli, fino ad esaurirsi in un formidabile diminuendo, quasi un uscita di scena silente. Lo stesso stile asciutto ed essenziale lo troviamo in “Counterpoint Celestial”, ideale proseguimento del pezzo precedente, seguito poi dall’ultimo brano il tortuoso e misterioso “Echo Celestial” con quel finale, quasi uno sfarinamento dei suoni, uno “stardust elettronico”, frutto di una superba maestria compositiva che ci lascia vaganti e smarriti, come dopo il passaggio di una meravigliosa cometa.
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RETROSPETTIVA di MAURO MOLINARI “TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”
Comunicato stampa
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY
RETROSPETTIVA di MAURO MOLINARI
“TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”
Ciclo di opere ispirate ai motivi tessili con opere del 1994 - 2007
a cura di Sandro Bongiani
Preview: 4 dicembre 2020
dal 5 dicembre 2020 al 14 marzo 2021
L’evento partecipa alla giornata del contemporaneo
promossa da AMACI
Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani
#GiornataDelContemporaneo
S’inaugura sabato 5 dicembre 2020, alle ore 18.00, la mostra Retrospettiva “TEXTURES - Racconti e trame per un immaginario gentile”, dedicata a Mauro Molinari, con 72 opere dal 1994-2007, che cerca di fare il punto sulle proposte tessili e immaginative dell’artista romano. In questa retrospettiva l’autore ci introduce nel mondo del linguaggio simbolico, nei racconti e tra le trame di un immaginario gentile dove ogni cosa sottesa racchiuse un senso, anche se possiamo percepirlo soltanto come una suggestione “appena trascritta” con il procedimento antico dei tessuti e carte utilizzate, rievocando lontani richiami per divenire suggestioni poetiche di una realtà sempre più evocativa e immaginaria.
Il percorso di Mauro Molinari, in circa un cinquantennio di lavoro, è contrassegnato da cicli diversi, come quelli dedicati all’informale, alla poesia visiva, ai libri d’artista, alla reinterpretazione degli antichi motivi tessili e nell’ultimo quindicennio al racconto della realtà urbana. Una lunga e appassionata ricerca contrassegnata da momenti diversi, tra filo, trama, intreccio e contrappunto, con un’attenzione assidua sulla presenza che apre un varco nel tempo e sul vuoto spaziale in un intreccio di momenti e tempi diversi alla ricerca della relazione e dell’equilibrio per manifestarsi. Alla fine, l’intreccio diviene filo conduttore di storie e di significati che si dipanano in un viaggio carico di suggestioni e vibrazioni poetiche suggerite per frammenti di senso.
A partire dagli anni 90, i motivi tessili rielaborati come segni, frammenti e presenze simboliche di forme naturali, vegetali e persino araldiche prendono forma fantastica su carte e tele, su preziosi libri d’artista, teatrini, abiti di carta, scarpe, cravatte e anche paramenti liturgiche, paliotti e pianete.
Sandro Bongiani nella presentazione in catalogo scrive: “Un universo assai complesso dettato da una specifica motivazione alla ricerca dell’invenzione creativa e dell’interpretazione fantastica. Il tutto avviene in circa 15 anni di lavoro con una pittura lieve e insostanziale che si deposita sulla pelle velata e fragile della carta per divenire sfuggente apparizione.
Libri teatro di carta dipinta su tessuto, libri oggetto, libri giocattolo, libri a rilievo da aprire e libri d’artista non sfogliabili che purtroppo non possiamo mai aprire, nelle sue mani tutto diventa favola e racconto ordito tra filamenti e trame di apparizioni che si stabilizzano nello spazio provvisorio della pittura, in un tempo sospeso e precario in cui l’immaginazione s’incarna alla ricerca dell’invenzione. Da questo incanto nascono presenze assorte nate tra le trame e i vagiti di remoti tessuti per divenire delicati racconti poetici di una realtà tutta contemporanea.
Una lunga e proficua stagione creativa “tessile” in cui l’artista è intento a indagare in modo assiduo un possibile recupero della memoria e a svelare le simbologie e i grovigli della vita con una verve visionaria in cui le coordinate del tempo e dello spazio si dilatano e perdono le loro abituali caratteristiche logiche in vista di nuove associazioni e traiettorie. La traccia di un suggerimento di memoria può ora finalmente distendersi tra la fragile carta e i brani di tessuto reale e divenire “ordito gentile”, trama e frammento di racconto che si libera dalle costrizioni in una narrazione a più livelli di lettura che s’intersecano e convivono. Solo in questo modo i frammenti del passato possono prendere forma e divenire materia lirica in rapporto alla vita, in un succedersi cadenzato e assorto di accadimenti e di intrecci allusivi che emergono da un tempo remoto per divenire contemporaneità e soprattutto essenza concreta di assoluto”.
