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Nel racconto per bambini "The Disadvantage of Having Two Heads", ("L'inconveniente di avere due teste") lo scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton si sofferma sui tormenti di chi non riesce a decidersi. Avere due teste (qui è un gigante a possederle, ritte sullo stesso collo, l'una di fronte all'altra e sempre intente a battibeccare) è molto più di un ostacolo: è una maledizione. Lineare, la trama del racconto: un bambino soprannominato Gambette Rosse vede passare dei cavalieri con alti cimieri sulla testa, e incuriosito si unisce a loro. Stanno andando da un vecchio da tutti giudicato un oracolo, per ascoltare i suoi suggerimenti su come raggiungere la bellissima principessa Japonica. Due cammini possibili, la sentenza del vecchio: uno sorvegliato da un gigante con una testa, l'altro da un gigante con due teste. Unanimi, i cavalieri scelgono la prima opzione. Tutti falliscono, e allora Gambette Rosse si decide: lui invece sfiderà il gigante a due teste. Si trova davanti un mostro bifronte le cui personalità scisse non fanno che litigare furiosamente fra loro. Quel che si poteva presumere forza, prospera abbondanza (due anziché uno), è del tutto fragilizzato dal dissidio interiore. Con un unico colpo di spada bene assestato, Gambette Rosse uccide il gigante. E quello, già accasciato al suolo, prima di esalare l'ultimo agonizzante respiro, con una delle due teste vomita fuori l'ultimo rigurgito di conflitto: «You are beneath my notice», una testa dice all'altra testa. «Non sei degna della mia attenzione» - poi muore, simultaneamente alla seconda.
Lisa Ginzburg, Buongiorno mezzanotte, torno a casa, Edizioni Italo Svevo, 2018; pp. 36-37.
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“Si deve entrare nel vero o rimanere al di fuori”: Jean Josipovici, il pensatore radicale che ha lottato contro “la scienza oscurantista” e la riduzione dell’uomo a macchina
L’uomo dimenticato. Penna dotta, graffiante, a tratti ironica e polemica; sguardo limpido, solare, impersonale ma unitario; questo, e molto altro, è stato Jean Josipovici, un grande studioso che, dopo una presenza importante nell’editoria italiana, con pubblicazioni numerose, anche presso case editrici del calibro di Fratelli Laterza e Rusconi, ha visto obliata la propria opera – saggistica e poetica –, che oggi risulta, per la maggior parte, introvabile.
A una riscoperta della figura di questo pregevole ricercatore è dunque votata la ripubblicazione di una delle sue opere più importanti: La scienza oscurantista (Iduna, Milano 2019). Al suo interno Josipovici propone un paradigma con cui valutare e criticare l’approccio antropologico, epistemico e gnoseologico dominante nella modernità occidentale. Un modello dominato dal riduzionismo razionalista, secondo Josipovici, che trova il proprio apice d’inveramento nella scienza moderna e, in particolare, in quelle branche scientifiche che hanno per oggetto del proprio studio l’uomo – dunque, fondamentalmente: biologia, medicina e psicoanalisi. In questi ambiti, infatti, diventa manifesto come la meccanicizzazione determinista e materialista del sapere, prendendo come proprio oggetto la forma più evidente della vita – ossia l’uomo –, riduca, secondo un processo di reificazione (à la Marx), il vivente a oggetto. Trasformandolo così nell’uomo a una dimensione che Herbert Marcuse duramente stigmatizzava, senza, tuttavia, riuscire a opporgli un’alternativa autenticamente costruttiva. «L’uomo ha smesso di porsi nella prospettiva del vivente», spiega Josipovici, intendendo “il vivente” in senso affatto biologista, piuttosto in modo plurale e gerarchico, secondo una prospettiva affine a quella espressa da Guénon ne Gli stati molteplici dell’essere.
Un uomo oggi dimenticato – Josipovici – ci conduce così nei meandri di una serrata critica alla scienza oscurantista, colpevole proprio di dimenticare l’uomo (L’uomo dimenticato è, non a caso, il titolo del primo capitolo del saggio). Lo fa, diversamente da molti antimoderni che si sono occupati della questione, con estrema precisione tecnica e con numerosi riferimenti ad autori, teorie e correnti che hanno variamente innervato l’approccio oggetto della sua critica. Se alcuni passaggi possono dunque risultare prolissi o eccessivamente puntigliosi per un lettore interessato alla storia delle idee più che alla storia della scienza, a emergere in ultima istanza è una grande competenza sull’argomento trattato – una dote che valorizza l’efficacia della critica, prevenendo obiezioni sulla competenza dell’autore rispetto a una materia tanto complessa. Proprio partendo dal metodo e dal linguaggio biologico, medico e psicoanalitico, Josipovici riesce a ribaltare dall’interno delle categorie del paradigma modernista le conseguenze che ne vengono solitamente tratte. Con un procedimento, quindi, per certi versi affine a quello di Horkheimer e Adorno, Josipovici mostra la dialettica dell’illuminismo scientista. È da queste premesse filosofiche, non organicamente delineate ma sempre emergenti nella fitta prosa dell’autore, che prende piede la pars destruens del saggio. La cui qualità permette, a nostro avviso, di “passare sopra” a taluni suoi riferimenti meno centrati, che paiono talvolta strizzare l’occhio a certa superficiale New Age.
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In «viaggio verso l’oscurantismo estremo». La psicoanalisi moderna, di cui, citando Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, ma anche Wilhelm Wundt, Oswald Kulp, Edward Bradford Titchener, James McKeen Cattel, Wilhelm Reich e moltissimi altri, Josipovici ricostruisce magistralmente genesi e sviluppi, è una forma di «chiusura all’essenziale»: anziché aprire in senso verticale l’uomo, connettere le sue possibilità realizzative soggettive alle condizioni oggettive dei ritmi cosmici, segna «il cammino dell’intelletto a spese dello spirito», la riduzione dell’uomo a macchina. Questo «è il prezzo pagato da chi, appoggiandosi pigramente all’intelletto, cerca di sostituire la qualità con la quantità, i valori con la materia scomponibile e misurabile». La dimensione psichica, che il Pensiero di Tradizione ci insegna situarsi su un piano dell’essere mediano fra la dimensione corporea (somatica) e quella spirituale (noetica), viene intesa come l’unica esperibile e, in tale accentratura monotonica, perdendo ogni possibilità di connessione e mediazione, viene del tutto disgregata. In questo senso, la serrata critica di Josipovici è complementare e integrativa rispetto alle interessanti osservazioni che Julius Evola dedicò all’«infezione psicanalista».
La biologia moderna risulta altrettanto castrante rispetto alle potenzialità insite nell’umano. Essa, infatti, riducendo l’uomo al puro piano biologico, commette un tradimento dell’essenza stessa del bios, che si struttura, certo, in elementi quantitativi, misurabili e meccanici, ma soprattutto – questo il suo tratto primario – si dipana in forme organiche, metamorfiche, relazionali, qualitative. Il Behaviorismo, secondo cui l’organismo agirebbe automaticamente in funzione della dinamica stimolo-risposta, ne è un esempio lampante. Parimenti la neurobiologia, pur partendo da premesse differenti, tende a ridurre l’uomo alla sola dimensione fisiologica, interpretata secondo schemi causali, razionalisti e deterministi. «L’uomo – spiega invece Josipovici – anche se dipende da fattori esterni e da fattori biologici – quando non c’è degenerazione o deficienza troppo grave –, conserva un margine in cui può esercitarsi la sua volontà personale, la quale deve consentirgli di crescere e di affermarsi spiritualmente». La natura, infatti, compie l’uomo solo parzialmente: per «divenire ciò che si è», nietzscheanamente, serve un intervento auto-creativo che completi la definizione della propria essenza.
Anche la medicina moderna che, olisticamente, dovrebbe interessarsi a tale compito, ne è del tutto aliena. Accompagnando la meccanicizzazione dell’umano agli sviluppi dell’industria e della farmacologia, la medicina «è divenuta un’immensa industria» e ha fissato l’immagine dell’uomo scisso e bisognoso di un surplus di chimica artificiale esterna come parametro antropologico – l’homo farmaceuticus.
Anche la sociologia, trattata più tangenzialmente nel volume, merita gli strali di Josipovici: ponendo al centro della propria speculazione la collettività, tale disciplina, frutto maturo della cultura della Rivoluzione francese, contribuisce alla distruzione dell’essenza della persona, identificandola con il semplice “ruolo” che l’individuo riveste nella società. È il ruolo impersonato nel sistema sociale che viene infatti da essa focalizzato: ancora una volta la multidimensionalità del singolo viene livellata dalle aspettative ed esigenze dei molti. Con una equazione: la società egualitaria sta all’io (diviso, molteplice, atomizzato – «i piccoli “ego”») come la comunità organica sta all’Io (plurale, differenziato, unitario). Non è un caso, nota l’autore, che «ogni qual volta si produce un vacillamento del quadro sociale, una nuova “apertura” spirituale compare; opera di un soggetto dotato d’una personalità totale, in rottura col suo tempo». La coscienza del singolo, la sua essenza sovra-personale, in questo caso cessa di essere un “residuo” e si fa fiamma.
Questa vampa, capace di disintegrare le certezze acquisite e verticalizzare lo scontro è a nostro avviso precisamente il superamento della visione del mondo d’orientamento modernista, stretta fra riduzionismi e monismi di ogni sorta – tutto è materia, tutto è sociale, tutto è psichico, per citarne alcuni –, soffocata da dualismi incapacitanti, contrari e convergenti, che conducono all’atomismo, alla parcellizzazione del mondo della vita e all’autismo dell’esperienza. L’oltrepassamento muove invece dalla possibilità, sempre vigente nell’estatica potenza dell’attimo, di «strappare i veli con cui Apollo nasconde la realtà originaria, osare di trascendere la forma per mettersi a contatto con la “atrocità” originaria di un mondo in cui bene e male, divino e umano, razionale e irrazionale, giusto e ingiusto non hanno più alcun senso essendo soltanto potenza, nuda, libera potenza fiammeggiante» (J. Evola, L’individuo e il divenire del mondo).
