Dopo quasi 25 anni di management, continuo a vedere le stesse porcate. Non che ovunque sia così, ma purtroppo i numeri di chi rientra nel novero dei "saggi" non fa altro che aumentare. Per questo ne parlo, sperando che qualcuno si svegli. Il blog resta anonimo anche se sto pensando di farlo crescere in qualche modo: non mi rassegno a far del mondo della consulenza, un mondo vivibile.
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In fisica, lo "stato critico" si riferisce a una condizione particolare in cui un materiale si trova al limite tra due fasi o stati fisici. Questa condizione si verifica a una specifica combinazione di temperatura, pressione o altre variabili termodinamiche. Nello stato critico, le proprietà del materiale mostrano comportamenti distintivi e possono differire significativamente da quelle osservate in uno stato ben definito. Alcuni esempi di materiali che possono esistere in uno stato critico sono l'acqua e il diossido di carbonio.
Se si supera lo stato critico di un materiale, si verificherà ciò che viene chiamato transizione di fase di prima specie o transizione di fase discontinua. Durante questa transizione, il materiale subirà un cambiamento improvviso e netto nelle sue proprietà fisiche.
Imparate a leggere attorno a voi. Se il vostro gruppo, la vostra divisione o la vostra azienda si trova in uno "stato critico" ci saranno tutta una serie di segnali in cui i comportamenti, i numeri, le decisioni non rispecchieranno la normale logica e le normali aspettative, potranno essere discordanti o addirittura raccontare una storia diversa da quella che pensate. Mi aspetto che alcuni di questi elementi saranno tipici "dell'altro stato" (che viene tipicamente negato dal management o da chi "già sa").
Qui viene il bello: se la "cosa nascosta" fosse positiva, il cambio di stato dovrebbe rappresentare un qualcosa di buono per il gruppo. In questo caso vi dovreste preoccupare se nessuno vi ha coinvolto, almeno in minima parte nel passaggio di stato.
Se invece si trattasse di un cambio di stato "negativo", potrebbe essere che il management stesso si stia rifiutando di riconoscere i segni della crisi, peggio, potrebbe averli riconosciuti e potrebbe solo essere in cerca di una propria way out.
In entrambi i casi, non essere coinvolti è comunque un segnale dannoso per voi.
Non prendete come oro colato quanto vi viene passato e a giudicare in modo critico quanto vi avviene attorno e guardatevi da chi "sa" e non dice. La vostra carriera (e la vostra tranquillità) ne potrà solo giovare.
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Il piano va testato chiedendo ai manager: “Quali collaboratori avete messo al lavoro su questo progetto oggi?” Il manager che vi risponde (come fanno quasi tutti): “Oggi non posso metterci nessuno. Prima devono finire quello che stanno facendo”, ammette in pratica di non avere un piano. Peter F. Drucker
Prima o poi dovevo anche citare il papà del moderno management e l’ho voluto fare su un back to basic. Il piano, o meglio la capacità di pianificare.
Sempre più spesso si decide, si pianifica, ci si mette all’opera, salvo poi fallire miseramente. Il motivo è molto semplice: una cosa è avere un piano, una cosa è seguire un piano, o meglio, essere in grado di dominare il piano agendo per gestire gli scostamenti dallo stesso un piano ogni volta che si rende necessario (diciamo però che un piano bellissimo che cambia giornalmente per gestire gli scostamenti non è che vada benissimo) .
Spesso i piani che vedo sono semplici “wishful thinking” dove in realtà già all’inizio si dice oggi facciamo in modo diverso, recuperiamo domani.
Ho visto piani di migliaia di righe fallire nel modo più misero.
Non fraintendetemi. Pianificare è essenziale e pianificare al dettaglio è anche importante perché questo dimostra di sapere di cosa si parla, ma è importante creare le condizioni affinché i piani siano veritieri e seguiti, altrimenti si scade nell’esercizio di stile.
La frase di Drucker può essere letta a vari livelli, ma il livello di base spesso è sufficiente. Volete capire la qualità di un progetto o di un manager? Chiedetegli il piano del giorno e poi andate a controllare.
Detto tra noi, purtroppo spesso io non arrivo neppure a poter controllare dato che sono i piani a mancare…
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Torno su un argomento che ho già trattato, ma lo “prendo” da un punto di vista diverso.
