#per alzare sempre gli standard
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stephpanda · 1 year ago
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Ho appena visto su tik tok il video di una proposta di matrimonio fatta davanti al quadro delle ninfee di Monet..
CIOÈ CI RENDIAMO CONTO?
OVVIAMENTE mi sono messa a piangere.
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scogito · 2 years ago
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Da cosa riconosci un sacrificato?
Dallo stato della sua lamentela.
Di solito si unisce al pensiero di aver lottato una vita e oggi è scontento perché gli tocca continuare a farlo.
Il sacrificato vive nella sua mente e non gli piace ciò che c'è fuori. Tuttavia la stessa mente gli impedisce di cambiare.
Ciò perché il Sistema ha educato le persone al valore disfunzionale del sacrificio, edificando una società che crede che la sofferenza precede sempre la gioia (o è addirittura l'unica via).
Sono esempi la gavetta, la fatica del lavoro, l'umiltà, l'altruismo, che in chiave distorta sono diventati: fai lo schiavo, accontentati di quattro soldi, non mostrare la tua realizzazione (non aspirare a niente è ancora meglio), se metti gli altri prima di te sei una brava persona.
Sono tutti lavaggi del cervello che creano invidia e rabbia nei confronti di chi si stacca da questo circuito malato.
Avendo distorto anche il concetto di ego, coloro che restano nei "sacrifici" vedono in chi cerca la propria strada soltanto degli stronzi o degli insensibili.
Un sacrificato non riconoscerà mai la realizzazione personale perché non concepisce il sacrificio volto alla costruzione del Sé, preferisce piuttosto crepare servendo quello di qualcun altro.
Per questo prima di ogni altra cosa devi cambiare il modo con cui rispondi alla realtà. Devi osservare la fisionomia dei tuoi pensieri.
Perché in caso contrario diventi l'artefice della tua sofferenza, e senza nemmeno capirlo passi la vita a prendertela con chi non abbassa i propri standard, solo perché non riesci ad alzare i tuoi.
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fuoco-che-accende · 1 year ago
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Dis-abilitá
Dopo 30 giorni di stop mi aspettavo che avrei potuto camminare e invece mi sbagliavo.
Onestamente non pensavo che proprio io avrei mai scritto qualcosa su questo tema ma come si dice, la vita riserva sempre sorprese, ed ecco la mia.
Dopo essere caduta ed aver avuto una distorsione e lesione dei tendini, tutte le mie abitudini e i miei equilibri sono cambiati.
Ho perso la mia autonomia, la mia velocità, i miei sport che mi aiutavano a sentirmi libera nel mondo, il mio equilibrio, la capacità di stare in piedi che si è trasformata in Piede XD, e soprattutto anche i miei muscoli.
Sono cambiati i miei ritmi, se prima per andare al bagno ci mettevo qualche secondo adesso passano dei minuti, se prima mi volevo alzare per riempirmi l'acqua era un'attività da niente "che ci vuole", oggi ci vuole.
Se prima scendere le scale era la norma, ora è diventata una norma chiedere aiuto, prima perché non avevo la forza per fare da sola ora perché anche se ho la forza di fare da sola le mani mi servono libere per mantenermi.
Dis-abilità è appunto la mancata abilità, per me di essere autonoma e camminare senza affaticarmi anche per breve tratti e la lentezza nel fare le cose.
Ma qui ho scoperto l'abilità.
È vero che ad oggi non ho più un'autonomia come prima ma ho scoperto la bellezza del cervello umano, ovvero la capacità di reinventarsi. Quante volte ti è capitato di vedere nelle gare delle persone con degli arti amputati e chiederti "Ma come fa?!" o anche in quei video in cui li vedi nella loro quotidianità che fanno cose che noi persone con tutti gli arti non saremmo in grado di fare.
Ecco, ho scoperto che puoi trovare nuovi modi per fare ciò che vuoi (vero non sempre "leggeri" come prima ma nuovi). Quindi una nuova autonomia nell'usare in modo ingegnoso il mio cervello e il mio corpo e con esso i miei muscoli.
Sembra roba da poco ma per una sportiva vedersi i muscoli rammollirsi non è piacevole, anzi.. Inizi a farti tutti pensieri depotenziati sul tuo corpo, su di te, su come sarà dopo, su tutta la fatica che avevi fatto per crearti quello standard di fisico e poi vedi tutto all'aria.
Poi anche qui ho fatto un piccolo cambio. Anziché giudicarmi per quello che era e vivere in funzione di quello che sarà, ho apprezzato cose nuove e ho fatto pensieri nuovi; banalmente ho pensato che non ho mai passato così tanto tempo senza allenarmi duramente come ero solita fare e che quindi quando ritornerò ai miei ritmi normali avrò non solo una ripresa più rapida ma anche una forma fisica ancora più performante con meno grasso. E poi mi sono resa conto che, proprio perché compio molti sforzi per fare qualunque cosa, mi sto comunque allenando, anche se non alleno tutto. Questo cambio di prospettiva mi sta permettendo di non ingrassare.
Ho anche riscoperto quello di cui avevo bisogno, prendermi i miei tempi.
Negli ultimi mesi mi ero resa conto che spesso mi dicevo che avrei voluto essere in luoghi differenti e avrei voluto fare cose differenti da quelle che stavo stavo facendo in quel momento.
Volevo sentirmi libera di andare al mare senza il pensiero del lavoro, senza il sentirmi il peso delle aspettative che il mio ruolo copriva e fare ciò che il mio cuore mi diceva di fare. Ma poi non lo facevo.
Mi stavo dis-equilibrando.
Me ne ero resa conto ma non facevo molto per cambiare.
E quindi è intervenuto il mio corpo.
Certo, me la sono cercata io la caduta, perché non ho ascoltato il mio corpo quando mi ha detto di fermarmi ma visto che nulla accade a caso e che tutto lo creiamo noi stessi, io mi sono chiesta, in questi giorni ancora di più, "perché ho chiesto di fermarmi?"
Per assaporare la vita.
Fare le cose con calma.
Rendermi conto delle persone che veramente hanno a cuore la nostra relazione e se ne occupano e mi danno una mano.
Dare valore a ogni mio arto.
Scegliere cose fosse il meglio per me e che immagine di me volevo lasciar andare.
E imparare a riprendere le mie buone e sani abitudini:
Meditare = per riallineare i miei pensieri e darmi chiarezza
Pregare = per purificar mi e ricordami di essere umile
Ringraziare= per provare belle e sane emozioni, sentimi ricca di ciò che sono e di ciò che ho
Scrivere= per mettere a fuoco il processo è per lasciar andare
Visualizzare= sentirmi forza creatrice
Sono passati 30 giorni ed questo quello che mi porto.
Ah e stamattina ho appoggiato bene il piede per camminare, quindi da adesso inizia il mio countdown ✨
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scienza-magia · 1 year ago
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Eurozona, tassi ed inflazione rallentano il mercato dell'export
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Tassi, le strade diverse di Fed e Bce. L'economia Usa regge e Powell può alzare ancora. L'Europa invece rischia la recessione. Jerome Powell e Christine Lagarde sono arrivati con stati d'animo diversi tra le montagne del Wyoming, dove ieri si è aperto il simposio dei banchieri centrali organizzato dalla Federal Reserve. Entrambi saliranno sul palco oggi, ma se al numero uno di Eccles Building basterà esibire una bella faccia da poker per non spaventare i mercati, a Madame Bce sarà richiesto ben altro sforzo. Stati Uniti ed eurozona sono al momento affetti da un'inflazione appiccicosa, ma sempre più separati sotto il profilo congiunturale. E questa divaricazione fa una grande differenza quando si deve giustificare la volontà di mantenere una politica monetaria restrittiva. Di sicuro a Jackson Hole ci sono alcuni convitati di pietra evocati fin dal titolo dell'evento («Cambiamenti strutturali nell'economia globale»): il primo è la Cina, con le tensioni geopolitiche ed economiche che la circondano; l'altro sono gli sviluppi della guerra fra Russia e Ucraina; il terzo è il consolidarsi all'interno dei Brics di un nocciolo duro anti-dollaro. Tre incognite di peso, ma non ancora sufficienti per spostare i riflettori dalla traiettoria dei tassi.
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Ed è qui, in quello che per Eurolandia appare sempre più come un terreno minato, che Powell ha ancora margini per incastonare, a ottobre o a novembre, la dodicesima stretta che porterà il costo del denaro al 5,50-5,75%. Come sostiene Blerina Uruci di T. Rowe Price, per il capo dell'istituto di Washington «non è il momento di agitare le acque» mostrandosi troppo «hawkish». Non ne ha neppure bisogno: l'indice Atlanta Fed Gdp Now stima per il terzo trimestre un'espansione del 5,8% sorretta dallo slancio dei consumi, dal rimbalzo della produzione industriale, da un tasso di disoccupazione in calo (al 3,5% in luglio) e dalla tenuta del mercato edile. Al netto delle nuvole grigie nel cielo a stelle e strisce portate dalla decisione di Moody's e Standard&Poor's di declassare alcuni banche e dai 400 fallimenti da inizio anno (il doppio dello scorso anno), si tratta di numeri solidi a sostegno della tesi secondo cui è necessario non togliere il piede dal pedale dei tassi. Anche perché, dopo 13 mesi consecutivi di calo, l'inflazione è salita in luglio al 3,2%. L'aspetto cruciale del discorso di oggi di Powell non è quindi se i tassi saliranno ancora, ma quando smetteranno di farlo. È però probabile che sul cosiddetto «pivot» il successore della Yellen tenga le carte coperte. La sola certezza è che un eventuale taglio del costo del denaro non arriverà prima del 2024, come peraltro confermato ieri da Patrick Harker, presidente della Fed di Philadelphia, che tuttavia prevede «tassi stabili per il resto dell'anno». Più complicato appare invece il lavoro della Bce. La Lagarde ha legato le prossime decisioni di politica monetaria ai dati economici, ma se l'inflazione è considerata ancora fuori controllo malgrado il calo di luglio (6,1% dal 6,4% di giugno), la contrazione subita anche dal settore dei servizi mostra che Eurolandia è sul binario della recessione. Il rallentamento della crescita cinese è un'arma a doppio taglio: se da un lato può accelerare il processo disinflazionistico, dall'altro rischia di indebolire l'export europeo, come già testimoniano le cifre dell'Ocse. L'Organizzazione parigina dà infatti conto che le esportazioni di merci del G20 sono calate da aprile a giugno del 3,1% (dopo +2,2% nel primo trimestre), con l'Italia finita in «rosso» (-0,7% dopo il +4,7% del primo trimestre). Buoni motivi per tenere le mani lontane dai tassi e vedere che succede. Read the full article
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tempi-dispari · 2 years ago
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New Post has been published on https://www.tempi-dispari.it/2023/06/16/new-disorder-allunderground-manca-la-pianificazione/
New Disorder: all'underground manca la pianificazione
I New Disorder sono una band romana nata nel 2009. Hanno all’attivo tre dischi e una miriade di concerti, molti dei quali oltre confine e oltre oceano. Da sempre si sono caratterizzati per un sound unico, riconoscibile. Una commistione di diversi generi perfettamente amalgamati. In questa intervista raccontano la loro storia e, soprattutto, cosa significa suonare dal vivo. Ad arricchire questa chiacchierata c’è il loro concetto di underground con i suoi limiti e le sue potenzialità. Un ricchissimo e stimolante scambio tutto da leggere in attesa di vederli dal vivo al VHellFest.
Una presentazione per chi non vi conosce
Ciao a tutti, siamo una band attiva da 14 anni e in continua evoluzione, al punto che alla fatidica domanda “che genere di musica suonate?” è difficile rispondere anche per noi!
Entriamo subito nel merito dell’intervista: per qualcuno la musica live sta morendo. Cosa ne pensate?
Probabilmente non si può dare una risposta categorica: i grandi eventi di musica dal vivo (tour di grandi band e festival maggiori in primis), indipendentemente dal prezzo dei biglietti che spesso risulta proibitivo, non sembrano soffrire di alcuna crisi evidente. La problematica, invece, sembra esserci soprattutto per gli eventi di media e piccola portata: sono sempre di più gli artisti che, se negli anni addietro sono stati costantemente in giro per l’Europa o il mondo intero per portare la propria musica in sede live, oggi limitano le proprie uscite dal vivo a un numero minimo di date e routing sempre più compresse, per contenere i costi di produzione che hanno subito una netta impennata soprattutto negli ultimi 3-4 anni.
Da qui la scelta obbligata: alzare il prezzo del biglietto avendo come conseguenza la riduzione di pubblico o comprimere le spese (e conseguentemente, lo standard qualitativo dello show) mantenendo inalterati i prezzi? In un caso o nell’altro, la sofferenza del settore appare evidente. Probabilmente si può, a ragione, parlare di crisi nella produzione di eventi musicali live, a cui si aggiunge, sicuramente, anche un mancato ricambio generazionale del pubblico, soprattutto per generi musicali che vanno dal rock al metal più estremo. E, di conseguenza, una riduzione progressiva dell’affluenza.
Che cosa vuol dire per voi suonare dal vivo?
È la cosa che più ci è mancata nei 2 anni di pandemia e la cosa che più ci tiene in vita, come musicisti e come esseri senzienti. Il palco è la nostra comfort zone e ci godiamo appieno ogni singolo show.
Perché avete deciso di prendere parte ad un festival?
Prima della pandemia da Covid-19 siamo stati costantemente presenti nei bill dei festival europei ed italiani ed è una dimensione che amiamo particolarmente anche perché offre maggiori occasioni di contatto con il pubblico e con gli altri artisti. E, nel caso del VHellFest, la buona causa sostenuta dagli organizzatori non può che trovare pieno sostegno da parte nostra.
Secondo la vostra esperienza, come è cambiato il pubblico?
In realtà la sensazione è che il pubblico non sia cambiato più di tanto, ma si sia solo ridotto, probabilmente per le ragioni sopra esposte che riguardano gli artisti di media e piccola portata, categoria in cui rientriamo anche noi.
Vedete un cambio generazionale?
Questa è probabilmente la vera nota dolente: il cambio generazionale non c’è stato o c’è stato solo in parte e questo è drammatico per il futuro della musica non mainstream.
La difficoltà maggiore del suonare dal vivo?
I già citati costi di produzione dei tour, l’impossibilità (a livello underground soprattutto) di potersi esprimere al massimo del proprio potenziale a causa di limitate disponibilità di club adeguati ad allestire uno show di qualità, soprattutto per band piccole e medie.
Cosa manca ai concerti, pubblicità, supporto del pubblico o cosa?
Le limitate risorse economiche con le quali le band piccole e medie devono fare necessariamente i conti impediscono di promuovere adeguatamente gli eventi e, conseguentemente, condannano l’underground a rimanere tale indipendentemente dal valore effettivo della proposta musicale. In poche parole, quanta gente andrà ad un concerto che non ha ricevuto la giusta promozione, al di là di chi vi capita per puro caso?
Una band per cui vi piacerebbe aprire?
Ce ne sono tante, forse troppe! E per alcune ci è già accaduto (nel 2019 siamo stati special guest dei Disturbed nella data di Kiev del loro tour mondiale).
Una che vorreste aprisse per voi?
Qualsiasi band stilisticamente accostabile a noi e di qualità (ce ne sono tante nel nostro underground che nominarne solo una significherebbe fare un torto a tutte le altre).
Il vostro concetto di underground?
Uscire la sera per andare ad ascoltare musica in un live club, constatare che c’è un nutrito pubblico, incontrare gente che si conosce già, almeno di vista, perché si frequenta lo stesso ambiente. E, tutti insieme, entusiasmarsi per la/e performance di una o più band che fino a quel momento non si conoscevano.
La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
Tra le tante, forse l’autoisolamento nella sfera underground che molti artisti si impongono nel rifiutare a priori logiche spesso viste come “commerciali”: non si può distribuire musica senza preoccuparsi di quale sia il proprio pubblico potenziale e, soprattutto, se quel pubblico potenziale possa o meno apprezzare la proposta musicale offerta.
La relativa cura potrebbe essere quella di sviluppare un minimo di capacità di programmazione e di marketing che aiuterebbe certamente a superare questo scoglio. Ovviamente, non si va da nessuna parte se non si è credibili in ciò che si fa, ovvero se la proposta musicale non è coerente con l’immagine che la band mostra di sé, in termini non (solo) di look, ma soprattutto di “attitudine”.
Una band underground che consigliereste?
La lista sarebbe lunghissima, quindi si potrebbe iniziare dalle ottime band che divideranno con noi il palco del VHellFest: Smoking Tomatoes, Stilema, Grandeville, Aetherna, Radio Attiva e Old Bob Gunpowder.
Una mainstream che ancora vi stupisce?
Anche in questo caso la lista sarebbe abbastanza lunga. Primi fra tutti i Trivium perché con ogni disco riescono a portare un sound innovativo, lasciando però inalterata l’essenza della band che permette ogni volta di renderli immediatamente riconoscibili, denotando quindi il grande lavoro che viene svolto dietro ogni album pubblicato.