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Nel cuore dell’Invisibile. La pars destruens della raffinata operazione culturale proposta da Josipovici tende a ravvisare nelle diverse discipline considerate il medesimo vulnus: il riduzionismo razionalista. Sotto questo profilo, la riflessione del nostro rientra perfettamente in quel filone culturale che nel Novecento ha affrontato il problema della crisi dell’Occidente e dell’avvento del nichilismo. I paralleli con le speculazioni elaborate dalla letteratura della crisi sulle questioni della tecnica, sull’atomizzazione dell’individuo, sui rischi insiti nel pensiero collettivista così come in quello liberaldemocratico e scientista, sarebbero infiniti. Il confronto con le intuizioni di Edmund Husserl, Martin Heidegger e René Guénon – fra gli altri – risulta su svariati temi spontaneo e fruttuoso. Raccogliendo a nostro avviso questa importante eredità, il saggio di Josipovici procede da tale retroterra culturale per considerare nello specifico, con rigore metodologico, la materia scientifica.
Anche qui il razionalismo appare il problema fondamentale. Riducendo il reale ai suoi aspetti quantitativi, meccanici e deterministi, l’uomo l’ha intrinsecamente lacerato. Ma la realtà è scissa perché, ancor prima, è l’uomo a essere in sé scisso: la sua percezione alterata delle cose trasforma le cose stesse, rendendo la res extensa una costruzione mentale astratta, incapace di rendere conto della discontinuità, che pure è peculiarità intrinseca della vita.
D’altra parte, nel Novecento, la vita ha intrapreso una vigorosa reazione contro il modello positivista. Il crollo delle certezze manifestatosi nel Secolo Breve, l’avvento di prospettive relativiste, la comparsa di “anomalie” scientifiche quali il Principio d’indeterminazione di Heisenberg e il Teorema d’incompletezza di Kurt Gödel, nonché le intuizioni di Max Planck, Albert Einstein, Louis de Broglie, Niels Bohr, hanno segnato la bancarotta della scienza “cartesiana”, che pure rimane dominante nella vulgata comune. «Il materialismo, estrema negazione d’ogni liberazione spirituale, ha compiuto la sua opera, ma ha anche fatto il suo tempo; e appare per quello che è: un’illusione. Cede ormai il posto ai furori di forze inferiori, sole capaci di partecipare alla finale opera di dissoluzione» (Jean Josipovici, Il Fattore L.). Fa il suo ingresso trionfale il postmodernismo, che vince nelle accademie e si manifesta rizomaticamente nella quotidianità, senza aver però ancora integralmente scalzato la Weltanschauung ottocentesca. Il mattino dei maghi, per dirla con Pauwels e Bergier, ha lanciato la sua sfida al razionalismo, rivendicando l’integrità organica del sapere. Della sua eredità dobbiamo ancora farci carico, tuttavia.
Alla critica di Josipovici, che i quarant’anni del saggio non rendono affatto superata – pur richiedendo talvolta aggiustamenti, precisazioni e aggiornamenti –, si sommano riflessioni sparse che ci offrono la possibilità di identificare un potente afflato propositivo. La pars costruens del saggio si muove, a nostro avviso, attorno a due principali coordinate: l’identificazione di un modello antropologico alternativo a quello oggi dominante nel sensus communis (che proprio dalla cultura scientista tende a generarsi) e, alla luce del nuovo paradigma proposto, una integrazione della metodologia – e deontologia – delle discipline mediche, biologiche e psicoanalitiche.
Per quanto riguarda la prima questione, Josipovici concorderebbe con l’Ernst Jünger di Oltre la linea: nella modernità, a mancare è la «principesca apparizione dell’uomo». Nell’era della mobilitazione totale, infatti, alla centralità dell’uomo integrale si sostituisce la “cosalizzazione” dell’uomo-ingranaggio. Ecco che allora si crede di conseguire la conoscenza mediante questionari, sondaggi e test, anch’essi espressione di quel delirio sperimentale che accompagna la scienza moderna.
Josipovici, col suo radicale antimodernismo, intende precisare che a questa modernità ne sarebbe possibile un’altra – organica, completa, spiritualmente innervata. Così, «colui che decide di progredire sulla strada giusta deve adoperarsi coraggiosamente per sostituire alla ragione chiusa, quantitativa, una ragione aperta, qualitativa». Questo uomo “diversamente moderno” potrebbe allora procedere a un arricchimento e a un completamento delle discipline scientifiche considerate.
Così, in ambito psicologico, spunti interessanti provengono dall’orientamento psicosomatico e da tutte quelle tendenze che intendono l’uomo in senso olistico. William James, stando a Josipovici, avrebbe dato indicazioni importanti in tal senso, possedendo egli «un’autentica conoscenza della vita interiore che egli denomina – prendendo in prestito da Eraclito l’immagine – the stream of thoughts: esperienza certo unitaria e globale, ma in continua trasformazione; movimento che è vano intestardirsi artificialmente a dividere, come è vano tentare di estrarne degli stati, con il rischio di operare contro il significato stesso della natura umana». Anche in ambito terapeutico ci sono possibilità altre; in questo campo Josipovici sembra richiamare l’importanza di una comprensione filosofica – prima che neurologica – del disagio esistenziale: «Condurre il paziente ad affrontare l’esistenza, vuol dire innanzi tutto attrarlo a operare su se stesso. Scoprirà allora che il presente contiene in germe le determinazioni future, e che i problemi del momento hanno il loro giusto valore».
Solo affrancandosi dai pregiudizi correnti l’uomo potrà realizzare integralmente la propria natura, superando tanto il parossismo delle sensazioni quanto il culto della ragione. «La posizione giusta è quella dell’intuitivo […]. Intimamente orientato secondo la sua evoluzione creatrice, vibrante all’unisono, obbediente a un ritmo uguale, tutto il suo sforzo tende a inserirsi nella Grande Corrente Vitale».
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La verità dello sguardo mitico-simbolico. Il tipo intuitivo suggerito da Josipovici rimanda a una costituzione antropologica alternativa a quella moderna. Questa formula accende un’immediata catena di rimandi analogici ad altre grandi proposte di ribellione all’homo saecularis: dall’uomo dionisiaco di Nietzsche all’antropologia sapienziale di Rudolf Steiner, dal Dasein (esserci) di Heidegger all’uomo differenziato di Julius Evola, sino all’anarca di Ernst Jünger. Gli spunti offerti nell’opera di Josipovici sembrano tuttavia avvicinare ancor più il suo programma di rinnovamento interiore, tutto improntato a una mediazione feconda fra piano soggettivo, umano e animico (microcosmo) e dimensione oggettiva, vitale, spirituale (macrocosmo), a una prospettiva di ermeneutica mitico-simbolica, ossia a una interpretazione del reale imperniata su una lettura del “libro del mondo” mediata dalle forme del simbolo, dell’analogia e del mito.
Josipovici ci invita così a inaugurare uno sguardo differente sul reale: abbandonando gli affilati strumenti chirurgici del modernismo, l’uomo può riacquisire quella prospettiva simbolica fondata sulla corrispondenza fra la propria singolarità e i ritmi del cosmo. Il mondo può tornare a essere vissuto come flusso energetico, come epifania del divino, come concatenazione di una pluralità di stati essenziali, rappresentabili e conoscibili mediante miti, simboli, archetipi. È una ricerca dei segni e delle corrispondenze – visibili e invisibili – che rendono il cosmo un volume consultabile grazie a un’ermeneutica poetica e magica. In questo stadio «non si vive la propria vita: si è la vita, con quello ch’essa possiede di possibilità estreme. Fuori della portata del temporale e del caduco, essa assume valore di eternità» (Jean Josipovici, Iniziazione alla felicità).
L’esoterista prefigura così la possibilità di una esistenza totale, che così illustra ne La prigione esoterica: «C’è una dimensione magica dell’individuo, come c’è una dimensione magica dell’universo. Ma questa dimensione superiore, questo eterno presente, creatore di presente, appartiene solo all’uomo che si sia interamente liberato delle sue catene: le invisibili e le visibili. Ora, l’esser libero è poter attingere una seconda volta all’albero della conoscenza». L’esistenza totale trasfigura l’uomo interiore ma anche la natura, che è sinolo di potenze visibili e invisibili, concrezione fenomenica di istanze sovrafenomeniche, «il manifestarsi – insomma – d’una forza che circola distribuendo con generosità e conservando avaramente la vita in tutte le sue forme».
Il riduzionismo rimane, in tutta la riflessione di Josipovici, l’avversario più odioso. Alla conoscenza, infatti, ci si avvicina soltanto superando l’alternativa di affermazione e negazione, ossia affrancandosi «dall’“impasse” dualistica». Questa operazione necessita una trasfigurazione mistica del soggetto: significa tendere all’annullamento di quella rottura col Divino che è il principale stigma della modernità.
Tale passaggio è integralmente riposto nello sguardo in tensione con cui si coglie il mondo: la trasformazione parte tutta da lì. Come c’insegnano lo sguardo stereoscopico di Jünger e la prospettiva filosofica di Evola, l’Assoluto non c’è mai – spontaneamente, passivamente –, ma sempre può essere attivamente realizzato. «Si deve entrare nel vero o rimanere al di fuori» chiarisce Josipovici. Teoresi e prassi coincidono, si fanno Uno. È proprio qui che risiede il culmine realizzativo di un pensiero abissale. Lo sapeva bene il filosofo colombiano Nicolás Gómez Dávila: «Quando sentiamo che davanti a un oggetto o a un fatto, il nostro spirito si cristallizza e si rapprende; quanto sentiamo che le nostre attività calzano le une con le altre; quando sentiamo che una gioia secca e lucida ci invade, il significato è esploso nel nostro spirito» (Notas).