BIOGRAFIA
Mauro Molinari Nato a Roma, vive a Velletri (RM). La sua ricerca artistica si è svolta per cicli che vanno dai registri informali degli anni ’60 alla pittura scritta e alle geometrie modulari del ventennio successivo. Nel 1974 personale alla galleria d’Arte Internazionale di Roma, pres. S. Giannattasio. Nel 1975 le sue opere sono presenti alla X Quadriennale di Roma. Dal 1974 all’81 partecipa alle rassegne internazionali sul disegno della Fundació Joan Miró di Barcellona. Nel 1979 personale alla galleria Il Grifo di Roma , pres. D. Micacchi. Nel 1982 personale alla galleria Il Luogo di Roma, pres. M. Lunetta e C. Paternostro. Nel 1983 e 1985 partecipa all’International Drawing Biennale di Cleveland. Nel 1987 personale alla galleria Incontro d’Arte di Roma, pres. I. Mussa. Negli anni ’90 si dedica alla rielaborazione pittorica dei motivi tessili avviando un ciclo che dura più di 15 anni. Nel 1995 nasce la collana di Orditi & Trame, di cataloghi editi in proprio. Il primo illustra la mostra itinerante promossa dalla Tessitura di Rovezzano e presentata a Roma alla galleria Pulchrum, pres. L. de Sanctis. Nel 1998 personale allo Spazio de la Paix e alla Biblioteca Cantonale di Lugano, pres. A. Veca. Dal 2000 al 2014 partecipa ai Rencontres Internationales di Marsiglia. Dal 2000 al 2008 collabora con la rassegna internazionale Miniartextil che si tiene a Como ogni anno. Nel 1999-2000 crea il ciclo Stellae Errantes sculture dipinte ispirate ai tessuti sacri, che è stato ospitato in numerosi musei italiani in occasione del Giubileo. Nel 2001 personali alla galleria Il Salotto di Como e al Museo Didattico della Seta di Como, pres. M. De Stasio. Nel 2001 personale al Museo dell’Infiorata di Genzano, pres. C. F. Carli. Nel 2002 personale al Museo S. Maria di Cerrate Lecce, pres. L. Caramel. Nel 2003 sala personale al Musèe de l’Impression sur Ètoffes di Mulhouse, pres. L. Caramel. Nel 2004 personale a Oman Caffè di Como, pres. L. Caramel. Nel 2005 esposizione allo Spazio Mantero di Como e al Salons de l’Hôtel de Ville di Montrouge, pres. L. Caramel. Nel 2006 Salone d’Arte Moderna di Forlì, pres. F. Gallo, e sala personale al Museo di Palazzo Mocenigo di Venezia, pres. L. Caramel. Nel 2007 personale alla Fondazione Venanzo Crocetti di Roma, pres. C. F. Carli e C. Paternostro. Nel 2008 sala personale alla VI Triennale Internazionale di Tournai, e personale alla Biblioteca Angelica di Roma, pres. E. Di Raddo. Dal 2008 sviluppa un ciclo pittorico dove è centrale la figurazione, che si pone come naturale evoluzione del suo percorso creativo. Nel 2009 personale alla galleria Renzo Cortina di Milano, pres. A. Veca. Nel 2010 personale al Museo Carlo Bilotti di Roma, pres. A. Arconti e L. Canova. Dal 2011 al 2016 e 2019 partecipa al Festival del Libro d’Artista di Barcellona, pres. E. Pellacani. Nel 2012 e 2015 Galleria Gallerati Roma primo e secondo progetto mixed media. Nel 2013 due personali alla galleria Baccina Techne di Roma, pres. G. Evangelista e personale allo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno, pres. G. Bonanno. Nel 2014 personale allo Spazio COMEL di Latina, pres. M. Cozzuto e a Roma presso il Municipio Roma III, Aula Consiliare, pres. G. Evangelista. Nel 2016 Dante e i Papi nella Divina Commedia Fondazione Pescabruzzo a cura di Giorgio Di Genova, donazione delle opere. Dal 2014 al 2019 Artisti per Nuvolari Casa Museo Sartori Castel d’Ario (MN). Nel 2017 Museo Jean Lurçat Angers Francia, donazione bozzetto originale. Personale Spazio Medina e AF CasaDesign pres. F. Farachi. Antologica 1990/2006 Museo Diocesano e Sala Angelucci Velletri, pres. Sara Bruno e Claudia Zaccagnini, donazione di sei sculture. Nel 2018 donazione di un’opera al costituendo museo di arte contemporanea SAmac di Benevento, Antologica 2007/2017 Tibaldi Arte Contemporanea Roma a cura di Carlo Fabrizio Carli. Nel 2019 il Museo Comunale di Praia a Mare ha acquisito l’opera “White and Brown. Nel 2020 Retrospettiva “Textures - Racconti e trame per un immaginario gentile” , Ciclo di opere ispirate ai motivi tessili con opere del 1994 - 2007 - Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno a cura di Sandro Bongiani
Studio: Interno 5, via Paolina 25, 00049 Velletri (RM) Italia, info: cell. 328 6947561 www.facebook.com/mauro.molinari.73 e-mail: [email protected] web: www.mauromolinari.it sito web storico: www.caldarelli.it/molinari.htm
SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY - SALERNO
COLLEZIONE BONGIANI ART MUSEUM
http://www.collezionebongianiartmuseum.it
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/sala.php?id=14
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/sala.php?id=89
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Dreamland online film streaming ita gratis completo