Studiando la vita di qualche serial killer, ho osservato un pattern caratteristico, ovvero il primo omicidio che avviene in modo inesperto, poi di solito c’è un certo tempo prima del secondo e infine si scade in quello che definisco “la discesa agli inferi”, dove la “tecnica” migliora ed il tempo tra un omicidio e l’altro si accorcia.
Ovvero il primo omicidio, che magari avviene anche in modo non premeditato, spesso scatena poi gli altri, in quanto il serial killer, da un lato si accorge di aver scoperto qualcosa che gli da piacere e dall’altro scopre che è rimasto impunito.
Al passare del tempo poi gli omicidi aumentano sempre più come densità (a meno che non avvengano altri fattori o altri eventi) perché la scorciatoia per il bisogno è aperta e la tecnica si affina.
Pensiamo a questo punto cosa succede alle “scorciatoie” o peggio ai comportanti “non etici”.
Per risolvere un problema, gestire una criticità, chiudere un progetto in modo positivo … Diciamo per apparire meglio o nascondere un problema, ci si prende una “piccola libertà”. La volta successiva, visto che è andato tutto bene, la piccola libertà viene presa con minori remore e, magari, si prende “meno piccola”. Poi si avanza aziendalmente e visto che nessuno dice nulla (o peggio, che i superiori approvano) queste piccole libertà vengono prese sempre con meno problemi e non ci si rende neppure più conto del danno che si sta facendo.
Però si va avanti.
Ma ricordate che, a meno di pochi casi, spesso alla fine i serial killer vengono catturati.
Ad un certo punto il castello di piccole libertà lentamente crollerà, probabilmente “sotto” chi potrà scappare lo farà e “sopra” si usera ogni espediente per dire “non sapevo, non pensavo”…
Piccolo problema, “al centro” ci sarà chi queste piccole libertà se le era prese…
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Il codice del lupo recita:
Proteggi il branco
Non mostrare paura
Rispetta gli anziani
Insegna ai giovani
Sopravvivi ogni giorno
Dà la caccia ai tuoi nemici
Ulula a un nuovo domani
Esplora l’ignoto
Adattati al territorio
Non mostrare debolezze
Lascia il tuo marchio
Ispirato da un libro di Girola, che paragona lo scrittore ad un lupo, nei prossimi post vedremo perché il anche manager è a tutti gli effetti un lupo.
Cercherò di distinguere i post mettendoci una volta tanto un titolo per rendervi più facile scorgere un ordine.
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Dovremmo tutti imparare a distinguere tra due tipi di aziende quelle dove se l'azienda "va su fa salire anche te" e quelle dove le persone lavorano per se stesse e l'azienda è solo un mezzo per raggiungere i fini personali.
La distinzione è abbastanza facile e si capisce da diversi indizi:
gli avanzamenti del "top management" non si rispecchiano su chi ha contribuito alla crescita, anzi le logiche sono spesso oscure.
i premi ed i riconoscimenti economici sono elargiti in base agli scopi personali del "top management" e non ai risultati reali
spesso prevale la logica del marchese del grillo ("Perchè io so io e voi non siete un cazzo")
gli obiettivi stessi "top management" non coincidono in modo esatto con gli obiettivi aziendali (ma di questo ho già scritto in un diverso post).
molte volte si sconfina in un sistema di "negazione della realtà" o peggio di "ricostruzione ad hoc della propria realtà"
tutti negano l'evidenza sopra, spesso perchè stanno anche loro perseguendo obiettivi personali …
Potrei continuare, ma penso di aver ben reso l'idea.
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Abituarsi a non vedere aiuta a non dover prendere posizione e finisce per sviluppare una competenza specifica: la cecità selettiva, quella che alterna interessi da curare e responsabilità da evitare e, possibilmente, da addossare ad altri Pier Luigi Celli - Capitani senza Gloria
Sono abbastanza in difficoltà nel commentare la frase di Celli. La prima volta che mi ci sono imbattuto non vi avevo fatto caso in modo particolare. Ma poi ripensandoci e riconsiderandola mi sono dovuto ricredere. Troppo spesso vediamo situazioni che non ci piacciono e, anche potendo far qualcosa, semplicemente giriamo la testa dall'altra parte e facciamo finta di nulla. Purtroppo a lungo andare questo gesto diventa la normalità e ci permette il quieto vivere, oltre che a poter addossare a qualcun altro la colpa del fatto che le cose non vanno proprio benissimo.
