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"Il Tesoro della Baronessa" di Bruno Volpi premiato al Concorso Caravaggio 2024. Il romanzo noir sul mondo dei senzatetto conquista un Diploma d'Onore come finalista del prestigioso concorso letterario
Lo scrittore Bruno Volpi ha ricevuto un importante riconoscimento per il suo romanzo "Il Tesoro della Baronessa", un’opera che ha saputo affascinare e commuovere per la sua profondità narrativa e per la tematica sociale affrontata.
Lo scrittore Bruno Volpi ha ricevuto un importante riconoscimento per il suo romanzo “Il Tesoro della Baronessa”, un’opera che ha saputo affascinare e commuovere per la sua profondità narrativa e per la tematica sociale affrontata. Il Concorso Letterario Nazionale Argentarino 2024 & Premio Caravaggio ha selezionato il libro tra i finalisti, conferendogli il prestigioso Diploma d’Onore nella…
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Milo Manara: Maestro del Fumetto Sensuale
Maurilio "Milo" Manara è un fumettista italiano, conosciuto a livello internazionale per il suo stile sensuale ed elegante. Le sue opere, spesso caratterizzate da donne affascinanti e atmosfere oniriche, hanno esplorato tematiche come l'amore, l'erotismo e la psiche umana. Gli esordi e il successo Manara inizia la sua carriera alla fine degli anni '60 con storie erotico-poliziesche per la collana "Genius". La sua fama cresce negli anni '70 con la collaborazione al "Corriere dei Ragazzi" e con opere come "Lo Scimmiotto" e "El Gaucho". La consacrazione arriva negli anni '80 con "Valentina", la serie a fumetti che lo rende un'icona. Protagonista è la sensuale Valentina Pera, una fotografa che vive avventure erotiche e sentimentali in giro per il mondo. La serie ottiene un enorme successo, conquistando un pubblico vasto e diversificato. Stile e influenze Lo stile di Manara si distingue per la sua eleganza e raffinatezza. Le sue tavole, spesso acquerellate, sono caratterizzate da linee fluide e morbide, che delineano corpi femminili sensuali e atmosfere oniriche. Manara è stato influenzato da diversi artisti, tra cui Hugo Pratt, Guido Crepax e Balthus. Le sue opere, a loro volta, hanno ispirato numerosi fumettisti e artisti in tutto il mondo. Oltre Valentina Oltre a Valentina, Manara ha realizzato numerose altre opere di grande valore. Tra queste, ricordiamo "Il Gioco", "L'Histoire du Monde", "Hawaï", "Il Nome della Rosa" e "Caravaggio". Ha inoltre collaborato con scrittori come Hugo Pratt e Alejandro Jodorowsky, e con registi come Federico Fellini e Francis Ford Coppola. Un maestro del fumetto Milo Manara è considerato uno dei più grandi fumettisti di tutti i tempi. Le sue opere hanno innovato il linguaggio del fumetto, esplorando nuovi territori narrativi e visivi. La sua influenza sulla nona arte è immensa e il suo nome è ancora oggi sinonimo di sensualità, eleganza e maestria artistica. Curiosità su Milo Manara - Manara è stato insignito di numerosi premi, tra cui il Premio Yellow Kid al Salone Internazionale dei Comics di Lucca e il Grand Prix International du Festival d'Angoulême. - Le sue opere sono state tradotte in diverse lingue e pubblicate in tutto il mondo. - Manara è ancora attivo e continua a realizzare nuove opere. Artista a tutto tondo Milo Manara è un artista unico e visionario che ha lasciato un segno indelebile nel mondo del fumetto. Le sue opere continuano ad affascinare e ispirare lettori di tutte le età, confermandolo come un maestro indiscusso della nona arte. Foto di Pexels da Pixabay Read the full article
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GIPSY FIORUCCI PREMIATA AL FESTIVAL “PRIMO PIANO SULL’AUTORE PIANETA DONNA” INSIEME A TANTE PERSONALITA’ DEL CINEMA E DELLO SPETTACOLO
Importante riconoscimento per l’artista umbra durante la cerimonia finale di premiazione della storica rassegna cinematografica, che si aggiudica la vittoria per la sezione musica e videoclip con il singolo “L’Anima Grida”
A dicembre a Perugia, presso il Cinematografo Comunale Sant’Angelo, si erano tenute le proiezioni dei film, cortometraggi e videoclip in concorso votati successivamente da una qualificata giuria presieduta da Elizabeth Missland.
La cerimonia finale, con la conduzione della giornalista Carola Proto, si è svolta a Roma presso un’affollatissima sala del cinema Caravaggio, che ha celebrato in ricordo di Sandra Milo la premiazione conclusiva alla presenza di numerose personalità del cinema e dello spettacolo, tra cui Fabrizio M. Cortese, Wilma Labate, Silvia D’Amico, Roberta Torre, Alba Rohrwacher (premio attrice dell’anno) e Maria Grazia Cucinotta (premio speciale per la brillante e prolifica attività di attrice e produttrice).
Momento quindi di grande rilevanza e riconoscimenti per la cantautrice tifernate, impegnata proprio in questi giorni nella città dei fiori per la partecipazione a molteplici importanti eventi e per la promozione del nuovo singolo “Il Pianto Che Trattengo” da dicembre in radio e su tutte le piattaforme digitali.
“La cosa che mi rende più felice e orgogliosa – dichiara Gipsy - è l’essere stata premiata non solo per il brano e il videoclip de “L’Anima Grida” ma anche e soprattutto per l’essenza stessa che incarna la canzone e del messaggio profondo di rinascita e speranza che porta dentro di sé”;
Il videoclip de L’Anima Grida, girato presso l’elegante e sontuosa location nobiliare tardo rinascimentale “Villa Magherini Graziani” a San Giustino umbro (Pg), è stato realizzato in collaborazione con la casa di produzione cinematografica “Whiterose Pictures”, regia di Lorenzo Lombardi e direttore alla fotografia Nicola Santi Amantini.
Dui seguito la motivazione letta durante la cerimonia: “Per l’impattante look dell’artista, calata in una fiaba di esoteriche essenze, attraversando i luoghi oscuri dell’anima, dove è sempre possibile accendere la luce della propria ricchezza interiore, fatta di ritrovate consapevolezze e nuove energie che conducono al cambiamento e alla vera rinascita”.
La prestigiosa kermesse “Primo Piano sull’Autore – Festival Pianeta Donna”, si è aperta con un incontro-dibattito “la donna nel cinema: emancipazione e riscossa”, tema di quest’anno, condotto da Laura Delli Colli, presidente del SNGCI, che ha rivolto ai presenti la domanda se questa emancipazione e riscossa potesse oggi veramente definirsi tale.
La quarantunesima edizione del Festival fondato e diretto da Franco Mariotti è stata organizzata dall’associazione culturale AmaRcorD con il contributo del ministero della cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo con la collaborazione della Regione Umbria; il coordinamento artistico è stato affidato a Francesca Piggianelli.
www.gipsyfiorucci.com
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Il grande giornalista, saggista e sceneggiatore romano, esperto di terrorismo, intelligence, mafie e criminalità organizzata, compirebbe settantuno anni. Nato a Roma il 1° febbraio 1953 - è morto il 19 luglio 2023 dopo una breve malattia -, giornalista professionista dal ’74, Andrea Purgatori consegue il master of Science in Journalism presso la Columbia University di New York nel 1980. Inviato del «Corriere della Sera» per circa venticinque anni (dal 1976 al 2000), è noto per le sue numerose inchieste e reportages su casi scottanti del terrorismo internazionale italiano dei cosiddetti “anni di piombo” e sullo stragismo, come il caso Moro (1978) e la strage di Ustica (1980 - A. Purgatori è stato il giornalista d’inchiesta che più di ogni altro si è battuto per la ricerca della verità sulla strage di Ustica). Ha raccontato molti delitti da mafia dal 1982 fino alla cattura di Totò Riina (1993). Ha realizzato reportages su numerosi conflitti, fra cui la guerra in Libano (dal 1982 al 1985), la guerra fra Iran e Iraq (1980-88), la prima guerra del Golfo (1991), l’intifada e le rivolte in Tunisia e in Algeria. Oltre che per il «Corriere della Sera», ha scritto per «l’Unità», «Vanity Fair», «The Huffington Post», «Le Monde diplomatique». Ha collaborato fino all’ultimo con il «Corriere della Sera» e «Style». È stato autore e conduttore di Uno di notte (1998). Ha realizzato servizi televisivi per Dossier, Spazio Sette, Focus (RaiDue 1978-88). In tv ha condotto anche Confini (1996, RaiTre). Ha scritto molte fiction per la tv - Caravaggio (2008), Lo scandalo della Banca Romana (2010), Il commissario Nardone (2012), Lampedusa (2016). Per la saggistica ha scritto A un passo dalla guerra (1995), Il bello della rabbia (1997), I segreti di Abu Omar (2008). Nel 2019 ha pubblicato il romanzo Quattro piccole ostriche (HarperCollins). Per il cinema ha scritto Il muro di gomma (1991) di Marco Risi, dedicato alla sua inchiesta sulla strage di Ustica, Il giudice ragazzino (1994) di Alessandro Di Robilant - film sulla vita del giudice siciliano Rosario Livatino (1952-1990) dal suo ingresso in magistratura al suo impegno nella lotta alla mafia fino al suo assassinio -, L’industriale (2011) di Giuliano Montaldo. Ha vinto, fra gli altri, il Nastro d’Argento per il Miglior Soggetto con Il muro di gomma, il Premio Hemingway per il giornalismo (1993), il Premio Crocodile - Altiero Spinelli per il giornalismo (1992), il Globo d’Oro (1994) per la Miglior Sceneggiatura di Il giudice ragazzino e il Premio Sergio Amidei (2009), con Marco Risi e Jim Carrington per la Migliore Sceneggiatura Internazionale di Fortapasc (2009) di M. Risi, film sulla vita e la tragica fine del giornalista Giancarlo Siani (1959-1985). Nel 1987, oltre a partecipare al soggetto ed alla sceneggiatura del film Spettri di Marcello Avallone, vi appare come attore. Nel 2002 partecipa al programma televisivo Il caso Scafroglia (RaiTre), interpretando la voce off che dialoga con il conduttore (Corrado Guzzanti), mentre nel 2006 prende parte al film Fascisti su Marte di C. Guzzanti e Igor Skofic. Sempre con C. Guzzanti ha realizzato Aniene (SkyUno). È stato coatore del programma tv di Antonio Albanese Non c’è problema (2002, RaiTre). Dal maggio 2014 al giugno 2020 è stato presidente di Greenpeace Italia. È stato membro dell’Accademia del Cinema Italiano e dell’Accademia Europea del Cinema, presidente delle Giornate degli Autori e, dal marzo 2015, membro del Consiglio di Gestione della SIAE (Società Italiana degli Autori e Editori). Dalla stagione 2017/18 ha condotto la nuova edizione di Atlantide (La7), per cui riceve il Premio Flaiano (2019) come Miglior Programma Culturale. Fra i sui ultimi lavori, nell’autunno 2022, la docu-serie Netflix Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi. Nel 2018 Andrea Purgatori ha partecipato, con una sua preziosa testimonianza, alla realizzazione del libro fotografico Aldo Moro. Memoria, politica, democrazia
(Archivio Riccardi, 2018), da cui è tratta la mostra fotografica omonima, formata da oltre cento scatti del grande fotografo Carlo Riccardi (1926-2022).
