#poi uno dice voglio vivere in Giappone
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È stata una settimana difficile.
Come avevo accennato, i giapponesi me lo hanno messo nel culo e dallo scorso Venerdì ho cominciato un training sui network, che durerà fino a Giovedi prossimo. Più che training, lo definirei "self-training", dato che l'insegnante è teoricamente a disposizione per eventuali domande, ma non insegna niente, per cui se non sai dove e come si inseriscono i cavi LAN, se non sai quali sono i comandi per creare una vlan ecc, arrivederci e buonanotte. Fortunatamente per me, in questo training c'era un mio coinquilino indiano e una cinese già avviata su queste cose con cui avevo già trascorso i due giorni in sede (anche se non abbiamo fatto un cazzo e non è che avessimo parlato tanto, però comunque ci salutavamo e questo è già tanto in questo paese, posso assicurare), per cui da qualche domanda su qualche dubbio random, siamo passati da essere quattro team da 2 persone a un solo team con tutti dentro e questo ha aiutato tutti a capire, a imparare e a riuscire a fare ciò che ci avevano assegnato di fare in relativamente poco tempo.
La mia routine in questi giorni comincia alle 6:00 del mattino. Prendo il treno pieno zeppo di salaryman e ragazzini che vanno a scuola lontanissimo da casa, sperando con tutto il cuore che qualcuno scenda a fanculo per prendere il suo posto a sedere così dormicchio un altro poco, perchè altrimenti sto 1h e passa in piedi e finisco per chiudere gli occhi così dalla stanchezza. Tutto ciò per arrivare in sede intorno alle 8:30 perché in questo paese se cominci alle 09:00 e arrivi puntuale allo stesso orario, sei in ritardo, dato che alle 09:00 devi solo timbrare ed essere già pronto a lavorare immediatamente. La giornata lavorativa finisce alle 18:00 sempre se non hai nessun meeting per eventuali colloqui (che hanno la priorità sui training) fissati alle 17:30 e che possono prolungarsi anche oltre l'orario stabilito. Prendi il treno, con la stessa speranza di riuscire a trovare un posto per dormicchiare e arrivi alla stazione di casa alle 19:00 circa. Poi vado in palestra per finire alle 21:00/21:30. Mentre torno a casa si fanno le 22:00 e passa e fortunatamente ho avuto l'accortezza di prepararmi tutti i pasti nel weekend così ho solo da scaldarli al microonde per mangiare la cena. Tra cena e chiacchiere generali si fanno quasi sempre le 23:00 o mezzanotte. Il giorno dopo di nuovo sveglia alle sei del mattino con solo 6h di sonno addosso, quando io per funzionare ho bisogno di almeno 8h. Tutto questo, se protratto per tutta la settimana, può far capire quanto poco ho dormito in questi giorni e quanto stanca io possa sentirmi (una notte ho dormito solo 5h).
Eppure questa è la normalità giapponese. Ultimamente mi fa molto ridere vedere su IG post italiani sul burnout, sulla settimana lavorativa corta, sulla tossicità del posto di lavoro e vedere i commenti di tutti che, giustamente, si lamentano. Ma vi dovete considerare privilegiati e fortunati per questo. Perché almeno in Italia esiste un dibattito su questi temi e certe cose hanno cominciato ad essere messe in discussione.
Qui no. Qui non si vede nemmeno l'ombra di un dibattito e di una messa in discussione. È così, funziona così, basta, non ci puoi fare niente. Non ci puoi fare niente se non hai una vita oltre il lavoro, se puoi dormire solo 5/6h a notte ed essere talmente stanco da dormire ogni minuto possibile in treno e se sei in bornout senza manco saperlo. Lo fanno tutti e lo fai anche tu: tutti già pronti alle 7 per aspettare il treno, tutti a dormire sia seduti che in piedi, tutti con la faccia da zombie per raggiungere il posto di lavoro lontano anche 40km da casa. E i treni sono piedi zeppi come l'uovo al mattino - per far capire quanto dire "tutti" significhi letteralmente "tutti" (oltre per far capire che culo possa essere trovare un posto a sedere).
E la mentalità del "è così, basta, non ci puoi fare niente" deriva da un concetto culturale e religioso semplicissimo. Tutto il mondo euro-americano non fa che elogiare il buddismo, specie quello zen. Perché mette al centro l'armonia, la calma dell'anima, l'accettazione stoica del momento presente per poter raggiungere la pace interiore. Ebbene, questa mentalità che sembra essere così affascinante, porta il popolo asiatico ad accogliere passivamente pure la merda di vita che fanno. Non si mette in dubbio più niente, devo solo seguire il flusso, subire passivamente quello che mi succede perché è normale così e perché "non ci posso fare niente".
In giapponese esiste l'espressione 仕方がない (letto: shōganai/shikata ga nai) proprio per dire:"non c'è altro modo" e quindi "non ci puoi fare niente", lo devi fare e basta. E lo dicono praticamente sempre, per tutto: durante il training nessuno ti spiega niente e devi fare tutto da solo? E vabbè, shōganai. La tua vita fa schifo perché è solo lavoro e treno? Shōganai. Il capo ti dà task impossibili che ti fanno rimanere in ufficio fino alle 21? Shōganai. Tante compagnie stanno togliendo lo smartworking perché si sono finalmente accorti che l'emergenza covid è finita? Shōganai.
Ma SHŌGANAI UN CAZZO. Vi dovreste incazzare, dovreste urlare dicendo: no, questa cosa non ha letteralmente senso quindi BASTA, non sono d'accordo, io non la faccio, vaffanculo. E invece loro no. Questi accettano passivamente tutto quello che accade nella loro vita ed è per questo motivo che sono una società arretrata di morti ambulanti che vedono la morte fisica come l'unica via di fuga. Perché non sanno vedere oltre. Perché nessuno glielo ha insegnato.
Quanti padri sto vedendo in questi giorni di mattina alle 7 nel treno e la sera alle 22 per strada e penso: questi quando li vedono la moglie e i figli se tornano alle 22 a casa (che in Giappone è come dire le 24 per gli italiani) dopo le cene aziendali dove spesso si ubriacano pure male? Che senso ha? E i ragazzini persino delle elementari e medie che alle 7 già stanno in strada o sui treni per raggiungere la scuola, i genitori che cazzo hanno nel cervello per preoccuparsi più che i figli vadano nella scuola rinomata piuttosto che pensare alla loro salute mentale?
Ma qua la salute mentale è un altro dibattito che semplicemente non esiste. Si fa così, si è sempre fatto così e non ci si fanno domande perché la loro testa è fatta in modo da non riuscire a vedere una via alternativa. E se da una parte ti verrebbe da dire "Madonna però poverini", dall'altra il suggerimento che mi viene da europea è pure "aò scetati perché se stai come na merda la colpa è pure tua che non fai letteralmente un cazzo per cambiare la situazione".
Per cui al merdoso shōganai giapponese, io ribatto con l'intelligenza italiana del "chi è causa del suo mal, pianga se stesso".
#Giappone#purtroppo sono un popolo di deficienti sottomessi#la loro situazione politica rispecchia perfettamente la loro situazione#poi uno dice voglio vivere in Giappone#voglia di ridere in faccia e di spaccare i denti a sta gente allo stato puro#shoganai#buddismo#vita di merda#spero che finito il training me ne sto a casa altri 3 mesi mannaggia la miseria#my life in tokyo#smettetela di amare questo paese alla follia perché non se lo merita
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Summer Ghost, online un nuovo trailer del cortometraggio animato di loundraw
L’anime verrà proiettato in Giappone dal 12 novembre.
Diffuso un nuovo trailer di “Summer Ghost”, l’originale cortometraggio realizzato da FLAT STUDIO, lo studio di animazione fondato dal celebre illustratore e animatore conosciuto come loundraw, che sbarcherà nei cinema giapponesi dal 12 novembre.
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I protagonisti della storia sono:
Tomoya Sugisaki: Chiaki Kobayashi (Langa Hasegawa in SK8 the Infinity)
Aoi Harukawa: Miyuri Shimabukuro (Carole in Carole & Tuesday)
Ryo Kobayashi: Nobunaga Shimazaki (Haruka Nanase in Free!)
Ayane Sato: Rina Kawaei (Hinako Mukaimizu in Ride Your Wave)
Il 19 novembre verrà pubblicata in Giappone una versione manga della storia, illustrata da Yoshi Inomi, raccolta in un volume unico. Il 29 ottobre, invece, uscirà il romanzo firmato dallo sceneggiatore del corto Hirotaka Adachi, scrittore meglio conosciuto con il nome di Otsuichi (Holiday - La sparizione, My Capricorn Friend, Goth).
In aggiunta, il 26 novembre arriverà anche la novel spinoff dal titolo “Ichinose Yuna ga Uiteiru”.
Tomoya, Aoi e Ryou sono studenti delle superiori che si sono conosciuti online, mentre si informavano sulla leggenda metropolitana del “fantasma estivo”, uno spirito di una ragazza che, a quanto si dice, appare quando si accendono i fuochi d'artificio.
Tomoya non riesce a vivere la vita che aveva immaginato per sé stesso. Aoi non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Ryou vede, improvvisamente, allontanarsi il suo futuro una volta splendente. Ognuno di loro ha le proprie ragioni per voler incontrare il fantasma. In una notte d'estate, in cui la vita e la morte si incrociano, dove li porteranno le loro emozioni?
Nato da un’idea originale di loundraw, che sta dirigendo il progetto, oltre ad occuparsi del character design, l’anime conta su una colonna sonora composta dal pianista di fama internazionale Akira Kosemura, assieme a Itoko Toma, Guiano e Hideya Kojima.
Oltre ad aver lavorato a diversi trailer e videoclip musicali, il giovane artista ha disegnato personaggi e copertina di “Voglio mangiare il tuo pancreas”, il romanzo di Yoru Sumino, dal quale è stato poi tratto un film d’animazione, portato anch’esso in Italia da Dynit.
Si è anche occupato del character design dell’originale serie animata dal titolo “Tsuki ga kirei”, che trovate in streaming su Crunchyroll, oltre che dello spot realizzato nel 2017 per promuovere il romanzo “Boku wa Robot Goshi no Kimi ni Koi wo Suru” di Yuusuke Yamada; l’opera ispirerà prossimamente un film, ma al momento non si sa se loundraw parteciperà al progetto (n.d.r. anzi, non si sa più nulla del progetto da ben tre anni…). Di recente ha lavorato alla serie animata “Vivy: Fluorite Eye’s Song”, per la quale ha concepito il design dei personaggi.
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Autore: SilenziO)))
[FONTE]
#summer ghost#anime#loundraw#manga#light novel#newsintheshell#cartoni animati#news in the shell#animazione#flat studio
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Attention, Love!
Amore... croce e delizia
Dramino adolescenziale e romantico da 15 puntate, è perfetto per chi cerca una serie leggera. Una con fraintendimenti, paroline dolci, roba adolescenziale...che fortunatamente poi diventa un pò più matura.
Sarò onesta: io e i drama taiwanesi non andiamo d’accordo. Più della metà di quelli che ho visto - tranne Autumn’s Concerto - sono troppo trash/cringe per i miei gusti. Motivo per cui ogni volta che ne inizio uno parto con il freno tirato. e le dita incrociate Fortunatamente Attention, Love! non ha tantissime scene così e quelle che ci sono, ci sono passata sopra abbastanza bene.
Semmai ha il difetto di avere delle puntate troppo lunghe ( 1 ora e 12 minuti ) per una storia tutto sommato easy easy e molto schematica.
Zhong Shao Xi e Yan Li Zheng sono stati promessi sposi sin da bambini. Lei è una ragazza solare ed estroversa, un pò una dura ma che in realtà sogna il grande amore. Lui... è un emo.😐 seriamente..il fratello qui ha bisogno di una botta de vita Diciamo che è un ragazzo chiuso ed introverso, una persona schietta e poco interessata alla socialità in generale. Però è un genio a scuola mentre lei è una pippa clamorosa.
Dopo diversi anni da quella promessa di matrimonio, Li Zheng torna a Taiwan dal Giappone ( sti lead emigrano tutti) per frequentare la scuola di lei e vivere insieme alla sua famiglia. La ragazza non è troppo felice di questa intrusione nella sua vita.....almeno finchè non vede il lead.
Appena posa gli occhi sul ragazzo...ormoni che volano!
Innamorata.
Cosi...de botto.
Nella sua testa suonano già le campane delle nozze.
Li Zheng invece è piuttosto freddo e scostante e la loro convivenza non sembra partire con il piede giusto.
Ok, detta cosi pare la copia taiwanese di Playfull Kiss o Itazura na Kiss. Però non lo è. Anche se la partenza sembra simile successivamente le storie divergono.e meno male perchè Playfull Kiss non sono mai riuscita a finirlo
Anche se per me la trama non giustifica la durata degli episodi, ho percepito un lavoro encomiabile della serie nel tratteggiare i personaggi. Si vede che c’è stato un grande impegno degli sceneggiatori nel creare characters ben strutturati, sopratutto per quanto riguarda i due lead. E questo è una cosa che apprezzo molto.
Nota di merito per Wang Jin Li e An Xiao Qiao ( Angelina..anzi Angggeeeellllina. E chi ha visto il drama capirà ) i miei due personaggi preferiti e quelli su cui la mia attenzione si è concentrata più spesso. Quest’ultima è stata una piacevole scoperta visto che inizialmente non la sopportavo e poi è diventata il mio personaggio preferito.
invece do il “ senza infamia e senza lode” ai due amici della lead che sin dall’inizio non mi hanno mai preso o interessato.
Altra cosa che ho apprezzato è stata la questione delle tematiche e come essere venissero trattate: dai classici problemi liceali, alla prima cotta. L’amore non corrisposto, la fine di un’amore, l’aspettativa dei genitori, il bullismo...
Buono anche il cast anche se nessuno di loro mi rimarrà impresso per una recitazione memorabile...ma se la sono cavata.
Conclusione: drama da vedersi quando si è in cerca di qualcosa di leggero e romantico, per chi vuole vedersi una serie che non si da arie ma si mostra sin dall’inizio per quello che è.
VOTO: 7.4
Ok parliamone: questa serie ha dei problemi nella gestione delle lungaggini.
I due lead si piacciono dalla seconda puntata...ma ci vorranno 10 episodi e oltre perchè finalmente la cosa si risolva. Nel mentre ci sono clichè, fraintendimenti, cose non dette, equivoci, second lead...e tutto questo “per colpa” del lead.
Ora...io a Li Zheng voglio bene perchè è un pò psicopatico ed io adoro i personaggi così. Asociale, vendicativo, poco avvezzo al genere umano...insomma un disgraziato. 😂
Quando il signorino qui si innamora della lead non dice una parola. Lei si dichiara intorno al 4° episodio e lui muto perchè ha paura di perderla. Allora lei giustamente fa armi e bagagli e si allontana da lui perchè l’amore non corrisposto la fa soffrire. E cosa fa lui? La segue. Si trasferisce nel suo stesso appartamento e si iscrive nella sua stessa Università. Fa le scenate di gelosia quando il second lead e la sua “amata” sono insieme...ma sempre muto sui suoi sentimenti. E andrà avanti così per episodi. Solo l’intervento del Second Lead modello “Cupido 2017″ riuscirà a far mettere insieme i due. secondo me si era scocciato si sta storia pure lui
L’hanno tirata davvero per le lunghe il più possibile.
Altra cosa che mi ha fatto alzare gli occhi al cielo sono le cosiddette villain: le tre squinzie del liceo e la second lead. Cattive, acide e maligne senza alcun motivo. La second lead poi... sotto quell’aureola da Santa de Taiwan si nascondeva la figlia di Belzebù che una volta rifiutata ha dato pure la colpa al lead che l’aveva illusa. è impossibile che ti abbia illusa...lui non era interessato al genere umano a prescindere
Tra l’altro avrei goduto un sacco se ad attaccarla alla fine della serie, fosse stato il lead. Eh lo so che sono cattiva, ma tanto ormai l’appellativo di psicopatico c’è l’aveva! 😂
Ho invece adorato come abbiano parlato della differenza tra Università e Liceo: questo passaggio che molti ragazzi fanno e che spesso coincide con la decisone di una Nuova Vita con uno sguardo al passato.
Chi invece non si guarda indietro perchè sarebbe uno spreco di tempo, è Angelina. Santa Donna...mia Dea della serie e unico personaggio femminile che ho seguito con piacere dall’inizio alla fine. Non mi aspettavo che sarebbe diventata la Best Friend della lead, ed invece si mostra feroce e protettiva, determinata ed anche matura. Era facile far litigare le due ragazze per via del second lead - innamorato della lead ed interesse amoroso di Angelina - ed invece la mia Dea si mostra troppo cool ed evoluta per fare queste meschinità.
