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Yemen: gli Houthi sono terroristi?
Il gruppo Houthi, nato nel nord dello Yemen, è nuovamente nel gruppo di "terroristi globali" designati dagli Stati Uniti. La decisione, resa nota dal consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, segue i continui attacchi e minacce da parte del gruppo armato ribelle. Non è la prima volta che il gruppo yemenita viene designato come terrorista. Possiamo davvero considerarli così? Chi sono gli Houthi, i ribelli dello Yemen Il termine Houthi è quello più comunemente usato per definire un gruppo armato yemenita, prevalentemente sciita, nato nel 1992 sotto la guida, appunto, di Ḥusayn Badr al-Dīn al-Ḥūth. Il vero nome del movimento è Ansar Allah, che in arabo significa "Partigiani di Dio". Deriva da un primo nucleo, chiamato "Gioventù credente", nato nel governatorato di Sa'ada, nello Yemen del Nord. L'obiettivo del gruppo era promuovere la rinascita dello zaydismo sciita nel Paese e l'autonomia delle regioni del nord. Come ben sappiamo, l'Islam non è un monolite ma al suo interno si consuma un'importante frattura tra sciiti e sunniti nata per questioni di successione alla morte di Maometto. I sunniti, il cui credo si basa sugli insegnamenti del Profeta, sono sempre stati la maggioranza rispetto agli sciiti che riconoscono gli imam come loro guida. L'Iran è l'unico Paese a maggioranza sciita e rappresenta un punto di riferimento per il mondo sciita. Lo Yemen, dal canto suo, è l'unico Paese del mondo musulmano a contemplare seguaci sciiti della variante dello zaydismo. Gli Houthi nella storia araba Con l'invasione Usa dell'Iraq, nel 2003, il gruppo Ansar Allah ha manifestato posizioni antiamericane e antiisraeliane tanto da entrare in conflitto con il regime yemenita di Ali Abdallah Saleh che ne ordinò la repressione. Durante la primavera araba in Yemen si ebbero molte manifestazioni di piazza contro Saleh alle quali parteciparono anche gli Houthi. In quel periodo assunsero il controllo di regioni strategiche del Paese. Da allora lo Yemen vive una situazione politica caratterizzata da una profonda divisione: da un lato ci sono gli Houti che conservano il controllo di una parte del Paese e godono del sostegno dell'Iran, dall'altro il governo sostenuto dal 2015 da una Coalizione internazionale con a capo l’Arabia Saudita e riconosciuto dalla comunità internazionale. Terroristi globali Gli Houthi hanno, ormai, preso il controllo del Golfo di Aden, punto di passaggio strategico per le navi mercantili che viaggiano tra l'Europa e l'Asia. Per i loro ripetuti attacchi a navi internazionale gli Stati Uniti di Biden hanno riconsiderato la designazione di terroristi globali. Nelle ultime settimane del suo mandato Donald Trump aveva già inserito gli Houthi nell'elenco dei terroristi e nel febbraio 2021, l'amministrazione Biden li aveva rimossi. Ora il nuovo cambio di passo anche se la decisione, come ha reso noto lo stesso consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, potrà essere revocata in mancanza di altri attacchi pirati. La designazione entrerà in vigore tra 30 giorni, il tempo necessario per garantire aiuti umanitari alla popolazione. Non dimentichiamo, infatti, che nello Yemen si sta consumando una delle crisi umanitarie più gravi del mondo. In copertina foto di jones814 da Pixabay Read the full article
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Bombardamento USA-UK sullo Yemen. L'imponderabilità della diplomazia e la necessità della guerra.
Bombardamento su Sana’a, 2015. In Yemen c’è una guerra da oltre 9 anni, scaturita dalla precedente Primavera araba a guida occidentale del 2011: il presidente Ali Abdullah Saleh venne spodestato e rimpiazzato da Abd Rabbuh Mansour Hadi, un sunnita benvisto da Arabia Saudita e Stati Uniti d’America, ma tra il settembre 2014 e il febbraio 2015 il gruppo armato sciita degli Huthi, con ampio…
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#Ali Abdullah Saleh#Arabia Saudita#Crisi#genocidio#Gran Bretagna#Guerra#onu#Russia#Stati Uniti d&039;America#Yemen
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Valle dei Templi di Agrigento: antiche meraviglie della Sicilia
La Valle dei Templi di Agrigento è una delle più grandi attrazioni turistiche della Sicilia, con un patrimonio antico che risale al VI secolo a.C. Situata sulla costa meridionale dell'isola, questa valle è un sito archeologico di rilevanza mondiale, che offre una visione della grande civiltà greca e romana. La valle si estende per circa 1300 ettari e comprende molte rovine antiche, come templi, basi e muri di fortificazione. La maggior parte delle rovine si trovano lungo il lato orientale della valle, con una vista panoramica sui campi circostanti e sul mare Ionio. I templi antichi presenti nella Valle dei Templi di Agrigento includono il Tempio della Concordia, il Tempio di Giunone, il Tempio di Zeus e il Tempio di Ercole. Ogni tempio ha una propria storia e importanza archeologica. Il Tempio della Concordia è uno dei templi meglio conservati della Valle dei Templi, costruito tra il 440 e il 430 a.C. Questo tempio dorico, dedicato alla dea della pace, fu trasformato in una chiesa cristiana nel V secolo e servì come rifugio per i cristiani durante la persecuzione romana. Dopo la conquista araba, il tempio fu trasformato in una moschea e infine in una chiesa cristiana. Il Tempio di Giunone, costruito tra il 450 e il 430 a.C., era dedicato alla dea della fertilità e fu riparato e modificato molte volte durante il corso della sua storia. Durante il periodo normanno, fu riparato e trasformato in chiesa cristiana. Il Tempio di Zeus è uno dei templi più grandi della valle e fu costruito tra il 480 e il 470 a.C. per celebrare la vittoria dei greci