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Vicenza: Basilica palladiana, il sistema di sicurezza riceve il Premio H d'oro 2023
Vicenza: Basilica palladiana, il sistema di sicurezza riceve il Premio H d'oro 2023. Il sistema di sicurezza della Basilica palladiana conquista il Premio H d'oro 2023, prestigioso riconoscimento nato da un'iniziativa della Fondazione Enzo Hruby, assegnato nel corso di un evento all'interno della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano. Un premio che mira a segnalare le migliori realizzazioni di sistemi di sicurezza e con esse la professionalità degli installatori e dei system integrator più qualificati: per la categoria "Beni Culturali Museali" si è aggiudicata l'ambito riconoscimento la società Pieffe Sistemi di Vicenza con un sistema di sicurezza integrato antintrusione, di videosorveglianza, e antirapina/panico destinato a proteggere le grandi mostre all'interno della Basilica palladiana di Vicenza. «E' un riconoscimento che testimonia il grande impegno che la città e le amministrazioni comunali che si sono succedute stanno mettendo per fare in modo che la Basilica palladiana abbia elevati standard di sicurezza garantendo, alle opere d'arte che ciclicamente compongono le grandi mostre allestite al suo interno, i sistemi di salvaguardia più innovativi e tecnologicamente avanzati - dichiara il sindaco Giacomo Possamai -. I miei complimenti all'azienda del territorio che ha ottenuto questo riconoscimento perché ha dimostrato negli scorsi anni di poter offrire un livello di tutela e di professionalità all'altezza delle migliori esperienze nazionali ed europee. Un livello di qualità confermato anche in occasione dell'evento espositivo sui tre capolavori di Caravaggio, Van Dyck e Sassolino». «Siamo onorati - commenta Daniele Ferrarin, titolare di Pieffe - di aver potuto mettere a disposizione in questi anni la nostra professionalità per garantire la sicurezza della Basilica palladiana. E' da più di 10 anni che ci occupiamo di questo monumento e anno dopo anno abbiamo fatto in modo che gli investimenti fatti per ogni singola mostra diventassero elementi fissi all'interno della struttura. Oggi raccogliamo il frutto di questo lavoro e il riconoscimento arrivato dalla Fondazione Hruby dimostra che anche un'azienda di piccole dimensioni come la nostra può, con professionalità ed esperienza, contribuire a rendere noto nel mondo un importante patrimonio culturale».... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Riccardo Ferrazzi. “Federico Garcia Lorca, Mark Twain, Premonizioni”. Intervista a un grande traduttore e autore - di Giuseppe Iannozzi
Riccardo Ferrazzi. “Federico Garcia Lorca, Mark Twain, Premonizioni”. Intervista a un grande traduttore e autore di Giuseppe Iannozzi Leggi l’intervista qui e qui. Riccardo Ferrazzi – Vive a Milano. Ha pubblicato tre romanzi: Cipango! (Leone Editore, 2013), con cui ha vinto il Premio Fiorino d’argento 2015; N.B. Un teppista di successo (Arkadia, 2018); Il Caravaggio scomparso. Intrigo a Busto…
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‘Retrato de una Mujer en Llamas‘ (‘Portrait of a Lady on Fire’)
Marianne es una joven pintora en la Francia cosmopolita de finales del siglo dieciocho. Una señora la contrata para pintar el retrato de una de su hija Héloïse sin que se de cuenta. Cuando el retrato esté listo, la madre de Héloïse lo enviará a un señor Milanés para asegurarse de que se case con su hija. La futura pareja aún no se conoce, pero según la tradición de la época, un retrato será más que suficiente para cerrar el trato.
Marianne se hace pasar por dama de compañía de Héloïse ocultándole el verdadero motivo de su visita: observarla atentamente durante varios días hasta finalizar el retrato que le encargaron. Después de varios días y paseos por la playa Marianne decide contarle la verdad a Héloïse. Héloïse ve su retrato y queda decepcionada, así que le pide a Marianne que empiece un retrato nuevo desde cero, pero esta vez posará para ella.
Marianne inicia con el nuevo retrato y su convivencia con Héloïse se vuelve más íntima, creando momentos de tensión e incluso de confrontación. Pronto descubrirán que una no puede vivir sin la otra y que juntas se complementan perfectamente, sin embargo las costumbres y las normas de la época obligará a una de las dos a ceder a su ego.
Uno de los temas principales de la película es la pintura y ¿qué es la fotografía y la cinematografía sino pintar con luz?. El manejo de la luz es simplemente estupendo. Hay varias escenas en las que me pareció estar viendo un claroscuro animado de Caravaggio, sobre todo en un par de escenas con muy poca luz.
Durante casi toda la película vemos a Marianne con un vestido rojo, un color que representa el fuego y la pasión, y a Héloïse con un vestido uno verde, el color de la naturaleza y la esperanza. En otra escena vemos a Héloïse vestida de blanco, como si fuera el espectro o un espíritu de una novia, y esto resulta en una imagen inquietante pero al mismo tiempo cautivante.
Algo que me pareció muy interesante fue la decisión del director de aislar a Marianne o a Héloïse en tomas centradas para crear tensión y al mismo tiempo un equilibrio perfecto entre los dos personajes. Kubrick utilizaba este tipo de tomas para crear tensión en sus películas y en el caso de “Retrato de una Mujer en Llamas” funciona a la perfección.
Hay una escena clave en la película cuando Marianne y Héloïse hablan de música. Marianne empieza a tocar una melodía mientras Héloïse la observa. La escena está creada de tal modo que vemos el fuego de la chimenea justo dentro de Marianne, quien es el catalizador que despierta toda una serie de emociones nuevas en Héloïse.
“Retrato de una Mujer en Llamas” es un poema visual centrado en la visión de varias mujeres en historia de igualdad, romance y sexualidad que ya seguramente formará parte de la conversación hacia los Premios Oscar 2021.
#portrait of a lady on fire#retrato de una mujer en llamas#cine#french cinema#oscars#movies#reseña#céline sciamma#adele haenel#noemi merlant#review
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Sono nato a Napoli e probabilmente vivere sempre nello stesso luogo non fa per me infatti ho cambiato diverse città e proprio in questi giorni sto preparando l'ennesimo trasloco! Quando hai capito che l’illustrazione era la tua professione? Non credo ci sia un momento in cui me ne sono accorto. Da un lato il disegno mi ha sempre seguito e negli anni di scuola l'ho sempre coltivato. All'università mi avvicinai al cinema, al teatro e alla fotografia ma più mi avvicinavo a quel mondo e più tornavo a cercare il disegno. Dopo tanti anni, alla fine, viene naturale guadagnarsi da vivere con ciò che ti è più vicino. Il tuo linguaggio visivo è molto particolare, quali sono le tecniche e gli strumenti che usi quando disegni? Io ho sempre amato la colorazione digitale e quindi è stata la tecnica che ho coltivato di più in assoluto ma l'utilizzo della penna e della matita mi rimangono nel cuore e così ho iniziato ad unirli cercando di fonderli in maniera sempre più originale e personale. Cosa pensi del tuo futuro da illustratore? Che sia sempre più roseo? Ah ah ah! Non lo so, fondamentalmente spero di poter consolidare questa professione, vincere qualche premio (che all'ego non fa mai male), e migliorarmi in tutte le sfaccettature di questa professione che all'esterno sembra un lavoro fatto solo di carta e penna quando invece ha moltissime sfaccettature. Nel tuo lavoro hai avuto modo di stringere collaborazioni particolari? Per quanto sia un lavoro solitario è anche un lavoro che ti porta a conoscere tantissime persone. Tra le tante persone che ho avuto la fortuna di incontrare sicuramente la più particolare fu quella con Bruno Tognolini. L'ho incontrato durante una conferenza e in quell'occasione lesse una delle sue filastrocche (La filastrocca delle guarigioni) e mi colpì così tanto da dedicargli una illustrazione. A lui piacque tantissimo e quando ebbi l'occasione di rincontrarlo gliela regalai. Fu tutto molto spontaneo ed è forse la cosa più bella di quest'episodio. Perché illustrazione per bambini? Perché è un settore molto creativo e spesso libero. Certo esistono molti tipi di illustrazione ma questo è quello che mi offre così tanti spunti e modi di esprimermi che altri tipi di illustrazione non offrono. Se si disegna per un gioco in scatola ad esempio si hanno dei limiti e degli stili ben delineati, così come quando si creano delle illustrazioni per una copertina o un poster ma quando si creano libri illustrati l'unico limite, oltre la pagina, è il testo. Quali sono i tuoi punti di riferimento nel mondo dell’illustrazione? A chi ti ispiri? Mi sono addentrato nel mondo dell'illustrazione in maniera quasi casuale e quindi molti miei riferimenti arrivano da altri settori. Il cinema di animazione sopratutto quello giapponese (Miyazaki e Satoshi Kon) o dei primi anni della Disney (chi non adora la volpe di Robin Hood?) o da registi come Michel Gondry, Nolan, Wes Anderson, da fotografi come Hopper e direttori della fotografia come Vittorio Storaro e dal mondo dell'arte come Klimt e Caravaggio, Delacroix, Vermeer e tantissimo dal mondo della concept art con autori contemporanei come Marko Djurdjevic. Secondo te, in che modo un buon libro illustrato può aiutare un bambino o una famiglia? Questa domanda è molto difficile. Un buon libro illustrato può aiutare in molti modi ma solo se c'è l'intenzionalità di crearlo per quel motivo. Penso a "l'anatra, la morte e il tulipano" che parla della morte con una semplicità e una poesia che trovo disarmante. Un bambino pone sempre delle domande e a volte non tutti sanno dargli delle risposte. Un libro può quindi essere un buon punto di partenza, un modo per creare un campo condiviso per un dialogo perché a volte una immagine può aiutare molto di più di tante parole. Descrivici il tuo stile. ARGH! Questa domanda mi mette sempre in crisi. Direi spiritoso, dinamico, vivace. La giusta ricetta per una illustrazione efficace. Una buona composizione e il resto viene naturale.
