#peter di salvo
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@thefixer asked “ i’ve got a lot on my mind . ”
Brown eyes flicker up from the dimming flame of her lighter to study the other woman’s face. You’re not alone. She thinks, but keeps the unhelpful words locked away behind her teeth. Instead, Nico allows small ribbons of smoke to rise from the lip tip of her cigarette, ruminating on a proper response.
The younger woman has not asked many questions in these few times they’ve worked together. She has felt no right to do so, hiding behind her ‘Special Task Force of the Holy See and Italian Governments’ credentials. Yet from what little she knows of Mia Di Salvo’s history, she infers the elder had a string ghosts trailing behind her.
❝ Anything I can do? ❞ A naive and futile offer, she knows, but one she makes none the less. A sort of show of good faith. She continues on, removing the cigarette to tap some red embers into the glass ash tray before her. ❝ There’s good priest on Villa della Conciliazione if it’s something private you want off your chest. I know you don’t practice but...❞
Nico lets the suggestion hang in the air between them. It is a bright spring morning in Rome, only a few scattered pedestrians make their way across the street below the terrace on which they sit. Beyond, the dome of St. Peter’s Basilica watches silently. The young woman rises from the table after a pause, moves to open the sliding glass door and procure the Bialetti Moka coffee pot in the kitchen just beyond
❝ Espresso? ❞ She offers over her shoulder. She can at the very least show some hospitality before they begin their next death defying task.
#thefixer#[ 𝐕. | on the shoulders of the saints ]#i'm basing this on some of our previous threads#but if you want somethin different just let me know!!
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Il mondo perduto: Jurassic park 2 (1997)
Dato il successo spettacolare del primo capitolo, era abbastanza ovvio che ne venisse prodotto un seguito.
Questa volta fa paura
Dato il successo spettacolare del primo capitolo, era abbastanza ovvio che ne venisse prodotto un seguito.
Non altrettanto ovvio che ne uscisse fuori un buon film.
Spielberg ci stupisce, con questo secondo capitolo, perché, sebbene la storia non brilli per originalità e la sceneggiatura del film risenta dei buchi e delle incongruenze riscontrabili anche nel primo, non sarebbe giusto affermare che Il mondo perduto: Jurassic Park è un film brutto o mal riuscito.
Certo, siamo sempre lontani dai fasti de Lo squalo (per mantenerci in un genere affine), e la formula così ben sperimentata nel numero uno della serie comincia a stancare. Ma Spielberg, questa volta, calca la mano e ci presenta un prodotto costruito appositamente per far saltare lo spettatore sulla poltrona.
Si perdono i tocchi favolistici del primo episodio e veniamo scaraventati in un'epopea sanguinaria.
Certo, le leggi del sequel impongono di raddoppiare, come minimo, il numero dei morti dal primo al secondo episodio, ma girare il seguito di un film (anche se con i suoi aspetti semi-orrorifici) "per famiglie" e spandere a piene mani paura, sangue e corpi spappolati, rende onore all'operazione spielberghiana, salvo poi mitigare tutto col messaggio ecologista del finale e lasciare la porta aperta ad un terzo (poi realizzato) capitolo della saga, con quell'immagine dello pterodattilo vittorioso sull'isola abbandonata dall'uomo.
Questa volta, l'errore più evidente di Jurassic Park non viene ripetuto: dopo il solito incipit terrificante (una bambina attaccata da un branco di piccolissimi dinosauri carnivori), si entra quasi subito nel vivo della vicenda.
La parte introduttiva è molto breve: eccoci immediatamente scaraventati sull'isola, con il "solito" Ian Malcom che prevede "grida e mutilazioni" (e noi che, chissà per quale motivo, siamo gli unici a credergli) e una flotta di elicotteri che, trasportando jeep, fucili, gabbie e cacciatori, irrompono nella tranquillità idilliaca del luogo, creando scompiglio fra gli scienziati e, quel che è peggio, fra i dinosauri.
La scena della caccia è strepitosa e incredibile per i livelli di perfezione raggiunti dall'animazione dei dinosauri, per la fluidità e la bellezza delle immagini, per l'eccezionale capacità di Spielberg di emozionare, divertire ed esaltare il pubblico.
Il resto del film è girato quasi tutto di notte. Ed è nel buio, nella pioggia, negli alberi smossi dai giganteschi passi dei T-rex, nelle sagome dei cacciatori che vengono letteralmente inglobati dall'erba alta e divorati dai Velociraptor, nelle movenze feline dei perfidi carnivori, nel branco di piccoli mostri che divora vivo Peter Stormare, che l'horror prende il posto della favola e irrompe, inaspettato, in un film che si presupponeva fosse un clone di secondo livello di Jurassic Park.
Certo, si potrebbe affermare con una piccola dose di cattiveria, che l'ampio spazio dedicato ai momenti e ai temi tipici dei film dell'orrore serve soltanto a compensare una colossale mancanza di idee. Ed è probabilmente vero…
Ma non è questo che conta. Nessuno si aspetta da un film come questo dei contenuti profondi o delle idee narrative vincenti. In un film del genere si cerca soltanto divertimento, perfezione tecnica e una costruzione della suspence che funzioni come una bomba a orologeria. E Il mondo perduto possiede tutte queste doti, anche in misura maggiore rispetto al primo capitolo.
Le possiede per tutta la parte ambientata sull'isola, e le perde clamorosamente nel momento in cui i protagonisti (T-rex in testa) sbarcano a San Diego.
Certo, vedere il T-rex aggirarsi per le strade di una grande metropoli è di sicuro effetto. Ed è altrettanto vero che è una delle scene tecnicamente meglio realizzate. Ma l'attacco del dinosauro a San Diego, spacca nettamente il film in due parti e questa cesura si sente e stride.
Un film cupo, angosciante, pauroso, abbiamo detto, per tutta la prima parte. Un film che assume toni e caratteristiche dell'horror puro, molto più simile a [Lo squalo che a Jurassic Park. Un film che, a un certo punto, e non richiesto, si trasforma in Godzilla…
Il passaggio è brusco, ci sembra, dopo un lungo e piacevole incubo, di essere entrati nel baraccone di un luna-park, e il film, scampato, fino a quel momento, dall'essere una delle tante "americanate" in circolazione, proprio grazie alle sue atmosfere quasi dark e poco rassicuranti, si trasforma in uno dei tanti prodotti di quel genere, entrando a pieno titolo nel limbo delle occasioni sprecate.
#jurassic park#jurassick park 2#the lost world#jurassic series#jurassic world chaos theory#jurassic world camp cretaceous#jurassic world: dominion#recensione#movie review#review#recensioni#recensione film
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Il Caso Mattei - L'Intervista
TONINO GUERRA
Il caso Mattei è un film del 1972, diretto da Francesco Rosi e dedicato alla figura di Enrico Mattei, presidente dell'ENI, morto in un incidente aereo il 27 ottobre 1962.
Ha vinto il Grand Prix per il miglior film al 25º Festival di Cannes ex aequo con La classe operaia va in paradiso di Elio Petri.[1] Nello stesso festival Gian Maria Volonté, protagonista di entrambi i film, ebbe una menzione speciale.