Luca Siniscalco
* Il presente saggio è una versione abbreviata dell’Introduzione a Jean Josipovici, “La scienza oscurantista”, Iduna, Milano 2019
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sì allora mi sento un po’ una merda perchè ho mollato il lavoro dopo solo due giorni. mi ripeto che non era un lavoro adatto a me. eccessivamente competitivo, la politica del negozio è quella di stressare i clienti per fargli comprare più roba possibile -cosa che io non sono capace di fare perchè se un cliente mi dice ‘’do un’occhiata e in caso ti chiamo io’’ io rispetto il suo volere-, obiettivi di vendita orari, mi hanno detto che lo stipendio era di x€ e in realtà scopro che lo stipendio era molto molto minore rispetto a quella cifra, 8 ore di ferie soltanto e giorni di permesso molto limitati -roba che se chiedevo il permesso per la laurea di settembre mi giocavo tutte le ore di permesso-. insomma, non è un luogo di lavoro per me, ci ho provato ok ma non mi aspettavo tutta questa competizione. sì la reputazione dell’azienda è quella ma non pensavo che dietro ci fosse così tanto.
è solo che mi dispiace, lo vivo un po’ come un fallimento. mi dico che potevo continuare ancora un po’ ma dall’altra parte mi rendo conto che non potevo perchè l’ansia era diventata insopportabile e non voglio mandare a monte un anno e mezzo di terapia per questo lavoro. so che non è un fallimento, cioè non lo è proprio perchè alla fine ci ho provato, non sapevo che era così, non mi è piaciuto e addios. ho sempre questo pensiero scisso, da una parte ragiono ‘’bene’’ e dall’altra mi affosso continuamente dandomi le colpe e usando vecchi meccanismi. devo solo far valere di più la parte che ragiona meglio.
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Piero Visani: Russia
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Piero Visani: Russia
“Sono stato due volte in Russia, sempre per lavoro e mai in vacanza. Non troppo a lungo, ma in forma sufficiente a non frequentare semplicemente musei e pinacoteche. Ho vissuto in case private, non in alberghi. Ho cenato con famiglie russe, ne ho approfondito modi di vivere, visione del mondo, impressioni.
Era parecchio tempo fa (1993-96), in una situazione molto più confusa dell’attuale, ma due cose si notavano:
1) lo smarrimento per essere passati da una condizione di superpotenza a quella di sconfitti nella “Guerra fredda”;
2) la volontà di tornare grandi, potenti, importanti, non appena ciò fosse stato possibile.
Si notava altresì l’amore incondizionato per la “Rodina”, la “madrepatria”, del tutto indipendente e scisso dagli errori, orrori e malefatte del regime sovietico. Qualcosa di tellurico, di ancestrale, di bellissimo per uno straniero proveniente – come me, in fondo – da una semplice “espressione geografica”.
Quando Putin ha iniziato a sventolare il vessillo del nazionalismo e a puntare sulla ricostruzione delle potenza russa, ho capito che una parte significativa del suo popolo gli sarebbe andata dietro.
Regime certamente illiberale, il suo, ma assolutamente conforme ad una tradizione millenaria che guarda alla sostanza del potere molto più che alla forma.
Un mondo che mi affascinò, così come – in circostanze del tutto diverse ma con attaccamento tellurico non inferiore – mi affascinò l’universo dei Boeri sudafricani, gente che si sentiva maggiormente africana di Zulu e Xhosa.
Nel caso russo, l’importanza enorme di Putin consiste nell’essere colui che si oppone, giorno dopo giorno, alle derive del mondialismo, della globalizzazione, del pensiero unico demototalitario, quello per cui al mondo conta solo l’economia e tutto il resto – Patria, tradizioni, interessi nazionali, usi e costumi – debbono essere sacrificati al Moloch del dio denaro e all’internazionalismo spurio della finanza. E il modo con cui Putin reagisce è brillante, colpisce a fondo l’universo di menzogne su cui è costruito il totalitarismo occidentale, che non è IN NULLA E PER NULLA diverso da altre forme di dispotismo, di cui è forse – ma ormai sempre meno – un po’ più sofisticato.
Penso che un Paese, grande o piccolo che sia, se riesce a rimanere o a diventare una Patria, ha ancora un futuro pure nell’orribile mondo odierno. Putin è riuscito a compiere questo miracolo. Non gli chiedo “certificati di democrazia”. I voti li ha presi in misura schiacciante e, dal momento che li prendono anche certe facce patibolari del mondo occidentale, non vedo che cosa ci sia da stupirsi. Nella più probabile delle ipotesi, saranno ottimi manipolatori entrambi. E rubare il mestiere agli “unti e bisunti da Madonna Democrazia” è – già di per sé – un atto degno della massima lode…”
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Dall’Ego all’amore universale – From ego to universal love
Dall’ego all’amore universale
Processo di trasformazione. “La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità. ” (Mevlana Rumi, Sec. XVI) Questa frase sottolinea la frammentarietà con cui percepiamo noi stessi e il mondo, pur convinti di entrare in contatto con qualcosa di intero ed assoluto. Dimentichiamo che le apparenze, i condizionamenti e le aspettative ci allontanano dalla nostra vera natura, mentre in realtà dovremmo imparare che nulla ha un valore assoluto, ed è necessario aprirsi agli altri per ricomporre ciò che siamo e che loro sono; senza chiuderci in una pretesa verità separata; questo è possibile solo attraverso il confronto e la condivisione. Quando, con il nostro sforzo, tentiamo di ricomporre quello specchio, comprendiamo di essere spinti dalla necessità di salvaguardare noi stessi a discapito degli altri e possiamo, allora, cominciare a condurre una vita consapevole. Spesso proviamo attaccamento per tutto ciò che può rappresentarci e temiamo il giudizio altrui, senza renderci conto che siamo i primi a giudicare, condizionati come siamo a percepire come negativo in altri, quanto è, invece, il riflesso di noi stessi e del nostro piccolo ego. Ma quanto investiamo per modificare i nostri atteggiamenti? Siamo consapevoli di essere la causa delle nostre proiezioni e reazioni? Non sappiamo fermarci e non poniamo attenzione a quel che accade in noi per poterci correggere. Presi come siamo ad investire energie per la ricerca di quel che ci manca e che poi non appaga, siamo ciechi di fronte alle potenzialità che sono in noi e che somigliano a semi da curare e da far germogliare, semi che sono spesso: paura, orgoglio, rancore, attaccamento e rivalsa, ma che potrebbero essere: consapevolezza, fiducia, pace e amore. Non comprendiamo che a ben poco serve la strenue difesa di cose illusorie che non perdurano e che siamo soggetti alla legge dell’impermanenza; quale verità resta dunque da difendere se restiamo attaccati alla personalità e ad un orgoglio inutile? Un cambiamento potrebbe avvenire se fossimo capaci di mettere a fuoco i nostri sforzi per annullare gli argini di quel piccolo “io” ponendoci in condizione di alimentare il Cuore. Il Cuore ha sempre avuto importanza come contenitore di energie che producono apertura verso gli altri. Esso non è scisso dalla mente consapevole e soprattutto dalla volontà di manifestare unicità. Non è una mente illusa e distratta, con i suoi inganni, attaccamenti e percezioni erronee a doverci condurre. Nella scuola Dhyana, Bodhidharma affermava che non è possibile trovare la verità fuori da sé stessi e considerava la Mente-Cuore come la luce della coscienza risvegliata che è “non originata” e “senza forma”. In noi stessi dunque troviamo l’opportunità di essere, riscopriamo il sentiero da percorrere ed il saper vivere, istante dopo istante, quella ricchezza che è già in noi ed intorno a noi e, immersi in essa, diveniamo capaci di donarla ad altre persone che l’attendono. Rumi, autore del pensiero che ci conduce a queste riflessioni, nasce in quel sentiero che è conosciuto come la “via del cuore” o “via della purezza”, in seno al Sufismo. Si tratta di un percorso mistico ed ascetico che mira alla comprensione dell’amore e della verità. Indifferentemente dal nostro cammino, tutti siamo chiamati a maturare amore e verità. Una verità da non afferrare come unica e separata, ma da ricomporre con cura, permettendo a noi stessi di porgere ad altri quel che siamo ed accogliendo quel frammento di specchio/cuore che gli altri ci possono offrire. Che si sia credenti o che ci si tenga a distanza da un cammino religioso, l’essere consapevoli delle nostre responsabilità circa il dolore o l’allontanamento dall’unità o legame tra l’uomo e Dio, è nelle nostre facoltà, così come il compiere un percorso che ci renda soggetti attivi e capaci di trasformazione; cosa che avviene se dai nostri istinti, o sé inferiore, siamo capaci di percorrere il cammino che ci conduce a quella capacità di trasformarci in amore. Per il Buddhismo, che non si pone domande circa la presenza divina, ma mira a trasformare il dolore tramite l’impegno consapevole libero dal vittimismo, il cammino interiore prende forma dal proprio agire in modo retto. E’ necessario risvegliare la nostra attenzione e le nostre energie per raccogliere tutti quegli insegnamenti che possono aiutarci a migliorare. Riveste soprattutto importanza la pratica della meditazione ed un cammino che nutra la capacità di ascoltare consapevolmente per essere presenti a noi stessi, per imparare a lasciare andare giudizio, attaccamento, aspettative e tutte quelle cause che generano ignoranza e dolore. E’ importante l’attenzione che poniamo al nostro respiro consapevole, l’essere capaci di presenza nel “qui ed ora” e, poiché il passato non ci appartiene e del futuro non sappiamo nulla, a che serve tenersi ancorati a questi pesi inutili? E’ ora, in questo preciso istante, che possiamo respirare e prestare attenzione e mentre lo facciamo lasciamo andare le tensioni e gli attaccamenti per scoprire gioia e fiducia. L’ascolto profondo è il mezzo che ci permette di sciogliere le nostre illusioni e smascherare gli inganni della mente; è uno strumento che porta a quella trasformazione che ci fa aprire le ali verso la vera vita. Quando saremo in grado di offrire a noi stessi la pace interiore, dopo aver fatto cadere le aspettative e compreso i nostri meccanismi di difesa, facendo tacere la mente distratta per ascoltare il Cuore risvegliato, saremo capaci di aprire le braccia agli altri; proprio per scoprire quella ricchezza che nascondevamo per timore. Quando amiamo, dobbiamo sciogliere ogni aspettativa e sentire che quanto offriamo è solo per la gioia di farlo; saperci condurre verso un cammino di gentilezza, equanimità e compassione per gli altri, senza fare distinzioni e senza erigere divisioni, perché siamo tutti petali di uno stesso fiore. Non è facile amare senza nulla attenderci, ma l’amore non è merce di scambio. Essere capaci di sciogliere ogni dualità, ogni diversità é portare la nostra acqua in un altro fiume per farne uno solo; non dobbiamo provare attaccamento e identificazione con un “io” o un “mio”, ma essere unità, attraverso quella compassione che è dei Bodhisattva. Possiamo imparare ad inter-essere con equanimità, abbattendo tutti i muri che ci impedivano di far entrare la luce della comprensione in noi. Quando questo accade, ci rendiamo conto che siamo entrati in una diversa dimensione dove gentilezza, accoglienza e capacità di provare compassione sono parte di noi stessi. Avvertiamo in noi quella trasformazione che ci conduce all’amore universale. Questo non si lega a religioni né a principi imposti, ma ad un’esperienza diretta da vivere con costanza. Non smettiamo di credere nella Mente-Cuore, di vivere e di sperimentare modi per realizzarla, di essere e di respirare… quel che è in noi. Non facciamoci paralizzare dal timore perché per camminare ci vuole coraggio. Per amare ci vuole la consapevolezza di essere vivi e liberi da ogni aspettativa. Siamo noi gli artefici del nostro presente per far fiorire il futuro nella gioia. Un buon cammino © Poetyca
From ego to universal love
Transformation process.