In questi anni, chi ti ha supportato e creduto nel lavoro che fai? Tante persone. In primis la mia famiglia che mi ha permesso di poter dedicarmi ad un lavoro che non dà sicurezze e che sopratutto non parte in quarta ma ha bisogno di un periodo per ingranare. Gli amici più cari che ti offrono spalle e supporto senza che se ne accorgano e ovviamente la mia fidanzata con cui condivido il tavolo da lavoro da molti anni ormai. Se fossi libero da ogni vincolo... Cosa ti piacerebbe illustrare? Adoro il fantasy e quindi ti direi senza pensarci due volte il Signore degli anelli. Quali sono i tuoi punti di riferimento nel mondo dell’illustrazione? Guardo illustrazioni fin da bambino e i miei gusti sono mutati nel corso degli decenni (sigh!) ma tra i tanti posso sicuramente citarne alcuni che sono le mie fondamenta: Alan Lee, Tony Diterlizzi, Pablo Auladell, Shaun Tan, Quarello, Justin Sweet. Il consiglio più utile che hai ricevuto. Non mollare. Che consiglio daresti a chi vuole iniziare quest’avventura? Siate perseveranti, determinati, cocciuti, volenterosi, umili ma mai ingenui o stupidi. Segui Andrea Alemanno su sito web, Facebook, Tumblr, Pinterest e Behance
#Illustrazione#Interviste#AndreaAlemanno#Delacroix#illustratore#KlimteCaravaggio#Miyazaki#Napoli#SatoshiKon#Vermeer
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L’emozione continua.. Comunicazione appena pervenutami ed è una splendida notizia. Nell’ambito del Concorso Letterario Argentario & Premio Caravaggio 2022 - VI Edizione - il mio romanzo breve “Liù il gatto che ruggiva” di cui ho appena parlato nelle dirette di @Abîme Livres e di @un_angolo_darte_a_capri si è posizionato tra i finalisti ex aequo della sezione narrativa edita breve. Si tratta del primo riconoscimento ufficiale al mio libro e ciò, per me, è assai significativo. Sono felicissimo 😄 e ringrazio la Giuria che mi tributerà questo onore il 15 ottobre 2022 in quel di Porto Ercole (GR). #gioacchinodibellaautore #gioacchinodibella #nemoprophetainpatriagdb #rosabiancaedizioni #bookbloggeritalia #blogger #bloggersofinstagram #liuilgattocheruggiva #premiletterari #narrativa #narrativaitaliana (presso Salemi San Ciro) https://www.instagram.com/p/Ciur7VRMvfX/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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José Ángel Palao galardonado con el ATIM's Collector's Choice Award de ArtTour International
La revista de arte con sede en Nueva York ArtTour International Magazine (ATIM), ha incluido al fotógrafo artístico español José Ángel Palao entre "50+ master artists" reconocidos con el ATIM's Collector's Choice Award. Según se refleja en el certificado oficial, este galardón "honra y celebra la excelencia de los artistas en las artes y su contribución global a las artes y las culturas".
Este es el cuarto premio internacional que le otorgan a Palao en 2022. Este año, y desde diversos países, también fue laureado por sus méritos artísticos con el International Prize CARAVAGGIO - Great Master of Art, el Voices of Tomorrow Art Award y el International Prize Paris.
Palao, quien ya ha expuesto su obra en Estados Unidos -no solo en la Gran Manzana, sino también en Miami, Los Ángeles, Houston y Dallas-, recibió la imprevista noticia de este nuevo reconocimiento "en la cúspide de mis esfuerzos fotográficos por intentar que las adecuadas corrientes electrónicas del arte me ayudasen como ser soberano a sostener la inspiración frente al desafiante impacto que experimentan actualmente los pasajeros del planeta Tierra. La luminosidad del aliento de la creatividad con el éxtasis que produce siempre fortalece con la determinación de su brillante firmeza al aumentar los niveles de dopamina", declara este "art scientist and son of the digital age" (científico del arte e hijo de la era digital), como llegó a definirse Palao en un mensaje leído en su nombre en un evento organizado por ArtTour International en la Universidad de Columbia en 2020.
De todas las preguntas formuladas a este multipremiado artista, por la inesperada respuesta obtenida, para este comunicado de prensa seleccionamos la siguiente: "A ti, que confiesas de un modo muy poético que caminas por las calles con el arrobamiento que produce la contemplación de una serena lluvia de pétalos de primavera esparcidos por el viento, ¿qué opinión te merece la situación que atravesamos a nivel global?"
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Racconti, concorsi e scarti
Racconti, concorsi e scarti
Forse non tutti sanno che “Il gatto con gli stivali” è una fiaba tradizionale italiana, diffusa fin dal 1500. In pochi (anzi, forse pochissimi) sanno che il primo a metterla per iscritto fu Gian Francesco Straparola nel 1550. Straparola nacque a Caravaggio intorno al 1480 e la città nel 1982 il “Premio letterario Gian Francesco Straparola”, giunto quest’anno alla ventesima edizione (il concorso…
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Tilda Swinton
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Tilda Swinton, attrice emblema della fluidità, elegante, algida, è di una bellezza androgina e lunare che la fa somigliare a un’aliena che rifulge di un diafano splendore.
Ha interpretato magistralmente donne e uomini con assoluta credibilità. Star indiscussa di Hollywood, non ha mai smesso di sostenere anche film d’autore e opere d’avanguardia.
Premio Oscar nel 2008, ha vinto due volte il Festival di Venezia, un BAFTA, un European Film Awards, il David di Donatello, i Nastri d’Argento, oltre a molte nomination in prestigiosi premi internazionali.
È nata col nome di Katherine Matilda Swinton il 5 novembre 1960 a Londra in una famiglia che proviene da una delle più antiche casate scozzesi. Ha studiato nelle scuole più prestigiose della Gran Bretagna, è stata anche in classe con Diana Spencer. Si è laureata a Cambridge nel 1983.
Nel periodo universitario si è iscritta al Partito Comunista e ha mosso i suoi primi passi sul palcoscenico. Entrata nella prestigiosa Royal Shakespeare Company e nel Traverse Theatre di Edimburgo, ha presto abbandonato per dedicarsi al cinema.
Il suo debutto sul grande schermo è avvenuto nel 1986, in Caravaggio, con la regia di Derek Jarman, che l’ha voluta in tutte le sue pellicole fino al 1994, quando è morto per AIDS. Per la sua interpretazione della regina Isabella di Francia in Edoardo II, si è aggiudicata la Coppa Volpi al Festival di Venezia nel 1991.
Tra i due c’è stata una grande amicizia e un intenso sodalizio artistico, è stata musa e ispirazione del regista che l’ha immortalata anche in Super8, una raccolta di filmati che la colgono in momenti di vita quotidiana, viaggi e performance.
Nel 1992 Tilda Swinton ha interpretato il personaggio rimasto nella storia del cinema, Orlando, tratto dall’omonimo romanzo di Virginia Woolf e diretto da Sally Potter. Per la naturalezza sorprendente di questa grande prova d’attrice è stata consacrata l’interprete ideale del doppio e della diversità.
Nel 1995 si è esibita in una mostra intitolata The Maybe, dell’artista Cornelia Parker, alla Serpentine Gallery di Londra e al Museo Barracco di Roma. Per un’intera settimana ha giaciuto otto ore al giorno all’interno di una teca di vetro, apparentemente addormentata.
Nel 2000 è stata nel cast del film The Beach che le ha aperto le porte del circuito mainstream a cui sono seguite molte importanti pellicole. Nel 2008 ha vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista per il ruolo di Karen Crowder in Michael Clayton. La sua incredibile performance in …e ora parliamo di Kevin del 2011, le è valsa la nomination ai Golden Globe, ai BAFTA e agli Screen Actors Guild Award.
È stata più volte inserita nelle giurie di manifestazioni internazionali tra cui Berlino nel 1988 e, in qualità di Presidente, nel 2009, Venezia (1998) e Cannes (2004).
Dalla sua lunga relazione con l’artista scozzese John Byrne, sono nati, nel 1997, i gemelli Honor e Xavier. Dal 2004 è impegnata sentimentalmente con il pittore neozelandese Sandro Kopp.
Nel 2007 Vanity Fair l’ha definita una delle donne più eleganti al mondo e gli stilisti olandesi Viktor e Rolf hanno disegnato una linea di abiti totalmente ispirata a lei.
Nel 2020 ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera al Festival del Cinema di Venezia.
Nella fortunata carriera di Tilda Swinton non c’è mai una sbavatura nella scelta dei ruoli, è un’attrice sinonimo di eleganza e bravura in un volto archetipico. Versatile come nessuna è la regina delle trasformazioni.