Una domanda che non vi hanno mai posto ma vi piacerebbe vi fosse rivolta?
Cosa vorreste trovare nel backstage prima (e dopo) un live?
Se foste voi ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervistereste e cosa gli chiedereste?
Sicuramente i Pantera, sound che ti spettina, riff innovativi, con la loro musica sono riusciti ad influenzare tutto quello che è venuto dopo; per esempio in gruppi Groove Metal come i Lamb Of God troviamo moltissimi richiami proprio allo stile dei Pantera. Se li potessi intervistare penso che per prima cosa chiederei a tutto il gruppo come avviene il loro processo creativo, subito dopo prenderei Dimebag Darrell da parte e gli chiederei come fa ad avere un suono così chiaro ma allo stesso tempo potente con la sua chitarra.
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marissadennis · 2 years ago
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Quanto dovrebbe essere alto un lavello da cucina con piedistallo?
Un ottimo modo per sostituire il tuo lavabo in rame esistente con un lavello a piedistallo, potresti chiederti esattamente quanto dovrebbe essere alto un lavello da cucina di base. In questo articolo imparerai a capire l'altezza del tuo lavandino in modo che una persona possa installarlo in modo sicuro ed efficiente. Prima di decidere di installare il tuo nuovo lavandino a piedistallo, una persona deve prima capire se è il palcoscenico. Esamina il punto centrale che coinvolge il lavandino e persino il piedistallo con del nastro adesivo. Se necessario, utilizzare paracolpi in gomma per porte dell'armadio o cuscinetti in memory foam per livellare la ciotola. Quindi, usa il tuo 2 piedi. livello per livellare i fattori di montaggio sul pavimento e sulla parete. Una volta che il lavandino sarà a livello, fai scorrere il piedistallo contro il muro. Se prevedi di installare un ancoraggio, segna i punti di foratura sulla parete o sul pavimento con una matita.
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Usa una spatola da 12 o anche da 10 pollici
Prima di installare un nuovo lavello, devi assicurarti che le pareti e il pavimento siano sufficientemente piani e resistenti da sostenerlo. Queste possono facilmente essere classi complicate senza borchie all'interno del soffitto per aiutare un lavandino. Poco prima di montare il tuo lavello nuovo di zecca, devi praticare dei fori pilota oltre a fissare i bulloni di sospensione. Una volta che i fori sono stati tagliati, è necessario utilizzare del nastro per cartongesso per creare una toppa appuntita e quindi utilizzare altri due strati di composto per giunti. Puoi anche utilizzare una spatola da 12 o 10 pollici per creare una toppa appuntita. Se stai sostituendo un lavandino attuale, assicurati di acquistare il battiscopa.
Non appena hai determinato l'altezza del tuo lavello fresco, devi decidere se un lavello di altezza standard o personalizzato è appropriato per il tuo spazio. Un lavello di altezza standard è progettato per adattarsi alla vasta gamma di persone. Un lavandino ad alta altezza rende difficile per le persone con disabilità utilizzare il lavandino. Inoltre, un lavandino ad alta altezza può creare uno sforzo fisico alla schiena e persino alle spalle.
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Come linea guida generale, i lavelli a piedistallo di solito hanno un'altezza compresa tra 29 e 33 pollici di larghezza. Questo è normalmente sufficiente per molte persone. Ciò consente un facile utilizzo delle maniglie e un rapido accesso al piatto. Armadi di vanità che utilizzano una selezione di lavelli incorporati da 30 a 36 pollici di altezza. Tuttavia, un lavello a piedistallo può essere fino a 10 pollici più in alto o al di sotto del piano di lavoro, quindi tienilo sempre a mente quando scegli un lavello da cucina nuovo di zecca.
Assumi un professionista
Come affermato, i lavelli a colonna sono generalmente pesanti se non montati correttamente. Un catino di porcellana pesa una quantità considerevole. Assicurati di collegare in modo sicuro la parete posteriore con i particolari bulloni del lavandino o rischi di rompere il piedistallo. È preferibile assumere un esperto nel caso in cui non sei un tuttofare. La procedura è semplice, ma se non sei sicuro, è meglio che qualcun altro faccia il lavoro per te stesso.
Aggiorna gli armadi esistenti
Per aumentare l'altezza particolare del lavello della cucina di base, una persona può scambiare là fuori gli armadi attuali con quelli più alti. La maggior parte degli armadi al giorno d'oggi sono generalmente 36 pollici, inoltre ciò significa che il lavello a piedistallo da 32 pollici aggiungerà un paio di pollici al piano di lavoro. Puoi inoltre acquistare dei distanziali sotto la base dei pensili per alzare il gavone. Con questo approccio, puoi utilizzare lo stesso lavello a colonna sia nella tua cucina che nel tuo bagno. Anche se potrebbe sembrare imbarazzante se possiedi i blocchi in cima ai tuoi armadietti.
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mudimbi · 3 years ago
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LA MIA SECONDA PRIMA VOLTA
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Sono agitato? Forse.
Sì, credo di sì.
È passato così tanto tempo che non ricordo nemmeno più come ci si agita. Credo di esserlo un po', ma forse non abbastanza.
Non manca tanto allo spettacolo. Non so. Due ore, Forse tre. Credo quattro.
Le prove sono andate così così, nel senso che sono andate bene credo, ma anche quelle non mi ricordo più com'è che andavano una volta. Ricordo che non gli davo nemmeno peso "tanto lo so come si fa, figurati se mi servono le prove". Oggi non mi ricordo nemmeno più come si fanno le prove. Dovrei stare attento ai volumi? Mi sento troppo? Mi sento troppo poco? Ci sono le spie, ma io non canto più con le spie non so da quanto. Usavo gli in-ear. Gli in-ear mi hanno rammollito. Sono un viziatelo da in-ear. Sta a guardare. No, ora dimostro a me stesso che sono ancora quello tosto di una volta, che cantava nei rave sotto cassa, nelle serate d'n'b gonfio di droga o nelle dancehall in spiaggia ubriaco e fumato. Sono sempre io. Ce la facevo una volta, ce la faccio ancora. Spero.
"Pier mi puoi alzare solo un po' la voce in spia?"
"Purtroppo no, perché dalle spie esce quello che esce anche fuori e se alzo la voce a te la alzo anche al pubblico."
"Ah."
Sono fottuto.
Sono fottuto.
Sono in un mare di merda.
Già non so se mi ricordo i testi. Quanto tempo è passato dall'ultima volta? Credo fosse l'estate del 2018. Cristo è dal 2018 che non tengo un microfono in mano?! Ma com'è possibile?! Ma che sono stato criogenizzato per tutto questo tempo?!
E poi io la maggior parte delle canzoni che canterò stasera non le ho mai cantate proprio se non quando le ho registrare, due anni fa. Sono fottuto, lo sento.
Sono due settimane che le canto tutti i giorni e tutti i giorni sbaglio qualcosa. Le ho cantante anche un paio d'ore fa, in camera. Stavolta mi sono anche mosso un po' per vedere se mi reggeva anche il fiato mentre mi muovevo. Risultato? Sono in un mare di merda. Avrei dovuto farmela qualche corsetta. Non sono più il ghepardo di una volta. Fottuto divano. Fottuto lockdown. Fottuto io più che altro.
E poi sono un po' preoccupato per i testi. Perché questo non è il mio pubblico. A proposito:
"Ste ma che tipo di pubblico c'è stasera?"
"Vario."
"Ah."
Che cazzo vuol dire vario? Sicuro che al primo "troia" che dico mi arriva una shitstorm di proporzioni bibliche. Però con Gio abbiamo rivisto la scaletta. Credo che così qualche speranza di salvarmi ce l'ho. Iniziare con Ballo era decisamente troppo hardcore. La mia idea era entrare a gamba tesa, ma non sapevo che prima di me ci sarebbe stato uno spettacolo di burlesque. Entrare in scena dopo due ore di burlesque con un "Tra te e la tua amica non so chi è più troia. Girate in due tu succhi lei ingoia." a un non so che di terroristico. Io non faccio musica per questo. Meglio entrare con Il mago. Così mi scambiano per un bravo ragazzo.
Quanto manca?
Un'ora.
Diciamo un'ora.
Bello il burlesque, non l'avevo mai visto.
Sono agitato? Non capisco se sono agitato o meno. Sta a guardare che cinque minuti prima di salire sul palco mi viene il cagotto. Sicuro. Matematico.
Però ho voglia di salire sul palco. Sì, mi sa che ho voglia. Vorrei salire ora. Però ora sul palco c'è Gonzalo completamente nudo con palle e pisello in un sacchetto tempestato di paillettes. Forse aspetto a salire.
Ma non manca molto.
Sento che da un momento all'altro inizio ad agitarmi. Che tra l'altro avrei anche ragione a farlo. Mi agitavo prima quando ero in tour da tre anni, provavo in continuazione le mie canzoni, cantavo con gli in-ear, avevo un...microfono radio! Cazzo non hanno il microfono radio! Glielo avevo anche chiesto! È l'unica cosa che avevo chiesto. Non canto con il microfono a filo dal 2013. Sicuro che con quel filo mi lego per le caviglie come un agnellino. Sicuro. Una volta l'ho strappato con i piedi mentre saltavo sul palco. Che giovane. Che energia. Ok devo ricordarmi di muovermi poco per due motivi: il fiato e il cavo. Ok. Ma se non mi muovo che cazzo faccio? Magari canto.
"Mudimbi!"
Che è?! Ah devo salire. Cazzo, mi sono scordato di agitarmi. Merda. Partiamo male.
Ecco il microfono col cavo. Che bello, mi ci posso impiccare. Ora dico qualcosa di simpatico.
Fatto.
Vabbè cantiamo.
Il mago la so abbastanza dai. Sarà che l'ho cantata sul peggiore, nel senso di ansia, dei palchi. Direi che su questa sono a prova di bomba. Dai sto andando bene, anche il fiato regge. Si alla fine ho fatto bene a cambiare la scaletta. Ballo è complicata anche a livello di fiato, oltre al fatto che non l'ho mai cantata prima in pubblico. Il mago è il migliore dei rodaggi. Ah ok, questo è il buco strumentale dopo il secondo ritornello. Faccio il balletto. Mi sento un coglione. Madonna mi sembro un ciocco di legno. Che schifo. Mi dispiace che sta gente abbia pagato per vedere sta roba. Vabbè. Devo cantare lo special adesso. Comunque dai, è quasi finita. Intendo questa canzone. Alla fine la prima ce la siamo quasi tolta.
"...il mago, c'est moi!"
Finita.
Mo che cazzo dico?
Improvviso.
Meglio se improvviso che quando mi preparo le cose sembro ancora più legnoso di quanto già non mi senta.
Comunque gli devo far capire che le cose che dico non vanno prese alla lettera. Per forza, glielo devo far capire, che sennò entro domani finisco a testa in giù su una croce. Simpatia. La butto sulla simpatia e sul non prendermi troppo sul serio che io sto qua a cantare canzoni mica a fare un comizio.
Simpatia...simpatia...
Chissà se gli sto rimanendo simpatico? Secondo me invece gli sto andando più sul cazzo che altro. Fammi cantare va.
"Muoviti muoviti come se nessuno qui guardasse te."
Cazzo questa è tosta. Parte in extra-beat. E io non so manco se mi basta la saliva che c'ho in bocca. Alla fine de Il mago mi si stava attaccando il labbro superiore alla gengiva tanto mi si era seccata la bocca dall'agitazione. Devo ricordarmi di bere.
Oh ce l'ho fatta. Ho fatto l'extra-beat. E non è stato manco na merda dopotutto. Dai che un po' ho capito come regolarmi con queste spie. Però mi sento sempre un ciocco di legno. Ma com'è che facevo prima? Mi ricordo che ero così agile, così sciolto. Bò.
È già finita?
Cazzo.
Quindi adesso Ballo.
Faccio una premessa? Non la faccio? La faccio breve che le premesse mi stanno sempre sul cazzo, sembra che ti stai a giustificà quando nessuno t'ha ancora detto niente. E che c'hai la coda di paglia?
Ok vado. La canto.
"..........................troia..........................."
Nessuna m'ha tirato una scarpa.
Forse non l'hanno sentito.
Effettivamente l'ho detto veloce.
Vabbè mejo così.
"......ma non è colpa mia se sei una vacca quella non è una vulva è una baracca..."
Aridaje.
Ma che c'avevo quando ho scritto sta canzone? Perché io lo so il significato che sta dietro alle parole che uso, ma davanti a un pubblico che non conosco, dopo quasi tre anni, un po' di ansia che all'improvviso parta un plotone della morte per asfaltarmi mi viene.
".......mi avvicino alla vecchia puttana..."
Ho finito!
Basta. Ce la siamo tolta dal cazzo.
Madonna.
Però sono vivo. Senza segni di percosse. E la gente? La gente era presa bene. Non li vedo tutti perché c'ho i fari puntati al centro delle pupille che anche se mi muovo mi seguono, ma ho percepito della presa a bene.
Dai.
Dove sono quei due ragazzi che mi sono venuti a salutare prima? Mi sa che mi avevano detto dove si sarebbero seduti ma forse l'ho dimenticato. Vabbè, meglio quello che i testi delle canzoni. Comunque mi ha fatto troppo piacere vedere che almeno due stronzi si ricordano di me e si sono fatti la sbatta di venirmi a vedere stasera. Chissà se l'hanno capito che ero veramente felice e anche un po' imbarazzato? Magari avranno pensato che recitassi, il finto cordiale. Sono contento che almeno loro due siano venuti per me stasera.
"Supercalifrigida!"
Questa me la canto davvero da Dio. Bé la canto da quando avevo diciott'anni, se non canto bene questa non canto bene niente. Il fiato c'è. Non mi devo nemmeno muovere troppo, perché questa mi piace cantarla stando abbastanza sul posto. Granitico. La canto da paura. Quanto gli voglio bene a questa canzone. È stata la mia croce e la mia fortuna. Al mio funerale suonate questa per favore. Ma poi, posso dirlo? La canto molto meglio adesso che quando l'ho registrata. Senti che voce che ho adesso. Riesco a tenere un timbro molto più basso, senti come vibra. Quando l'ho registrata c'avevo na voce di uno a cui non sono ancora scese le palle. Forse la devo ri-registrare va.
"...ma siccome tutte le cose belle finisco, siamo già arrivati all'ultima canzone."
Ammazza, già è l'ultima.
Qua mi devo impegnare. El Matador è complicata. Devo fa un sacco di voci diverse. Non so se me le ricorde tutte. Vabbè mo qualcosa m'invento. Oh, comunque alla fine sbaglio sbaglio, mica ho sbagliato così tanto. Sì giusto 2 parole mangiate, ma tanto la gente mica sta a sentì a me, figurati.
Ok vado.
"Sono il più amato dai poveri. Apro ricoveri. Regalo vestiti Coveri."
Dinamicità fratello, dinamicità. Qua ti devi muovere. Ma non mi ricordo come si fa cazzo. Quando torno a casa mi guardo due tutorial di danza.
Aspetta, qui mi ero preparato un passo.
Eccolo.
No.
Non lo sto facendo come me l'ero preparato.
Vaffanculo Michel.
Ok, tra un po' c'è un altro momento identico. Ci posso riprovare.
Eccolo.
Vai.
Lo sto a fa uguale a prima porca di una troia puttana.
Vabbè a casa me lo provo.
Tanto loro non lo sanno che volevo fare un'altra cosa, quindi tranquillo.
Finito.
Non ci sto a capì un cazzo.
Ma com'è andata?
Già che non ho sentito un vaffanculo per me è stato un successo.
"Bis!"
Che ha detto?
"Bis!"
Ma sai che ti dico? Ma chi cazzo se ne frega, stasera vale tutto. So arrivato vivo fino a qua. Famo il primo bis della mia vita.
Supercalifrigida.
Che bellezza. Non avevo mai fatto un bis. È una bella sensazione. È bello vedere che la gente non vuole farti scendere dal palco. Forse non ho fatto così schifo come penso. Che poi non penso di aver fatto schifo. Sicuramente sono stato sottotono per i miei standard. Ma è pure passato del tempo. E c'ho pure n'età.
"Grazie!"
E adesso che succede?
Devo scendere dal palco, ok. Ma dopo?
Mi spaventa questa parte.
Scendere dal palco è sempre un momento decisivo. Più che salirci. Parlo per me almeno.
Scendo pieno d'adrenalina. Pieno di entusiasmo. Pieno di speranza.
Speranza in cosa? In qualcuno che mi dica "Cazzo sei stato bravissimo! Hai spaccato!". Perché io sono il primo a dire che dei complimenti non me ne frega niente, ma solo finché me li fanno.
Comunque ora vedremo.
Spero che vado bene.
Spero davvero che vada bene.