contro i cartaginesi nella battaglia di Imera. Il tempio subì molti danni nel corso degli anni, uno dei quali fu causato da un terremoto nel IV secolo d.C. Il Tempio di Ercole, costruito alla fine del V secolo a.C., era dedicato al dio della forza e dell'eroismo. Il tempio fu distrutto durante le guerre puniche e successivamente ricostruito dai romani. La valle offre inoltre molte altre attrazioni culturali, come le terme romane, le necropoli, le mura della città e le torri di avvistamento. Il Museo Archeologico Regionale di Agrigento è situato nella valle e offre una vasta raccolta di opere d'arte e manufatti archeologici, tra cui vasi, monete e statue. Il museo fa parte del parco archeologico, che offre una guida audio in diverse lingue per i turisti che vogliono saperne di più sulla storia della Valle dei Templi. Nonostante l'antichità della valle, il territorio presenta diverse ecosistemi che possono essere esplorati durante l'escursione. Il Giardino della Kolymbetra, creato dagli antichi agrigentini nel IV secolo a.C., è stato restaurato recentemente e offre una varietà di alberi di frutta, piante e floricoltura che si può annusare attraverso un percorso dedicato. La Valle dei Templi di Agrigento può essere visitata in qualsiasi momento dell'anno, ma il periodo migliore per godere della bellezza del luogo è la primavera, quando la fioritura rende il paesaggio ancora più spettacolare. Infine, la valle offre un'ampia scelta per quanto riguarda l'alloggio e il cibo. Ci sono molte opzioni di alloggio a portata di mano tra cui agriturismi, hotel, B&B e case vacanze. I ristoranti locali servono piatti tipici della cucina siciliana come pasta con le sarde, caponata, melanzane alla parmigiana, ricotta fresca e la famosa cassata siciliana. La Valle dei Templi di Agrigento è un luogo di grande interesse archeologico e storico che offre ai visitatori una magnifica esperienza culturale nel cuore della Sicilia. Un luogo imperdibile per chiunque voglia esplorare la bellezza e la storia della Sicilia. Foto di Benoit_Brochet Read the full article
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CIAO ANDREA…
Andrea Purgatori è scomparso a Roma a 70 anni. Giornalista, scrittore, sceneggiatore, cercava la Verità e la raccontava. Dal 2017 lo faceva (anche) sulle pagine di Style Magazine. Il nostro ricordo
Andrea Purgatori (Roma, 1/2/1953-Roma, 19/7/2023). Foto Getty
Andrea Purgatori aveva 70 anni. Era giornalista, scrittore, saggista, autore, sceneggiatore. Nato a Roma l'1 febbraio 1953, è deceduto stamattina, nell'ospedale dove era ricoverato, per una grave e fulminante malattia. La notizia l'hanno comunicata i figli Edoardo, Ludovico, Victoria e la famiglia all'ANSA. Dal 2017 era collaboratore eccellente di Style Magazine. Il nostro ricordo lo apre Michele Ciavarella.
«Ciao Andrea, come stai? Fantastica la puntata di ieri sera. Hai già pensato a che cosa scrivere per il prossimo numero? Ti do soltanto la deadline: lunedì della prossima settimana. A presto, baci. Michele».
Stesso messaggio in email e su Whathsapp. «Ok, non preoccuparti». E spariva. Fino all’ultimo giorno quando lo imploravo: «Mi dici che cosa scrivi?». E giù proposte su proposte. Su cui si intrometteva Alessandro Calascibetta, per suggerire, per spostare l’obiettivo, per calibrare. Un dialogo a tre che mi ha riempito di esperienze.
Per anni, Andrea Purgatori su Style Magazine ha avuto un appuntamento mensile: History Repeating, una rubrica diventata un modo per legare l’attualità alla Storia. Nei primi anni attraverso la cronaca, poi attraverso il Cinema: ne era un conoscitore amante e pensante. E ogni mese, stabilito l’argomento, spariva di nuovo. E io a tremare per la chiusura. Il pezzo arriva sempre, magari scritto di notte e inviato alle 4 del mattino (lo certificava l’email). Perfetto, senza sbavature, bastava calarlo in pagina e titolarlo.
Che piacere leggerlo! E quante notizia, quanta storia, quanti ricordi personali che sapeva trasferire suscitando interessi inconsapevoli. E ogni volta in me affiorava il ricordo di me giovane praticante a il manifesto, in via Tomacelli a Roma. Nella redazione che era nello stesso palazzo di quella del grande Corriere della Sera. E lui già giornalista famoso che svettava sugli altri anche per prestanza fisica.
E mi ricordo le sue cronache e le inchieste su Ustica: una scuola di giornalismo. Le sue e quelle di Daria Lucca, la cronista di giudiziaria del manifesto: indagavano in tandem fin dalla prima notte. Leggendoli, ho imparato a scrivere.
Finché a una mia email non risponde. Non risponde neanche su Whatsapp e non vedo la spunta blu della lettura. E vado in ansia: la chiusura si avvicina inesorabile. Lo tempesto di messaggi e lui, finalmente, mi risponde: «Michele non posso garantirti la consegna, sto facendo una terapia pesante». Capisco tutto. Una doccia fredda. Non voglio crederci. Non ho il coraggio di chiedere nulla.
Avrei preferito che non mi avesse risposto. Chiedo ad Alessandro Calascibetta se per favore può informarsi lui. Si informa, ma l’ottimismo della speranza non è quello della vita. E poi arriva oggi. Che tristezza Andrea, che dispiacere (Michele Ciavarella)
ANDREA PURGATORI, DETECTIVE DELLA VERITÀ
Per anni, al Corriere della Sera (inviato dal 1976 al 2000), Andrea Purgatori si è occupato di terrorismo, intelligence, criminalità. Si dedicò con tenacia alla strage di Ustica del 1980. Nel 1992 scrisse, sul tema, la sceneggiatura del film Il muro di gomma di Marco Risi (Nastro d'argento per il miglior soggetto). Con la stessa intensità seguì la scomparsa di Emanuela Orlandi, la cattura di Totò Riina. Prima, aveva seguito il Caso Moro. Dopo “coprirà” la guerra tra Iran e Iraq, la prima guerra del Golfo, l'Intifada, lo scoppio della Primavera araba.
