#piano di rinascita democratica
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Berlusconi è così egocentrico che se va a un matrimonio vorrebbe essere la sposa, a un funerale il morto!
Checché se ne dica Berlusconi, come tutti i ricchi, non può essere generoso. Se fosse generoso non sarebbe ricco.
I manifesti della campagna elettorale di Berlusconi sono il più grande successo degli imbalsamatori dai tempi di Tutankamen.
Berlusconi è un cattolico un po’ sui generis. Per esempio le sue idee religiose si limitano alla convinzione che Dio abbia creato l’uomo e viceversa.
Silvio Berlusconi: “Ogni ingiustizia mi offende quando non mi procuri direttamente alcun profitto”.
Berlusconi, in vacanza a Bermuda, ha rischiato un gravissimo incidente: stava facendo una passeggiata quando, per un pelo, non è stato travolto da un motoscafo.
I manifesti di Berlusconi che tappezzano le città italiane lo fanno sembrare di vent’anni più bugiardo.
Casini: “Ho una proposta: se vinciamo facciamo il Governo degli Onesti.” Berlusconi: “Bravo, e il pluralismo?”
Che cosa distingue Pietro Nenni, Bettino Craxi e Silvio Berlusconi? Nenni non sapeva dire bugie, Craxi non sapeva dire verità e Berlusconi non sa dire la differenza.
Oggi ho preso il coraggio a due mani ho telefonato a Berlusconi e gli ho detto: “Guardi che se vince le elezioni il mio posto di lavoro non si tocca!” E lui mi ha risposto: “E chi lo tocca? Anzi mi fa schifo solo a guardarlo!”
A pochi mesi dalle elezioni l’opinione pubblica è riuscita finalmente a capire la differenza che c’è tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi: Bossi è un povero pazzo, Berlusconi invece è ricco.
Mi sono svegliato nel 2010 e ho avuto paura perché Berlusconi aveva comprato tutto. Perfino la Costituzione aveva fatto riscrivere. Da Mike Bongiorno. Il primo articolo diceva: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro? Avete vento secondi per rispondere. Via al cronometro”.
Già da scolaretto Berlusconi dava prova delle sue straordinarie qualità vendendo i “pensierini” ai compagni meno dotati. Cominciava insomma a manifestarsi in lui quella particolare attenzione verso i più somari che sarà in seguito origine del suo successo televisivo e politico.
Una volta Bossi mi ha accusato di peronismo. Sì, ha detto proprio: “Berlusconi è un peronista!”, ma non mi sono offeso perché credo che si riferisse alla birra Peroni che è l’unico peronismo che conosce bene.
Se Berlusconi vincerà le elezioni tutti gli italiani si convinceranno che le sorti del Paese sono in mano a un serial premier.
Il ritorno di Berlusconi al governo mi ricorda il recital di un cantante d’opera penoso in un teatro di Palermo. Eppure il pubblico alla fine si è alzato in piedi e ha urlato: “Bis! Bis!” E lui ha cantato di nuovo. Peggio di prima. Ma il pubblico era di nuovo in piedi a gridare: “Cantala di nuovo!” E il cantante: “Siete un pubblico meraviglioso, mi piacerebbe cantare ancora per voi, ma non posso cantare la stessa aria tre volte…” Allora un vecchietto in loggione si è alzato e ha urlato: “E no! Adesso tu la canti finché non la impari!”
Silvio Berlusconi è una persona per lo più umile, nonostante abbia avuto tutta la vita al fianco il fratello Paolo che farebbe venire il complesso di superiorità perfino a Amadeus.
Silvio Berlusconi è un uomo davvero molto fortunato. Così proverbialmente fortunato che qualche tempo fa la Repubblica di San Marino decise di emettere dei francobolli rappresentanti il suo sedere stilizzato. Ma ha dovuto subito ritirarli perché Emilio Fede li leccava dal lato sbagliato.
Silvio Berlusconi non solo non conosce Tabucchi, ma è anche convinto che Gogol sia un centravanti balbuziente.
Sappiamo che è difficile da credere, ma la vita di Berlusconi è basata su una storia vera.
Berlusconi fin da piccolo aveva detto: “O divento presidente del Consiglio o niente.” Be’ ce l’ha fatta: è riuscito a diventare tutt’e due.
Berlusconi paga tre miliardi di tasse al giorno? E’ più forte di lui, non riesce a essere modesto neanche quando fa il 740.
Berlusconi è uno che prima di darsi alla politica non faceva mistero delle sue passioni. Che, come diceva lui stesso, erano soprattutto due: la figa e Parigi. La figa perché è la figa. Parigi perché… Insomma con tutta la figa che c’è a Parigi!
Sono sicuro, ci vorranno magari vent’anni, ma alla fine Berlusconi diventerà un musical.
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Selezione di battute tratte da: Anche le formiche nel loro piccolo fanno politica. (E s’incazzano). 107 cattivi pensieri sulle ELEZIONI 2001, a cura di Gino&Michele per il Comitato Rutelli.
#Silvio Berlusconi#Gino&Michele#umorismo#Storia d'Italia#politica italiana#Prima Repubblica#Seconda Repubblica#il Cavaliere#corruzione#Tangentopoli#Mani Pulite#Antonio Di Pietro#Fininvest#Mediaset#Forza Italia#conflitto di interessi#berlusconismo#leggi ad personam#Umberto Bossi#Gianfranco Fini#Romano Prodi#bipolarismo#partito-azienda#loggia P2#Piano di rinascita democratica#Marcello Dell'Utri#Bettino Craxi#mafia#sua Emittenza#potere
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La nascita di due partiti: "l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale)."
Un progetto di controllo o di lobbismo sui mass media. Il piano prevedeva il controllo - tramite acquisizione di quote e fondazione di nuove testate - di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all'epoca permesse solo a livello regionale); nonché l'abolizione del monopolio della RAI e la sua privatizzazione. L'abolizione del monopolio RAI era avvenuto prima della scoperta della loggia, con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1974 che liberalizzava le trasmissioni televisive via cavo.