Poi va beh...prende la second lead per i capelli chiamandola “putt...ella” e la mia stima vola troppo in alto.
Molto carino anche il second lead - più che carino direi decisivo....se non fosse stato per lui i due lead erano ancora a giocare a nascondino - ed ho trovato interessante e credibile la messa in scena della sua “ fine della relazione” con la lead. Jin Li è rattristato e addolorato per la ragazza e la serie secondo me fa un ottimo lavoro nel mostrare i suoi sentimenti. Peccato che non ci venga più mostrata la sua famiglia e come abbia gestito il padre...era una tematica che mi piaceva ma ahimè..tutto nel dimenticatoio.
NOTE A MARGINE:
- i due genitori della lead sono i più strani che io abbia mai visto. Ma poi...se la serie finisce che la madre ha un’altra figlia, a che età l’ha fatta la lead??? O_O
- La second lead che finisce in ospedale a causa di un tizio che ha rifiutato è colpa del Karma.
- Angelina che parla metà in mandarino e metà in inglese dovrebbe essere ascoltata in tutte le radio. 😂
- Attention, Love! cita i Pokemon. Ed è già epico così.
#attention love#tw drama#twdrama#taiwanese drama#angelina#wang zi#yan li zheng#joanne tseng#zhong shao Xi#riley wang#wang jin li#guo shu yao#an xiao qiao
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Umani da Vienna.
1090. Pierluca è quella persona che conosci da sempre anche se in realtà sono poco più di due anni, ma quando lo vedi e ci parli è come se fosse sempre stato parte di te, della tua crescita. Non ti capaciti di come sia possibile, guardi le foto di te da bambino ed ecco Pierluca che appare nello sfondo, era lì con te. Non lo avevi notato. Pierluca è padre di famiglia e la sua famiglia è anche la mia famiglia adesso. I suoi figli sono miei e sua moglie la sento anche un po’ mia. Pierluca ha vissuto tanto in giro per il mondo eppure ti da una sensazione di casa. Forse, Pierluca più che un umano è un camper. O un circo itinerante. Lui e i suoi topi da laboratorio e i suoi nani stupendi che in realtà sono i suoi figli. Pierluca è il capostipite dei cervelli in fuga e meno male che è scappato altrimenti l’Italia me lo avrebbe reso incazzoso, arrogante, spocchioso, stanco. Invece adesso usciamo e ci raccontiamo sempre gli stessi sketch di Guzzanti. Aspettiamo sempre il momento giusto per dire “ce mettemo un pescetto?” e questo anche ha sapore di casa. 1200. Lamine è il mio amico dal Senegal ed è soprannominato la bestia. Si vanta di non avere un cuore ma in realtà penso sia più grosso del suo cazzo, altra cosa di cui si vanta tantissimo e ha ragione a farlo. Lamine ama due sole cose: la figa e la Juventus. Sulla prima andiamo d’accordo, sulla seconda gli sono vicino solo quando viene eliminata dalla Champions, per prenderlo in giro. Lamine è amareggiato perché è stanco di essere sessualizzato. Di essere quello approcciato perché nero e perché sicuro ha un cazzo enorme. E non solo dalle donne, ma anche dai mariti che gli chiedono se per favore può andare a casa loro e scopargli davanti la moglie. All’inizio non capivo la sua frustrazione, poi più passa il tempo più mi rendo conto del suo punto di vista. Vuole sposarsi. Dice di essere stanco di scopare in giro. Non appena lo dice ti manda la foto di una tipa nuda con un culo enorme e aggiunge “guarda che figa!!!” e io sento la sua risata dall’altra parte del telefono. Quella risata altisonante nonostante i chili e chili di muscoli e palestra. Quando usciamo assieme, indosso sempre la mia maglietta del Wu-Tang Clan, così posso dire “ehi, non solo amo il rap ma vedete, ho pure un amico nero!” e questo lo mette tantissimo in imbarazzo e ridiamo ma forse rido di più io, lui mi asseconda perché con me può finalmente smettere di parlare solo di calcio e figa, ma anche di quando si sente triste. Deve essere difficilissimo vivere avendo paura di buttare fuori i pensieri che ti abbattono e ossessionano. Dover sempre apparire invincibile. Lamine è il mio opposto. Io sono la notte, lui è il giorno. 1050. Francesca è la mia coinquilina ed è un ammasso di capelli e pensieri e confusione e peli superflui e cibo da discount e sigarette e risate e abbracci e furti dal frigorifero. È la più giovane adolescente di 29 anni che conosco. E meno male. Non vuole crescere e diventare un adulto disfunzionale come me, uno di quelli che la mattina si sveglia e va in ufficio. Lei vive di notte, vive di scadenze di progetti, di video e di riprese. Ed è dannatamente brava nel suo caotico modo. È un gatto da appartamento, anzi no, è più un procione. Francesca è stata inserita nella mia vita per dare un altro volto a questo nome, per non averne più paura quando lo sentivo nominare. Francesca è la ragazza con cui posso stare steso abbracciato sul divano senza avere una minima parvenza di erezione. È la colazione fatta parlando piano perché di mattina ha la meglio il lato procione e non il lato umano. Francesca ama le mie storie e gliene ho regalata una per farci un film e aspetto, credo in lei, se inizia a svegliarsi prima delle 11 secondo me può farcela a diventare meno procione e più adulta. 1050. Peyman è il mio vicino di casa e vive a Vienna da quando è scappato dall’Iran. Era giovanissimo, aveva 14 anni durante la rivoluzione. Mi racconta di quello che si provava nelle scuole, di tutte le speranze che la sua generazione aveva. È incazzato a morte con l’Iran e mi ha pure detto che spera che Trump faccia qualcosa. Pensate, è così incazzato che si augura che una testa di cazzo come Trump si impegni ad essere ancora più testa di cazzo e vada a rompere le palle alle teste di cazzo che governano il suo paese. Peyman parla molto di Gesù e mi ha chiesto se voglio fargli da compare quando deciderà di battezzarsi. Peyman preferisce dire di essere persiano, non iraniano. Gli guardo le mani, l’indice della destra è molto più piccolo, come se gli mancasse una falange. Forse è nato così o forse, ma questo accade nella mia testa, per non dover usare i fucili nella guerra post rivoluzione, si è amputato una parte del dito da grilletto. Peyman beve tanto, parla un tedesco migliore del mio e quando camminiamo per la strada nonostante lui sia qua da più di trent’anni, capita che ancora gli urlino di tornare a casa sua nel suo paese. Lui si gira e dice che grazie al cazzo, ci tornerebbe più che volentieri se non fosse andato tutto a puttane. Adesso la sua casa è Vienna, ci paga le tasse, ha il passaporto austriaco e una figlia con i suoi stessi capelli neri che ama disegnare dinosauri in giro per il palazzo. 1140. Setareh viene anche dall’Iran ed è la persona più dolce di questo pianeta. La sua esistenza equilibra l’esistenza di almeno un miliardo di umani di merda. Se il mondo unito conoscesse Setareh e Setareh spiegasse i motivi per cui è giusto che l’Iran abbia l’atomica, tutti converebbero che ha ragione e in pochi istanti le darebbero le chiavi per tutte le bombe che vuole perché di una persona così buona e dolce di sicuro ci si può fidare. Setareh è buona per bilanciare tutti gli uomini che le hanno detto cosa doveva mettere in testa o quanto lunghi dovevano essere i suoi capelli o quanto corti i suoi vestiti. Setareh ama fare shopping in Europa perché può scegliere di indossare quello che le pare. Setareh mi fa incazzare perché se lei non esistesse allora saremmo autorizzati ad eliminare quel miliardo di umani di merda e invece no, lei esiste e anche gli altri. Forse è meglio così però. 1090. Fabio è il mio amico giovane e dj che mi ha insegnato a dire “zio”. Se possibile, Fabio si fa ancora più paranoie di me. Viene benissimo in foto ma se glielo dici lui risponde “no zio guarda qua che difetti che ho”, e tu ovviamente non li vedi. Se vede una ragazza che gli piace deve trovare un particolare fuori posto per ammazzarsi le aspettative e tornare a farsi paranoie con me. Io lo vedo quando siamo assieme, che mi guarda con molto rispetto e ammirazione. Mi legge da tanto tempo. So che stai leggendo quello che sto scrivendo di te, zio non prendermi mai come esempio, non ne vale la pena. Tu ce la puoi fare e hai una barba fighissima. Fabio fa musica che spacca e la notte lo mettono a suonare ad orari indecenti ma lui è giovane e riesce a stare sveglio, se mettessero me a suonare a quelle ore manderei tutti a fanculo, carriera compresa. Fabio mi fa morire dal ridere ma non lo sopporto perché è troppo forte a Mario Kart. Avesse meno paranoie riguardo al suo aspetto e le ragazze e di più riguardo al battermi senza ritegno a Mario Kart sarebbe una persona stupenda. 1040. Leo non penso sia il suo nome vero ma quello completo sarà una di quelle cose austriache complicate che finiscono per fartelo sembrare un vecchio quando in realtà è giovanissimo. Ci vediamo tutti i giovedì oramai da anni per andare insieme al karaoke. Riuscisse mai a prendere una nota giusta. Mai. Però veste sempre elegante. Parla un tedesco gentile e ti fa piacere questa lingua così difficile quanto odiosa. Siccome lavora con i computer e fa il programmatore, ripudia la tecnologia in ogni sua forma. Il suo telefono è un modello così antiquato che fa fotografie in pellicola. Leo è sempre circondato da gruppi di ragazze bionde che lo seguono manco fosse una divinità. Forse perché oltre al modo di parlare, è gentile per davvero. Quando cucina lui anche se siamo in tre, si finisce ad avere canederli per quaranta persone. Ti manda gli sms. Ha un pianoforte in casa e uno pensa che magari così si allena e migliora al karaoke, invece no. È la dimostrazione vivente che l’Austria di musicista buono ha avuto solo Falco, che nemmeno era bravo, però col tempo impari ad accettarlo. Leo lo accetti perché tanta gentilezza va rispettata, ma mi ha rovinato il piacere di ascoltare Everybody hurts perché come la canta lui senti davvero il dolore dell’umanità condensato in 5 minuti di esibizione. 1100. Michikazu è il mio amico giapponese che non conosce nulla del Giappone. Gli chiedi qual è il suo film di Miyazaki preferito, ti risponde chi è Miyazaki. Gli chiedi cosa pensa di Ken Shiro, ti dice che non è mai stato a mangiare da lui. Fa l’artista e una volta mi ha chiesto di suonare ad un suo spettacolo. Gli ho chiesto come mai, dato che faccio tutto in italiano, perché vuoi la mia musica. Mi ha risposto che non è importante quello che faccio ma come lo faccio e io faccio le cose proprio come piace farle a lui. Ovvero senza capirci nulla. È l’unica persona che compete con i miei abbonamenti ai servizi pubblici viennesi. Il giorno del rinnovo del suo passaporto, per la foto ufficiale, si è rasato le sopracciglia e fatto crescere dei baffi con la forma delle sopracciglia tolte. Da 8 anni va in giro con quella foto sul passaporto. Mich non vuole tornare in giappone, dice che sta meglio in Austria, qua non è costretto a capire quello che succede e sta meglio così. Troppe regole laggiù, troppa facciata. Lui ha mire più alte tipo rasarsi le sopracciglia per le foto del passaporto. Quando ride non ti guarda in faccia, si vergogna e questo è un pezzo di Giappone che ancora non è riuscito a togliersi di dosso. 1160. Aldo è il mio animale guida e solo io so che il suo vero nome non è Aldo bensì Giosia. Anche lui fa l’artista e ogni volta che vedo i suoi lavori torno ad avere fiducia nell’arte. Quando lo becchi in giro sembra un giovane ubriacone invecchiato molto male, quando ci parli ti rendi conto che non è per niente giovane, tutto il resto invece è corretto. Non ho mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, ma sono molto geloso di quanto lui e Pierluca sono diventati amici. Sogno un triangolo amoroso o di fare un figlio a tre con loro, un bambino che nasca col talento artistico di Aldo, la mente scientifica e brillante di Pierluca e la mia abilità nel fare la pasta e fagioli. Eh sì, questo è quello che posso mettere sul tavolo io. Aldo è quello che quando ti parla della sua vita tu prendi romanzi come Grandi Speranze o libro Cuore e li butti via perché dici che a loro non è successo nulla di interessante. Non appena gli dici che qualcosa ti sta andando male, ecco che arriva lui con il racconto di quella volta in cui stava per morire di notte su un treno verso la Russia mentre era vestito da Carabiniere per un progetto artistico e il tassista che lo aveva portato in stazione lo aveva preso a pugni dato che era senza soldi per pagarlo perché viveva in alcuni cartoni vicino al Danubio insieme al fratello con cui qualche giorno prima aveva rubato una barca dimenticando però i remi e lui era riuscito a scendere mentre il fratello ancora galleggiava senza meta sul Danubio. Aldo ha una pancia così tonda che forse dovrebbe partorire lui il nostro figlio a tre padri. 1020. Elisabeth è il passato che ti fa piacere ricordare, il presente a cui mandi foto di opossum per farla sorridere e il futuro che sai sarà sempre lì. Con Elisabeth è finita da tanto ed è stata lunga e variegata e complessa e forse per questo ci si vuole ancora bene. Un giorno pensavo avremmo avuto figli insieme e la ammiro per aver avuto la forza di rincominciare una vita senza di me, mentre io ero terrorizzato da quello che mi circondava. Dalla solitudine, che adesso invece mi tiene compagnia e fa stare tranquillo. Profuma ancora di buono e talvolta mi manca vederla in casa. Però so che posso scriverle e in un secondo mi farà sentire che l’amore è qualcosa che si deve evolvere e a cui devi dare il permesso di cambiare forma e accettare quello che verrà. Perché se conosci qualcuno di valido, lo vuoi tenere nella tua vita anche se cambia tutto. Ora tutto è cambiato ma non il suo profumo e qualche costante devi averla. Ho sempre avuto paura che la mia malattia l’abbia tenuta legata a me più del dovuto e adesso, ogni volta che vado da solo in ospedale e parlo da solo in tedesco con i dottori, le scrivo per dirle quanto sono stato bravo e quanto ho parlato bene. Lei è orgogliosa di me. Sta dimenticando l’italiano ma non le parole sceme che avevo inventato per farla ridere. 1100. Davide è mio fratello ed è la persona che conosco meno su questo pianeta. Nonostante abbiamo il patrimonio genetico in comune e siamo cresciuti assieme e gli ho letto tutti i miei libri preferiti e abbiamo finito non so quanti videogiochi, io mio fratello lo conosco di vista. Come quella canzone di Rino Gaetano. Lui è il musicista, io sono quello che si lancia e fa concerti e dischi. Lui è quello che fa ridere, io ho solo la faccia come il culo. Lui è quello che ha comprato casa con la sua compagna con cui sta da una vita e che adesso spero inizierà a darmi nipotini. Lui è quello su cui posso contare quando faccio una cazzata e mia madre mi guarda delusa, le posso dire “mamma, hai Davide, riponi in lui le speranze, lui si è laureato, ha la testa sulle spalle, io ho scritto una canzone su quanto sono stronzo”. Lui è il fratello minore, ma è sempre stato più grande di me. 1160. Alice Yasmin è la donna più forte che conosco nonostante sia alta come un pezzo di formaggio ma adesso fa brazilian jiu jiutsu e se non la metto in questa lista sicuro mi ammazza di legnate. È tanto bella quanto capace di annoiarti non appena inizia a fare la punta al cazzo su particolari che non conoscevi del Signore degli Anelli. Grazie Alice, sono particolari così noiosi che c’è un motivo se non li conosco. Se non ci fosse stata lei, non avrei mai conosciuto il padre dei miei figli Aldo. Ma lei l’ho conosciuta grazie a Tumblr, quindi ringrazio Tumblr per avermi dato Aldo. 1070. Piotr viene dalla Polonia e gioca a calcio. Dice di avere un fratello gemello ma io non l’ho mai visto. Dice anche di fare il personal trainer ma ci vediamo solo in giro a bere. Lui beve tanto. Ma davvero tanto. Beve così tanto che magari si allena nel bere e allena altra gente a bere e forse quando usciamo lui sta allenando me a bere. Forse suo fratello è frutto dei fumi dell’alcol. Conosce tutti i peggiori bar di Vienna e quando mi ci porta un poco mi vergogno perché mi sento fuoriluogo. Io e il mio aspetto signorile. Piotr vuole sempre fare cose. Sempre andare da qualche parte. Sempre fare tardi. Sempre mangiare carne e bere. Ovunque vai, qualcuno conosce Piotr. E lo evita. Io conosco Piotr e sto pensando forse dovrei iniziare ad evitarlo pure io. Ma voglio scoprire di più sul fratello. E in che squadra gioca. E come fa un calciatore polacco alcolista a bere e allenarsi e ottenere pure risultati mangiando solo carne. Piotr forse ha mangiato suo fratello gemello e un giorno mangerà me.