Autore di reportage investigativi, ha condotto con successo su La7 Atlantide. In precedenza aveva collaborato come autore e conduttore con la Rai. Docente di sceneggiatura, consigliere degli autori (era presidente della sezione "indipendente" della Mostra del Cinema di Venezia "Le giornate degli autori”), tra i suoi ultimi lavori la partecipazione al documentario Vatican Girl proprio sul caso di Emanuela Orlandi (su Netflix). Per la sceneggiatura di Il giudice ragazzino, la storia del giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia nel 1990, vinse il Globo d'oro nel 1994.
Con il suo punto di vista investigativo (amava il noir e le detective story...), era dal 2017 collaboratore regolare di Style Magazine. La sua rubrica History Repeating raccontava il nostro oggi "usando" le immagini e le storie e i personaggi del cinema del passato. L'ultimo articolo, del numero di giugno 2023, lo trovate qui: i volti di Faye Dunaway e Jack Nicholson in Chinatown di Roman Polanski. Le nostre guerre per l'acqua erano già tutte in quel film del 1974 e nella Los Angeles Anni 30 che raccontava, ci svela Andrea...
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Sabatini: "Offerta araba vera per Allegri arrivata due mesi fa. Ha detto no perché non vuole essere il più ricco del cimitero"
JUVENTUS.COM – PLAYER PROFILE, JOSEPH NONGE Sul proprio sito ufficiale, la Juventus si sofferma su un approfondimento delle qualità di Joseph Nonge, centrocampista belga della Primavera bianconera: ” Dopo gli approfondimenti su Tommaso Barbieri e Dean Huijsen, è il momento di… LIVE TJ – ALLENAMENTO TERMINATO. DOMANI ALLE 12 PARLERÀ ALLEGRI 13:14 – ALLENAMENTO TERMINATO – La Juventus, tramite il…
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Il senatore John McCain non era un politico qualsiasi. Da vent’anni era a capo dell’International Republican Institute (Iri), il ramo repubblicano di un’organizzazione governativa (il Ned) parallela alla Cia. L’Iri era un’agenzia intergovernativa, il cui budget viene annualmente approvato dal Congresso, in un capitolo di bilancio che fa capo alla Segreteria di Stato, ovvero al ministero degli Esteri. L’Iri, come il Ned o il National Democratic Institute (Ndi) erano tutti bracci diplomatici occulti della Casa Bianca, il lato gentile e democratico della Cia. Brigavano per sovvertire governi e rovesciare regimi, senza però usare le armi, facendo leva sui meccanismi propri delle democrazie e sul controllo dell’opinione pubblica. Era stato McCain la mente della rivoluzione che ha detronizzato Slobodan Milosevic dalla presidenza della Serbia, colui che aveva cercato più volte di rovesciare il governo di Hugo Chavez in Venezuela, l’ideatore della rivoluzione arancione in Ucraina nel 2004 e di Maidan nel 2013. McCain era stato il grande manovratore della Primavera araba e di tutte le sue rivoluzioni (Iran, Tunisia, Egitto, Libia, Siria). «Difficilmente McCain agiva senza prima essersi consultato con il segretario di Stato o con la Casa Bianca. Si può dire che McCain fosse il ministro degli Esteri ombra degli Stati Uniti, colui che faceva ciò che doveva essere fatto ma che non si poteva far sapere all’opinione pubblica», ha spiegato l’ex senatore Usa Mike Gravel.
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Come confermò qualche giorno dopo lo stesso direttore della comunicazione del suo staff Brian Rogers, il senatore dell’Arizona si recò illegalmente vicino a Idlib attraverso la Turchia, per incontrare alcuni leader della «opposizione armata siriana». Come avviene sempre in queste occasioni solenni di diplomazia, l’incontro venne documentato fotograficamente. Tre scatti di gruppo: due fuori da un edificio con degli strani disegni sulla porta d’entrata, uno nel corso di una riunione in una stanza col pavimento ricoperto di tappeti. Presumibilmente, si trattava di un edificio governativo, vista la presenza di una bandiera siriana accanto alla scrivania che dominava la stanza. Tre fotografie che in un sistema informativo sano dovrebbero rappresentare la pistola fumante che dimostrava quanto fossero stretti i legami tra gli Stati Uniti e l’Isis. Le immagini ritraevano Mohammad Nour, Salem Idriss, Abu Mosa, John McCain e Ibrahim al Badri. Il primo era il portavoce del Fronte al Nusra (al Qaida in Siria). Il secondo era il capo dell’Esercito siriano libero (responsabile in Siria di raccapriccianti massacri). Il terzo era il portavoce dell’Isis, il quarto era il nostro eroe statunitense. L’ultimo era noto anche come Abu Du’a, e figurava nella lista dei cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti (dieci milioni di dollari di ricompensa). Il suo nome di battaglia era Abu Bakr al Baghdadi, il leader dello Stato islamico, meglio conosciuto come Isis. Il quinto è il «califfo » a capo dell’Esercito islamico dell’Iraq e del Levante, ovvero dell’Isis.
Franco Fracassi - The Italy Project
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Accadde Oggi: 14 Gennaio 2011
Il presidente della Tunisia Zine El Abidine Ben Ali lascia il paese per fuggire in Arabia Saudita, dopo una serie di manifestazioni di piazza contro il suo regime e contro la polizia corrotta e violenta, manifestazioni che chiedevano libertà, diritti e democrazia. Questa data è considerata come l’anniversario della Rivoluzione Tunisina e la nascita della Primavera Araba.