Superamento del bicameralismo perfetto attraverso una "ripartizione di fatto di competenze fra le due Camere (funzione politica alla Camera dei deputati e funzione economica al Senato della Repubblica)".
Riforma della magistratura: separazione delle carriere di P.M. e magistrato giudicante, responsabilità del CSM nei confronti del parlamento, da operare mediante leggi costituzionali (punto I, IV e V degli obiettivi a medio e lungo termine - vedi infra).
Riduzione del numero dei parlamentari[11].
Abolizione delle province[11].
Abolizione del valore legale del titolo di studio[11].
Non rieleggibilità del Presidente della Repubblica Italiana
Immagine dal Quotidiano Nazionale.
Testo da wikipedia alla voce: Piano di rinascita democratica.
Dicono che il Governo Meloni non stia facendo niente, a me pare che sia persino troppo avanti col programma.
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A Corrado Simioni? Quello di Hyperion? Quello legato alle Brigate rosse di Moretti? Quello legato alla Cia? «Sì, una fidejussione per Hyperion, la scuola di lingue internazionali a Parigi di cui Simioni era tra i fondatori. Ed era anche grande amico di Mario Moretti. L’Hyperion fu al centro delle attenzioni e manipolazioni da parte dei servizi segreti statunitensi e dei loro alleati, come il Mossad, e le indagini svolte dal dottor Pietro Calogero della Procura di Roma, come lui stesso ha riferito a novembre 2015 alla Commissione parlamentare sul caso Moro, nonostante gli ostacoli posti dal Sisde, accertarono che la sede distaccata dell’Istituto a Rouen in Normandia in realtà era una sede periferica della Cia. Ilardo riferì anche dei rapporti con le Brigate Rosse di Torino, grazie all’intermediazione di un magistrato torinese, Luigi Moschella, che era stato nel 1978 pubblico ministero nel primo processo contro le Br, quello che segnò la fine della vecchia leadership Br e l’avvio della strategia dell’annientamento di Mario Moretti. Magistrato che era amico e in affari non leciti con tale Germano la Chioma, uno dei componenti la banda di Tony Chichiarelli che il 24 marzo 1984 mise a segno la famosa rapina da 35 miliardi di lire alla Brink’s Securmark di Roma. Lo stesso Moschella cercherà di riciclare parte dei titoli trafugati»
. Torniamo al puzzle e ai riferimenti oltreoceano… «Il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro o l’omicidio del Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980) non furono altro che delle tappe. Come altri avvenimenti simili, a partire dalla strage di piazza Fontana del dicembre 1969, fino alla strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980). Tappe di una prima fase di un piano più sofisticato, teso a quei tempi a far sì che la Democrazia cristiana svolgesse in Italia un ruolo di governo, al fine di contrastare la forte opposizione comunista e socialista e la presenza del Vaticano, con la sua notevole influenza politica, al solo scopo di attuare scelte politiche, economiche e sociali più utili alla politica statunitense e anche per garantire la sicurezza delle tante basi militari Usa presenti in Italia».
Strategia che poi proseguì con un maggior coinvolgimento della criminalità organizzata di stampo mafioso… «I nuovi apparati militari e terroristici. Questo grazie al coinvolgimento della massoneria e dei servizi segreti. Con loro si sono raggiunte forme terroristiche incisive e cruente. Basti pensare alla strage del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e della scorta, il 23 maggio 1992. O a quella del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta, il 19 luglio 1992. O agli attentati stragisti del 1993-1994 a Firenze, Milano e Roma. Tutto ciò all’indomani dell’omicidio di Salvo Lima, uomo forte della Dc siciliana e terminale politico di Giulio Andreotti. Tutto nell’evidente opzione di sostituire il vecchio con un nuovo contenitore politico, come già prefigurato nel “Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli, capo del P2. E agente americano».
Franco Fracassi - The Italy Project
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#sicuramente sto scoprendo l'acqua calda ma#Berlusconi si è riciclato il piano di rinascita democratica della P2#paro paro
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STRAGE DI BOLOGNA, MA COSA VOLEVA LICIO GELLI? L’ITALIA DI OGGI Licio Gelli, fascista della repubblica di Salò, imprenditore di successo, affarista e massone, uomo di tanti intrighi e trame ai danni della nostra democrazia, è stato riconosciuto come il mandante e l’organizzatore della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. La più sanguinosa della storia repubblicana. Una strage fascista e di stato come tutte quelle che hanno colpito il nostro paese. Ma cosa voleva davvero il criminale fascista Licio Gelli? Non la restaurazione del fascismo, ma un regime autoritario liberale e liberista. Nel “Piano di rinascita democratica” della Loggia P2, cui erano iscritti imprenditori, politici, burocrati, generali, giornalisti, da Silvio Berlusconi a Carlo Alberto Dalla Chiesa a Maurizio Costanzo; in quel piano erano definiti gli obiettivi di fondo per il nostro paese. L’Italia avrebbe dovuto avere un Parlamento molto più ridotto, di cinquecento seicento persone al massimo tra Camera e Senato. Il governo avrebbe dovuto contare molto più delle Camere, sulla base del principio che conta chi comanda. Le alternanze di governo avrebbero dovuto essere tra forze liberal democratiche e forze conservatrici, togliendo dal campo politico i comunisti e ogni sinistra anti sistema e sdoganando i fascisti. La magistratura avrebbe dovuto essere posta sotto il controllo del potere politico. Avrebbero dovuto essere aboliti la scala mobile sui salari e l’articolo 18, ridotto il peso dei contratti nazionali, cambiato il sistema pensionistico. Avrebbe dovuto essere esteso il sistema privato, dall’industria, alle banche, ai servizi pubblici, alla scuola, alla sanità. E poi l’Italia avrebbe dovuto essere il più fedele ed entusiasta alleato degli Stati Uniti, un paese fanatico della NATO. Licio Gelli avrebbe voluto una restaurazione padronale, moderata e euro-atlantica, nell’Italia che negli anni settanta stava per la prima volta attuando i principi sociali, civili e democratici proclamati nella Costituzione antifascista e fino ad allora negati. Per questo da Piazza Fontana in poi Licio Gelli e altri come lui organizzarono le stragi. Con esse pensavano di ottenere subito quella restaurazione padronale ed autoritaria cui aspiravano. Invece ci volle molto più tempo, ma, a quarantuno anni dalla strage di Bologna, dobbiamo ammettere che gran parte del programma della Loggia P2 è stato realizzato e che il sistema politico e sociale dell’Italia di oggi somiglia molto a quello che voleva il criminale fascista Licio Gelli. Giorgio Cremaschi
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Referendum (1/2)
Il post troppo lungo che tutto sommato non avrei voluto scrivere e già so che mi pentirò di averlo scritto
Prima parte - dati (se non oggettivi, moderatamente riscontrabili)
1 - Informazioni tecniche con grassetti strategici
Il 20 e 21 settembre si vota su modifiche degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione che porterebbero i componenti della Camera dei Deputati da 630 a 400, e quelli del senato da 315 a 200 (senatori a vita esclusi).