Molto spesso si tratta di un tratto necessario per la sopravvivenza aziendale, e dunque non credo di poter criticare in modo pesante chi finisce per caderci.
Vi chiedo solo, quando vi renderete conto che troppe sono le cose per cui state diventando ciechi, di considerare seriamente, anche per la vostra salute di provare a cambiare per non ritrovarvi nella situazione che qualcuno chiuda gli occhi ignorando la vostra di situazione.
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Ultimamente mi scontro sempre più verso la necessità di apparire, di farsi vedere, di imporre la propria opinione. Anche io spesso non perdo l'occasione di stare zitto.
C'è però un problema in questa smania ed è che se non conosciamo bene ciò di cui vogliamo pontificare, siamo sempre a rischio "figura di merda".
Quanto descritto sopra ha un "nome": si tratta dell'effetto "Dunning–Kruger" per cui più le persone non sanno più tendono a parlare a sproposito pensando di essere degli esperti e sovrastimando di conseguenza le proprie abilità. Se vogliamo l'esatto contrario del principio del "sapere di non sapere".
Purtroppo questo fenomeno sfocia spesso nel ridicolo. Ora sino a che la figuraccia è limitata ad una sola persona va anche bene, ma quando si estende al gruppo (o anche peggio) allora non è più solo un problema del singolo, ma diventa un problema più grosso perché tutti subiranno lo stesso pregiudizio di superficialità.
Quando poi questo effetto viene amplificato dalla classica figura dei "leccaculo" allora il disastro è certo. Magari di fronte tutti sorrideranno con grossi cenni di assenso, ma una volta spente le luci, alla meglio si limiteranno a ridere.
Imparate a parlare poco e accettate il fatto che non sapete tutto. Vi farà solo del bene.
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Man mano che il fatturato cresce, che i clienti aumentano, che il giro di affari si amplia, è una costante che la burocrazia aumenti. Il problema di questo fenomeno è che se “la leadership” non è sufficientemente illuminata, si finisce con una organizzazione che si comporta come un grosso batterio, si autoalimenta di questa burocrazia e più si cresce più aumenta l’inefficienza, sino a che qualcuno non ferma questa spirale o l’azienda non implode a causa dei processi, della carta d produrre, dei veti incrociati.
Diciamo che si finisce in una azienda orientata non più verso il cliente ma orientata a stessa e ad autogenerarsi lavoro. Al partire di un nuovo progetto saranno così tanti i gates e i controlli che anche il più entusiasta si smorzerà e al primo controllo finanziario ci si renderà conto che il mostro generato è così grosso da non avere più il reale controllo.
Nessuno in realtà capisce questo fenomeno nella sua dannosità se non chi occupa una posizione sufficientemente elevata per poter vedere i costi contro il beneficio generato, devo ammettere che però spesso anche se la situazione è compresa, conviene non fare nulla per consolidare il proprio potere. Infatti più la burocrazia cresce più sono le persone che servono per rispondere alle esigenze di questo batterio e, per definizione, queste persone non avendo un reale scopo dipendono in genere dalle elucubrazioni del capo.
In breve, oltre a “succhiare” energia questa spirale permette, sempre alla parte alta dell’organizzazione di esercitare il proprio potere (tendenzialmente sul nulla). Permette di elargire premi, avanzamenti ed incarichi più o meno “a cazzo”.
Mi spiace essere negativo ma non vedo molte vie d’uscita, una volta preso il sentiero.
Forse l’unica possibilità è quella di una grossa crisi e di un ritorno ai “basics”, ma non è mai divertente passare attraverso una crisi aziendale…
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Imagino che qualcuno di voi conosca "the wolf of wall street", ovvero la persona che dopo aver truffato per oltre 100M di dollari un numero notevole di investitori e che dopo essersi fatto un certo periodo in galera per questo, ora si occupa di coaching e di scrivere libri. Qualche giorno fa stavo leggendo un suo libro sulle tecniche di vendita e ho trovato questa perla:
…. fornire uno script non etico equivale a concedere alla vostra forza vendite l’approvazione ufficiale a commettere stupri e saccheggi
Considerando il pedigree del personaggio, una affermazione del genere è certamente rilevante. Persino per JB il discorso etico e l'esempio etico sono rilevanti. Estendendo il concetto, qui si dice che non dobbiamo dare alla nostra forza lavoro una impostazione che non sia etica perchè questa rappresenta la legittimazione a compiere altri atti che vanno oltre la semplice scorciatoia.