Continua su Aforismi di un pazzo.
#Accadde Oggi#14 Gennaio#2011#Tunisia#Zine El Abidine Ben Ali#Arabia Saudita#Rivoluzione Tunisina#Primavera Araba#Aforismi di un pazzo#Stefano Zorba
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L'uomo che vendette la sua pelle, di Kaouther Ben Hania (2020)
L’uomo che vendette la sua pelle, di Kaouther Ben Hania (2020)
di Andrea Lilli – Fanno strani scherzi, le parole del cuore. Per un “Ti amo!” perdiamo la testa, sfidiamo la sorte, giriamo il mondo quanto è tondo, ci giochiamo corpo e anima, non abbiamo più dubbi: puntiamo tutto lì, su quel punto esclamativo. Quando in treno la bella Abeer cede all’istinto e gli confessa di amarlo, Sam non si contiene dalla gioia. “Amici”, grida euforico agli sconosciuti…
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#Kaouther Ben Hania#Mercato dell&039;arte#Monica Bellucci#primavera araba#re-movies#recensioni film#registe#removies#rifugiati#Siria#Yahya Mahayni
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“Ci sono poche opinioni più condivise di quella che indica come un fallimento le rivolte arabe - scrive su Foreign Affairs Marc Lynch, professore alla George Washington University, accreditato come l’analista che lanciò la definizione di Primavere arabe - Ma sarebbe una conclusione affrettata: quelle rivolte hanno completamente cambiato ogni possibile dimensione della politica araba”.
Ma non solo della politica. Le società stanno pagando un prezzo altissimo: guerre, repressioni, crisi economica, terrorismo scavano le vite degli abitanti dei paesi arabi che vennero investiti dall’onda del 2010.
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#AbdelazizBouteflika non è più il #presidente dell'#Algeria, costretto a lasciare la carica dalle #proteste nelle piazze. Quanto a lungo manterranno il #comando i #militari adesso? Abdelaziz Bouteflika ha annunciato le dimissioni dopo vent’anni al potere. Lunedì i media algerini avevano rivelato per primi la decisione di Bouteflika, 82 anni, di lasciare la presidenza.
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Nel 2009 i disordini di piazza iraniani erano alimentati da Twitter. Nel 2011 l’uso di Facebook da parte della Primavera araba ha mostrato al mondo che cosa stava succedendo al Cairo. Un anno dopo il movimento Occupy diffondeva la sua protesta su YouTube. Oggi la Rivoluzione degli ombrelli a Hong Kong usa Bluetooth per aggirare la censura di Internet. Nessuno di questi movimenti, però, ha prodotto mutamenti politici, economici e sociali della portata di quelli conseguiti dallo Stato Islamico. Da sole, la tecnologia moderna e una chiara comprensione del funzionamento del nostro mondo multipolare non sono sufficienti per avere successo. È possibile che le “sollevazioni dello smartphone”, inclusa la Primavera araba, abbiano fallito laddove lo Stato Islamico è riuscito perché quest’ultimo è governato da un’élite di professionisti che guida la massa, mentre le prime sono in balia della costante interazione e partecipazione della gente? Se è così, il modello di costruzione statale dello Stato Islamico è più moderno di quello della Primavera araba? Sono domande spaventose che le democrazie e gli stati legittimi devono porsi se vogliono impedire la proliferazione di una nuova ondata di autoritarismo.
Loretta Napoleoni, ISIS - Lo Stato del terrore, Feltrinelli, 2014; pp.117-18
#Loretta Napoleoni#Napoleoni#ISIS - Lo Stato del terrore#ISIS#medio oriente#medioriente#Occupy#Occupy Wallstreet#rivoluzioni colorate#amministrazione obama#Facebook#guerra per procura#terrorismo#guerra#rivoluzioni#rivoluzione#Stato Islamico#Primavera araba#Primavere arabe#democrazia#libertà
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Tunisia e Marocco: il cuore del Maghreb
Tunisia e Marocco rappresentano il cuore del Maghreb, la regione geografica e culturale situata nel nord dell'Africa e affacciata sul Mar Mediterraneo, luogo di grande diversità e storia millenaria. Il termine "Maghreb" deriva dall'arabo e significa "luogo in cui tramonta il sole", indicando la sua posizione occidentale rispetto al mondo arabo. La regione, infatti, è composta da cinque Paesi unici tra cui Algeria, Libia e Mauritania, il Maghreb è un crocevia di culture, tradizioni e influenze globali che si intrecciano in un affascinante mosaico di identità. Tunisia e Marocco: antiche civiltà immerse in una sinfonia di colori e cultura La Tunisia, con la sua storia che risale all'antica Cartagine e all'Impero Romano, è una culla di civiltà millenarie. La città di Cartagine è stata un importante centro commerciale nell'antichità, mentre la città di Tunisi mescola tradizioni arabe, berbere ed europee. La Tunisia è stata anche la culla della Primavera Araba del 2010-2011, che ha scosso la regione e portato importanti cambiamenti politici. Il Marocco, con le sue città vibranti, mercati affollati e paesaggi variegati, è una terra ricca di contrasti. Dalla sontuosità delle città imperiali come Marrakech e Fes alle tranquille spiagge della costa atlantica, anche il Marocco incarna un affascinante mix di cultura araba, berbere e influenze europee. I suoi colori vivaci, l'artigianato intricato e l'architettura moresca riflettono la sua ricca storia e il suo presente vibrante. Algeria, Libia e Mauritania tra montagne, deserti, dune e oasi L'Algeria è una nazione di contrasti geografici, dalla catena montuosa del Tell Atlas ai vasti deserti del Sahara. Con una storia segnata dalla colonizzazione francese e dalla lotta per l'indipendenza, l'Algeria