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Milano: LA MILANESIANA 2023, Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia Teatro Diritto Economia Sport Fumetto
Bormio: LA MILANESIANA 2023, Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia Teatro Diritto Economia Sport Fumetto. L'inaugurazione si terrà il 22 luglio alle ore 19.00, interverranno Chiara Caselli, Vittorio Sgarbi, Paola Romerio Bonazzi (Assessore alla Cultura Comune di Bormio) e Elisabetta Sgarbi. La mostra, a cura di Vittorio Sgarbi, è un viaggio fotografico che parte da Molly Bloom, protagonista di "Ulisse" di James Joyce. Attraverso tre stanze, Chiara Caselli rappresenta l'Assenza (stanza 1), L'Assenza alla luce del ricordo (stanza 2) e l'approdo di questo viaggio dentro se stessi (stanza 3). «Ho scoperto Chiara Caselli fotografa, avendola sempre ammirata in qualità di interprete e, più recentemente, di regista. Chiara è una fotografa straordinaria di interni, e ora, con questa mostra, della sua interiorità» afferma Elisabetta Sgarbi. Progetto di allestimento Luca Volpatti. La mostra è in collaborazione con Comune di Bormio, Bim dell'Adda - Bacino Imbrifero MONTANO, Banca Popolare di Sondrio, CMAV - Comunità Montana Alta Valtellina, Provincia di Sondrio, Franciacorta, Edison, Levissima, Rotary Club Bormio Contea, Rotary Club Milano Precotto San Michele, Bormio Marketing, Bormio Servizi, Ciaccio Arte. I cataloghi delle 8 mostre ospitate quest'anno da La Milanesiana sono editi dalla Fondazione Elisabetta Sgarbi. Informazioni mostra "Chiara Caselli. Interiors". Accesso libero da lunedì a venerdì dalle 8.10 alle 13.00 e dalle 14.15 alle 15.45. Chiara Caselli: Artista dal percorso eclettico, Chiara Caselli è attrice, regista e fotografa. La sua carriera di attrice cinematografica inizia a 19 anni e presto diventa una delle attrici più versatili e internazionali della sua generazione. Ha recitato, tra gli altri, per Michelangelo Antonioni, Liliana Cavani, Marco Tullio Giordana, Gus Van Sant, i fratelli Taviani, Dario Argento. I suoi ultimi lavori sono stati con Pupi Avati, Il Signor Diavolo del 2018 e Lei mi parla ancora del 2021. Debutta come regista nel 2000 con il cortometraggio Per Sempre, presentato in concorso al Festival di Venezia e vincitore del Nastro d'Argento. Nel 2016 il suo corto Molly Bloom, dall'Ulisse di James Joyce è presentato al Festival di Venezia e vince il Premio Speciale Nastri d'Argento nel 2017. Ha iniziato a fotografare all'età di 14 anni quando il padre le regalò una Olympus OM-1. Espone dal 2008. Nel 2011 è al Padiglione Italia della Biennale di Venezia e al Festival Internazionale di Fotografa di Roma. Nel Maggio 2014 la sua prima personale a Tokyio; nel 2018 partecipa alla Moscow Photo Biennale, unica fotografa donna accanto a MimmoJodice e Berengo Gardin. L' ultima mostra, curata da Vittorio Sgarbi, è stata ospitata al Museo Palazzo Doebbing da Giugno 2020 ad aprile 2021. Vittorio Sgarbi: Vittorio Sgarbi è nato a Ferrara. Critico e storico dell'arte, professore ordinario di Storia dell'arte, accademico di San Luca, ha curato mostre in Italia e all'estero. È sottosegretario alla Cultura, prosindaco di Urbino, presidente del MART di Rovereto, presidente della Fondazione Canova di Possagno, presidente di Ferrara Arte, commissario per le arti di Codogno, presidente del MAG - Museo dell'Alto Garda e presidente della Fondazione Cavallini Sgarbi che conserva le sue opere. Nel 2011 ha diretto il Padiglione Italia per la 54a Biennale d'Arte di Venezia. La serie di volumi dedicata al Tesoro d'Italia, una storia e geografia dell'arte italiana, comprende Il tesoro d'Italia. La lunga avventura dell'arte (2013), Gli anni delle meraviglie. Da Piero della Francesca a Pontormo (2014), Dal cielo alla terra. Da Michelangelo a Caravaggio (2015), Dall'ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo (2016), Dal mito alla favola bella. Da Canaletto a Boldini (2017), Il Novecento. Volume I: dal Futurismo al Neorealismo (2018), Il Novecento. Volume II: da Lucio Fontana a Piero Guccione (2019). Tra le sue pubblicazioni più recenti, La Costituzione e la Bellezza (con Michele Ainis, 2016), Leonardo. Il genio dell'imperfezione (2019), Caravaggio. Il punto di vista del cavallo (nuova edizione 2021), Ecce Caravaggio. Da Roberto Longhi a oggi (2021), Raffaello. Un Dio mortale (2021), Canova e la bella amata (2022), Roma (2022), Scoperte e rivelazioni. Caccia al tesoro dell'arte (2023). Paola Romerio Bonazzi: Frequenta Architettura a Milano, entra nella ditta di famiglia e successivamente vive all'estero, in Grecia e Francia, per molti anni. Successivamente trasferitasi a Bormio, dà vita al premio letterario Rotary club Bormio Contea per inediti, e contemporaneamente inizia la collaborazione con Elisabetta Sgarbi per portare la Milanesiana a Bormio. Attualmente è assessore alla cultura del Comune di Bormio. Elisabetta Sgarbi: Dopo 25 anni come editor e Direttore editoriale della casa editrice Bompiani, ha fondato nel novembre 2015, assieme ad altri autori tra cui Umberto Eco, Mario Andreose ed Eugenio Lio, La nave di Teseo Editore, di cui è Direttore generale e Direttore editoriale. È Presidente di Baldini+Castoldi e Oblomov Edizioni e Direttore responsabile della rivista "linus". Ha ideato, e da 24 anni ne è Direttore artistico, il Festival Internazionale La Milanesiana - Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia Teatro Diritto Economia Sport Fumetto e "linus - Festival del Fumetto", giunto alla seconda edizione. Dal 1999 dirige e produce i suoi lavori cinematografici, presentati nei più importanti Festival internazionali del cinema. Nel 2020 ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia un film sul gruppo musicale Extraliscio, dal titolo Extraliscio - Punk da balera. Il film ha ricevuto il Premio Siae al talento creativo e il Premio FICE - Federazione Italiana Cinema d'Essais. Il suo film più recente è Nino Migliori. Viaggio intorno alla mia stanza, realizzato nel 2022, che è stato premiato ai Nastri d'Argento, presentato al Festival del Cinema di Roma. Nel 2020 ha fondato la Betty Wrong Edizioni musicali che ha esordito producendo il doppio album degli Extraliscio È bello perdersi, che include il singolo presentato al 71^ Festival di Sanremo, Bianca Luce Nera. Nel 2022 ha pubblicato insieme a Margutta 86 il singolo È così di Luca Barbarossa e Extraliscio, seguito dall'album di Extraliscio Romantic Robot. È Presidente della Fondazione Elisabetta Sgarbi che promuove la lettura, la diffusione della cultura e della conoscenza dell'arte. È membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Paulo Coelho, con sede a Ginevra. È membro, su nomina del Pontefice Francesco I, della Pontificia Accademia delle Arti e delle Scienze. La 24esima edizione de La Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, dopo l'anteprima ad aprile con Quentin Tarantino in libreria, attraversa dal 22 maggio al 27 luglio ben 23 città italiane in 7 diverse regioni, con oltre 60 incontri ed eventi e più di 200 ospiti italiani e internazionali provenienti da diverse discipline. Un festival di respiro internazionale che promuove il dialogo tra le arti e tesse relazioni tra letteratura, musica, cinema, scienza, arte, filosofia, teatro, diritto, economia, sport, fumetto. Il tema di questa 24esima edizione è RITORNI, ispirato dallo scrittore nigeriano, Ben Okri. Un tema-mondo per interpretare la cronaca attuale (chi lascia la propria terra sperando di non farci più ritorno, chi parte sognando di tornarci), che abbraccia anche altri nuclei tematici: il rapporto con la natura, quello con l'intelligenza artificiale e quello tra genitori e figli. La Rosa dipinta da Franco Battiato, che fin dalla prima edizione è il simbolo de La Milanesiana, è stata rielaborata anche quest'anno da Franco Achilli che in onore del nuovo tema l'ha raffigurata avvolta in un uroboro verde, ideale unione tra il tema della Natura e quello del Ritorno. I Premi de La Milanesiana 2023: Premio Rosa d'oro della Milanesiana a Abdulrazak Gurnah Premio SIAE / La Milanesiana a Zerocalcare Premio Jean-Claude e Nicky Fasquelle / La Milanesiana a Joël Dicker Premio Omaggio al Maestro / La Milanesiana a Quentin Tarantino e Fatih Akin La Milanesiana è organizzata da Imarts International Music and Arts e Fondazione Elisabetta Sgarbi, con il Patrocinio del Comune di Milano e con il contributo di Regione Lombardia. Radio 24 per il primo anno è media partner del festival.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Una de las casa de moda que devolvió la esperanza después de la Segunda Guerra Mundial fue Dior con su New Look, una silueta que se ceñía a la cintura y se extendía en las piernas creando magia y coquetería. Para esta temporada Ata Costura 2021 Maria Grazia Chiuri se va al renacimiento italiano con prendas de brocado, sedas y cachemiras para interiorizar en un mundo esotérico y ceremonial encorsetando la figura y cubriéndola con túnicas eclesiásticas. Continúa el trabajo artesanal en apliques y acabados y nunca olvida el más fino tul y plisado para sus clientas, las que ya casi pisan la alfombra roja de los Premios de La Academia. #Hvth . . . #Dior #HauteCouture #Moda #DiorMio #Colombiatex #Fanzine #Instalike #InstaFollow #Renacimiento #Arte #Caravaggio #MariaGraziaChiuri #Hvth #AcademyAwards #RedCarpet #AltaCostura (en Bogotá, D.c.) https://www.instagram.com/p/CKgy0o5pwFi/?igshid=13b102j3ud4jp
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El resplandor de la pintura religiosa del Siglo de Oro español en el Museo del Prado
Estamos de nuevo con Fernando Álvarez Maruri, un auténtico apasionado y gran conocedor del Museo del Prado. Tras repasar anteriormente los estilos románico, gótico y renacentista, en la entrevista anterior, en esta ocasión abordaremos la pintura barroca del arte sacro español del Museo del Prado. En el siglo XVII, el Siglo de Oro del arte español, la pintura llega a sus más altas cotas.