Francesco Rosi
Soggetto
Tonino Guerra
, dal libro
L'assassinio di Enrico Mattei
di
Fulvio Bellini
e
Alessandro Previdi
Sceneggiatura
Tito Di Stefano
,
Tonino Guerra
,
Nerio Minuzzo
,
Francesco Rosi
,
Fulvio Bellini
(non accreditato),
Alessandro Previdi
(non accreditato)
Produttore
Franco Cristaldi
Fernando Ghia
Casa di produzione
Vides
Distribuzione
in italiano
CIC
Fotografia
Pasqualino De Santis
Montaggio
Ruggero Mastroianni
Musiche
Piero Piccioni
Scenografia
Andrea Crisanti
Interpreti
e
personaggi
Gian Maria Volonté: Enrico Mattei
Luigi Squarzina: il giornalista liberale
Gianfranco Ombuen: ingegner Ferrari
Edda Ferronao: signora Mattei
Accursio Di Leo: personalità siciliana
Furio Colombo: assistente di Mattei
Peter Baldwin: Mc Hale
Aldo Barberito: Mauro De Mauro
Alessio Baume: giornalista del "Time"
Arrigo Benedetti: sé stesso
Sennuccio Benelli: giornalista
Luciano Colitti: Irnerio Bertuzzi
Terenzio Cordova: funzionario di polizia
Umberto D'Arrò: giornalista
Thyraud De Vosjoli: sé stesso
Vittorio Fanfoni: giornalista
Gianni Farneti: giornalista
Felice Fulchignoni: personalità siciliana
Franco Graziosi: Ministro delle partecipazioni statali
Elio Jotta: gen. commissione d'inchiesta
Salvo Licata: giornalista
Giuseppe Lo Presti: personalità siciliana
Andrea Artoni: controllore di volo (sé stesso)
Dario Michaelis: ufficiale dei carabinieri
Camillo Milli: giornalista in televisione
Blaise Morrissey: petroliere americano
Michele Pantaleone: sé stesso
Ferruccio Parri: sé stesso (immagini di repertorio)
Renato Romano: giornalista
Francesco Rosi: sé stesso
Giuseppe Rosselli: giornalista
Jean Rougeul: funzionario americano
Ugo Zatterin: sé stesso
Edy Biagetti: guardia del corpo di Mattei
Doppiatori originali
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Il piano va testato chiedendo ai manager: “Quali collaboratori avete messo al lavoro su questo progetto oggi?” Il manager che vi risponde (come fanno quasi tutti): “Oggi non posso metterci nessuno. Prima devono finire quello che stanno facendo”, ammette in pratica di non avere un piano. Peter F. Drucker
Prima o poi dovevo anche citare il papà del moderno management e l’ho voluto fare su un back to basic. Il piano, o meglio la capacità di pianificare.
Sempre più spesso si decide, si pianifica, ci si mette all’opera, salvo poi fallire miseramente. Il motivo è molto semplice: una cosa è avere un piano, una cosa è seguire un piano, o meglio, essere in grado di dominare il piano agendo per gestire gli scostamenti dallo stesso un piano ogni volta che si rende necessario (diciamo però che un piano bellissimo che cambia giornalmente per gestire gli scostamenti non è che vada benissimo) .
Spesso i piani che vedo sono semplici “wishful thinking” dove in realtà già all’inizio si dice oggi facciamo in modo diverso, recuperiamo domani.
Ho visto piani di migliaia di righe fallire nel modo più misero.
Non fraintendetemi. Pianificare è essenziale e pianificare al dettaglio è anche importante perché questo dimostra di sapere di cosa si parla, ma è importante creare le condizioni affinché i piani siano veritieri e seguiti, altrimenti si scade nell’esercizio di stile.
La frase di Drucker può essere letta a vari livelli, ma il livello di base spesso è sufficiente. Volete capire la qualità di un progetto o di un manager? Chiedetegli il piano del giorno e poi andate a controllare.
Detto tra noi, purtroppo spesso io non arrivo neppure a poter controllare dato che sono i piani a mancare…
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Fist Bump 101: The Handshake
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Hockey Down Under - Life as an AIHL import
The life of an expat playing in the Australian Ice Hockey League (AIHL) can be pretty fun but it is not always easy. Every northern hemisphere summer a handful of North American minor leaguers and a few players from lower tier European leagues head to leagues like the AIHL and the neighboring...
Via: http://thehockeywriters.com/hockey-down-under-life-as-an-aihl-import/
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Marvel Announces New Spider-Man Comic Based on Spider-Man Attraction
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Let me just repeat that: Marvel Comics has announced a new Spider-Man comic based on the new Spider-Man attraction coming to Disney California Adventure’s Avengers Campus.
W.E.B. of Spider-Man, from writer Kevin Shinick and artist Roberto Di Salvo with a cover by Gurihiru, is a five-issue miniseries that aims to bring Peter Parker back to his science roots. Tony Stark has created a new scientific research station for teenage super heroes and Spidey has been asked to join. I’m sure everything will work out just fine.
(Image via Marvel Comics - Cover of W.E.B. of Spider-Man by Gurihiru)
#spider-man#w.e.b. of spider-man#web of spider-man#peter parker#marvel comics#kevin shinick#roberto di salvo#gurihiru#tony stark#iron man#avengers campus#TGCLiz
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Guillaume Dufay (1397 — 1474) Dona gentile. Rondeau [Chansonnier cordiforme, Chansonnier de Jean de Montchenu (ca. 1475) F-Pn Rothschild 2973, fol. 2v. Bibliothèque nationale de France, Département des Manuscrits]
Dona gentile, bella come l'oro Che sopra le altre portate corona Come per l'universo si razona, Datime secorso stella, che moro.
Che più non stago in questo purgatorio Tranquillato en ver di me fortuna
Lasso ja sono di tale martoro, Che vivere non posso salvo en una. Qui mi trovo com voy, clara luna, Per sempre servire quella c'adoro.
- Guillaume Dufay: Complete Secular Music The Medieval Ensemble of London. Peter Davies & Timothy Davies (1981, L'Oiseau-Lyre – D237D6)
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Caso Open, se chatti con un deputato puoi sperare di farla franca. Grazie Matteo! di Peter Gomez Oggi la nostra solidarietà va tutta a quelle decine di migliaia di criminali che negli ultimi anni sono stati condannati per spaccio, truffa, stalking, estorsione e molti altri reati solo perché nel loro telefono cellulare o in quello dei loro clienti o delle loro vittime erano stati trovati scambi di messaggi o chat compromettenti. Immaginiamo la loro rabbia nello scoprire che secondo la maggioranza del Senato i testi delle conversazioni via Whatsapp vanno considerati al pari di uno scambio di corrispondenza e che quindi, ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione, in assenza di un’autorizzazione preventiva delle Camere non possono essere sequestrati, nemmeno se si trovano nello smartphone di un non parlamentare. Finora secondo la “giurisprudenza consolidata” in più sentenze della Corte di Cassazione se si sequestrava un telefonino a un indagato o a un testimone tutto quello che c’era dentro andava considerato come semplice documentazione. Non era cioè necessario che un giudice avesse autorizzato un’intercettazione informatica o un sequestro di corrispondenza per leggerne il contenuto e acquisirlo agli atti. I magistrati di terzo grado avevano spiegato che le norme che regolano la segretezza della corrispondenza valgono solo se un pm decide di far aprire le lettere intervenendo sul postino prima della consegna o se vuole leggere una chat in tempo reale. Dopo invece valgono le regole che disciplinano le perquisizioni: quello che trovi, trovi. Oggi, almeno per i parlamentari, tutto rischia di cambiare. Matteo Renzi ha chiesto e ottenuto dai suoi colleghi del Senato l’apertura di un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale perché i giudici stabiliscano che le chat restino coperte da segreto, salvo che le Camere in via preventiva non abbiano dato un’autorizzazione. Se la Consulta accetterà questa tesi ci troveremo di fronte a due risultati ingiusti e paradossali. Il primo riguarda l’impossibilità di acquisire qualsiasi messaggio Whastapp inviato da un eletto in Parlamento a una terza persona. Infatti anche se la perquisizione del terzo sarà eseguita con tutti i crismi previsti dalla legge ne mancherà sempre uno: l’autorizzazione ex ante della Camera di appartenenza. Che ovviamente non può essere richiesta se non si sa anticipo cosa c’è nel telefonino del terzo. La seconda conseguenza paradossale è che se un criminale conversa via chat con un deputato o un senatore avrà un vantaggio rispetto ai suoi colleghi delinquenti che non hanno relazioni di questo tipo. Senza l’autorizzazione preventiva delle Camere i testi delle sue conversazioni non potranno essere utilizzati nemmeno contro di lui. Da questo punto di vista è facile prevedere che molti di loro si attrezzeranno per trovare numeri di telefono di parlamentari per poi inviare loro messaggi a caso. Basterà che un eletto risponda “Chi sei?” per sperare di farla franca. Ovviamente tutti i senatori, dal Pd fino al centrodestra, che ieri hanno votato per sollevare il conflitto di attribuzione queste cose le sanno. Anche perché non è mancato chi le ha ricordate in aula. Ma la logica ha poco a che fare con lo spirito di autoconservazione di quella che un tempo molti avevano ancora la forza di definire “Casta”. Così, ora, dichiarandoci sconfitti, ci sentiamo in dovere anche noi di approfittare della situazione e di tifare perché la Corte costituzionale dia ragione a Renzi. Se così sarà anche i nostri telefonini, pieni zeppi di messaggi con gli eletti, diventeranno da un giorno all’altro non sequestrabili. Grazie Matteo.