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Cap.1
Anno 2064
Uno dei suoni piú fastidiosi nella vita dell’uomo è sicuramente quello della sveglia. Un suono acuto, incessante e capace di cambiare ritmo nella frazione di un secondo, un suono che ti obbliga ad aprire gli occhi e smettere di sognare, per cominciare a vivere un'altra giornata.
Ed è proprio per quel suono acuto che aprì un occhio e allungo la mano per fare cessare quel coso. Puntellò i gomiti sul materasso, si prese la testa tra le mani per poi farle scivolare sul viso. Si guardò intorno; la stanza, come al solito era in disordine; vestiti sparsi ovunque, ormai non si vedono più neanche i mobili. Solo il letto è salvo.
“devo dare una ripulita” pensò tristemente “se entra mamma sicuro le prende un infarto”
Ridacchiò al solo pensiero. ‘’Fortuna che abito da sola da un po’ ‘’.
Mi alzai a fatica, appendendomi letteralmente all’anta dell'armadio che avevo appena aperto. Vuoto. Completamente vuoto.
“devo ASSOLUTAMENTE mettere a posto” pensai. Con poca voglia iniziai a cercare i vestiti da mettere quel giorno. Dopodichè raggiunsi il bagno per la mia beauty routine quotidiana.
Mi guardai allo specchio.. “sembro uno zombie”.
Dopo essermi lavata la faccia passai la crema giorno sul viso... non tanto per mascherare chissà quale ruga “ho ancora 25 anni per Diana!” Ma perché nonostante l'acqua gelata sembra ancora che stia dormendo. Grazie alla crema il viso prese un po’ di elasticità. “Ecco, ora sembro piú o meno sveglia!”. E come tutti i giorni: passo l'eyeliner nero sui miei occhioni verdi e subito dopo il mascara; spazzolo i miei capelli rosa e mi lavo i denti.
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Esco dal bagno e mi dirigo in cucina. Di tutte le stanze di questo appartamento solo la camera da letto sembra un campo di battaglia, mentre le altre sembrano uscite dalla rivista “ikea”. Adoro pulire , e sono piuttosto brava, ma purtoppo ho l'abitudine di gettare vestiti a casaccio in camera “perché probabilmente dopo mi serviranno”.
Esco di casa vestita con camicetta smanicata bianca e gonna nera a vita alta. Indosso scarpe da ginnastica ai piedi e in mano (oltre alla pochette) ho un paio di scarpe con tacco 10. Apro lo sportello della macchina e mi dirigo a lavoro.
20 minuti di strada separano il mio appartamento dall’azienda, e pensare che manco ci speravo di finire a lavorare proprio lì.
Per un caso fortunato sono diventata la segretaria personale del direttore di “Suna™” una delle poche (forse l'unica) ad avere il monopolio di apparecchi tecnologici. Telefoni, tv,computer, droni.. tutto quello che è tecnologico a all'avanguardia lo abbiamo fatto noi.. cioè lo hanno fatto loro. Lavorano sia per i cittadini che per le autorità. Ma per quest'ultima le tecnologie che usiamo sono riservate.
Ho conosciuto il direttore un anno fa ad un aperitivo in un locale in centro di Miami. Ci avevano scambiato gli aperitivi al bancone. E tra uno scambio di battute e un altro il giorno dopo ero nel suo ufficio per essere assunta come segretaria personale. Mi disse semplicemente che aveva bisogno di una persona con il mio carattere e la mia grinta. Io invece credo il contrario. Sono convinta che avesse bisogno di qualcuno che tenesse a freno la sua “mano lesta” ed evitasse che il suo matrimonio di finisse a rotoli. Non che non ci abbia provato, anzi! Dal primo secondo che misi piede in quell’ufficio lui azzardo per due volte di appoggiare la sua “mano di velluto” (cosí la chiama) sul mio fondoschiena. Ovviamente gli impedii di arrivare al suo scopo e al terzo tentativo gli minacciai di tagliargli la mano di netto con taglia carte che aveva sulla scrivania. Il giorno dopo avevo un contratto a tempo indeterminato e uno stipendio da fare girare la testa.
Parcheggio l'auto nei sotterranei, infilo i tacchi, lancio le scarpe dietro i sedili e prendo l'ascensore per salire al 20esimo piano.
Non è un palazzo altissimo, anzi si può dire che è uno dei più bassi qui, ma solo perché questa è una filiale che stava andando a rotoli e che il presidente (direttamente dal Giappone) ha deciso di tirarla su con le proprie mani. Il suo sogno e che questa sia una delle 3 aziende che gestirà uno dei suoi figli (uno per azienda). Ma è ancora indeciso a chi e quando lascerà le redini.
Anzi non so nemmeno quando parte per andare a trovare la sua famiglia. So solo che un giorno c’è e il giorno dopo no, con tanto di nota sulla scrivania “ci vediamo tra 2 settimane” ,lasciando l'intera azienda a me.
Molte volte vorrei ucciderlo .
Mi guardo allo specchio dell'ascensore per controllare che tutto sia a posto. Poi appena si aprono le porte mi dirigo in presidenza. In realtà avrei anche un ufficio tutto mio ma ci entro solo per far accomodare gli ospiti quando il capo è in riunione.
Durante quei pochi metri saluto i vari dipendenti calorosamente. All'inizio sembravano tutti schivi ma dopo appena due giorni ho capito che in realtà sono buoni ed ottimi impegnati. È solo la Mattina che è traumatica.
Anche i nostri uffici non sono enormi. Anzi azzardei a dire che sono anche piuttosto piccoli. Ma siamo pochi ed è anche giusto così. Solo noi dipendenti in ufficio saremo una 20ina. Se poi messi insieme agli operai nell'azienda di fianco, camionisti, sotto segretari e altri dipendenti non raggiungiamo nemmeno le 400persone.
Busso alla porta del direttore. Una porta di legno chiaro, quasi bianco e ai lati gigantesche finestre. Le sottili tapparelle bianche sono abbassate, probabilmente il capo è già arrivato ha iniziato già a lavorare. Mi sono sempre chiesta a che ora arrivasse, e non solo io. Alcuni dicono che dorma direttamente lì. In effetti nessuno l'ha mai visto uscire.
Non aspetto risposta e apro subito la porta. Il capo è seduto dietro la scrivania. Il gigantesco pc acceso con minimo 10 pagine aperte e una marea di fogli sparsi nella scrivania.
-buon giorno signor Rasa-
Sentendosi chiamare alza la testa e mi sorride.
Devo ammettere che è comunque un bell'uomo nonostante abbia 52 anni suonati. Capelli corti color nocciola, occhi dal taglio orientale (tipico dei giapponesi) scuri, sguardo freddo. Non molto alto ma ha un fisico asciutto, quasi atletico. Tutto quello che indossa gli sta divinamente. Intelligente, buon osservatore, gran oratore e soprattutto innato senso per gli affari. Unico difetto: l'oro.
Con se porta sempre una boccettina di oro in polvere al collo che usa a suo piacimento. Come? Forza di volontà. Basta anche un solo pensiero che la boccetta di stappa da sola e la polverina esce, finendo per essere praticamente il suo terzo braccio.
-buon giorno signorina Tsundere- ecco ci risiamo.
-Haruno, Sakura Haruno per favore- lo imploro. Da quando l'ho minacciato mi ha soprannominato “tsundere”. Dice che si adatta perfettamente al mio “carattere”
Di fianco al capo c’è il suo fedele amico e consigliere personale Baki. Sicuramente di ritorno dal Giappone per qualche altro progetto top secret.
Saluto anche lui con il mio solito sorriso. Lui al contrario di Rasa, non risponde. Si limita ad alzare la testa e a fissarmi per qualche secondo per poi tornare sui documenti che ha in mano.
Mi manda in bestia quando fa così! Dannato pelato chi ti credi di essere?! Gli tirerei volentieri uno schiaffo in quella testa pelata e perfettamente lucida solo per sentirne il suono!
Anche lui stessa età del sig. Rasa, ma con degli strani tatuaggi sotto gli occhi. Carnagione scura. Sembra abbronzato tutto l'anno. E soprattutto è pelato. Fisico molto più palestrato del capo, ex generale della difesa militare iraniana. Nonostante siano passati davvero troppi anni da quando ha lasciato il servizio militare, continua ad avere lo stesso carattere e portamento. Sembra sempre che sia pronto per la guerra.
Decido di ignorare questo atteggiamento e mi avvicino alla scrivania.
-c'è un sacco di lavoro oggi, Tsundere , dobbiamo preparare tutto per l'arrivo di mio figlio!-
Da un mese a questa parte sembra che Rasa si sia deciso di lasciare le redini ad uno dei suoi figli maschi. La figlia femmina ha già avuto la sua azienda vicino a quella del padre. “per tenerla sotto controllo” mi disse una volta.
-certo, dove devo cominciare?-
Rasa mi porge alcuni documenti e inizia a farmi l'elenco di email da spedire, documenti da fotocopiare e altre pratiche burocratiche che lui ovviamente non ha la minima voglia di affrontare.
-ah e oltre a questo dovresti organizzare una riunione aziendale per questo venerdì. Voglio tutti quanti, comunicherò loro che lascerò l'azienda a mio figlio e che da qui ad un mese ci saranno cambiamenti-
-quindi avete già deciso a chi lasciarla?-
- no, sono ancora indeciso. Tutte e due sono degli ottimi candidati- mi dice appoggiando il mento sul palmo sinistro. Questa cosa lo sta letteralmente affaticando.
-capisco. Se sono così bravi sarà difficile poiché questa azienda è una delle più piccole e quella che ha avuto più difficoltà nell'ultimo periodo-
Prendo i fogli che Baki mi sta “gentilmente” porgendo.
-no questa azienda vale più di quelle che abbiamo, ed è proprio per questo che il sig. Sabaku ha bisogno di ponderare bene le sue scelte. Sono due ragazzi formidabili, ma ci vuole polso e un innato senso degli affari per mandarla avanti-
Ha parlato finalmente! Ovvio non sono le parole più dolci, anzi sento il tono acido e schifito, ma almeno mi ha rivolto la parola!
-qualsiasi cosa deciderò lei rimarrà la segretaria personale del futuro presidente, non si preoccupi. Ah e prima che inizi il suo lavoro potrebbe portarmi un caffè? Lo vuoi anche tu Baki?- chiede Rasa volgendo lo sguardo dolce prima su di me e poi sul suo amico. Se non fosse felicemente sposato ci avrei fatto un pensierino..
-macchiato freddo-
Finisco di raccogliere i documenti e lascio la stanza. Poi svolto a destra e mi dirigo nel mio piccolissimo ufficio. Nessun tocco personale. Pareti bianche, una pianta verde, finestra gigante che da sulla strada, una scrivania di legno chiaro e uno scaffale piccolo sempre dello stesso colore. Appoggio i documenti sulla scrivania e mi cade l'occhio sull'unica foto che ho. La prendo tra le mani e la bacio. È la foto dei miei genitori al loro 25 esimo anniversario di matrimonio. Si sposarono quando mia madre era al sesto mese di gravidanza. Ripenso a quando mi manchino e decido che quella sera gli averi chiamati… chissà se non uscivo troppo tardi gli avrei portati in un ristorantino per una cena un famiglia. Lascio la foto e prendo la cornetta del telefono. Digito il numero del barista difronte all’ufficio. Intanto che squilla il telefono accendo il mio pc e digito la mia password. Dall'altra parte del telefono mi risponde il famoso barista. Ordino tre caffè e un croissant ai frutti di bosco e riaggancio. Ovviamente il terzo caffè e per me. Lo faccio ogni mattina e al capo non dà nessun fastidio .. ci mancherebbe, A volte salto il pranzo per stagli dietro!
Inizio così la mia giornata, corro a destra e sinistra, organizzo riunioni, colloqui di lavoro, scorto il capo in tutto lo stabile e in quello a fianco per vedere i lavori come procedono, salto anche oggi il pranzo, riunioni, ancora riunioni, documenti, fax, riunioni e finalmente arriva la sera.
Dopo tutto quel via vai ho le gambe a pezzi, una fame da lupi e mi sento leggermente nervosa. Guardo l'orologio. Anche oggi ho fatto le 21.30. sono troppo stanca per mangiare fuori. Magari chiamo i miei solo per sentirli. E poi mi vado a prendere un pezzo di pizza prima di collassare sul divano.
Prendo il cellulare dalla borsa che ho abbandonato sta mattina in ufficio. 10 messaggi
Due di papá che mi avvisa che per alcuni giorni non ci saranno, pubblicita e una di Ino. Ino è l’unica ragazza con cui mi sono legata durante la settimana di work shop in Giappone con il mio capo. Lei lavora in un’altra azienda, fa la contabile all'Uchiha Group. Questa azienda diversamente dalla nostra si occupa di farmaceutica. Si occupano di trovare una soluzione agli effetti collaterali della famosa tempesta solare accaduta vent’anni fa.
“da gradi poteri derivano grandi responsabilità”. Penso tristemente. Quasi tutti i miei compagni avevano sviluppato qualche sorta di potere, mentre io niente. Mi sarebbe piaciuto averne uno, anche piccolo.
Non si sa in che modo questi poteri si manifestino, ne come o cosa sono. C’è a chi sono spuntate orecchie e artigli, c’è chi ha preso padronanza dell'arte bianca o nera, chi può avere il mondo delle ombre ai suoi piedi ( la parte oscura dell'essere umano) e chi il suo contrario. Si dice che oltre a questi poteri siano usciti anche creature, chi dice demoni e chi spiriti, che sono stati “ospitati” controvoglia da ragazzini innocenti. 9 sono i ragazzini ma solo i capi delle nazioni sanno chi sono. Sono ragazzini che hanno una forza e un potere incredibile, capaci di controllare il mondo e di sottometterlo ai propri piedi. Nessuno sa chi siano, ne che volto abbiano. E spero vivamente di non incontrare uno. So solo che alcuni di questi sono stati brutalmente uccisi ,chi per smania di potere e chi invece per paura.
Mi riscuoto da questi cupi pensieri e decido di rispondere alla mia amica. Mi ha invitato ad un piccolo party in un locale poco lontano da casa, ma sono troppo stanca per poter andare. Raccolgo le mie poche cose e mi dirigo nell’ufficio di Rasa per dargli la buona notte.
Busso piano questa volta e mi affaccio. Rasa è ancora la computer, intento a scrivere. Silenziosamente entro e mi schiarisco la voce.
Lui mi guarda, si toglie gli occhiali da vista e mi fa cenno di avvicinarmi alla scrivania. Faccio come mi dice mettendomi di fronte. Non vorrei mai che gli passasse in testa di regalarmi una carezza con la sua “mano di velluto”. Sorride a questo mio gesto. Si, sicuramente e quello che voleva fare.
Mi guarda intensamente negli occhi e vedo delle sottili occhiaie. Deve essere molto stanco.
Appoggia i gomiti sulla scrivania e congiunge le mani come in preghiera.
Sta altri 10 secondi in questa posizione e poi sospira. Si stende sullo schienale della sedia e punta il suo sguardo in alto
-venerdí presenterò i miei figli a tutti-
Mi dice sempre guardando in alto
-avranno un mese di tempo per stupirmi. Ognuno di loro guiderà l'azienda per due settimane. A fine mese sceglierò chi far rimanere- stacca Gli occhi dal soffitto e li punta su di me. Sento un brivido lungo la schiena. È serio. Dannatamente serio.
-voglio che tu sia a disposizione di entrambi. Sarai la loro guida. Aiuterai entrambi a dare il meglio e illustrerai loro come funziona. In questo mese dovrei occuparti di cose un po’ più delicate- marca la voce sull'ultima frase. So dove vuole arrivare. Dovrò occuparmi di questioni riservate tra loro e lo stato americano. Inizio a sudare freddo solo all'idea. Non posso fare passi falsi. Non solo verrei licenziata in tronco ma scatenerei una guerra che sarà difficile da sedare.
-ne siete sicuro?- chiedo
-si. In questo anno hai dimostrato di avere polso e grinta. Vedi come me anche i ragazzi sono stati colpiti da quella famosa tempesta. Io allora ero sposato da pochi anni e il più grande aveva 5 anni, mentre il più piccolo era solo un piccolo puntino nel ventre di mia moglie- Perdo un battito. Quindi anche loro sono potenzialmente pericolosi?
