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Un anno dopo la falsa libertà dell’indifferenza | il manifesto
Pubblicato circa 12 ore fa
Edizione del 6 ottobre 2024
# Mario Ricciardi
«La storia conosce molti periodi di tempi bui in cui lo spazio pubblico è stato oscurato e il mondo è diventato così esposto al dubbio che le persone hanno cessato di chiedere alla politica niente altro se non che presti la dovuta attenzione ai loro interessi vitali e alla loro libertà personale. "
Sono parole di Hannah Arendt, scritte nel settembre del 1959, in occasione del conferimento del premio Lessing, ma rimangono attuali ancora oggi.
Le riflessioni di Arendt erano in parte ispirate dalla sua esperienza di ebrea apolide, sfuggita alla persecuzione nazista e alla Shoah, ma non avevano un carattere esclusivamente retrospettivo, e neppure riferito soltanto allo sterminio degli ebrei. L’oscuramento dello spazio pubblico cui allude Arendt è una condizione che deriva dall’impoverimento del tessuto connettivo da cui dipende la politica nel suo senso più nobile, che non la riduce al nudo uso della forza, ma si alimenta invece nel dialogo e nel confronto tra i cittadini di una repubblica.
Nei tempi bui il conflitto sociale, che è un fattore essenziale di una democrazia sana, perde il proprio carattere positivo, di espressione della pluralità delle opinioni e della parzialità delle verità che esse esprimono, e lascia il posto a contrapposizioni identitarie, e alla fuga dalla politica di ampi settori della popolazione, che si rifugiano nel culto esclusivo dei propri interessi e della propria libertà personale, priva di alcun collegamento con l’azione collettiva.
Chi si sente minacciato – i perseguitati, gli oppressi – cerca soltanto la compagnia di chi condivide lo stesso destino, e chi si trova invece in una condizione di relativa sicurezza vive sovente come un esiliato in patria, coltivando una visione individualista della vita e degli scopi che essa si prefigge. In una situazione del genere è inevitabile che si perda la sensibilità nei confronti delle ingiustizie che colpiscono gli altri, quelli che non appartengono alla nostra cerchia, e che si finisca per accettare come un fatto la prevalenza del forte sul debole.
In gioventù Arendt aveva conosciuto questo atteggiamento di acquiescenza nel modo in cui tanti tedeschi, persone in molti casi colte e ben educate, scelsero semplicemente di ignorare «la chiacchiera intollerabilmente stupida dei nazisti». Noi lo vediamo oggi nel modo in cui molti voltano lo sguardo dall’altra parte mentre c’è chi ripropone una visione suprematista e violenta dei “valori” della società occidentale, negando l’umanità delle vittime innocenti dei bombardamenti a Gaza e in Libano.
Un anno di guerra
A un anno dal 7 ottobre questa forma di cecità morale si manifesta nel ricordare la vittime dell’attacco di Hamas solo per tentare di giustificare la reazione, sproporzionata e illegale, del governo Netanyahu, e nel disinteresse nella sorte degli ostaggi israeliani, molti dei quali sono morti o rischiano di morire come “danni collaterali” di una guerra che potrebbe estendersi a tutto il Medio Oriente a servizio di un disegno politico di pura potenza.
Chi potrebbe permettersi di coltivare l’altruismo e l’apertura verso il prossimo rinuncia a farlo, lasciando il campo aperto a una guerra in cui tutti si considerano aggrediti, nessuno è in grado di riconoscere le ragioni altrui, ma una parte può mettere in campo una forza militare di gran lunga superiore, e non si fa alcuno scrupolo di usarla in modo indiscriminato, non per colpire il nemico, ma per punire un intero popolo. All’orizzonte c’è la concreta possibilità che si compia un genocidio, perpetrato dalle vittime di ieri che hanno scelto di farsi carnefici.
Dopo un anno persino chi ha criticato in modo più convinto le scelte del governo Netanyahu corre il rischio di soccombere al senso di impotenza, alla difficoltà che si incontra nel far sentire la propria voce di dissenso superando gli ostacoli e le intimidazioni provenienti da chi è convinto che lasciare mano libera all’uso indiscriminato della forza da parte di Israele soddisfi un “superiore” interesse strategico, e sia utile per puntellare una sempre più fragile egemonia.
Lasciare sole le vittime – i palestinesi, i libanesi, gli israeliani che hanno ancora il coraggio di opporsi alle scelte del proprio governo – è una tentazione ricorrente, per rifugiarsi nello spazio ristretto, ma per alcuni soddisfacente, del proprio interesse e della propria libertà. La lezione che ci trasmette Hannah Arendt e che, così facendo, ci stiamo incamminando sulla stessa strada percorsa nel secolo scorso dai tedeschi che scelsero di ignorare la «volgarità» nazista.
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"...l’Italia assume un ruolo che non è più vassallatico, ma di natura sacrificale, a vantaggio degli altri partner della transizione in corso che piuttosto che energetica è di sistemi di potenza. Gli Usa sceglieranno volta a volta gli alleati che considereranno rilevanti...
Gli Usa, impero riluttante, sono sempre più trascinati a svolgere il ruolo che, invece, la storia loro consegna, ossia di capitalismo dominante, dismettendo i panni della centralizzazione pacifica con i capitalismi cinese e russo che si sono ormai disvelati come avversari storici impegnati in quello che considerano entrambi una guerra di sopravvivenza. L’Italia deve trovare un posto in questa trasformazione. Un ruolo, insomma, che non la releghi per sempre nella DECADENZA ECONOMICA, POLITICA E MORALE nell’orizzonte mondiale..."
-G. Sapelli
-punti di vista
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ARTISTI CONTEMPORANEI - di Gianpiero Menniti
LA FORMA DELL'ENERGIA
La prima sensazione a colpire di lei è il sorriso: contagioso, fanciullesco, autentico.
Si accende nei suoi occhi e non passa.
Ma c'è di più: Antonella Di Renzo è anche la piacevole scoperta di una pittura che le somiglia non solo nella vividezza dello sguardo quanto nell'intensità del gesto, nel corpo che usa quasi come in una coinvolgente "performance" danzante.
Direi che pensa e si muove come dipinge.
E si esprime nel linguaggio parlato con il medesimo temperamento che promana dalla sua produzione artistica.
Una sorta d'introiezione tra l'artista e l'opera.
Il suo modo di fare arte è avventuroso.
Volutamente si misura con una forma di ricerca volta verso uno scopo molto preciso: cogliere la forma dell'energia.
Per lei, l'energia è "verità".
Si potrebbe dire che la sostanza della materia si rivela nella sua scomposizione, nel suo dissolversi: la pluripremiata artista vibonese riesce a strapparle la maschera della forma compatta che non è il suo volto reale.