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"I bambini sono di sinistra. Di sinistra, sì, nessun dubbio. Non soltanto per i pugnetti stretti in segno di protesta. I bambini sono di sinistra perché amano senza preconcetti, senza distinzioni. I bambini sono di sinistra perché si fanno fregare quasi sempre. Ti guardano, cacci delle balle vergognose e loro le bevono, tutti contenti. Sorridono, si fidano. Bicamerale! Sì, dai! I bambini sono di sinistra perché stanno insieme, fanno insieme, litigano insieme. Insieme, però. I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos'è la destra piangono. I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos'è la sinistra piangono lo stesso, ma un po' meno. I bambini sono di sinistra perché a loro non serve il superfluo. Sono di sinistra perché le scarpe sono scarpe, anche se prima o poi delle belle Nike o Adidas o Puma, o Reebok, o Superga gliele compreremo. Noi siamo No-Logo, ma di marca! I bambini sono di sinistra malgrado l'ora di religione obbligatoria. I bambini sono di sinistra grazie all'ora di religione obbligatoria. I bambini sono di sinistra perché comunque, qualsiasi cosa tu gli dica che assomigli vagamente a un ordine, fanno resistenza. Ora e sempre! I bambini sono di sinistra perché occupano tutti gli spazi della nostra vita. I bambini sono di sinistra perché fanno i girotondi da tempi non sospetti. I bambini sono di sinistra perché vanno all'asilo con bambini africani, cinesi o boliviani, e quando il papà gli dice "vedi, quello lì è africano", loro lo guardano come si guarda una notizia senza significato. I bambini sono di sinistra perché quando si commuovono piangono, mentre noi adulti teniamo duro, non si sa bene perché. I bambini sono di sinistra perché se li critichiamo si offendono. Ma se li giudichiamo non invocano il legittimo sospetto, e se li condanniamo aspettano sereni l'indulto che prima o poi arriva: la mamma, Ciampi, il Papa. I bambini sono di sinistra perché si fanno un'idea del mondo che nulla ha a che fare con le regole del mondo. I bambini sono di sinistra perché se gli metti lì un maglioncino rosso e un maglioncino nero scelgono il rosso, salvo turbe gravi - daltonismo o suggerimento di chi fa il sondaggio. I bambini sono di sinistra perché Babbo Natale somiglia a Karl Marx. Perché Cenerentola è di sinistra, perché Pocahontas è di sinistra. Perché Robin Hood è di Avanguardia Operaia e fa gli espropri proprietari. I bambini sono di sinistra perché hanno orrore dell'orrore. Perché di fronte alla povertà, alla violenza, alla sofferenza, soffrono. I bambini sono di sinistra perché il casino è un bel casino e perché l'ordine non si sa cos'è. I bambini sono di sinistra perché crescono e cambiano. I bambini sono di sinistra perché tra Peter Pan e Che Guevara prima o poi troveranno il nesso. I bambini sono di sinistra perché, se ce la fanno, conservano qualcosa per dopo. Per quanto diventa più difficile, difficilissimo, ricordare di essere stati bambini. Di sinistra, poi..." (Claudio Bisio)
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Madame Web: un cinecomic orgogliosamente vecchio stile
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Cosa ci si apetta al giorno d’oggi da un cinecomic? E’ con questa domanda in mente che mi sono avvicinata alla visione di Madame Web, il nuovo film Sony appartenente all'universo di Spider-Man, con protagonista Dakota Johnson nei panni dell'eroina del titolo, creata da da Dennis O'Neil e John Romita Jr., di cui ci viene raccontata la Origin Story. Quali dovrebbero essere le aspettative verso un genere che in questo momento sembra essere di difficoltà, tra le serializzazioni Marvel che hanno amliato ancora di più il suo universo e una DC in ripartenza, con alcune delle sue incarnazioni rivisitate in una chiave più matura, Joker o The Batman, si è aperta una nuova via possibile e forse aspicabile visto che il genere sembra risentire al momento della lunga strada fatta. E’ in questo scenario che Madame Web sceglie un’ulteriore via diversa, guardando al passato non solo come tempo di ambientazione ma anche come stile. Risultando un cinecomic orgogliosamente d'altri tempi.
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La storia di Madame Web si apre infatti in Perù nel 1973, seguendo una spedizione impegnata nella ricerca di una specie di ragno il cui veleno sembra avere proprietà curative, facendoci conoscere la madre della protagonista Cassie. Un breve prologo dopo il quale ci aspetta un salto di trent'anni in avanti, a quando Cassandra Webb è un paramedico che vive e lavora a Manhattan, che ha superato le difficoltà di una crescita da orfana, ma sta per affrontarne altre imprevedibili e incomprensibili: Infatti inizia ad avere strane e inquietanti visioni che sembrano anticipare ciò che sta per avvenire. Dopo l’iniziale disorientamento, Cassie capisce che questa forme di previsioni può consentirle di intervenire e cambiare lo stato delle cose, riesce in questo modo a salvare tre ragazze dall'aggressione di un enigmatico individuo che sembra dotato di pericolose abilità fuori dal comune. Per la donna e le tre ragazze, quindi, inizia una fuga che richiederà la comprensione e accettazione del peculiare potere premonitore di Cassie per potersi mettere in salvo e condurre le tre giovani donne al promettente futuro che le attende.
Da grandi poteri...
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... derivano grandi responsabilità. Lo sappiamo, ed è un concetto consolidato dello stesso universo narrativo in cui ci muoviamo, quello di Peter Parker e Spider-Man. Ma Madame Web ne ribalta l'idea di base, portando avanti lo spunto interessante che sia necessario accettare le proprio responsabilità per poter sviluppare e dar forza ai propri poteri. È su questo presupposto che viene costruito il personaggio interpretato da Dakota Johnson, che non è sembrata il principale punto di forza del film. Funzionano meglio, anche se tra alti e bassi, le tre ragazze che il suo personaggio si trova a salvare e guidare nella lotta contro l'antagonista della pellicola: è infatti l'alchimia creatasi tra Sydney Sweeney, Isabela Merced e Celeste O'Connor a fungere da principale motore narrativo di Madame Web, costruendo qualcosa che, almeno sembrava essere nelle intenzioni iniziali, sarebbe potuto essere il futuro di questo ramo dell'universo di Spider-Man in casa Sony.
Madame Web parte facendoci conoscere questi nuovi personaggi. Ed è infatti un film che preferisce mettere al centro il dialogo piuttosto che l'azione pura e semplice, le dinamiche tra le protagoniste piuttosto che estenuanti combattimenti che abusano di effetti e CGI, in maniera coerente con il super potere della sua protagonista che è più mentale che fisico. Un approccio molto interessante nelle sue intenzioni, seppur non del tutto riuscito a causa di una certa mancanza di alcuni guizzi nella costruzione della messa in scena e per qualche particolare passaggio dell’intreccio narrativo forse troppo forzati per essere credibili e mantenere quindi la tenere la tensione e il coinvolgimento di chi guarda.
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La regista S. J. Clarkson di certo non pretende di inventare nulla, e guarda al passato ammantando il film di un alone d'altri tempi, orgogliosamente e consapevolmente, valorizzando le sensazioni evocate dall'ambientazione dei primi anni 2000, tra insegne di Blockbuster, musica del periodo e dettagli che chi ha vissuto in quegli anni saprà riconoscere. Così come sono chiari ed evidenti le strizzate d'occhio al mondo di Peter Parker e Spider-man, tra ragnatele e altri easter egg. Dettagli che giocano col pubblico per intrattenerlo senza impegno e senza che ci siano necessariamente sviluppi e ripercussioni in titoli futuri. E quindi, per rispondere alla domanda posta in apertura, se è questo che ci aspettiamo da un cinecomic, un film come Madame Web ha il suo scopo e la sua dignità di puro, semplice e orgoglioso intrattenimento. Nulla più, nulla meno.
Conclusioni
Madame Web è un film che ha evidenti problemi, ma che ha cercato di fare qualcosa di diverso nell’ambito del panorama dei cinecomic contemporaneo, guardando al passato e provando a lavorare sui personaggi e le dinamiche tra loro piuttosto che sull’azione pura e semplice. Se da una parte la protagonista Dakota Johnson funziona meno bene delle tre comprimarie Sydney Sweeney, Isabela Merced e Celeste O’Connor, dall’altra il contesto degli anni 2000 in cui ci si muove, tra canzoni e dettagli ambientali, rappresenta un valore aggiunto per chi nutre nostalgia per quegli anni.