Si va a votare perché la legge di revisione costituzionale non è stata approvata con almeno i due terzi del Senato, cosa che secondo l'articolo 138 permette la richiesta di un referendum conservativo (spoiler alert: è stato richiesto).
Per i referendum confermativi non c’è quorum, la votazione sarà valida a prescindere dal numero di partecipanti.
La votazione si sarebbe dovuta tenere a marzo, è stata rinviata causa emergenza covid e accorpata (in nove regioni) alle elezioni regionali e (in un migliaio di comuni) al primo turno delle amministrative.
2 - Precedenti storici
Non è un’idea nuova. Il tema della riduzione del numero di parlamentari era stata proposta o ventilata senza successo in varie altre occasioni: - nel 2008, in un disegno di legge a firma PD (con primi firmatari Zanda e Finocchiaro, che curiosamente ora sembravano orientati al no) - nel 1997 nei progetti della bicamerale D’Alema - nel 1983/1985 nei progetti della bicamerale Bozzi - nel piano di rinascita democratica della loggia massonica P2
e altri ancora, ma citiamo questi tre che danno l’idea di come il tema possa essere non strettamente circoscritto ad un colore politico.
Una prima modifica a quegli articoli costituzionali era stata fatta con la riforma del 1963, e so che a questo punto avrete preso un mattarello per sbattervelo fortissimo sui maroni ma temo sia impossibile fare un discorso serio sul voto se non contestualizziamo bene lo scenario.
Nel 1963 viene fissato il numero di parlamentari, che prima era proporzionale alla popolazione: era previsto un rapporto di un deputato ogni ottantamila abitanti e di un senatore ogni duecentomila.
La logica dell’impianto originale elettorale (inteso come combinazione di costituzione e legge elettorale) era che deputati e senatori venissero eletti tramite preferenze elettorali esplicite da un territorio con cui in qualche forma fossero in contatto. Il meccanismo era stato messo in discussione dall’incremento demografico del dopoguerra (dai 46 milioni del 1948 ai 51 del 1963) con conseguente aumento dei parlamentari.
Anche all’epoca la decisione non fu particolarmente unanime, secondo Togliatti la riforma
«distacca troppo l’eletto dall’elettore; [���] perché l’eletto, distaccandosi dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti». (*)
Altre dinamiche erano sostanzialmente analoghe alle attuali (tipo il tema del risparmio portato come bandiera da una parte e giudicato irrisorio dall’altra).
Volendo banalizzare (e tanto, i giuristi si tappino gli occhietti) il succo del discorso è che rispetto ad una visione iniziale sostanzialmente basata su una proporzionalità totale e assoluta della rappresentanza e su un meccanismo di preferenza che anteponeva la persona eletta al partito, negli anni sono state fatte svariate modifiche (principalmente alla legge elettorale) che sono andate in una direzione diversa, creando una situazione imbastardita con equilibri precari, passata anche per leggi elettorali giudicate in seguito costituzionalmente illegittime.
In questo contesto non semplice si inserisce il referendum, con ulteriore complicazione interpretativa data dal fatto che rispetto ad altre riforme più strutturate e con intenti dichiarati (ad esempio quella renziana del 2016 che mirava al superamento del bicameralismo perfetto) questa modifica si limita a sancire un calo del numero di parlamentari prestandosi ad un numero di interpretazioni che vanno dal meh al catastrofismo distopico più spinto.