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"Non sono un assassino", continua ad insistere Allison. Ma anche questa affermazione un po 'dubbia non è il vero punto. Sta uccidendo Eugene, proprio davanti ai nostri occhi. "Dreamland", una pubblicazione della Paramount, è stata valutata R dalla Motion Picture Association of America "per un po 'di violenza, linguaggio e sessualità / nudità". Durata: 98 minuti. Tre stelle su quattro. Hollywood ha sempre amato i film fuorilegge, quasi da quando la prima celluloide è apparsa in un proiettore, e da “Bonnie & Clyde” nel 1967, ha avuto un fascino particolare per le coppie condannate per un'ondata di crimini all'aperto. È stato imitato innumerevoli volte, dal coraggioso "The Getaway" al nebuloso e onirico "Ain't Them Bodies Saints". “Dreamland” è più vicino a quest'ultima, una storia meno interessata ai meccanismi reali della rapina in banca che al viaggio emotivo interiore dei suoi due protagonisti. È un film sorprendentemente bello, ambientato nella polvere del Texas degli anni '30, con i toni caldi e vibranti del direttore della fotografia Lyle Vincent che lasciano il posto a strisce quasi incolori di marrone grigiastro. Potresti ritagliare quasi tutti i fotogrammi del film e avere un bel promemoria da cartolina. Margot Robbie interpreta Allison Wells, una famigerata rapinatrice di banche in fuga dopo che le cose sono andate a puttane nel suo ultimo lavoro. Diverse persone sono state uccise, tra cui una ragazza e il suo amante / partner nel crimine, Perry (Garrett Hedlund). Uomini di legge e giornali l'hanno considerata un demone dal cuore freddo, anche se ha un'altra storia da raccontare. In effetti, diverse versioni di esso. Gli occhi azzurri e la pelle marrone di Robbie sembrano riempire lo schermo come un piccolo sole, sfinendosi. Colpito a una gamba, Allison si nasconde nella stalla di Eugene (Finn Cole), un ragazzo di 17 anni con il naso per terra e la testa tra le nuvole. Ruba fumetti polizieschi e sogna di ricongiungersi con suo padre morto da tempo, che è scappato da loro quando era un ragazzino e si è trasferito in Messico. Odia il suo patrigno (Travis Fimmel), che porta uno strano taglio di capelli, vagamente Hitler. I suoi stessi occhi azzurri sono il gelido contrappunto al calore di Allison. Gene ha una cotta per sua madre (Kerry Condon) e la sorella minore, Phoebe (Darby Camp). La meravigliosa Lola Kirke fornisce il resoconto della vita adulta di Phoebe, ripercorrendo i lunghi anni degli eventi che hanno avuto luogo nel 1935. Non c'è davvero molta storia da raccontare. Direttore Miles Joris-Peyrafitte e lo sceneggiatore Nicolaas Zwart si concentra sulla creazione di situazioni e impulsi dei personaggi, e poi vede come le opere si muoveranno da sole. Sappiamo che Gene sarà completamente stregato da Allison e lei farà poco per scoraggiare quella sensazione, purché lui la aiuti a nascondersi e guarire. E che la taglia di $ 20.000 sulla sua testa spingerà la gente del posto a iniziare ad avvicinarsi alla coppia, con il patrigno di Gene come cane da caccia principale. E alla fine, dovrà andare avanti e Gene andrà con lei. Non sto dando niente; la narrazione dice questo all'inizio, Phoebe parla della leggenda di suo fratello e della "donna di Wells". Ho adorato l'aspetto di questo film, con una grande attenzione ai dettagli sui bordi sfilacciati dei vestiti delle persone, le viti arrugginite sul corpo del camion di famiglia e la leggera patina di sudore che pende sulla fronte delle persone per ricordarci il Texas arido e mortale. Quando le cose vanno male, le persone tendono ad essere nervose, agendo normalmente in superficie, ma pronte a saltare alla minima possibilità di cambiare la terribile direzione delle cose, anche se le cose peggiorano. Accidenti, suona familiare ... Anche i più piccoli attori non protagonisti sono al posto giusto, senza mai cambiare il senso di autenticità già speso. Mi è piaciuto particolarmente Stephen Dinh nei panni di Joe, l'amico indiano americano di Gene che cerca la sua via d'uscita, e Joe Berryman come lo sceriffo locale dagli occhi penetranti che mangia BS a colazione. C'è una sequenza fantastica in cui Gene esce per dare un'occhiata alle prove che la polizia ha contro Allison mentre tutti sono a un ballo di città, mentre un veterano esegue un hamburger energico - colpi percussivi sulle ginocchia e simili - fornendo la musica che crea tensione sotto. Meraviglioso. Sembra che manchino alcune parti del film, un po 'più del retroscena di Allison e più sul desiderio di Gene che la memoria di suo padre riempia il tessuto connettivo. In un momento in cui ripeto costantemente quanti film sono troppo lunghi, eccone uno bello che aveva bisogno di un po 'più di grasso sulle ossa.
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la vita è impermanenza, con alcuni pattern generali, che però sono mutevoli a e instrutturati, E quindi forma e meta forma, punto e contrappunto, certezza e incertezza convergono, ma certo è un mistero. Nel mistero si cela l’infinito, coi suoi meccanismi irraggiungibili, metafisici e anche distruttivi. Ovvero dio. Dio è il vento infinito, l’essere dai cento nomi, l’impronta dell’esistenza. E abita in noi.
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Ross Roys: con il singolo Wind si viaggia
Da pochi giorni è disponibile su Beatport, Spotify e gli altri portali musicali "Wind", il nuovo singolo della dj producer toscana Ross Roys. "Il testo dice: 'I will be wind", I will be smoke, open your wings and fly away", free, free, free...' (sarò vento, sarò fumo, apri le tue ali e vola via, libero libero libero)", spiega Ross Roys. E' un viaggio musicale decisamente techno. La cassa e la drum machine spingono, ma non troppo e lasciano spazio a synth ed echi che sembrano perfetti per un volo interstellare... O per fare da contrappunto a un vento marziano. E' un brano da ascoltare, non solo da ballare, perché fluisce in modo originale
"Wind è nata in un momento in cui avrei voluto essere vento per potermi muovere, essere libera di andare lontano". E' evidentemente una sensazione che qualche mese fa hanno avuto in tanti, in Italia e in tutto il mondo. "La voce è quella di mio marito, che è bella. Sarebbe pure intonato, se solo avesse voglia di cantare... questa volta vista la situazione, ha fatto uno sforzo. Fino a un certo punto però, infatti più che un cantato quello di 'Wind' è un parlato, non un cantato", conclude Ross Roys.