Questo è ben più profondo, racchiuso proprio nell'energia che crea la massa e la tiene stretta.
Fino a quando una forza esplosiva non la frantumi liberandola dai vincoli della gravità.
Così, la materia riprende la sua leggerezza originaria e invade lo spazio, lo colora di luminosità, lo percorre senza sosta come impazzita per quella che la pittrice appella come felicità.
Le tele di Antonella Di Renzo sono queste immagini di parola, tra la potenza del colore e la suggestione del movimento, gli sfondi anch'essi dinamici e i materiali che sorgono in rilievo come fossero corpi in espansione.
L'energia fluttua, l'energia non ha "nómos".
Oppure, l'energia possiede regole: sono le leggi del caos, nonostante queste siano ancora sconosciute nella loro apprezzabilità scientifica, ancora avvolte nell'universo dell'indeterminatezza.
Tutto è davvero possibile in un modello statistico basato su principi inconcepibili solo un secolo fa, quando l'archiviazione della fisica newtoniana in favore degli sviluppi discendenti dalla fisica quantistica, da Boltzmann fino ad Heisenberg e alla relazione indissolubile tra ordine e disordine, hanno prodotto una tale mole di evidenze che nulla può ritenersi più reversibile nella spiegazione dei fenomeni dell'esserci.
Antonella Di Renzo è tra le epigoni di questa ormai secolare riflessione espressiva proiettata a risolvere sulla tela la domanda incessante di conoscenza, una domanda che prese corpo già con gli "Impressionisti" fino a spargersi lungo il '900.
Quella domanda di conoscenza è ancora attuale.
Dunque, c'è ancora spazio per artiste come lei.
Uno spazio sconfinato.
Costellato di soglie ancora in attesa di essere attraversate.
- Nelle Immagini: una foto di Antonella Di Renzo che tiene in mano "Amore malato" del 2015 e di seguito altre opere dell'artista
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Donald Trump jr e Kennedy jr: “Subito de-escalation e aprire negoziati diretti con la Russia”
"Il New York Times ha riferito che l'amministrazione Biden sta valutando di consentire all'Ucraina di usare armi di precisione a lungo raggio fornite dalla NATO contro obiettivi in profondità all'interno della Russia. Una decisione del genere metterebbe il mondo a un rischio maggiore di conflagrazione nucleare rispetto a qualsiasi altro momento dalla crisi missilistica cubana". Lo scrivono su 'The Hill' il figlio di Trump, Donald Trump junior, e Robert Kennedy junior.�"In un momento in cui i leader americani dovrebbero concentrarsi sulla ricerca di una via di fuga diplomatica per una guerra che non avrebbe mai dovuto aver luogo, l'amministrazione Biden-Harris - proseguono Trump e Kennedy junior - sta invece perseguendo una politica che la Russia afferma che interpreterà come un atto di guerra. Nelle parole di Vladimir Putin, gli attacchi a lungo raggio in Russia 'significheranno che i paesi della NATO, gli Stati Uniti e i paesi europei, sono in guerra con la Russia'. La logica degli analisti sembra essere che se si stuzzica un orso cinque volte e non risponde, è sicuro stuzzicarlo ancora più forte una sesta volta. Una strategia del genere potrebbe essere ragionevole se l'orso non avesse denti. I falchi dell'amministrazione Biden sembrano aver dimenticato che la Russia è una potenza nucleare. Hanno dimenticato la saggezza di John F. Kennedy, che nel 1963 disse: 'Le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che portano un avversario a una scelta tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare'. Dovremmo prendere sul serio questo consiglio".
Trump e Kennedy junior continuano: "Putin ha segnalato numerose volte che la Russia avrebbe usato armi nucleari in circostanze estreme. A settembre 2022, Putin affermo': 'Se l'integrita' territoriale del nostro Paese e' minacciata, useremo senza dubbio tutti i mezzi disponibili per proteggere la Russia e il nostro popolo: questo non è un bluff'. A marzo 2023, ha stretto un accordo con la Bielorussia per stazionare lì armi nucleari tattiche. All'inizio di questo mese, il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov ha annunciato che la Russia avrebbe modificato la sua dottrina nucleare in risposta al coinvolgimento occidentale nella guerra in Ucraina. Immaginate se la Russia fornisse a un altro paese missili, addestramento e informazioni di puntamento per colpire in profondità nel territorio americano. Gli Stati Uniti non lo tollererebbero mai. Non dovremmo aspettarci che lo tolleri neanche la Russia. Questo gioco del nucleare è andato abbastanza lontano. Non possiamo avvicinarci più di così al limite. E per cosa? Per 'indebolire la Russia'? Per controllare i minerali dell'Ucraina? Non è in gioco alcun interesse americano vitale. La febbre della guerra nell'establishment della politica estera statunitense è a un livello tale che è difficile dire se credono alla loro stessa retorica. Nel dibattito di martedì scorso, la vicepresidente Kamala Harris ha evocato immagini di forze russe che avanzano in Europa. Di sicuro deve sapere quanto sia assurdo. Per prima cosa, la Russia riesce a malapena a strappare qualche provincia all'Ucraina, che non è affatto una delle grandi potenze europee. In secondo luogo, la Russia ha reso molto chiari i suoi obiettivi di guerra fin dall'inizio, in particolare la neutralità ucraina e la fine dell'espansione verso est della NATO. Centinaia di migliaia di vite perse e centinaia di miliardi di dollari dopo, nessuno sta meglio, né l'Europa, né l'America e certamente nemmeno l'Ucraina. E' giunto il momento di una de-escalation di questo conflitto. Questo è più importante di qualsiasi questione politica su cui la nostra nazione discute. Una guerra nucleare significherebbe la fine della civiltà come la conosciamo, forse persino la fine della specie umana. L'ex presidente Donald Trump ha giurato di porre fine a questa guerra, ma quando entrerà in carica, potrebbe essere troppo tardi.
Marco Rizzo
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C'ERA UNA VOLTA LA GERMANIA, UNA POTENZA ECONOMICA, INDUSTRIALE E DI INNOVAZIONE SOCIALE. UNA VOLTA, PERO', PERCHE' I VERDI E LE SINISTRE DEMOCRATICO-PROGRESSISTE AL POTERE HANNO DISTRUTTO IL SOGNO DI MILIONI DI GIOVANI, CHE OGGI SI RIBELLANO, ANCHE A GRETA...
La popolarità dei Verdi e dei Socialisti tedeschi è al collasso, così come le infrastrutture della Germania.