-non posso lasciare che Baki si occupi anche di loro due.Ormai è troppo vecchio per farlo- una piccola risata esce dalla sua bocca, ma è amara
-sará solo per questo breve periodo. Dopo di che, appena avrò scelto , tornerà a fare quello che faceva prima, o quasi. Resterà al fianco del ragazzo anche nelle questioni delicate. Voglio che diventi come un secondo Baki per intenderci-
-cinico e con un senso dell’umorismo pari a zero?- dico per sdrammatizzare
-no no assolutamente.- abbozza un altro sorriso
-voglio che sia fedele e decida come Baki. Che supporti mio figlio in tutto anche se l'azienda disgraziatamente dovesse cedere. Peró non si preoccupi. Ci terremo strettamente in contatto. Per qualsiasi cosa potrà chiamarmi.- mi porge un bigliettino con il suo numero privato. Perdo un altro battito. Come ho fatto ad arrivare fin qui?
-mi raccomando, acqua in bocca fino a venerdì-
-non si preoccupi, è un buone mani-.
Resto altri cinque minuti per i convenevoli, poi esco dall’ufficio e mi dirigo in ascensore. Lo prendo e scendo nei sotterranei. Appena le porte si aprono avanzo verso la mia auto, ma qualcosa attira la mia attenzione. Una macchina, una Mercedes nera, si è appena fermata. Continuando a camminare mi accorgo con la coda dell’occhio che qualcuno sta scendendo. Mi fermo davanti la portiera della mia auto, prendo le chiavi e istintivamente alzo la testa. Guardo la persona appena scesa, è un uomo. Alto 1.80 credo. Mocassini ai piedi, jeans scuri e maglietta a collo alto fasciano perfettamente il suo corpo. Poi il mio sguardo si posa sul suo. Anche lui mi sta fissando. Un brivido percorre tutto il mio corpo. Carnagione non troppo chiara, labbra e naso perfetti. Capelli rossi come il fuoco, leggermente arruffati , bellissimo. Ma sono i suoi occhi a lasciarmi senza fiato. Dei bellissimi occhi verde-acqua, contornati da una matita nera spessa. Sopra gli occhi ha un tatuaggio che non riesco ad identificare. Continuo a fissarlo e lui pure. Il suo sguardo freddo e serio mi intimorisce ma per qualche strana ragione sento le guance in fiamme. “wow” non riesco a pensare ad altro. Poi lui si gira e inizia ad incamminarsi verso l'ascensore. Io inserisco le chiavi nella portiera della mia peugeot, salgo, metto in moto ed esco dal parcheggio.
Compro del cibo in un fast food e torno a casa. come un automa apro la porta e senza troppi preamboli mi scaravento sul divano. Accendo la TV e inizio a mangiare. L'immagine di quell'uomo è ancora nella mia mente. Decido così di scacciare via quella bellissima immagine dalla mia testa e di tentare di dormire. Prima di chiudere gli occhi ed abbandonarmi a Morfeo mando un messaggio ai miei genitori. Dopo di che ripenso a tutto quello che era successo durante il giorno.
“Sarà un mese impegnativo. Spero di esserne all'altezza”. L'ansia inizia a salire, la sento. Mi guardo intorno e scorgo la boccetta di Xanax sul tavolino. La prendo, verso qualche goccia in un bicchiere con un dito d'acqua e bevo. Forse quella notte sarei riuscita a dormire serenamente. Dopo poco le gocce iniziano a fare effetto e piano piano sento le palpebre appesantirsi. Finalmente mi addormento con l'unico pensiero che mi sarebbe piaciuto incontrare ancora quell’uomo.
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Guilty Crown
Ed ecco che abbiamo tolto dalla lista infinita (altro che Neverending story!) un altro titolo che era lì a prendere polvere da anni: parliamo della Corona del colpevole, per gli amici Guilty Crown. Non fate caso al nome, nessun legame col coronavirus. In effetti al nome non dovete proprio far caso, perchè resta fino alla fine un mistero il motivo per cui si chiami così. Avrebbero potuto chiamarlo tirando in ballo l'Apocalisse, la fine del mondo, la selezione naturale...no, la corona del colpevole, vai a capire perchè. Ma bando alle lamentele, abbiamo un anime da analizzare, anime prodotto dalla Production I.G. nel lontano 2011.
Cercherò di riassumere per grandi linee, voglio evitare gli SPOILER ma non prometto nulla, continuate a vostro rischio e pericolo! Iniziamo alla Matrix, una ragazza dai capelli rosa mezza nuda corre per portare in salvo qualcosa che ha rubato, ed è naturalmente inseguita. Okay. Ci spostiamo da un ragazzo che era salito sul pizzo di un palazzo, cosa normale per un teenager, a fissare una specie di youtube moderno su un cellulare moderno anch'esso con tanto di schermo ologrammato, che sta ascoltando una canzone cantata proprio della tizia che abbiamo visto ad inizio episodio; fin qui nulla di strano, un mare di cantanti oggigiorno per vivere rubano in giro, vedi Marco Carta.
Andiamo avanti, questo ragazzo di nome Shu Ouma, deluso da se stesso perchè si, il protagonista di un anime deve essere deluso di se stesso, mai una volta che siano soddisfatti di avere la salute, un tetto sopra la testa, i soldi per frequentare la scuola, il pane in tavola...no, questi pure se hanno un neo fuori posto gridano alla sventura divina. Dunque non capendo nemmeno lui perchè non è soddisfatto di se stesso va in una specie di rifugio diroccato per la pausa pranzo, io a ricreazione andavo al bar vicino la scuola ma dettagli. In effetti la città è tappezzata di rifugi militari, cancellate, confini invalicabili e strutture che in generale fanno pensare ad una guerra o ad una catastrofe di qualche genere; cosa può essere successo? Lo sapremo tipo quasi alla fine, per adesso dicono soltanto che dieci anni prima c'è stata un'epidemia fulminea di un virus chiamato Apocalisse, e da allora il Giappone è isolato ed attentamente controllato in termini di inport ed export. Dunque Shu arriva a questo rifugio diroccato, e guarda un pò, ci trova la ladra di inizio anime! Ma tu vedi a volte le coincidenze. Facciamola breve, l'esercito trova la ragazza, che si chiama Inori Yuzuriha, ma questa riesce nella missione di dare a Shu quello che aveva rubato, cioè una fiala contenente un Genoma, con l'indicazione di portarlo ad un certo Gai, che è il Leader delle Onoranze funebri, il gruppo di partigiani che si oppongono al governo della GHQ. Ed apro qui una parentesi, ma solo a me fa troppo ridere il nome "Onoranze funebri"? bah. Comunque, Shu prende coraggio e tenta di salvare Inori, ma durante lo scontro la fiala del Genoma si rompe ed il potere al suo interno viene raccolto da Shu, guidato da Inori che sporge in avanti le tette e gli fa infilare la mano proprio in mezzo, estraendo una spada di millemila metri tutta nera e lucente con cui sbaraglia i nemici in un colpo solo. Cavolo chi se l'immaginava che fra le tette questa avesse una spada del genere?
Dunque Shu, impropriamente, poichè era un potere che doveva avere Gai, ha il potere del "Re", cioè quello di estrarre i "Vuoti" dalle persone, cioè i cuori, che una volta estratti assumono una forma particolare, chi una spada, chi delle cesoie, chi delle bende curatrici e chi uno scudo, può variare molto in base al carattere della persona. Fra tutta una serie di missioni che puntualmente rischiano di fallire perchè Shu è il protagonista e se non fa lo stupido non gli piace, e frasi mezze dette che non fanno capire assolutamente niente, capiamo che nel Giappone si scontrano il governo, la GHQ, che ha preso il comando per sistemare la situazione dopo l'esplosione del virus Apocalisse, tanto è vero che sono chiamati Anticorpi, e i partigiani già citati, le Onoranze funebri, che, devo dire la verità, non si capisce cosa diamine vogliano; son sincera, non l'ho capito, può anche darsi che il governo mettesse davanti alla gente la scusa della protezione dal virus per i suoi loschi traffici di controllo dei vari genomi eccetera, ma di contro Gai e i suoi becchini (passatemi il termine), non sono mai stati chiari su cosa volessero, neanche con Shu, che col potere che ha è diventato il fulcro dei loro piani. Sostanzialmente Gai diceva a tutti di andare a combattere contro il governo e tutti andavano a rischiare di morire allegramente, senza sapere una mazza del perchè lo facessero. Mah.
Non racconterò tutta la storia sennò non finiamo più, basti dire che gira tutto attorno a Shu, a sua sorella soprattutto, a suo padre e al migliore amico di suo padre, e a Gai. E tutto viene fatto per avere una nuova realtà dopo che la vecchia è stata spazzata via dal virus e con un nuovo Adamo ed una nuova Eva che ripopoleranno la terra con nuove vite. Questo è l'anime per sommissimi capi, ho glissato volutamente sui colpi di scena per evitare spoiler pesanti per chi volesse vederlo. Personalmente non ho trovato molto scorrevole la visione, poichè, forse complici i sottotitoli forniti da Netflix che davvero in certi punti non si capiva cosa volessero dire, vengono dette molte cose in maniera criptica, non hai possibilità di renderti conto di quale sia il soggetto, a cosa ci si riferisca, e solo verso gli ultimi episodi, se hai avuto una memoria di ferro, chiarisci la maggior parte dei dubbi. Io sono d'accordo a mantenere la suspence e poi rivelare la storia alla fine, ma qui siamo capitati nel mezzo degli avvenimenti, non ci viene spiegato nulla di nulla e solo alla fine ci spiegano tutto nel giro di un episodio e mezzo perchè il resto è composto dalla battaglia finale. Non è un espediante molto vincente secondo me, perchè ti fa inciampare nella visione, alcune frasi sei costretto a rileggerle per capirle, ed a volte anche rileggendole non le capisci. Poi clichè a tutta forza, la nuova Apocalisse scatenata da una ragazzina che fa una danza classica, Inori che canta quella cavolo di canzone che ripete da 20 episodi ed anche se è dall'altra parte del globo Shu la sente, Inori che nonostante sia spacciata, siccome ha lacrimato, quella lacrima si trasforma in un fiore e capovolge la situazione, stile Rapunzel, mancava solo madre Gothel, Gai che prima dice a Shu di guardargli le spalle mentre si avvicina a Mana per ucciderla e poi le si avvinghia tipo piovra e urla a Shu di ucciderlo insieme a lei; ma spostati imbecille! Il liceo che diventa una specie di reality dove vige la legge del più forte, come se in tutto il distretto della città isolato per la quarantena esistessero solo quegli studenti e non magari, che ne so, le persone che abitavano vicino alla scuola, studenti poi che nelle scene della palestra sono millemila, manco Hogwarts durante il Torneo Tremaghi. Ci sarebbero altre cose, come le onnipresenti e ballonzolanti tette di Ayase, il sederino di Tsugumi ed i vestiti sempre bucati sul davanti di Inori, questa ragazza si piglierà una bella laringite, ma lasciamo stare. Nonostante tutto quello che ho detto, e capisco che sembri che l'abbia odiato, in realtà l'anime è un buon shonen, le musiche sono molto coinvolgenti e calate nelle scene in modo adeguato, il volume si alza e si abbassa quando serve e ti fa vivere appieno le battaglie fisiche e non solo dei personaggi. Anche i disegni non sono da meno, certo la madre di Shu, Haruka, potevate farmela con qualche rughetta, che così pare sua sorella maggiore, ma vabbe; ho apprezzato i dettagli tecnologici dei dispositivi, un tocco alla Psycho Pass che non guasta mai, ed in generale è soddisfacente e come dico sempre, si fa guardare, perchè tocca temi quanto mai attuali come il sacrificio per i propri amici e la forza che da loro irradia per superare le battaglie della vita. Come ho detto un buon shonen, leggero, godibile e consigliabile, in questi tempi in cui si è in casa alla continua ricerca di cosa fare. A presto!
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Il mercato ...
Parte 1
Per mesi non ci penso, per mesi loro non sono importanti per me,se non in qualche giorno di tristezza che li "uso" per tirarmi su… ma delle volte tornano importanti.
E’ una settimana che aspettavo arrivasse questo lunedì, è una settimana che lui mi sta riempiendo di raccomandazioni.
L:“Non fare come il solito! Non spendere tutto lo stipendio per alimentari cinesi e porcellane,Io non posso venire ma tu fai come se fossi li con te!...
...mi raccomando qua..mi raccomando la… quando ci si mette è davvero pesante
Stamattina mi sveglia con il mio portafoglio in mano.
L: Moon io vado al lavoro, tu divertiti al mercato
M:Grazie amore, ma perché hai il mio portafoglio in mano? Non ho soldi, devo passare a prelevare dopo...
L:Semplice piccola, ti ho messo 100 euro e tolto gli spicci che avevi. Tu oggi potrai spendere solo questi 100 e nemmeno un centesimo di più.
Mi siedo e lo guardo con gli occhietti tristi...
L: Ma dai Light, che ci faccio con 100 euro? Sono pochissimi.
L:Moon ho detto 100 euro e 100 saranno. Chiaro?
Il tono della sua voce è rigida e non lascia segno di contrattazione.
M:Si signore! Ma che palle...
L:Che hai detto?”
gli faccio una linguaccia capricciosa.
L: Moon è già tanto che ti ci faccio andare da sola, è già tanto che ti permetto di buttare dalla finestra questi soldi, e tu invece di ringraziarmi mi parli male??
M:Si… avrei voluto qualcosa in più... Dai Light...
L: Moon un'altra protesta e tolgo 10 euro dal portafoglio...
M:Nooooo… non puoi farlo….
L:A no?
senza farselo ripetere ulteriormente apre il mio portafoglio e mi sfila 10 euro.
M:noooo… per favore….
L:troppo tardi monella… ci potevi pensare prima!
Mi sto arrabbiando, mi sento salire il sangue al cervello e quando succede sono capricci a non finire…
Lui si accorge dal mio sguardo quando sta per succedere e fa il gesto di sfilare altri soldi…
L: prova a dire o fare qualcosa e altri 10euro spariscono signorina.
M: scusa… ti prego Light dammeli, mi servono tutti. Non puoi farmi questo…
L: E invece posso Moon e l’ho fatto. Ora basta protestare e vedi di prepararti altrimenti fai tardi...
M: No… io non ci vado con 90 miseri euro. Che ci faccio con questa miseria?
L:Ok, non ci vai! Allora resti a casa a pulire.”
M:NOOOOOO…….. IO CI VADO E FACCIO QUELLO CHE VOGLIO, SPENDO QUANTO VOGLIO E TU NON ME LO PUOI VIETARE!...
Lui odia quando grido, lui odia quando voglio fare di testa mia, lui ama quando faccio i capricci e lo vedo nei suoi occhi. Il suo viso è scuro, arrabbiato per quanto sto dicendo e facendo,ma un leggero sorriso si vede, sta godendo per questa cosa. Mi alzo e me ne vado in bagno senza lasciargli il tempo di rispondere, di agire, di replicare. Sto in bagno parecchio, mi faccio una doccia, mi asciugo i capelli e penso a lui li fuori che mi aspetta. So che è li fuori anche se non lo sento. So che sta tramando qualcosa per farmi pagare i miei capricci ma non mi importa… Come previsto quando esco sento il mio orecchio preso in una morsa a cui non so e non posso ribellarmi. In un attimo mi ritrovo sdraiata sulle sue ginocchia, spogliata del mio accappatoio.
M:Daiiii… lasciami…. Faccio come vuoi….
L: no signorina, te la sei cercata e ora l’avrai.
M:Ho freddo!
L:Non per molto ancora, vedrai che ti saprò scaldare per benino signorina pestifera!..
In un attimo mi ritrovo a scalciare sotto i colpi della sua severa mano, brucianti sculaccioni che risuonano nella stanza. Lui concentrato ad insegnarmi l’educazione e io concentrata a non fargli vedere che mi piace quando mi tratta cosi, quando mi tratta da bimba capricciosa. Parecchi minuti passati sulle sue ginocchia a godere della situazione, parecchi minuti della sua mano che sculacciava il mio sedere. Appena alzata mi dirigo da sola all’angolo della camera e mi massaggio il caldo fondoschiena. Penso e ripenso a perché sono li, nuda in un angolo con una parte del corpo che emana calore, penso perché mi sento cosi leggera e felice per quanto appena successo. La sua mano mi fa sobbalzare colpendo nuovamente il mio sedere.
L: Moon sto parlando con te!