Ross Roys - Wind su Spotify e Beatport
https://open.spotify.com/album/2Y8vjKG7mmBbuWnjgm92JZ?si=NM_b26ciS7SMTfRREoBmmg
https://www.beatport.com/release/wind/2979866
MEDIA INFO / PHOTO HI RES / ROSS ROYS
https://lorenzotiezzi.it/ross-roys-dj/
Rosaria Giudice, al mixer Ross Roys, vive di ritmo. Ha iniziato a farlo in discoteca, come ballerina per mantenersi mentre studiava come medico veterinario. Ama gli animali e la natura alla follia, ma dopo la laurea l'amore per la musica è prevalso ed è diventata dj. Con il suo sound techno / tech house da tempo fa scatenare i club tra Toscana, Liguria e ovviamente pure a Ibiza.
Vive a Luni, un piccolo paese in Provincia della Spezia e ha iniziato a suonare in un piccolo locale a Bocca di Magra. Poi pian piano ha iniziato a spostarsi di club in club: Fusion Club a Marina di Massa (MS), Supersonic Club a Lucca (dove ha diviso la console con leggende come Francesco Zappalà, Roland Brant e Roberto Francesconi), Mambo Studio, Hush e Decibel ad Ibiza…
Tra le sue produzioni discografiche ci sono "Take" e Zwong", pubblicate da K-Noiz e "Waves" uscita su DVS Records.
"L'8 marzo pubblico sul mio canale MixCloud un dj set dedicato a tutte le techno girls che in questo periodo non possono andare a ballare e divertirsi", racconta Ross Roys, dj producer toscana che da tempo fa scatenare i club underground tra l'Italia e Ibiza. "E' una piccola iniziativa, ma spero regali un po' di energia in un momento così difficile per tutti.".
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Corrispondenza
E così accadde.
In una notte insonne
parole sussurrate dal vento miracoloso della tua voce.
Sullo sfondo, gocce d’acqua
e corde arrugginite che vibrano nel cuore.
Lettere.
Sott’acqua, in veli d’acqua.
Ondeggia la tua voce.
Malinconica. Ed io penso: dev’essere una voce, questa che ho già conosciuto. Nell’odore di neve e sottobosco
fuori, in una casa sperduta
sotto la pioggia
fra la nebbia.
Come in un film di Tarkovskij l’acqua passa attraverso i muri, entra dall’alto,
sommerge tutto.
.....
Questa voce che un tempo parlava.
Mi obbligava, quasi, a scrivere
cose che credevo sarebbero durate lontano dall’ombra del pentimento.
-
Ora anestetizzato tento ricostruire la purezza
Kintsugi dell’anima per uscire da questo attrito.
E allora...
Il disaccordo può essere un contrappunto inscritto fra le note che non conosco. E la tua musica è così distante, come un terzo punto allineato fra le dita della mano e l’universo. .... Un peso nel cuore mi preme. Riusciro’ a sopportare questo amore? Sapro’ viverlo, custodirlo?
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"Miles to go" il nuovo disco dei Caravana Tabù un omaggio a Miles Davis
“Miles to go” è un progetto del gruppo italiano Carovana Tabù insieme a Fabrizio Bosso.
L’obiettivo è quello di portare al pubblico la musica di Miles Davis in nuova veste, attraverso una suite composta da sette arrangiamenti originali di celebri brani di Davis e tre brani inediti, ispirati ad omonimi quadri dell’artista.
Le sonorità di ogni brano traggono spunto dallo studio e dalla riscoperta dei vari periodi della musica di Miles Davis, a cui si aggiungono elementi stilistici, formali, armonici e ritmici caratteristici della musica classica e contemporanea, con particolari riferimenti a Bach, Hindemith, Stravinskij, Ravel, Debussy, Morten Lauridsen e Astor Piazzolla.
Il progetto incrocia la tromba solista di Fabrizio Bosso, col sound jazz/funk/pop dei Carovana Tabù e il live electronics.
«Viviamo la musica come strumento di unione. Siamo in tanti, e la musica è a volte il collante che riesce a mettere insieme caratteri diversi, idee diverse. Cerchiamo di puntare alla bellezza, al rispetto di quella che per noi è una musica di valore. Allo stesso tempo la musica per noi è gioco e divertimento, nel senso più alto che si possa intendere. Uno strumento per dar sfogo alla creatività, qualcosa di malleabile, non immutabile e spesso, abbiamo preso brani famosi e li abbiamo stravolti» Carovana Tabù.
«Talento, coraggio e fantasia. Queste sono le emozioni che mi hanno trasmesso i ragazzi di Carovana Tabù, la prima volta che li ho sentiti suonare. Infatti, quando poi mi hanno contattato, ho accettato subito di partecipare come ospite in questo loro progetto su Miles Davis. Sono felice di poter suonare con loro e contribuire a far conoscere la musica di un genio della musica del ‘900, mai troppo celebrato»
Fabrizio Bosso.
Etichetta: Icona s.r.l
Edizioni: Icona s.r.l
Release album: settembre 2022
TRACK BY TRACK
SUITE 1
I brani di Miles sono stati concepiti come sette movimenti all’interno di una suite dalle caratteristiche contemporanee. Ognuno di essi viene utilizzato come tema su cui costruire delle variazioni, cercando di esplorare e sviluppare le diverse sfaccettature che i temi stessi presentano, attraverso tecniche di origine eurocolta, unita al jazz, all’elettronica, alle musiche improvvisate e audiotattili.
L’incipit della prima suite, è caratterizzato dal colore scuro del Re minore di So what, descritto inizialmente dalle armonie eteree e misteriose della tastiera, su cui le note del basso si appoggiano per dare all’atmosfera di sottofondo un timbro ancora più cupo. Una partenza misteriosa, che nell’introduzione di Four si trasforma in un’atmosfera di memoria stravinskiana, con il contrappunto dei fiati e il tema originale che fiorisce attraverso il canto della tromba solista.