Una parte di un importante nella città sassone di Dresda, un ponte, è misteriosamente crollato. L'incidente evidenzia la negligenza della Germania nei confronti delle proprie infrastrutture, mentre incanala decine di miliardi di euro in progetti verdi dubbi in patria e all'estero. Il crollo del ponte di Dresda è una metafora dell'attuale situazione della Germania.
"Parte del successo di AfD può essere attribuito alla sua politica economica. I tedeschi chiedono la fine dei sussidi governativi che distorcono il mercato dell'energia elettrica e rendono costosa l'energia, quindi la fine della costosa transizione energetica verde del paese e, soprattutto, un'inversione dell'attuale deindustrializzazione. Se questa politica economica moderata viene abbandonata dai centristi al potere, allora gli elettori guarderanno altrove".
Una volta votati i Verdi, i giovani sotto i 18 anni si sono spostati in massa a destra. Lo scorso mese di agosto, in Turingia, in un sondaggio è stato chiesto a 9000 giovani di età inferiore ai 18 anni per chi avrebbero votato. Il vincitore con un ampio margine è stato il partito di destra AfD, che ha ottenuto il 37,4% dei voti, più del doppio rispetto al 16,5% ottenuto nel 2019. I Verdi, d'altra parte, hanno perso un'enorme quota, circa l'83% dei loro sostenitori.
I giorni di Fridays for Future, guidati da Greta Thunberg, sono scomparsi più velocemente di una palla di neve in una calda giornata estiva. In effetti, i giovani hanno mantenuto la loro promessa "vi terremo d'occhio" e, ironicamente, odiano ciò che stanno vedendo ora: uno sgretolamento del loro paese e del loro futuro.
Ora stanno guidando una ribellione silenziosa ma potente. Le bugie sul Covid e sui vaccini, le bugie sulla guerra contro la Russia e il sabotaggio palese del gasdotto North Stream 2 che ha reso l'energia elettrica ed il gas in Germania costosissimi, ma i giovani si stanno rendendo conto di come l'Occidente sia tutto tranne che libero e democratico.
I dissidenti sono stati messi a tacere mentre la censura si diffondeva sulle principali piattaforme di social media. In Germania, e altrove in Europa, le persone che esprimevano opinioni diverse si sono trovate calunniate e criminalizzate. I leader dissidenti sono stati persino arrestati e imprigionati. Migliaia di account di social media sono stati sospesi.
Nel luglio 2024, la rivista tedesca di "estrema destra" Compact è stata perquisita dalle forze speciali tedesche e chiusa dall'eccessivamente zelante ministro dell'Interno socialista, Nancy Faeser.
Il fondatore del servizio di messaggistica istantanea Telegram, Pavel Durov, è stato arrestato dalle autorità francesi. Il suo crimine: fornire libertà di parola. I giovani ora si rendono conto di come la "libertà di parola" in Occidente sia solo uno scherzo.
L'uccisione di tre persone (e molte altre ferite) da parte di un rifugiato siriano durante un festival ha evidenziato una lunga serie di crescenti violenze da parte degli immigranti. L'opinione pubblica ha reagito mettendo in discussione a gran voce le politiche europee sulle frontiere. Nonostante una serie di grandi promesse, i politici non hanno intrapreso alcuna azione concreta per arginare l'ondata di migranti dal Medio Oriente e dall'Africa, provocando l'indignazione di tutti, soprattutto proprio dei giovani.
Il crimine e la violenza hanno reso insicure molte parti della Germania, e i giovani si stanno rendendo conto che il loro paese sta potenzialmente andando all'inferno; in nome dell'accoglienza, in nome della guerra, in nome dell'energia verde e di false promesse, ormai palesemente bugie di Stato.
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Gli europei hanno fatto della transizione ecologica uno dei pilastri della propria politica economica e della loro stessa identità politica. La Commissione uscente ha stabilito target di decarbonizzazione e installazione delle fonti rinnovabili sempre più ambiziosi. Gli Stati membri stanno cercando di perseguirli con i due strumenti più vecchi del mondo: gli obblighi e i sussidi, cioè, in una parola, la politica industriale statalista in tutta la sua potenza.
Siamo sicuri che sia la via migliore? La risposta è no e la conferma arriva dal Texas.
Alla fine di quest’anno, secondo quanto racconta un dettagliato articolo del Financial Times, nel corso del 2024 il Texas avrà installato più pannelli fotovoltaici (rapportati alla popolazione) non solo di qualunque altro Stato Usa, ma addirittura di qualunque Paese al mondo. Anche in termini di incidenza sulla generazione di energia elettrica, il fotovoltaico texano a marzo ha scavalcato il carbone e superato altre realtà, come la California, che spesso vengono enfatizzate come esempi da seguire. Non colpisce solo il livello raggiunto dalle rinnovabili, ma anche la rapidità con cui esse si sono imposte, sostanzialmente negli ultimi quattro o cinque anni.
Eppure, il Texas non è certo un luogo ospitale per i seguaci di Greta: non ha una legislazione particolarmente favorevole per le rinnovabili, non ha incentivi generosi e tanto meno ha obblighi paragonabili ai nostri. Sono invece due gli ingredienti del successo texano, e si trovano esattamente dalla parte opposta rispetto a quella verso cui si guarda quando si dibatte di questi temi.
Il primo ingrediente è la libertà economica: in Texas le rinnovabili non godono di privilegi, ma tutte le imprese possono contare su un sistema di regole pensato per valorizzarne il contributo, non per mettere loro i bastoni tra le ruote. In Texas non ci sono i lunghi iter burocratici che, in California come in Italia, soffocano le rinnovabili assieme alle altre imprese. Quindi, il punto non è disegnare corsie preferenziali per le tecnologie alla moda, ma costruire un quadro normativo affidabile e aperto per tutti. Non è distribuire il Nimby ai nemici e le agevolazioni agli amici, ma creare un ecosistema a misura d’impresa. Il secondo ingrediente è che i pannelli fotovoltaici sono diventati sempre più competitivi, anche rispetto alle fonti energetiche tradizionali.