3 - Cosa fanno gli altri
Argomento spinosissimo perché si presta sia alla tipica posizione filosofica materna “se tutti si buttano dalla finestra allora ti butti pure tu?” che alla estrazione selettiva di statistiche da usare come clava verso la parte avversa. Una bella fotografia (a cui hanno attinto quasi tutti gli articoli che leggerete sul tema) è questo documento del Servizio Studi del Senato del 2018 (che fra l’altro ripercorre l’iter storico del punto precedente in maniera meno cialtrona):
https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01077185.pdf
つづく
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Sull’esistenza dei complotti
Sull’esistenza dei complotti Aldo Giannuli ha affermato: «Negare l’esistenza di complotti, congiure, operazioni coperte ecc. equivale a negare la storia, che invece abbonda di così tanti esempi da non essere neppure necessario citarne qualcuno…» (Aldo Giannuli, «Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi). Il piano massonico sulla ‘rinascita democratica’ e la vera storia della sua realizzazione»,…
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(ri-)perle di bordin
bordin line del 31 luglio 2013 Dunque si raccolgono le firme su un appello di Ingroia e Flores prepara una manifestazione per settembre. La Costituzione è in pericolo, dicono al Fatto. Il presidenzialismo non passerà. Passasse, sarebbe l’attuazione di un diabolico piano di Gelli. Non lo si può consentire. Non lo consentirebbero, scriveva ieri Flores, i martiri come Duccio Galimberti e i padri costituenti della Repubblica come Piero Calamandrei. Un momento... Calamandrei alla Costituente propose proprio il presidenzialismo. E il federalismo. Il modello americano, anche per la giustizia. Praticamente il famigerato “Piano di rinascita democratica” della P2. Ingroia lo sa? Zagrebelsky dovrebbe avvertirlo. Pensate che inchiesta avrebbe potuto fare. Un infiltrato della P2 - e della mafia naturalmente - alla Costituente. Così astuto da ingannare dopo tanti anni anche Flores. Gelli all’epoca del resto era già attivo, per non parlare della mafia. Travaglio non avrebbe dovuto nemmeno mettere a posto le date e il “professore” Casarrubea avebbe potuto completare la sua consulenza spiegando che Gelli era a Portella della Ginestra insieme al bamdito Giuliano, la Decima Mas, la mafia e la Cia, come ha già scritto. Mancava finora nella ricostruzione il regista politico di tutto ciò: era Calamandrei. da Sette anni di Bordin Line. Massimo Bordin sul Foglio
#citazioni#bordin#massimo bordin#perle di bordin#foglio#il foglio#calamandrei#piero calamandrei#p2#mafia#ingroia#antonio ingroia#costituzione#referendum
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Odo Gelli far festa
Odo Gelli far festa
È un vero peccato che Licio Gelli non sia più tra noi. Sarebbe davvero entusiasta, dopo quarant’anni di calunnie, di questa riabilitazione, purtroppo postuma, del suo mitico Piano di Rinascita Democratica. Aveva sperato in Craxi, Andreotti e Forlani, ma gli era andata male: il Caf aveva orizzonti più prosaici che la Grande Riforma della Giustizia. Si accontentava di rubacchiare e/o di mafiare…
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Vignette tratte da:
BerluStory. Biografia del Cavaliere a Fumetti - numero 3 ("Il politico") pag. 13, testo e disegni di Marcello Toninelli; allegato a Fumo di China n° 113, novembre 2003.
#Silvio Berlusconi#BerluStory#fumetti#Marcello Toninelli#Fumo di China#Storia d'Italia#politica italiana#Prima Repubblica#Seconda Repubblica#il Cavaliere#corruzione#Tangentopoli#Mani Pulite#Antonio Di Pietro#Fininvest#Mediaset#Forza Italia#conflitto di interessi#berlusconismo#leggi ad personam#Umberto Bossi#Gianfranco Fini#Romano Prodi#bipolarismo#partito-azienda#loggia P2#Piano di rinascita democratica#Marcello Dell'Utri#Bettino Craxi#mafia
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I caldi inverni di Valona
Teksti në #shqip dhe #italisht --> L’articolo è frutto della visita a Valona nel mese di Novembre 2017
Il mese di Novembre è carico di significato per gli albanesi, e in particolare per la città di Valona. Quale occasione migliore allora per visitarla se non per le feste di fine novembre? Marco e Boiken, i due volontari del SCN, decidono di non aspettare l'invasione di turisti primaverile ed estiva per precipitarsi al Sud. Sebbene con la stagione estiva la città si trasformi e dia il meglio di sé con la sua vivacità, nella stagione invernale riserva ai visitatori, e soprattutto ai viaggiatori, gli aspetti più importanti della sua personalità.
Ai valonesi piace presentare scherzosamente agli ospiti le cosiddette “tre anime” di cui è composta la città e i suoi abitanti. Parlano, dunque, fieramente della costa, con il suo capoluogo Himara, che con i suoi paesaggi mozzafiato e la sua natura marittima è sempre stata aperta alla cultura greco-latina e connessa con il Mediterraneo, divenendo così economicamente più avanzata e più elitaria.
Tra la catena dei monti Acrocerauni che finiscono nello Ionio e il letto del fiume Shushica, invece, si estende la zona della Laberia, che rappresenta la parte più autentica e rivelativa dell’identità di Valona. La zona, caratterizzata da un territorio impenetrabile e da gente generosa, continua tutt’ora a essere difficilmente accessibile e rivendica orgogliosa le sue differenze dall’astuta Valona dei commercianti e “dall’altezzoso” cosmopolitismo di Himara.
Valona, che nell’immaginario comune degli albanesi simboleggia la spensieratezza vacanziera e marittima, è impegnata da secoli a far convivere la rude ma libera natura degli abitanti lab con il malinconico elitismo della costa e la vita cittadina.
Popolata da tribù Illiriche già 2500 anni avanti Cristo, Valona fu preda di incursioni elleniche. Gli Illirici mal sopportavano la concezione urbana dei Greci e si ritirarono nell’entroterra, dove continuarono a vivere lentamente ma pacificamente coniugando natura e progresso. È forse proprio da qui che si può risalire alla prima forma di disgiunzione tra le anime della città. Ma durante il mese di Novembre tutto ciò scompare e il centro di Valona assume un’altra dimensione. E questo vuole essere un racconto di questo luogo che dopo anni di torpore sta finalmente dando i segni dell’agognato risveglio.
La scoperta della città inizia subito dal finestrino del pittoresco furgoncino che collega la capitale Tirana alla costa del sud. Non appena lasciata la cittadina di Levan e imboccata la superstrada, colpisce la vista della baia con la penisola di Karaburun e l'isolotto di Saseno che fanno da guardiani alla città.
Si tratta della stessa magnifica vista che nel libro “L’inverno della grande solitudine” di Kadare aveva scosso la noia del generale sovietico Zeleznov che accompagnava Kruscev durante la sua visita a Butrinto nel 1959. La visita del generale terminava nella base di Pasha Liman che tiene nascoste tra il mare e la laguna testimonianze preziose della guerra civile romana e i ricordi del sostegno che la vecchia Orico diede a Cesare durante la sua caccia a Pompeo, protetto a sua volta dalla rivale Durazzo.