Dopo le sonorità orientali, argentine e spagnole di Nardis, influenzate da compositori come A. Piazzolla e I. Albéniz, si raggiunge il punto più drammatico dell’opera: Blue in Green. Non a caso questo brano si colloca a metà, quasi a segnare uno spartiacque tra il primo e il secondo blocco dell’intera Suite. Nell’arrangiamento, che stravolge completamente l’originale, i fiati sono abbandonati in un corale quasi organistico senza tempo, in cui il lamento della tromba solista accompagna idealmente la scomparsa di Miles Davis. Tra le varie influenze spicca un brano di Morten Lauridsen, intitolato “Io piango”.
Dal silenzio lasciato dalle ultime note si risale con Milestones, e i riferimenti a Debussy, per poi proseguire con Solar. Il viaggio termina con Seven Steps To Heaven: l’ultimo accordo di Re maggiore, dipinto dalle note gravi ed arpeggiate del basso elettrico chiudono il cerchio disegnato, inizialmente, da So What. Da quei primi suoni cupi, tenebrosi, incerti, per arrivare al culmine della drammaticità: un riferimento all’attualità che sta segnando le vite di tutte e di tutti. C’è però qui, al termine della suite, quella aspettata risalita, quella rinascita che finalmente, con l’accordo finale di Re maggiore, porterà l’aspettato fascio di luce.
So what – Il primo brano dell’album introduce l’idea ciclica che caratterizza la composizione di tutta la prima suite. L’atmosfera scura, eterea e misteriosa, influenzata dal linguaggio di Tigran Hamasyan e Hans Zimmer, presenta alcuni degli elementi che saranno poi sviluppati nel corso dei successivi movimenti. La chitarra introduce la nota La, quinto grado sia della tonalità attuale Re minore, sia dell’ultimo brano che si conclude con un accordo di Re maggiore. Inoltre, il celebre solo di Kind of Blue diventa il tema e, invece, il tema di Davis diventa una sorta di special citato verso la fine durante la coda, costruito sopra un’emiola di sedicesimi affidati al pianoforte.
Four – Le note finali di So What si collegano alle prime di Four, sviluppate con un linguaggio di origine stravinskiana che, man mano, determina un grumo sonoro su cui poi verrà costruito il tema dilatato e aggravato in 6/4. La tecnica contrappuntistica affidata ai fiati sfocia in un’esplosione di energia, con il “tutti orchestrale” che trova le sue influenze nella musica rock, fusion e gospel. La parte finale, che sviluppa ancora una volta il tema, si conclude con un accordo sospeso che poi risolverà sul semitono ascendente nel brano successivo.
Nardis – Dunque, il viaggio continua, si entra in un mondo dalle sonorità argentine e spagnole, che trova le sue influenze nel linguaggio di Astor Piazzolla e Isaac Albéniz. Il 5/4, l’idea timbrica del clarinetto e della chitarra classica si pone l’obiettivo di introdurci man mano in un’atmosfera drammatica. “Nardis” trova il suo culmine nell’esplosione poliritmica su cui si costruisce la B del tema, per poi tornare alla quiete ed approdare alla drammaticità di “Blue In Green”, con dei piccoli cluster di tono e semitono eseguiti dal pianoforte che chiudono questo primo capitolo della suite.
Blue in green
Così, si raggiunge il punto più drammatico dell’opera. Non a caso si colloca a metà, quasi a segnare uno spartiacque tra il primo e il secondo blocco dell’intera Suite. I fiati sono abbandonati in un corale dalla sonorità quasi organistica, in cui il lamento della tromba solista accompagna idealmente la scomparsa di Miles Davis. Tra le varie influenze spiccano Paul Hindemith e, in particolare, un brano di Morten Lauridsen intitolato Io piango, sul quale viene costruita l’introduzione e parte dell’arrangiamento.
Milestones – Il quinto movimento della suite inizia nella stessa area tonale di quello precedente. L’idea compositiva orizzontale e modale in 7/4 si ispira a Debussy, che approda ad una sonorità jazz moderna, e poi si chiude con un finale quasi fugato, dove le entrate dei fiati cercano in qualche modo di ricordare la tecnica degli stretti.
Solar – Il silenzio finale di Milestones lascia spazio all’introduzione free della tromba solista, arrivando così al sesto movimento della suite. Solar ha una sonorità del tutto moderna. Infatti, il pedale di do minore prosegue l’idea free iniziale, rimanendo ancora in un’area misteriosa su cui si costruisce la prima esposizione tematica. Successivamente, si arriva ad una sonorità che trova le sue influenze ritmiche nella musica neo soul. Come tutti i movimenti precedenti, anche qui si procede verso una conclusione aperta, che ci permette di entrare nell’ultimo brano della suite.
Seven steps to Heaven – Il settimo ed ultimo brano di questa prima suite inizia con un’idea ritmica sempre di natura neo soul, e la chitarra ci espone con un arpeggio alcune delle note che compongono l’ultimo accordo di Solar. Successivamente, il brano si sviluppa e cerca di esplorare nuove variazioni, procedendo verso un’ultima ed esplosiva esposizione tematica e una coda del tutto intima. Inoltre, questo movimento chiude la ciclicità della suite, e si ricollega al quinto grado La di So What con le ultime note eseguite dal basso elettrico, le quali approdano all’accordo di Re maggiore, con un finale aperto determinato dalla terza di piccarda.
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SUITE 2
La seconda suite dell’album è costituita da tre brani originali, che si ispirano a tre quadri omonimi di Miles Davis.