“The truth was a mirror that fell from the sky and broke. Each one took a piece and seeing his own image reflected in it, he believed he possessed the whole truth. “(Mevlana Rumi, 16th century) This sentence underlines the fragmentation with which we perceive ourselves and the world, even though we are convinced that we are in contact with something whole and absolute. We forget that appearances, conditionings and expectations take us away from our true nature, while in reality we should learn that nothing has an absolute value, and it is necessary to open up to others to recompose what we are and what they are; without closing ourselves in an alleged separate truth; this is possible only through comparison and sharing. When, with our effort, we try to reassemble that mirror, we understand that we are driven by the need to safeguard ourselves at the expense of others and we can then begin to lead a conscious life. We often feel attachment to everything that can represent us and fear the judgment of others, without realizing that we are the first to judge, conditioned as we are to perceive as negative in others, what is, instead, the reflection of ourselves and our small ego . But how much do we invest to change our attitudes? Are we aware that we are the cause of our projections and reactions? We do not know how to stop and we do not pay attention to what happens in us in order to correct ourselves. Taken as we are to invest energy in the search for what we lack and which then does not satisfy, we are blind to the potential that is in us and that resemble seeds to be treated and sprouted, seeds that are often: fear, pride , resentment, attachment and revenge, but that could be: awareness, trust, peace and love. We do not understand that the strenuous defense of illusory things that do not persist and that we are subject to the law of impermanence is of little use; What truth therefore remains to be defended if we remain attached to personality and useless pride? A change could happen if we were able to focus our efforts to undo the banks of that little “I” by placing ourselves in a position to feed the Heart. The Heart has always been important as a container of energies that produce openness to others. It is not separated from the conscious mind and above all from the will to manifest uniqueness. It is not a deluded and distracted mind, with its deceptions, attachments and erroneous perceptions that must lead us. In the Dhyana school, Bodhidharma affirmed that it is not possible to find truth outside oneself and regarded the Mind-Heart as the light of the awakened consciousness which is “unoriginated” and “formless”. In ourselves, therefore, we find the opportunity to be, we rediscover the path to follow and the ability to live, moment by moment, that wealth that is already in us and around us and, immersed in it, we become capable of giving it to other people who await you. Rumi, author of the thought that leads us to these reflections, was born in that path which is known as the “way of the heart” or “way of purity”, within Sufism. It is a mystical and ascetic path that aims at understanding love and truth. Regardless of our path, we are all called to mature love and truth. A truth not to be grasped as unique and separate, but to be recomposed with care, allowing ourselves to offer others what we are and welcoming that fragment of mirror / heart that others can offer us. Whether you are a believer or keep your distance from a religious path, being aware of our responsibilities regarding pain or the separation from the unity or bond between man and God, is in our faculties, as well as the follow a path that makes us active subjects and capable of transformation; which happens if from our instincts, or lower self, we are able to walk the path that leads us to that ability to transform ourselves into love. For Buddhism, which does not ask questions about the divine presence, but aims to transform pain through conscious commitment free from victimhood, the inner journey takes shape from one’s acting in a righteous way. It is necessary to awaken our attention and our energies to collect all those teachings that can help us improve. The practice of meditation and a path that nourishes the ability to listen consciously to be present to ourselves, to learn to let go of judgment, attachment, expectations and all those causes that generate ignorance and pain are of particular importance. It is important to pay attention to our conscious breathing, to be capable of presence in the “here and now” and, since the past does not belong to us and we know nothing of the future, what is the use of keeping anchored to these useless weights? It is now, at this very moment, that we can breathe and pay attention and as we do so we let go of tensions and attachments to discover joy and trust. Deep listening is the means that allows us to dissolve our illusions and unmask the deceptions of the mind; it is a tool that leads to that transformation that makes us spread our wings towards true life. When we will be able to offer ourselves inner peace, after dropping expectations and understanding our defense mechanisms, silencing the distracted mind to listen to the awakened Heart, we will be able to open our arms to others; just to discover that wealth that we hid out of fear. When we love, we must dissolve all expectations and feel that what we offer is only for the joy of doing it; knowing how to lead us on a path of kindness, equanimity and compassion for others, without making distinctions and without erecting divisions, because we are all petals of the same flower. It is not easy to love without expecting anything, but love is not a bargaining chip. To be able to dissolve every duality, every diversity is to carry our water into another river to make one only; we should not feel attachment and identification with an “I” or “mine”, but be unity, through that compassion which is of the Bodhisattvas. We can learn to inter-being with equanimity, breaking down all the walls that prevented us from letting the light of understanding enter us. When this happens, we realize that we have entered a different dimension where kindness, acceptance and the ability to feel compassion are part of ourselves. We feel within us that transformation which leads us to universal love. This is not linked to religions or to imposed principles, but to a direct experience to be lived with constancy. We do not stop believing in the Mind-Heart, living and experimenting with ways to make it happen, being and breathing … what is in us. Let us not be paralyzed by fear because it takes courage to walk. To love you need the awareness of being alive and free from all expectations. We are the architects of our present to make the future blossom in joy. A good path
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Separabilità fisica e non-separabilità quantistica. Tutto è uno
Lo spazio quantistico non subisce l’influsso della distanza né quello del tempo: L’unione di due particelle non è fisica, nel senso newtoniano del termine, perché non è mediata da alcun mezzo materiale. è una unione “psichica, coscienziale”. Finalmente, si affaccia all’orizzonte una nuova scienza: scopriamo che la materia non è tutto nell’universo che ci circonda.
Unità e separabilità.
Le separabilità indica la possibilità, tipica di un oggetto fisico, di essere diviso in più parti. Il suo contrario è l’unità, che indica la proprietà, tipica di un oggetto fisico, di essere costituito da una parte sola.
Questa premessa può essere utile per illustrare un terzo concetto, quello di contemporaneità.
Partiamo dall’esempio del chiavistello, rappresentato nella figura, per illustrare questi tre concetti: unità, separabilità, contemporaneità. Sono concetti che poi trasferiremo all’ambito della fisica quantistica.
Un chiavistello con velocità infinita.
Il chiavistello è un organo usato per bloccare meccanismi, per esempio una porta. È composto da una barra metallica che scorre lungo delle guide ad anello. Si tratta di uno strumento complesso, ma a noi interessa soltanto il corpo principale del chiavistello, cioè la barra mobile. Questa barra ha due estremità, che possiamo definire A e B.
La barra del chiavistello può rappresentare perfettamente il concetto di contemporaneità. Infatti, se la facciamo scorrere nelle guide, l’estremità A si muoverà in una certa direzione, e “contemporaneamente” anche l’estremità B si muoverà nella stessa direzione. È ovvio, in quanto il chiavistello rappresenta un oggetto “unico”.
Non esiste alcun ritardo tra l’inizio del movimento dell’estremità A e quello dell’estremità B. Come può essere facilmente intuito, il movimento delle due estremità è “contemporaneo” e ciò può avvenire solamente grazie alla caratteristica di “unità” della barra.
Poiché la contemporaneità non prevede nessun tempo tra lo spostamento della estremità A e della estremità B, diremmo che in condizione di unità la velocità di spostamento è infinita.