Perché ci piace
- Il tentativo di fare qualcosa di diverso dalle tendenze dei cinecomic contemporanei, con un consapevole sguardo al passato.
- L’ambientazione dei primi anni 2000, valore aggiunto per chi ha nostalgia di quegli anni.
- L’equilibrio più spostato verso le dinamiche tra personaggi che verso l’action vera e propria.
Cosa non va
- Dakota Johnson, meno efficace delle tre comprimarie.
- Alcune forzature nello sviluppo.
- Il sapore da cinecomic vecchio stile, pur voluto, forse potrebbe non incontrare il gusto di chi pretende di più dal genere.
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Under Capricorn (Alfred Hitchcock, 1949)
Antaño reputada una de las mejores películas de Hitchcock —la que Cahiers du Cinéma incluye en 1958 entre las doce más importantes de la Historia del Cine— y una de las más citadas. Under capricorn (1949) es hoy una película olvidada hasta por los más entusiastas hitchcockianos. El propio Hitchcock —sin duda el cineasta que más trabajo ha ahorrado a sus detractores, y no, como su más directo competidor en este sentido, Jean-Luc Godard, por afán de provocar, sino por una autoexigencia y un sentido crítico realmente excesivos— se ocupó de enfriar el entusiasmo que Truffaut —como Rohmer, Chabrol, Rivette y tantos otros— sentía por el film antes de su célebre entrevista.
Hay que reconocer, aunque sólo sea por una vez, que el autor se acercó más a la verdad que sus admiradores, que fue mejor crítico que los críticos más sensibles de la época, y que Under Capricorn es uno de los honrosos fracasos que puntúan la carrera de Hitchcock entre 1941 y 1956 —como Recuerda, El proceso Paradine o Yo confieso, por ejemplo—, films ambiciosos y a menudo audaces, con secuencias magistrales o conmovedoras, pero fallidos, menos satisfactorios en conjunto que otros más modestos, decididamente «menores» incluso —como Pánico en la escena—, pero más conseguidos, a su nivel, menos perjudicados por ciertos errores que malogran obras que pudieron o debieron ser magníficas.
El primer obstáculo que el propio Hitchcock interpuso al éxito de Atormentada es un guión excesivamente difuso e inseguro a partir de un argumento que sin duda encerraba posibilidades y no carente de atractivo —un poco en la línea de Cumbres borrascosas, y por tanto de Rebeca, con algunos elementos de Gaslight (Luz que agoniza, 1944) de Cukor, entre ellos la actriz principal—, que enlaza —si no las recuerda mal— con The Ring, Downhill (1927) y The Manxman (1929), además de los otros dos films en que dirigió a Ingrid Bergman, y anuncia I confess (1953), Hitchcock y sus colaboradores parecen haber sido incapaces de concentrar la acción suficientemente y de exponerla con la necesaria fuerza dramática. Los personajes permanecen demasiado tiempo envueltos en la confusión, sujetos a voluntades ajenas de inexplicable poderío o víctimas de malentendidos que nadie intenta aclarar, por lo que Lady Henrietta Considine (Ingrid Bergman, más bella cuando está enferma que cuando recobra la salud y el juicio) parece demasiado crédula y pasiva. Sam Flusky (Joseph Cotten) un marido excesivamente tosco y derrotista, el ama de llaves Milly (Margaret Leighton) una grotesca encarnación de la maldad gratuita y Charles Adare (Michael Wilding) un estúpido petimetre sin gracia ni inteligencia que puedan hacerle digno de la función que el guión le asigna.
El segundo error, mayúsculo, no hace sino agravar el primero: la elección de actores —salvo Ingrid Bergman, por supuesto, y tal vez Margaret Leighton, aunque ésta intente en exceso emular a Judith Anderson en Rebeca, sin resultar ni la mitad de amenazadora— es singularmente desafortunada: ni Joseph Cotten —demasiado soso y bovino, merece que las cosas le salgan mal, como en El cuarto mandamiento, Duelo al sol, Niágara, El último atardecer— ni Michael Wilding —débil y superficial, gesticulando como ningún otro intérprete de Hitchcock, sin asomo del humor de que hace gala en Pánico en la escena (1949)— dan la talla necesaria para hacer creíbles y emocionantes a dos personajes de melodrama como los que les ha tocado encarnar, y que hubieran requerido el talento, la ambigüedad y la presencia de, respectivamente, James Mason —pienso en su actuación en The Reckless Moment de Max Ophuls— y Cary Grant —en la línea de pícaro vago que tan brillantemente reveló en Sospecha (1941), con un poco de la dureza cruel que Hitch supo extraer de él en Encadenados (1946) para las escenas en que el personaje de Adare anuncia el de Sean Connery en Marnie (1964)—, por ejemplo.
Tercera equivocación, causa probable de la primera: la desmedida afición de Hitchcock —tal vez producto de culpables lecturas juveniles y de su formación en los jesuitas, primero, y en el cine mudo, después— al melodrama victoriano de amores imposibles entre aristócratas y mozos de cuadra, que sin duda le impulsó, consciente de que tales conflictos se habían hecho anacrónicos, a abordar —por tercera, si no me equivoco, y desde luego última vez en su carrera— algo que le pega tan poco como el «film de época». No es que Hitchcock afloje el ritmo narrativo en aras de una amorosa recreación del ambiente decimonónico o preste excesiva atención al decorado y el vestuario, pero situar la acción de un film de «suspense» en 1831 no contribuye a acercarnos a unos personajes que además de vivir en Australia, eran de por sí bastante inverosímiles sobre el papel, sin que los actores logren hacérnoslos más próximos o comprensibles.
Estos tres fallos imposibilitarían ya, de entrada, la identificación del espectador con cualquiera de los protagonistas del drama que parece no sólo una de las características del cine hitchcockiano sino un requisito casi indispensable para que se produzca esa forma de tensión que se ha dado en llamar «suspense». Por si fuera poco, Hitchcock se dejó llevar de su entusiasmo por el plano-secuencia, con el que acababa de experimentar en Rope (1948), y cometió un cuarto error, tal vez el más inexplicable e imperdonable de los que impiden que Under Capricorn llegue a ser la gran película que pudo ser y a ratos es: subordinó los movimientos —o la absurda falta de ellos— de los actores a los —con frecuencia prodigiosos, hasta sublimes en sí mismos— de la cámara, con lo que a menudo echamos de menos a un personaje, que está en la escena pero fuera de cuadro, cuyas reacciones desearíamos conocer, y cuya ausencia sólo sirve para que Hitchcock no tenga que interrumpir el largo plano que está haciendo con un contraplano. Triste ejemplo —único en la obra de Hitchcock— de lo que sucede cuando los medios se convierten en un fin y, por ello, no conducen a nada.
Pero si la maestría, la autoexigencia y la lucidez habituales en Hitchcock incitan a la severidad y no invitan a la indulgencia ante la decepción, sería también injusto no señalar más que los defectos de un film en el que están inextricablemente unidos a otros tantos aciertos.
Resulta, así, que cuando la cámara se cierne implacablemente —durante seis u ocho minutos— sobre el rostro angustiado de Ingrid Bergman para acosarla hasta extraer de ella una penosa confesión, nada importa que se nos oculte forzadamente a Michael Wilding— que nos tiene sin cuidado, a fin de cuentas—, y sí que se roce la intensidad y el impudor con que Rossellini sondeó la mirada de esa misma actriz en Stromboli, terra di Dio (1949), Europa' 51 (1952), Viaggio in Italia (1953) y Die Angst/La paura/Non credo piú all'amore (1954); que la primera aparición de Lady Henrietta —pálida, ajada, descalza, con algo de cadáver recién exhumado— es escalofriante; que a veces nos creemos efectivamente transportados a un mundo de amor fou y pasiones reprimidas digno de Emily Brontë o el George Du Maurier de Peter Ibbetson y Trilby, como cuando Hitchcock se decide, por fin, a poner todas sus cartas sobre el tapete y nos arrastra con sus personajes en un furioso torbellino de confesiones, mentiras, sacrificios y celos asesinos que hace, durante los quince o veinte minutos finales, que por fin nos creamos unos amores que hasta entonces no existían más que en la mente de los autores o en las páginas del guión, pero que ahora, en virtud de la fuerza misma de la narración, llevada a un ritmo vertiginoso y sepultada definitivamente en las arenas movedizas de la paradoja, se nos antojan evidentes... qué digo evidentes, ¡ardientes!