E questo dipende principalmente dalla concorrenza internazionale e dal basso costo del fotovoltaico cinese. Se c’è quindi una vera minaccia che rischia di mettere a repentaglio il modello texano, quella deriva dai dazi pretesi dal presidente più ambientalista di sempre, Joe Biden, e dai requisiti di “local content”. Se le rinnovabili prosperano in Texas è perché, in quel contesto, convengono davvero. Ma senza istituzioni favorevoli alla libera impresa, esse sarebbero al centro di quella stessa rincorsa tra sussidi e regolamentazione che le sta mettendo in difficoltà altrove, come in California (e in molti Paesi europei): It’s the economic freedom, stupid.
ambientalismo ignorante passé bovino, non (solo) per le scuregge al metano, vs. sostenibilità quella vera, quella che non ha bisogno di aiutini, via https://opinione.it/economia/2024/05/29/istituto-bruno-leoni-texas-usa-pannelli-fotovoltaici-california-biden/
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“ La Guerra fredda aveva un senso. Fu una guerra ideologica in cui il vincitore, verosimilmente, avrebbe imposto al nemico sconfitto, per usare parole ormai screditate dal troppo uso, la propria filosofia e i propri valori. Può sembrare retorico, ma vi era in quello scontro fra giganti una certa nobiltà. Due grandi idee – la dittatura del proletariato e il capitalismo democratico – offrivano al mondo due strade diverse verso un futuro migliore. Le due diverse prospettive hanno creato speranze, attese, impegno e sacrifici che non sarebbe giusto ignorare. Oggi ogni traccia di nobiltà è scomparsa. Il comunismo è fallito e, come accade sempre in queste circostanze, la memoria collettiva ricorda soltanto le sue pagine peggiori: i massacri della fase rivoluzionaria, la fame ucraina, la persecuzione del clero, le purghe, i gulag, il lavoro coatto, i popoli trasferiti con la forza da una regione all’altra. La democrazia capitalista non è in migliori condizioni. Il trasferimento del potere economico dai produttori di beni ai produttori di denaro ha enormemente allargato il divario fra gli immensamente ricchi e i drammaticamente poveri. Il denaro governa le campagne elettorali. Le grandi piaghe della prima metà del Novecento – nazionalismo, militarismo, razzismo – si sono nuovamente aperte. Il linguaggio della competizione politica è diventato becero e volgare. Le convention americane sono diventate un circo equestre in cui i candidati esibiscono i muscoli della loro retorica. Il meritato riposo e un busto nel Pantheon della nazione, che attendevano gli uomini di Stato alla fine della loro carriera politica, sono stati sostituiti da posti nei consigli d’amministrazione, laute consulenze e conferenze generosamente retribuite (come i 225.000 dollari pagati da Goldman Sachs a Hillary Clinton per un dibattito dopo i suoi quattro anni al Dipartimento di Stato). Anziché affidarsi a leader saggi e prudenti, molti popoli sembrano preferire i demagoghi, i tribuni della plebe, i caudillos. Anche Putin appartiene per molti aspetti a un club frequentato da Erdoğan, Al Sisi, Orbán, Jaroslaw Kaczyński, Bibi Netanyahu, Xi Jinping, Lukašenko, per non parlare dei loro numerosi cugini in Africa e in Asia. Ma ha anche altre caratteristiche.
Deve governare un enorme spazio geografico popolato da una moltitudine di gruppi nazionali e religiosi. È il leader di un grande Paese che ha interessi legittimi e ambizioni comprensibili. È responsabile di una potenza che è anche un tassello indispensabile per l’amministrazione di un mondo caotico e pericoloso. Possiamo deplorare molti aspetti del suo carattere e della sua politica. Ma vedo sempre meno persone in Occidente che abbiano il diritto di impartirgli lezioni di democrazia. Occorrono 541 giorni per formare un governo in Belgio. Occorrono due elezioni politiche a distanza di sei mesi per formare un governo in Spagna. Occorrono tre commissioni bicamerali e due riforme costituzionali approvate dal Parlamento, ma sottoposte a referendum popolare, per cercare di modificare la costituzione in Italia. Nell’Unione Europea sono sempre più numerosi i cittadini che invocano il ritorno alle sovranità nazionali, ma in alcuni Stati nazionali (Belgio, Gran Bretagna, Spagna) la sovranità nazionale è contestata da regioni che chiedono il diritto di secessione. Mi chiedo: la democrazia è ancora un modello virtuoso che l’Europa delle democrazie malate e gli Stati Uniti delle sciagurate avventure mediorientali e del nuovo razzismo hanno il diritto di proporre alla Russia? “
Sergio Romano, Putin e la ricostruzione della grande Russia, Longanesi, 2016¹. [Libro elettronico]
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L'ideologia
Raramente chi cambia convinzioni cambia ideologia.
Stanisław Jerzy Lec
Come ogni volta è stato necessario dal conseguimento dei miei 18 anni, anche ieri sono andato a votare. Dalle prime lezioni Europee, la percentuale di partecipazione dei votanti è calata di quasi 20 punti percentuali.
È molto bello leggere qui le considerazioni che scorrono in dash sull'argomento, e vorrei portare la mia particolare attenzione per tre temi che trovo affascinanti ma spesso brutalmente semplificati.
I primi due sono collegati. L'aumento a livelli mai visti dell'astensione, pone in cattiva luce coloro che non hanno esercitato il proprio diritto di voto, in una posizione alquanto intrigante nell'indagine sui perché non siano andati a votare. Sulla questione, sebbene a mio parere è più importante votare che non farlo, sono molto meno estremista di chi sostiene che a)non ci si può poi lamentare e b) si fa un favore a certe fazioni politiche (questo punto sarà la partenza della seconda questione). L'articolo 48 della Costituzione Italiana stabilisce che il voto è personale, uguale, libero e segreto e che il suo esercizio è un «dovere civico». Sull'ultimo punto, che è ambiguo, la doverosità si lega solo all'espressione del vincolo politico di appartenenza al popolo, che vuol dire che se non si vota non ci sono sanzioni civili o penali, e l'unico vincolo esistente è morale. Siccome essa è varia e per fortuna non viviamo ancora in uno Stato Etico, credo che sia doveroso essere meno istintivi e più riflessivi sul punto, per lo stesso principio per cui, e ne sono fermamente convinto, è inopportuno e insensato chiedere alle famiglie di fare più figli per sostenere la natalità.