Se il chiavistello fosse diviso in due parti, il movimento non sarebbe più contemporaneo, neppure se la parte A, grazie ad un meccanismo di accoppiamento qualsiasi, trasferisse il movimento alla parte B.
L’informazione ha bisogno di tempo per viaggiare tra due corpi separati.
In effetti, se la barra d’acciaio del chiavistello fosse composta da due semi-barre, occorrerebbe del tempo per trasmettere alla barra B l’informazione relativa al movimento iniziato dalla barra A, o viceversa.
Secondo la fisica newtoniana, e secondo le teorie einsteiniane, l’informazione non potrebbe viaggiare più velocemente della luce. Certo, sarebbe un tempo bravissimo, ma pur sempre un tempo. Non esisterebbe più la “contemporaneità”. Ne consegue che la contemporaneità è possibile solo in una condizione di unità.
La separabilità dei corpi.
Peraltro, la fisica classica ci insegna che ogni corpo fisico può essere scisso in due o più corpi parziali. Si tratta del concetto fisico di “separabilità”. Il principio secondo cui ogni oggetto può essere scisso in più oggetti fu strenuamente contrapposto da Einstein ai sostenitori delle teorie quantistiche come Niels Bohr e Werner Heisenberg. Secondo Einstein, essendo ogni corpo separabile, la non-separabilità predetta dagli esperimenti della fisica quantistica rappresentava solo una visione parziale dell’universo.
In effetti, dobbiamo riconoscere che l’esempio del chiavistello è assolutamente parziale. Ciò risulta evidente se, anziché muovere la barra del chiavistello, proviamo a riscaldarne una estremità. Sicuramente il calore non si trasmetterà all’altra estremità tanto velocemente come il movimento. Ciò conferma il fatto che il chiavistello è chiaramente separabile in molecole, atomi e particelle elementari, a conferma del principio di separabilità.
Tuttavia, le prove sperimentali smentiscono questa certezza.. Tutti gli esperimenti, da quello condotto da Alain Aspect nel 1982 agli altri innumerevoli successivi, dimostrano l’esistenza della non-separabilità quantistica.
La non separabilità quantistica. Di che parliamo?.
Ho già descritto in altri post e nei miei libri l’esperimento di Alain Aspect, che sta alla base dell’entanglement quantistico. “Entanglement” è un termine inglese che può essere tradotto come “intreccio”, per significare le condizioni di “unità” e “non-separabilità” che si instaurano tra due particelle correlate. I primi esperimenti di Aspect riguardavano due fotoni di luce. Successivamente, con il progredire della tecnica, gli esperimenti sono arrivati a coinvolgere milioni di particelle o anche interi atomi, come nell’esperimento di Serge Hariche, vincitore del Premio Nobel per la Fisica nel 2012.
L’esperimento che travolge le certezze della fisica materialista.
Nella versione sperimentale più primitiva, l’entanglement viene ottenuto con due fotoni “correlati”, cioè nati dallo stesso evento. I fotoni possiedono una proprietà detta “spin”, che può essere semplificata come “senso di rotazione”. Si tratta di una polarizzazione, e tra due fotoni correlati le polarizzazioni devono sempre essere perpendicolari. Diciamo che il fotone A avrà polarizzazione positiva (+1/2) e il fotone B l’avrà negativa (-1/2)
Per la verità, in base al principio di indeterminazione, il fotone assume una polarizzazione definita solamente nel momento in cui la misuriamo. In misurazioni successive, la polarizzazione potrà essere diversa. Dunque, misurando il fotone A, determiniamo la sua polarizzazione nel momento della misura. Evidentemente, attraverso misurazioni successive, causiamo successive variazioni della polarizzazione del fotone A.
Nel frattempo, che accade al fotone B?
Questo fotone ha anch’esso una polarizzazione indeterminata. Al momento della sua nascita è stato “sparato” a una distanza immensa dal fotone A.
Se misuriamo la polarizzazione del fotone A, avremo uno dei due valori possibili. Per esempio, ½ negativo. Immediatamente, anzi “contemporaneamente” il fotone B assume la polarizzazione perpendicolare al primo, cioè ½ positivo. Sarà stato un caso? Eseguiamo una nuova misurazione del fotone A, e “contemporaneamente” il fotone B adegua la sua polarizzazione per renderla perpendicolare al fotone A.
Immaginiamo di attendere un secolo ed eseguire poi una nuova misurazione del fotone A. Il fotone B, che si è allontanato anni luce nel tempo e nello spazio, adeguerà “contemporaneamente” la sua polarizzazione. Proprio come se i due fotoni fossero una sola cosa, al di là della separazione temporale e spaziale.
Unità di due fotoni separati nello spazio e nel tempo.
I due fotoni, per quanto separati nello spazio e nel tempo, rivelano una “unicità” incredibile. Dunque, il fotone B non cambia la sua polarizzazione “a causa” della polarizzazione del fotone A, cioè “dopo” che il fotone A l’ha cambiata: con ciò smentisce il principio di determinazione, o causalità, tanto caro alla scienza materialista.
Anzi, pare che il fotone B “sappia in anticipo” quanto avverrà al fotone A: sappia che qualcuno lo misurerà e sappia quale polarizzazione assumerà. Soltanto questa conoscenza può consentirgli di interagire contemporaneamente.
Tutto ciò ha portato a formulare la teoria della non-separabilità quantistica. Lo spazio quantistico non subisce l’influsso della distanza né quello del tempo: l’informazione che unisce i due fotoni è “contemporanea”. L’unione dei due fotoni non è fisica, nel senso newtoniano del termine, perché non è mediata da alcun mezzo materiale. è una unione “psichica”. Finalmente, si affaccia all’orizzonte una nuova scienza: scopriamo che la materia non è tutto nell’universo che ci circonda.
La coscienza dell’universo.
La non-separabilità quantistica conferma l’esistenza di qualcosa che non è separabile e ripropone con forza il concetto di “unicità”. La non-separabilità, come la contemporaneità, richiedono un mezzo “unico”. L’universo in cui si muovono le particelle elementari deve essere un contenitore “unico”. Qualcuno obietterà che ciò è vero solo per due particelle correlate, cioè nate dallo stesso evento. La risposta è semplice: nei fatti, tutte le particelle dell’universo sono nate dallo stesso evento, il Big Bang, l’esplosione creativa iniziale che ha dato origine ad ogni “cosa”.
Il prof. Lothar Schäfer è un chimico quantistico e illustre professore presso l'Università dell'Arkansas. è autore di molti libri, tra cui “Quantum Physics of Consciousness” (Fisica quantistica della coscienza, attualmente disponibile solo in lingua inglese).
Questo studioso scrive così, e credo che il suo pensiero riassuma nel miglior modo possibile quanto detto finora:
“Gli aspetti caratteristici della realtà quantica hanno conseguenze potenzialmente considerevoli sulla nostra natura umana. Se l'universo è una rete di connessioni istantanee e non separabili, molto probabilmente anche noi facciamo parte di questa rete. Se nell’universo agisce un elemento di Coscienza, e assai probabile che questo elemento comunichi con la nostra Coscienza. Non viviamo in una gigantesca macchina deterministica. Dobbiamo considerarci protagonisti di una realtà che va oltre le nostre conoscenze. Si tratta di una realtà interconnessa, tanto metafisica quanto fisica, e con qualità spirituali”.
Testo di Bruno Del Medico
Blogger, divulgatore, scrittore.
https://www.pensarediverso.it
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Qual è il vostro emisfero dominante?
Se l'emisfero cerebrale di destra domina, vedrete la scarpa colorata di rosa e bianco. Se, invece, domina quello di sinistra, la vedrete grigia e verde.
Un po’ di informazioni
Il ruolo dominante dell'emisfero sinistro nei processi linguistici, sia scritti che orali, potrebbe erroneamente far pensare che questa zona abbia funzioni più importanti o "elevate" rispetto all'emisfero destro: numerosi studi hanno dimostrato invece come i due emisferi cerebrali presentino differenti specializzazioni, tutte fondamentali nella realizzazione dei processi cognitivi e nella costruzione del pensiero in senso lato.
Cervello: ingegnere o poeta? Entrambi!
A livello generale si può affermare che l'emisfero sinistro del cervello è "l'ingegnere": oltre ad essere specializzato nei processi linguistici, comanda in quelli sequenziali e nella percezione-gestione degli eventi che si susseguono nel tempo, come ad esempio la concatenazione logica del pensiero; in altri termini, il cervello ingegnere è maggiormente qualificato nella percezione analitica della realtà.
L'emisfero destro, invece, è il "poeta", più specializzato nell'elaborazione visiva e nella percezione delle immagini, nella loro organizzazione spaziale e nell'interpretazione emotiva; più sommariamente, al cervello poeta spetta la percezione globale e complessiva degli stimoli.
Un emisfero diventa dominante sull'altro quando svolge processi e funzioni che l'emisfero opposto non è in grado di gestire in modo altrettanto competente. Quando leggiamo, scriviamo o intavoliamo una discussione, la dominanza è riservata all'emisfero sinistro; al contrario quando disegniamo o guardiamo un'immagine, sarà l'emisfero destro ad avere dominanza su quello sinistro.
Il cervello non va comunque inteso come scisso in due parti a se stanti: cervello poeta e cervello ingegnere sono strettamente connessi tra loro, caratterizzati da un continuo scambio di informazioni e messi in comunicazione tra loro da un grosso fascio di fibre nervose, il corpo calloso, che permette al cervello di integrare le elaborazioni delle varie aree.