In epoca ottomana Pasha Liman costituiva l'avamposto più occidentale del sultano in Europa, mentre con l'arrivo dei Russi la base divenne il principale strumento della geopolitica albanese all'interno del campo socialista. Il ruolo di Valona e della sua base non poteva essere usato meglio metaforicamente di quanto non abbia fatto Ivate Kadare nel bestseller “Inverno della grande solitudine”, importante opera letteraria albanese, in cui tenta di spiegare l’Albania e la relazione con il mondo. Nel libro viene descritta la tensione con l'Unione Sovietica tramite la guerra di due militari della base che passarono improvvisamente da alleati con la stessa divisa ma con un diverso umore. I due militari erano a tu per tu, e la questione era molto più seria per l'Albania che rinunciava così per motivi ideologici all'unico strumento che le rimaneva per continuare a stare sulla scia dello sviluppo economico: l'Unione Sovietica. I saggi e antichi Illirici scelsero la libera e selvaggia solitudine e lasciarono l'opzione greco metropolita raffigurata da Mosca.
La speciale posizione geografica di Valona racconta tanto anche in merito alle celebrazioni del 28-29 Novembre. Il 28 infatti Valona si trasforma nel centro spirituale dell'albanesità e ospita migliaia di cittadini che si riuniscono nel Sheshi i Flamurit (Piazza della Bandiera) per ricordare la proclamazione di quella così agognata indipendenza avvenuta nel lontano 1912 ad opera di Ismail Qemal Vlora.
La centralissima piazza infatti ospitava le Saraje (parola araba che significa “palazzi”) della nobile famiglia dei Vlora. Il piano regolatore del 1930 cambiò il volto della città, lasciando in vita principalmente una parte del quartiere della Muradiye, da lì l'omonima moschea che nasce sui resti di un'antica chiesa bizantina. L'area, nota anche come quartiere ebraico, si sviluppa principalmente intorno alla via Justin Godard che prende il nome dal giurista francese che rappresentò la questione albanese alla conferenza di Pace di Parigi del 1919. Fu proprio qui che si insediò a partire dal 1600 una folta comunità ebraica sefardita proveniente dalla penisola iberica, la quale diede vita a una fiorente attività commerciale che culminò con la fondazione della Banca Nazionale del commercio ossia la prima banca commerciale del paese che ha la sede qui a partire dal 1837.
La via Godard collega la piazza della bandiera con la piazza del municipio, edificio di costruzione italiana in stile neoclassico che per molti anni ha svolto la funzione di sede consolare nel sud del paese. Il rapporto di odio- amore con l'Italia ha conosciuto momenti di alta frizione e sincronia tra i due popoli nel XIX secolo. La guerra antitaliana del 1920 vide la città e l’hinterland combattere contro le truppe di Vittorio Emanuele II che difendevano il protettorato italiano in Albania. Nel paese balcanico eravamo all'inizio di quello che poi sarebbe diventata la rivoluzione democratica mentre in Italia eravamo in un periodo di grandi tensioni sociali. Il governo Giolitti tentò di reprimere la rivolta di Valona e fu significativa la reazione del paese, partendo dall’ammutinamento dei bersaglieri della caserma Villarey di Ancona che, temendo di essere mandati in Albania, rifiutarono gli ordini dei superiori innescando una serie di scioperi operai e di sabotaggi della rete ferroviaria. La settimana calda del 1920 aveva portato alla sollevazione operaia italiana del pieno biennio rosso mentre quella di Valona aveva posto le basi per un avvenimento importante per la storia moderna albanese. Il governo italiano infatti decise di ritirare le truppe mentre il patriottico kosovaro Hasan Prishtina nel 1921 convocata e dirigeva i lavori del Congresso di Lushnja del 1921 in cui Tirana venne insignita capitale albanese.
Il contributo di Valona per la libertà e la sovranità d'Albania viene ricordato inoltre ogni 29 Novembre sulla collina di Kuzum Baba che domina il centro cittadino e che oltre alla teqe, il luogo di culto della setta sciita dei bektashi, ospita il monumento dei caduti per la patria. La visita al memoriale dei caduti ha riservato sorprese che confermano la relazione di Valona con l’Italia. Infatti, accanto alle città natali dei caduti quali Berat, Valona o Tirana spiccavano anche toponimi come Trapani, Milano e Bari che mostrano come i figli di queste città abbiano abbracciato lo spirito libertario e antifascista del capoluogo del sud dell’Albania.
Il giro nella città si conclude con la passeggiata sul mare che mantiene la denominazione del progetto italiano degli anni ’20 “Lungomare”, completato solo nel 2017.
Il progetto ambisce a trasformarsi in una delle passeggiate sul mare tra le più belle del Mediterraneo con l’ambizione di creare un brand di turismo sostenibile del “Jugu i Shqiperise” e di fare concorrenza alla costa azzurra del lungomare di Baku o alla costa amalfitana. L'opera pubblica è sinonimo della rinascita della città e buon augurio per l’armonia del territorio con la sua gente e la sua natura.
Boiken Sinaj
(Shqip)
Vjeshta dhe muaji nëntor kanë një kuptim të veçantë për shqiptarët Shqipërinë dhe sidomos për qytetin e Vlorës. A ka kohë më të përshtatshme atëherë për ta shijuar atë se sa gjatë festave të fund nëntorit? Kështu Marco dhe Boiken dy nga vullnetarët e SCN, vendosën të mos presin pushtimin e turistëve të pranverës dhe verës, ndonëse në këtë perjudhë qyteti ka maksimumin e gjallërisë së saj. Por është pikërisht në nëntor që Vlora u rezervon vizitorëve, dhe mbi të gjitha udhëtarëve, aspektet më të rëndësishme të personalitetit të saj.