L'etica e l'esempio sono fondamentali e pagano.
Chiudere la serata sapendo di poter guardare chiunque negli occhi e di essersi comportati sotto ogni aspetto in modo etico e pulito: questo è un fattore importante.
Magari all'inizio sarà difficile, ma a lungo andare si tratta di una strategia che paga.
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Permettetemi di citare la frase originale di Steve Jobs
“Many companies forget what it means to make great products. After initial success, sales and marketing people take over and the product people eventually make their way out.”
Qui Jobs si riferisce anche alla sua esperienza personale, ma se forziamo il concetto e generalizziamo il tutto passando da "products" magari ad "artifacts" o "projects" ecco che allora la frase diventa a dir poco profetica.
Ci sono i primi successi, le cose cominciano ad andare bene. Stiamo facendo un bel lavoro, i clienti sono contenti ... ma ad un certo punto parte la voglia di crescere a dismisura. Gli obiettivi vengono legati non alla qualità ma alla quantità ... di denaro. Prevalgono gli interessi personali e compare la figura mistica del commerciale che in breve, senza aver creato il prodotto e senza avere la storia, vede solo un obiettivo di vendita legato al suo bonus. A questo punto, semplicemente, tutto va "a bagasce".
Si iniziano a fare sconti pur di vendere, a cercare margini impossibili per "far bella figura" e in tutto questo il manager, il team leader, il programmatore diventano delle semplici pedine, spesso sacrificabili.
Peggio ancora vengono "reclutati" dalle "sales-minded-people" e, con la promessa (o dovrei dire il miraggio) di promozioni, avanzamenti e premi lentamente contribuiscono allo "sbagasciamento" del prodotto, della divisione o, nel caso peggiore, dell'azienda.
Non è certamente una bella previsione, ma quando avete un "sales a tutti i costi" che comanda questo è il rischio, se non si riesce ad intervenire e sanare. E se non si sana? Beh allora dovete solo fare una buona stima del tempo che manca al crash e scappare prima.
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Come al solito, quando sono a corto di idee, mi lascio ispirare da qualche libro nella mia biblioteca virtuale.
Parto da un brano di Pierluigi Tosato preso da libro “Samurai manager” (che tra l'altro, se non l'ho già fatto, mi permetto di suggerire caldamente) che critica l'intervento spesso deleterio delle società di consulenza:
… Peccato che questi studi costino di più del potenziale risparmio che propongono e che non siano stati fatti da generali che hanno combattuto in trincea, ma da esperti di strategia militare usciti dall’Accademia.
Il punto che mi ha lasciato il segno non è tanto il primo (direi che purtroppo è norma spendere più soldi del necessario per farsi dire cosa fare o peggio per farsi dire in bella forma cose che si sanno già …) ma il secondo ovvero l'esistenza di “esperti che non hanno combattuto in trincea, ma hanno solo fatto strategia sulla carta”.
Questo è una delle casistiche più fastidiose, ovvero quando chi non ha “fatto la guerra” mi vuole spiegare come si deve fare. Non fraintendetemi: io ascolto chiunque mi possa aiutare, ma quando la conoscenza solo sulla carta prevale e diventa spesso “aria di superiorità” allora mi girano gli zebedei (non sapete quante volte mi è stato spiegato che non capivo un cazzo da gente che poi ho visto tranquillamente andare allo schianto).
L'esperienza è molto importante e la possibilità di farne sul campo, alla lunga è una occasione imperdibile. La famosa "gavetta" oltre a dare tutti gli anticorpi per sopravvivere nel momento della crisi, serve per "sapere sul campo" come vanno le cose.
Non limitatevi alla teoria, ma chiedete di andare in prima linea a fare e studiare quello che non sapete. Non fidatevi di chi non ha fatto quanto predica, a meno che non abbia l'umiltà di chiedere consiglio e di condividere le idee.
L'esperienza è molto importante e la possibilità di farne sul campo, alla lunga è una occasione imperdibile che dovete sempre sfruttare per imparare
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Nel nostro lavoro, soprattutto quando dobbiamo raggiungere un dato obiettivo, a volte accade che ci si conceda delle scorciatoie. Siccome "noi siamo diversi" (o "noi lo facciamo strano), adesso, nel gergo moderno non si parla più di porcate o martellate ma di "technical debt".