I tre quadri sono accomunati dalla presenza di figure umane, collocati in 3 fasi differenti di un ipotetico viaggio di vita.
Il blu scuro di una notte newyorkese, in cui si intrecciano i colori fluorescenti di una città che non si spegne mai, è il punto di partenza. In New York by Night il gioco di intrecci colorati si riunisce in una doppia linea verticale che, nell’alto, nel cuore della notte, disegna la sagoma di un volto femminile. La tonalità del brano è minore, ed evoca l’inizio del cammino della donna in una New York che si muove, come indicato dal groove della batteria. Ad un certo punto il silenzio, si sentono solo il basso e il piano che dialogano. Forse sono i passi del volto femminile, che rimbombano in un improvviso attimo di stasi, in cui la protagonista resta sola col rumore del suo viaggio che prosegue in una città che la osserva andare via.
L’arrivo a Dancer, che gradualmente porta il ritmo evocativo di New York ad un riff dei fiati che all’inizio dà i primi segnali di un movimento meno timido, meno incerto. Quasi come se si volesse invitare la donna a salire sul palco e ad iniziare una danza. Cosa che poi accade, gradualmente, il ritmo è più spedito e non passa molto tempo che si arriva all’esplosione del pezzo, che ripercorre la gioiosità e la tonalità festosa dei colori delle tre figure che si uniscono in una danza, connubio di un sentimento di allegria espresso contemporaneamente dal movimento della musica e dei corpi.
Poi tutto svanisce, ed ecco l’ultima tappa: Roots. Le radici, della donna, di un gruppo di giovani artisti, di tutti noi. Tantissimi visi, molti dei quali si assomigliano. Si notano persone dipinte con colori differenti. Qual è la vera autenticità del viaggio? Che la verità del nostro movimento delle nostre vite sia dentro di noi, dentro la soggettività di ciascuno? Le atmosfere eteree create dalla musica evocano il singolo, la propria personalità, la sua storia e le sue radici. Il tutto è affidato all’interpretazione che ognuno dà alla propria vita, al proprio viaggio. Un finale in cui non c’è una vera cadenza, il cammino non è finito.
I Carovana Tabù sono:
Stefano Proietti – pianoforte, tastiere, composizioni e arrangiamenti
Andrea Albini – chitarra acustica, chitarra elettrica e composizioni
Nicole Brandini – basso elettrico
Davide Di Giuseppe – batteria e live electronics
Giacomo Cazzaro – sax alto, sax baritono e composizioni
Federico Limardo – sax tenore, sax soprano e clarinetto
Tony Santoruvo – tromba e flicorno
Giulio Tullio – trombone
Contatti e social
@carovanatabu
Instagram https://bit.ly/Insta-Carovana
Facebook https://bit.ly/FB-Carovana
Youtube https://bit.ly/Youtube-CT
BIO
Carovana Tabù è una band formata da otto giovani musicisti provenienti da tutta Italia. La loro peculiarità è il sound che nasce dalla commistione di diversi generi che spazia dal funk, passando per il jazz e il soul. Il percorso di formazione individuale della maggior parte dei componenti è di impronta classica. Successivamente è stato scelto un corso di studi in jazz e in popular music. La band è formata da Stefano Proietti – Pianoforte, Tastiere e Arrangiamenti, Andrea Albini – Chitarra acustica ed elettrica, Nicole Brandini – Basso elettrico Davide Di Giuseppe – Batteria, Live Electronics e Arrangiamenti Giacomo Cazzaro – Sax Alto, Arrangiamenti Federico Limardo – Sax Tenore e Soprano, Tony Santoruvo – Tromba e Flicorno, Giulio Tullio – Trombone. I componenti della formazione, come musicisti individuali, hanno collaborato e partecipato a diverse trasmissioni televisive, festival e tour, tra cui Sanremo Young, Festival Show, Ballata per Genova, Amici di Maria De Filippi, Umbria Jazz, lo spettacolo teatrale di Elio su Jannacci intitolato “Ci vuole orecchio”, durante le quali hanno avuto l’onore di collaborare con diversi artisti di diverso spessore e genere, come: Fabrizio Bosso, Davide Pezzin, Eric Marienthal, Rosario Giuliani, Stefano “Elio” Belisari, Massimo Ranieri, Gino Paoli, Arisa, Marco Masini, Rita Pavone, Noemi, Enrico Ruggeri, Ron, Sergio Cammariere, Gigi D’Alessio, Mahmood, Riccardo Cocciante, Andrea Tofanelli, Simon Le Bon, Europe, Ted Neeley, John Travolta e molti altri. Nel 2020 la band si classifica come finalista al concorso nazionale “Tomorrow’s Jazz Festival 2020”, tenutosi presso il Teatro La Fenice di Venezia. Da maggio 2022 inoltre la band ha iniziato un progetto di collaborazione con Fabio Concato.
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Al largo
MichaelDavide Semeraro osb
In un inno della Liturgia monastica per gli Apostoli si canta così: «Lo Spirito soffia su di voi, uomini che prendono il largo, gettate in noi l’amo del desiderio di Dio e rilanciate il nostro cammino». Parole adattissime all’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, che il Vangelo di questa festa ci presenta in una luce almeno ambigua, per la richiesta maldestra di sua «madre» (Mt 20,20) che, nella tradizione della Chiesa, è legata al mare: dall’inizio a oltre la fine. È infatti in riva al «mare della Galilea» (Mc 1,16) che la sua storia di intimità con il Maestro comincia, ed è al cospetto dell’Oceano che la tradizione vuole sia conservata la sua tomba. Sappiamo dagli Atti che il desiderio di sua madre venne esaudito, poiché verso l’anno 44 Erode Agrippa «fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni» (At 12,2). La liturgia fa memoria di questo privilegio quando prega dicendo: «tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli apostoli, sacrificasse la vita per il vangelo» (Colletta). Ma come dimenticare la domanda postagli direttamente dal Signore Gesù al cospetto della madre intrigante: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». La risposta fu immediata e unanime:
«Lo possiamo» (Mt 20,22).