Vlonjatëve u pëlqen t'u kujtojnë miqve të ashtuquajturit tre shpirtra, që dominojnë në natyrën e qytetit dhe banorëve të saj. Kemi pra bregdetin me kryeqëndër Himarën, që me peizazhet e saj të mahnitshme dhe natyrën bregdetare është e lidhur me Mesdheun. Si rrjedhim ekonomikisht është më e përpruar dhe më elitiste po ashtu e hapur kundrejt depërtimit të kulturës Greko-Latine. Midis zinxhirit të maleve Acrokeraun që përfundojnë në Jon dhe shtratin e lumit Shushica, shtrihet zona e Laberisë, e cila përfaqëson pjesën më autentike të identitetit të Vlorës. Zona, e karakterizuar nga një territor i padepërtueshëm dhe nga njerëz bujarë, ende vazhdon të mbetet e vështirë për aksesin dhe me xhelozi pretendon dallimet e saj nga Vlora “dinake” e tregtarëve dhe kozmopolitizmit "jabanxhi" i Himarës. Vlora që në imagjinatën e përbashkët të shqiptarëve simbolizon festën, lumturinë e udhëtimit dhe detit është një sintezë e plotë e këtyre kontradiktave. Për shekuj me radhë është përpjekur të sjellë së bashku natyrën e ashpër, por të lirë të lebëve që duket se ka mbizotëruar në këtë rivalitet me elitizmin melankolik të bregdetit dhe pragmatizmin tipik qytetar.
E populluar nga fiset ilire 2500 vjet para Krishtit, Vlora ishte pre e bastisjeve helenike që shumë shpejt krijuan kolonitë e tyre. Ilirët nuk binin në ujdi me konceptin urban të grekëve dhe u tërhoqën në brendësi ku ata vazhduan të jetojnë ngadalë por në mënyrë paqësore marrëdhëniet e tyre me natyrën dhe progresin. Ndoshta prej këtu mund të gjejmë formën e parë të ndarjes midis identiteteve të qytetit. Por në nëntor të gjitha këto zhduken dhe qendra e Vlorës merr një përmasë tjetër. Kjo dëshiron të jetë një histori e këtij vendi që pas shumë vitesh harrese ndaj tij më në fund jep shenjat e një zgjimi të shumëpritur.
Zbulimi i qytetit fillon megjithatë, menjëherë nga dritarja e furgonit piktoresk që lidh kryeqytetin me bregun jugor. Sapo të largoheni nga qyteti i Levanit dhe të merrni autostradën, do t’ju tërheq pamja e gjirit me gadishullin e Karaburunit dhe ishullin e Sazanit që si gardianë ruajnë qytetin. Është e njëjta pikëpamje e mrekullueshme që në librin "Dimri i vetmisë së madhe" të Kadaresë e kishte tronditur mërzinë e gjeneralit sovjetik Zeleznov i cili shoqëronte Hrushovin gjatë vizitës së tij në Butrint në vitin 1959. Vështrimi i përgjithshëm merr fund në bazën e Pasha Limanit të fshehur në mes të detit dhe lagunes, dhe që mbart dëshmi të çmuara të luftës civile romake dhe kujtime të mbështetjes që Orikumi i kishte dhënë Cezarit gjatë përndjekjes që i bënte Pompeut, i mbrojtur gpo ashtu nga rivalët në Durrës.
Në epokën osmane PashaLimani ishte qëndra më perëndimore e sulltanit në Evropë dhe me ardhjen e rusëve u bë baza kryesore dhe një instrument i rëndësishëm gjeopolitik i Shqipërisë në përbrënda kampit socialist. Roli i Vlorës dhe bazës së saj nuk do të mund të përdoret në mënyrë metaforike më mirë se ajo e bërë nga mjeshtri Kadare në bestsellerin e sipërpërmëndur që është poashtu libri më i rëndësishëm në historinë e letërsisë shqipëtare, ku ai përpiqet të shpjegojë marrëdhëniet e Shqipërisë me botën dhe me vetëveten. Libri përshkruan tensionin me Bashkimin Sovjetik ndërmjet luftës së nervave të dy ushtarëve në bazë, të cilët papritmas kaluan nga aleatët në armiq. Të dy ushtarët ishin ballë për ballë, dhe çështja ishte më e rëndë për Shqipërinë e cila pati pranuar të heq dorë kështu për arsye ideologjike nga i vetmi instrument i dobishëm për zhvillimin ekonomik: bashkëpunimi me Bashkimin Sovjetik. Ilirët e mençur dhe të lashtë zgjodhën edhe një herë vetminë e lirë dhe të egër dhe e lanë opsionin greko- metropolitan të përfaqësuar nga Moska.
Pozita e veçantë gjeografike gjithashtu tregon shumë për festimet e 28-29 nëntorit. Në fakt, Vlora në dtën 28 Nëntor kthehet në qendrën shpirtërore të shqiptarëve dhe mikpret mijëra qytetarë që mblidhen në Sheshin e Flamurit për të kujtuar shpalljen në vitin 1912 nga Ismail Qemal Vlora e pavarësie të shumëpritur. Plani rregullues i vitit 1930 ndryshoi fytyrën e qytetit, duke lënë kryesisht pjesën e lagjes Muradiye, prej nga atje xhamia me të njëjtin emër që lindi në eshtrat e një kishe bizantine të lashtë. Zona, e njohur edhe si lagja hebreje, zhvillohet kryesisht rreth rrugës Justin Godard, e cila merr emrin nga juristi francez mbroi çështjen shqiptare në Konferencën e Paqes të Parisit në vitin 1919. Pikërisht këtu u vendos që nga viti 1600 një komunitet i madh hebre sefardit me prejardhje nga gadishulli iberik që u bë përcjellës i një aktiviteti të mirëfilltë tregtare që kulmoi me themelimin e Bankës Kombëtare të Tregtisë, bankës së parë tregtare të vendit me seli në Vlorë qysh nga viti 1837.