M:Ehmm si si scusa!
La sua mano torna a toccarmi, questa volta con dolcezza, carezze amorevoli sulla schiena, bacini sul collo e dolci parole del mio amore.
L:Quanto sei bella con questo culetto rosso.
M: Light dai....
Mi imbarazzano le sue parole...
Mi fanno arrossire...
Un po’ di coccole e poi ci prepariamo entrambi per uscire. Lui deve scappare e mi mette sul letto il portafoglio.
M: Light....
L: Si Moon?
M:Farò del mio meglio per non spendere tutti i 90 euro. Promesso.
Mi da un bacio e si dirige verso la porta.
L: 70 Moon.… 20 te li sei giocata con i venti minuti in bagno.
Lo vedo sparire dalla stanza e prendere la porta di casa come un fulmine. Non posso credere alle mie orecchie
M: Mha...
mi ha calato i fondi e non ha avuto il coraggio di dirmelo....
……
Ore 11:00
sono nervosa e arrabbiata con lui. Mi ha dato 70 euro che bastano a malapena per comprare la teiera con le tazzine in porcellana dipinte a mano e le bacchette...La rabbia e il nervoso però spariscono quando entro nel mercato. La visione di tanti scaffali,la visione di tante piccole scritte cinesi e gli alimentari messi li a mia disposizione mi entusiasma. Non potrò comprarne molti ma potrò guardarli quanto mi piace. Due padiglioni, 24 file, quasi 500 bancarelle di quei fantastici oggetti come wok, pentole, bacchette, teiere, tazze.... Io adoro questo mondo, Sono innamorata di questa cultura... Non ho mai speso capitali per tutto ciò, non ho mai dato peso al loro reale valore ma solo al fatto che mi piacciano o meno. E’ proprio questo mio modo di vivere questo mondo che fa stranire il mio amore. Lui dice che se spendessi i soldi per queste cose,con un criterio non avrebbe nulla da ridire,ma io verrei in questi posti ogni santissimo giorno...e questo comporta il non finire mai di spendere soldi per questi acquisti. Comincio dal primo banco, quello per cui sono li, faccio il mio primo acquisto in un attimo e poco meno di sessanta euro svaniscono nella cassa di un cinesino simpaticissimo sorridente....Il libro di ricette orientali non può mancare nella mia raccolta, E’ l’unico acquisto che Light accetta e non prova a negarmi. Con il mio grande acquisto comincio a girovagare per il mercato,guardo ogni banco, uno a uno. Sono una bimba nel paese dei balocchi. Mi sento felice, mi sento nel mio mondo. Light non c’è, se ci fosse continuerebbe a battere i piedi, a chiedermi di muovermi, a mettermi fretta. Oggi no… oggi sono sola… oggi ho tutto il giorno per loro… oggi posso passare ore qui a guardare con calma tutto. In alcuni banchi vedo delle grandi offerte che vorrei comprare, in altri vedo delle grandi fregature e mi domando chi ci cascherebbe mai, in altri vedo porcellane che valgono capitali e mi dico che io non li spenderei mai per un solo oggetto... Ogni cosa che osservo viene memorizzato nel mio cervello, ogni cosa che vorrei comprare mi fa venire voglia di disubbidire a Light e fare di testa mia. Stupendi libri di cucina, della Cina, del Giappone, cucina Asiatica, Marocchina... tante belle offerte. Ore passate immersa in questo mondo, ore passate ad immaginare questo o quello a casa mia, ore passate a fare i conti di quanti soldi mi sarebbero serviti per soddisfare i miei capricci. Arrivo agli alimentari dove sono presenti i Milk tea ...Quelle bevande mi danno tranquillità, mi rilassano...
Continua...
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domo arigato (o di quella volta che sono andato in giappone)
-premessa 1: ho appena finito di scrivere il post, è lunghissimo. non ho la forza di rileggerlo, non rompete per i refusi. stay human. -premessa 2: quello che seguirà è un elenco di considerazioni raccolte 1) in una decina di giorni (di cui due di viaggio) 2) durante un tour organizzato. per cui non aspettatevi l'angolino sconosciuto o i guizzi da vero intenditore;
-so che alle parole "tour organizzato" state già sbuffando beffardi di fronte a tanta mediocrità, voi che conoscete lo mondo e il giusto modo di vivere, altro che noi sprovveduti con la guida e gli auricolari. in realtà, essendo la nostra prima e (con una certa probabilità, almeno nel prossimo orizzonte temporale) ultima volta in giappone, considerato la lingua, la cultura, gli spostamenti e tutto il resto, abbiamo preferito affidarci a qualcuno che ci facesse vedere il più possibile, spiegandocelo, piuttosto che voler fare a tutti i costi gli scienziati della vita vera e rischiare di perderci qualcosa di bello. non ce ne siamo affatto pentiti, contando che comunque in media alle cinque del pomeriggio la guida salutava fino al giorno dopo e abbiamo avuto anche tutto il tempo di giracchiare per conto nostro; -abbiamo volato con emirates. quindici/sedici ore di voli con scali a dubai, col tempo che si allungava all'infinito di fronte alla magia del fuso orario e della rottura di balle di stare seduto in una scatola di latta sospesa a migliaia di metri da terra. in aereo ti danno un sacco di attenzioni (però io ho volato quasi sempre con ryanair, per cui in questo caso per emirates siamo nel mondo del bon ci bon ci bon bon bon). e di cibo. cibo che, se viaggi di notte, arriva in orari assurdi. quando ho visto mia moglie svegliarsi al gentile richiamo della hostess e fregarsene del fatto che fosse mezzanotte e quaranta per scofanarsi di gusto il vassoio con la cena (che il menu pubblicizzava essere composta da "tipici sapori arabi", e dall'odore non ho avuto problemi a crederlo) ho avuto l'ennesima conferma della sua grandezza come persona, mentre io mi limitavo a chiedere pietosamente un bicchiere d'acqua e una decisa accelerazione dello spaziotempo; -la cosa più inquietante della emirates: l'acqua servita nel tipo di confezione che siamo abituati a vedere per le marmellatine, linguetta e tutto. -su quattro aerei presi in uno non mi andava lo schermo integrato al sedile per vedere i film/sentire la musica/giocare ai videogiochi, in due non mi funzionavano gli attacchi delle cuffiette. attorno a me a tutti andava tutto. poi uno dice che la sfiga non mira; -appena arrivi in giappone c'è uno shock culturale devastante. sono educati. sono gentili. non gridano. sono disponibili e sorridenti verso chiunque. seguono religiosamente le code. per terra, in dieci giorni, ho visto una (1) cicca di sigaretta e una (1) cartaccia. ed erano tipo le sette e mezza di mattina, quindi magari i netturbini dovevano ancora passare di là; -quando siamo stati a shirakawa la guida ci ha informati del fatto che, essendo un piccolo villaggio, non avrebbe potuto gestire la spazzatura eventualmente lasciata dai turisti, per cui questi sono pregati di tenere i propri rifiuti, per gettarli una volta a casa. ecco, la gente lo faceva. ci credereste? -per strada non si può fumare. ci sono aree apposite, delimitate e recintate, in svariati punti della città. e la gente, pensa te, rispetta questa norma; -anche se, a dire il vero, una volta ho visto della gente attraversare la strada senza aspettare il verde pedonale. ed eravamo noi. oh, i soliti italiani che si fanno riconoscere (no bon, lo fanno anche loro, ma per amor di battuta si fa tutto); -mentre eravamo su di un autobus a tokyo è spuntata, da una traversa laterale, un'allegra combriccola colorata. sappiate che l'attuale moda tra i giovani della capitale è comprarsi (o affittare) dei go kart e girarci per le strade del paese vestiti da personaggi di super mario. è tutto bellissimo; -il concetto giapponese di "dolce" è piuttosto diverso dal nostro. la guida lo ha definito più delicato, io mi limito a constatare alzando sette o otto sopracciglia che il ripieno tipico dei dolci nipponici è la marmellata di fagioli. spero che siamo tutti d'accordo sul fatto che ci sia qualcosa che non va in questo; -abbiamo visto un sacco di robe belle, dal fushimi inari al padiglione d'oro passando per sanjusangendo e così via. già solo per la parte storica e monumentale il viaggio è valso fino all'ultimo centesimo. poi c'è la parte moderna. c'è dotonbori a osaka e shinjuku a tokyo, le insegne verticali luminose, la pupazzosità di qualunque cosa, i programmi tv che sono esattamente come uno si immagina avendone visto le parodie nei simpson. e poi ci sono le parti a metà. da una delle vie centrali di kyoto buttare l'occhio a destra e sinistra e vedere viuzze da film di miyazaki con le casette in legno a uno o due piani e le tegole convesse. i quartieri delle geishe con i cartelli di divieto toccamento geishe, le feste di paese coi carri, i vestiti tradizionali e i canti, i concerti locali di gruppi a metà tra i ricchi e poveri e i pizzicato five; -no, vi farò l'elenco delle robe e delle città che abbiamo visitato, tranquilli, non voglio distruggervi di noia, ché la gente che mostra le foto delle ferie è una piaga sociale terrificante che trova troppo poco spazio nei moderni periodici d’inchiesta; -i water tecnologici. sono ovunque, anche nei bagni pubblici o nei locali più insospettabili. e sono la rivoluzione. se ci penso ancora adesso mi si illumina l'anima; -ah, indovinate chi è capitato in giappone durante l'ondata di caldo più anomala e intensa degli ultimi decenni? un giorno alle dieci e mezza di mattina eravamo a 43 gradi percepiti con il diciottomila per cento di umidità. grazie a dio in giappone c'è un distributore automatico di bevande ogni cinquanta metri. in una giornata avremo bevuto cinque litri a testa tra acqua e aquarius (una sorta di gatorade, onnipresente nelle vending machine. qualche anno fa avevano provato a importarlo, con scarso successo, anche in italia. dopo le giornate in cui mi ha letteralmente salvato la vita sto pensando di importarne diciotto casse al mese. o di indire una petizione per dedicarci un tempio shintoista); -i giapponesi hanno tre alfabeti scritti. uno -fonetico a base sillabica- per le parole giapponesi, un altro -fonetico a base sillabica- soltanto per le parole straniere da trascrivere in giapponese (...) e c'è poi quello "famoso", composto da ideogrammi, dato che i primi due possono dare adito a fraintendimenti. se non fossero così impegnati a complicarsi la vita credo avrebbero già conquistato il mondo da un paio di secoli; -all'inizio e alla fine della via che porta a un famoso tempio buddhista a tokyo ci sono due portali da attraversare. appeso al muro di uno di questi ci sono una sorta di espadrillas che saranno lunghe quattro o cinque metri. sono messe là perché così gli spiriti malvagi arrivano, le vedono, dicono "cavolo, quelle sono le scarpe dei guardiani del quartiere, se sono così grandi loro devono essere enormi" e se ne vanno. poi dite che non sono un popolo meraviglioso; -a quanto abbiamo capito i giapponesi hanno in media un rapporto molto tranquillo e sereno con la propria spiritualità, ma moltissimi sono superstiziosi (la quantità di souvenir legati ad amuleti, oggetti del buon augurio e simili è notevole, per dirne una). una mattina abbiamo visto una fila (ordinatissima) di qualche decina di metri fuori da una ricevitoria che vendeva biglietti della lotteria, in paziente attesa che aprisse, perché aveva la fama di essere una rivendita fortunata; -non mangio pesce, per cui a riguardo posso solo dirvi che mia moglie si è gustata più e più volte del sushi e, tra street food e ristoranti, ha uniformemente ampiamente apprezzato quantità e qualità. posso invece confermare direttamente che in giappone la carne è ottima, specie per quanto riguarda il manzo (kobe o hida che sia). a kanazawa c'era questo posto, il kanazawa meat, in cui ho mangiato uno dei cinque migliori piatti a base di carne della mia vita. se vi capita dite a aikina che vi mando io; -in giappone l'inglese lo parlano poco. soprattutto, lo parlano male, il che, come capirete, può diventare un po' un casino. certo, nei ristoranti risolvono con le vetrine che espongono le riproduzioni in silicone (perfette fino all'inquetudine) dei piatti presenti nel menu, ma vai tu a chiedere cos'è quella salsina. credo che in parte la colpa sia del fatto che pensano foneticamente su base sillabica (e non hanno differenza tra erre ed elle)(e non sono abituati a così tanti accenti), per cui le parole inglesi, nella loro versione, si arricchiscono di suoni che non sarebbero previsti. per riciclare il valido esempio che ci ha fatto la guida (giapponese, parlava l'italiano meglio di tre quarti dei vostri contatti su facebook), loro chiamano il mcdonald's meccu-donaru; -abbiamo comprato, per una conoscente, una rivista di manga. le riviste di manga in giappone sono dei mattoni belli spessi che contengono una decina abbondante di serie e costano pochissimo (abbiamo comprato weekly shonen jump, che ci hanno detto essere la più famosa, e costa meno di tre euro). il concetto è: ti diamo un sacco di serie su carta pessima, così intanto ti leggi tutto a pochi soldi, poi il mattone lo butti via e ti compri il volumetto -che esce periodicamente raccogliendo tot puntate- soltanto di quelle che ti interessano. la trovo una roba di una correttezza e onestà lodevole; -tornato in italia mi sono messo a provare a leggere manga, cosa quasi mai fatta in vita mia nonostante abbia sempre avuto la passione per i fumetti (la mia esperienza a riguardo si ferma a ranma e a death note -ma solo fino al momento in cui muore quel dato personaggio che non nomino per evitare spoiler, poi diventa noioso). ho scoperto che 1) ci sono un numero infinito di manga attualmente pubblicati e 2) ai giapponesi basta una mezza idea in croce per tirarci fuori un fumetto che duri anni e anni. boh, comunque se avete consigli dite pure. per ora sto leggendo attack on titan, che avevo sentito nominare più e più volte, ed è un misto tra il genere zombi e il genere robottoni. è disegnato in maniera oscena, ma la storia ti prende; -ah, di nuovo sul cibo: lo street food giapponese è, in generale, una figata; -nei ristoranti non c'è la cultura di bere acqua. se chiedi dell'acqua ti portano un bicchiere alla volta, gratis, ma ordinarne una bottiglia è impossibile. quando siamo andati a mangiare il tonkatsu, la famosa cotoletta di maiale, ce l'hanno servita con un té a temperatura ambiente fortissimo e amaro. immaginate di mangiarvi la milanese bevendo caffè freddo. oh, son giapponesi, che vi devo dire; -infoconsumatori: a occhio e croce mi sembra che i prezzi siano paragonabili ai nostri, per quanto riguarda i generi medi di consumo; -a takayama abbiamo fatto una degustazione di saké (io sono astemio, per cui il mio è stato più un assaggio, in tutta onestà). paghi meno di due euro -che servono ad acquistare una tazzina che poi ti tieni come souvenir- e poi puoi berci quindici tipi di saké diversi. l'unica regola è che non puoi riempirti più volte la tazzina con la stessa bottiglia. poi uno va a milano e ti chiedono otto euro per uno spritz, e manco ti puoi portare il bicchiere a casa; -il nostro concetto di snack in sacchetto è: patatine. il loro è: pesce fritto (o crostacei)(o alghe) di qualunque genere. brrrrr; -il concetto giapponese di colazione è una roba che nauseerebbe anche la moglie di pasquale ametrano in bianco, rosso e verdone. salse, pesce, fritti e tutto il resto. e io lo so che è tutto un fatto culturale, ma ogni mattina mi stringevo alle mie briochine in miniatura come fossero le ultime testimonianze di un mondo dorato ormai scomparso; -comunque oh, sarà che si era in vacanza, sarà che li abbiamo beccati tutti in buona, sarà che non c'è il mare a praga, ma io in un paese con un senso civico del genere mi ci trasferirei domani, che vi devo dire. anche perché poi uno arriva a casa e quello che dichiara certa gente su facebook e twitter lo capisce anche troppo bene. forse ci servirebbe un alfabeto a parte per le teste di cazzo.
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Finché c’è vita, c’è speranza? Ok, ma quale “vita”? Se c’è una parola che ha talmente tante sfumature da farci sudare sette camicie quando cerchiamo di tradurla in giapponese, questa parola è “vita”. Oggi proveremo proprio a capire tutte le sue sfumature e traduzioni. Su una nota più mondana… vi stavate chiedendo dove fossi finito in questi ultimi mesi? È la vita che si è messa di mezzo, sempre lei. Nonostante due traslochi (due!), beghe d’ogni sorta e altri disastri, procede bene la stesura dei miei prossimi tre libri (Tre! Corso, eserciziario e kanji!). Ma non sto a raccontarvi tutto, per ora è il caso di dedicarci ad un argomento meno vasto: la vita, appunto.