Sono agitato? Forse.
Sì, credo di sì.
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krystarka · 4 years ago
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Questa è la fanfiction che sto pubblicando attualmente e, come spesso accade, la storia definitiva ha preso in alcuni punti delle svolte diverse da quelle inizialmente previste. Qui sotto potete trovare uno dei pezzi ‘scartati’ che non sono mai stati inseriti nella storia ma che forse a qualcuno farà piacere leggere comunque! La foto di copertina che vedete qui sopra è scattata da me e ritrae una delle creazioni di Chimerical Dragonfly Questa parte è ambientata dopo il capitolo ‘Io ti ammazzo Malfoy’. (disponibile su OA3 e NA in versione integrale e su EFP e Wattpad in versione censurata) ***   Erano passati due giorni dall’incidente nella classe di difesa e i pettegolezzi erano stati molteplici anche se in pochi, tra gli studenti, avevano effettivamente capito cos’era successo e le voci erano molteplici e contrastanti. Da allora ne il professor Piton ne Harry Potter erano più stati visti nella scuola. Hermione, dopo due settimane a studiare l’argomento, si era fatta un’opinione abbastanza chiara di cosa era successo ed era furiosa. Non riusciva a credere che il suo ragazzo e il suo miglior amico avessero glissato sulla cosa per così tanto tempo, tenendola volontariamente all’oscuro sia del fatto che Harry era un Alpha, sia che era legato a Piton. Ron aveva cercato in tutti i modi di stemperare la sua ira, ma con risultati davvero scarsi e l’unica cosa che era riuscita ad ottenere era la promessa che non avrebbe parlato in giro con nessuno della cosa. Questo non le impediva di continuare ad insistere, sia chiedendo dove fossero Harry e Piton sia come fosse possibile che avessero mantenuto il riserbo con lei. La ragazza intuiva la necessità di mantenere riservata la relazione, soprattutto da quando, dopo molte insistenze, Ron le aveva confessato che Harry e Piton aspettavano un figlio. Gli ci era voluta circa mezza giornata per digerire l’informazione ma adesso era di nuovo presa dal bisogno di maggiori informazioni, che il suo ragazzo sembrava recisamente convinto a non darle. Erano tra i pochi che non erano ancora scesi per colazione, quella mattina, e la Sala Comune era deserta, quando chiese: “Va bene. Capisco che Harry non volesse ulteriori attenzioni su di se, e capisco che fosse in imbarazzo per quanto riguarda la relazione con un insegnante e con Piton in particolare.” Prese fiato. “Guarda Ron, ci ho pensato, e capisco anche che stavate cercando di darmi la notizia con calma, ma spiegami perché adesso Harry non è qui, almeno! Dove diavolo sono finiti, tutti e due, comunque?” Ron arrossì anche sulle orecchie e schivò il suo sguardo indagatore: “Hermione, è quasi autunno… sai?” Per un attimo la ragazza credette davvero che Ron volesse distrarla parlando del tempo, poi comprese all’improvviso e, arrossendo a sua volta domadnò in un bisbiglio, sebbene fossero soli: “Ma ci saranno delle pause, no? Per mangiare e…” Ron scosse la testa senza alzare gli occhi: “Ne dubito. Non molte comunque.” “E per quanto…?” Ron scattò esasperato: “Cosa vuoi che ne sappia? Sei tu che hai letto tutti quei libri!” Ma una cosa era leggere dei libri e un’altra era sapere che il suo amico era un Alpha… “Sì, be’, i libri dicono una settimana, più o meno.” “Bene.” Rispose Ron piccato. “Ne sai più di me, visto?” e senza attendere si diresse verso l’uscita, sperando di fermare il fiume in piena delle sue recriminazioni una volta che non fossero più stati soli. Hermione era frustrata da tutta la faccenda e le cose peggiorarono quando arrivò a colazione e i gufi le consegnarono la posta. Il Profeta titolava in prima pagina:   Harry Potter coinvolto in una frenesia da calore.   A quanto pare ci sono ancora molte cose che il mondo magico non sa del suo Salvatore. A quanto pare Potter è un Alpha, anche se è sempre stato incredibilmente riservato in merito. Se questa rivelazione non ci sorprende più di tanto, in quanto tutti conosciamo la fama di forza e coraggio legata agli Alpha, fa invece notizia il suo recente legame, già registrato presso il Ministero, come ci informano alcune fonti vicine a questa giornalista, con il noto ex Mangiamorte o forse eroe di guerra Severus Piton. Sebbene in passato ci siano state delle voci non confermate, le recenti ricerche fatte sulla Lista confermano che Severus Piton fosse precedentemente legato a voi-sapete-chi in persona, quindi non è inconsueto che Harry Potter abbia rivendicato per se l’Omega che apparteneva al suo nemico. La vicenda è venuta alla luce nei giorni scorsi, quando Potter è rimasto coinvolto in uno scontro con un altro Alpha, Draco Malfoy, per il possesso dell’Omega che pare sia andato in calore durante una lezione nella scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dove insegna.  (continua a pagina 3) (per il  sondaggio se sia lecito che un Omega possa insegnare, pagina 5 e 6) Hermione chiuse il giornale con faccia mortalmente seria e, prima che Ron potesse dire anche solo una parola era già in piedi, il giornale ancora in mano e diretta verso il tavolo di Serpeverde, dove Malfoy stava mangiando da solo, piuttosto discosto da tutti i compagni. “Tu! Sapevo che eri un orribile viziato e pallone gonfiato, ma questo! QUESTO!” disse sbattendo il giornale davanti a lui e centrando il piatto pieno “Questo è disgustoso anche per il tuo solito! Come hai potuto andare a dire a quella donna…” Draco non la lasciò finire e sibilò piano, sporgendosi in avanti “Io non ho detto proprio nulla, ignorante che non sei altro!” poi una volta che Hermione si fu zittita per ascoltare il resto e decidere se stava mentendo come al solito, continuò “Forse tu non te ne rendi conto, ma quell’articolo insulta anche me! Mi hanno fatto apparire come un cucciolo che va fuori di testa al primo Omega in calore che vede! Sono un Alpha e sono maggiorenne e è molto disdicevole quello che è successo. Me ne vergognavo abbastanza anche senza che la cosa venisse messa su pubblica piazza!” Ron si era avvicinato per cercare di arginare uno scontro proprio quando qualcuno alla destra di Draco disse a voce alta: “Oh, ma povero Draco! Nonostante i tuoi soldi non sei nemmeno in grado di trovarti una cagna tutta tua! Deve essere frustrante vedere che Potter è riuscito a trovarne una e tu no. Certo che il Salvatore deve avere standard davvero bassi se gli vanno bene gli scarti del Signore Oscuro! Ma poi cosa importa? Una cagna è sempre una cagna, immagino che finché è fertile e in grado di muovere il culo a voi vada bene lo stesso.” Hermione vide contemporaneamente Draco  girarsi verso la voce e Ron impallidire e dire sferzante: “Mia madre è un Omega, Nott.” Il serpeverde lo guardò come se Natale fosse arrivato in anticipo. “Oh, lo sappiamo, Weasley. E’ ovvio che tua madre è una cagna, altrimenti non si spiegherebbe il numero di voi in circolazione!” Ron aveva già la bacchetta in mano ma Draco rispose più rapidamente: “Anche mia madre è un Omega, Theo.” Il ragazzo ghignò soddisfatto mentre alle sue spalle Millicent sogghignava. “Oh, ma certo! Come ho fatto a non pensarci? Almeno tua madre è riuscita a produrre un Alpha, anche se mi chiedo di che genere, guardandoti meglio! Dopotutto c’è da chiedersi che tipo di tare genetiche abbia la tua famiglia visto che hanno avuto un solo figlio. Non sarà che tuo padre, quando lei gli presentava il culo, preferiva invece farsela con il suo amico Piton? Deve essere una cagna di tutto rispetto se riesce ad irretire tutti voi Alpha in questo modo. Ha presentato il suo culo sfondato anche a te, Draco?” Ron era paonazzo e Draco invece, come il vigliacco che era sempre stato, semplicemente si alzò piano e cominciò ad aggirare il tavolo, per andarsene. “Rimangiati tutto, Nott.” Disse Ron con la mano tremante sulla bacchetta mentre Hermione sfoderava la sua e la puntava su Millicent. Il ragazzo gli rise in faccia: “E se non lo faccio? Io sono disarmato, vuoi colpirmi lo stesso, Eroe?” Hermione lo vide arrivare prima ancora che chiunque altro potesse accorgersene. La maledizione colpì Nott in pieno petto, sbattendolo contro il muro alle sue spalle e facendogli sputare sangue e subito dopo venne colpita anche Bulstrode, per buona misura. “Bene per me che io non sia un eroe, allora.” Strascicò le parole Draco, gelido, da un punto oltre il tavolo di Serpeverde da dove aveva lanciato gli incantesimi. Era stato astuto, da parte sua, intuì Hermione, perché almeno in questo modo si era allontanato da molti dei Serpeverde che avrebbero appoggiato Nott in una lotta e si era invece avvicinato al lato del tavolo di Corvonero che invece avrebbero volentieri incrociato le bacchette con i  figli degli ex mangia morte. La preside arrivò sulla scena in quel momento, e dal suo viso tutti poterono intuire che le cose non sarebbero state prese alla leggera. “Esigo di sapere cosa sta succedendo!” disse dopo aver lanciato un rapido incantesimo per fermare il sangue che Nott e Bultrode continuavano a perdere da naso e bocca. Nott rispose appena ebbe il fiato per farlo “Lo ha visto! Malfoy mi ha colpito senza nessun motivo, solo perché le mie opinioni differiscono dalle sue!” La donna fece un cenno a Malfoy che avanzò circospetto e poi chiese: “E quali sono queste opinioni, signor Nott?” Hermione disse in tono chiaro: “Sono, irripetibili e offensive, Preside.” La donna la guardò critica. “Nonostante questo gradirei sentirle. Dopotutto è sensato che una persona abbia delle opinioni personali, signorina Granger.” Nott ghignò e disse piano. “Credo che Malfoy, ma anche Weasley, non amino che gli venga ricordato che le loro madri sono, a tutti gli effetti, delle cagne e che, proprio oggi, dovrebbero essere, precisamente, delle cagne in calore.” La Preside inarcò un sopracciglio e non mostrò altra espressione. “Esaustivo, signor Nott.” Poi si girò verso Malfoy con occhio critico “Cinquanta punti in meno a Serpeverde per aver attaccato due compagni, Signor Malfoy, e un mese di punizione con il signor Gazza.” Draco abbassò testa e bacchetta e non replicò nemmeno davanti all’espressione di puro trionfo sul viso di Nott. La Preside però non aveva ancora finito. “Bene signor Nott, tornando a lei, siccome mi ha fatto notare di essere una persona con delle proprie opinioni, e siccome lei è maggiorenne, la pregherei di andare a fare i suo bagagli e lasciare la scuola entro sera.” Il sorriso scemò dal viso del ragazzo, che chiese tagliente. “Quindi mi sta dicendo che questa scuola accetta solo chi ha opinioni uguali alle sue, Preside? Credevo ci fosse ancora libertà di pensiero!” La McGranitt non si scompose. “Lei è liberissimo di pensare quello che preferisce, signor Nott, semplicemente questa scuola non accetta studenti che non capiscono la differenza tra opinione e insulto. Lei ha insultato non solo le madri dei suoi compagni ma anche uno dei professori da me scelti e intrinsecamente me per aver fatto quella scelta. Se lei fosse minorenne mi limiterei a punirla, ma lei è un adulto responsabile delle proprie azioni e delle proprie parole e sono certo che si troverà molto meglio a studiare in una scuola che scelga professori conformi alle sue opinioni. Se vuole accettare un consiglio, escluderei Beauxbateau e Durmstrang.” Nott si alzò rigido e cereo e uscì dalla Sala Grande seguito da un forte applauso alla nuova Preside. Hermione però notò che l’applauso era tutto meno che generale.   Quel pomeriggio Ron e Hermione si appressarono a Malfoy che stava studiando da solo in biblioteca. Ron, anche se la sua avversione per Draco era sempre alta, gli elargì un sorriso a tutti denti. “Ti devo cinquanta punti Malfoy. Sono di nuovo portiere della squadra di quidditch e puoi dire ai tuoi che i primi cinque tiri contro Grifondoro li lascerò passare senza nemmeno provare a pararli!” Il ragazzo sollevò gli occhi dal libro e assottigliò la bocca per un attimo: “Io non sono più in squadra, invece, Weasley. E per quello che me ne importa potevano anche togliermene mille, di punti.” Hermione cercò di essere conciliante. “Volevo scusarmi per averti attaccato prima. Io non avevo capito, mi dispiace.” Malfoy la guardò e assentì facendogli un cenno come per invitare entrambi a sedersi con lui al tavolo vuoto. “Non ti devi scusare. Avevo capito.” Ron disse rapido e un po’ impacciato: “Non sapevo di tua madre… è raro…” Hermione chiese confusa: “Cosa è raro?” Malfoy spiegò paziente. “E’ raro che una coppia Alpha Omega abbia solo un figlio e è ancora più raro che sia un Alpha, come dimostra la famiglia Weasley.” “E’… c’è una spiegazione scientifica… voglio dire…” Draco rispose con voce appena udibile. “Tecnicamente sì. In pratica è un gene che tende a essere casuale, come i metamorfomagus. Può ricomparire anche dopo generazioni o non comparire affatto. Ci sono degli studi che spiegano che in questo caso il gene tende ad evitare la famigliarità. In pratica si preserva dalle tare genetiche evitando la possibilità di concepimento tra consanguinei. Purtroppo la realtà è diversa.” Hermione era interessata, visto che non aveva trovato nulla del genere nei libri che aveva letto. “Come può essere diversa?” Ron la guardò a occhi sbarrati e poi abbassò la testa, lasciando a Malfoy l’onere di spiegare. “Granger, lo hai sentito Nott. La maggior parte delle persone la pensano come lui, non come la mia famiglia o i Weasley. Gli Omega sono ancora più rari degli Alpha, quindi le famiglie purosangue che hanno un erede Alpha, pur di garantirsi una discendenza, sono soliti condividere lo stesso Omega. Non è infrequente. Forse avrai notato che Nott ha solo suo padre e Zabini solo sua madre. Ma è un esempio. Ce ne sono altri, anche se non molti visti i nostri numeri limitati.” Hermione era sbiancata, tutto il sangue gli era defluito dalla faccia e le sue labbra erano bianche come gesso: “Stai dicendo che Nott e Zabini sono fratelli?” “Tecnicamente non lo sono. Gli omega non hanno rilevanza, ai fini legali. O così la pensano tutti. E questo fa sì che spesso siano consentiti matrimoni tra fratellastri.” Poi, dopo un attimo aggiunse piano “come nel caso dei miei genitori, in effetti. E’ per quello che Nott parlava di tare genetiche. Il padre di mia madre ha offerto la sua Omega al padre di mio padre. E’ stata una coincidenza praticamente unica che abbiano avuto un Alpha e un Omega. Così li hanno promessi fin dal giorno in cui mia madre è nata. Per preservare il sangue, sai. E’ anche il motivo per cui sono figlio unico. In effetti quella è una tara genetica.” Draco parlava in tono monotono, come se non avesse importanza, ma era chiaro che l’argomento lo feriva. Hermione non riuscì a fermarsi: “Deve essere terribile. Voglio dire…” “Lo è. E’ già abbastanza brutto sentirsi rinfacciare… lasciamo stare. Non sono cose destinate a cambiare.” Poi dopo un attimo di silenzio imbarazzato Malfoy chiese: “Quindi alla fine è Potter, l’Alpha del mistero?” Ron lo guardò senza capire: “Alpha del mistero? Perché?” Malfoy tornò al suo solito tono strascicato. “Oh, solo perché tutti gli Alpha del mondo si stavano chiedendo chi avesse rivendicato Piton, visto che è entrato e uscito dalla Lista così in fretta che nessuno ha fatto in tempo ad accorgersene!” “Ah, quello.” Disse Ron incerto. “Be’ sì, allora sì. E’ Harry.” “Buono a sapersi. Le alternative non erano molto… rassicuranti.”  
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levysoft · 4 years ago
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Storia degli oli
Come rendere i paperi meno “cartoonosi”? Come renderli realistici? Come colorare il bianco piumaggio? Come dosare un misto tra bianco, grigio e giallo, in modo da avere il giusto impatto nella composizione complessiva del quadro?
A questi e ad altri problemi Barks si trovò di fronte quando, in maniera un po’ casuale, cominciò a realizzare quadri di paperi. Già nel 1955 aveva approcciato la pittura ma, essendo la produzione fumettistica impellente, non poté particolarmente concentrarvisi. Sua moglie Garé era la vera pittrice della famiglia, brava nel realizzare paesaggi montani che vendeva nelle fiere di paese. Fino al 1966, comunque, non ci fu tempo per questo. Barks vedeva la pittura, non necessariamente Disney, come un hobby, un piacevole divertissement da usare durante la pensione. La piega che prese fu invece del tutto diversa.