En la anterior entrevista que realizamos a Fernando Álvarez Maruri, nos quedamos en el renacimiento español. Ahora toca analizar el fascinante mundo del barroco hispano, centrándonos en las obras de temática religiosa. ¿Qué importancia tiene este estilo artístico en las colecciones del Prado?
El siglo XVII, conocido como el Siglo de Oro del arte español, está magníficamente representado en las colecciones de nuestra pinacoteca nacional. No es exagerado aseverar que se trata del estilo artístico más sobresaliente y peculiar de la historia de la pintura española. Cuando deambulamos por las salas de la planta principal, dedicadas al barroco español, nuestros ojos no encuentran reposo; las obras más magistrales y sublimes de este periodo nos salen al paso, fascinándonos con su belleza extrema. No debemos olvidar que el barroco es un arte eminentemente propagandístico; el pintor pretende llamar la atención del espectador, transportarle, a través de un mundo de imágenes, a una realidad mística y espiritual. También es un estilo sumamente naturalista, que se recrea a la hora de reproducir las calidades de la materia. Su última intención es conmover al fiel, hacerle participar en los misterios más profundos del cristianismo.
El movimiento artístico barroco, en muchas ocasiones, es un instrumento al servicio de la Iglesia y de los valores contrarreformistas, un medio de adoctrinamiento muy eficaz. Frente a la herejía protestante, los pintores reproducen en sus lienzos los dogmas de fe, eternos e incuestionables. Las iglesias luteranas carecen de imágenes sagradas, se prescinde de los santos como mediadores entre el creyente y el Todopoderoso. En los países en que venció el protestantismo se llegaron a producir furibundos ataques iconoclastas; los intransigentes reformistas confundían la devoción de los fieles por una determinada advocación con la idolatría de los paganos. Los templos católicos, por el contrario, aparecen profusamente decorados, con retablos y pinturas en los que se defienden verdades como la virginidad de María, protagonista de la Redención, o el ejemplo de vida que nos proporcionan los santos canonizados.
¿Qué artista podríamos seleccionar para iniciar nuestro recorrido por las salas del barroco español?
Uno de mis pintores favoritos, y no precisamente de los más conocidos, es Fray Juan Bautista Maino. Para poner en valor su trayectoria artística, en el año 2009 el museo organizó una exposición monográfica entorno a su figura. He escogido el que considero como el más bello de sus lienzos, titulado La Adoración de los Reyes Magos, fechado entre 1612 y 1614. Formaba parte del conocido como retablo de las Cuatro Pascuas, ubicado en la iglesia conventual de San Pedro Mártir de Toledo. Las pinturas que conformaban dicho retablo fueron ejecutadas por Maíno. Como dato anecdótico, comentaré que el artista, mientras realizaba este encargo, decidió tomar los hábitos e ingresar en la Orden de este monasterio. Cuatro de estos cuadros, de grandes dimensiones, representan acontecimientos fundamentales en el año litúrgico de la Iglesia: el Nacimiento de Cristo, la Adoración de los Magos, la Resurrección del Señor y Pentecostés; todos ellos se pueden admirar en el Museo del Prado. También, salidas de los pinceles de Maíno, se conservan otros cuatro óleos, de formato más pequeño, en los que se rinde homenaje a San Juan Evangelista, San Juan Bautista, María Magdalena y San Antonio Abad. El artista rompe definitivamente con los presupuestos del manierismo; pintores como El Greco reinterpretaban la realidad, idealizándola, alargando las figuras y creando una atmósfera un tanto artificial. Maíno, por el contrario, se inspira en el naturalismo de Caravaggio pero en su vertiente más luminosa y colorista. En esta Epifanía la luz adquiere un gran protagonismo; se trata de una iluminación un tanto artificiosa, con sombras muy marcadas. Tanto los personajes como los objetos representados en el lienzo presentan unas formas voluminosas, adquieren una dimensión casi escultórica.
La composición resulta un tanto abigarrada, las figuras se superponen unas a otras, ocupando por completo el espacio. Para crear la sensación de profundidad, el pintor recurre a un arco de medio punto, en cuyo centro, rodeada de nubes doradas, brilla la estrella que condujo a los reyes a su destino. En la lejanía, contemplamos un paisaje muy difuminado, casi imperceptible; en realidad, se trata de una vista del Coliseo romano. Maíno emplea una paleta cromática muy rica y variada; recurre a colores vibrantes y alegres. En esta composición, el autor demuestra su maestría a la hora de plasmar en el lienzo las calidades de los objetos y telas. Los reyes visten ropajes de una suntuosidad extrema, con tonalidades exquisitas y brillos metálicos. Los vestidos de la Virgen, aunque más sobrios, son también de gran elegancia. El tono siena de la capa de San José tiende a mimetizarse con el cercano arco de piedra del portal de Belén. El pintor diseña de una manera minuciosa e imaginativa los presentes que recibió el Niño Dios de manos de los magos; con una pincelada concisa y apretada, reproduce los reflejos metálicos de la copa de oro, o el inconfundible brillo del nácar en la naveta que porta el rey Baltasar. Los reyes adoran al Niño Jesús, postrándose ante Él. A excepción de Melchor, van tocados con ricos turbantes y plumas multicolores. El Infante, de piel tersa y ondulada cabellera, les bendice con su diminuta mano. El recién nacido, ocupa el centro de la composición; lo sujeta delicadamente la Virgen María, dedicándole una dulce y maternal mirada. San José señala al Niño, mientras cruza su mirada con Baltasar, el rey negro. El lenguaje gestual de los personajes, el movimiento de sus manos, la expresividad de sus rostros y la profundidad de sus miradas ayudan a crear un ambiente intimista. En la esquina superior izquierda, casi tapado por Baltasar, surge un personaje que representa a un peregrino y que señala con su dedo índice al recién nacido; se ha barajado la posibilidad de que se trate de un autorretrato del propio Maíno.
En el inicio del siglo XVII, encuadrado en la llamada escuela valenciana, encontramos la figura de Francisco Ribalta. ¿Podría referirse a alguna de sus obras más significativas?
Efectivamente, Francisco Ribalta ocupa un destacado lugar en esta relación de artistas barrocos. Aunque nacido en Solsona, provincia de Lérida, ejerció su actividad artística en Valencia. Es un pintor escasamente representado en el Prado, apenas cuenta con media docena de cuadros en el inventario, todos de temática religiosa. Habitualmente, en las salas del museo se exponen dos de sus pinturas. He seleccionado su Cristo abrazando a San Bernardo, una de sus creaciones más sobresalientes. Este trabajo fue un encargo de la Cartuja de Portacoeli, ubicada en las cercanías de Valencia. A la hora de elaborar esta composición, el autor se inspiró en el Llanto sobre Cristo muerto de Sebastiano del Piombo. Ribalta aborda uno de los temas que más atrajo a los artistas del Siglo de Oro español: el misticismo religioso. San Bernardo, fue un monje francés, declarado doctor de la Iglesia, que nació en 1090. Su mayor mérito fue fundar la Orden del Císter y expandirla por toda Europa; se le considera una figura esencial en la historia de la Iglesia. Como premio a su inquebrantable fe y celo religioso, recibió un regalo espiritual en forma de visión mística: el propio Cristo se desclavaba de su cruz para abrazarlo amorosamente.
La escena se ilumina por medio de una luz potente que proviene del lateral izquierdo; de esta manera se crean fuertes contrastes lumínicos, efectos de claroscuro, lo que en pintura conocemos como tenebrismo. Contemplando este cuadro, nos sumergimos de lleno en el mundo de Caravaggio. Tras una reciente limpieza del lienzo, han aparecido dos personajes en la penumbra que podrían representar a ángeles. Al pintor le interesa que centremos nuestra atención en los protagonistas de la escena y para ello recurre a una serie de artificios. El fondo es oscuro y tenebroso, prácticamente negro, así destacan más las sacras figuras. En la composición utiliza un punto de vista bajo para resaltar la monumentalidad de los personajes. Se establece un diálogo espiritual entre Cristo y San Bernardo; el santo parece flotar en el espacio, está viviendo una experiencia sobrenatural, de auténtico éxtasis religioso. Permanece con los ojos cerrados, en un estado de arrobamiento, entregando su alma y todo su ser al Redentor, en quien confía plenamente. El Señor lo sujeta con sus potentes brazos y le dedica una mirada misericordiosa. A Cristo se le representa de manera idealizada, con un cuerpo hercúleo, escultural, como si fuera una figura diseñada por el propio Miguel Ángel. El rostro del santo, de gran realismo, es un retrato naturalista que pudiera ser el de cualquier fraile de la época. De gran belleza plástica es el diseño del hábito de San Bernardo, magistralmente iluminado, lleno de pliegues y de un brillante y delicado color marfileño.
El pintor más famoso de todo el museo es, sin duda, Diego Velázquez. En su producción cuenta con obras religiosas de extraordinaria calidad. ¿Cuál es la más representativa de las que cuelgan de las paredes del Prado?