Rruga Godard lidh sheshin e flamurit me sheshin e Bashkisë,kjo e fundit një ndërtesë italiane në stilin neoklasik që për shumë vite ka shërbyer si një zyrë konsullore në jug të vendit. Marrëdhënia e dashurisë dhe urrejtjes me Italinë ka njohur momentet fërkimit dhe sinkronizmi të lartë mes dy popujve në shekullin e nëntëmbëdhjetë. Lufta anti-italiane e vitit 1920, vuri qytetin dhe rrethinat në luftë kundër trupave të Vittorio Emanuele II që gjëndej në Shqipëri për të siguruar protektoratin italian. Në vendin ballkanik ndodheshim në prag të revolucionit demokratik, ndërsa në Itali ishim në një periudhë me tensione të mëdha shoqërore. Qeveria Giolitti u përpoq për të shtypur revoltën e Vlorës por u hasën me një reagim të rëndësishëm popullor në Itali. Gjithçka filloi në bazën Villarey në Ancona me vetëgjymtimin e Bersaljerëve që u ngritën për të kundërshtuar dërgimin e tyre në Shqipëri dhe refuzuan urdhrat e eprorëve duke shkaktuar një ser grevash mes punëtorëve por edhe akte sabotuese siç ishte ajo e rrjetit hekurudhor.
Javët e nxehta të vitit 1920 kishin çuar në kryengritjen italiane të klasës punëtore të ashtuquajturit “dyvjetori i kuq” ndërsa ajo e Vlorës kishte hedhur themelet për një ngjarje të rëndësishme në historinë moderne të Shqipërisë. Përtej detit Qeveria italiane vendosi të tërhiqte trupat ndërsa në tokën shqiptare atdhetari kosovar Hasan Prishtina në vitin 1921 mblodhi dhe drejtoi punën e kongresit të Lushnjës në vitin 1921 nga ku lindi Tirana si kryeqyteti i ri shqiptar.
Kontributi i Vlorës për lirinë dhe sovranitetin e Shqipërisë celebrohet gjithashtu çdo 29 Nëntor në kodrën e Kuzum Baba-së që dominon qendrën e qytetit dhe përveç teqe-së, objekti i kultit të sektit shiit të bektashinjve, strehon memorialin e dësmorëve për atdheun. Vizita në memorialin e të rënëve ka rezervuar surpriza që konfirmojnë marrëdhënien e Italisë me qytetin. Në fakt, pranë vendlindjeve si Vlora, Berati apo Tirana i ushtarëve të rënë rendoheshin edhe toponime si Trapani, Milano apo Bari çka nënkupton se edhe bijtë e këtyre vendeve kishin përqafuar shpirtin liridashës të kryeqëndrës së jugut.
Vizita në qytet përfundon në shëtitoren e re që ruan emrin e projektit italian të epokës së Musolinit "Lungomare", e cila u përfundua vetëm këtë vit. Projekti synon të bëhet një nga shëtitoret bregdetare më të bukura në Mesdhe me synimin për të krijuar një brand turistik të qëndrueshme të "Jugut të Shqipërisë" dhe për të konkurruar me Coste Azzurre, Baku-në ose me bregdetin e Amalfitan. Vepra e rëndësishme publike është sinonim i ringjalljes së qytetit dhe një urim i mirë për harmoninë e territorit me popullsinë e dhe natyrën e tij.
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Storia del complottismo fantasioso sui Servizi segreti italiani
Pubblichiamo un estratto del saggio “Intelligence e complotti. L’eterna lotta per il potere nella società della disinformazione” pubblicato sulla “Rivista di politica” (Rubbettino) diretta da Alessandro Campi
In Italia è sterminata la pubblicistica che individua nei Servizi segreti gli autori e i suggeritori di complotti e congiure. Anzi, ci sono letture che identificano la nostra come una storia di complotti. Si comincia nel 1962 con l’incidente aereo in cui perde la vita il Presidente dell’ENI Enrico Mattei. Considerato per anni un incidente, la Procura di Pavia, così come il direttore del SISMI Fulvio Martini, ha ipotizzato un attentato, dietro il quale probabilmente Servizi segreti di varia nazionalità: francesi, britannici o americani. Per la vicenda, non è stato condannato nessuno.
Si prosegue poi con la “teoria del doppio Stato” in base alla quale si è sostenuto un complotto continuo, ordito dai partiti atlantici insieme ai Servizi segreti, per impedire che il Partito comunista conquistasse il potere. In questa cornice, possono essere inquadrati il cosiddetto Piano Solo, promosso nel 1964 da Giovanni De Lorenzo, per impedire l’apertura a sinistra della politica italiana. Svelato da un’inchiesta de L’Espresso nel 1967, la magistratura in primo grado condannò i giornalisti per diffamazione. In punto di morte, il generale ritirò la querela e il processo si estinse.
La strategia della tensione, che avrebbe dovuto impedire le aperture democratiche nella società italiana, è iniziata nel 1969 con lo scoppio della bomba di Piazza Fontana a Milano. I relativi processi si sono conclusi nel 2005 senza alcuna condanna effettiva, anzi addebitando le spese processuali ai parenti delle vittime. Nei procedimenti venne coinvolto anche Guido Giannettini, reclutato dal SID, tanto che c’è chi sostiene che i Servizi fossero informati degli accadimenti (Gianadelio Maletti in A. SCERESINI, N. PALMA, N.E. SCANDALIATO, Piazza Fontana. Noi sapevamo, 2010).
Negli anni di piombo, sia nelle relazioni con il terrorismo rosso che nero, sono emersi contatti costanti con i Servizi. Ma è nel caso Moro che si accavallano le teorie del complotto. Secondo alcuni, una funzione centrale nella vicenda venne svolta dalla scuola di lingue parigina Hyperion, ritenuta un punto di incontro di Servizi segreti dell’’Est e dell’Ovest così come di sigle eversive di destra e di sinistra, mentre il memoriale di Via Monte Nevoso, dove lo statista democristiano aveva raccolto appunti durante la prigionia, sarebbe mancante proprio della parte che riguarda i Servizi segreti (F.M. BISCIONE (a cura), Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto in Via Monte Nevoso a Milano, 1993).