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#Repost @indispensabile.mov with @make_repost ・・・ La canzone che condivido con voi è figlia di un tentativo, durante la mia adolescenza, di lasciare andare tanti discorsi che non mi toccavano più e che non erano in grado di esprimere la realtà che stavo vivendo, lasciando spazio a parole ed immagini che incredibilmente mi pareva avessero grande senso, qualcosa che finalmente dicesse il vero. __ Secondo me essere la Nuova Umanità è un lavoro quotidiano, poiché noi ci addormentiamo subito. Ogni gioiosa scoperta ogni meravigliosa comprensione ogni profonda commozione si tramuta in fretta in una nuova gabbia. Stiamo attenti, soprattutto a quelle parole che ci danno senso e che ci fanno stare bene perché talvolta capita che ce le teniamo strette a tal punto da farci dimenticare perché ci avessero tanto colpito. Non è vero che più "difendiamo" un pensiero più rimaniamo ad esso fedeli, anzi talvolta, nell'ironia della vita, proprio per non tradirlo nel suo profondo significato dobbiamo distaccarcene. Noi siamo figli di un mondo addormentato, di un mondo scisso che per secoli è rimasto attaccato a valori senza accorgersi di starli in realtà tradendo, con conseguenze su tutti i piani. Questo stato di sonno, di automatismo, di incredibile distrazione ci rende privi di senso e confusi, e questo è sempre più evidente. Colui che si mantiene sveglio è sincero, perché se necessario è pronto a dire il vero a fare parola della Vita che lo attraversa per quello che è. Sa che la parola è piena di senso solo se è in linea con l'esperienza e che ogni forzatura è menzogna. La generazione indispensabile porta in se stessa l'urgenza di dare tale peso alle parole facendosi artigiana di un'opera reale che plasmi con molta calma e grande potenza il cuore e la mente. Questo è il tono su cui vogliamo intonare il nostro evento! Ci vediamo domenica 1 dicembre, alle ore 17.30, al Monk, Roma. Adriana Barbieri https://www.instagram.com/p/B5ewJKwoR9d/?igshid=uvjrmaparey2
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macOS Catalina sposterà i file di sistema in un volume in sola lettura: come avviene e cosa implica
Le novità presentate da Apple per macOS Catalina non sono probabilmente altrettanto spettacolari come quelle viste per iOS/iPadOS 13, ma ci sono e anche parecchio importanti. Una di quelle passate un po' più in sordina, ma che invece meriterebbe maggiori attenzioni, è relativa alla sicurezza e riguarda i file essenziali di sistema, che nella nuova versione verranno collocati in un volume in sola lettura. La misura, in base alla descrizione di Apple, permetterà di rendere il Mac più protetto contro attacchi malevoli, dal momento che le zone più sensibili non sarebbero abilitate di default alla modifica.
Come avviene questo processo, che normalmente risulta molto delicato già al solo pensiero? Modificare i volumi, o partizioni nel mondo Windows, di un'unità non è un'operazione complicata nell'esecuzione, ma tutt'altro che priva di rischi. Basta un ridimensionamento indigesto per ritrovarsi con un sistema da reinstallare da zero o ripristinare tramite un backup effettuato precedentemente. Il lusso, se possiamo definirlo così, concessosi da Apple è merito di APFS, come viene ben illustrato in una sessione dedicata della WWDC 2019. Al contrario di HFS+, che aveva una struttura piuttosto rigida per la gestione dei volumi, il nuovo file system introdotto a partire da Sierra sotto forma di anteprima e poi promosso a predefinito in High Sierra ha una base denominata container, al cui interno possono essere realizzati uno o più volumi che possono condividere lo spazio libero. Per chiarire meglio, si può dire che nel concetto di APFS il container è ciò che corrisponde al vecchio volume di HFS+ e continua a sottostare alle gerarchie dello schema GPT, acronimo di GUID Partition Table; i volumi di APFS sono invece entità "virtuali". All'occhio dell'utente, nel Finder appariranno comunque come unità singole.
Durante l'upgrade da macOS Mojave a Catalina, ciò che avviene è proprio una modifica dentro il container di "Macintosh HD", il nome più comune dell'unità di sistema. Il singolo volume viene scisso in due parti: una dedicata ai dati degli utenti, che avrà nel nome un'appendice dedicata, ed una in cui verranno spostati i file critici di macOS, che a modifiche terminate verrà impostata in sola lettura. Come abbiamo scritto prima, in teoria questa divisione dei volumi implicherebbe di vederne due pure nel Finder. Invece, in Catalina viene sempre mostrato un solo "Macintosh HD", come se nulla di così impattante fosse avvenuto. Ciò si deve ai "firmlinks", evoluzione dei symlinks tipicamente presenti nei sistemi UNIX come macOS, che permettono di collegare cartelle tra due volumi tecnicamente separati con una rappresentazione finale lato utente unica e del tutto trasparente.
Sulla carta, non solo gli utenti ma anche le app di terze parti non dovrebbero notare alcun cambiamento, permettendo loro di operare regolarmente come su Mojave. Ci sono però alcune categorie di software, ad esempio quelli dedicati ai backup, che dovranno prendere confidenza con la nuova struttura a doppio volume. Gli sviluppatori di Carbon Copy Cloner, ad esempio, sono già al lavoro per adeguare il loro prodotto e già nelle prossime settimane è prevista una Beta totalmente compatibile con Catalina. Ad ogni modo, non tutte le novità illustrate sono già a regime.
Almeno per la prima Developer Preview, Apple ha deciso di mantenere il volume di sistema ancora abilitato alla scrittura, in modo da lasciare tempo agli sviluppatori di effettuare le prime prove nel nuovo scenario. In una prossima DP, però, verrà attivata l'impostazione di sola lettura, che già ora sull'attuale build di Catalina può essere replicata creando un file ./rootro nella radice principale del file system. Nella modalità Recovery sarà lasciata facoltà all'utente di riattivare l'accesso in scrittura, ma non potrà diventare una modifica permanente: al successivo riavvio di macOS dopo quello di abilitazione, il volume di sistema tornerà in sola lettura. Questo è l'aspetto più interessante in termini di sicurezza, dato che un malware dovrebbe trovare il modo di effettuare tale procedura ad ogni avvio senza che l'utente se ne accorga. Il passaggio alla nuova struttura sarà automatico ed obbligatorio durante l'aggiornamento a Catalina.
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La tortura mira a ledere, fiaccare la vitalità affinché questa, cedendo del tutto, non faccia più da ponte tra la realtà materiale e quella non materiale dell’essere umano. Affinché l’umano, ridotto a corpo capace solo di reagire a stimoli materiali e produrre ricordi materiali che servono alla mente per elaborare pensieri razionali, sia scisso dalla sua origine, che aveva a lui dato in dote la specifica caratteristica che contraddistingue il genere umano, la realtà psichica, e finisca così per perderla. Il fine della tortura è esattamente questo: indebolire fino ad abolire il legame tra il sentire e il sapere la verità umana nell’ambito del rapporto interumano, e il percepire e conoscere la realtà materiale, affinché, scindendosi tra loro, la mente razionale, per salvare il corpo biologico, finisca per rinnegare quel “corpo nuovo” della nascita che aveva dato alla mente non cosciente del primo anno di vita la capacità di immaginare l’esistenza di altri esseri umani eguali a noi. E si finisce per rivelare segreti, per tradire patti, per confessare azioni mai fatte o idee mai pensate; si diventa traditori sì, ma soprattutto di se stessi e si arriva addirittura a perdere se stessi quando, peggio ancora, si finisce per credere ciò che gli altri vogliono che si creda. Perché la mente razionale senza più la sapienza interumana di una nascita rafforzata dalla concretezza di una prima storia vitale di rapporto interumano, può credere a qualunque cosa: dalla verginità della Madonna alle promesse di un politico. Alla violenza insopportabile della tortura e all’illusorio e pacificante miraggio del suo superamento nella scissione ci si può contrapporre solo aumentando sempre più la resistenza della vitalità e sviluppando a tutti i livelli, personale e collettivo, affettivo e intellettuale, quella coerenza tra la percezione della realtà umana e quella della verità umana, propria e altrui. Il manifesto e il latente. La «...assoluta necessità di superare la scissione tra realtà materiale, sessualità e pensiero, ragione, realtà psichica» ci è stato ricordato nell’ultimo numero di Left con l’indicazione che la nascita sociale dell’essere umano deve arrivare a completarsi con la dimensione politica.
GDM
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Piero Visani: Russia
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Piero Visani: Russia
“Sono stato due volte in Russia, sempre per lavoro e mai in vacanza. Non troppo a lungo, ma in forma sufficiente a non frequentare semplicemente musei e pinacoteche. Ho vissuto in case private, non in alberghi. Ho cenato con famiglie russe, ne ho approfondito modi di vivere, visione del mondo, impressioni.
Era parecchio tempo fa (1993-96), in una situazione molto più confusa dell’attuale, ma due cose si notavano:
1) lo smarrimento per essere passati da una condizione di superpotenza a quella di sconfitti nella “Guerra fredda”;
2) la volontà di tornare grandi, potenti, importanti, non appena ciò fosse stato possibile.
Si notava altresì l’amore incondizionato per la “Rodina”, la “madrepatria”, del tutto indipendente e scisso dagli errori, orrori e malefatte del regime sovietico. Qualcosa di tellurico, di ancestrale, di bellissimo per uno straniero proveniente – come me, in fondo – da una semplice “espressione geografica”.
Quando Putin ha iniziato a sventolare il vessillo del nazionalismo e a puntare sulla ricostruzione delle potenza russa, ho capito che una parte significativa del suo popolo gli sarebbe andata dietro.
Regime certamente illiberale, il suo, ma assolutamente conforme ad una tradizione millenaria che guarda alla sostanza del potere molto più che alla forma.