ha sviluppato una forte identità nazionale. Il Paese è anche conosciuto per le sue tradizioni musicali, letterarie e culinarie, che riflettono la diversità etnica della sua popolazione. La Libia è una nazione vasta e variegata, con un paesaggio che va dalle dune del deserto del Sahara alle coste mediterranee. La storia della Libia è stata influenzata da popoli nomadi del deserto e da imperi antichi, creando una cultura unica. Tuttavia, il Paese ha anche affrontato instabilità politica e conflitti dopo la caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011. La Mauritania, situata prevalentemente nel deserto del Sahara, è una terra di tradizioni nomadi e cultura berbere. L'arte del tappeto, la musica e la poesia hanno una presenza centrale nella vita quotidiana del popolo mauritano. Tuttavia, il paese ha anche affrontato sfide legate alla povertà e all'accesso alle risorse. Influenze globali e sfide comuni Sebbene ognuno di questi Paesi abbia la propria identità culturale e storica, condivide anche sfide comuni. La lotta per l'istruzione, lo sviluppo economico sostenibile, la sicurezza regionale e la promozione dei diritti umani sono temi che attraversano le nazioni del Maghreb. Inoltre, la regione è stata influenzata da eventi globali come la migrazione e la lotta al terrorismo. Il Maghreb è una regione in costante evoluzione, con una mescolanza di tradizioni antiche e influenze contemporanee. Le sfide e le opportunità che i paesi del Maghreb affrontano oggi plasmeranno il loro futuro e avranno un impatto sulla stabilità della regione e oltre. Il Maghreb è una terra di diversità e complessità, con una ricca storia e una vibrante vita culturale. Mentre queste nazioni continuano a cercare il loro posto nel mondo contemporaneo, è fondamentale riconoscere la loro unicità e affrontare le sfide che incontrano insieme. In copertina foto di Antonios Ntoumas da Pixabay Read the full article
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¡El Salón Europeo de la Formación y el Empleo - DIGITAL GENERATION, celebrado el 10 y 11 de marzo en el @hotelnhirunapark de Pamplona, protagoniza nuestro nuevo Unibertsitateko Aldizkaria @elperiodicouniversitario! ¡Todas las noticias aquí! 👇 https://issuu.com/periodicouniversitario/docs/perio_dico_universitario_unibertsit_584c047b387061 @laboral_kutxa @ied_kunsthal @upvehu_gara @upna.nup @uneduniv @munibertsitatea @udeusto @universidaddenavarra @ikaslaneuskadi @hetelfp @happyerasmusbilbao @consejuvna @gazteaukera @gobiernovasco @gobierno_navarra @cambridgeenglishspain @linguaskill @futuroscope @grupo_esa @museoguggenheim @uocxtended @caixabank @flleuskadi @redbullpaperwingsyale @vifit_training @adrianamaldonadol @creanavarra @epna_navarra @unirioja @upfbarcelona @universidadsanjorge @ucjc_universidad @escuelatai @u_tad @fpminmaculadapamplona @impulsadeporte @ilernaonline @eslidiomas @foroeuropeo @comunidadresa @ctlformacion @esicbusinessschool @cicnanogune @dipc.ehu @csic @cic_biomagune @biodonostia @tecnun @eurekazientziamuseoakutxa @bcbl_basque_center @elhuyar.eus @fecyt_ciencia @filmotecavasca @sansebastianfes @aspegigipuzkoa @artium_museoa @irudilab @bilbao_udala @bilbaogazte @donostiakultura #primavera #periodismo #euskadi #paisvasco #universidad #universidades #campus #aula #gipuzkoa #bizkaia #araba #navarra #nafarroa #pamplona #iruña #cultura #ocio #ciencia #feminismo #rusia #ucrania #cine #derechoshumanos #noticias #noticia #news #periodico #formacionprofesional #fp #educacion https://www.instagram.com/p/CcFMKQwtZAH/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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RIACE
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Per la gestione dei migranti, per questo suo famoso sistema di accoglienza diffusa, un sistema ammirato in tutto il mondo, e su cui è venuto a girare un cortometraggio persino Wim Wenders, qui sono arrivati fino a 3 milioni di euro l'anno. E però, colpisce. Provi a capire come era Riace, ora che è tutto finito, cosa era, cosa non ha funzionato: e non trovi un numero. Quanti abitanti effettivi ha, per esempio, a prescindere dal dato formale dei residenti? Cioè, quale era realmente la proporzione tra italiani e stranieri? E gli italiani, che età hanno, in media? E che reddito? Quanti migranti sono stati qui? Più di 6mila, dicono. Ma che significa? Per quanto tempo? E ora, dove sono? Riace gli è stata utile? Hanno imparato, tipo, un po' di italiano? E queste associazioni a cui era affidato tutto, che bilancio avevano? E quanti dipendenti? Selezionati come? Quante spese organizzative rispetto alle spese sostanziali?
In tutti questi anni, è stato rendicontato poco o niente.
E spesso, in modo solo generico.
L'unico numero certo qui è quello che il 26 maggio, quando è stato eletto il nuovo sindaco, è stato battuto dalle agenzie di stampa di mezzo mondo. 24. I voti per Mimmo Lucano.
Ed è un numero sbagliato.
24 sono i voti che ha avuto la lista di Fratoianni alle Europee.
Eppure, Riace non ha che 2.313 abitanti. La stazione è un binario e basta, senza biglietteria né niente. Poi c'è una farmacia, e di fronte, un bar e un tabaccaio. Fine di Riace Marina. Che è una delle due parti di cui si compone Riace, ed è sostanzialmente una fila di villette strette tra il mare e la statale. 300 metri più su, a sette chilometri, c'è Riace Superiore. Con la piazza del municipio, la chiesa, un bar, una salumeria e un piccolo alimentari, altri due bar e il tabaccaio. Sono collegate da due corriere al giorno. E cioè, dall'autostop.