Seconda questione: i motivi del non voto. Il più sentito è la mancanza di corrispondenza tra i propri ideali e quelli proposti dalle compagini politiche. È un punto inattaccabile, lo ammetto. Ma mi chiedo a questo punto se esista davvero qualcosa che possa essere esauriente nella corrispondenza tra i nostri ideali e la realtà. Avendo avuto mezza famiglia impegnata in politica negli anni precedenti, ho avuto la fortuna di leggere i verbali delle assemblee delle sezioni del Partito Comunista Italiano della mia città e della mia provincia. Già allora esistevano le contestazioni su cosa fosse o meno di sinistra (accusando immancabilmente gli altri di non capirlo), con argomentazioni a volte di una sottigliezza politica ed intellettuale ammirevole, ma il tutto si discuteva e si "risolveva" (il più delle volte) all'interno della sezione, che poi guidava il voto, che era compatto per ideologia di partito oltre le differenze individuali, a volte dal punto di vista politico anche profonde (tanto che poi non si rinnovava la tessera, per esempio). Finita l'ideologia partitica, per motivo storici a volte validi e altri del tutto costruiti prima dal berlusconismo, poi dal populismo dilagante, non vorrei che si spingesse gli elettori a scegliere le proprie idee con la stessa mentalità con cui scegliamo un bene di consumo, attenti alle parole slogan, a particolari che politicamente sono inutili ma nella propaganda efficaci e soprattutto ad un modo di pensare che ormai, per ogni questione, polarizza l'attenzione sugli estremi delle posizioni, fa di tutto per rendere inutile il dialogo, e mette sempre le questione ad un bivio, questo si etico, per cui se non sei così non sei buono e viceversa. Dando solo una sempre più incontenibile potenza all'individualismo.
In un post che mi è piaciuto molto, @biggestluca pone l'accento sull'importanza di riprendere un discorso di cultura politica di base che, e lo condivido in pieno, è del tutto scomparsa. Anche in questo caso, il ruolo delle strutture del partito o di quelle che nella scienza politica venivano detti "corpi intermedi", si è dissolto lasciando uno spazio desolante di mancanza di riferimento, solo in parte sostituita, a volte unica via, dall'informazione personale. Che se da un lato è percorso formativo necessario, dall'altro rischia di travolgere i concetti e di definirli secondo le dinamiche del punto secondo. Faccio un esempio recentissimo: le bellissime immagini delle vittore dei ragazzi e delle ragazze dell'Atletica italiana ai recenti Europei di Roma, con la loro bellezza multiculturale (che quindi in parte è già viva e presente, sebbene impedita con norme oscene dallo Stato) sono quasi tutte descritte come una risposta anti-Vannacci, issando un pensiero che rimane pur sempre minoritario (che è quello di questo tizio, stando ai numeri), dandogli maggior importanza di quello che è. La questione gioiosa, che da un lato nasconde problematiche annose e politicamente rilevanti, finisce per essere una sorta di sfottò al personaggio salito alla ribalta delle cronache.
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Mi sto progressivamente allontanando dalla cosiddetta area del dissenso, giorno dopo giorno.
Il motivo? Alla base di questo universo dalle forme indefinite vi è la stessa filosofia che anima la peggiore politica italiana.
No, non sto parlando della corruzione o del malaffare. E nemmeno dei personalismi, delle singole ambizioni o dei sotterfugi. Acqua acqua acqua.
Sto parlando di quella perniciosa, demenziale e distruttiva idea che, tutto sommato, la Storia sia già scritta.
Che si parli di un vincolo esterno o di una congrega segreta, poco cambia: nulla si può fare, nulla si può cambiare, nulla si può contrastare. Spazzatura post-storica spacciata per realismo, perfettamente funzionale allo status quo, anticamera dell'inazione più pigra, arrendevole e codarda.
Questo è il grande virus che divora le menti degli occidentali moderni, prosciugandone ogni forza vitale, ogni pulsione alla ribellione che non si risolva in un personalissimo quanto autocelebrativo scatto d'ira.
A conti fatti cosa differenzia davvero, oggi, un conformista e un dissidente?
Il primo crede di vivere nel migliore dei mondi possibili e agisce come un cane da guardia, più o meno pasciuto, davanti ai cancelli del pensiero dominante.
Il secondo riconosce le storture di quest'epoca ma le ritiene frutto di un piano talmente ben congeniato e talmente perfetto da aver plasmato ogni pagina di Storia umana fino ai giorni nostri.
Risultato?
Entrambi considerano pericoloso il cambiamento. Lo avversano con rabbia.
I primi per fanatico servilismo, i secondi per malfidato fatalismo.
E la conclusione è sempre la stessa: There Is No Alternative.
Qualsiasi progetto voglia affrancarsi da questa fetida palude post-storica, da questo triste fanclub di Fukuyama, dovrà avere il coraggio di recidere i legami con un'area che, consapevolmente o meno, è destinata per vocazione all'inoffensività.
Basta negare il ruolo dei popoli, delle collettività e delle nazioni.
Basta negare l'imprevedibilità della Storia.
Basta negare la potenza degli ideali.
Uscite dalla palude.
O sguazzate in silenzio.
Matteo Brandi
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[...] I cittadini americani si son resi conto della truffa ai loro danni e non ritengono tollerabile un genocidio compiuto in loro nome e a loro spese. Ma è tutto l’Occidente ad avere le mani sporche di sangue e da decenni. L’Europa vende armi e a priori sostiene Israele che in molti ambiti è inspiegabilmente trattato come un membro dell’Unione. Il banale fatto, ad esempio, che le squadre di calcio israeliane partecipano alle coppe europee non ha nessun senso. Israele è in Medio Oriente, in un altro continente. L’Europa adotta vergognosamente un doppio standard. L’esistenza della Palestina viene istituzionalmente ignorata dai paesi europei che nel frattempo nel mondo non hanno esitato a bombardare in nome della democrazia e dei diritti umani, mentre ad Israele hanno sempre concesso tutto facendo spallucce anche davanti a palesi violazioni del diritto internazionale. Questo grazie alla potenza della lobby pro Israele, grazie a rigurgiti di antichi sensi di colpa come nel caso delle grottesche posizioni tedesche ma anche grazie a tanta ipocrisia e conformismo. Da sempre chiunque in Occidente alzi la testa ed osi criticare la politica israeliana viene accusato a vanvera di antisemitismo e rischia la carriera. Per emergere nella politica e nel giornalismo e in tutte le posizioni pubbliche che contano, bisogna farsi un giro in sinagoga. Quasi tutti i primi ministri di paesi come l’Italia, ad esempio, sono storicamente corsi a Gerusalemme al muro del pianto prima di entrare a Palazzo Chigi. Prassi dalle ragioni storiche anche comprensibili ma che col tempo sono state manipolate ed hanno assunto tutt’altro senso. In Europa cresciamo a pane ed olocausto e ricordiamo di continuo quelle indegne atrocità, ma lo facciamo come se l’umanità non ne avesse compiute di molte altre. Un feticismo della memoria che col tempo è degenerato in propaganda politica. Non si può dire una parola contraria ad Israele senza venire accusati di odiare gli ebrei. Ma l’antisemitismo non c’entra nulla, gli ebrei soffrono dell’odio da parte di una minoranza di ignoranti fanatici come del resto lo soffrono tutte le altre minoranze religiose e culturali. L’antisemitismo è figlio di una vomitevole ignoranza ma che anima tutte le forme di discriminazione. È inaccettabile l’odio verso gli ebrei come è inaccettabile odiare chiunque e lo è ancora di più se si tratta di un odio che nasce da superficiali generalizzazioni di categoria e stupidi stereotipi. Ma l’antisemitismo non centra assolutamente nulla, è solo una delle tante leve con cui la lobby pro Israele ha trascinato il mondo fino a questo punto, rendendo di fatto le democrazie occidentali complici del genocidio in corso a Gaza come in tutta la Palestina. E da anni, non da mesi. [...]