Uno dei primi termini che si incontra e che
significa “vita” è 命 inochi. Questo termine indica la vita come “soffio vitale” …termine che uso non a caso, dato che più d’una teoria sull’origine della parola “inochi” coinvolge il kanji 息 iki, respiro, soffio.
Dunque, in quanto “soffio vitale”, 命 è insomma la vita come qualcosa che c’è o non c’è, che si può perdere o donare, salvare o rischiare, ma, fatto molto importante, non è intesa nella sua durata… Non che non si possa dire, ad esempio, 命短し inochi mijikashi, la vita è breve.
Ma l’idea qui è che “La vita svanisce in fretta (innamorati, ragazza!)”, non è la vita con le sue vicissitudini, da zero a novant’anni, un certo stile o routine, è una vita che “passa”, si spegne, ha una durata, sì, ma, di nuovo, l’idea è che c’è o non c’è, punto. Ad ogni modo, su questa differenza ritorneremo tra poco.
Un altro termine, palesemente legato a inochi, è 生命 seimei; non a caso è formato dal kanji di 生きる ikiru, vivere, e dallo stesso kanji di 命 inochi.
Seimei indica la vita nella sua essenza, per
così dire, l’idea più basilare di vita, ciò che accomuna gli esseri viventi. Spesso, inoltre, risulta un po’ più “tecnico” e meno colloquiale di inochi. Per esempio si trova in termini come “assicurazione sulla vita” (生命保険 seimei hoken), tanto che è la parola chiave nei nomi di varie assicurazioni, come nel logo della compagnia Zurich, ben nota anche a noi (qui a destra), nonché nel nome della compagnia Kanpo-seimei, nota solo in Giappone, ma con pubblicità molto più… carine.
Il termine seimei però, come dicevamo, spesso è “tecnico” e non a caso è molto usato parlando di vita in biologia. Per esempio si parla di 生命の力 seimei no chikara, la forza della vita, o meglio ancora di 生命力 seimei-ryoku (che come si nota dai kanji ha lo stesso significato)… Temo sia un concetto un po’ astratto, ma dato che un’immagine vale mille parole, eccovi 4 mila parole per capire l’idea che vi sta dietro…
Immagino così sia chiarissimo, no?
Veniamo ora ad un altro classico termine per dire “vita”, 人生 jinsei. Innanzitutto è necessario guardarne bene i kanji: dato che 人生 contiene il kanji 人 di hito, persona, non può certo essere usato per indicare la vita di un animale. Inoltre a differenza di inochi e seimei, questo “jinsei” è sempre legato a una durata: è la vita di una persona dalla nascita alla morte (o al momento attuale). Anche qui vediamo cosa ci offre Google images (per le traduzioni controlla le didascalie).
La vita è una maratona
Nella vita in qualche modo le cose vanno a posto
La lista delle 100 cose che voglio gare nella vita prima di morire
La vita è piena zeppa di sogni
Le cose di cui ti accorgi alla fine della vita…
Se si vuole parlare a chiare lettere di durata della vita, anche non umana, di solito si usa invece il termine 寿命 jumyou, che indica l’arco vitale. È comunque ben diverso da jinsei perché jinsei può essere interessante, piena di avvenimenti, dura… mentre jumyou è sempre qualcosa di breve o lungo. Inoltre lo si usa per dire che “era il suo momento” quando qualcuno muore di morte naturale (mou jumyou datta kamoshirenai, “Forse ormai era giunta la sua ora”).
Concetti vagamente simili sono 一生 isshou, una vita, e 生涯 shougai, (nell’)arco della (propria) vita. Si usano in espressioni tipo 一生のお願い isshou no onegai, il favore di una vita (nel senso che “poi non te ne chiedo altri”), 一生の恥 isshou no haji, la vergogna di una vita (una vergogna così forte da durare a vita). Shougai è simile a jinsei in quanto può essere felice, piena di avvenimenti, ecc. ma pone più l’accento sull’arco di tempo dalla nascita alla morte (non a caso 涯 gai indica un limite); mi sembra ottima la traduzione inglese lifetime, che immagino sia chiara a tutti.
Un altro importantissimo vocabolo è 生活 seikatsu. Seikatsu è la vita che uno conduce, con i suoi alti e bassi, agiata o difficile, privata o pubblica, domestica, coniugale, universitaria… ecc.
Ad esempio si dice 生活を一からやり直す seikatsu wo ichi kara yarinaosu, nel senso di “cambiare vita”, o meglio “rifarsi una vita da zero”. Non che non si parli di 人生をやり直す jinsei wo yarinaosu, ma questo suona come qualcosa di più radicale di un cambio di lavoro e di routine, suona come divorziare ed andare a vivere dall’altro lato del mondo, per esempio.
Il termine seikatsu spesso si avvicina anche a 生き方 ikikata, modo di vivere; non a caso possiamo anche dire 生き方を変える ikikata wo kaeru, nel senso di “cambiare vita”. Come ikikata, anche 暮らし kurashi può avvicinarsi molto a seikatsu. Indica un vivere che si avvicina all’idea di abitare. Non a caso si trova in espressioni come 一人/二人暮らし, hitori/futarigurashi (vivere/abitare da solo/in due).
Tuttavia è molto più vicino a seikatsu, praticamente sinonimo, se si guardano espressioni come 大名暮らし daimyoukurashi, vita da daimyou (vita da signore, da re, da nababbo).
Inoltre seikatsu è un concetto che si avvicina anche a quello dei mezzi di sostentamento di una persona (in ing. livelihood), detti peraltro anche 生計 seikei o 活計 kakkei. Ancor più precisamente può indicare le necessarie spese quotidiane, i “soldi che escono ogni mese”, il costo della vita… ma va detto che per rendere quest’idea esiste anche l’espressione, più calzante, 生活費 seikatsuhi.
Considerando il significato più generale di seikatsu si può immaginare però che non sia poi così facile capire la differenza tra 人生 jinsei e 生活 seikatsu. Per farsene un’idea, per fortuna, basta guardare i vocaboli 人生計画 jinseikeikaku e 生活計画 seikatsu keikaku. Sono tutti e due dei “piani” (計画 keikaku), ma nel primo caso si tratta di un piano che decide le grandi tappe della propria vita (quando sposarsi, quando avere un figlio…). Nel secondo caso si tratta di solito di un piano su come gestire la propria giornata (sonno, studio, lavoro…), la propria settimana, su come risparmiare un po’ di soldi…
Per finire guardiamo ad una serie di espressioni un po’ meno importanti… come i casi in cui si parla di “una città piena di vita“: 活気にあふれた町 kakki ni afureta machi o, usando solo un aggettivo, にぎやかな町 nigiyaka na machi. Similmente 元気 genki può descrivere un ragazzo “pieno di vita” o anche l’energia, l’attività che ci rende “pieni di vita” (in espressioni come genki-ippai o …genki wa nai).
Un punto a parte voglio dedicarlo alle espressioni che indicano la nostra “ragione di vita”. Ne Le situazioni di Lui e Lei (Kareshi to kanojo no jijou) il padre della protagonista indossava spesso una maglietta con scritto “musume wa inochi”, che potremmo tradurre come “Le mie figlie sono tutta la mia vita”. Per intendere lo stesso concetto spesso però si usa 生き甲斐/生きがい ikigai, per esempio per dire che “il lavoro è la mia vita” (la mia ragione di vita): 仕事は私の生きがい shigoto wa watashi no ikigai.
Infine veniamo alle cose importanti, importantissime, anzi “questioni di vita o di morte” (死活問題 shikatsu mondai), cioè quelle in cui letteralmente “ne va della vita o della morte” di qualcuno (生死がかかわる seishi ga kakawaru), quelle situazioni in cui ci ritroviamo, come ogni “essere vivente” (生き物 ikimono; NB 生物 seibutsu è termine più scientifico), presi nella “lotta per la vita” (生存競争 seizon kyousou, lotta per la sopravvivenza).
Ok, spero di non avervi annoiati a morte con questo lungo post, se viceversa vi è piaciuto, fatemelo sapere nei commenti 😉
Vocaboli – Finché c’è vita… Finché c'è vita, c'è speranza? Ok, ma quale "vita"? Se c'è una parola che ha talmente tante sfumature da farci sudare sette camicie quando cerchiamo di tradurla in giapponese, questa parola è "vita".
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Sesshin – maggio 2019
Riporto i brani estratti dal notiziario n. 89 Anno 22 Gennaio 1997/2528, utilizzato dal maestro Taino per il teisho.
Nel pomeriggio di sabato, dopo il tè, c'è stata la riunione dell'associazione di Scaramuccia per l'approvazione del bilancio e la discussione della proposta fatta dal maestro Taino di uscire dal UBI. Cosa centriamo con una associazione che sembra trovare uno dei principali motivi di essere nel gestire i soldi dell'8 per mille? Non era con questi scopi che era nata, così diventa sempre più una chiesa che non si differenzia dalle altre. Del tema si parlerà ancora, per adesso Keiko, Shido e Myozen sentiranno chi all'interno dell'UBI è favorevole a un cambio dell'associazione e vedranno che spazi ci sono.
Nel commento del teisho il maestro Taino è tornato sul tema dei buddisti come costruttori di chiese e apparati che non hanno al centro il discorso del risveglio, dell'illuminazione, unico motivo di essere di questa pratica.
Paolo Shōju
Teisho della sesshin di aprile (sabato 4/5/2019). Testo tratto dal:
Notiziario di SCARAMUCCIA n. 89 Anno 22 Gennaio 1997/2528
E poi, in settembre, c'è stata la riunione dei maestri buddisti occidentali, in Germania al Kamalashila Institute che è vicino a Bonn. Sarei andato già nel 1994 in Francia, più vicino e con intorno dei bei posti per arrampicare (!) ma si teneva in luglio e i miei impegni me lo hanno impedito. Questa volta voglio proprio andare a vedere chi sono gli insegnanti di buddismo d'Europa e così, dopo aver sentito che andare in treno e in aereo costa troppo e si è costretti agli orari stabiliti, si va in automobile con Kiyoka, navigatore e secondo pilota.
Martedì 17, verso le 19:00 l'arrivo a Trento malgrado le allarmanti notizie sul traffico autostradale sentite alla radio prima di partire. Non sono solo accattoni, come ho sempre pensato, ma anche incompetenti al limite della disonestà.
...
A Trento dopo una deliziosa cena con Bruna e Andrea, si fa zazen al Centro Sattva con tutti gli allievi di quella città. Dormiamo nel centro stesso. Mercoledì 18, partenza prima delle 7 e via verso Bolzano, Innsbruck, Munchen e su su verso Bonn che è appena 1500 chilometri da Scaramuccia. Sono le 18,00 quando, con qualche giro di troppo, dalla campagna umbra arriviamo direttamente in Tibet. L'Istituto Kamalashila è una costruzione di quattro piani, circondato da bandiere tibetane e addobbato, all'interno di fotografie di lama, di deità e quanto altro di tibetano ci può essere.
È un bel posto con uno stupa imponente, di fronte al quale faremo la foto di gruppo il terzo giorno di riunione. Dopo la cena c'è una riunione informale fra i presenti, che non sono ancora tutti quelli previsti. Gli italiani soltanto Maria Angela Falà, rappresentante dell'UBI e Paljin Tulku, del Centro Mandala di Milano.
Giovedì 19 è una giornata intera passata a discutere (in inglese). Vi chiederete: di che? Si potrebbe dire che ci arrampichiamo sugli specchi e io non dovrei trovarmici male. In effetti, dopo che ci siamo presentati dicendo ognuno da dove proviene: paese, tradizione, maestro, ecc., e avere sentito una relazione delle due precedenti riunioni, Dharamsala e Francia, si stenta ad andare avanti perché una ragione specifica per riunirsi non c'è. O c'è, in quanto è anche interessante vedere tutti coloro che si dedicano alla diffusione (?) del buddismo e sapere chi sono e come lo fanno. Anche per imparare, se possibile, a farlo meglio. Il punto è proprio questo, che io faccio rilevare, constatando, come ormai avviene in qualunque ambiente, la differenza fondamentale fra il maestro di Scaramuccia, ma anche la guida di Scaramuccia, il coltivatore di Scaramuccia, il comunista di Scaramuccia... e tutti gli altri. Insomma quelli che sono presenti al Kamalashila sono tutti preti, alcuni laici altri ordinati, ma tutti di mentalità pretesca e missionaria.
Lo dico con simpatia, senza alcuna venatura critica o malevola, solo una constatazione. E come i preti di qualunque religione, solo io a dire che il buddismo è solo illuminazionismo e non religione, tendono a vivere del proprio mestiere. Potevano capire quello che io gli dicevo? No! È stato però molto importante andarci per capirlo io! Per fare un intervento nel quale ho detto che da parte di alcuni cercatori della via o seguaci del Dharma ho constatato lo stesso atteggiamento che è ormai molto diffuso fra gli allievi, non in particolare quelli di Scaramuccia, che partecipano ai corsi di taici, shiatsu, reiki, arrampicata, macrobiotica, erboristeria, ecc. ecc. . Ovvero, imparare una tecnica per poi diventare a loro volta insegnanti. Sarà che mancano i lavori tradizionali, oppure che non si vogliono più fare o, ancora, che si vuole arrotondare lo stipendio con qualche altra entrata? È tutto giustissimo! Però, e per me questo però è fondamentale, c'è una incolmabile differenza fra chi è cercatore della via e chi è cercatore di un titolo.
Se ripenso a quando sono partito per il Giappone, e come posso non pensarci? la mia unica aspirazione era di capire, sgamare o satorare?, e solo successivamente, anche per quanto avevo imparato nel monastero: i Quattro Voti, l'esempio del maestro, l'ordinazione, ecc. ho deciso di tornare in Italia e mettere a disposizione quanto avevo appreso. Dopo però, solamente dopo!
Il viaggio in Germania ha anche reso possibile di estrinsecare quanto avevo sentito subito, tornando in Italia dal Giappone nel 1973, ma che non riuscivo a esprimere bene. Non capivo perché tante persone, alcune che venivano a Scaramuccia, ma tante negli altri centri zen o tibetani, volevano diventare monaci. Ci sono dei luoghi dove sono state fatte ordinazioni a migliaia e io non capivo il senso di questa ricerca di titoli per poi andare a fare i missionari del buddismo. Infatti a Scaramuccia, dopo una prima esperienza, le ordinazioni non ci sono state e qualcuno è andato di soppiatto in Giappone, per farsi ordinare da qualche prodigo osho-san, e così ritornare in Italia a fare il maestro.
Per concludere su questo argomento, non facile, ritengo che un cercatore della via, a differenza di chi cerca il titolo di reiki, di taici, di ingegnere o un altro qualunque, da usare com'è giusto per lavorare, debba avvicinarsi alla pratica di liberazione con un atteggiamento che definisco puro, ovvero senza alcun altro scopo che la ricerca dell'illuminazione. Niente altro, poi tutto quello che verrà in seguito farà sì che si possa decidere, alla luce dell'illuminazione che è stata realizzata.
La riunione tedesca l'abbiamo lasciata un poco in anticipo. A parte quanto detto all'inizio ho fatto altre poche considerazioni che vi elenco brevemente e poi, se interesserà ne potrò parlare a Scaramuccia durante una sesshin.
Prima di tutto i buddisti occidentali sono poveri. Si consolano aspettando che i praticanti, che sono per la maggior parte ancora giovani, fra un poco di anni invecchiando e morendo potranno donare, come avviene nella chiesa cristiana, i loro averi alla chiesa buddista. Inoltre i presenti erano, a quanto mi risulta, tutti discepoli di maestri vissuti in occidente.
Queste riunioni hanno una loro importanza e aiutano a capire quanto non ci era riuscito rimanendo nel nostro ambito. È anche vero che la maggior parte delle riunioni, conferenze, interviste, ecc., le faccio perché fanno piacere agli allievi, i quali hanno talvolta bisogno di vedere che il proprio maestro è importante. Va bene anche così, figuriamoci se proprio io mi tiro indietro dopo avere ripetuto diecimila volte, da Linci, di entrare e uscire in maniera libera dalle situazioni.
Per finire vi faccio leggere con piacere quanto Benedetto Croce dice a un comunista in un suo libro di memorie: "Voi credete di essere i primi, ma non è così: e poi cosa c'è di ragionevole a trattare il mondo come un ammalato che deve guarire, quando il mondo è sempre stato ammalato e affollato di persone che volevano guarirlo? Non sempre questi medici si servivano di una medicina come l'economia, c'erano le religioni, le ideologie, ma la realtà è questa: la malattia è lo stato naturale del mondo ".