Miguel Marías
Dirigido por 76 (Octubre 1980)
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Para quien piensa, como yo, que Alfred Hitchcock es (como cineasta, no me refiero al individuo así llamado en la vida real; por eso empleo el presente) uno de los grandes románticos, Under Capricorn ha de ser, por fuerza, una de sus películas más características y logradas; lo cierto es que nunca —ni en su estreno ni en reposiciones ulteriores— ha tenido éxito, pero en los últimos tiempos no goza siquiera del prestigio que tuvo en los años 50 entre los entonces muy contados, todavía incipientes, defensores del cineasta, considerados por lo general como unos locos (Truffaut, Rohmer, Chabrol, Rivette, Godard, Resnais eran sus nombres).
Cierto es que por entonces Hitchcock no había realizado su asombrosa serie de obras maestras consecutivas (desde Rear Window en 1954 hasta... ahí cada cual tiene su criterio: para unos, la "racha" termina con Psycho, otros la prolongan una, dos, tres, hasta cuatro películas más), y por tanto estaba por hacer alguna de las mejores, pero creo que, más que eso, lo que sucede es que quienes han visto Under Capricorn muerto Hitchcock tienen una imagen de su obra más cerrada que quienes la pudieron contemplar antes de su periodo Paramount y su periodo Universal. En 1949 Hitchcock tenía no muy lejanas varias películas "de época", sin ir más lejos la fallida Jamaica Inn (1939), mientras que para 1976 (la fecha de su último largometraje, Family Plot) había descartado por completo tal tentación desde hacía casi treinta años, es decir, desde Under Capricorn precisamente... escarmentado por su fracaso.
El caso es que en 1949 Under Capricorn era una película algo insólita, inusual, en la filmografía hitchcockiana; hoy parece una absoluta rareza, al menos para el que desconozca su etapa muda, y por tanto ignore que sus primeras películas no tenían nada de policiacas, ni siquiera crímenes o culpables (falsos o verdaderos), sino que eran, puestos a ubicarlas en algún género, melodramas, historias de amor, de pasión y celos, de deseo frustrado y obstinado. Por tanto, Under Capricorn representa algo así como un retorno a los orígenes, una última tentativa de casi prescindir del marco, el contexto o el ingrediente, como se quiera llamar, policiaco-criminal, es decir, el nicho genérico del thriller en el que había descubierto, casi por casualidad, la fórmula mágica, la receta del éxito, la clave de su supervivencia como autor cinematográfico. He tratado de mostrar esa raíz y su evolución en términos de lo que ha venido a llamarse suspense en el artículo más largo que he escrito en mi vida acerca de Hitchcock, incluido en un volumen colectivo publicado por la Fundación Municipal de Oviedo en 1989 y que supongo será hoy inencontrable. No puedo, pues, ni tratar de sintetizarlo aquí, pero Under Capricorn es, junto con Vertigo y Marnie, la última gran historia de amor (aunque, marginalmente, también lo sean North by Northwest y Topaz) que logró llevar Hitchcock a la pantalla sin apenas disimuladoras apoyaturas externas, es decir con una intriga de misterio menos importante que la afectiva.
Under Capricorn es la incursión más profunda (y ambigua o ambivalente) de Hitchcock en la figura del triángulo (y en eso prolonga su anterior película con Ingrid Bergman, Notorious), jugando con las apariencias en el enfrentamiento entre el rudo y rústico Joseph Cotten y el refinado y educado Michael Wilding. Contiene uno de los mayores "sustos" de toda su filmografía, y no faltan tensiones psicológicas ni elementos macabros, que sería injusto mencionar ante quien no la haya visto, pero el suspense básico es de carácter predominantemente amoroso, sentimental. Quizá sea la obra de Hitchcock más emparentable con el melodrama, y no faltan puntos de contacto con uno de los últimos rodados en Alemania por Detlef Sierck (más conocido como Douglas Sirk), también situado, curiosamente, en Australia, Zu neuen Ufern (1937).
La idea de una nueva vida —a veces una nueva personalidad, un nombre cambiado— en los antípodas implica siempre un pasado latente, que se trata de olvidar o, al menos, ocultar a los demás, pero que, como todo lo reprimido, pugna por reflotar a la superficie o corre el riesgo de ser deliberada o involuntariamente revelado. Esta tensión entre presente y pasado, entre traumas y deseo de felicidad, entre protección y libertad, es la clave de la variante del suspense que rige la dramaturgia y la narración en Under Capricorn, también experiencia o experimento final de Alfred Hitchcock en el terreno de los planos de larga duración con complicados movimientos de cámara, que yo tiendo a interpretar como un rebrote de su admiración por el Murnau mudo reactivado por los planos-secuencia de las primeras películas de Orson Welles (1941-1942) y otras dos que seguramente contempló con fascinación y algo de envidia quizá, Laura (1944) de Otto Preminger y Letter From An Unknown Woman (1948) de Max Ophuls. El primer ensayo fue, evidentemente, Notorious; el segundo, Rope; el tercero, Under Capricorn. Ni que decir tiene que su sistema habitual de fragmentación del espacio y el tiempo en multitud de planos breves aplicando el desarrollo hitchcockiano del "efecto Kuleshov" es más adecuado para el cine de intriga, misterio y suspense generalmente practicado por Hitchcock, mientras que el movimiento fluido y continuo de la cámara, a menudo independizado de la acción (que a veces sigue pero otras anticipa, desplazándose la mirada del cineasta en forma aparentemente arbitraria, pero reveladora de un conocimiento casi "divino" de lo que va a suceder) parece más apropiado para un melodrama en el que se debaten cuestiones como el destino, los impulsos irresistibles, la voluntad y el libre albedrío. El uso del color, que Hitchcock abordaba por segunda vez, revela igualmente su cara oculta de gran amante de la pintura, y sienta las bases de su ulterior y complejo empleo de los códigos cromáticos como vehículo subliminal de comunicación.
No es raro, pues, que los futuros cineastas que encabezaron la reivindicación de Hitchcock como algo más que un excelente técnico y un prodigioso artífice de ficciones escasamente preocupadas por la verosimilitud naturalista de lo narrado —lo que, en términos elogiosos pero algo peyorativos, resumía la fórmula "mago del suspense"—, como Rohmer y Chabrol, desde luego, pero también Truffaut, Godard o Rivette, encontraran en Under Capricorn una de sus piezas de convicción más impresionantes, ni que esta película haya ejercido notable influencia en sus obras posteriores (Jules et Jim, L'Histoire d'Adèle H. o Les Deux Anglaises et le Continent en la de Truffaut, La Femme infidèle o Juste avant la nuit en la de Chabrol, L’Anglaise et le Duc o Die Marquise von O... en la de Rohmer).
Miguel Marías
En “El universo de Alfred Hitchcock”. Editado por Notorius en 2006.
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I 90 anni di un grande regista: Giuliano Montaldo
Potete vederlo, il grande vecchio, al suo debutto cinematografico come attore in Achtung! Banditi!, di Carlo Lizzani, alla tenera età di 21 anni. Eh sì, perché Giuliano Montaldo ha festeggiato 90 primavere il 22 febbraio di quest’anno. Proseguì la carriera come sacerdote in La cieca di Sorrento; ancora con Lizzani in Ai margini della metropoli e Cronache di poveri amanti; Il momento più bello (1957) di Luciano Emmer; Gli sbandati (1955) di Francesco Maselli e L’assassino (1961) di Elio Petri. Come aiuto-regista collaborò anche con Gillo Pontecorvo.
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Il 1961 fu l’anno dell’esordio alla regia con Tiro al piccione (in questo video alcuni minuti del film), tratto dal libro di Giose Romanelli. Nel settembre del 2019, a più di cinquant’anni, il film è stato proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia in versione restaurata. “Fu massacrato dalla critica” racconta l’autore “più per prese di posizione politiche che per demeriti artistici. Certo è che io ci rimasi proprio male. Ero giovane ed esordiente ma venivo da esperienze formative molto forti con Lizzani e Petri. Evidentemente, anche se eravamo ormai nei primi anni sessanta, ancora non era il momento per trattare argomenti come la Repubblica di Salò. La mia reazione fu quella di dire: Mollo tutto e torno a Genova a lavorare al porto”.