Altra vicenda è quella della Loggia massonica P2, nel cui interno c’era il gotha del mondo politico, imprenditoriale e soprattutto dei Servizi segreti: tra gli altri, Giovanni Allavena, Giulio Grassini, Vito Miceli, Giuseppe Santovito, Walter Pelosi, Gianadelio Maletti, Pietro Musumeci. Alla Loggia guidata da Licio Gelli si deve la redazione del Piano di Rinascita democratica, redatto probabilmente dal segretario generale della Camera dei Deputati Francesco Cosentino che, in forma abbozzata, nel 1975 venne trasmesso al Presidente della Repubblica Giovanni Leone.
In definitiva, tutta la storia d’Italia sembra segnata dai complotti, fin dalla spedizione dei Mille considerata come un’azione promossa e finanziata dal governo inglese. Ma non era Henry Kissinger a dichiarare che “l’Italia è un Paese dai tanti misteri ma di nessun segreto”?
(Qui il saggio completo)
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Un programma politico. Sorprendente.
Un programma politico. Sorprendente.
(Senza commento. Prendetevi un minuto. Leggetelo. Stampatelo. Ritagliatelo. Condividetelo.)
Testo integrale del “piano di rinascita democratica”, della loggia P2, sequestrato a M. Grazia Gelli nel luglio 1982
PREMESSA 1) L’ aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema 2) il piano tende invece a…
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Il Compagno Armando ed il Venerabile Licio
Il Destino e la cronaca di questi giorni accomunano la morte di due personaggi italiani che hanno scritto Storia e storie.
Parlo di Armando Cossutta, l’ultimo sovietico, irriducibile quasi come il giapponese nella giungla, quello convinto di essere ancora in guerra.
Parlo anche di Licio Gelli, capologgia P2, uomo di misteri e mistero egli stesso, tanto che qualcuno lo ha anche definito sòla (Ceccarelli su «La Repubblica)» perché alla fine non si è mai capito se faceva sul serio con il suo Piano di Rinascita Democratica e i suoi mille intrighi oppure era un avventuriero abile tra le mangrovie dei poteri.
Tanto l’uno è stato rigido, lineare ed essenziale, tanto l’altro è stato criptico, oscuro, proteiforme.
Al primo—filosovietico dichiarato—si porta rispetto per la coerenza, ma lo si guarda come un pezzo d’antiquariato nostalgico, come quei colbacchi dell’Armata Rossa che si trovano sui mercatini delle pulci. Inoltre, non gli si perdona quel suo filo-sovietismo, considerando i mali di quel sistema.
Al secondo, invece, stranamente si concede l’onore del dubbio, considerati tutti gli strani intrecci attorno a lui (salvato addirittura dall’arresto per un ordine tribunalizio), per il numero e la levatura delle persone e dei personaggi che affollavano la sua loggia. Inoltre, non ci si spiega come mai i fondamentali del suo Piano di Rinascita siano entrati nei programmi politici berliusconiani e addirittura renziani (separazione delle carriere dei magistrati, abolizione e trasformazione del Senato, annullamento del sindacato, accentramento dei poteri al Governo, smantellando le istanza locali autonome, tipo le Province), tanto che si potrebbe arrivare a pensare di costui come un grande stratega, modello e ispirazione per i governi.
Il primo comunista ortodosso; il secondo sempre autodefinitosi fascista.
Il primo facilmente identificabile, retorizzabile e caricaturizzabile. Il secondo sfuggente, indefinibile, mai liquidato dalla politica.
Davvero più opposti di così non si poteva.
Cosa li accomuna?
L’aver vissuto ed operato in Italia. Entrambi a diversi livelli, tuttavia funzionali alla nostra società. Il rappresentante di un comunismo dannoso che andava pubblicamente stigmatizzato e contro il quale definire programmi elettorali e propaganda, contrapposto idealmente ad un Grande Burattinaio, un puparo venne definito, che ha dettato regole e riforme, senza che ce ne avvedessimo o indignassimo più di tanto.
Ma quanto era davvero così concettualmente o politicamente pericoloso il Comunista Cossutta, se confrontato con un mondo—quello di Gelli—reale quanto nascosto, potente quanto pericoloso?
La rete di Gelli assomigliava al ’deep web’ di internet, un livello di realtà della nostra politica che i più non conoscono, di cui possono ancora scandalizzarsi, ma alla lunga, senza trasparenza né responsabilità dichiarate (ovvero sanzionate), diventa più favolistico che altro.
Come siamo strani noi uomini. Predichiamo coerenza e trasparenza e poi ci facciamo governare per decenni da personaggi oscuri; rischiamo la vera democrazia (vi ricordate? Gelli fu invischiato in un golpe) per continuare a favorire trame ed intrecci di potenti che si coprono/spalleggiano/difendono tra loro.
Il Metodo (il comparizio tra potenti) non è mica finito nella tomba con il Venerabile (un appellativo di Gelli).
Tutt’altro. Un esempio recentissimo?
Banca Etruria, compreso il fallimento pilotato, mediante accantonamento occulto di fondi, attraverso finanziamenti fittizi a soci e compari, al fine di azzerare il capitale.
Vabbè. De mortui nisi bene.
Io all’Armando ero affezionata proprio per la sua coerenza ed il suo essere comunista—o meglio, sovietico—non ha portato un filino di danno al nostro Paese. Ne converrete.
Ma al Burattinaio non riesco a perdonare nulla. La sua non fu mai una ragion di stato (perché statista non era), bensì si trattò di potere ed avidità di classe, che tanti danni hanno portato e porteranno ancora all’Italia. Ma noi non lo capiremo mai.
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Il piano di rinascita democratica della loggia P2
Il piano di rinascita democratica della loggia P2
Il piano di rinascita democratica della loggia P2 sequestrato a M. Grazia Gelli nel luglio 1982
Il Piano di rinascita democratica fu sequestrato all’aeroporto di Fiumicino nel sottofondo malamente camuffato di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, che stava tornando in Italia da Nizza. Il documento è databile attorno al 1976. Dopo averli fatti rinvenire, Gelli ha avuto cura di…
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