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Nei momenti difficili, lo ammetto, mando giù i libri di Murakami come fossero aspirina. Su “L’arte di correre”
Una delle ultime volte che mi sono avventurata, quasi correndo, dentro le temibili fauci di un supermercato, un mesetto fa, nella corsia dedicata ai libri e alla musica, ho afferrato e infilato nel carrello un libro di Haruki Murakami. L’arte di correre (tradotto da Antonietta Pastore, Einaudi, 2007), uno dei pochi che non avevo letto (gli altri in esposizione erano: 1q84, Kafka sulla spiaggia, Dance dance dance). Nei momenti difficili, devo ammetterlo, mando giù i libri di Murakami come fossero l’aspirina.
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Il libro è dedicato a tutti i corridori che lo scrittore ha incontrato sulle strade del mondo, a quelli che ha superato e a quelli che lo hanno superato in gara. Ma non si tratta di un romanzo, è una sorta di autobiografia e una riflessione sulla corsa che è anche una lunga chiacchierata sul talento, la creatività e sulla condizione umana (con un corredo fotografico di tutto rispetto: un interessante Murakami sudato, a petto nudo e calzoncini, negli anni ’80, immortalato in Grecia, sulla mitica strada per Maratona). Una volta a casa, mi sono ricordata di leggere questo snello libretto (un peso piuma rispetto agli altri romanzi) quando è iniziata la crociata contro i runner, a causa del coronavirus, e l’arte di correre è diventata un lusso che, in pochissimi, possono permettersi. Fare jogging in un ampio podere o su un tapis roulant? Correre, ahimè, è sempre stato un rischio (basti leggere il numero di animali morti incontra Murakami per strada mentre corre). Non resta che percorrere il campo di una fantasia sconfinata o della memoria.
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Mi sono ricordata delle mie ultime corse campestri al liceo, una vita fa. Quando è stata l’ultima volta che ho corso? (non la corsa per prendere il treno o per arrivare in tempo al lavoro, s’intende). Vista la prossimità ventilata da Murakami fra l’atto di scrivere e quello di correre – in questi giorni, per legge, non si può più correre né tantomeno passeggiare all’aperto – c’è da riflettere (e da temere) sul futuro, imminente declino della buona scrittura. Corro al capitolo quarto, epigrafe: “Correre per strada ogni mattina mi ha insegnato molto riguardo alla scrittura”. Veniamo alle qualità fondamentali di uno scrittore, secondo Murakami: talento, capacità di concentrazione, perseveranza. “La qualità più importante per uno scrittore, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, è il talento. Se uno non ha il minimo talento letterario può scervellarsi finché vuole, metterci tutto il suo ardore, non scriverà nulla di valido. Più che una qualità necessaria, questa è una condizione preliminare”. Poi: “La facoltà intellettuale di riversare tutto il talento di cui siamo dotati, intensificandolo, su un unico obiettivo. Chi non è capace di fare questo non riuscirà a portare a compimento nulla di buono. Invece usando in maniera efficace l’energia mentale, in una certa misura si compensa un talento carente”.
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Ecco la giornata-tipo indicata da Murakami (per chi può permettersi di replicarla nella sua vita): “Io di solito mi concentro nel lavoro tre o quattro ore al giorno, al mattino. Mi siedo alla scrivania, e rivolgo la mia mente soltanto a ciò che voglio scrivere. Non penso a nient’altro. Non vedo nient’altro. Uno può avere tutto il talento che vuole, avere la testa piena di splendide idee, ma se per caso ha un terribile mal di denti – tanto per fare un esempio – non riuscirà a scrivere un bel niente. La capacità di concentrazione viene azzerata dal dolore”. Come nella maratona, anche nella scrittura fondamentale è la perseveranza: “Ammettiamo che uno riesca a concentrarsi nella scrittura per tre o quattro ore al giorno: se dopo una settimana si stufa, non potrà mai creare un’opera di una certa lunghezza. A uno scrittore – per lo meno a chi non si accontenta di buttar giù poche pagine – occorre la capacità di continuare a concentrarsi giorno dopo giorno per sei mesi, un anno, due anni di fila”. Poi, chiarisce subito che scrivere un romanzo non è di certo una passeggiata. Al contrario. “Scrivere un romanzo, fondamentalmente, è una sfacchinata, io ne so qualcosa. In sé, l’atto di redigere delle frasi è forse uno sforzo mentale. Ma scrivere fino in fondo un libro intero è qualcosa che si avvicina alla fatica fisica”.
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Insomma, non basta mettersi seduto a un tavolino, con una tazzina di caffè tra le mani: “la maggior parte della gente, giudicando solo dall’apparenza, pensa che il lavoro dello scrittore sia un’attività tranquilla, puramente intellettuale. Basta che uno abbia la forza di sollevare una tazzina di caffè, e prima o poi scriverà qualcosa. Quando si prova a farlo sul serio, però, ci si rende conto che scrivere un romanzo è tutt’altro che riposante. Dovrebbe essere una cosa evidente. Seduti alla scrivania, si focalizzano i nervi su un punto, si solleva la fantasia dal livello terra come un raggio laser, si fa nascere una storia, si scelgono le parole a una a una, si mantengono tutti i fili della trama nella posizione giusta – questo genere di lavoro richiede per un lungo periodo di tempo una quantità di energia molto maggiore di quanto di solito si pensi”. Insomma uno sforzo usurante, che consuma carne e ossa, secondo lo scrittore – maratoneta. Il parallelo scrittura-corsa sembra reggere dunque su un perno fondamentale. La resistenza al dolore.
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In Giappone, più che in occidente, scrive Murakami, si crede che lo scrittore, in quanto tale, debba condurre una vita malsana, indecente, dissoluta e immorale. Uno stereotipo a cui lui si dice abbastanza d’accordo. Per scrivere, in effetti, occorre tirare fuori le ombre, portare il buio alla luce. Murakami ne parla in termini di “elemento tossico”. “Quando decidiamo di scrivere un libro, cioè di creare una storia dal nulla servendoci di parole e frasi, necessariamente estraiamo e portiamo alla luce un elemento tossico che fa parte del nucleo emotivo dell’essere umano. Lo scrittore se lo trova di fronte e, pur sapendo di correre un pericolo, deve maneggiarlo con abilità. Perché senza l’intervento di quell’elemento tossico, un atto creativo dal significato autentico non è possibile – scusate l’esempio terra-terra, ma è un po’ come quando si dice che la parte più buona del pesce palla è quella più vicina al veleno”. In altre parole, l’attività creativa, e nello specifico letteraria, è malsana e antisociale. Perciò – questa la tesi di Murakami – per maneggiare questo materiale altamente tossico, conviene vivere una vita più sana possibile (qualcosa di simile, lo diceva anche Marziale, più lascivo che tossico). E correre quei maledetti quarantadue chilometri. Occorre concentrarsi profondamente.
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Ma lo scrittore maratoneta ci rivela, candidamente, che nel momento più duro, pensa alla birra. Alla birra! “Basta, basta pensare alla birra. E farei anche meglio a evitare di pensare al sole. E al vento. E all’articolo che devo scrivere. Mi devo concentrare soltanto sull’azione di mettere un piede davanti all’altro”. Ma al traguardo, che arriva all’improvviso, Murakami non prova soddisfazione, solo sollievo. E la birra? “Naturalmente è buona. Ma non tanto quanto me l’immaginavo mentre correvo. Non esiste a questo mondo qualcosa che sia all’altezza dell’immagine illusoria che ce ne eravamo fatti quando avevamo perso la lucidità”. Forse ai runner e non solo, costretti, per forza maggiore, all’inattività, potrebbe tornare utile questo mantra che Haruki Murakami rivela di aver appreso da un maratoneta: “Pain is inevitabile. Suffering is optional”. Il dolore è inevitabile nella vita, la sofferenza è opzionale. Forse. “La fatica è una realtà inevitabile, mentre la possibilità di farcela o meno è a esclusiva discrezione di ogni individuo. Credo che queste parole riassumano alla perfezione la natura di quell’evento sportivo che si chiama maratona”.
Linda Terziroli
L'articolo Nei momenti difficili, lo ammetto, mando giù i libri di Murakami come fossero aspirina. Su “L’arte di correre” proviene da Pangea.
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Sesshin – febbraio 2019
Riporto il brano estratto dal notiziario n. 148 Anno 34 Maggio 2008/2539, utilizzato dal maestro Taino per il teisho durante la sesshin di febbraio (sabato 2/2/2019).
Paolo Shōju
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Questo pezzo lo tenevo in evidenza da tre mesi e siccome il notiziario lo chiuderò intorno al 25 aprile, prendo spunto dalla Resistenza. Nel koan 88 del Hekigan Ghensha e i tre invalidi, il maestro chiede ai monaci, che fanno il voto di salvare tutti gli esseri, come possano aiutare un cieco, un sordo e un muto. Qualche anno fa ascoltai l’intervista a un partigiano, il quale disse che mentre erano a combattere contro i nazifascisti, pensavano che tutti gli altri italiani fossero con loro, almeno col cuore. Poi, dopo qualche anno e vedendo com’era l’Italia, si accorse di quanto s’erano illusi: la maggior parte degli italiani era stata come spettatori allo stadio ad aspettare di vedere i vincitori per accodarsi. Ché poi, mica s’accodarono ai partigiani! Certo, i partigiani in quel momento fecero quanto sentivano giusto, molti morendo per liberare l’Italia da una dittatura, ma ora egli credeva che se non avessero combattuto sarebbe stato lo stesso.
Già dai tempi in cui lavoravo in banca e tutte le domeniche andavo in montagna, dopo alcuni tentativi di coinvolgere i miei colleghi mi resi conto che mai sarei riuscito a convincere qualcuno degli altri cinquecento impiegati a fare quanto io ritenevo fosse un’attività per me così appassionante e coinvolgente. Inoltre ero l’unico ad andare in ufficio in bicicletta, l’unico a votare comunista e a fare uno sciopero! Non ero, e non sono mai stato così presuntuoso da pensare che io ero giusto e essi sbagliati, ma compresi che gli esseri umani sono diversi e molti preferiscono essere come gli invalidi di Ghensha. Vedendo, in Giappone, l’indifferenza dei maestri per la diffusione dello zen, mi convinsi ancora di più dell’impossibilità di portare le masse alla conoscenza. Per farsi capire dagli stupidi bisogna diventare stupidi. Per esempio, la sinistra dice di avere l’impegno di lottare per gli operai. A parte il fatto che gli operai i giornali/giornali proprio non li leggono, ma un operaio che legge il manifesto non ce lo vedo. La grande contraddizione è che non basta far finta d’essere stupidi, bisogna esserlo nel profondo, ché altrimenti se ne accorgono subito che non si è come loro: sono furbi!
Veniamo a Scaramuccia, si potrebbe dire nomen omen, permettete la citazione latina da uno che non l’ha mai studiato, e cioè a questa piccolezza. Una volta una giornalista mi chiese se il mio insegnamento, compreso lo sci e la roccia, non fosse elitario. Ero giovane, ancora, e risposi che io mi rivolgevo a tutti: chi non è interessato a risolvere il problema del dolore così come esposto dal Buddha? Dimenticavo le parole del Buddha quando decise d’insegnare: “Comprendere il Dharma è molto arduo, e il mio sforzo potrebbe essere inutile. Però ce ne sono alcuni con poca sabbia sugli occhi e per loro farò lo sforzo di rimanere a insegnare”. È certo che nessuno vuole soffrire, ma del mal di denti, del traffico che ti blocca, del non poter fare il viaggio alle Maldive che ha fatto il collega, di dover pagare il mutuo o le tasse, di essere lasciato dall’amante… Infatti quasi tutti gli esseri umani sono troppo presi dalla risoluzione dei problemi quotidiani nel relativo, nei quali si sono messi volontariamente! per aver il tempo di pensare a altro. Il maestro zen, avendolo sperimentato, sa che l’assoluto è perfetto e di conseguenza è perfetto in sé anche il relativo. È nel relativo che bisogna però vivere e sporcarsi le mani perché ci sia giustizia e uguaglianza, perché ci sia il cibo e l’acqua per tutti, ci sia l’informazione e l’educazione corretta, e tutto il resto che rende civile un paese. Allora, tornando al koan 88, che si deve fare per chi è cieco, è sordo e muto, e cioè egoista? Egoista proprio perché vede solo il relativo, solo l’immediato, solo il proprio vantaggio. Proprio sulla rivista dharma, appena arrivata, un monaco tibetano molto vicino al Dalai lama dice: “Si può constatare nella vita di tutti i giorni la differenza che esiste tra quelli che si preoccupano esclusivamente di se stessi e quelli la cui mente è costantemente rivolta verso gli altri. I primi sono sempre insoddisfatti e scontenti. La loro ristrettezza mentale nuoce alle relazioni con gli altri, dai quali, d’altra parte fanno fatica a ottenere qualsiasi cosa. Bussano costantemente a porte chiuse. Invece, chi ha una mente aperta e si preoccupa poco della propria persona, è sempre attento al bene altrui. Gode di una forza d’animo tale che i suoi problemi non lo turbano affatto e, senza che lo voglia, gli altri gli prestano attenzione”. Vengo alla parte politica facendo l’esempio di uno che va in Germania e si mette a parlare italiano: non può pretendere che lo capiscano. Così, se un tedesco viene in Italia deve parlare l’italiano. Questa è la differenza sostanziale fra il maestro zen, non il prete! e il politico. Il politico deve diventare come quelli che deve convincere a votarlo, cioè imparare la loro lingua, mentre il maestro zen, non avendo bisogno di elettori, o di fedeli come è il caso del prete, pretende che siano i discepoli a imparare la lingua dello zen. E infatti, dal punto di vista dello zen, ho sempre trovato volgare e accattonesco dover andare a pregare la gente di darti il voto. Dicono che la democrazia sia il meno peggio dei sistemi politici, ma mi sentirei molto imbarazzato a elemosinare di votarmi. Torno alla piccolezza, cioè a Scaramuccia, e alla paura da parte mia di avere successo. Mettiamo che alle sesshin, invece dei venti trenta soliti partecipanti ce ne fossero mille o diecimila, che invece di essere solo tutte le mattine e le sere davanti all’altare dello zendo, fossi attorniato da decine e decine di fedeli adoranti. Significherebbe che non è vero quanto ha affermato il Buddha e che quelli con la sabbia sugli occhi sono pochissimi? Oppure il Buddha ha ragione e sono io che per farmi capire mi sarei prostituito e diventato come loro? Le innumerevoli volte che ho detto di non volermi sostenere del lavoro di prete, pure se qualcuno m’ha rimproverato dicendo che però alle sesshin si paga, è perché ho sempre avuto il timore di diventare un commerciante e i discepoli clienti, o fedeli. Comunque chi m’ha rimproverato d’accettare il denaro delle sesshin potrebbe venire a vedere quanto siamo diventati ricchi in più di trentanni d’insegnamento, se abbiamo una sola auto vecchia di nove anni e 330 mila km, e in quattro possediamo una sola casa, tra l’altro cadente in varie parti, comprata prima di andare in Giappone. Certo, il luogo in cui viviamo è luminoso, ma il valore commerciale della nostra casa, compreso il terreno, è basso. Voglio dire che con lo zen non mi sono arricchito e gli unici viaggi di piacere sono per andare in montagna con gli allievi. Io però non faccio il politico, non devo convincere gli altri perché mi votino per farli felici, o almeno rendergli più facile l’esistenza. Insomma non vado dagli invalidi di Ghensha a proporre loro delle medicine per guarire. Preferisco sedere impeccabile da solo in una grotta come Bodhidharma e quando esco dalla grotta e mi tocca di andare a votare, pur sapendo che per convincere un egoista dovrei diventare anche io egoista, preferisco fare la figura del don Chisciotte e votare pensando al bene dell’umanità e non soltanto al mio e a quello della mia famiglia. Sapendo, proprio perché discepolo di Rinzai, che una volta ottenuto il meglio si avrà voglia di un altro meglio e così senza fine, mai soddisfatti.
PS. I comportamenti umani non si possono tagliare con l’accetta come talvolta fa chi scrive questi foglietti. E potrebbe essere che il non successo di Scaramuccia dipenda dalla mia imbranataggine.
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Sesshin agosto 2019
Riporto i brani estratti dal notiziario n. 121 Anno 29 - Ottobre 2003/2534, utilizzato dal maestro Taino per il teisho.
Il brano letto e il commento partono da alcune considerazioni sulla sesshin lunga di agosto, l'ultima delle quali è stata nel 2015. Di come fosse diventata una vacanza con meditazione, ma non come il viaggio della vita per la ricerca della consapevolezza e l'illuminazione.