Sin ningún género de dudas, me decanto por su Cristo crucificado, datado entre 1631 y 1632. Se trata de uno de los indiscutibles iconos del Museo, obra cumbre en la producción del pintor sevillano. Esta representación cristífera se ha convertido en el prototipo de crucificado, la imagen de Jesús por antonomasia en la historia de la pintura. El propio cuadro ha tenido una vida un tanto azarosa. Fue pintado para el madrileño convento de San Plácido, en la calle de San Roque, nº 9. Este monasterio fue declarado en 1943 Monumento Nacional y alberga en su interior, especialmente en la iglesia, un notable conjunto de obras artísticas, como el retablo mayor, salido de los pinceles de Claudio Coello. El cuadro de Velázquez fue comprado por Manuel Godoy a las monjas en 1804. Acabó en manos de su esposa, la condesa del Chinchón; fracasó al intentar venderlo durante su exilio en París. Finalmente, lo heredó el duque de San Fernando de Quiroga quien se lo obsequió al nuevo rey, Fernando VII. El monarca decidió incluirlo en el lote de obras que se expondrían en el nuevo y flamante Real Museo de Pintura y Escultura, lo que hoy conocemos como Museo Nacional del Prado. La figura de Cristo se recorta sobre un fondo oscuro, de tono verde grisáceo. El artista renuncia a cualquier referencia de tipo espacial o decorativa; pretende evitar que el espectador que contempla el lienzo se distraiga con detalles menores; solo importa Cristo, la imagen de nuestro Redentor.
Representa una cruz, de travesaños alisados, con los característicos nudos de la madera. En la zona superior de la composición, encontramos la tablilla que ordenó colocar el propio Poncio Pilatos, escrita en hebreo, griego y latín, en la que se identifica al Nazareno con el rey de los judíos. Velázquez opta por presentarnos una visión frontal de Jesús. Su cuerpo desnudo, tan solo cubierto por el paño de pureza, es de una belleza extrema, el de un hombre de perfectas proporciones. El pintor expresa con sus pinceles que nuestro Salvador, además de verdadero Dios, era un ser humano perfecto, sin ningún tipo de defecto físico. El artista renuncia a pintar un Cristo musculoso y de formas esculturales, al gusto del Miguel Ángel. La figura del Redentor aparece suavemente moldeada, iluminada de forma tenue. Velázquez consigue crear una atmósfera de recogimiento, que nos invita a la piedad, es como si pintara el silencio. El artista sevillano tuvo por suegro y maestro a Francisco Pacheco, partidario de representar al Señor clavado en la cruz con cuatro clavos, dos en los pies y dos en las manos. Este modelo iconográfico cristífero es el que empleó Velázquez en la composición, por influencia de Pacheco. Los pies de Jesús descansan sobre un supedáneo de madera. En su cuerpo apenas percibimos las señales de la Pasión; tan solo el hilo de sangre que brota de la herida del costado. La cabeza de Cristo, inclinada hacia la derecha, aparece coronada de espinas e iluminada por un halo de luz, símbolo de su condición divina. Su larga cabellera le cubre la mitad de su rostro. Con tan pocos recursos visuales, el maestro sevillano consigue sobrecoger al espectador y elevar su espíritu hacia el mundo transcendente.
Otro de los grandes de la pintura barroca fue el valenciano José de Ribera, conocido como el Españoleto. Escoja una de sus obras maestras, de las que cuelgan de las paredes del Prado, y coméntenosla, por favor.
Difícil tarea escoger una sola pieza de este maestro, que cuenta con cerca de sesenta obras en las colecciones del Prado, todas ellas de excepcional calidad. Al final, me he decantado por La Trinidad, un óleo fechado hacia 1635. El misterio teológico que se representa es del tipo Compassio Patris: en el Reino de los Cielos surge la figura de Dios Padre que recoge en su regazo al Hijo recién muerto. Existe un paralelismo temático con la escena de la Piedad en que la Virgen María, a los pies de la cruz, sostiene el cuerpo de Jesús entre sus brazos. En este lienzo, Ribera demuestra toda su maestría y un gran dominio de la técnica pictórica, de la luz y del color. Para el diseño del cuadro se inspiró en una estampa de Durero, que igualmente sirvió de modelo en la Trinidad de El Greco; en la versión del cretense, que también forma parte de las colecciones del Prado, se emplea una paleta muy del gusto veneciano, con figuras alargadas, según mandaban los cánones del manierismo. El Españoleto nació en Játiva (Valencia) y se formó en Nápoles, donde aprendió la técnica del genial Caravaggio. En la composición encontramos una serie de líneas en diagonal, formadas por el sudario, sujetado por angelitos, los brazos inertes del Yacente y la capa granate con la que se cubre Dios Padre y que asciende vaporosa. La escena se divide en dos partes. En la zona baja, en penumbra, envuelto en las sombras de la muerte, aparece el cuerpo inerte de Cristo, con la piel cerúlea, iluminado de manera dramática, en línea con la estética tenebrista de Caravaggio.
Se puede observar su anatomía perfecta, los huesos del tórax y el vientre hundido. Capítulo aparte merece la herida del costado, que da la sensación de estar pintada en relieve; de ella mana un reguero de sangre que mancha el paño de pureza y la sábana. El lienzo del sudario y la tela con la que se cubre el Redentor están magistralmente representados; la naturalidad de los pliegues, el contraste de las luces y las sombras sobre el tejido de hilo blanco denotan una perfección técnica insuperable. Entre el Padre y el Hijo revolotea una paloma blanca que representa al Espíritu Santo. En la zona superior de la composición, surge una luz dorada, envuelta en nubes celestiales. Debajo, se despliega la suntuosa capa de tono carmesí, color asociado a la Pasión del Señor, con la que se cubre la mayestática figura del Padre. Éste se nos antoja un tanto distante e impasible ante el drama de la muerte de su Hijo. Lo que ocurre es que Ribera nos presenta a la Primera Persona de la Santísima Trinidad como un ser superior e intemporal, conocedor del misterio de la Redención y sabedor de la resurrección de Cristo. El Mesías ya ha cumplido su misión en la tierra; ha entregado su vida para la salvación de la humanidad. Este cuadro tan efectista cumplía con los requisitos estéticos exigidos por el catolicismo contrarreformista: el fin último de cualquier manifestación artística religiosa debe ser conmover al fiel, despertar su compasión mientras contempla absorto el patetismo de la escena.
Tampoco debemos olvidarnos de citar al granadino Alonso Cano, artista polifacético donde los haya; ejerció como pintor, escultor y arquitecto. De la colección del Prado, ¿cuál es su cuadro favorito?
-Uno de sus trabajos mas refinados es Cristo muerto sostenido por un ángel, fechado entre 1646 y 1652. En realidad, el Prado conserva dos versiones diferentes de Cano sobre este mismo tema. El granadino, durante su estancia en Madrid, tuvo acceso a la colección real y se dejó deslumbrar por las obras maestras de la escuela flamenca e italiana. También su amistad con Velázquez le ayudó a evolucionar en su trayectoria artística. Este lienzo es una obra de madurez, en la que demuestra una gran maestría a la hora de diseñar las figuras y emplear el color y la luz de manera acertada; se trata de una composición delicada y equilibrada. El papa San Gregorio tuvo una visión sobrenatural en la que se le apareció Cristo muerto rodeado por dos ángeles. Alonso Cano opta por representar a un único ángel, sujetando el cuerpo inerte del Señor. Es una visión sobrecogedora, que nos ayuda a comprender el misterio de la Redención. En la lejanía se dibuja un bucólico paisaje crepuscular, con una luz mortecina. En la zona baja y en primer plano podemos contemplar una serie de objetos relacionados con la Pasión, como los clavos y la corona de espinas, apenas perceptibles por encontrarse en penumbra. El único objeto que destaca entre las sombras es la jofaina dorada, utilizada como recipiente de la esponja con la que se limpió el cuerpo del Yacente. La imagen de Cristo muerto preside la escena, es el centro donde confluyen las miradas de los espectadores. La luz incide directamente sobre la piel macilenta del cadáver, de una palidez extrema, sobrecogedora. El desnudo del Señor es de una sublime perfección, con formas equilibradas. El rigor mortis queda atenuado al presentársenos el cuerpo del Mesías ladeado hacia la derecha y con una pierna flexionada, describiendo lo que en el arte se conoce como una “diagonal trágica”. El sudario destinado a envolver el sagrado cuerpo es de una blancura radiante, con numerosos pliegues y efectos de contraluz. El ángel que sujeta al Mesías aparece en la penumbra, iluminado de forma tenue, quedando así patente que ocupa un lugar secundario. Su cuerpo se inclina en la dirección contraria al del Nazareno y describe igualmente una diagonal; su túnica rosada, vaporosa y en movimiento, pone una nota de color a esta composición en la que predominan las sombras.
Dentro del barroco más evolucionado y efectista ¿podría escoger alguna pintura emblemática, de las que habitualmente cuelgan de las paredes de nuestra pinacoteca nacional?
Cuando el barroco español alcanza su punto álgido, desplegando todo su artificio y teatralidad, nos encontramos con lienzos de la categoría de El triunfo de San Hermenegildo, pintado por Francisco Herrera el Mozo y fechado en 1654. Este autor nació en Sevilla y fue hijo del también pintor Francisco Herrera el Viejo; se le encuadra en la escuela madrileña. El destino final de este cuadro de altar era presidir el retablo mayor del templo de los Carmelitas Descalzos o de San Hermenegildo en Madrid. El convento desapareció pero se salvó la bellísima iglesia, actual parroquia de San José, ubicada en la confluencia de la calle Alcalá y la Gran Vía. Fernando VII adquirió esta pintura un año antes de su muerte, en 1832, para exponerlo en su Real Museo de Pintura y Escultura, actual Museo Nacional del Prado. San Hermenegildo fue un príncipe visigodo, nacido en el siglo VI, hijo del rey Leovigildo y hermano de Recaredo. En aquel tiempo los monarcas visigodos profesaban el arrianismo, frente a la mayoría hispanorromana que practicaba la religión católica. La conversión de Hermenegildo al catolicismo provocó un grave enfrentamiento con su padre. Al final, el joven fue detenido y encarcelado. No abjuró de su nueva fe y se negó a recibir la comunión de manos de un obispo arriano; por este motivo fue decapitado en la cárcel.