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Ad inizio della guerra Russia-Ucraina furono "fionde". Insomma, tutta la politica e tutta l'informazione occidente provava a quietare le opinioni pubbliche derubricando tutto ad aiuti che non andavano oltre una possibile "sassaiola". Sarebbe bastato questo per mettere al tappeto la Russia. Poi furono fucili, mitra, poi cannoni, carri armati di ultima tecnologia, missili a corta, media e lunga gittata, aerei da combattimento. Adesso e' il turno delle bombe a grappolo. Sicuramente tra qualche mese si passera' ad armi nucleari tattiche. Mi ricorda molto la storia della rana morta bollita. L'acqua scalda piano piano fino ad arrivare a ribollire, la rana non se ne accorge e schiatta. Sembra questo il futuro dei paesi europei. Anzi, il futuro dei Paesi europei sara' una lenta agonia prima dello sfarinamento totale. L'unione europea sara' sostituita e dominata dai paesi pro-nato all'ennesima potenza appoggiati dagli USA: Polonia, Ucraina, Romania, cechi e slovacchi, moldavi, georgiani e paesi scandinavi, tutta quella parte che di cultura europea ha una beata cippa. @ilpianistasultetto
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Pensavamo di aver visto l'abisso della perversione politica quando partiti sedicenti di sinistra e lavoristi facilitavano i licenziamenti, demolivano il pubblico impiego e smantellavano il welfare.
Poi sono venuti partiti sedicenti di destra e sovranisti che aprono le porte all'immigrazione, azzoppano l'economia nazionale staccando la spina ai rifornimenti energetici dalla Russia e minando i rapporti con quella che si appresta ad essere a breve la prima potenza economica mondiale (Cina).
Oramai lo spazio per l'imbarazzo, per scuse contorte, per ragionamenti modello "sembra-facciano-il-contrario-di-quel-che-dicono-ma-è-tutto-un piano", è ampiamente esaurito.
La verità è che oggi destra e sinistra rappresentano solo un medesimo ceto di potere autoreferenziale che banchetta con le risorse del paese.
Il giorno in cui un paese straniero bussasse alla porta dell'Italia chiedendo di poterci invadere, la reazione popolare andrebbe dall'indifferenza al giubilo, perché il paese non esiste più e quel che ancora esiste odora ogni giorno di più di putrefazione.
Andrea Zhok.
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"Il potere logora chi non ce l'ha"
1. disse Andreotti riprendendo un aforisma di Charles Maurice de Tayllerand. Mentre, com'è noto, "Sovrano (cioè l'effettivo titolare del potere) è colui che decide sullo stato di eccezione, nel senso che decide che sussiste lo stato di eccezione e, secondariamente, che decide cosa si debba fare per superarlo" (Karl Schmitt, Teologia politica). 2. Sempre Schmitt (ibidem): "lo Stato (oggi, precisamente, l'entità, non statuale ma "sovranazionale", che decide sullo stato di eccezione e come superarlo) precede logicamente e cronologicamente l'ordinamento giuridico, e se il diritto ha bisogno dell'autorità per venire ad esistenza, perché è la decisione dell'autorità che crea il diritto, l'autorità non ha bisogno del diritto per venire ad esistenza, perché l'autorità fonda la propria esistenza in se stessa, nella potenza del potere politico". 2.1. In sostanza: "l'autorità dimostra di non aver bisogno di diritto per creare diritto", cioè il diritto che viene effettivamente applicato è quello del "più forte". 3. Ora cosa sono le regol€ di bilancio dell'eurozona se non uno stato di eccezione a tempo indefinito e "a risoluzione impossibile", poiché esse stesse precludono l'unica soluzione di una crescita adeguata? Cosa sono, tali regol€, se non una pura riaffermazione della propria più forte autorità, in special modo, da quando le si considera implicitamente prevalenti sui principi fondamentali della Costituzione, proprio allorché si nega una gerarchia tra i "valori" della Costituzione, con la giustificazione schmittiana (!) di volerne evitare la (misteriosa)"tirannia"? Cosa altro possono essere, se si dimentica, in ogni ragionamento giuridico, (ma pure economico) che dalla Costituzione soltanto deriva l'adesione e il mantenimento in effetto dei trattati UE? 4. Quale autorità può ormai vantare la Costituzione, se viene "riletta" come una fonte che, di fatto (cioè per pura logica di incontestabile "forza", al di fuori di ogni cosciente richiamo alla gerarchia delle fonti), è abrogabile/disapplicabile ad opera di qualsiasi livello e fonte di diritto UE, in particolare rifiutando di porsi un problema di comprensione sia del paradigma politico-economico ordo-liberale dei trattati, sia del modello socio-economico della Costituzione? 5. E dunque, quale potere, autolegittimantesi sull'autorità effettiva, rimane alle istituzioni nazionali, una volta private della "forza" pre-giuridica costituita dall'agire del Potere Costituente del 1948 (sostituito dall'adesione a dei trattati ratificati con mera legge ordinaria)? 6. Questa realtà sociologica, di puri rapporti di forza, spiega "andreottianamente" (ovvero, a la Tayllerand) il costante e prevedibile logorio cui sono soggette le autorità politiche nazionali. 7. Queste, una volta private del potere di decidere sullo stato di eccezione - ciò che in effetti presuppone l'autorità effettiva, che si manifesta, prima di tutto nel potere di emettere moneta, di decidere sul livello del bilancio statale, di decidere su fini fondamentali del popolo, fondati sull'autorità della Costituzione -, accettano e subiscono, costantemente, lo stato di eccezione dichiarato dalle regole UE (il quale, in pratica, vige dal 1991). 8. Tale stato di eccezione, essenzialmente, è una conseguenza del modo in cui viene considerato, d'autorità (vincolo esterno dei trattati), il debito pubblico nazionale. La sua considerazione secondo un indice numerico del tutto arbitrario, rapportato al PIL annuale, unito, in modo coessenziale, al divieto di garanzia da parte di una banca centrale nazionale, è il fulcro dell'autorità dei trattati. 9. Tale "considerazione" costituisce infatti, in un modo inizialmente e, tutt'ora per lo più, non avvertito dal popolo italiano, il presupposto per un perenne stato di eccezione. E quindi per la ri-dislocazione, al di fuori dalla Nazione e dalle sue istituzioni costituzionali, della titolarità dell'autorità e della sovranità effettive.