La riflessione sul godersi la vita, cercarla e dare significato al quotidiano come indicazione di libertà e capacità e stare sulle proprie gambe.
Paolo Shōju
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Teisho della sesshin di agosto (sabato 3/7/2019) testo tratto dal: Notiziario di SCARAMUCCIA n. 121 Anno 29 Ottobre 2003/2534
dei Discepoli
I mesi estivi ricevo alcune telefonate di chi vuole sapere se si può meditare a Scaramuccia. In effetti la sesshin d’agosto è quella in cui i praticanti nuovi sono più numerosi che alle altre. Basta scorrere i nomi sui notiziari per vedere che alcuni sono presenti solo in questo mese. Faccio sempre molta fatica nel parlare dei maestri cinesi che compaiono nel Hekigan roku durante i teisho. Invece è evidente che loro - i maestri - si capivano al volo, con un cenno, una frase che sembrerebbe campata in aria, ma sono cenni e frasi in cui c’è tutto. Com’è possibile questo, come spiegarlo ai partecipanti delle sesshin, soprattutto a quelli che si vedono una volta e poi spariscono?
Nel capitolo precedente, parlando di Compay Segundo, e pure del padre di Kiyoka, come di mia madre, ho detto della passione. Se si va a pagina 71 della Raccolta di Linci si può leggere: “Voi seguaci della Via, provenienti da ogni regione, provate a presentarvi davanti a me senza dipendere dalle cose. … Sono passati cinque anni, anzi, dieci anni, ma finora non è comparso un solo uomo. Tutti sono fantasmi dipendenti dall’erba o attaccati alle foglie… Rodono indifferenti qualsiasi pezzo di sterco.” Rinzai è così duro coi monaci perché secondo lui non hanno abbastanza fede in se stessi. Io invece, dovreste saperlo, ho superato il tempo in cui me la prendevo con quelli che non hanno fede, e evito di contare le presenze alle sesshin o altre attività: sto bene così e se uno/a la cosiddetta fede non ce l’ha, so che, per quanto mi sforzi, non riuscirò a fargliela venire. Sono numerose le persone che riescono a frequentare cento corsi e attività e mai andare a fondo di alcunché. Dice: “Se sono fatti così che gli vuoi fare?”. Appunto, se sono fatti così non voglio fare proprio niente, giusto scrivere due righe sul notiziario, tanto per levarmi il pensiero. E magari potrebbe esserci chi, per un recondito motivo, riesce a comprendere quanto m’è venuto di scrivere. Ammesso che legga il notiziario. E c’è un’altra considerazione, pensando al biglietto che m’ha scritto Massimo. Ha inviato una trentina di libri gialli scrivendo che lascerà l’Italia - per sempre? - in ottobre. In due righe sul retro del notiziario gli ho detto che m’è parso stesse facendo pulizia prima di spiccare il volo. Non ha capito il senso delle mie parole, forse perché la parola pulizia è legata al togliersi lo sporco e lui invece dai libri non vorrebbe staccarsi. Quando andai in Giappone nel ’67, pensando che forse non sarei tornato più in Italia, regalai la 500 Fiat a Mattioli e tutti i libri di montagna a un amico che voleva riempire gli scaffali di una baita in montagna. Per la 500 non ci voleva un grande sforzo ma per i libri, che erano tanti e tutti letti e riletti, era come strapparsi la pelle. Ogni essere ha qualche attaccamento, magari solo la propria bravura o illuminazione. Per quanto mi riguarda, non so se dipende che il 2003 fa rima con ’73, l’anno che ho iniziato la mia avventura di monaco e maestro in Italia, m’è venuto da sé di lasciare quasi tutto quello che facevo fino a questo punto: lo sci, andare in giro a parlare o insegnare, o in televisione… Certo, non si può lasciare tutto, non è giusto, ci sono legami e affetti e responsabilità che devono essere mantenuti. Mi sono accorto che per vivere con gusto non c’è bisogno di molto. Pure i libri che mi piacciono tanto, per non parlare della montagna, potrei farne a meno da un giorno all’altro: infatti li ho già allontanati e tutti possono toccarli o prenderli. Mia madre, ogni volta che vado a trovarla, tira fuori qualche oggetto che ci vuole regalare, quasi a liberarsi di tutto ciò che non le serve prima di morire. E ogni volta penso che pure lei, ancora così brillante, verrà il momento che non ci sarà più. E mi faccio raccontare gli episodi di quando eravamo bambini che non ricordo più. Nessuno di noi sa quando è il momento di lasciare questa esistenza, in Italia parlare di prepararsi a morire viene evitato. Iniziando questa considerazione non volevo però parlare della morte, anzi, volevo parlare della vita, di godersela, di andarsela a prendere dove c’è, senza girare troppo, come dice Rinzai, andando a rodere qualsiasi pezzo di sterco.
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“Da bambina leggevo Pinocchio e Piccole donne… i miei preferiti di sempre sono Rimbaud, William Blake, Melville e Burroughs, il mio maestro”: la biblioteca ideale di Patti Smith
Lo scorso venerdì 7 giugno Patti Smith è passata da Taranto, sul palco del Medimex. Chi l’ha sentita in quell’estremo punto sul mare si ricorderà dell’evento – Patti accanto alle cozze e ai pescatori, qualcosa di eccitante oggi che le abitudini americane ci sbattono ogni sera in faccia la pubblicità della cocacola da assortire con gli spaghetti.
Patti è un’americana di un’altra generazione, di diversa stoffa. Non è quella che cerca i suoi feticci americani in giro per il mondo. Quindi se arriva nella nostra docile periferia italiana, sia essa Bologna, Firenze o Taranto, si lascia travolgere da quel che vede. Una sola parola per lei: artista, poeta.
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Patti Smith è come quei santoni che giravano nel mondo pagano quando i suoi abitanti non sapevano se passare al cristianesimo. Ogni volta che lei appare, poi, sbuca la lista delle sue letture consigliate: così si crea una lista affastellata ed è meglio non soffrire di vertigini perché i cantanti modaioli ci fanno scordare che ci sono eccezioni come Patti Smith: una lettrice onnivora. Poeta. Di nuovo. C’è solo questa parola per chi stila un elenco come quello che trovate qui e che rimane invariato da un decennio.
Davanti al profluvio d’arte che incrocia la vita e si scatena in una lista errabonda è inutile tentare di arrivare al cuore del labirinto classificando gli autori selezionati, pesando chi compare due volte e chi una sola e quanti autori parlano la stessa lingua. Meglio lasciarsi travolgere, farsi attraversare dalla preghiera di parole per cercare scampo negli autori amati.
La playlist di Patti Smith è quindi composta da Il Maestro e Margherita, da una doppietta di Herman Hesse e di Melville, dai sacri Burroughs, Ginsberg, Blake e Rimbaud. Poi, dalla meno scontata Charlotte Brontë, dalle preziosità di Wilde (Il principe felice) e di certo Gerard Nerval (Donne del Cairo). E ancora: dal potente Sotto il vulcano, dall’inquietudine di Pessoa, dalle bizzarrie di Daumal (La gran bevuta), di Lovecraft e Sebald. La scelta di Patti Smith si orienta poi verso libri più celebrali e saggistici come Huntley (The divine proportion) e si fionda in salvo in un angolino (Poeta a New York di Lorca e L’onore perduto di Katharina Blum di Böll).
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Questi elenchi. È come se chi li inventa componesse un romanzo, più che un mosaico. Prendete un bibliotecario coraggioso come Borges, di lui rimane l’elenco formulato per Maria Ricci con La biblioteca di Babele (che palle quei caratteri elegantini, quelle copertine blu! per rubare l’opinione di Carmelo Bene al riguardo…). Del resto, chiedere un elenco è come cercare un medicamento: servirà? E quanto? Pensate un po’ che le ultime parole in USA sono un genere letterario-editoriale.
Ora miscelate le due cose: passione per le ultime volontà e lista dei libri imperdibili, e con Borges il risultato è tremendo, irriconoscibile, come quando si fa dire l’impossibile al destinatario delle nostre preoccupazioni.
Così, per la gioia dei folli, l’ultimo elenco stilato da Borges per Hyspamerica e tranciato, incompiuto, dalla morte dell’autore, si compone certo di libretti che da noi si chiamano ‘adelphine’. Ma spuntano poi ovunque certi autori impensabili per Borges, per come lo conosciamo dalle pagine scritte. Si trovano elencati Wilkie Collins (un Dickens fallito), Buzzati coi suoi tartari (come dire: Borges che si plagia), Ibsen (la noia astrofisica), Nobel improbabili (O’Neill) e scelte, appunto, da bibliotecario che ti volta le spalle e si fa i fatti suoi (Ariwara no Narihara).
Ecco perché oggi gli argentini veri sono scettici verso questo Borges mistificato, di maniera, reliquia pop e virtuale tirata su con elenchi postumi come quello per Hyspamerica.
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Va sempre così, l’elenco è quello, si stratifica ma poi cambia poco. Ecco spiegato perché Patti Smith lo mantiene negli anni. Ed è comunque una lista più avventurosa di quella che girava da noi con le Centopagine, un ritrovato grazioso di Italo Calvino che ebbe vita postuma (la dannazione degli elenchi!) come supplemento de l’Unità.
Per dire, Calvino voleva rifilare al pubblico italiano questi filetti indigesti: Iginio Ugo Tarchetti, Fosca; Henry James, Daisy Miller; Edmondo De Amicis, Amore e ginnastica; Gaetano Chelli, L’eredità Ferramonti; Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia; Angelo Costantini, La vita di Scaramuccia; Guido Nobili, Memorie lontane; Nyta Jasmar, Ricordi di una telegrafista… insomma, su 77 titoli il tremebondo languore italico sfondava, nei desideri di Calvino. Pensate che incluse anche questo lavoro di Giovanni Cena, Gli ammonitori, che leggete qui.
Conclusione lapalissiana: non si sbaglia mai così tanto, per gusti ed azzardi, come quando si redige un elenco. In questo contesto dove i sommi Borges e Calvino ci inducono a perplessità per le loro scelte di libri, è un toccasana dare uno sguardo all’America, alla sua poesia, alla sua musica. Meno male che Patti Smith ha toccato le coste italiane. Per capirla ancora meglio, eccovi una delle sue ultime interviste per Rolling stone. È stata rilasciata lo scorso dicembre prima del concerto al Greenwich Village di New York. Per il genere di domande gli yankee, quali gli asciutti puritani che sono, si tratta di un’intervista “ingenua”. Evviva le ingenuità allora, se vanno più a fondo degli alambicchi editoriali di Italo Calvino.
Andrea Bianchi
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Libri favoriti da bambina.
Tra i primi, Pinocchio, non la versione Disney ma quella di Collodi. Ho ancora la mia copia sbrindellata di Un giardino di versi per bambini di Stevenson e Uncle Wiggily che andava di moda un secolo fa. E poi Piccole donne!
Tra Piccole donne e un personaggio inventato per le sognatrici come Jo March, ti sembra che ogni generazione cada nel mal d’amore per le stesse cose?
Sai che io mi vedo in lei, era un po’ mascolina quando si arrampica sugli alberi e lassù leggeva libri, scriveva. Sono cresciuta negli anni Cinquanta, il genere era molto definito, come devo dirti? Ero molto stranita davanti a quel che mi si chiedeva in quanto ragazza, così incontro Jo ed è davvero come me: un’epifania, lei era responsabile e amava la famiglia ma si manteneva riservata e non si lasciava fasciare dalle aspettative del genere “come devo vestire e comportare?”. E questo è accettatissimo, oggi. Se guardi il retro di Horses, è del ’75, era una copertina fatta per provocare e resistere, diceva “oltre il genere”. Non volevo essere identificata in termini di genere – la mia identità doveva essere quella dell’artista.
Hai eseguito Horses recentemente, dall’inizio alla fine. Quel vinile resiste al tempo, che dici?
Se le persone vogliono ascoltare Because the night dopo, diciamo, 2000 volte che l’hanno sentita, io lo farò per loro finché gliela posso restituire con reale entusiasmo. Non farò un falso: se rientro in quell’impulso iniziale che me la fece scrivere, la canto ancora. (…)
Film o serie tv che guardi ogni settimana.
Guardo tutte le serie di detective UK: non lo facevo mai, poi vent’anni fa mi è saltato il matto e ho cominciato a guardare i detective di ogni paese europeo. (…)
La musica che ti scuote.
Amo troppo l’opera, da Wagner a Puccini, ma quando scrivo mi piace la musica senza parole, quindi potrei sentire Glenn Gould o – proprio ora – la mia colonna sonora ideale è quella di Ghost in the Shell, ma non il film, proprio il manga su schermo, l’ho fatto arrivare dal Giappone.
Le tue letture, oggi.
Murakami ha un libro in arrivo che sembra buono, ho avuto occasione di leggerlo, mi piace molto l’autore. Roberto Bolaño: amore. Perché l’amore espande le cose come fa lui coi libri, quando li lega l’uno all’altro, ha proprio stabilito un nuovo calco entro il quale colare libri, paesaggi, esperienze con maestria di linguaggio. Inteso che amo allo stesso modo Modiano, sai che mi piace l’invenzione nei libri anche se per la maggior parte i libri che leggo sono in traduzione, per fortuna qui i traduttori lavorano bene. Quand’ero ragazza gravitavo verso la Francia letteratura e ora dedico più tempo alla Germania, al Giappone. Se sei lettore non cambi né cambierai: quando viaggio, dimentico calzini, spazzolini, intimo. Posso vivere senza. Se dimentico un libro non riesco a stare seduta tranquilla.
Alla mostra su Bowie è stata esposta una sua biblioteca portatile, stava in una valigia che si portava in giro. L’hai vista?
No, ma penso che anche Bob Dylan vada in giro con pile di libri, io invece ne prendo un paio perché voglio essere leggera, almeno il mio bagaglio è il più leggero tra quelli della band e ho solo una piccola Rimowa: in aereo me lo metto ai piedi, altrimenti niente. Comunque l’idea di Bowie era carina: anche se in viaggio puoi fare scoutismo libresco e trovare quel che ti va ovunque tu vada.
Il miglior consiglio ricevuto.
Ero abbastanza giovane, 1970 o 1971, mi era offerto molto denaro per fare un film e poi incidere un album ma quella proposta voleva mettermi in una forma che non era la mia. Non avevo soldi, lavoravo in libreria. E stavo seduta a parlarne con William Burroughs e mi dice “La cosa migliore che tu possa fare come artista è mantenere lindo il tuo nome”. Divenne il mio amuleto. Ti associano agli anni Settanta.
Cosa ti manca di quel periodo?
Bene, la struttura economica, e la sua architettura, e poi la pizza! la pizza costava 25 centesimi a fetta ed era fatta in modo naturale, ovunque andassi, era squisita. Ora viene 4 dollari a fetta e non sembra nemmeno una cosa reale al palato. So che è un dettaglio, ma è indicativo di molte altre cose.
Essere madre – come si ripercuote sul lavoro?
Da giovane artista, diventi il centro dell’universo o qualcosa di simile. Sei molto… compiaciuta. Anzi no, preoccupata solo per te stessa. Fa solo parte dell’orgoglio mitologico dell’artista. E poi per una volta hai una famiglia, intuisci che quel centro non c’è più, è stata una buona lezione da apprendere perché sono ancora in grado di svolgere il mio lavoro – solo con maggior disciplina che da giovane.
Spesso sali sul palco coi tuoi figli. Dicci.
Mi piace, siamo famiglia. Abbiamo tutti responsabilità professionali, ma sono sempre la loro mamma, vedi, e loro i miei bambini, a volte è divertente, altre volte confortevole. Ma dico sempre ai miei figli “non vi preoccupate se qualcosa va male a causa vostra o mia – fate il vostro meglio e rimanete in collegamento”. Amo lavorare con loro perché hanno qualcosa di loro padre [Fred Smith, già chitarrista degli MC5] ed era in gamba come musicista. Entrambi gli fanno onore. Uno di loro ha un tono con la chitarra uguale a suo padre e mia figlia un modo di comporre al piano come lui, e quindi ne sento la compagnia quando suoniamo insieme.
La morte ti spaventa?
No, voglio dire che vorrei vivere a lungo perché ho tanto da fare. Vorrei vedere crescere ancora i miei figli, ho moltissime idee. Così spero soltanto di sapermi prendere cura di me stessa e avrò tempo per il resto. Mai avuto problemi coi vizi, unica dipendenza il caffè: e poi anche amare è un’altra dipendenza. Non state a preoccuparvi per me.
* le traduzioni sono di Andrea Bianchi
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