E così questi due apostoli-fratelli sono posti - dalla tradizione - agli estremi del tempo, nel dono della vita per Cristo e il suo vangelo: Giacomo per primo e Giovanni per ultimo, quasi a sigillo della partecipazione pasquale dell’intero gruppo degli apostoli:
«a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale» (2Cor 4,11).
L’apostolo Giacomo - che molto probabilmente non è mai uscito dai confini della sua terra - ha veramente gettato la rete della sua vita al largo. Quelle reti bucate che lui e il fratello «riassettavano» (Mt 4,21) sulla barca, con il loro padre, sono diventate un cuore che si è lasciato sprofondare nel mare del mistero di Cristo, fino a portalo pienamente come «un tesoro in vasi di creta» (2Cor 4,7). Le conchiglie che i pellegrini portano con sé, come ricordo del loro pellegrinaggio a Campostela, sono la memoria di questo desiderio di immergersi nell’oceano del mistero pasquale di Cristo, portandosi sempre di più «al largo» (Lc 5,4) del suo amore. Ed è così che si compie la parola del salmo:
«Nell’andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni» (Sal 125,6).
Chiamato assieme a suo fratello, Giacomo non ha smesso di seguire il Signore insieme ad altri e, di questo pellegrinaggio infinito, la sua tomba si fa punto di riferimento. Nella vita di fede non si possono cercare privilegi, neppure quelli di una maggiore vicinanza al Signore e Maestro della nostra vita: questo tradirebbe infatti la stessa logica del discepolato che, per sua natura, è vissuto in comunione. Nessuno è soltanto uditore e nessuno è solo protagonista, ma si cammina insieme senza troppi programmi e in docilità crescente alla logica della strada. La parola di ciascuno, sottomessa all’ascesi del silenzio, entra in armonia e in contrappunto con la parola dell’altro. Come spiega stupendamente un autore contemporaneo: nessuno può pensare di credere veramente alla verità se pensa di esserne l’unico discepolo e garante spinoso e solitario. Così afferma: «La verità vive nell’amore ma si sottrae alla sua gelosia». Chi infatti – pur con le migliori intenzioni - esclude l’altro, non fa che separarsi da una parte di se stesso poiché, come continua la citazione di cui sopra: «l’assoluto che si riceve è quello che si condivide» (P.A. LESORT, Une brassée de confessions de foi, Seuil, p. 191).
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Ursula Meier
https://www.unadonnalgiorno.it/ursula-meier/
Ursula Meier è una regista e sceneggiatrice svizzera.
Nata a Besançon, il 24 giugno 1971, si è laureata in Arti Visive in Belgio e ha iniziato lavorando come assistente di Alain Tanner nella seconda metà degli anni ’90.
Il suo esordio come regista è stato nel 1994 con il cortometraggio A corps perdu girato con il regista Cedrìc Havenith.
Nel 1996 è stata aiuto-regista sul set di Fourbi di Alain Tanner, è del 1999 il suo secondo cortometraggio Sleepless, seguito dal documentario Autour de Pinget.
Nel 1998 ha vinto il Premio Speciale della Giuria al Festival International du Court Métrage de Clermont-Ferrand e il Gran Premio Internazionale al Toronto Film Festival.
Nel 2001 ha abbandonato il registro drammatico per avvicinarsi alla commedia, con il cortometraggio Table manners che le è valso altri premi.
Nel 2003 ha scritto e diretto un film per la tv, per poi recitare nella commedia A stupid boy.
Il suo primo lungometraggio è stato Home, con Isabelle Huppert, del 2008, in cui racconta le vicissitudini di una famiglia che vive in un villino isolato situato nei pressi di un’autostrada chiusa, che con loro grande sorpresa e preoccupazione sta per essere riaperta, con tutte le spiacevoli conseguenze del caso. Il film, venne presentato durante la Settimana Internazionale della Critica al Festival di Cannes 2008. Ha ricevuto la candidatura ai Premi César 2009 nella categoria migliore opera prima, e ottenuto la nomination per la migliore fotografia e migliore scenografia.
Nel 2012 Ursula Meier ha fatto parte della giuria della selezione ufficiale della 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
Nello stesso anno, con Sister ha ricevuto una menzione speciale per l’Orso d’argento al Festival di Berlino e rappresentato la Svizzera nell’ambito dei film proposti per l’Oscar 2013 al miglior film straniero. Ha ricevuto una candidatura ai Premi Lumière 2013 (miglior film francofono) e una agli Independent Spirit Awards 2013 come miglior film straniero.
Ammiratrice di Jane Campion e Robert Bresson, Ursula Meier ama riprendere tanto i paesaggi della terra quanto quelli dell’anima.
La sua visione attiene soprattutto agli spazi, geometrie che si modellano nei movimenti dei corpi e delle emozioni, distanze o avvicinamenti, un contrappunto tra esterni e interni in cui si materializzano i sentimenti.
La Ligne, ultima fatica presentata in concorso al Festival di Berlino 2022 con Valeria Bruni Tedeschi è la storia di tre sorelle, una madre e una distanza forzata.
Un ritratto tutto al femminile in tensione rispetto a ciò che lo circonda e ai ruoli imposti, la linea è per la protagonista un punto da cui ricominciare imparando a esprimersi diversamente nel mondo, oltre i fantasmi infantili, con uno sguardo che sa ridefinire la realtà.