-LucianoBarraCaraccio
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IL MESTIERE DELL'EDITOR - di Gianpiero Menniti
RAPSODIE DI LUCI E OMBRE
Ancora una volta per Angela Ada Mantella, vulcanica drammaturga e poeta.
Sue anche le immagini fotografiche, interne e di copertina.
Ancora una volta un testo che sorprende per l'originalità creativa.
Ne ho curato l'editing e scritto la prefazione.
Da quest'ultima traggo un brano significativo della mia riflessione sull'opera:
[...] nessun pensiero è privo della base linguistica che ci precede. Le strutture profonde teorizzate da Noam Chomsky rispetto agli effetti superficiali del linguaggio, indicano la relazione tra una competenza innata e le espressioni in atto ma nemmeno questo schema è in grado di ridurre la singolarità a manifestazione universale, l’unicità a riproducibilità se non nella prospettiva di un tempo infinito nella quale ipotizzare un “eterno ritorno”. Suggestioni. Echi nietzschiani. Questo è il naufragio nel quale si annega di fronte ai testi di Angela Ada Mantella: un naufragio cercato, anelato, talvolta perfino necessario. Il lettore è chiamato a lasciarsi travolgere nella improvvisa, inspiegabile certezza di aver compiuto il viaggio più atteso. Paradossale, come l’ossimoro latino che recita «Nunc bene navigavi, cum naufragium feci»: «Posso dire di aver ben navigato, solo dopo aver fatto naufragio». Apparentemente paradossale: occorre portare se stessi all’estremo confine, fino a quel limite sul quale il baratro dell’effetto drammatico possa compiersi e fin tanto che non si produca, tracci la distanza rispetto al perfezionamento, l’adempimento che tolga ogni strada, dove ogni prospettiva scompare divenendo ἀπορούμενον" (aporoumenon), incessante ricerca, un volgere lo sguardo verso l’origine che mai trova chiaro fondamento. Così è la febbrile, coinvolgente e sconvolgente scrittura dell’autrice di origine canadese. Una scrittura che non lascia il conforto della sosta ma è viaggio esasperato tra i marosi, in una tempesta di sentimenti che richiamano il lettore verso un palpitante dissesto delle certezze. Semmai, paradossale è la convivenza del misero e del grandioso: l’umana fragilità tuttavia capace di dare forma espressiva alla sovrastante, immane potenza della natura. [...]
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Gaza will be free! All of Palestine will be free!
The post is machine translated
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The collective is on telegram
🐲 ZHANG JUN: «ISRAELE, POTENZA OCCUPANTE, DEVE REVOCARE L'ASSEDIO TOTALE SU GAZA» 🕊
🇨🇳 Lunedì, 30 ottobre, il Compagno Zhang Jun - Rappresentante Permanente della Cina alle Nazioni Unite, ha esortato le parti coinvolte nel Conflitto Israelo-Palestinese a promuovere un "Cessate il Fuoco", revocare l'assedio totale di Israele a Gaza, ripristinare i corridoi umanitari, rilasciare i prigionieri e promuovere il Dialogo per una Soluzione Politica 🕊
🇨🇳 Il Compagno Zhang Jun ha espresso profonda solidarietà alla Popolazione di Gaza, che lotta sull'orlo della vita e della morte, e ha osservato che il Processo di Pace in Medio Oriente è al collasso, verso un punto di non ritorno 😡
🇺🇸 Gli USA, in quanto guerrafondai n°1 al Mondo e principale Paese irresponsabile, continuano a militarizzare la regione, offrendo un sostegno pressoché totale ad Israele 😡
💬 «La Cina invita Israele, in quanto potenza occupante, [...] a revocare l'assedio su Gaza» - Zhang Jun 🇨🇳
😡 La violenza contro i civili la punizione collettiva imposta al Popolo Palestinese non faranno altro che esacerbare l'odio e lo scontro, ha sottolineato Zhang Jun 🇨🇳
🔍 Approfondimenti:
一 120 Paesi, tra cui la Cina, chiedono una tregua umanitaria a Gaza - solo 14 voti contrari, tra cui quelli di USA e Israele 🇺🇳
二 La Cina sostiene il ruolo della Lega Araba, dei Paesi Arabi e dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica per la Risoluzione del Conflitto Israelo-Palestinese 🤝
三 🇺🇳 Coordinamento tra Cina e Russia all'ONU sulla Questione della Palestina 🇨🇳🤝🇷🇺
四 Zhang Jun: «Fermare la Crisi Umanitaria, promuovere l'Istituzione di uno Stato di Palestina che sia indipendente e sovrano» 🇵🇸
五 La Cina ha sempre sostenuto, sostiene e sosterrà l'Istituzione di uno Stato di Palestina 🇵🇸
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🐲 ZHANG JUN: «ISRAELE, POTENZA OCCUPANTE, DEVE REVOCARE L'ASSEDIO TOTALE SU GAZA» 🕊
🇨🇳 Lunedì, 30 ottobre, il Compagno Zhang Jun - Rappresentante Permanente della Cina alle Nazioni Unite, ha esortato le parti coinvolte nel Conflitto Israelo-Palestinese a promuovere un "Cessate il Fuoco", revocare l'assedio totale di Israele a Gaza, ripristinare i corridoi umanitari, rilasciare i prigionieri e promuovere il Dialogo per una Soluzione Politica 🕊
🇨🇳 Il Compagno Zhang Jun ha espresso profonda solidarietà alla Popolazione di Gaza, che lotta sull'orlo della vita e della morte, e ha osservato che il Processo di Pace in Medio Oriente è al collasso, verso un punto di non ritorno 😡
🇺🇸 Gli USA, in quanto guerrafondai n°1 al Mondo e principale Paese irresponsabile, continuano a militarizzare la regione, offrendo un sostegno pressoché totale ad Israele 😡
💬 «La Cina invita Israele, in quanto potenza occupante, [...] a revocare l'assedio su Gaza» - Zhang Jun 🇨🇳
😡 La violenza contro i civili la punizione collettiva imposta al Popolo Palestinese non faranno altro che esacerbare l'odio e lo scontro, ha sottolineato Zhang Jun 🇨🇳
🔍 Approfondimenti:
一 120 Paesi, tra cui la Cina, chiedono una tregua umanitaria a Gaza - solo 14 voti contrari, tra cui quelli di USA e Israele 🇺🇳
二 La Cina sostiene il ruolo della Lega Araba, dei Paesi Arabi e dell'Organizzazione della Cooperazione Islamica per la Risoluzione del Conflitto Israelo-Palestinese 🤝
三 🇺🇳 Coordinamento tra Cina e Russia all'ONU sulla Questione della Palestina 🇨🇳🤝🇷🇺
四 Zhang Jun: «Fermare la Crisi Umanitaria, promuovere l'Istituzione di uno Stato di Palestina che sia indipendente e sovrano» 🇵🇸
五 La Cina ha sempre sostenuto, sostiene e sosterrà l'Istituzione di uno Stato di Palestina 🇵🇸