La prima fase fu decisamente di rodaggio. Da un lato, Garé forniva i contatti giusti per realizzare soggetti americani (indiani, paesaggi, chiese missionarie, l’America del tempo che fu), dall’altro Barks studiava per capire come usare gli oli, come dosare i colori, come sfruttare lo spazio della tela.
La svolta avvenne il 30 maggio 1971 quando l’appassionato di fumetti Glenn Bray, insieme con altri fan, andò a visitare Barks e, vedendo tanti quadri, gli propose di realizzarne uno a tema Disney. Il maestro dell’Oregon all’inizio rifiutò, schermendosi dietro l’inesperienza e sollevando il problema legale, dato che non aveva l’autorizzazione per usare Paperino e gli altri. Ma di fronte all’insistenza di Bray, e ad una proposta di 150$ (i quadri che Barks vendeva all’epoca andavano tra i 15 e i 50$), la ritrosia cadde e l’accordo fu suggellato da una stretta di mano. Barks contattò allora George Sherman, capo del Disney’s Publications Department, per chiedere una mano nell’ottenere l’autorizzazione. Nel frattempo, anche Donald Ault, un altro grande appassionato delle storie dei paperi disneyani, da tempo insisteva perché Barks realizzasse quadri con quei personaggi. Il Maestro dell’Oregon cominciò a capire che, al netto delle difficoltà tecniche e legali, poteva esserci un interessante mercato potenziale. E infatti, una volta ottenuta l’approvazione, la situazione cambiò radicalmente: in poco tempo piovvero numerosi ordini e la lista d’attesa divenne sempre più lunga. Il procedimento poteva prendere parecchio tempo, perché i committenti proponevano suggerimenti e migliorie, mentre Barks mandava preliminari da far approvare.
Garé, la vera esperta di quadri, era fondamentale nel giudicare quando si trattava di un buon lavoro oppure se c’era ancora qualcosa da sistemare. Barks si sentiva finalmente un artista, ed era a disagio nel dover realizzare ancora le sceneggiature delle Giovani Marmotte (nelle sue lettere le definiva in una maniera piuttosto colorita che qui preferiamo non riportare).
I quadri finalmente gli permettevano di avere un rapporto diretto con l’utente finale. Nei venticinque anni passati a realizzare fumetti Barks non ebbe mai i complimenti dei lettori, nessuna comunicazione, se non quella con il suo editor Chase Craig che, solo poco prima del suo ritiro, provò a fargli cambiare idea elogiando il lavoro di una vita. Con i quadri era diverso: nelle piccole fiere di provincia, o con i committenti che gli proponevano modifiche, sapeva per chi stava realizzando l’opera, dove sarebbe andata.
Nell’autunno 1972 la lista d’attesa era di 150 quadri. Né Barks né il suo “agente de facto” Ault sapevano come gestire la cosa: l’idea fu di alzare i prezzi – da 150$ a 200$ – vendendo i quadri solo tramite una ristretta mailing list.
La figura fondamentale per l’allargamento del mercato fu Russ Cochran. Commerciante di tavole originali, nel 1973 cominciò a pubblicare Graphic Gallery, un catalogo cartaceo in cui vendeva strisce, cel d’animazione e materiale originale. Barks ebbe subito il suo spazio. In parallelo, cominciavano a crescere le prime fiere del fumetto, da Houston a San Diego a New York, e Cochran chiedeva materiale da utilizzare per aste improvvisate, aste telefoniche e poi vere e proprie aste ufficiali. I prezzi salirono a 500$, mentre Barks lavorava su quattro priorità: qualità, velocità, profitto e ampiezza del mercato.
Se gli ultimi due aspetti miglioravano costantemente, era meno semplice soddisfare i propri standard qualitativi con i ritmi imposti dal mercato. Specie se i gusti del pubblico andavano su quadri con montagne di denaro, interni del deposito, gioielli, ori e preziosi: belli da disegnare, interessanti da ricercare nell’amato National Geographic, ma lunghi da realizzare. Gusti del tutto in linea con gli incombenti anni Ottanta dell’edonismo reaganiano. E l’aumento del pubblico portò a lasciare indietro i vecchi appassionati di fumetti, con budget ridotti rispetto ai nuovi collezionisti. Interessante l’aneddoto di Barks riguardo a This Dollar Saved My Life at Whitehorse, per il quale dovette spiegare il significato del titolo e il fatto che per Paperone ogni moneta guadagnata significhi qualcosa (si veda La disfida dei dollari).
In questo momento si rese necessario per Barks realizzare più modelli dello stesso soggetto, con poche differenze sostanziali (il colore su tutto). Col progredire della qualità, i dettagli aumentarono: si veda la ricercatezza di ogni singola moneta, oppure lo sfondo di Season to Be Jolly, pieno di fiocchi di neve, personaggi, gente che balla, avventori nel bar. D’altronde, i prezzi salivano (4.100$ per lo stesso Season to Be Jolly) e Barks voleva che i suoi quadri valessero quelle cifre. Ecco perché in parallelo cominciò a realizzare quadri più piccoli, senza sfondo o quasi, che potessero essere realizzati velocemente e venduti altrettanto rapidamente (come Banker’s Salad).
La New York Comic Convention del 1976 fu il trionfo degli oli di Barks per l’epoca, ma anche l’ultimo momento di quiete prima della tempesta. Per festeggiare il bicentenario della dichiarazione di indipendenza americana, venne realizzato July Fourth in Duckburg, in cui furono inseriti anche dei personaggi umani, tutte caricature dei collezionisti che avrebbero partecipato all’asta. Il quadro infatti arrivò a 6.400$. Un grande successo, ma due mesi dopo finirono sul mercato della San Diego Comic Convention delle litografie pirata del quadro Golden Fleece, ad opera della misteriosa società Nostalgia Enterprises. Barks allertò la Disney di questo problema, chiedendo sostegno. La risposta fu decisamente brusca: la licenza venne revocata.
Barks fu così libero di sperimentare nuovi mondi. Prima realizzò una serie di quattro quadri, Kings and Queens of Myth and Legend, con figure umane come protagoniste: un lavoro troppo gravoso e complesso da gestire. Ecco perché decise di realizzare disegni con paperi come protagonisti, ma diversi da quelli Disney: più alti, più sfrontati, anatomicamente più antropomorfi, con donne disinibite e provocanti. I soggetti erano parodie di personaggi storici come se fossero paperi, con una tecnica più vicina ai fumetti, con matita e acquerelli e meno oli. I clienti erano sempre presenti e molto interessati, ma Cochran, ora supportato dall’altro appassionato Bruce Hamilton, non restò con le mani in mano.
C’è sempre un altro arcobaleno
L’idea dei due dealer era di mantenere i rapporti con Disney, sperando in un rinnovo della licenza. Usarono come cavallo di Troia i quadri fin qui fatti, chiedendo a Disney di pubblicare un volume a loro dedicato. Si trattava di un’iniziativa di nicchia per un tale gigante, per cui l’azienda diede il beneplacito alla neonata casa editrice Another Rainbow Publishing, fondata dalla coppia Cochran-Hamilton riprendendo il titolo di un celebre quadro del 1974. Nacque così The Fine Art of Walt Disney’s Donald Duck, pubblicato nel 1981. Il libro, edito in 1.875 copie numerate e firmate, ottenne un grande successo di critica, con premi per l’editoria specializzata. La Disney fu molto contenta del risultato, e rinnovò la licenza, permettendo ai due imprenditori di realizzare anche delle litografie numerate.
Barks realizzò 18 nuovi oli per l’Another Rainbow, di cui 17 con Paperone. Era ormai evidente come il vecchio papero fosse uno dei principali motivi per l’acquisto e così, omaggiando diverse sue vecchie storie, introdusse il miliardario in un paio di “sequel“, come Return to Morgan’s Island e soprattutto Return to Plain Awful, che avrebbe fatto da molla per il seguito realizzato da Don Rosa. Si trattò di una fase decisamente più rilassata, in cui Barks prese tutto il tempo necessario per realizzare i quadri: dettagli, colori, oggetti, inquadrature, tutto è rifinito con precisione. Barks non si fece problemi a seguire le indicazioni di Hamilton, che conosceva meglio il mercato, e andò talmente nello specifico da proporre numerosi titoli opzionali per i dipinti: fino a 41 titoli per Wanderers of Wonderland!
Gli anni passarono e la produzione continuò, insieme anche alla realizzazione di preziose, e fragilissime, porcellane dedicata a celebri oli. Alla morte di Garé nel 1993, però, Barks decise di troncare la relazione con l’Another Rainbow e, con l’assunzione di due impresari, venne fondato il Carl Barks Studio, che firmò un nuovo accordo con la Disney. Vennero così realizzate statue in bronzo e nuove serigrafie, partecipando anche alle convention di materiale Disney nei due parchi di divertimento americani. Questa fase è simboleggiata da Surprise Party at Memory Pond, in cui ben 15 personaggi festeggiano il sessantesimo compleanno di Paperino, allacciandosi direttamente a The Wise Little Hen e con la presenza persino di Orazio e Clarabella.
Nel 1994 Barks fu guidato in un trionfale tour europeo, per il quale vennero realizzati disegni a matite colorate, più semplici da fare e più facili da trasportare. Negli ultimi anni di vita Barks non poteva praticamente più realizzare quadri ad olio: la vista indebolita e il tremore alla mano non permetteva più quel dettaglio, per cui utilizzò altri strumenti, come le matite acquarellate. Per il suo novantaseiesimo compleanno, nel 1997, realizzò ben 75 disegni, pubblicati in parte nel pretenzioso volume Barks Treasury, l’ultima opera completa di Barks.
I believe that as time goes by people will realize those paintings I’ve done are all based on stories. If they don’t know the story, the painting will be kind of meaningless, and so I believe the stories will be the thing that lives on into posterity.
Gli oli
Come abbiamo raccontato, gli oli di Barks si dividono tra il periodo 1971-1976 (122 quadri), più concitato e ricco di spunti, e quello 1982-1997 (28 quadri), più raffinato e dettagliato, sotto la direzione prima dell’Another Rainbow e poi del Carl Barks Studio. Periodi molto diversi, che affronteremo selezionando qualche tema e il generale approccio che Barks utilizzò.
Abbiamo visto come Barks si facesse guidare dalle proposte dei fan, che spesso selezionavano storiche copertine dedicate a celebri storie a fumetti. Appare quindi interessante vedere come il primo quadro ad olio sia una rielaborazione della copertina di Walt Disney’s Comics & Stories 108 del 1949: A Tall Ship and a Star to Steer Her By. Si tratta di una bella scena marinaresca con Paperino e i nipotini su di un piccolo vascello. Barks ne realizzò negli anni ben otto versioni, ed è interessante confrontare la prima con Sailing the Spanish Maindel 1982, usata da Another Rainbow come soggetto della prima litografia. Salta all’occhio il miglioramento qualitativo, a partire dall’uso della luce, sia quella del cielo che quella che arriva dal mare, dando leggerezza e dinamismo alle onde. Lo stesso vascello, da statico diventa quasi un ballerino sull’acqua. L’aggiunta di Paperone non appesantisce, mentre il polpo pirata e i tesori pescati permettono altri punti su cui l’occhio può posarsi.
In questa prima fase sono quattro i principali soggetti sfruttati (e che riepiloghiamo in una delle tabelle in appendice): Money Lake, Bullet Valley, Ancient Persia e Back to the Klondike. Vedendo le varie versioni notiamo come Barks si sforzasse di bilanciare in maniera diversa i colori, le sfumature, mantenendo sostanzialmente invariato il soggetto. A volte cambiava il titolo, a volte cambiava il tono predominante del colore (ad esempio Blue Persia contro Green Persia), a volte infine veniva aggiunto qualche personaggio, come Paperone, per venire incontro alle domande del pubblico.
A brillare per composizione inedita in questi anni sono gli oli dedicati alla vita nel deposito (che creano un filone inedito su cui torneremo dopo) e altri due quadri. Il primo di questi è Christmas Composition, in cui la dura avidità dello Scrooge di Dickens riverbera in una composizione spietata, tra Paperino e nipotini ridotti all’indigenza e Paperone che mercanteggia per un miserabile alberello. L’altro è Duck in the Iron Pants, il cui soggetto arriva da una deliziosa e esplosiva ten-pager in cui Qui Quo Qua e Paperino si sfidano a colpi di palle di neve e assurde armature (a sua volta ispirata da un corto scritto dallo stesso Barks). Nel quadro la luminosità della neve è resa alla perfezione, mentre la violenza dello scontro generazionale è tratteggiata con amabile arguzia.
Il periodo che comincia con il 1981 possiede contorni diversi. Non più pressato da liste di clienti e con la gestione commerciale dell’Another Rainbow, Barks realizza soggetti complessi, ricchissimi di dettagli e di personaggi. Questo rispondeva sia alle richieste dei clienti che alla vendita di litografie, che per funzionare doveva presentare soggetti degni di essere ricordati. Si tratta infatti di un periodo felicissimo, in cui Barks crea, spesso dal nulla, quadri avvincenti in cui i paperi si ritrovano in paesaggi fantasiosi e ricchi di natura e di tesori. Vale per tutti lo straordinario Wanderers of Wonderlands, in cui reminiscenze da Cibola si incontrano con le arpie del Vello d’Oro. Ovviamente, si tratta del risultato di una maturazione avuta negli anni precedenti e che ormai appare del tutto consolidata.
Si moltiplicano i quadri con folle di personaggi (A 1934 Belchfire Runabout!, Holiday in Duckburg, Mardi Gras Before the Thaw e Surprise Party at Memory Pond) e non mancano le rivisitazioni di celebri storie. Ma se prima Barks riproponeva la copertina originale, ora realizza nuove prospettive, rielaborando il materiale originale. Un perfetto esempio e Dubious Doings at Dismal Downs: il fantasma del vecchio castello appare in tutta la sua diabolica presenza, tra le brume scozzesi e le inquietanti lapidi del cimitero. Oppure Dam Disaster at Money Lake, che riprende La disfida dei dollari ricreando la celebre quadrupla del crollo della diga: la massa di denaro occupa quasi tutto il quadro, lasciando spazio però alle espressioni di disperazione dei paperi. Infine, per celebrare il centenario della corsa all’oro dello Yukon e i 50 anni di Paperone, a cavallo tra il 1996 e il 1997 venne realizzato Eureka! A Goose Egg Nugget!, quadro che sintetizza la carriera di pittore di Barks. Le tenue luci del tramonto illuminano le colline, mentre il volto di Paperone risplende della luce della pepita uovo d’anatra. Nonostante la semplicità del soggetto, i pochi tratti delineano l’iconicità del momento e del personaggio.
Tutti al deposito
Un capitolo a parte va dedicato ai quadri ambientati nel deposito. Barks dedicò al tema ben 19 oli, tutti a vario modo inediti, con una gag sempre varia a supporto. Il contesto, però, era sempre lo stesso: qualche stanza del deposito traboccante monete, tesori e gioielli, con Paperone, Paperino e i nipotini protagonisti. Si comincia con Pleasure in the Treasure nel 1972, il primo quadro in cui fu Barks a scegliere il tema da ritrarre.
Ed effettivamente il soggetto permette all’artista dell’Oregon di proporre scorci e idee che facevano capolino in numerose sue storie, oltre a mettere al centro il denaro, enormi masse dorate che tanto piacevano ai suoi clienti. Pleasure in the Treasure è paradigmatico per quasi tutti i quadri successivi, a partire dall’ambientazione: una grossa stanza piena di monete separata da un’apertura con una porta blindata rotonda o una cancellata a separare gli ambienti. A destra o a sinistra vediamo una scrivania, dove Paperone o Paperino contano denaro, leggono fumetti o archiviano monete. Dal lato opposto invece c’è una cassaforte, che può essere chiusa oppure aperta, mostrando rigurgitanti tesori.
I nipotini sono spesso sparpagliati in modo da riempire gli spazi vuoti, e sono motori di azioni di disturbo nei confronti del denaro di Paperone, usando libri contabili come slitte, oppure costruendo fortini (Time Wasters, 9-75), o lanciando ventose per disturbare le piogge di denaro. Paperino è spesso sullo sfondo, rotto dalle fatiche del deposito oppure intento a riposarsi, bevendo una gazzosa o leggendo Playduck. Infine, Paperone è quasi sempre centrale, intento nelle sue attività preferite, ad esempio scavare gallerie come una talpa, nuotare come un pesce baleno (Danger, Tycoon at Play, 10-74) o farsi cadere il denaro sulla testa come una pioggia (Time Out for Fun, 17-73). A volte, poi, Paperone ricorda il passato, come con le monete di Tralla La in Money Bin Memories (12-72), oppure in This Dollar Saved My Life at Whitehorse (24-1973) o ancora celebrando la sua Numero Uno in Much Ado about a Dime (18-73).