Il primo che si ferma ha un fuoristrada da oltre 40mila euro. E quando gli dico che sono una giornalista, mi dice subito: L'ho comprato a rate. Fa il muratore.
Sono quasi tutti operai, qui. E, curioso: molti hanno un SUV. Moltissimi.
E hanno tutti lavorato nell'accoglienza.
Tra progetti ordinari e progetti di emergenza, tra SPRAR e CAS, Riace aveva circa 300 posti. Ma a tratti, in base agli sbarchi, in base a guerre e carestie, i migranti erano più del doppio. Gestiti da Città Futura, l'associazione fondata nel 1999 da Mimmo Lucano, e altre sei associazioni minori. Ma capire come, è complicato. Google non ha molte informazioni. E quindi, l'unica è telefonare alle associazioni. Una a una. Inizio dal Girasole. Da Maria Taverniti, la sua presidente. Mi hanno detto che è a casa, vorrei chiederle se posso passare un momento. Ma mi dice: Non sono a Riace. Dico che sto qui tutta la settimana, mi dice: Non so quando torno. Chiedo allora se posso passare in sede. Mi dice che è chiusa. Se posso parlare con uno degli operatori. Mi dice che non c'è più nessuno. Chiedo se c'è un sito web da cui avere un'idea delle attività. Non c'è. Un documento, un volantino, un vecchio articolo di cronaca locale: niente.
Non trovi un pezzo di carta, qui.
In compenso, trovi le intercettazioni della Guardia di Finanza. Che ha indagato su Riace per 18 mesi. Il 2 settembre 2017 Mimmo Lucano è con Cosimina Ierinò, la sua segretaria. Ed è inferocito. Sono arrivati i fondi da Roma, e ha girato al Girasole 95mila euro: ma i fornitori continuano a chiamarlo, perché non sono stati pagati. E anche gli operatori. 95mila euro. E non bastano? "Sono dei ladri matricolati!", dice.
Dal Girasole si difendono, dicono che hanno pagato quello che hanno potuto. Che quella è solo parte dei fondi. Che quando da Roma arriverà il resto, pagheranno il resto. Ma Cosimina Ierinò è lapidaria. "Si sono fregati tutto", dice.
E la Guardia di Finanza ha decine di intercettazioni così.
Secondo la Procura di Locri, guidata tra l'altro da una toga rossa, Luigi D'Alessio, che ha ripetuto più volte alla stampa che su Riace spera davvero di essersi sbagliato, nei tre anni esaminati quasi il 30 percento dei fondi è stato usato per tutto tranne che per i migranti. Per intestarsi case. Per ristrutturare e arredare immobili estranei ai progetti di accoglienza, per concerti e festival vari. E dai conti correnti delle sette associazioni mancano all'appello 2 milioni di euro: prelevati senza giustificazione contabile. Di certo, parte sarà stata spesa per i migranti. E sarà dimostrato in aula. Ma altrettanto di certo, molte delle fatture in archivio sono, diciamo, discutibili. Per una delle case risultano comprati 87 materassi e 131 cuscini, un cartolaio ha venduto mobili. E una Fiat Doblò ha avuto rimborsi benzina per 695 km al giorno.
Il 30 agosto 2016 una 32enne del Ghana ha incassato un assegno di 10.591 euro per due mesi di lavoro. Fa treccine ai capelli.
Il 22 agosto 2017 Tonino Capone, presidente di Città Futura, parla con un amico, e spiega che preferisce spendere i fondi che avanzano, piuttosto che restituirli a Roma a fine anno. "Se si deve trovare qualcosa andiamo, e troviamo un po' di fatture [...] Che so, ci sono 3mila euro, ci sono 10mila euro che devono ritornare indietro. Andate, e vi scegliete una camera per i ragazzi [...] Ma mica gli torno i soldi indietro".
Si sente Mimmo Lucano dire: "Quello che ho scoperto è devastante".
Con altri 26 imputati, è accusato ora di associazione a delinquere per reati contro la pubblica amministrazione. Il processo è iniziato l'11 giugno.
Bahram Acar aveva 32 anni, quando è sbarcato sulla spiaggia di Riace. E ricorda ancora quella notte. In cui al buio, cercava la strada per Roma. Era il 1998. All'epoca, non esistevano SPRAR e CAS, CIE e CARA, e quindi, semplicemente, si è trovato un lavoro. "Negli ultimi tempi", ammette, "Riace non era che un parcheggio. I migranti avevano tutto pagato. Anche le sigarette. E quindi, ciondolavano tutto il giorno", dice. "Ma anche le associazioni. Assumevano amici e parenti, invece di operatori qualificati. Erano in 10 per 10 migranti. Non aveva più senso", dice. Dicendo quello che ti dicono tutti, qui. Ma proprio tutti. Delineando una parabola che inizia nel 1998. Inizia con quel primo peschereccio alla deriva. E per dieci anni, tutto viene gestito in modo artigianale. Ma inappuntabile. Di quei 2.313 residenti, 470 sono stranieri che si sono fermati qui. Di 38 diverse nazionalità. "Poi, però, i numeri sono cambiati", dice Adelina Raschellà, l'edicolante. "Ed è saltato tutto", dice. E per numeri, non intende i numeri dei migranti: intende i fondi. I fondi pubblici. Perché sono aumentati i migranti, sì. Ma il denaro: è quello che ha sfasciato tutto. Qui che così tanto denaro non si era mai visto. Era il 2011. Era la Primavera Araba. "Si era sparsa la voce che a Riace aprivano la porta a tutti, e telefonavano da tutta Italia, magari alle due di notte, chiedendo: possiamo inviarvene altri duecento, domani?", dice. E qui nessuno si tirava indietro. "Perché qui siamo tutti migranti noi per primi", dice.
"Ma è stato un disastro".