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Fortunatamente per noi non lo fece e rimase fedele al cinema con Una bella grinta (del 1965 con Renato Salvatori e lo stesso Montaldo), storia quanto mai attuale di un piccolo imprenditore ambizioso che pur di raggiungere il successo non si fa scrupoli morali o sentimentali.
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Del 1967 è Ad ogni costo, film divertente di atmosfera hollywoodiana, diverso dal Montaldo cui siamo più abituati. Un rocambolesco furto di gioielli con un cast d’eccezione: Edward J. Robinson, Janet Leigh, Klaus Kinski, Riccardo Cucciolla, Adolfo Celi.
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Una variazione sul tema ne Gli intoccabili (1969), con Peter Falk, John Cassavetes, Gabriele Ferzetti, Salvo Randone, Florinda Bolkan, Luigi Pistilli: una rapina in un casinò con complicazioni mafiose. Inizia qui la sua collaborazione, praticamente ininterrotta, con Ennio Morricone.
Nel 1970 il regista ci offre il primo capolavoro della cosiddetta ‘Trilogia del potere’, Gott mit Uns (ovvero, il potere militare), che narra una storia realmente accaduta: il processo sommario seguito da condanna a morte per due disertori della Wehrmacht, nonostante la guerra fosse finita da cinque giorni.
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Il secondo capitolo sarà Sacco e Vanzetti (1971), sul potere giudiziario, il terzo Giordano Bruno (magnifica la fotografia di Vittorio Storaro), sul potere religioso, entrambi con uno strepitoso Gian Maria Volonté.
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In questo video (le cui immagini in parte sono tratte dal film, in parte sono foto d’epoca di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti) Joan Baez (autrice del testo della canzone) interpreta Here’s to You, Nicola and Bart di Morricone. Qui potete ascoltare il brano in un concerto diretto dal maestro a Venezia nel 2007.
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Due curiosità: Tatti Sanguineti, in un documentario su Volonté, fa notare che nella scena dell’arringa, mentre il carrello della cinepresa si allontana, l’immagine si allarga fino a inquadrare la guardia alla quale scende una lacrima: una scena talmente realistica e toccante da commuovere anche gli attori stessi. Inoltre, questo è l’unico film in cui Volonté poté recitare nel suo dialetto natìo, il piemontese. Su questo film e sul tema della pena di morte vi consigliamo anche La morte legale: Giuliano Montaldo racconta la genesi del film Sacco e Vanzetti (prestabile nelle biblioteche dal primo febbraio 2021).
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Ancora un tema forte, la lotta partigiana, per L’Agnese va a morire (1973): perdoniamo alla licenza creativa del regista di aver scelto una donna affascinante come Ingrid Thulin per interpretare la parte della protagonista che, nel libro di Renata Viganò, è tutt’altro che avvenente. Un film duro, come tutti quelli della trilogia e come del resto il romanzo stesso. Un cast davvero stellare: Stefano Satta Flores, Flavio Bucci, Michele Placido, Massimo Girotti, Aldo Reggiani, Ninetto Davoli, Johnny Dorelli e una giovanissima Eleonora Giorgi.
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Di nuovo argomenti scottanti ne Gli occhiali d’oro (1987, tratto da Bassani), antisemitismo e omosessualità ai tempi del regime fascista, con Philippe Noiret, Stefania Sandrelli, Rupert Everett, Valeria Golino.
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Da Flaiano Montaldo ha tratto Tempo di uccidere (1989), con Nicolas Cage e Giancarlo Giannini.
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Non possiamo certo esaurire tutta l’attività artistica del maestro (come attore è del 2006 la partecipazione ne Il caimano di Moretti e del 2018 in Tutto quello che vuoi), ricordiamo le regie teatrali (Turandot nel 2017), le due produzioni per la Rai: lo sceneggiato Marco Polo (1982-83) e il film TV del 1978 Circuito chiuso con Flavio Bucci, vagamente ispirato a un racconto di Ray Bradbury. Una curiosità: l’idea meta-cinematografica di un intervento dei personaggi dello schermo nella vita reale è la stessa (le menti grandi pensano le stesse cose!) che troviamo in La rosa purpurea del Cairo, film di Woody Allen del 1985.
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«Montaldo ha lavorato in tutti e cinque i continenti e con i più grandi nomi del panorama internazionale. E questo perché è prima di tutto un grande sperimentatore, un ‘pioniere’ che non ha mai avuto paura di essere il ‘primo’, uscendo molto spesso dagli schemi precostituiti, imboccando strade impervie o trattando temi scomodi e personaggi controversi. Un artista eclettico, che ha fatto della sua arte il suo impegno politico, e dei suoi film, ancora oggi, il migliore manifesto contro l’intolleranza» (dalla quarta di copertina del volume Giuliano Montaldo: una storia italiana).
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Fist Bump 101: The High Five
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THE FUNERAL OF SALVATORE RICCIARDI: Celebrating a friend and comrade, while taking over public space again
WU MING
A final farewell to Salvo, to the songs of Su, communists of the capital! "This rebellious city, never tamed by ruins and bombings…"
Of all the measures taken during this emergency, the ban on funeral services is among the most dehumanizing.
In the name of what idea of "life" have these measures been taken? In the prevailing rhetoric of these past few weeks, life has been reduced almost entirely to the survival of the body, to the detriment of any other dimension of it. In this there is a very strong thanatophobic connotation (from the Greek Thanatos, or death), a morbid fear of dying.
Thanatophobia has permeated our society for decades. Already in 1975, the historian Philippe Ariès, in his landmark History of Death in the West, noted that death, in capitalist societies, had been "domesticated", bureaucratized, partly deritualized and separated as much as possible from the living, in order to "spare [...] society the disturbance and too strong emotion" of dying, and maintain the idea that life "is always happy, or at least must always look like it”.
To this end, he continues, it was strategic "to shift the site where we die. We no longer die at home, among family members, we die at the hospital, alone [...] because it has become inconvenient to die at home". Society, he said, must "realize as little as possible that death has occurred". This is why many rituals related to dying are now considered embarrassing and in a phase of disuse.
Even before the state of emergency we are experiencing, the rituality of dying had been reduced to a minimum. That is why we have always been so impressed by the manifestations of its re-emergence. Think of the worldwide success of a film like The Barbarian Invasions by Denys Arcand.
Forty-five years ago, Ariès wrote: "no one has the strength or patience to wait for weeks for a moment [death, Editor's note] that has lost its meaning". And what does the 2003 Canadian film depict if not a group of people waiting for weeks - in a context of conviviality and re-emerging secular rituality - the passing of a friend?
Eight years ago we undertook, together with many others, to set up an environment of conviviality and secular rituality around a dear friend and companion, Stefano Tassinari, in the weeks leading up to his death and in the ceremonies that followed. Much of our questioning on this subject dates back to that time.
If the rituality linked to dying was already reduced to a minimum, the ban on attending the funeral of a loved one had finally annihilated it.
Back on March 25th we shared a beautiful letter from a parish priest from Reggio, Don Paolo Tondelli, who was dismayed at the scenes he had to witness:
"And so I find myself standing in front of the cemetery, with three children of a widowed mother who died alone at the hospital because the present situation does not allow for the assistance of the sick. They cannot enter the cemetery, the measures adopted do not allow it. So they cry: they couldn't say goodbye to their mother when she gave up living, they can't say goodbye to her even now while she is being buried. We stop at the cemetery gate, in the street, I am bitter and angry inside, I have a strong thought: even a dog is not taken to the grave like this. I think we have exaggerated for a moment in applying the rules in this way, we are witnessing a dehumanization of essential moments in the life of every person; as a Christian, as a citizen I cannot remain silent [...] I say to myself: we are trying to defend life, but we are running the risk of not conserving the mystery that is so closely linked to it".
This "mystery" is not the exclusive prerogative of the Christian faith nor of those possessing a religious sensibility, since it does not necessarily coincide with the belief in the immortal soul or anything else, but something that we all ask ourselves, when we ask, 'what does it mean to live?' 'What distinguishes living from merely moving on or simply not dying?