Con Sport of Tycoons (9-74), lo scenario cambia e si allarga. Entriamo proprio dentro il forziere principale, caratterizzato dalla barra di profondità ormai al culmine, dalle gru che muovono secchi ricolmi di gioielli e dalle ruspe che movimentano montagne di monete. Si tratta di uno dei quadri più iconici, che rimanda alla quadrupla iniziale della Disfida dei dollari, e che va a braccetto con A Binful of Fun (12-74).
Gli ultimi due quadri ambientati nel deposito ampliano ancora di più gli orizzonti, caricando il quadro di colori brillanti, di gioielli sfavillanti e di nuovi giochi di luce. In An Embarrassment of Riches (1983), la stanzetta originale si amplia enormemente, con prospettive ardite e paperi in movimento per aiutare Paperone ad alzare la barra che segna il livello del denaro, in vista di nuovi guadagni. Infine, con Rich Finds at Inventory Time (1994), vediamo la stessa stanza ormai sommersa di denaro, in cui Barks crea una miniera di denaro con binari e carrello, in cui Paperone possa giocare come il bambino che è.
Le matite
Abbiamo detto come, sul finire di carriera, Barks avesse ancora la prestanza fisica per disegnare, anche grazie all’aiuto della tecnologia, come le fotocopiatrici, che gli permettevano di fare degli ingrandimenti di vignette o immagini da usare. Con il grande tour europeo del 1994, Barks inaugura in maniera massiccia i disegni ad acquarello.
Essenziali, semplici, sempre ben costruiti, servivano come omaggio ai paesi ospiti: l’Italia patria della pasta tecnologica oppure i salti dell’arcobaleno con gli sci alla maniera norvegese. Si tratta di una felice combinazione per soddisfare i fan e non stancarsi troppo.
Si decide quindi di spingere su questo mezzo, con piccoli disegni a matite colorate e pastelli (33×25) che costruiranno il volume Barks Treasury. Si tratta di ben 75 disegni in cui, con molti soggetti ripetuti, Barks cita sue storie famose oppure declina le stesse idee con minime variazioni. Lo sfondo è spesso assente, e si nota ormai un tratto più tremolante, del tutto normale data l’età e la complessità del lavoro.
Il volume si divide in:
Disegni con Paperino a cavallo di un delfino (10);
Paperone e gli smeraldi giganti (3);
Paperone e il vento (8);
Paperino e Paperina che danzano (8);
Paperi e sport (4);
Avventure classiche (17);
Paperi in parata (5);
Paperi al deposito (7);
Paperone e un Bassotto (2);
Miscellanea (20).
Alcuni potrebbero definire queste matite come un canto del cigno. Invece noi le vediamo come piccoli segni d’amore nei confronti di un universo che Barks ha plasmato seguendo il suo stile ironico, usando la sua lente per leggere la società e trasporne le nevrosi e i difetti nei suoi paperi.
L’ultima matita, che mostra un malinconico Paperone che suona la cornamusa davanti al castello di Colle Fosco, è un vero saluto di commiato. Il titolo – Last Call for the Clan McDuck – risulta decisamente rilevatore. Salutiamo così anche noi un artista totale, che tra animazione, fumetto e pittura ha cavalcato il Novecento con incredibile capacità e talento.
Storia editoriale degli oli
L’elegante volume The Fine Art of Walt Disney’s Donald Duck del 1981 a cui abbiamo accennato resta tutt’oggi una delle opere di maggior prestigio dedicate alla prima parte della carriera pittorica di Carl Barks con i paperi.
Sempre negli Stati Uniti, degno di nota è anche Barks Treasury, pubblicato nel 1997 da Applewood Books in sole 1.000 copie e contenente quaranta disegni colorati a pastello realizzati dall’Uomo dei Paperi tra l’ottobre del 1996 e il marzo dell’anno successivo per celebrare il suo novantaseiesimo compleanno. Il volume viene presentato in un cofanetto ricolmo di carta simil-filigranata a ricordare i dollari.
Anche in Italia i dipinti a olio di Barks iniziano ben presto a comparire saltuariamente nelle pubblicazioni dedicate alla sua opera. Già nel 1981, l’allora ANAF (Associazione Nazionale Amici del Fumetto) aveva dedicato ai dipinti di Barks la quarta di copertina del saggio in grande formato Il Fumetto – Speciale Paperino, per poi riservare ad altri oli l’onore della copertina (un po’ come avverrà negli USA negli anni Novanta in alcuni comic book della Gladstone) in qualche albo della collana dedicata alla pubblicazione di tutte le storie a fumetti realizzate dal cartoonist dell’Oregon.
Non è che un antipasto di quanto riservato dall’ANAF ai propri soci nella prestigiosissima collana Donald Duck Special. Dopo un primo volume pubblicato nel 1988 contenente (oltre a saggi, cronologie, copertine, la versione non censurata di Paperino e le forze occulte) otto pagine dedicate agli oli di Barks (con sei di questi riprodotti a tutta pagina), e un secondo pubblicato l’anno successivo con altri quattro dipinti in grande formato (insieme ad altri approfondimenti e storie a fumetti), è con il terzo e il quarto volume della serie che gli appassionati italiani possono finalmente avere tra le mani un’opera vicina a quella che avevano conosciuti quasi dieci anni prima i loro omologhi statunitensi.
Distribuiti insieme nel 1990, dapprima in solo 200 copie con eleganti copertine telate rosse, e successivamente in una seconda edizione (identica alla prima ma con copertine blu), i due volumi riproducono rispettivamente 55 oli in formato “portrait” (Donald Duck Special 3) e 39 oli formato “landscape”(Donald Duck Special 4). L’edizione è chiaramente ispirata a quella Another Rainbow (anch’essa distribuita nelle medesime due colorazioni) ma con la felice intuizione di non sacrificare troppo le dimensioni dei dipinti orizzontali dedicando a questi un volume apposito. Un’opera tuttavia incompleta. Come riportato nell’introduzione: «In questi due primi volumi sono stati riprodotti 94 dei 122 oli dipinti da Barks e questo in quanto per i restanti 28 il materiale pervenuto non è stato giudicato utilizzabile. I 28 oli mancanti (per i quali solo recentemente si è acquisito materiale di qualità) nonché quelli ulteriori che sono serviti da base per le litografie, verranno proposti successivamente in un ulteriore volume».
Nella cronologia riportata in coda ad entrambi i libri, è indicato per ogni dipinto il volume in cui è pubblicato, indicando anche quelli previsti nel terzo. Nel 1991 il successivo volume della collana, dedicato alle storie natalizie di Carl Barks, viene pubblicato come Donald Duck Special 6, lasciando intatto il proposito di pubblicare un terzo volume di oli da collocare subito dopo i primi due.Purtroppo le librerie degli appassionati sono destinate a mantenere tale lacuna, visto che l’Associazione, poi diventata ANAFI (con l’aggiunta di “Illustrazione” nella denominazione) non ha mai colmato tale mancanza.
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Carl Barks – Die Ölgemälde: il miglior volume esistente sulla produzione pittorica dell’Uomo dei Paperi
Nel 1988 il The Duckie Comic Club dell’editore Luigi Olmeda aveva dato alle stampe il trentatreesimo ed ultimo volume della propria The Complete Carl Barks impreziosendolo (un po’ come avvenuto per i primi due Donald Duck Special), oltre che con cronologie, storie a fumetti ed altri contenuti, con una galleria di oli dell’Uomo dei Paperi.
Più recentemente è stato l’editore Panini Comics a riservare alle meravigliose opere di Barks una collocazione di rilievo pubblicando riproduzioni di quadri a olio (o parti di essi) nelle seconde e terze di copertina dei 40 numeri della collana Uack!, pubblicata dal 2014 al 2018. In maniera analoga, anche i 48 volumi della opera omnia di Barks pubblicata da Rizzoli per il Corriere della Sera nel 2008 si aprivano ciascuno con un quadro diverso.
Nessuna esperienza è tuttavia in alcun modo assimilabile all’edizione ANAFche, pur incompleta, resta a distanza di trent’anni la migliore pubblicazione italiana dedicata ai dipinti ad olio del Maestro dell’Oregon.
Ma all’estero c’è chi ha saputo fare di meglio. Nel 2012 infatti l’editore Egmont ha pubblicato in Germania (e poi in Norvegia, Svezia e Finlandia) Carl Barks – Die Ölgemälde un volume di oltre 400 pagine con tutta la produzione artistica del papà di Uncle Scrooge. Oltre ai dipinti a olio presenti in The Fine Art of Walt Disney’s Donald Duck trovano spazio anche tutte le opere successive, quindi acquerelli, disegni a pastello, bozzetti e studi preparatori. Non più in catalogo e non facilissimo da reperire al giorno d’oggi, ma certamente ben più “avvicinabile” rispetto alle pubblicazioni statunitensi in tiratura limitata, il volume rappresenta l’edizione “definitiva” per chiunque voglia avvicinarsi ai meravigliosi dipinti dell’Uomo dei Paperi.
Per ulteriori approfondimenti sul web, infine, rimandiamo all’analisi dettagliata e cronologica dei quadri di Barks sull’ormai storico The HTML BarksBase.
(via Gli oli di Carl Barks - Papersera)
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gloriabourne · 4 years ago
Note
È stato un giornalista di radio italia a definirlo cortometraggio, come se i video precedenti di Ermal (nello specifico) fossero appunto solo un accompagnamento alla musica. E sinceramente sono d'accordo - pure Ermal ha detto che ha iniziato a curare di più l'aspetto dell'estetica dei suoi video, come se prima di adesso effettivamente non ci avesse prestato attenzione granché. Per la prima volta infatti, Vietato morire unica eccezione, l'idea della sceneggiatura è stata interamente sua (1/2)
(2/3) A livello di simbolismo, "trama" e anche di qualità degli effetti speciali, seppure semplici, secondo me non c'è paragone coi video della Slim Dogs che a confronto sembrano pubblicità delle merendine del mulino bianco. Poi un'altra differenza che credo assimili il video di No Satisfaction a un vero e proprio short film, rispetto ai video precedenti, è il fatto che se ci pensiamo è il primo caso in cui Ermal si cimenta nel "recitare" uno script dialogato, nel letterale senso del verbo
(3/3) il video di 1MDCDD è anche il primo di Ermal, se non erro (ed escludendo NMAFN di Placido che premia anche Bizio) a vincere un premio siae così prestigioso. Non è nel mio interesse mancare di rispetto al lavoro di Matteo Bruno, per carità, ma Ermal ha preso la svolta giusta affidandosi ad altre produzioni, vuole alzare gli standard. Questo è solo il mio umile parere, non intendo imporlo! 🙈 Ti chiedo quindi il tuo video preferito di Ermal qual è? 😊
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Io sono abituata a considerare qualsiasi videoclip musicale un cortometraggio e non un semplice accompagnamento alla canzone, ma mi rendo anche conto che probabilmente questo mio modo di pensare deriva dal fatto che mi è stato insegnato a pensare così perché il mio professore dell'università la pensava in questo modo. Poi visto che si tratta di una forma d'arte ci sta che ci siano correnti di pensiero diverse, che ci siano persone che magari considerano i vecchi video di Ermalal come dei videoclip non definibili come cortometraggio e che magari apprezzino di più altre tipologie di video.
Persone diverse, pensieri diversi. E come dicevo visto che si tratta di cose che fanno parte dell'arte visiva è normale avere opinioni diverse.
A me ad esempio i lavori della Slim Dogs sono sempre piaciuti parecchio, a prescindere dai lavori che loro hanno fatto con Ermal. Cioè mi piace proprio il loro modo di lavorare e i video che hanno fatto per le canzoni di Ermal mi sono sempre piaciuti molto, ovviamente non tutti allo stesso modo perché ce ne saranno sempre alcuni che mi piacciono più di altri.
Però la visione da Mulino Bianco come dici tu secondo me non è data tanto dal modo di lavorare della Slim Dogs, quanto dalle canzoni su cui lavoravano. Se fai il videoclip di canzoni come "Gravita con me" oppure "Dall'alba al tramonto", che sono canzoni in un certo senso spensierate, non puoi aspettarti di vedere un video con una vena dark o con chissà che profondità. Quindi è ovvio che ci sia quella sensazione di pubblicità del Mulino Bianco se tu fai un video clip su una canzone che già presa da sola ha delle sonorità molto leggere e molto da Mulino Bianco.
Parlando di video preferito in realtà non so darti una risposta, nel senso che non ce n'è uno che più di tutti mi sia rimasto impresso o mi stia a cuore. Mi piace molto il video di "Dall'alba al tramonto" perché mi piace l'idea di una relazione che inizia e finisce con uno speed date ma in cui allo stesso tempo succedono tutte le cose che succedono normalmente in una relazione. Mi piace molto anche il video di "Odio le favole" e di "Un milione di cose da dirti" (poi io sono fissata con le palle di neve finta, quindi immagina che colpo al cuore quel video), però dirti proprio il mio video preferito di Ermal mi mette in difficoltà.
Forse perché il mio video preferito deve ancora arrivare. Non so, è una cosa che mi dico sempre. Quando non riesco a decidere il mio film preferito, o la mia canzone preferita è perché forse deve ancora arrivare.
Quindi, visto che "Stelle cadenti" sarà il prossimo singolo mi auguro che venga fuori un buon video! Magari sarà quello il mio preferito 😊
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merrowloghain · 4 years ago
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16.07.76
La nonna invece li invita tutti cordialmente ad accomodarsi in salotto dicendo loro qualcosa su Cadel, che sta bene, ma che impiegherà un po’ a scendere e che non dorme bene. Al nome di Merr si illumina stringendole la mano e ringraziandola più volte per quella penna miracolosa che le permette di leggere così facilmente le lettere del nipote. Le chiede infine se i guanti le siano piaciuti o se avrebbe preferito qualcos’altro prima di salutare anche tutti gli altri uno ad uno. Sorride al fatto che tutti salutino Poldo e rassicura Becks prima di lanciare un urlo dalle scale “CADEEEEEEEL” e come se niente fosse concludere in tono serafico che porterà loro una merenda.
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C: Prima una botta, poi un’altra più trascinata; due per ogni gradino. E alla fine sulla soglia del salotto, con aria stupita e incredula vedrebbero Cadel. Le occhiaie sono ai tempi di gloria, i capelli arruffati, ha addosso una maglietta con le sagome di due cavalieri medievali che si stanno fronteggiando e un paio di pantaloncini. La parte più sconvolgente però è sicuramente che, accanto alla gamba sinistra, bianca e striminzita e senza scarpe, c’è la gamba destra stretta nel gesso babbano fin sopra il ginocchio. Le mani ovviamente stringono le stampelle, grigie, che lo aiutano ad avanzare verso il salotto con movimento ondulatorio «Che cosa… ci fate …» gli occhi nocciola finiscono la carrellata dei presenti su Merr «qui?» ciao vvb.
M: Prima di sentire dei tonfi minacciosissimi (?) provenire dalle scale. Resta a fissarle con aspettativa, e finalmente quando sulla soglia compare Wallace con l`aria di morte e quel gesso vistosissimo, la Loghain lancerebbe il regalo sul divano morbido per poi mezzo corricchiare incontro al Grifondoro, nel tentativo di abbrancarlo li dov`è, in un abbraccio fatto di slancio, pepe nero e cannella, ed un sorriso grosso come un Erumpent «Cadel!» esclama lei tutta felice «Siamo venuti a trovarti per il tuo compleanno! Tanti auguri, Wallace! Abbiamo portato degli Gnomi in gabbia da catturare, per l`occasione!» ciancia lei, nella speranza di stringerlo, impattando contro di lui ma sostenendolo se dovesse sbilanciarsi troppo a causa del gesso.
Lo vede bene solo ora con tutto quel trabiccolo tra aste a sostenerlo e quella gamba mummificata dentro un carapace duro «Ma che...schiopodo...» mormora piano, mentre Wallace si muove nel salotto, parlando in maniera così pacata e sicura, tant`è che lei resterebbe perplessa in centro stanza con le braccia lungo i fianchi, la testa inclinata verso sinistra, lo sguardo dubbioso e le labbra increspate in una sorta di smorfietta confusa. Continua a rimirare il Grifondoro, con le sopracciglia che si crucciano «Ma perchè non ti sei fatto aiutare dalla magia?» lei proprio non capisce quella scelta «E si può disegnare su questo "cesso"?» forse voleva dire gesso, ma lei pare avere le stesse difficoltà di Wallace a capire i nomi di cose che non conosce. Uno sguardo dal basso verso l`alto e poi un nocchino su quel bianco candido, in un unico bussare «Ti fa male?» lei e la delicatezza: due rette parallele.