Il problema delle scorciatoie è che, se non vengono gestite bene nel mentre e a fine progetto, rischiano di portarci alla teoria delle finestre rotte (o peggio del serial killer - vedi post sparsi nel sito).
In sintesi la scorciatoia che ho preso ieri, la userò anche oggi, la piccola "martellata" la ripeterò domani (d'altronde se oggi mi è andata bene perchè non potrebbe andare bene anche domani). In ogni caso prima o poi (o mai) dovrò riprendere tutto per sistemare, e "allora si" che le cose verranno fatte bene.
Ma facendo così mi metto di fronte a due problemi. Il primo evidente che ci stiamo creando i presupposti per uno schiantone memorabile, il secondo più subdolo che stiamo insegnando a chi lavora per noi come si abbassa il livello qualitativo, peggio stiamo allenando i nostri ragazzi ad abituarsi al letame.
Se siete in una situazione disperata documentate tutto e non appena possibile sistemate, se invece vi accorgete che "il sistema" sta diventando endemico (e per nostra natura apprendiamo sempre i comportamenti deleteri) intervenite subito in modo fermo per bloccare tutti i comportamenti che poi potreste dover essere chiamati a sistemare in modo molto brutale.
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Se avete una mezz'oretta e masticate un pò di inglese, vi suggerisco il podcast linkato qui.
Si tratta di una intervista fatta a Laura Merling, Chief Transformation and Operations Officer presso Arvest Bank e responsabile di un percorso di innovazione digitale della stessa banca.
Qui non sono molto interessato al solito "buzz" della digital innovation (che prima o poi inizierò ad affrontare) ma ad alcuni spunti relativi a come lei ha organizzato il lavoro:
Studio - Laura si è messa a studiare l'ambiente dove era finita. Non ha assunto una posizione da "io so e voi non sapete un cazzo" ma si è messa ad ascoltare ed imparare (direi che come ex "Chief Transformation Officer" di Google poteva anche pensare di darsi delle arie…)
Communication & culture change plus Staff upskill or reskill - Questa è la chiave di volta lei ha lavorato soprattutto sulle persone e le ha fatte crescere valorizzando chi già stava in banca.
Quick wins - Anzichè impegnarsi in programmi lunghi, ogni obiettivo è spezzettato in quick wins di 90 giorni.
Strategia di rinnovamento del core banking puntando su un prodotto non propriamente consolidato ma estremamente potente e promettente (Thought Machine)
Move to Cloud - ok qui ha un pò giocato in casa, chiudendo un accordo con Google …
Nel concreto Laura ha proposto un framework basato su cinque pillar che sono:
Vision
Customer Understanding
Technology Alignment
Metrics and Measurement
Governance
Per chi è interessato ecco il link più rilevante.
In chiusura … spero di non essere smentito ma fortunatamente esistono ancora manager forti e validi in giro. Se poi volete altri spunti andate a fare una ricerca su Anne Boden e Starling Ban
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Ampliamo ancora una volta la nostra conoscenza, questa volta citiamo il "Libretto Rosso Del Manager" di Renzo Marin sul ruolo del manager.
Un manager rivoluzionario è un “catalizzatore di umanità”, capace di rendere migliori le persone che operano insieme a lui, sapendo cogliere e aiutandole ad esprimere il meglio di sé in sensibilità, competenze, professionalità, empatia.
Qui siamo alla vera utopia. Ma almeno uno dovrebbe guardarsi dentro e chiedersi se questo è minimamente nei propri obiettivi personali.
Non chiedo di riuscirci, ma almeno di provarci. Si tratta, in fin dei conti di imparare a lasciare il segno e non in senso negativo.
Uno dei miei principali obiettivi, oltre a fare bene il lavoro per cui mi pagano, è migliorare le persone: tirar fuori ciò che di buono hanno e mitigare i difetti. Tutto questo con l'obiettivo di spingerli a migliorare (e non solo di "spingerli" chissà dove).
Il test se ci riuscite ve lo permette il tempo: se dopo qualche anno le persone che hanno lavorato con voi hanno fatto strada e magari, anche dopo avere preso percorsi diversi dai vostri vi ricordano con piacere allora … un pò ci sarete riusciti.