That said, those who are believers and observers have experienced the suspension of ritual ceremonies - including funeral masses - as an attack on their form of life. It is no coincidence that among the examples of clandestine organization that we have heard about these days, there is the catacombal continuation of Christian public life.
We have direct evidence that in many parishes the faithful continued to attend mass, despite the signs on the doors saying they were suspended. One finds the "hard core" of the parishioners in the refectory of the convent, or in the rectory, or in the sacristy and in some cases in the church. Twenty, thirty people, summoned by word of mouth. In particular last Thursday, for the Missa in coena Domini.
The same can be said of funerals. In this case as well we have direct testimonies of priests who officiated small rites, with close family members, without publicity.
In the past few days, we have identified three types of disobedience to some of the stupidest and most inhumane features of the lock-down.
Individual disobedience
The individual gesture is often invisible but occasionally it is showy, as in the case of that runner on the deserted beach of Pescara, hunted by security guards for no reason that has any epidemiological basis. The video went viral, and had the effect of demonstrating the absurdity of certain rules and their obtuse application.
Continuing to run was, objectively and in its outcome, a very effective performance, an action of resistance and "conflictual theatre". Continuing to run distinguishes qualitatively that episode from the many others which offer "only" further evidence of repression. As Luigi Chiarella "Yamunin" wrote, the video brings to mind,
"a passage from Crowds and Power by Elias Canetti on grasping, which is indeed a gesture of the hand but also and above all is 'the decisive act of power where it manifests itself in the most evident way, from the most remote times, among animals and among men'. Later, he adds - and here comes the part pertinent to the episode of the runner - that 'there is nevertheless a second powerful gesture, certainly no less essential even if not so radiant. Sometimes one forgets, under the grandiose impression aroused by grasping, the existence of a parallel and almost equally important action: not letting oneself be grasped". The video [...] reminded me how powerful and liberating it is not to let yourself be caught. Then I don't forget that if you run away you do it to come back with new weapons, but in the meantime you must not let yourself be grabbed."
Clandestine group disobedience
These are the practices of the parishioners who organize themselves to go to mass on the sly, of the family members of a dearly departed person who agree with the parish priest to officiate a funeral rite... but also of the groups who continue in one way or another to hold meetings, of the bands who continue to rehearse, and of the parents who organize themselves together with a teacher to retrieve their children's school books. It's an episode that happened in a city in Emilia, which we recounted a few days ago.
In order to retrieve the books from a first grade school that had been left at school for the last month, a teacher came to the school, took the books out hidden in a shopping cart, and entrusted them to two parents who live near a baker and a convenience store respectively, so that the other parents could go and pick them up with the "cover" of buying groceries, avoiding possible fines. The books were given to the individual parents by lowering them with a rope from a small balcony and stuffed into shopping bags or between loaves of bread, as if they were hand grenades for the Resistance. In this way those children will at least be able to follow the program on the book with the teacher in tele-education, and the parents will be able to have support for the inevitable homeschooling.
After a phase of shock in which unconditional obedience and mutual guilt prevailed, sectors of civil society - and even "interzone" between institutions and civil society - are reorganizing themselves "in hiding". In this reorganization it is implicit that certain restrictions are considered incongruous, irrational, indiscriminately punitive.
Furthermore: at the beginning of the emergency, parental chats were, in general, among the worst hotbeds of panic, culture of suspicion, toxic voice messages, calls for denunciation. The fact that now some of them are also being used to circumvent delusional prohibitions - why shouldn't a teacher be able to retrieve the textbooks left in the classroom? why should a dad or a mom have to resort to subterfuge, self-certification, etc. to retrieve those books? - is yet another proof that the "mood" has changed.
Provocative group disobedience
The performance of the trio from Rimini - a man and two women - who had sex in public places and put the videos online, accompanied with insults hurled at the police, is part of this rarefied case history.
The police have since held a grudge against the case, as exemplified by their official social channels.
The only thing missing from this catalog of disobedience is, of course...
Claimed group disobedience
Here we have in mind visible, and no longer merely clandestine collective disobedience.
For a moment we feared that the fascists would be the first to bring it into play. Forza Nuova attempted to leverage the dismay of believers in the prospect of an Easter “behind closed doors,” and without the Via Crucis. However, when leaflets circulated calling for a procession to St. Peter's Basilica tomorrow (Sunday 4.12), accompanied by mottos such as "In hoc signo vinces" and "Rome will not know an Easter without Christ", they were dismayed to find that it wasn't the Fascists who were behind them. Instead, it was our comrades and friends from Radio Onda Rossa and the Roman liberatory movement who, this morning, in S. Lorenzo, greeted Salvatore Ricciardi with what in effect became the first political demonstration in the streets since the beginning of the emergency.
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Salvatore Ricciardi, 80 years old, was a pillar of the Roman antagonist left. A former political prisoner, for many years he was involved in fights inside prisons and against prison conditions. He did so in a number of books and countless broadcasts on Radio Onda Rossa, which yesterday dedicated a moving four-hour live special to him. He continued to do so until even a few days ago, on his blog Contromaelstrom, writing about imprisonment and coronavirus.
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Headlines about this morning's events can already be read in the mainstream press. A precise chronicle, accompanied by some valuable remarks, can be heard in this phone call from an editor of Radio Onda Rossa [here]. Among other things, our comrade points out: "here there are rows of people standing in front of the butchers shop for days and days, yet we cannot even bid farewell to the dead? [...] We're in the open air, while in Rome there's not even a requirement to wear a mask and yet many people had masks, and there were only a few people anyway"...Yet the police still threatened to use a water cannon to disperse a funeral ritual. The part of the district where the seditious gathering took place was closed and those present were detained by police.
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During this emergency, we’ve seen so many surreal scenes - today, to offer just one example, a helicopter took to the sky, wasting palates of public money, in pursuit of a single citizen walking on a Sicilian beach - and even still, this morning's apex had not yet been reached.
For our part, we say kudos and solidarity to those who run, and are out running great risks to claim their right to live together - in public space that they have always crossed with their bodies and filled with their lives - out of pain and mourning for the loss of Salvo, but also out of happiness for having had him as a friend and companion.
"Because the bodies will return to occupy the streets. Because without the bodies there is no Liberation."
That's what we were writing yesterday, taking up the “Song of el-'Aqila Camp”. We reaffirm our belief that it will happen. And the government fears it too: is it by chance that just today Minister Lamorgese warned against "hotbeds of extremist speech"?
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In her telephone interview, the Radio Onda Rossa editor says that the current situation, in essence, could last a year and a half. Those in power would like it to be a year and a half without the possibility of protest. They are prepared to use health regulations to prevent collective protests and struggles. Managing the recession with sub iudice civil rights is ideal for those in power.
It is right to disobey absurd rules
We should point out once again that, whilst keeping a population under house arrest, while prohibiting funerals, and de jure or de facto preventing anyone from taking a breath of fresh air - which is almost a unique phenomenon in the West, since only Spain follows us on this - and while shaming individual conduct like jogging, going out "for no reason", or shopping "too many times"...while this whole little spectacle is going on, Italy remains the European country with the highest COVID-19 mortality rate. Good peace of mind for those who spoke of an "Italian model" to be imitated by other countries.
Who is responsible for such a debacle? It is not a hard question to answer: it was the people who did not establish a medical cordon around Alzano and Nembro in time, because the owner asked them not to; it was those who spread infection in hospitals through an impressive series of negligent decisions; those who turned RSAs and nursing homes into places of mass coronavirus death; and lastly, those who, while all this was happening, diverted public attention toward nonsense and harmless behavior, while pointing the finger at scapegoats. This was blameworthy, even criminal behavior.
Everywhere in the world the coronavirus emergency has presented a golden opportunity to restrict the spaces of freedom, settle accounts with unwelcome social movements, profit from the behavior to which the population is forced, and restructure to the detriment of the weakest.
Italy adds to all this its standard surfeit of irrational ravings. The exceptionality of our "model" of emergency management lies in its complete overturning of scientific logic. For it is one thing to impose - for good (Sweden) or for bad (another country at random) - physical distancing as a necessary measure to reduce the possibility of contagion; it is quite another to lock the population in their homes and prevent them from leaving except for reasons verified by police authorities. The jump from one to the other imposed itself alongside the idea - also unfounded - that one is safe from the virus while "indoors", whereas "outdoors" one is in danger.