Tras ser canonizado como mártir de la Iglesia Católica, en 1585, pasó a convertirse en el patrono de los conversos. En este óleo, San Hermenegildo se nos presenta en su apoteosis espiritual, ascendiendo triunfante a los cielos. En la zona baja de la izquierda, podemos ver las figuras de Leovigildo y del obispo arriano, humillados, arrastrándose por los suelos, contemplando atónitos la gloria de la que disfruta el príncipe católico; se encuentran en la penumbra, formando parte del mundo de las sombras, símbolo de su herejía. El paraíso celestial aparece iluminado con gran intensidad, con un colorido exquisito y lleno de matices. San Hermenegildo flota en el espacio; su figura, de gran dinamismo, se contorsiona en un complejo escorzo, como si fuera una columna salomónica. Viste una resplandeciente armadura y capa de color carmín que vuela y asciende vaporosa hacia lo alto, movida por una ráfaga de viento, en la misma dirección que se agitan los cabellos del santo. El mártir eleva la mirada y se embelesa contemplando el crucifijo que sujeta con la mano derecha. Un grupo de ángeles, resplandecientes y de contornos difuminados, envueltos en una luz dorada, rodean su figura y le acompañan en su ascensión a los cielos, mientras entonan cánticos de gloria y portan los atributos de la realeza y los instrumentos de su martirio. En este lienzo, de complejas formas helicoidales y atrevidos contraluces, en donde el movimiento se adueña de la composición, se pone de manifiesto el protagonismo que deben tener los santos en la vida espiritual del cristiano.
El extremeño Francisco de Zurbarán es uno de los pintores que más fama ha alcanzado fuera de nuestras fronteras; podemos admirar sus lienzos en los más prestigiosos museos del mundo. Dentro de las colecciones del Prado ¿cuál cree usted que es su obra más emblemática?
Zurbarán cuenta con aproximadamente una treintena de obras en el Prado, todas ellas de una calidad excepcional. Me ha resultado sumamente complicado decantarme por una en concreto. Finalmente, me he decidido por un lienzo que se ha incorporado recientemente a los fondos del museo. El empresario don Plácido Arango la donó al Prado, junto con otras veintiuna pinturas y algunas litografías de Goya. En esta tela se representa a San Francisco en oración y pertenece a la etapa de madurez del artista; la pintó en 1659. El museo cuenta con una pequeña sala, en la planta noble, en la que expone una selección de los trabajos de este extremeño universal. En esta composición, Zurbarán crea una escena luminosa, alejada del tenebrismo, utilizando una paleta de colores cálidos. La figura del santo, con el cuerpo inclinado, describe una diagonal y se recorta sobre un paisaje montañoso con un cielo azul cubierto de nubes blancas.
San Francisco medita arrodillado sobre la Pasión de Cristo; es un verdadero asceta que recibió los estigmas como un don espiritual. Su cabeza ladeada, cubierta por el capuchón del hábito, y su mirada ascendente, que busca conectar con el mundo transcendente, nos ponen sobre aviso de que se encuentra viviendo una experiencia mística. Se acerca la mano derecha al pecho, demostrando con este gesto su total disposición a cumplir la voluntad del Señor. La calavera que sostiene en su mano es el símbolo de la muerte, de la fugacidad de la vida. El hábito con el que se cubre San Francisco está tejido con una tela áspera y tintada con un color marrón parduzco; representa la pobreza y la austeridad franciscana. Se nos invita a renunciar a la vanagloria y a los placeres mundanos. Para que quede constancia de quién realizó la obra, en un rincón del suelo aparece un cartelillo con la firma del autor y la fecha.
La escuela sevillana merece un capítulo aparte dentro del barroco español. Sin duda, Bartolomé Esteban Murillo es el pintor más excelso de la segunda mitad del siglo XVII. ¿Cuál cree usted que es su obra más representativa dentro de las colecciones del Prado?
Este pintor es mundialmente conocido por crear el prototipo artístico de la Inmaculada Concepción de María; en el imaginario colectivo se tiende a asociar este dogma de fe con la imagen devocional que diseñara Murillo. El Museo del Prado cuenta con cuatro versiones de este tema conocidas como La Inmaculada del Escorial; La Inmaculada Concepción, de medio cuerpo; La Inmaculada de Aranjuez y La Inmaculada de los Venerables o de Soult. El dogma de la Inmaculada fue solemnemente proclamado, el 8 de diciembre de 1854, por el papa Pío IX. Desde entonces, para el católico existe una verdad de fe irrefutable: la Santísima Virgen María estuvo libre del pecado original desde el preciso instante de su concepción. En España la devoción por la Inmaculada era muy anterior a la proclamación oficial del dogma, existía desde hacía más de un siglo y medio. El mundo de las artes plásticas no era ajeno a este fervor mariano y pintores de la talla de Juan de Juanes, Herrera el Viejo, Pacheco, Velázquez o Zurbarán la representaron atendiendo a distintas fórmulas estéticas. Sin embargo, fue Murillo el artista que mejor supo trasladar al lienzo la imagen de María liberada de la mácula del pecado original. Analizaremos la Inmaculada de los Venerables (1660-1665), también conocida como de Soult; este general, al mando de las tropas napoleónicas, la sustrajo del Hospital de los Venerables Sacerdotes.
El Museo del Louvre la adquirió en una subasta y finalmente, tras un intercambio entre museos, regreso a España para ser expuesta en el Prado a partir de 1941. En este óleo se representa a María como una joven extremadamente bella y pura, de larga cabellera ondulada, con las manos cruzadas en el pecho y elevando la mirada hacia las alturas celestiales. El blanco del vestido y el azul del manto son colores asociados a la virginidad. Un grupo de querubines sujeta la nube sobre la que se apoya la Virgen, elevándola hacia el cielo infinito. La media luna que aparece a los pies de la Inmaculada es una clara referencia al Apocalipsis. En el fondo de la escena surge una luz cálida y envolvente; la imagen de la Virgen resplandece como el oro. Esta composición aparece cuajada de angelitos que adoptan las más diversas posturas; los más cercanos al espectador fueron ejecutados con una pincelada nítida y precisa, por el contrario, los que divisamos en la lejanía presentan formas abocetadas e indefinidas. De esta manera, Murillo crea la ilusión óptica de la perspectiva. Desde el punto de vista artístico podemos hablar de un barroco pleno y efectista, con el movimiento como protagonista. Murillo transporta al fiel a la gloria celestial y despierta en éste un profundo sentimiento de piedad, no con escenas cargadas de dolor y sufrimiento sino recreándose en la belleza de nuestra Madre de los cielos.
El Museo del Prado cuenta con una ingente cantidad de lienzos de estilo barroco, muchos de ellos permanecen ocultos a la vista del espectador por falta de espacio. ¿Podría citar alguno de los más sobresalientes?
Efectivamente, el Museo del Prado, a pesar de las sucesivas ampliaciones del edificio de Villanueva, carece del espacio suficiente para presentar sus magníficas colecciones al completo. De vez en cuando, se rescata de los almacenes alguna obra de gran calidad para exponerla en sala. Este es el caso de La vocación de San Mateo, óleo firmado en 1661, y salido de los pinceles de Juan de Pareja. En una de mis visitas al museo, mientras caminaba por la planta noble, me di de bruces con esta obra maestra. Su formato apaisado, la originalidad con la que se trata este pasaje del Nuevo Testamento, como si fuera una escena costumbrista, me invitaban a una contemplación reposada del cuadro. Juan de Pareja es un ejemplo de superación personal. De origen morisco, fue vendido como esclavo a Velázquez; le ayudaba en su taller de pintura y pronto demostró sus excelentes cualidades artísticas. Finalmente, su maestro le otorgó la libertad, entablándose una relación de amistad entre ambos. En el Prado tan solo se conservan dos de sus obras. La que se titula El Bautismo de Cristo, se encuentra depositada en el Museo de Huesca. En la composición que nos ocupa, se nos narra la conversión de Leví. El protagonista de este pasaje evangélico era aborrecido y marginado por su propio pueblo; se dedicaba a recaudar impuestos para Roma, una actividad tan lucrativa como despreciable. Sin embargo, Cristo le ofrece la oportunidad de empezar una nueva vida, presentándose por sorpresa en la oficina recaudatoria. El Maestro consiguió transformar el corazón de aquel usurero; cambió su nombre por el de Mateo y pasó a formar parte del grupo de apóstoles de Cristo. Posteriormente, escribió uno de los tres evangelios sinópticos.
Como escenario de fondo, encontramos un salón decorado al gusto de las estancias palaciegas del siglo XVII. El artista desconocía como era la arquitectura de la Palestina del siglo I, época en la que vivió Cristo. Los anacronismos son una constante en esta composición. A mano derecha y al fondo, encontramos una puerta abierta, a través de la cual divisamos un cielo azul cubierto de nubes; se trata de un punto de fuga que ayuda a crear la sensación de profundidad. En un plano intermedio, aparece un elegante cortinón verde. De la pared del fondo cuelga un cuadro, en el que posiblemente se representa una escena del Antiguo Testamento. Debajo se encuentran las estanterías con los libros de cuentas. A mano izquierda, en la zona superior, hallamos una ventana abierta, protegida por una vidriera, por la que penetra la luz que ilumina la estancia. También podemos contemplar una resplandeciente vajilla de oro y espléndidas joyas, provenientes de la rapiña recaudadora. Una mención especial merece el rico tapiz multicolor con el que se cubre la mesa que sirve de centro a la composición. La escena se puede dividir en dos partes, perfectamente diferenciadas, separadas por una columna de mármol, en cuyo fuste se enrolla una rica tela de tono carmín. A mano derecha y de pie, aparece Cristo, vestido con túnica roja y manto azul, con larga cabellera, nimbo de luz y el rostro sereno. Se comunica con un lenguaje gestual, a través de sus manos. Tres de sus discípulos se sitúan detrás, temerosos de contaminarse con solo pisar la casa del recaudador; conversan entre ellos, escandalizados por la osadía que ha demostrado su Maestro. Los apóstoles visten túnica y se cubren con capa, siguiendo la tradición cristiana a la hora de representar a los santos. Encima de sus cabezas brilla una estrella, símbolo de su santidad. A la izquierda del espectador se distribuye un grupo de caballeros, elegantemente ataviados, según los dictámenes de la moda del siglo XVII. Tres de ellos, los de mayor rango social, permanecen sentados. Junto a Jesús encontramos a Leví Mateo, con ricas vestimentas, muy del gusto oriental. Aparece ataviado con un turbante del que cuelga una magnífica perla.