La grandezza di questa intensa regista sta nella sua abilità nell’analizzare la profonda ambivalenza dei legami emotivi. Esplora una vasta gamma di distanze flessibili in una miscela di emozioni istintive, cose non dette, sguardi e confini, visibili e invisibili.
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..La voce di un teologo martire..Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore, non in modo che ne risulti compromesso o indebolito l'amore terreno, ma in certo senso come punto fermo rispetto al quale le altre voci della vita suonano come contrappunto..(D. Bonhoeffer)..La voce di uno scrittore..Non chiederti..Chi sono gli altri per essere aiutati?..Chiediti..Chi sono io per non aiutarli?..(Fabrizio Caramagna)..
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La musica barocca porta al suo vertice estetico compositivo armonia e contrappunto, "il pop e il jazz" del '600. E se JS Bach è il maestro indiscusso dello stile barocco e della composizione in contropuntato, Vivaldi è il felice frequentatore del giardino armonico.
Nessuno è riuscito a superare in stile sapienza e controllo teorico e compositivo gli autori di questo fruttuosissimo periodo. Al punto che i successori dovranno cambiare radicalmente strada e metodi. E territorio di caccia. Inventandosi lo stile romantico.
Sul piano tecnico compositivo niente di meglio poteva essere detto e fatto.
Per questo dopo quattro secoli, ancora oggi ascoltiamo la musica barocca. Per la sua purezza e qualità estetica assoluta.
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J.S.Bach:French Suite #3 In B Minor, BWV 814 - Allemande / Murray Perahia
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Invito al pensiero di Ricoeur, Ermeneutica biblica
Fino a questo punto ho considerato il modo in cui l'identità narrazione è costruita in un contesto culturale. Ho spiegato come l'identità narrativa sia la conseguenza di un'interpretazione. Passiamo ora a considerare il carattere di identità narrativa plasmato da testi biblici. Dobbiamo chiederci, con Ricoeur: se Dio si rivela nei testi, come il lettore del testo può interpretare la rivelazione, e come forma se stesso grazie alla lettura del testo rivelato? Ricoeur assume che i testi biblici vadano affrontati allo stesso modo di altre opere letterarie: le scritture sono soggette alle stesse pratiche ermeneutiche. Per Ricoeur, il kerygma si trova nei testi nella forma in cui essi esistono: quella relativa a Dio non è una verità che possa essere scoperta una volta che la narrazione mitologica sia stata rimossa. Per Ricoeur l'aspetto unico dei testi biblici non è la loro origine, ma il loro essere riferiti a Dio. Non un Dio rivelato in forma di verità proposizionale, ma rivelato nella testimonianza di coloro la cui identità narrativa è stata modellata dall'incontro con i testi biblici. Ricoeur non offre un unico metodo ermeneutico per l'interpretazione delle Scritture, ma applica diversi strumenti interpretativi a seconda della varietà di generi biblici. Il significato viene trovato tramite la critica storica, le letture strutturaliste e narrative, e la critica letteraria. Inoltre l'autore sostiene che siano possibili letture differenti in diverse circostanze. Egli insiste sul fatto che il suo approccio ai testi biblici è dettato dalla loro natura di raccolta di scritti di diversi generi, con una dinamica interna che comprende l'interpretazione intertestuale. In Essays on Biblical Interpretation Ricoeur elenca cinque forme di discorso, ovvero cinque generi, presenti nella Bibbia: narrativa, prescrittivo, sapienziale, innico e profetico. Egli sostiene che ognuno deve essere considerato olisticamente: il significato non può essere estratto dal testo separandolo dalla sua forma linguistica: i generi letterari della Bibbia non costituiscono una facciata retorica che sarebbe possibile abbattere in modo da rivelare il significato. Al contrario, per Ricoeur sono veicolo irrinunciabile della rivelazione. Ciascuno dei testi biblici deve essere interpretato nei suoi termini e compreso come rivelatore di un aspetto di Dio. Insieme, essi incarnano una forma di rivelazione che è pluralistica, polisemica e che rappresenta un rapporto complesso tra umano e divino. In sintesi, i testi narrativi descrivono eventi che "fanno la storia" e hanno plasmato la comunità. La lettura di Ricoeur dei testi narrativi è stato fortemente influenzata dal lavoro di Gerhart von Rad sulla storia della salvezza, che ha individuato la liberazione degli Israeliti dalla schiavitù come la narrazione fondamentale del popolo di Dio. Ricoeur ha sostenuto che la narrazione fornisce la correzione di altri testi in cui la presentazione di Dio può sembrare monolitica, come nei testi prescrittivi. I brani prescrittivi, espressi in codici legali, chiamano all'obbedienza; mentre, nel contesto narrativo, un nuovo patto funge da dimostrazione che il rapporto tra divino e umano è in evoluzione. I testi sapienziali sono testi della memoria, espressione di una rielaborazione del proprio passato in funzione del proprio futuro. I testi profetici fungono da contrappunto alla narrazione, offrendo una promessa data alla comunità che ha costituito se stessa attorno alla narrazione biblica e che è chiamata a rispondere alla rivelazione attraverso un'azione sociale. Infine gli inni esprimono la risposta degli individui e della comunità a Dio, il Dio che benedice e invita espressioni di gratitudine. Tutti questi generi costituiscono un insieme che Ricoeur identifica come un testo poetico, che rivela una nuova realtà in cui tutti sono invitati a partecipare. Vivere nel mondo narrato dalla Bibbia significa avere fede, significa entrare in un patto con Dio e essere parte di una nuova creazione.
https://www.religion-online.org/book/essays-on-biblical-interpretation/
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