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Per fare il manager bisogna anche studiare un pò di storia, e dunque vi tedio con Luigi XIV e Versailles. Immagino che vi siate chiesti perchè mai tale splendore fu creato. Ebbene tra i motivi di questa creazione ve ne era uno molto particolare, come dice la mia fida chatgpt
He also used the palace to control the nobility by keeping them close to him and distracting them with extravagant entertainments and lavish living arrangements
Detto in poche parole ai nobili e all'umanità varia che stava attorno al re venivano proposti spettacoli, titoli, premi e giochi che servivano solo per tenere i nobili distanti dalla realtà e da quanto succedeva al di fuori di Versailles. Luigi XIV centralizzava il potere e controllava la nobiltà.
Esattamente allo stesso modo un manager (o "leader") che non sia proprio "illuminato" può centralizzare il processo decisionale e usare tutta una serie di tattiche di controllo e impegni artificiali per microgestire i propri collaboratori, soffocando la creatività e l'iniziativa e soprattutto impedendo loro di "guardare fuori".
Piccolo problema, sappiamo tutti come è finita in Francia.
Se comandate, non create una reggia artificiale per chi lavora con voi, ma stimolate e la discussione, mandateli "fuori" a vedere la realtà e non perdetevi in esercizi fini a se stessi.
Imparate invece a riconoscere quando finite in una "situazione Versailles" e per quanto possibile, non perdete il contatto con la realtà, altrimenti quando arriverà la rivoluzione potreste trovarvi in una situazione non proprio gradevole.
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Siccome rischio di sembrare troppo negativo, da questo post cercherò di allietarvi alternando quelli che in inglese si chiamano “rants” a qualche riflessione più positiva.
E visto che sono in vena di novità userò questo post per iniziare ad inondarvi di spunti presi dai libri di strategia cinese.
Partiamo da un brano stupendo preso dal “Vincere senza combattere” scritto da Pierre Fayard:
Lo stratega agisce in modo paradossale: governa i flussi assecondandoli, proprio perché ne conosce le dinamiche. Si pone in sinergia con essi e ne penetra la logica. Favorendoli viene favorito da qualcosa di più forte di lui e per questo una sottomissione totale può rivelarsi una dominazione sottile e invisibile. Una grande flessibilità si trasforma in una forza tremenda in quanto inafferrabile.
A parte le espressioni sempre molto enigmatiche, tipiche degli scritti cinesi, se leggete con attenzione capirete alcuni dei principi fondamentali che io vado sempre a predicare:
conosci le dinamiche;
muoviti in sinergia con l’ambiente;
segui il flusso, ma allo stesso tempo usando la forza che te ne deriva, dirigi dove tu vuoi le azioni;
rimani flessibile e pronto a cambiare.
Sembra facile ma non lo è perchè richiede una grossa capacità di analisi e adattabilità.
Provateci.
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Parto da un libro che ho già citato altre volte (Samurai Manager - Pierluigi Tosato):
Fatemi conoscere il capitano della nave, mostratemi l’organigramma societario, fatemi respirare l’aria che traspirano i muri degli uffici, portatemi in fabbrica, presentatemi qualche cliente e vi dirò come e perché va male l’azienda prima ancora di analizzare i bilanci. Ricordiamoci che i numeri a volte sono fabbricati ad arte per permettere a imprenditori e manager di non guardare in faccia la realtà.
Anche qui ci sarebbe molto poco da aggiungere.
Molte società "sbagliate" si preoccupano principalmente di far tornare i numeri. Molto è artificiale, poi non appena si esce dal forecast, dal bilancio, dall'excel si scopre una realtà che poco ha a che vedere con tali numeri.
I clienti non hanno fiducia, i dipendenti sono i primi detrattori, la qualità è solo artificiale ed i problemi vengono sistematicamente nascosti. Peccato che per chi abbia un occhio critico, basta poco per capire la realtà e osservare la distanza abissale tra l'azienda reale e quella sulla carta.
Quello che brucia è che spesso si forma una intera legione di persone che invece di risolvere i problemi reali pensano solo a "fabbricare ad arte".
Anche qui le soluzioni che ho sono poche: se possibile lasciare la società prima di essere fagocitati da questa mentalità, non perdere in ogni caso lo spirito critico per capire quando si fa qualcosa di sbagliato e, se non è possibile evitarlo, almeno essere sinceri con le persone che lavorano per voi.
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