Un mondo che mi affascinò, così come – in circostanze del tutto diverse ma con attaccamento tellurico non inferiore – mi affascinò l’universo dei Boeri sudafricani, gente che si sentiva maggiormente africana di Zulu e Xhosa.
Nel caso russo, l’importanza enorme di Putin consiste nell’essere colui che si oppone, giorno dopo giorno, alle derive del mondialismo, della globalizzazione, del pensiero unico demototalitario, quello per cui al mondo conta solo l’economia e tutto il resto – Patria, tradizioni, interessi nazionali, usi e costumi – debbono essere sacrificati al Moloch del dio denaro e all’internazionalismo spurio della finanza. E il modo con cui Putin reagisce è brillante, colpisce a fondo l’universo di menzogne su cui è costruito il totalitarismo occidentale, che non è IN NULLA E PER NULLA diverso da altre forme di dispotismo, di cui è forse – ma ormai sempre meno – un po’ più sofisticato.
Penso che un Paese, grande o piccolo che sia, se riesce a rimanere o a diventare una Patria, ha ancora un futuro pure nell’orribile mondo odierno. Putin è riuscito a compiere questo miracolo. Non gli chiedo “certificati di democrazia”. I voti li ha presi in misura schiacciante e, dal momento che li prendono anche certe facce patibolari del mondo occidentale, non vedo che cosa ci sia da stupirsi. Nella più probabile delle ipotesi, saranno ottimi manipolatori entrambi. E rubare il mestiere agli “unti e bisunti da Madonna Democrazia” è – già di per sé – un atto degno della massima lode…”
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Dall’Ego all’amore universale – From ego to universal love
Dall’ego all’amore universale Processo di trasformazione. “La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di possedere l’intera verità. ” (Mevlana Rumi, Sec. XVI) Questa frase sottolinea la frammentarietà con cui percepiamo noi stessi e il mondo, pur convinti di entrare in contatto con qualcosa di intero ed assoluto. Dimentichiamo che le apparenze, i condizionamenti e le aspettative ci allontanano dalla nostra vera natura, mentre in realtà dovremmo imparare che nulla ha un valore assoluto, ed è necessario aprirsi agli altri per ricomporre ciò che siamo e che loro sono; senza chiuderci in una pretesa verità separata; questo è possibile solo attraverso il confronto e la condivisione. Quando, con il nostro sforzo, tentiamo di ricomporre quello specchio, comprendiamo di essere spinti dalla necessità di salvaguardare noi stessi a discapito degli altri e possiamo, allora, cominciare a condurre una vita consapevole. Spesso proviamo attaccamento per tutto ciò che può rappresentarci e temiamo il giudizio altrui, senza renderci conto che siamo i primi a giudicare, condizionati come siamo a percepire come negativo in altri, quanto è, invece, il riflesso di noi stessi e del nostro piccolo ego. Ma quanto investiamo per modificare i nostri atteggiamenti? Siamo consapevoli di essere la causa delle nostre proiezioni e reazioni? Non sappiamo fermarci e non poniamo attenzione a quel che accade in noi per poterci correggere. Presi come siamo ad investire energie per la ricerca di quel che ci manca e che poi non appaga, siamo ciechi di fronte alle potenzialità che sono in noi e che somigliano a semi da curare e da far germogliare, semi che sono spesso: paura, orgoglio, rancore, attaccamento e rivalsa, ma che potrebbero essere: consapevolezza, fiducia, pace e amore. Non comprendiamo che a ben poco serve la strenue difesa di cose illusorie che non perdurano e che siamo soggetti alla legge dell’impermanenza; quale verità resta dunque da difendere se restiamo attaccati alla personalità e ad un orgoglio inutile? Un cambiamento potrebbe avvenire se fossimo capaci di mettere a fuoco i nostri sforzi per annullare gli argini di quel piccolo “io” ponendoci in condizione di alimentare il Cuore. Il Cuore ha sempre avuto importanza come contenitore di energie che producono apertura verso gli altri. Esso non è scisso dalla mente consapevole e soprattutto dalla volontà di manifestare unicità. Non è una mente illusa e distratta, con i suoi inganni, attaccamenti e percezioni erronee a doverci condurre. Nella scuola Dhyana, Bodhidharma affermava che non è possibile trovare la verità fuori da sé stessi e considerava la Mente-Cuore come la luce della coscienza risvegliata che è “non originata” e “senza forma”. In noi stessi dunque troviamo l’opportunità di essere, riscopriamo il sentiero da percorrere ed il saper vivere, istante dopo istante, quella ricchezza che è già in noi ed intorno a noi e, immersi in essa, diveniamo capaci di donarla ad altre persone che l’attendono. Rumi, autore del pensiero che ci conduce a queste riflessioni, nasce in quel sentiero che è conosciuto come la “via del cuore” o “via della purezza”, in seno al Sufismo. Si tratta di un percorso mistico ed ascetico che mira alla comprensione dell’amore e della verità. Indifferentemente dal nostro cammino, tutti siamo chiamati a maturare amore e verità. Una verità da non afferrare come unica e separata, ma da ricomporre con cura, permettendo a noi stessi di porgere ad altri quel che siamo ed accogliendo quel frammento di specchio/cuore che gli altri ci possono offrire. Che si sia credenti o che ci si tenga a distanza da un cammino religioso, l’essere consapevoli delle nostre responsabilità circa il dolore o l’allontanamento dall’unità o legame tra l’uomo e Dio, è nelle nostre facoltà, così come il compiere un percorso che ci renda soggetti attivi e capaci di trasformazione; cosa che avviene se dai nostri istinti, o sé inferiore, siamo capaci di percorrere il cammino che ci conduce a quella capacità di trasformarci in amore. Per il Buddhismo, che non si pone domande circa la presenza divina, ma mira a trasformare il dolore tramite l’impegno consapevole libero dal vittimismo, il cammino interiore prende forma dal proprio agire in modo retto. E’ necessario risvegliare la nostra attenzione e le nostre energie per raccogliere tutti quegli insegnamenti che possono aiutarci a migliorare. Riveste soprattutto importanza la pratica della meditazione ed un cammino che nutra la capacità di ascoltare consapevolmente per essere presenti a noi stessi, per imparare a lasciare andare giudizio, attaccamento, aspettative e tutte quelle cause che generano ignoranza e dolore. E’ importante l’attenzione che poniamo al nostro respiro consapevole, l’essere capaci di presenza nel “qui ed ora” e, poiché il passato non ci appartiene e del futuro non sappiamo nulla, a che serve tenersi ancorati a questi pesi inutili? E’ ora, in questo preciso istante, che possiamo respirare e prestare attenzione e mentre lo facciamo lasciamo andare le tensioni e gli attaccamenti per scoprire gioia e fiducia. L’ascolto profondo è il mezzo che ci permette di sciogliere le nostre illusioni e smascherare gli inganni della mente; è uno strumento che porta a quella trasformazione che ci fa aprire le ali verso la vera vita. Quando saremo in grado di offrire a noi stessi la pace interiore, dopo aver fatto cadere le aspettative e compreso i nostri meccanismi di difesa, facendo tacere la mente distratta per ascoltare il Cuore risvegliato, saremo capaci di aprire le braccia agli altri; proprio per scoprire quella ricchezza che nascondevamo per timore. Quando amiamo, dobbiamo sciogliere ogni aspettativa e sentire che quanto offriamo è solo per la gioia di farlo; saperci condurre verso un cammino di gentilezza, equanimità e compassione per gli altri, senza fare distinzioni e senza erigere divisioni, perché siamo tutti petali di uno stesso fiore. Non è facile amare senza nulla attenderci, ma l’amore non è merce di scambio. Essere capaci di sciogliere ogni dualità, ogni diversità é portare la nostra acqua in un altro fiume per farne uno solo; non dobbiamo provare attaccamento e identificazione con un “io” o un “mio”, ma essere unità, attraverso quella compassione che è dei Bodhisattva. Possiamo imparare ad inter-essere con equanimità, abbattendo tutti i muri che ci impedivano di far entrare la luce della comprensione in noi. Quando questo accade, ci rendiamo conto che siamo entrati in una diversa dimensione dove gentilezza, accoglienza e capacità di provare compassione sono parte di noi stessi. Avvertiamo in noi quella trasformazione che ci conduce all’amore universale. Questo non si lega a religioni né a principi imposti, ma ad un’esperienza diretta da vivere con costanza. Non smettiamo di credere nella Mente-Cuore, di vivere e di sperimentare modi per realizzarla, di essere e di respirare… quel che è in noi. Non facciamoci paralizzare dal timore perché per camminare ci vuole coraggio. Per amare ci vuole la consapevolezza di essere vivi e liberi da ogni aspettativa. Siamo noi gli artefici del nostro presente per far fiorire il futuro nella gioia. Un buon cammino © Poetyca
From ego to universal love
Transformation process.