R: «Nessun disturbo, davvero!» rassicura Wallace, prima di concentrarsi su Miss delicatezza 2076. «Merrow, fai piano, potresti fargli male!» dice allarmata all`amica, prima di scuotere la testa sconsolata nel vederla battere sul gesso. Si alza nuovamente dalla sedia, per avvicinarsi a Cadel e porgergli il sacchetto contenente un pacchetto rosso rettangolare, con una grande coccarda dorata. Un biglietto vergato nella grafia elegante e piccola della Corvonero accompagna il regalo. Su di esso c`è scritto: "Merrow mi ha detto che le racconti spesso delle storie. Questo potrà farlo al posto tuo quando non ne avrai voglia. Buon compleanno! Rebecca" «Ti ho portato un pensierino. Spero sia di tuo gusto!» Se il ragazzo prendesse il sacchetto, si fermerebbe lì davanti solo per il tempo di vedere la sua reazione e tornerebbe poi a sedere composta.
L: Porge quindi anche lui il suo regalo con un energico «tanti auguri!». Aprendo il pacchetto potra’ trovare al suo interno una maglietta con dei piccoli gnomi animati che cercando di nascondersi dallo sguardo dei presenti. Qualora non dovessero riuscirvi uno di loro si finge panchina con altri due gnomi seduti sopra, mentre un altro si finge un cartello con mappa con altri due gnomi che puntano il dito sopra come ad indicare un percorso. In tutto questo lancerebbero occhiate nervose verso l’esterno come a voler verificare se il loro travestimento stia reggendo. Se Cadel fosse troppo spaventato/infastidito dagli gnomi tossicchierebbe prendendo la maglietta «ehm l’idea è che cosi’ potresti iniziare a prendere confidenza con loro. Normalmente…» ed eccolo srotolare la maglia verso di lui scatenando il panico tra gli gnomi che corrono nel di dietro, incontrando pero’ Lance che li costringe a fermarsi nella loro posa mimetica «… sono nascosti ma puoi andarli a cercare se ti senti in vena» ed eccolo rigirare la maglia causando nuovo scompiglio con gli gnomi che corrono ora da tutti le parti strattonandosi tra loro nel panico più totale.
C: «Grazie davvero, siete stati troppo gentili» e la felicità si mescola ancora a una sorta di incredulità «Non serviva che veniste fino a qui…» anche se non sa bene di dove siano…. Will di Londra, Merr Irlanda e Rebecca e Lance? In realtà non ricorda nemmeno chiaramente il come di Lance, ma andiamo oltre. Legge il biglietto spostando gli occhi nocciola sulla Terzina, incuriosito, e poi spacchetta anche quella coccarda dorata. Apre per ultimo il regalo di Lance e quando vede la maglietta scoppia a ridere «Ma è bellissima!» e comincerebbe a scuoterla cercando di far scappare gli gnomi o fissandoli all’improvviso per farli fermare in posizione panchina. «Grazie!» e dato che non si può alzare gli porge la mano. Gli gnomi vanno bene solo in rappresentazione grafica animata.
W: Comunque, a proposito di regali di compleanno, dalla busta terribilmente larga emergono quattro pacchetti, ciascuno accuratamente incartato in una carta da regalo rossa con dei piccoli leoni dorati a decorarla. Ed una busta. Il biglietto in essa contenuto recita, nella grafia stretta e maniacalmente ordinata di William "Nella speranza che tu possa passare un bellissimo compleanno, i miei migliori auguri. William" Il contenuto dei quattro pacchi è presto detto: il più largo e sottile è un album da disegno di formato molto grande, dalla carta spessa e pregiata, ideale per i disegni in grande stile, ed in grado di tollerare anche pittura ad olio ed acquerelli. Il secondo, un blocco da disegno più spesso in un più semplice formato A4. Il terzo, è un set da disegno: ci sono due matite da disegno di cinque tipi diversi, dalla B2 alla H2, e quattro sottili pastelli di carboncino. Completa il set una gomma pane. «Merrow mi ha accennato che sei piuttosto bravo nel disegno» la pacata quanto timida spiegazione di William. Quanto all`ultimo pacco, di dimensioni più standard, si tratta di una selezione Deluxe di fuochi forsennati Weasley. «Quelli dovrai aspettare di essere a scuola o in un centro magico per accenderli, ma spero ti piaceranno lo stesso» altra spiegazione disagiata.
M:In realtà gli occhi sono tutti per Cadel, che continua a scrutare dal basso verso l`alto con un crescente sospetto. Non ci pensa nemmeno ad alzarsi quando Cadel le indica il divano, concentrandosi piuttosto a muovere la sinistra in aria come se scacciasse una mosca «Andrà bene per forza, o ti rompo l`altra gamba e così ti portano al San Mungo per forza.» la logica Loghain colpisce ancora. Sta li, accoccolata ai piedi di Wallace con Lance che ispeziona il "cesso", ahem, "gesso" tanto quanto ha fatto lei, che viene distratta dal dire sui pennarelli di Cadel «Uh!» e scappa in uno scatto verso la madia, acchiappando tutta la tazza e riportandola in direzione di Cadel, tornando ad inginocchiarsi li «Fammi spazio» gli intima senza troppa grazia, praticamente infilandosi tra le sue gambe con la schiena che cerca di mettersi a spingere via il polpaccio sinistro, mentre si posiziona a fronteggiare il gesso lateralmente. Acchiappa un pennarello arancione e gli leva il tappo con un piccolo *pop* accompagnato da un mordere di labbro inferiore «Bene.» eppure il tono non lascia presagire niente di buono : "Tanto tempo fa, nella contea di Wallace, viveva un giovane, sempre triste perchè non riusciva a vivere la vita tranquilla che facevano i ragazzi come lui nel villaggio. Gli amici parlavano di grano che matura, del raccolto di mele e della pesca più o meno abbondante, mentre lui sognava solo di poter affrontare anche solo un nemico, per poter dimostrare a loro, ma soprattutto a se stesso, di non esser nato per fare il contadino". Wallace scarta il proprio regalo, con quei boccini che schizzano qui e lì con velocità, fuggendo ai suoi gesti, per rivelare quello che è un grosso libro rilegato a mano in pelle di Drago, marrone, dagli angoli rinforzati da lamelle in ottone, e chiuso con un gancetto in ottone a sua volta. Pergamena con fili dorati, è ciò che compone le pagine, simile alla carta da lettere che solitamene invia lei stessa «Spero ti piaccia...» si ferma a mezz`aria con il pennarello, guardandolo da sotto in su leggermente imbarazzata «E` per scriverci le tue storie, così non le dimentichi e poi magari posso rileggerle anche io. Così non ti scordi del fratello della giornalista morta, quello che faceva il prete.» e se qualcuno, oltre a lei ed a Cadel, fosse riuscito a capirci qualcosa, sarebbe un dannatissimo genio. Chiude il pennarello arancione, afferrandone un blu ed aprendolo, pronta a continuare le sue scritte sul gesso, dopo aver guardato estasiata i regali altrui «Questa maglietta è un bombàrda, Lance!» esclamerebbe, sbirciando poi il regalo di Rebecca e quello di William. Il fatto che siano tutti così azzeccati, non hanno assolutamente niente a che vedere con lei. Nonnò.
C: Non si è accorto della Divina Commedia che sta prendendo forma sul suo gesso «Ehi ma…» si piega, ma vede solo lettere quindi si raddrizza sperando non siano oscenità. In ogni caso è troppo tardi. Scarta anche il regalo di Merrow e questa volta lo apre con ancora più attenzione sfogliando le pagine bianche prima di farsi sfuggire un «E’ troppo bello per le mie storie…» che lo fa tornare il ragazzino insicuro di sempre. Poi torna la nonna e offre la merenda a tutti e i ragazzi potranno rimanere a loro piacimento quanto desiderano prima che Cadel li saluti dalla porta su una zampa come le gru e Poldo si compiaccia di come finalmente non ci sia più odore di gatto in giro.
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rachelwasintianjin-blog · 6 years ago
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Giorno 3 - benvenuti all’università
stamattina ci siamo svegliate e c era una parvenza di sole, nel senso che si vedeva quasi ed era l’ultimo giorno nella stanza d’albergo che oramai è diventata casa. Il tempo va talmente veloce che nonostante ci siamo conosciute l’altro ieri, già conviviamo in sincronia perfetta parlando di quante volte andiamo al cesso. Abbiamo preso un taxi e il taxi in Cina significa: alzare la mano in mezzo alla via. Si fermano ed entri in macchine piene di fumo (perchè sti cazzi, si fuma). In teoria non conviene fare l’abbonamento mezzi, perchè il taxi è economico: venti minuti di corsa per arrivare a destinazione, prezzo 1 euro e 50 (e non a testa ma in totale) = taxi per sempre. E ti fai pure una panoramica della città, accettando i clacson perchè i cinesi lo suonano ogni due, anche senza motivo. Attraversare un incrocio equivale camminare nel mezzo, schivando auto, motocicli, biciclette, persone, in stradoni larghi quanto in fiume cercando di non morire.
Oggi siamo finalmente andate al campus universitario, che è gigantesco (o perlomeno per me lo è). Edifici in mattoni rossi: dormitori, mensa, campi di atletica, basket, pallavolo, aule, biciclette, persone. L’International Foreign Exchange Center è l’edificio dei nostri dormitori: studenti stranieri.
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C è una sala comune e 15 piani di edificio, ad ogni piano una lavanderia e una “cucina”: un frigo inagibile e dei lavelli con fornelli altrettanto inagibili. “Inagibili” perche i coreani hanno ammassato già i loro odori disgustosi che ad aprire quel frigo c è puzza di morto, i lavelli sono sporchi e ringraziando il cielo c è la mensa, che è l’edifcio difronte il dormitorio. Peccato che i coreani non abbiano la stessa cura igienica delle cose come la cura che ci mettono nel vestirsi: li riconosci dai vestiti... perchè vorrei davvero fottergli tutti i vestiti che sono troppo belli. Oltre coreani abbiamo visto dei russi e giapponesi e gente da non si sa dove, ma noi siamo gli unici italiani.
Le nostre stanza sono due doppie al 15esimo e 12esimo piano. Sono stanza ampie con due letti e un armadio, un bagno spoglio di qualsiasi cosa e privo di finestra e luce, l’intonaco è spesso spaccato, le prese poco agibili, le pareti spoglie. Nel bagno la doccia è il semplice getto dell’acqua... sul pavimento. Questo implica che farsi la doccia equivale a lavare il pavimento intero.
C è da comprare un po di roba per renderle pratiche secondo i nostri standard: in Europa stanze simili non sarebbero nemmeno di un hotel ad 1 stella. Ma qui siamo in Cina... e queste stanze sono adattate per noi occidentali. I dormitori cinesi... sono tutt’altra storia. I dormirori cinesi per studenti cinesi sono camerate (6 persone o più tutti in una stanza), i bagni sono pubblici e al di fuori, oggi abbiamo visto letteralmente docce all’aperto. Per noi è inconcepibile, per un occidentale è inconcepibile, per mia madre non è partoribile addirittura un’idea simile. Per loro invece è perfettamente normale.
La Cina ha subito la pressione dell’ideologia comunista fino a tardi anni 90. Si potrebbe dire fino a pochi anni fa: non esisteva la privacy. Esistevano le comuni popolari, si viveva in camerate in una singola stanza, non esisteva il concetto di privato, neanche nel lavarsi. Non esisteva nulla che legittimava l’individuo come singolo e se solo si provava a farlo... si veniva direttamente arrestati o ammazzati. La pressione del Partito comunista era talmente forte da attuare un vero e proprio lavaggio del cervello e un retaggio culturale simile è difficile da lasciarsi dietro.
Gli stessi cinesi ancora oggi sono inconsapevoli di pezzi della loro storia. Il governo censura qualsiasi cosa non vada “bene”, internet non permette ricerche specifiche. Molti cinesi non sanno che nel 1989 (circa 30 anni fa) l’esercito del loro stesso governo ha sparato e ucciso studenti che protestavano in piazza (noto come incidente di Tian’anmen, che da noi si trova facilmente su Wikipedia). Sono informazioni che hanno avuto venendo in occidente, il governo copre ogni scandalo politico, inclusi i passati storici. Tutto questo è paradossale. Le nostre stanze sono quindi un lusso estremo per loro, e anche per noi, considerando questi aspetti.
Siamo andate negli uffici a registrarci e Li Peng (il cinese che si occupa di noi e uno che parla inglese) ci ha fatto compilare e firmare fogli. Durante la registrazione occorre un nome cinese: i nomi occidentali sono troppo difficili per un cinese da pronunciare e ricordare, per cui gli occidentali devono scegliersi un nome che può essere una somiglianza fonetica (Marco -> Make) oppure un significato personale (le ragazze scelgono un sacco di nomi stronzi: fiore di giada, cuore di gatto, forza speranzosa, diocane rugiada e via dicendo). Ho detto a Li Peng di scegliermi un nome e anche alle mie amiche ed è uscito fuori il nome 福美 Fu Mei : Fu sta per “buona sorte, fortuna” (e per i cinesi è buon auspicio) e Mei sta per “bellezza, bello, rendere bello”. Li Peng mi ha quindi preso per il culo “so you’re pretty and fortunate” (eheheh).
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Siamo andate a cena fuori con due ragazzi: Bruno è un ragazzo italiano che vive qui da sei mesi e ci sta aiutando a fare tutto e un ragazzo americano di Chicago. Siamo andati a mangiare una cosa tipicamente cinese: lo Huoguo, in inglese hotpot, ma la traduzione italiana non saprei come farla. L’hotpot consiste in un enorme pentolone che viene fatto bollire al tavolo, si sceglie dal menu la base (brodo piccante, non piccante, brodo di pomodoro e via dicendo), si ordinano verdure, pesce, carne, patate, tofu, tutto interamente portato crudo al tavolo ed ognuno sceglie cosa mettere e si cuoce all’istante. Ci sono inoltre buffet con salse di ogni tipo: piccante, sesamo, cipollina, all’aglio, altre che non ho manco capito. L’Hotpot di stasera era diverso, perche ognuno di noi ne aveva uno personale in cui menare e far cuore nel tuo brodo tutto ciò che decidevi (ovviamente nel mio caso c erano 700 noodles e cose cadute intorno al piatto).
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Dopo aver mangiato ci hanno portato all’Helena’s (se non ricordo male il nome), che è uno dei “pub”(?!), posti dove si beve vicino l’università. Le luci sono così fioche che non si vede una mezza sega, ma il posto è bello, c è musica e la birra costa 1 euro (come tutto insomma...). Qui la gente dell’università e i cinesi vengono ad ubriacarsi a quanto pare. Si ordina così: a lato del tavolo c è un codice, lo si visualizza sul telefono e si fa l’ordine da lì. Abbiamo ordinato birre e tequila e giocato al gioco dei dadi cinesi, ma io ero brilla quindi non non posso spiegare questo gioco perche non ci capivo un cazzo. Abbiamo visto un cinese che ha dato un pacchero in piena faccia ad una tipa, fatto conversazioni in americano sperando che il tizio di Chicago ci inviti in America. Ma la cosa bella è che in Cina si fuma ovunque, nei locali e bar nessuno ti dice niente.
Qui sono quasi le due di notte, e io continuo a dimenticarmi che in Italia siete sette ore indietro.
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roses-symphony · 6 years ago
Note
Ho pensato a Fabrizio come un pittore/scultore del Rinascimento ed Ermal che si presta da modello per le sue opere
Allora, io c’ho provato. Premetto che non so niente di Rinascimento, del modo di parlare, ecc quindi sono andata per vecchie reminiscenze che ho dal liceo (spero di non aver fatto gaffe xD) 
Non so, attendo vostri riscsontri xD
La banalità lui non la sopportava. Quella falsa armonia che altro non era se non un ripetersi di dettagli sempre uguali, era qualcosa che non si addiceva alla sua idea di bellezza, eppure, con quella banalità, ci campava. Ed era questo che pensava mentre, seduto su uno sgabello a tre gambe non troppo comodo, vestito di un paio di calzoni di tessuto leggero e una camicia dai bordi orlati da un pizzo semplice e alquanto scadente, macchiata da residue di pittura ad olio e “sgarbatamente” lasciata aperta sul petto, si concentrava a ritrarre il viso di uno dei più giovani eredi della casata per la quale lavorava ormai da tempo e che aveva chiesto, ancora una volta, i suoi servigi affinché mascherasse, con la sua arte, la bruttezza dei visi di quella stirpe.
E Fabrizio avrebbe preferito mille volte poter ritrarre le imperfezioni di quel viso, perché era nella sua particolarità, nel suo essere diverso, che si nascondeva la bellezza  che si, magari era fuori dagli standard, ma era vera e tangibile. Ma il suo estro, anche quella volta, l’avrebbe dedicato ai soliti schizzi che teneva per se, fatti in fretta su un pezzo di pergamena con un carboncino spuntato ma che, come gli ricordava spesso la Giada, donna che da anni accompagnava il suo cammino questa terra, senza avere l’ardire di essere chiesta in sposa, senza mai considerarsi la sua consorte , lasciando ad entrambi la libertà che desideravano e per la quale vivevano, erano da sempre i suoi migliori lavori perché in essi, nel tratto veloce e sincero che li contraddistingueva, era capace di rappresentare la vita vera e la bellezza.