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🐲 ZHANG JUN: «ISRAEL, THE OCCUPING POWER, MUST LIFT THE TOTAL SIEGE ON GAZA» 🕊
🇨🇳 On Monday, October 30, Comrade Zhang Jun - Permanent Representative of China to the United Nations, urged the parties involved in the Israeli-Palestinian Conflict to promote a "Ceasefire", lift Israel's total siege of Gaza, restore humanitarian corridors, release prisoners and promote Dialogue for a Political Solution 🕊
🇨🇳 Comrade Zhang Jun expressed deep solidarity with the People of Gaza, who are fighting on the brink of life and death, and noted that the Peace Process in the Middle East is collapsing, towards a point of no return 😡
🇺🇸 The USA, as the No. 1 warmonger in the world and the main irresponsible country, continues to militarize the region, offering almost total support to Israel 😡
💬 «China invites Israel, as an occupying power, [...] to lift the siege on Gaza» - Zhang Jun 🇨🇳
😡 Violence against civilians and collective punishment imposed on the Palestinian people will only exacerbate hatred and conflict, stressed Zhang Jun 🇨🇳
🔍 Further information:
一 120 countries, including China, call for a humanitarian truce in Gaza - only 14 votes against, including those of the USA and Israel 🇺🇳
二 China supports the role of the Arab League, Arab countries and the Organization of Islamic Cooperation in resolving the Israeli-Palestinian conflict 🤝
三 🇺🇳 Coordination between China and Russia at the UN on the Palestine Issue 🇨🇳🤝🇷🇺
四 Zhang Jun: «Stop the Humanitarian Crisis, promote the establishment of an independent and sovereign State of Palestine» 🇵🇸
五 China has always supported, supports and will support the establishment of a State of Palestine 🇵🇸
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Donald Trump jr e Kennedy jr: “Subito de-escalation e aprire negoziati diretti con la Russia”
"Il New York Times ha riferito che l'amministrazione Biden sta valutando di consentire all'Ucraina di usare armi di precisione a lungo raggio fornite dalla NATO contro obiettivi in profondità all'interno della Russia. Una decisione del genere metterebbe il mondo a un rischio maggiore di conflagrazione nucleare rispetto a qualsiasi altro momento dalla crisi missilistica cubana". Lo scrivono su 'The Hill' il figlio di Trump, Donald Trump junior, e Robert Kennedy junior: "In un momento in cui i leader americani dovrebbero concentrarsi sulla ricerca di una via di fuga diplomatica per una guerra che non avrebbe mai dovuto aver luogo, l'amministrazione Biden-Harris - proseguono Trump e Kennedy junior - sta invece perseguendo una politica che la Russia afferma che interpreterà come un atto di guerra. Nelle parole di Vladimir Putin, gli attacchi a lungo raggio in Russia 'significheranno che i paesi della NATO, gli Stati Uniti e i paesi europei, sono in guerra con la Russia'. La logica degli analisti sembra essere che se si stuzzica un orso cinque volte e non risponde, è sicuro stuzzicarlo ancora più forte una sesta volta. Una strategia del genere potrebbe essere ragionevole se l'orso non avesse denti. I falchi dell'amministrazione Biden sembrano aver dimenticato che la Russia è una potenza nucleare. Hanno dimenticato la saggezza di John F. Kennedy, che nel 1963 disse: 'Le potenze nucleari devono evitare quegli scontri che portano un avversario a una scelta tra una ritirata umiliante o una guerra nucleare'. Dovremmo prendere sul serio questo consiglio".
Trump e Kennedy junior continuano: "Putin ha segnalato numerose volte che la Russia avrebbe usato armi nucleari in circostanze estreme. A settembre 2022, Putin affermo': 'Se l'integrita' territoriale del nostro Paese e' minacciata, useremo senza dubbio tutti i mezzi disponibili per proteggere la Russia e il nostro popolo: questo non è un bluff'. A marzo 2023, ha stretto un accordo con la Bielorussia per stazionare lì armi nucleari tattiche. All'inizio di questo mese, il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov ha annunciato che la Russia avrebbe modificato la sua dottrina nucleare in risposta al coinvolgimento occidentale nella guerra in Ucraina. Immaginate se la Russia fornisse a un altro paese missili, addestramento e informazioni di puntamento per colpire in profondità nel territorio americano. Gli Stati Uniti non lo tollererebbero mai. Non dovremmo aspettarci che lo tolleri neanche la Russia. Questo gioco del nucleare è andato abbastanza lontano. Non possiamo avvicinarci più di così al limite. E per cosa? Per 'indebolire la Russia'? Per controllare i minerali dell'Ucraina? Non è in gioco alcun interesse americano vitale. La febbre della guerra nell'establishment della politica estera statunitense è a un livello tale che è difficile dire se credono alla loro stessa retorica. Nel dibattito di martedì scorso, la vicepresidente Kamala Harris ha evocato immagini di forze russe che avanzano in Europa. Di sicuro deve sapere quanto sia assurdo. Per prima cosa, la Russia riesce a malapena a strappare qualche provincia all'Ucraina, che non è affatto una delle grandi potenze europee. In secondo luogo, la Russia ha reso molto chiari i suoi obiettivi di guerra fin dall'inizio, in particolare la neutralità ucraina e la fine dell'espansione verso est della NATO. Centinaia di migliaia di vite perse e centinaia di miliardi di dollari dopo, nessuno sta meglio, né l'Europa, né l'America e certamente nemmeno l'Ucraina. E' giunto il momento di una de-escalation di questo conflitto. Questo è più importante di qualsiasi questione politica su cui la nostra nazione discute. Una guerra nucleare significherebbe la fine della civiltà come la conosciamo, forse persino la fine della specie umana. L'ex presidente Donald Trump ha giurato di porre fine a questa guerra, ma quando entrerà in carica, potrebbe essere troppo tardi. Dobbiamo chiedere, subito, che Harris e il presidente Biden invertano la loro folle agenda di guerra e aprano negoziati diretti con Mosca"
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