“The truth was a mirror that fell from the sky and broke. Each one took a piece and seeing his own image reflected in it, he believed he possessed the whole truth. “(Mevlana Rumi, 16th century) This sentence underlines the fragmentation with which we perceive ourselves and the world, even though we are convinced that we are in contact with something whole and absolute. We forget that appearances, conditionings and expectations take us away from our true nature, while in reality we should learn that nothing has an absolute value, and it is necessary to open up to others to recompose what we are and what they are; without closing ourselves in an alleged separate truth; this is possible only through comparison and sharing. When, with our effort, we try to reassemble that mirror, we understand that we are driven by the need to safeguard ourselves at the expense of others and we can then begin to lead a conscious life. We often feel attachment to everything that can represent us and fear the judgment of others, without realizing that we are the first to judge, conditioned as we are to perceive as negative in others, what is, instead, the reflection of ourselves and our small ego . But how much do we invest to change our attitudes? Are we aware that we are the cause of our projections and reactions? We do not know how to stop and we do not pay attention to what happens in us in order to correct ourselves. Taken as we are to invest energy in the search for what we lack and which then does not satisfy, we are blind to the potential that is in us and that resemble seeds to be treated and sprouted, seeds that are often: fear, pride , resentment, attachment and revenge, but that could be: awareness, trust, peace and love. We do not understand that the strenuous defense of illusory things that do not persist and that we are subject to the law of impermanence is of little use; What truth therefore remains to be defended if we remain attached to personality and useless pride? A change could happen if we were able to focus our efforts to undo the banks of that little “I” by placing ourselves in a position to feed the Heart. The Heart has always been important as a container of energies that produce openness to others. It is not separated from the conscious mind and above all from the will to manifest uniqueness. It is not a deluded and distracted mind, with its deceptions, attachments and erroneous perceptions that must lead us. In the Dhyana school, Bodhidharma affirmed that it is not possible to find truth outside oneself and regarded the Mind-Heart as the light of the awakened consciousness which is “unoriginated” and “formless”. In ourselves, therefore, we find the opportunity to be, we rediscover the path to follow and the ability to live, moment by moment, that wealth that is already in us and around us and, immersed in it, we become capable of giving it to other people who await you. Rumi, author of the thought that leads us to these reflections, was born in that path which is known as the “way of the heart” or “way of purity”, within Sufism. It is a mystical and ascetic path that aims at understanding love and truth. Regardless of our path, we are all called to mature love and truth. A truth not to be grasped as unique and separate, but to be recomposed with care, allowing ourselves to offer others what we are and welcoming that fragment of mirror / heart that others can offer us. Whether you are a believer or keep your distance from a religious path, being aware of our responsibilities regarding pain or the separation from the unity or bond between man and God, is in our faculties, as well as the follow a path that makes us active subjects and capable of transformation; which happens if from our instincts, or lower self, we are able to walk the path that leads us to that ability to transform ourselves into love. For Buddhism, which does not ask questions about the divine presence, but aims to transform pain through conscious commitment free from victimhood, the inner journey takes shape from one’s acting in a righteous way. It is necessary to awaken our attention and our energies to collect all those teachings that can help us improve. The practice of meditation and a path that nourishes the ability to listen consciously to be present to ourselves, to learn to let go of judgment, attachment, expectations and all those causes that generate ignorance and pain are of particular importance. It is important to pay attention to our conscious breathing, to be capable of presence in the “here and now” and, since the past does not belong to us and we know nothing of the future, what is the use of keeping anchored to these useless weights? It is now, at this very moment, that we can breathe and pay attention and as we do so we let go of tensions and attachments to discover joy and trust. Deep listening is the means that allows us to dissolve our illusions and unmask the deceptions of the mind; it is a tool that leads to that transformation that makes us spread our wings towards true life. When we will be able to offer ourselves inner peace, after dropping expectations and understanding our defense mechanisms, silencing the distracted mind to listen to the awakened Heart, we will be able to open our arms to others; just to discover that wealth that we hid out of fear. When we love, we must dissolve all expectations and feel that what we offer is only for the joy of doing it; knowing how to lead us on a path of kindness, equanimity and compassion for others, without making distinctions and without erecting divisions, because we are all petals of the same flower. It is not easy to love without expecting anything, but love is not a bargaining chip. To be able to dissolve every duality, every diversity is to carry our water into another river to make one only; we should not feel attachment and identification with an “I” or “mine”, but be unity, through that compassion which is of the Bodhisattvas. We can learn to inter-being with equanimity, breaking down all the walls that prevented us from letting the light of understanding enter us. When this happens, we realize that we have entered a different dimension where kindness, acceptance and the ability to feel compassion are part of ourselves. We feel within us that transformation which leads us to universal love. This is not linked to religions or to imposed principles, but to a direct experience to be lived with constancy. We do not stop believing in the Mind-Heart, living and experimenting with ways to make it happen, being and breathing … what is in us. Let us not be paralyzed by fear because it takes courage to walk. To love you need the awareness of being alive and free from all expectations. We are the architects of our present to make the future blossom in joy. A good path
© Poetyca
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Sono stato due volte in Russia, sempre per lavoro e mai in vacanza. Non troppo a lungo, ma in forma sufficiente a non frequentare semplicemente musei e pinacoteche. Ho vissuto in case private, non in alberghi. Ho cenato con famiglie russe, ne ho approfondito modi di vivere, visione del mondo, impressioni. Era parecchio tempo fa (1993-96), in una situazione molto più confusa dell’attuale, ma due cose si notavano: 1) lo smarrimento per essere passati da una condizione di superpotenza a quella di sconfitti nella “Guerra fredda”; 2) la volontà di tornare grandi, potenti, importanti, non appena ciò fosse stato possibile. Si notava altresì l’amore incondizionato per la “Rodina”, la “madrepatria”, del tutto indipendente e scisso dagli errori, orrori e malefatte del regime sovietico. Qualcosa di tellurico, di ancestrale, di bellissimo per uno straniero proveniente – come me, in fondo – da una semplice “espressione geografica”. Quando Putin ha iniziato a sventolare il vessillo del nazionalismo e a puntare sulla ricostruzione delle potenza russa, ho capito che una parte significativa del suo popolo gli sarebbe andata dietro. Regime certamente illiberale, il suo, ma assolutamente conforme ad una tradizione millenaria che guarda alla sostanza del potere molto più che alla forma. Un mondo che mi affascinò, così come – in circostanze del tutto diverse ma con attaccamento tellurico non inferiore – mi affascinò l’universo dei Boeri sudafricani, gente che si sentiva maggiormente africana di Zulu e Xhosa. Nel caso russo, l’importanza enorme di Putin consiste nell’essere colui che si oppone, giorno dopo giorno, alle derive del mondialismo, della globalizzazione, del pensiero unico demototalitario, quello per cui al mondo conta solo l’economia e tutto il resto – Patria, tradizioni, interessi nazionali, usi e costumi – debbono essere sacrificati al Moloch del dio denaro e all’internazionalismo spurio della finanza. E il modo con cui Putin reagisce è brillante, colpisce a fondo l’universo di menzogne su cui è costruito il totalitarismo occidentale, che non è IN NULLA E PER NULLA diverso da altre forme di dispotismo, di cui è forse – ma ormai sempre meno – un po’ meno sofisticato. Penso che un Paese, grande o piccolo che sia, se riesce a rimanere o a diventare una Patria, ha ancora un futuro pure nell’orribile mondo odierno. Putin è riuscito a compiere questo miracolo. Non gli chiedo “certificati di democrazia”. I voti gli ha presi in misura schiacciante e, dal momento che li prendono anche certe facce patibolari del mondo occidentale, non vedo che cosa ci sia da stupirsi. Nella più probabile delle ipotesi, saranno ottimi manipolatori entrambi. E rubare il mestiere agli “unti e bisunti da Madonna Democrazia” è – già di per sé – un atto degno della massima lode..
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Sono stato due volte in Russia, sempre per lavoro e mai in vacanza. Non troppo a lungo, ma in forma sufficiente a non frequentare semplicemente musei e pinacoteche. Ho vissuto in case private, non in alberghi. Ho cenato con famiglie russe, ne ho approfondito modi di vivere, visione del mondo, impressioni. Era parecchio tempo fa (1993-96), in una situazione molto più confusa dell’attuale, ma due cose si notavano: 1) lo smarrimento per essere passati da una condizione di superpotenza a quella di sconfitti nella “Guerra fredda”; 2) la volontà di tornare grandi, potenti, importanti, non appena ciò fosse stato possibile. Si notava altresì l’amore incondizionato per la “Rodina”, la “madrepatria”, del tutto indipendente e scisso dagli errori, orrori e malefatte del regime sovietico. Qualcosa di tellurico, di ancestrale, di bellissimo per uno straniero proveniente – come me, in fondo – da una semplice “espressione geografica”. Quando Putin ha iniziato a sventolare il vessillo del nazionalismo e a puntare sulla ricostruzione delle potenza russa, ho capito che una parte significativa del suo popolo gli sarebbe andata dietro. Regime certamente illiberale, il suo, ma assolutamente conforme ad una tradizione millenaria che guarda alla sostanza del potere molto più che alla forma. Un mondo che mi affascinò, così come – in circostanze del tutto diverse ma con attaccamento tellurico non inferiore – mi affascinò l’universo dei Boeri sudafricani, gente che si sentiva maggiormente africana di Zulu e Xhosa. Nel caso russo, l’importanza enorme di Putin consiste nell’essere colui che si oppone, giorno dopo giorno, alle derive del mondialismo, della globalizzazione, del pensiero unico demototalitario, quello per cui al mondo conta solo l’economia e tutto il resto – Patria, tradizioni, interessi nazionali, usi e costumi – debbono essere sacrificati al Moloch del dio denaro e all’internazionalismo spurio della finanza. E il modo con cui Putin reagisce è brillante, colpisce a fondo l’universo di menzogne su cui è costruito il totalitarismo occidentale, che non è IN NULLA E PER NULLA diverso da altre forme di dispotismo, di cui è forse – ma ormai sempre meno – un po’ meno sofisticato. Penso che un Paese, grande o piccolo che sia, se riesce a rimanere o a diventare una Patria, ha ancora un futuro pure nell’orribile mondo odierno. Putin è riuscito a compiere questo miracolo. Non gli chiedo “certificati di democrazia”. I voti gli ha presi in misura schiacciante e, dal momento che li prendono anche certe facce patibolari del mondo occidentale, non vedo che cosa ci sia da stupirsi. Nella più probabile delle ipotesi, saranno ottimi manipolatori entrambi. E rubare il mestiere agli “unti e bisunti da Madonna Democrazia” è – già di per sé – un atto degno della massima lode..
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