Il ritratto era ormai quasi finito, il giovane si era stancato di stare in posa e il padre gli aveva concesso di ritirarsi nelle sue stanze perché, alla fine, Fabrizio avrebbe potuto anche continuare il lavoro senza averlo di fronte e così fece. Era quasi l’imbrunire quando, in quel caldo giorno di Luglio, mentre ripuliva i suoi pennelli con un vecchio straccio di  lino imbevuto di acqua e di un liquido dall’odore penetrante, guardò fuori dalla finestra dello studio dove gli era stato concesso di lavorare e vide quello che i suoi occhi cercavano da sempre: la bellezza. Quella vera. E aveva l’aspetto di un giovane dal fisico asciutto, fasciato in un paio di braghe scure ed un farsetto dello stesso blu del cielo notturno, lasciato aperto sulla camicia bianca di buona fattura. I capelli ricci color del mogano, che notò essere umidi e appiccarsi all pelle candida del collo a causa della calura estiva, erano lasciati al vento e camminava con passo deciso verso l’abitazione stringendo tra le braccia due enormi libri. Visti gli eleganti lineamenti, Fabrizio era sicuro che quel ragazzo non facesse parte della famiglia proprietaria di quella reggia, tantomeno si trattava di un domestico, visti gli abiti e l’aura che aveva intorno e sentiva i bisogno di sapere di più, di conoscere il suo nome, da dove venisse, perché si trovasse lì. Ma il suo flusso di pensieri fu spezzato dalla voce flebile di un giovane servo che gli ricordava che fosse ora di andare, che il suo padrone aveva preparato una carrozza - che in realtà non era altro che un carretto ai limiti del fatiscente- per lui per riportarlo in città, non poté quindi trattenersi oltre e dovette lasciare, a mal in cuore, quel posto.
Per tutta la notte non fece altro che pensare a quel giovane che aveva intravisto, ma erano troppo lontani affinché potesse scorgerne tutti i dettagli del viso e riprodurli su carta, si limitò quindi a scarabocchiare quanto ricordasse: un profilo pronunciato, i capelli delicati nel vento, le mani dalle lunghe dita strette ai libri…Aveva bisogno di vederlo ancora; sentiva l’impulso viscerale di doverlo conoscere, di doverlo guardare, analizzare, sfiorarlo con la punta delle dita e poi lasciare che le sue mani riproducessero quelle stesse sensazioni su tela.Si svegliò prima dell’alba, non attese che il carretto venisse a prenderlo ma, presa la sacca con le sue cose, si incamminò vero la dimora di quei signori, sperando di poter incontrare, o avere notizie, su quel giovane.Ma non fu semplice come sperava; passarono tre giorni senza che venisse graziato dalla visione di quella che, lui credeva, potessero essere la musa che cercava da anni, inoltre il quadro era ormai completato e non trovava più scuse per poter restare lì ancora. “Domani sarà l’ultimo giorno” si disse con tristezza mentre attraversava il lungo corridoio dove, appesi ai muri, riconosceva alcuni dei dipinti che aveva fatto lui stesso e, proprio mentre era perso a scrutarli con occhio critico, il giovane gli passò davanti.“Fermatevi!” fu quasi un urlo quello che lasciò le labbra di Fabrizio e che scosse l’altro ragazzo che, lentamente si voltò nella direzione di quella voce roca e potente. Non parlò, ma lo guardò dritto negli occhi e Fabrizio non poté fare altro se non iniziare già a pensare alle sfumature di colore che avrebbe dovuto mischiare insieme per ottenere lo stesso calore e la stessa profondità che quegli occhi avevano.“Mi direste il vostro nome?” gli chiese diretto, posizionandosi difronte all’altro che lo sovrastava di alcuni centimetri in altezza. Questi lo guardò, lo analizzò, cercando di capire se potesse fidarsi di lui, cercando di individuare la ragione di quell’interessamento e alla fine rispose semplicemente “Ermal”.“Ermal” ripeté il pittore, le lettere che gli scivolavano dalle labbra dolci e delicate. Lo ripetè ancora per poi prendere le mani dell’altro, questa volta libere di qualunque libro o fardello, e le strinse tra le sue.“Potreste farmi l’onore di lasciarvi dipingere? Non chiedo nulla di particolare, solo che posiate per me, per un po’.” Quello he Fabrizio non sapeva era che Ermal conosceva bene chi lui fosse, la sua fama, lì nella loro città e in quelle vicine, era nota a tutti e, da quando era entrato in quella casa, ospitato dal padrone mentre completava i suoi studi in lettere, aveva sempre ammirato i dipinti di Messer Mobrici e, talvolta, quando non era preso dalle sue carte, l’aveva osservato dipingere dalla porta semichiusa dello studio a lui dedicato, ammaliato dalla sua arte.Fu per questo che, quando gli fece l’onore di chiederlo come modello, non poté fare altro se non accettare senza il minimo dubbio, riempiendo di contentezza il proprio cuore e quello del pittore.
Avevano iniziato ad incontrarsi nel piccolo studio che Fabrizio aveva sotto casa sua -piccola anche quella- che altro non era, in realtà, se non un magazzino pieno di colori, tele bianche, altre incomplete, altre ancora perfette e pronte per essere esposte. C’era, al centro della stanza, un piccolo tavolo coperto da fogli di pergamena, mine e carboncini, due sedie e, in un angolo, un ammasso di paglia - probabilmente usato da Fabrizio come letto in quei giorni in cui era troppo preso dalla sua arte che non aveva il tempo di salire in casa- coperto da un vecchio lenzuolo di cotone che, per volontà divina, non era stato imbrattato ancora da alcun colore.  Ermal ogni giorno notava un nuovo particolare, un nuovo disegno e, attraverso questi, scopriva un po’ di più dell’animo di Fabrizio. Era già un mese ormai che si incontravano, passavano insieme il tempo che andava dal tramonto fino a notte fonda, quando Ermal era costretto a tornare a casa o avrebbe trovato i cancelli chiusi; e mentre Fabrizio era concentrato a riprodurre sulla tela ogni dettaglio della bellezza che Ermal irradiava, questi gli parlava e gli raccontava di se, della sua vita, della sua carriera e i suoi studi in lettere e Fabrizio ascoltava e cercava di imprimere, con i pennelli e le spatole, il sentimento che percepiva da quelle parole mentre, in maniera più naturale, quelle parole gli restavano da sole impresse nel cuore. Poi a volte si fermava per osservarlo un po’ meglio, le labbra sottili tese in un sorriso quando sentiva gli occhi del pittore su di se, le mani dalle dita lunghe e affusolate che toccavano, con lieve nervosismo, i suoi soffici capelli e Fabrizio si sentiva morire. Qualcosa mai provato fino ad ora si stava facendo largo dentro di se ma non sapeva dargli un nome, non capiva cosa fosse e allora cercava di nascondere tutto dentro, mentre ricambiava i candidi sorrisi del ragazzo e, con poche parole, non forbite come quelle dall’altro, anche lui gli raccontava sprazzi di se e della sua vita.
E così si conoscevano, si scoprivano e, ognuno a modo suo, iniziava a nutrire per l’altro qualcosa di nuovo, di indefinito ma che li spingeva come calamite l’uno verso l’altro, che li faceva muovere e gravitare insieme, qualcosa che neanche i versi di Ermal o le immagini di Fabrizio avrebbero potuto spiegare.
Era il tramonto di una sera di Agosto, il caldo di Roma era asfissiante e, per quella sera, credeva che non avrebbe avuto neanche la forza di alzare un pennello e anzi, dubitava che Ermal avesse avuto il coraggio di camminare fin lì con quell’arsura. Ma invece, puntuale, arrivò anche quella sera. I loro incontri ormai erano più che un semplice rapporto tra pittore e modello, perché si ritrovavano per parlare, per scambiarsi opinioni, per farsi compagnia in quella vita che, prima di allora, era sembrata ad entrambi troppo vuota e priva di bellezza. “Messer Mobrici, la prego, mi dia dell’acqua. Credo di stare per svenire” disse drammatico Ermal mentre si slacciava velocemente il farsetto e lo sfilava via, lasciandolo sul tavolo e faceva lo stesso con il colletto della camicia, lasciando la stoffa bianca semiaperta sul petto. “Siete venuto di corsa? E quante volte devo ripetervelo di chiamarmi Fabrizio e basta?” gli passò un boccale di ferro riempito di acqua fresca che l’altro bevve con voracità, lasciando che alcune gocce gli colassero sul mento e sul collo. Fabrizio ebbe l’istinto di ritrarre quel momento e senza dir nulla si sedette sul giaciglio di paglia, prese una sanguigna e un foglio e iniziò a tracciare velocemente il viso di Ermal, l’inclinazione del collo mentre beveva che gli esponeva, in maniera così sensuale, il pomo d’adamo, i capelli su un lato, il petto che si intravedeva dalla camicia “Ve l’ho mai detto che siete bello?”  Ermal rise a quell’affermazione, prendendo uno sgabello e sedendosi difronte a Fabrizio “Qualche volta, si. Ma non vi ho mai creduto” asserì mentre sbirciava quello che le mani di Fabrizio tracciavano, gli occhi che non si staccavano dal foglio, dietro di loro fissa l’immagine di qualche secondo prima che non poteva perdere, non poteva dimenticare prima di averla impressa sul foglio come voleva.
“Mi state ritraendo ancora? Non sarebbe più opportuno prender una bella donna come modella, invece che me? Una come lei, ad esempio?” e sfilò dalla pila di fogli sparsi sul tavolo, uno che aveva notato già da tempo, di una donna da i lunghi capelli scuri e le forme morbide, nuda, adagiata su un fianco che guardava dritta negli occhi la persona che la stava ritraendo. Fabrizio non guardò il foglio che gli aveva messo davanti, semplicemente fece spallucce “La bellezza di un uomo non vale meno di quella di una donna” replicò semplicemente e, solo quando le linee principali di quello schizzo furono complete, alzò lo sguardo su quello di Ermal, trovandolo fisso nel suo.“Sapete, io credo che la vera bellezza sia negli occhi di chi guarda. Quando siete così concentrato sui vostri dipinti, voi si che siete bello…Fabrizio” e disse questo sedendosi accanto al pittore, lo sguardo che non vacillava, fisso in quello dell’altro.C’era un’aria diversa quella sera, c’era elettricità intorno a loro, lo percepivano entrambi e forse quello non era altro che l’apice di quella tensione, l’apice di quegli incontri e di quel rapporto che stavano costruendo da settimane.Si guardavano negli occhi come se vi stessero leggendo le stelle, il futuro, il senso di ogni cosa finché Ermal vacillò ed abbasso lo sguardo, le ciglia lunghe a fargli ombra sulle guance e Fabrizio fu veloce e posare una mano sul suo viso e baciarlo, sfidando ogni logica e oggi pensiero razionale, con la paura di essere rifiutato ma così non fu. Il bacio fu ricambiato e sentì quelle mani che tanto amava stringerli la stoffa leggera della camicia mentre un gemito lasciava le sue labbra. Non si dissero molto, non c’erano davvero bisogno di parole quando i loro occhi si erano già raccontati tutto e lasciarono soltanto che fossero ora i loro corpi a completare quel quadro che insieme avevano creato. 
Le mani di Fabrizio, ancora sporche di sanguigna, tinsero di rosso la pelle candida del suo amante, così come il lenzuolo sul quale aveva fatto adagiare il suo corpo che, senza alcuna costrizione e alcuna stoffa, era ancora più bello di quanto potesse minimamente immaginare. Fabrizio ne baciò ogni lembo, ogni curva, ogni protuberanza, tessendone le lodi mentre Ermal rideva, imbarazzato e felice di quelle attenzioni, cercando di ricambiarle a sua volta con la sua inesperienza.Si trovarono finalmente pelle contro pelle, passione, ammirazione, desiderio, tutto li aveva pervasi e si lasciarono andare in quella danza di baci e carezze e ansimi, riscoprendo la bellezza nelle azioni più carnali e sincere.
La stanza era illuminata solo dalla luce fioca di una lampada ad olio, Fabrizio, ancora nudo, era seduto difronte a letto ad ammirare Ermal dormire. Il braccio piegato sotto la testa, i ricci sparsi su quella superficie bianca, le gambe lunghe accavallate a nascondere la propria intimità e gli occhi socchiusi di chi è ancora perso nel dormiveglia ma aveva sorriso, guardando la figura di Fabrizio-ancora sfocata ai suoi occhi- intento a disegnare.“Spero che questo disegno lo teniate per voi e non ne facciate merce di scambio o di vendita” Fabrizio sbuffò una risata e annuì “Non credo che lascerò godere altri di tale spettacolo, non così presto almeno” convenne e, quando fu soddisfatto, mise da parte quel bozzetto e si sedette sul bordo del letto. Carezzò piano i capelli del più giovane che, quasi come un gatto, andò incontro a quel tocco, come per chiederne di più. “Credo che mi abbiate fatto il regalo più grande che un uomo possa desiderare”; Fabrizio lo guardò confuso e allora continuò “Essere amato da un artista è qualcosa di speciale. Essere la sua musa vuol dire vivere per sempre, lì, nei suoi dipinti, nei suoi disegni o poesie. Lì, così come lui ti ha immaginato, e lasciare che il mondo intero sappia della tua esistenza e ti veda attraverso gli occhi di chi ti ha amato” sospirò piano, chiudendo gli occhi per un secondo come se stesse sul punto di riaddormentarsi e allora Fabrizio si affrettò a dire “Allora anche voi mi dedicherete un vostro scritto un giorno?” azzardò, e questa affermazione fece sorridere Ermal che, allungando una mano, andò ad accarezzargli la coscia nuda “Magari un giorno, chissà” concluse prima di trovarsi il calore, già familiare, dell’altro contro il suo corpo.
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jazzluca · 3 years ago
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HOT ROD ( Voyager ) Movie Studio Series 86 04
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Protagonista del primo film d'animazione del 1986, HOT ROD è diventato da subito una figura di primo piano nel pantheon dei Transformers, ovviamente complice anche la sua metamorfosi in Rodimus Prime, il successore di Optimus al comando degli Autobot, ma anche come semplice stereotipo del "giovane" ribelle e testacalda. E' stato quindi ovvio vederlo fra i primi modellini ad uscire per la sotto linea Studio Series 86, ma un po' meno invece trovarselo nella classe dei Voyager, scelta magari un po' antipatica per quello che è a tutti gli effetti un Deluxe anche se più elaborato della media, come andremo a vedere.
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Nonostante la mia ritrosia a comprarlo immediatamente l'anno scorso all'uscita per il prezzo pieno di un Voyager ( prezzo pure maggiorato, che gli SS costicchiano più dei Generations normali... ), Folgore è pure sempre Folgore, ed è stato ristampato anche quest'anno e sempre con la numerazione originale 86 04, ed anche se le scatole sono state rimpiccolite di un po', il nostro continua a sguazzarci all'interno. ^^'
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Il ROBOT, infatti, è sì alto come i colleghi Kup e Blurr, quindi di una testa più del Deluxe medio, ma risulta lo stesso magrolino, complici anche le spalle strette ed aderenti al busto, "problema" già visto poi anche nel suo alter ego Kingdom di Rodimus Commander, ma qui potremmo dire peggiorato dal fatto che l'articolazione delle spalle è a scatto, e da 0 va direttamente a 45° quando si cerca di alzare le braccia lateralmente. ^^'
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Ma lavorandoci un po' si riescono ad abbassare un po' sti gradi, diciamo, e su questo iniziale difetto ci si passa sopra quando ci si accorge che il robot sembra davvero uscire dai cartoni animati da quant'è fedele ed armonioso nel design, in alcuni punti dando filo da torcere persino al suo omonimo Masterpiece, sempre fatte le dovute proporzioni.
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Inoltre, un'altra chicca è la colorazione, anch'essa fedele ai cartoni con le gambe inferiori grigio / violacee ed il rosso non bordeau ma pure lui più virato verso il magenta, e su questo ovviamente il MP dettava già scuola, figuriamoci, ma il nostro Deluxe quasi Voyager si riappropria della sua identità di Generations con un po' di dettagli scolpiti su gambe, bacino e braccia, così come dei fori per armi dietro ai polpacci insieme a quelli standard anche per gli SS sotto i piedi.
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Dietro la schiena ci sono inoltre due fessurine verticali dove poter alloggiare le due armi principali, ovvero i due fucili classici caratteristici del giocattolo e visti anche nel MP, ovviamente, ma che se andiamo a spaccare il capello in 4 nel film del 1986 non esibiva, limitandosi a sparare usando i suoi caratteristici tubi di scappamento sugli avambracci... ma ok, meglio così ovviamente, dato che vorrei pure vedere che non aggiungevano un po' di accessori per dare ciccia al Deluxe/ Voyager qui presente.