Se cubre con una estola de pieles y luce espléndidos collares. Mira ensimismado a su futuro Maestro, mientras se lleva la mano al pecho, como si quisiera mostrar arrepentimiento por su vida pasada. Sobre su cabeza brilla una estrella, símbolo de santidad. El escribano que se sienta a su lado, toma nota de lo que ocurre y mira perplejo al Salvador a través de sus lentes. En una posición oblicua aparece un militar que ha interrumpido su lectura ante la inesperada visita del Señor. Se sienta en un sillón frailero, muy utilizado en la época. Se cubre con un sombrero de ala ancha, adornado con una gran pluma; viste una suntuosa casaca y calza botas altas. Debajo de la ventana, de pie, encontramos a otros dos personajes. El de la izquierda, dirige su mirada al espectador y sujeta entre sus manos un papel en el que figura la autoría del cuadro y la fecha en que se realizó; se trata de un autorretrato del artista. En la zona central y al fondo, otros cinco personajes, elegantemente vestidos, se muestran sorprendidos ante la presencia del Galileo. Un joven negro, de cabello ensortijado, se esconde detrás de la columna y asoma su cabeza, observando a Cristo en la distancia.
Como colofón de esta escueta pero selecta relación de obras barrocas, me gustaría que citase alguno de los trabajos de Claudio Coello, pintor cuya actividad artística coincide con el reinado de Carlos II, último soberano de la Casa de Austria.
A Claudio Coello lo podemos considerar el broche de oro perfecto para cerrar esta lista de artistas barrocos españoles. Pertenece a la denominada escuela madrileña. El museo cuenta tan solo con once obras de su autoría, todas ellas de temática religiosa, de las que habitualmente se suelen exponer tres. Una de sus más fascinantes creaciones se titula El triunfo de San Agustín, fechada en 1664 y destinada al Convento de los Agustinos Recoletos en Alcalá de Henares. La pintó cuando contaba veintidós años de edad; su juventud no le impidió crear una auténtica obra maestra. En este cuadro de altar lleva las premisas del barroco hasta sus últimas consecuencias. Es evidente la influencia de Rubens, el embajador de la escuela flamenca por excelencia. El colorido de este lienzo es espléndido, riquísimo en matices y el dibujo preciso y seguro; Coello pinta el movimiento, creando figuras de gran dinamismo, que adoptan posturas inestables. El ángel que expulsa a los enemigos de la Iglesia con su espada de fuego es de una belleza singular; con sus alas extendidas y en penumbra, y su rizada cabellera dorada conecta con la estética flamenca. Los querubines que flotan en el espacio aportan una nota de ternura a la representación.
El autor recurre al recurso compositivo de la diagonal trágica para crear tensión en la escena y dotarla de dramatismo; en realidad describe tres diagonales paralelas formadas por el báculo, la figura del santo y el ángel que porta la espada de fuego. Tampoco descuida el fondo de sus composiciones, diseñando arquitecturas grandiosas, como si fueran majestuosos decorados teatrales. A San Agustín, se le representa como obispo de Hipona, tocado con mitra dorada y vistiendo una capa pluvial de color asalmonado. Los pliegues de sus blancas vestiduras se confunden con la nube vaporosa sobre la que descansa el santo, empujada por un querubín, en su gloriosa ascensión hacia los cielos. El obispo de Hipona señala con la mano extendida ese cielo, de un azul intenso, tan característico de la escuela madrileña. Sin embargo, negros nubarrones se dibujan en el horizonte. La figura de este Padre de la Iglesia, omnipresente en la escena, aparece derrotando a dos de los enemigos más peligrosos de la fe católica: el dragón infernal, empequeñecido y retorciéndose de dolor, y al paganismo, representado por el busto pétreo de un dios de la mitología clásica. Este cuadro de altar es un magnífico ejemplo de como el arte se pone al servicio del pensamiento católico. El fiel que lo contempla, ensimismado y conmovido ante tal despliegue de belleza, entra en contacto con el mundo trascendente, con la realidad sobrenatural.
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SUBLEYRAS Pierre (Saint Gilles du Gard, 1699 - Roma, 1749)
Adoración de los Reyes Magos
Óleo sobre tela
47 x 63 cm.
Legado de Albert Pomme de Mirimonde en el museo del Louvre (inv. RF 1985-74), cedido al museo de Tours por decisión testamentaria en 1986.
Inv. : D. 986-1-7
Después de un primer aprendizaje en Uzès con su padre Mathieu Subleyras, un modesto pintor local, Pierre se incorporó en Toulouse al entonces estudio más famoso de la ciudad, el de Antoine Rivalz (1667-1738). Permaneció allí por primera vez desde 1717 hasta 1719 antes de regresar a Uzès, y nuevamente se unió al taller de Rivalz desde 1722 hasta 1726 cuando partió hacia París. Al año siguiente ganó el Gran Premio con Le Serpent d'Arain (Nîmes, Musée des Beaux-Arts) Pierre Subleyras se trasladó a Roma a partir de 1728 y comenzó una carrera que sería exclusivamente italiana. Respondió a numerosas órdenes de la Iglesia, en primer lugar las del nuevo Papa Benedicto XIV, cuyo retrato pintó en 1740 (Versalles, Museo Nacional del Castillo y Trianon). El mismo año fue elegido miembro de la Academia de Saint-Luc. Subleyras pintó para diferentes comunidades religiosas, los Olivetanos de Perugia, los Camilos ... realizó el gran Repas chez Simon en 1737 (París, Museo del Louvre) por orden de los canónigos de Saint-Jean-de-Laterran para el refectorio de Santa Maria Nuova d'Asti y para San Pedro de Roma una gran pintura de altar, en la que muestra un realismo asombroso:Misa griega de San Basilio , 1745 (Roma, Sainte-Marie-des-Anges).
El artista también se convierte en el pintor de la vida de los santos ( San Benito resucitando a un niño, Roma, iglesia Sainte-Françoise-Romaine). Estas claras composiciones, donde las masas se colocan con la ciencia, atestiguan la herencia clásica de este artista apodado por el cronista Pasqualino el " Pussino moderno ". Pero la actividad del pintor no se limita a estos cuadros exclusivamente religiosos, es también un notable retratista y produce escenas de género con temas a veces sinvergüenzas, en particular las que ilustran los cuentos de La Fontaine ( La courtesane amoureuse,París, Museo del Louvre). Si el artista ya no abandona Italia, aunque se le insta encarecidamente a regresar a Toulouse para suceder a Rivalz, quien murió en 1735, producirá, por otro lado, muchas pinturas para Francia, L'Assomption (catedral de Grasse) , La Sagrada Familia, (catedral de Toulouse). Este refinado colorista supo con un raro talento hacer vibrar los blancos de las telas como de la carne. Caron passer les ombres (París, Museo del Louvre) es en este sentido una verdadera obra maestra.
La Adoración de los Reyes Magos, hacia 1716-1718
Esta Adoración de los magos de Pierre Subleyras es el boceto preparatorio para la pintura en la Residenzgalerie de Salzburgo (ver obras relacionadas). Este lienzo de Salzburgo es esencial para el conocimiento del artista porque está firmado y fechado y da testimonio del talento extremadamente precoz de Subleyras. Si todavía se duda en leer 1716 o 1718 en el lienzo, estas dos añadas sitúan esta obra en cualquier caso en los primeros años de formación del artista. También está bien documentado, gracias a la investigación realizada por Pierre Rosenberg. El boceto de este cuadro entró en las colecciones del Musée de Tours en 1986 con su homólogo Le Songe de Joseph (siguiente aviso).
Los historiadores del arte han subrayado las relaciones entre una docena de pinturas, todas de temática religiosa, realizadas por Pierre Subleyras durante sus primeros años de aprendizaje en el sur de Francia. Estos diez cuadros se distinguen por un gusto muy marcado por los contrastes vigorosos de sombras y luces (revelando para algunos autores la influencia del caravagismo) y una ejecución rápida y robusta, a veces aún torpe pero no sin sabor. Los dos bocetos de Tours que pertenecen a este conjunto tienen una presencia y una fuerza asombrosas. Llama la atención la personalidad del artista, su dominio de la composición y el uso de la luz, entendemos bien frente a estas dos pinturas por qué Dezallier d'Argenville (1680-1765, historiador del arte,
La herencia italiana, transmitida por su maestro Antoine Rivalz, es evidente aquí, especialmente en el propio grupo de hombres Caravaggio colocados a la derecha en la Adoración de los Magos, pero también en el tratamiento de las cortinas con los pliegues rotos como papel arrugado, en el estilo de Schedone, claramente visible en particular por la túnica de la Virgen en El sueño de José. La luz modulada en fuertes contrastes da a estas dos obras una presencia intensa, una impresión de grandeza espiritual bastante inquietante. Subleyras sitúa en estos dos bocetos masas oscuras casi negras, de las que emergen las figuras de brillantes colores. La coloración sabrosa y aprendida muestra cuánto el artista ya domina este tema. En la adoración de los magos la mirada es captada primero por la figura de Balthazar envuelto en cortinas verde almendra, verde ajenjo y rosa, pero el tratamiento del color en los otros personajes también es muy sutil. El empaste ligero con acentos dorados hace vibrar los colores, los hace moverse. Ciertamente podemos notar cierta torpeza, especialmente en Le Songe de Joseph, por la representación de la mano izquierda del ángel demasiado larga, demasiado delgada o en la del torso de José, pero la fuerza que desprende de estos dos bocetos compensa sobradamente. a estos errores.
Texto del catálogo razonado pintura francesa del XVIII ° siglo. Tours Museo de Bellas Artes / Château d'Azay-le-Ferron , por Sophie Join-Lambert
Editorial Silvana, 2008
Información del Museo de Bellas Artes de Tours.
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