Everything we know about this virus tells us exactly the opposite, namely that the chances of contracting it in the open air are lower, and if you keep your distance even almost zero, compared to indoors. On the basis of this self-evidence, the vast majority of countries affected by the pandemic not only did not consider it necessary to prevent people from going out into the open air generally, as they did in France, but in some cases even advised against it.
In Italy, this radius is, at best, two hundred meters from home, but there are municipalities and regions that have reduced it to zero meters. For those who live in the city, such a radius is easily equivalent to half a block of asphalt roads, which are much more crowded than in the open space outside the city, if it could be reached. For those who live in the countryside, however, or in sparsely populated areas, a radius of two hundred meters is equally absurd, since the probability of meeting someone and having to approach them is infinitely lower than in an urban center.
Not only that: we have seen that very few countries have introduced the obligation to justify their presence outdoors by authorizations, certificates, and receipts, even calculating the distance from home using Google Maps. This is also an important step: it means putting citizens at the mercy of law enforcement agencies.
We have recorded cases of hypertensive people, with a medical prescription recommending daily exercise for health reasons, fined €500; or people fined because they were walking with their pregnant partner, to whom the doctor had recommended walking. The list of abuses and idiocies would be long, and one may consult our website for further examples.
Legal uncertainty, the arbitrariness of police forces, the illogical limitation of behavior that presents no danger to anyone, are all essential elements of the police state.
Having to respect an illogical, irrational norm is the exercise of obedience and submission par excellence.
It will never be "too soon" to rebel against such obligations.
It must be done, before it’s too late.
Translated by Ill Will Editions
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« Stai bene? »
«Not this time» che potrebbe rifarsi a tutte le altre volte che le ha detto che non stava bene, che era triste. «Pensavo mi portassero ad Azkaban». una piccola pausa, mentre riprende silenziosamente fiato. «Per questo ti ho scritto quelle cose».
(Domenica 31 maggio, intorno all’una di notte)
Ciao Ilary, volevo dirti che un po’ mi manchi. Che mi manca com’eravamo, al di là della coppia e dei Wilstock. Che mi manchi tu come persona e che mi manco io per com’ero con te, prima ancora di urlarti sempre addosso o tradirti o chissà cosa. Non sto chiedendo tregua o di far pace. Non potrei, non avrei alcuna possibilità. Volevo soltanto lo sapessi. Inutilmente, ormai. Volevo dirti che ti auguro davvero di essere felice. Non rispondermi, perché tanto non sarò qui per leggerla.Tranquilla, non vado a suicidarmi, solo… non ci sarò perché ho fatto un casino.
Non parlarne con nessuno. Neanche con Nathaniel, Robert, nessuno.
Ciao, Ilary.
Lancia una rapida occhiata al membro della SSM che si suppone essere la sua scorta, forse per assicurarsi non stia origliando:
«ho ucciso una donna il trenta maggio».
«Eppure eccoti qui» salvo e in piedi, a dispetto delle bolidate, quale novità. Ora una punta di amara ironia le fa flettere le sopracciglia con un`eloquenza che sembra quasi indirizzata a incoraggiarlo, più che a rimproverarlo. «Mi stupisce come chiunque lo abbia capito eccetto te» osserva infatti in un secondo momento, semplicemente schietta.
«Sono un assassino e merito Azkaban. Sono paragonabile a Peter Minus, adesso».
«Tu e le etichette siete stati per caso appiccicati insieme da un incanto di adesione permanente alla tua nascita? Avere ucciso qualcuno non fa di te un assassino, non siamo solo le nostre azioni, per tua fortuna» stoccatina necessaria. «E comunque, se davvero lo fossi, non te ne staresti qui nascosto a piangere dietro un`edera nella terrazza di un ospedale che odi.
Sebastian Waleystock, ti è mai passato per la testa che stare male per quello che fai possa renderti incredibilmente umano oltre che una testa di troll e sempre la peggiore versione di te stesso?
Io penso che tu meriti più che altro un corso di incantesimi di sfogo, o di autocontrollo». La manina si solleva per provare ad assestargli uno scappellotto dietro la nuca, a punizione dell’eresia proferita. «Non sapevo che fossi un Animagus, adesso» lo rimbecca, retorica. «Senza offesa, ma sei troppo egocentrico per relegarti ad anni di fuga nell`ombra, lontano dalla ribalta. Se avessi almeno un grammo della sua furbizia non staresti in questa situazione adesso, no?» Ilary Wilson e i suoi tentativi di sollevare il morale al prossimo parte ottomila. Ma oh, lui sembra cavarsela bene anche da solo a buttarsi giù, lei deve bilanciare.
«Vorrei la pensasse così anche Nathaniel» lasciandosi andare a quel commento del tutto spassionato, quasi inconsapevolmente, accompagnandolo con un sospiro stanco — che gli scivola via dalle labbra.
Lo sguardo le scivola su quella tazza posta fra loro, che segna confini metaforici da non valicare e su cui lui sta pericolosamente camminando. Di nuovo. «Ok... non affronteremo questo discorso» sancisce, pure se sembra lontana dal volerlo rimproverare per quello scivolone.
Un piccolissimo sorriso di chi sembra davvero essere riuscito a placarsi per la gentilezza e leggerezza altrui. «Vorrei un mondo parallelo dove potremmo essere ancora amici e parlarci». Con un cenno di malinconia, forse anche di dolore. Gli occhi chiari sul suo viso.
Allarga le iridi e sfarfalla le ciglia: stranita, inspiegabilmente inquietata da quell'eventualità, che ci mette troppo poco a catalogare. «Non siamo mai stati amici, Seb» un soffio a commentare con inclemente sincerità il suo dire, pure se di nuovo non v'è rimprovero nel tono ma solo fermezza; la stessa che la porta anche ad aggiungere che «non credo che potremmo mai esserlo». A scanso di equivoci.
«Posso chiederti un favore, qualora dovessi finire ad Azkaban?» in ultimo, si volterebbe verso di lei, per guardarla. «Avviseresti i miei genitori?» che per una volta potrebbero ritenersi davvero delusi dal figlio.
«Non finirai proprio da nessuna parte» sentenzia decisa, il tono ad uscire quasi gutturale, a causa del groppo di lacrime fermo in gola. «E` stata legittima difesa e qualsiasi giudice con un po` di zucchero in zucca lo saprebbe». Deglutisce. L`aria del congedo altrui a farsi sentire, sollevandola dal disguido di dover controllare l`ora per capire quanto sia in ritardo. «E tu fammi il favore di non fare bolidate» ricambia la richiesta, cercando ancora il suo sguardo con una nota di supplica nel tono. «Tipo trasformarti in un topo e tentare la fuga» ironica, almeno in parte, nel depositare quella preghiera eloquente al cospetto delle sue orecchie. Prendila Seb, grazie.
«Non farò niente di avventato. O stupido. Quantomeno non fino alla fine del processo».
Ironia? Le farebbe persino un occhiolino forzato, con un pizzico di sorriso, prima di, ancora con le mani nelle tasche, girare sui tacchi ed andarsene via da lì.
«Bene» il commento finale, risollevando il visino su di lui. Ironia? «Perché questa volta non verrò a salvarti» il sorriso ad ampliarsi appena.
Okay, facciamo che ti lascio qui un rapido vademecum nel caso in cui fossi confuso:
- Se ti servono cure mediche, dirigiti al San Mungo o casta un Mungo Inclamo. Pensa al tuo Guaritore preferito e fa che non sia io.
- Se ti serve denunciare qualcun altro, trovi Robert all'indirizzo "Conquaestio Custodis" o al II livello. Portagli almeno delle ciambelle.
- Se ti serve alleggerirti la coscienza, puoi indirizzare gufi, patronus e parole ad amici e/o magipsicologi professionisti.
- Se stai pensando di rispolverare il tuo vecchio calderone perché hai danneggiato irreparabilmente quello nuovo: puoi castarti un Avada in fronte.
Cordialmente tua, Ilary
PS. Nel remoto caso in cui fosse un'emergenza che solo io posso risolvere, prego rispondi pure a questo gufo.
«Fammi sapere come sarà, allora» il qualcosa di avventato a fine processo? «...Mischiare i gusti del gelato» l'occhiolino non può ricambiarlo, ma un sorrisetto struzzetto glielo rifila comunque, mentre le guance s'accendono appena di colore assieme allo sguardo. Forse rincuorata, di vederlo andare via un po' meglio di come lo avesse trovato.
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