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Ed appunto fra questi accessori ci sono degli effetti esplosivi in plastica trasparente, tipo quelli dei Battlemaster WfC, per i fucili o anche per i suddetti tubi sugli avambracci, così come, sempre a citare le scene dal film, richiudendo la mano sinistra dentro al polso ecco una spinea cui sistemare l'accessorio sega circolare, mentre nascondendo la mano sinistra appare direttamente un piccolo saldatore.
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Infine, immancabile una Matrice del Comando, stesso stampo dei WfC con effetto luminoso a parte in plastica trasparente, come poi visto anche sempre nel Captain Kingdom: ironico come il nostro Hot Rod sia dotato di Matrice ma poi il petto non si apra e non possa riporla all'interno, laddove invece l'omonimo Masterpiece non l'aveva fra gli accessori ma il petto si apriva per poterla inserire!! ^^'
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Ma Folgore SS almeno può impugnarla, grazie ai pugni apribili già visti nell'Optimus ER, e sempre ad aggiungere qualcosa in più per giustificare il prezzo di Voyager, anche la parte superiore del casco si apre permettendo di abbassare il visore sugli occhi, come nel film dell'86 e come pure, manco a dirlo, nel MP.
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La TRASFORMAZIONE rivela ancora che il nostro è ben più di un semplice Deluxe, ed ha parecchi punti in comune con quella del Commander Rodimus di Kingdom, come le parti laterali posteriori con le ruote ripiegate nei polpacci, il pannello posteriore con l'alettone che ruota e va a coprire il parabrezza sulla schiena, e con la chicca delle braccia che ruotano rispetto al busto rette da un perno interno, sempre a citare alcuni passaggi delle varie trasformazioni che Folgore sfoggia nel film del 1986. Inedita ma fedele è anche la rotazione del bacino ( sempre a seconda dell'occasione ), mentre il petto si rivela un finto cofano, con quello effettivo ripiegato nel torso.  
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L'iconicissima AUTO SPORTIVA CYBERTRONIAN / FUTURISTICA è davvero ben rappresentata, aerodinamica e sinuosa, anche se, ad andare a spaccare il capello in 4, non così fedele al settei dei cartoni ( superata invece, indovinate un po'?, dall'auto del MP! ), con un cofano più corto ed il seguente parabrezza corto anch'esso e più in avanti, mentre l'alettone posteriore è davvero enorme, o i parafanghi delle ruote posteriori non così accentuati verso l'alto. In compenso, i tubi di scappamento laterali partono effettivamente da dove finisce la cabina, sempre a guardare il settei, mentre anche il MP si arrendeva e li faceva iniziare da ben più avanti.
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Ma vabbè, anche come linea questa non è male, ed è appunto iconica il giusto, con altrettante finezze come ovviamente il disegno sul cofano o i cerchioni argentati ( delle sole ruote anteriori, che tanto quelle posteriori sono coperte! ^^' ), e mentre anche qui il veicolo tradisce la sua natura di Deluxe, per la stazza, il vero pugno nell'occhio è data dalla giuntura gialla che collega parabrezza e tettuccio posteriore: è ovviamente antiestetica e rovina la carrozzeria, sopratutto in un cacchio di Deluxe pagato come un Voyager, ma purtroppo hanno dovuto usare quel tipo di plastica non dipingibile, e vabbè, col tempo ci si abitua, e pazienza. ^^'
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Volendo anche le ginocchia sporgono un po' troppo dal retro dell'auto, ma ari vabbè, su questo si soprassiede, per carità. I fucili, come già nel MP, o anche nel Titans Return, posso sistemarsi sulle fessure del motore del cofano, o su quelle subito dietro la cabina, che erano quelle della schiena del robot. E quindi sopra ci sta pure, ancora, la sega circolare, giusto per metterla da qualche parte, mentre gli effetti di esplosione in plastica trasparente possono sistemarsi dietro i tubi gli scappamento, ari anche qui.
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Concludendo, il soprannome di piccolo Masterpiece si sposa molto bene con questo modello, vista la cura nei dettagli, la somiglianza al settei, la trasformazione etc. etc., ma a conti fatti resta pur sempre un bel Deluxe assai ricamato al prezzo di un Voyager. Fermo restando che tutta questa perfezione è un po' funestata da svarioni come la plastica gialla che spunta dal tettuccio. Non so se mi piace questa deriva elitaria dei Generations, dato che bene o male gli altri mediamente si difendono più che bene, e valgono il loro prezzo, e ci sta l'eccezione, ok, ma se inizia a diventare la norma, con i prezzi della crisi che iniziano a bussare ai nostri portafogli, non è un bel futuro quello che ci si prospetta. ^^'
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Insomma, ovviamente consigliato, ma magari ad un prezzo un po' scontato rispetto a quello della sua classe di appartenenza.
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giancarlonicoli · 4 years ago
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6 mar 2021 11:22
MILANO PIANGE IL "TOGNOLINO": E’ STATO IL SINDACO PIU’ GIOVANE DELLA CITTA’ – AVEVA 82 ANNI ED ERA STATO COLPITO DAL COVID - SOCIALISTA RIFORMISTA, PUNTÒ SU ECOLOGIA E CULTURA PER SUPERARE GLI ANNI DI PIOMBO. I CONCERTI A PREZZI POPOLARI, IL SODALIZIO CON GIORGIO STREHLER E CON IL PICCOLO, LA SCALA CHE APRE A STUDENTI E LAVORATORI, LE SERATE ALL' OSTERIA DELLA BRIOSCA, DOVE ANCORA SI ESIBIVANO I CANTANTI DELLA LIGERA, LA VECCHIA MALA - DENTRO PALAZZO MARINO, DOVE ARRIVÒ A 38 ANNI, TOGNOLI DIVENTÒ, COME SCRISSE GIORGIO BOCCA, UN PO' "ROBOTICO"…
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Piero Colaprico per la Repubblica
Era un politico innamorato perso di Milano. Della sua, della nostra, di tutte le Milano possibili e anche, se così si può dire, delle visioni della Milano che verrà.
Se ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scrive che «La notizia della scomparsa di Carlo Tognoli mi rattrista profondamente » e se anche Silvio Berlusconi dice che «se ne va un sindaco stimato nel mondo e amato dai milanesi, dotato di una grande passione per la sua città», significa anche che Carletto, anzi "il Carletto", o anche "il Tognolino", ha lasciato il segno. Di lui si diceva che «è uno che c' è sempre».
Socialista che s' ispirava a Filippo Turati e primo cittadino per dieci anni, dal 1976 al 1986, forse ha calpestato ogni metro quadro della metropoli più internazionale d' Italia. Lo si trovava non solo nelle occasioni della Milano che, attraversando i fiumi di sangue degli Anni di piombo, aveva guidato sino all' approdo luccicante della cosiddetta "Milano da bere", della Borsa che tirava e del made in Italy della moda. "Tognolino" spuntava nelle serate all' osteria della Briosca, dove ancora si esibivano i cantanti della ligera, la vecchia mala.
Poteva a pranzo sedersi a tavola con qualche industriale o banchiere, o con i grandi palazzinari, ma a cena alzare il bicchiere di barbera con gli operai della periferia più lontana. Aveva un credo: poter medicare ogni ferita con la cultura e con il «ritrovarsi».
Concerti a prezzi popolari, investimenti nei teatri, il sodalizio con Giorgio Strehler e con il Piccolo, la Scala che apre a studenti e lavoratori e non più e non solo alla borghesia dei danèe. Aveva visto lontano anche sui temi dello smog: si deve a lui e all' assessore al Traffico Attilio Schemmari se Milano, sulla spinta dei movimenti verdi e dei comitati dei cittadini, nel 1985 bloccò al traffico delle auto private il centro, dal Duomo all' intera Cerchia dei Navigli.
Non alto, spesso in elegante gessato, occhi simpatici e sgranati dietro gli occhiali, era nato in viale Romagna, papà morto in guerra in Russia. Finché ha potuto, gli spuntava un mezzo toscano in bocca. E non gli dispiaceva andare in Galleria - quando in piazza Duomo c' era al 19 l' ufficio dell' immanente segretario politico del Psi Bettino Craxi - e partecipare al rito del drink: un Americano, o uno Sbagliato, una piccola pausa, ampiamente meritata, dopo giornate da stacanovista.
Dentro Palazzo Marino, Tognoli diventò un po' "robotico", come scrisse Giorgio Bocca, nel senso che aveva tutto sotto controllo ed elargiva cifre, dati, analisi su qualunque argomento che avvalorasse l' efficienza meneghina. Aveva studiato da perito, lavorato in aziende chimiche e a vent' anni s' era iscritto al Psi di Pietro Nenni.
Nell' anno della «madre di tutte le stragi», quella di piazza Fontana - 1969 - era lui il segretario cittadino del Psi e Aldo Aniasi, l' ex partigiano Iso, il sindaco. Poi, sette anni dopo, dopo essersi fatto le ossa come assessore, entrò lui nell' ufficio del primo piano, affacciato su piazza San Fedele, il sancta sactorum, sostituendo Aniasi. Ci arrivò a soli 38 anni, un enfant prodige per i nostrani standard gerontocratici. Numero uno di una giunta rossa, sostenuta dal Pci, il più giovane sindaco di Milano sembrava destinato a una lunga carriera.
Eurodeputato e ministro, non apparteneva però al gruppo dei craxiani ortodossi. Nella vera stanza dei bottoni non riuscì a entrare. Il Primo Maggio del 1992 lui e il suo successore, Paolo Pillitteri, organizzarono una conferenza stampa per respingere le accuse di mazzette che aveva portato in carcere - era l' inizio di Tangentopoli - alcuni portaborse del Psi. Là finì la stagione di "Tognolino" che, poco dopo, ricevette da Enrico Cuccia, il super banchiere della Grandi Famiglie italiane, un incarico in Mediobanca. Ieri s' è spento a 82 anni, a casa sua, con la consapevolezza di aver vissuto sino in fondo l' amore per Milano, ricambiato da chi, ancora nei mesi scorsi, incontrandolo gli diceva «Ciao sindaco».
Ogni tanto arrivava ai vecchi amici, e anche ai giornalisti, la sua telefonata, con un' idea, un educato rimbrotto, un complimento.
Erano stati una brutta caduta, e il femore rotto, e poi il Covid contratto in ospedale a togliergli di mano il telefonino e la voglia di intervenire. Sua moglie Dorina l' ha portato a casa, una settimana fa, dall' inutile riabilitazione. Lascia due figli, Filippo e Anna, chiamati così in onore dei socialisti Turati e Kuliscioff, che avevano casa, oltre un secolo fa, proprio in quella Galleria dove «Carletto» amava fermarsi a guardare la prospettiva di piazza del Duomo. Come dice il suo ultimo successore, Beppe Sala, «Milano piange un uomo politico concreto e aperto alle riforme, un milanese vero». E si sa che, come cantava Lucio Dalla, Milano quando piange, piange davvero.
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levysoft · 3 years ago
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Rispetto a lingue come il francese e soprattutto l’inglese, in italiano c’è indubbiamente una maggiore vicinanza tra la parola scritta e quella pronunciata; da un altro punto di vista, le regole di pronuncia dell’italiano (come quelle del tedesco) consentono nella maggior parte dei casi, per esempio a uno straniero che le abbia imparate, di pronunciare correttamente la maggior parte delle parole nuove che si incontrano.
Tra convenzioni grafiche e regole di pronuncia, però, qualcosa resta fuori.
Come sappiamo tutti…
• Di solito, il gruppo GL seguito da una I indica un unico suono (palatale): gli, glielo, negli, foglio, germogli. Però ci sono parole in cui GL rappresenta i suoni distinti di G e L anche se dopo c’è una I: glicine, glicerina, negligenza, ganglio, geroglifico. L’ortografia non rivela la differenza.
• Non possiamo distinguere, nello scritto, la S sorda di sera dalla S sonoradi osare, né la Z sorda di alzare dalla Z sonora di zona. L’alfabeto cirillico, invece, ha lettere diverse per suoni diversi:
С = S sorda                 З = S sonora               Ц = Z sorda
(Il suono della Z sonora non esiste nelle lingue slave, e quindi manca la lettera.)
• In italiano esistono sette vocali, ma l’alfabeto ce ne offre solo cinque. In un testo scritto, quindi, venti indica sia il numero 20 (che in italiano standard si pronuncia con la E chiusa: vénti) sia il plurale di vento (pronunciato con la E aperta: vènti); così botte indica sia quella del vino (con la O chiusa: bótte) sia il plurale di botta (con la O aperta: bòtte). Per quanto riguarda le vocali E e O, insomma, o uno proviene dalle regioni centrali d’Italia in cui la pronuncia è “naturalmente” quella dell’italiano standard, o ha studiato dizione, oppure pronuncerà le vocali secondo la propria pronuncia regionale, e non troverà nella forma scritta un aiuto alla pronuncia corretta (se non nel caso delle E accentate sulle parole tronche: l’accento acuto su perché indica che la pronuncia corretta è quella con la E chiusa, quello grave su caffè che la E va pronunciata aperta).
Ed è qui, nel rapporto sempre problematico tra pronuncia standard dell’italiano e pronunce regionali, che si nascondono le differenze più grandi (e meno avvertite) tra “come si scrive” e “come si legge” l’italiano.
Forse non tutti sanno che…
• Nella pronuncia italiana standard, la Z fra due vocali, sia sorda sia sonora, è sempre pronunciata “doppia” (cioè intensa), anche quando l’ortografia prescrive la presenza di una sola Z. Parole come ozono, nazione, azione, concezione, organizzazione “devono” essere pronunciate come se fossero scritte ozzono, nazzione, azzione, concezzione, organizzazzione. Il suono della Z singola in veneziano è intenso quanto quello della doppia Z in spezziamo, o se preferite il cognome del poeta Mario Luzi si pronuncia esattamente come quello del radiocronista Ezio Luzzi (ed Ezio, naturalmente, va pronunciato Ezzio). Questa affermazione è ovvia per chi proviene dalla Toscana e in generale dall’Italia centromeridionale, ed è considerata assurda e insensata dalla stragrande maggioranza dei settentrionali. Per approfondire la questione, cominciate a leggere la voce Z del dizionario Treccani.
• Nella pronuncia italiana standard, la I non accentata che segue una C e una G (fiducia, cielo, sufficiente, igiene, ciliegie…) o i gruppi SC (scienza, coscienza…) e GN (consegniamo, sogniate…) è sempre muta. Questa affermazione è scontata per molti italiani, ma in alcune pronunce regionali meridionali (per esempio in Campania) quella I è presente eccome: si pronuncia ci-elo, suffici-ente, igi-ene, sci-enza ecc.
Perché molti settentrionali si rifiutano di credere che la pronuncia corretta di paziente sia pazziente, o di Luzi sia Luzzi, e molti meridionali, simmetricamente, si rifiutano di credere che la pronuncia corretta di sufficiente sia sufficente? Proprio perché osservano le parole scritte e dicono: guardate, c’è una Z sola, non due (se c’è scritto caro mica si pronuncia carro, no?); guardate, quella I si vede benissimo, perché non dovrei dirla?
Questi due casi toccano una caratteristica essenziale dell’italiano. L’italiano è diventato lingua nazionale (e oggi per molti anche vera madrelingua) attraverso la forma scritta. Le lingue regionali settentrionali non hanno la pronuncia intensa (doppia) delle consonanti, ma solo quella tenue (scempia). Quando la pronuncia intensa è rappresentata nello scritto dalla doppia, un settentrionale ha imparato ad accoglierla; quando invece la grafia non aiuta, il sostrato regionale spinge a mantenere la pronuncia tenue. Non avviene solo con le Z: anche i suoni rappresentati dai gruppi GN, GL e SCI sono sempre intensi in italiano standard (Sciascia si pronuncia Sciasscia), e pronunciati sempre tenui al Nord. Lo stesso vale per la I presente nelle pronunce regionali meridionali, e “giustificata” dall’ortografia italiana.
E quindi, che si fa?
Niente. Ci teniamo l’ortografia italiana con le sue imperfezioni (un sistema ortografico è sempre un compromesso, sviluppato nel corso della storia, tra precisione e praticità), ci teniamo le pronunce regionali (o decidiamo liberamente di studiare dizione). È utile sapere, però, che ha ragione chi pronuncia doppia la Z intervocalica o non pronuncia le I mute, e converrà evitare di correggerlo.
Se poi vogliamo toglierci qualche dubbio, possiamo consultare i dizionari di pronuncia. Ce ne sono due ottimi di libera consultazione online:
DIPI, Dizionario di pronuncia italiana online (di Luciano Canepari, pronuncia Canepàri) DOP, Dizionario italiano multimediale e multilingue di ortografia e pronunzia (della RAI)
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