Anche perché i fondi, qui come altrove, arrivavano con mesi di ritardo. E quindi Mimmo Lucano ha rimediato con i cosiddetti bonus: i migranti ricevevano delle banconote con Marx e Mandela che i commercianti poi convertivano in euro quando Roma, infine, pagava. "Ma era insostenibile", dice Maria Chillino, della macelleria. "Un conto è se sei la Conad, coperto da una sede centrale. Ma noi intanto dovevamo saldare la merce. Le bollette". Tira fuori scatole e scatole di banconote colorate. Ha ancora 16mila euro di crediti. "E mentre, sostanzialmente, era tutto a nostro carico, per il resto era come non avere un sindaco. I migranti assorbivano ogni energia. Spesso, per esempio, qui manca l'acqua: ma nessuno veniva neppure a domandarci se avevamo bisogno di aiuto. Si limitavano ad affittare case, e stiparci dentro magari dieci ventenni che non avevano mai vissuto prima da soli. E lì, o sei africano, o sei italiano, è uguale: è ovvio che avrai problemi", dice. "Chiamavamo le associazioni, e non rispondevano mai". Giuro, dice. Domanda ai carabinieri. Domanda agli avvocati. Qui protestavano tutti.
I carabinieri, in effetti, hanno ricevuto decine di segnalazioni.
E il Comune, decine di richieste di risarcimento. Entra un cliente. Si chiama Cosimo Romano. Gli pagavano 300 euro al mese per un appartamento di 140 metri quadri. La ristrutturazione gli è costata 15mila euro. I danni superano i 10mila.
"Non abbiamo votato contro i migranti", dice Maria Chillino. "Ma contro chi gestiva i migranti". "Contro chi fingeva di gestirli".
E colpisce. Perché quello che racconta, e che racconta come fosse normale, è drammatico. Tre, quattro volte al giorno entravano in macelleria. E chiedevano un po' di carne, o degli spiccioli per un biglietto di treno. Il significato di un certo documento. Di tutto. "E tu aiutavi il primo, aiutavi il secondo, il terzo. Il quarto. Ma poi, eri costretto a dire no", dice. "E magari era poco più di un bambino. E ti restava lì, fuori dalla porta. Senza sapere dove andare e... e..." - le si spezza la voce. "Giuro. Giuro", dice. "Abbiamo dato più del possibile".
La sconfitta della sinistra è stata tutto, qui, tranne che una vittoria della destra. E non solo perché Claudio Falchi, il segretario della Lega eletto in consiglio comunale, migrante anche lui per 24 anni in Venezuela, è stato eletto con 25 voti: i numeri sono questi, a Riace - più che il partito con cui ti candidi, conta quanti amici hai. Ma soprattutto, perché tutti vogliono indietro i migranti. Ed è anche per questo che hanno scelto la Lega. Perché è al governo: è dalla Lega che ora dipendono i fondi da Roma. Perché per il resto, nessuno ha dubbi, qui: i migranti sono una ricchezza. E l'unica di Riace. Persino il nuovo sindaco, Antonio Trifoli, 49 anni, vigile urbano, uno che tra l'altro, è stato tra i fondatori di Città Futura, non ha che parole belle per Mimmo Lucano. Nessuno, qui, contesta il suo valore. Ha rianimato Riace. Solo che oltre alle parole belle, nel suo nuovo ufficio Antonio Trifoli ha anche faldoni e faldoni di debiti. 3 milioni di euro. "Per anni, il Comune non ha pagato l'acqua, la luce. Ma anche cose minime. Tipo l'impianto di aria condizionata. Nessuno si occupava più dei cittadini", dice. E per cittadini, intende tutti: italiani e stranieri. "Perché alla fine, eravamo tutti senz'acqua", dice.
Riace è stata capofila della battaglia per l'acqua bene pubblico. E gratuito. Per questo l'acquedotto, alla fine, ha ridotto la pressione. Perché il Comune ha 850mila euro di arretrati.
Qui anche la sinistra, dice, ha le sue responsabilità. E lo dice dopo una vita a sinistra. "Non avendo più leader, ha trasformato Mimmo Lucano in un simbolo. E ha finito per chiedere a Riace troppo rispetto a quello che Riace, realisticamente, era".
Perché in questi anni sono venuti tutti, qui. Registi, musicisti, scrittori. Artisti. Ma anche semplici attivisti: che ora, nelle intercettazioni, compaiono qui e lì, mentre chiedono se per caso una delle case per i migranti è libera per un weekend. Erano tutti incantati dai laboratori di artigianato. Dal vetro, le ceramiche. Le stoffe. Senza pensare, come hanno contestato più volte gli ispettori, che se sei un ingegnere iracheno, imparare a usare un telaio ti è completamente inutile. Non ha senso definirla, e soprattutto, finanziarla, come attività di "formazione professionale". Mimmo Lucano ha sempre ribattuto che la Calabria è questa. Che non c'è lavoro, qui. Non c'è niente. Ma allora, evidentemente, bisognava ricalibrare il sistema, gli hanno risposto. E per esempio, inviare qui i migranti appena sbarcati, per poi smistarli altrove. Il dibattito, è ovvio, è aperto. Anche perché in Italia, l'alternativa a Riace sono spesso i campi di pomodori in cui si è pagati 3 euro l'ora per 12 ore al giorno. "Ma alla sinistra non è mai interessato niente di tutto questo", dice Antonio Trifoli. "Ancora oggi, è vietato criticare. Anche se nessuno neppure sa dove siano ora i migranti che sono stati qui. Nessuno gli ha mai chiesto se Riace gli sia stata utile o meno".
E ora, dopo averci usato, ci hanno dimenticato, dice.
Ora stanno tutti sulla Sea Watch. Ora si sono trovati un'altra icona.
Nel momento difficile, sono spariti tutti.
Perché poi, per dieci anni qui ha funzionato tutto. Fino a quando prima lo stato, e poi la destra e la sinistra, non hanno deciso che i migranti erano un problema. Il problema.
E hanno sfasciato tutto.
E se Riace parla, ora, se racconta infine quello che tutti sapevano, ma tutti, per interesse, tacevano, incluso, appunto, lo stato, che poteva inviare qui tutti i migranti che non aveva idea di dove altro inviare, è proprio per difendere Mimmo Lucano. Che non si è intascato un euro, giurano. Mai. Di altri, noti un tenore di vita incompatibile con il reddito. Fuoristrada. Viaggi. Case nuove. Ma Mimmo Lucano no, giurano. Quello che aveva, ha. E cioè, niente. Quando il tribunale, a ottobre, gli ha vietato di stare a Riace, i primi giorni ha dormito in auto. Profugo tra i profughi. Sotto una pioggia a dirotto. Solo. E non è giusto, dicono. Non è giusto che paghi per tutti. E quando spiego che sì, mi ripetono tutti le stesse cose, la stessa storia, e però poi vogliono restare anonimi, e così sono non sono che voci di paese, dico, quando dico che ho bisogno di nomi e cognomi, si avvicina un uomo. "Scrivi", dice. "Mi chiamo Cosimo Nisticò. Lavoravo per la cooperativa L'Aquilone. Busta paga di 1200 euro, effettivi 300". Ora basta, dice. "Non è giusto".
"Non è giusto che paghi per tutti".
Perché la tesi di Mimmo Lucano, è nota. Con il costo della vita di Riace, i famosi 35 euro al giorno a migrante ricevuti dallo stato erano più che sufficienti: e quindi, era possibile investire anche in altro. Senza togliere niente a nessuno. Anzi. Perché aprire, per esempio, botteghe di artigianato, significava rilanciare l'economia. Per tutti. Anche per gli italiani. Il problema è che il laboratorio del cioccolato alla fine non solo non è stato aperto che per l'arrivo di una delegazione dell'ONU: la cui grigliata di carne, in più, è stata pagata con i fondi per i minori non accompagnati - per anni, il sistema ha funzionato, sì: ma poi, complice uno stato che fino a poco tempo fa non imponeva molti obblighi di rendicontazione, né molti vincoli di spesa, questo "altro" coperto dai 35 euro, questo extra, è diventato anche, per dire, tre appartamenti e un frantoio che ora risultano intestati a Città Futura. Comprati con scritture private non registrate. E 360mila euro di fondi pubblici. Come anche Palazzo Pinnarò. La sede di Città Futura. Il 10 luglio 2017, Mimmo Lucano parla con il suo presidente. Ha mezza Riace che gli domanda in che senso un frantoio benefici i migranti, a cosa serva, e ammette: "Non serve a niente".
Ma è tardi, ormai. Il sistema è fuori di ogni controllo.
Perché poi, anche se i presidenti delle associazioni non parlano, è sufficiente parlare con i pochi migranti che sono ancora qui. O meglio: provare a parlarci. Tento prima con un'eritrea, poi con tre nigeriane, altri due nigeriani. Due siriani. E sono qui da mesi, a volte da anni: ma non parlano una parola di italiano.
Che poi è la vera ragione per cui alla fine è saltato tutto. Quando a Riace si è capito che i primi a essere danneggiati, erano i migranti stessi. Perché qui, in realtà, a nessuno importa quello di cui discute la stampa. Le carte di identità rilasciate anche ai clandestini. I profughi ospitati anche a termini scaduti. Sono illeciti che avrebbero compiuto tutti. E per cui sono orgogliosi di Mimmo Lucano. Non sono visti come illeciti: ma come forme di disobbedienza civile. Se gli hanno votato contro, è per tutto il resto. O più esattamente: per tutti gli altri. Domenico Arcadi, il ragioniere del Comune, mi riporta giù a Riace Marina con la sua auto da 540mila chilometri. Sa meglio di chiunque altro come è andata, ma a inchiesta in corso, non può dirmi niente. Mi dice solo, amaro: Però intanto altri, altrove, trattavano con la Libia. "Qui risponderanno di abuso d'ufficio, magari. Di truffa. Ma altrove, di crimini contro l'umanità".
"Che follia", dice. "Sprecare tutto per un SUV. E ora che le indennità di disoccupazione finiranno, come camperanno? I migranti erano il solo modo per non diventare anche noi migranti".
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[Agosto 2019]
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Lui è, anzi era, Mustafa al-Darwish. Aveva 26 anni. È stato giustiziato per reati che, stando alle associazioni per i diritti umani, il giovane avrebbe commesso quando ancora minorenne avrebbe partecipato alle manifestazioni della Primavera araba tra il 2011 e il 2012. E questo - come ricorda Today - nonostante la monarchia che governa il suo paese avesse promesso di non applicare più la pena di morte per i minori di 18 anni. La notizia è di per sé terrificante, ma lo diventa ancora di più se pensiamo che il suo paese era l’Arabia Saudita. Sì, proprio l’Arabia Saudita di bin Salman. L’amico di Renzi. Quello che, per il leader (si fa per dire) di Italia Viva (si fa per dire), potrebbe dar vita a un nuovo Rinascimento. Quello che, per gli Stati Uniti, è stato il mandante dell’omicidio di Khashoggi. Quello a cui Renzi invidia il costo del lavoro. Ecco: L’Arabia Saudita dell’amico di Renzi, bin Salman, ha giustiziato un ragazzo di 26 anni per aver partecipato, da minorenne, alle proteste per le Primavere arabe. Io provo orrore, rabbia e disgusto. Qualcun altro, che crede pure di essere uno statista, dovrebbe vergognarsi parecchio. Andrea Scanzi
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Patrick Zaki: "Italia, pensaci bene. Che errore sostenere il regime di Tunisi"
È stato il Paese che ha dato il via alla storica stagione della Primavera araba. Il Paese che ha fatto sognare milioni di persone, nella speranza che anche il Nordafrica avrebbe potuto conoscere la democrazia. E invece… source
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