#pensiero di settembre
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Trovo che nulla parli di noi come le nostre lacrime. Di conseguenza, ho deciso di trascrivere qui una lista di eventi e situazioni che mi fanno piangere inconsolabilmente:
le lettere scritte da mia madre e nascoste in un vecchio diario di scuola, quando andavo ancora alle medie. Le ho scoperte soltanto pochi mesi fa, riaprendolo casualmente, e sono scoppiato a piangere,
il finale di Mary Poppins, quando dopo essere stato licenziato, il signor Banks torna a casa con l’aquilone finalmente riparato e comincia a giocare coi figli, correndo fuori con loro per farlo volare nel parco (scena tuttora inguardabile per me senza cominciare a frignare),
gli abbracci alla stazione,
l’episodio di Doraemon in cui Nobita vorrebbe ringraziare la persona che, durante una gita all’asilo, lo aiutò a rialzarsi, scacciando i bruchi pelosi che lo ricoprivano. Tuttavia, Nobita non riesce a ricordare il suo volto, così Doraemon gli offre l’opportunità d’incontrare chiunque voglia nella Stanza del Rivedersi,
la perduta innocenza,
il finale dell’Uomo dei Sogni, quando Ray incontra suo padre, morto da tempo, e prima che questi svanisca gli chiede: “Ehi papà, vuoi giocare un po’ con me?” (tema a quanto pare ricorrente, dovrei forse dedurne qualcosa?),
l’inesorabile decadimento fisico e psichico dei miei genitori, ormai pressoché anziani,
la tenerezza del mio cagnolino e la consapevolezza della sua ineluttabile caducità,
questo mio talento letterario negletto e sprecato, gettato ormai ad appassire come giardino incolto,
il finale della terza stagione di Person of Interest, quando Samaritan sembra aver ormai vinto, ma il monologo di Root ci ricorda che nonostante tutto il male che ci opprime, non dobbiamo mai smettere di sperare,
Exit music for a film dei Radiohead, dal minuto 2:50, ovvero lo smanioso desiderio di rivalsa che da sempre m’avvampa e mi corrode animo e viscere dopo ogni mortificante derisione, al pensiero che sì, un giorno tutti sapranno, e allora, beh, gliela farò vedere io… (me ne rendo conto, di solito è così che nascono i serial killer). Questa parte, ad ogni modo, mi emoziona a tal punto da avermi spinto a scrivere il finale della mia storia: “Un ventoso mattino di settembre, i servi del marchese avrebbero forzato le porte dello studio, ove il misero scrittore soleva rinchiudersi di notte, e lo avrebbero trovato morto, riverso fra le sue carte in una pozza di vomito. Spalancate le finestre a lutto, i poveri disgraziati sarebbero stati travolti allora dall'empia ferocia di quegli astiosi fogli sdegnati dal tempo e, così finalmente libere, pagine e pagine d'inchiostro si sarebbero riversate in strada, pronte a prender d'assalto case e negozi, scuole e caserme, mulinando burrascose sulla città, fra le strida dei borghesi impazziti e le urla dei bambini accalcati contro i vetri, fino a seppellire il mondo, terra e cielo, sotto cumuli di scritti dissotterati dal fuoco e dagli abissi”,
la morte di Due Calzini in Balla coi lupi (e il tema ad esso collegato), quando il lupo segue fedelmente Dunbar ormai prigioniero e i soldati gli sparano addosso per dimostrare la loro tonitruante possenza di coraggiosissimi esseri umani supercazzuti, finché non l’ammazzano senza pietà.
la lettera di Valerie da V per Vendetta, (credo non occorrano spiegazioni né commenti qui),
la mia sciagurata impotenza dinanzi al dolore degli amici,
la morte del commissario Ginz ne Il dottor Živago: “Soldati armati di fucili lo seguivano. ‘Cosa vorranno?’ pensò Ginz e accelerò il passo. Lo stesso fecero i suoi inseguitori. [...] Dalla stazione gli facevano segno di entrare, lo avrebbero messo in salvo. Ma di nuovo il senso dell’onore, educato attraverso generazioni, [...] gli sbarrò la via della salvezza. Con uno sforzo sovrumano cercò di calmare il tremito del cuore in tumulto. Pensò: ‘Bisognerebbe gridargli: - Fratelli, tornate in voi, come volete che sia una spia! - Qualcosa di sincero, capace di svelenirli, di fermarli.’ [...] Davanti all’ingresso della stazione si trovava un’alta botte chiusa da un coperchio. Ginz vi balzò sopra e rivolse ai soldati alcune parole sconvolgenti, fuori dell’umano. Il folle ardire del suo appello, a due passi dalle porte della stazione, dove avrebbe potuto rifugiarsi, sbigottì gli inseguitori. I soldati abbassarono i fucili. Ma Ginz si spostò sull’orlo del coperchio della botte e lo ribaltò. Una gamba gli scivolò nell’acqua, l’altra rimase penzoloni fuori della botte. [...] I soldati accolsero la sua goffa caduta con uno scroscio di risate: il primo lo colpì al collo, uccidendolo. Gli altri gli si gettarono sopra per trafiggere il morto a baionettate”. Non riesco a dire come questa fine mi commuova, ma credo abbia a che fare con goffaggine, spietatezza e umiliazione, cose che mi colpiscono tutte enormemente,
l’episodio de La casa nella prateria, in cui il signor Ingalls realizza una scarpa speciale per la piccola Olga che zoppica a causa di un’asimmetria nelle gambe. Il padre però non vuole che giochi con le altre bambine perché teme possano deriderla o che, ancor peggio, possa farsi male. Aggredisce così il signor Ingalls per essersi intromesso, ma all’improvviso vedendo la figlia giocare felice in cortile, muta espressione commuovendosi profondamente, ed io con lui. È la gioia d’un padre che comprende che sua figlia è finalmente felice.
la vittoria dell’Italia alle olimpiadi di Torino 2006 nel pattinaggio di velocità, inseguimento a squadre maschile. Avevo 17 anni, avevo finito da poco i compiti e non so perché, restai paralizzato di fronte alla tv ad ammirare l’impresa di Enrico Fabris e compagni, esplodendo poi in un inspiegabile pianto liberatorio che ancora oggi sa per me d’imponderabile (disciplina mai più seguita, che quel giorno però mi regalò un’emozione eguagliata solo dall’oro di Jacobs nel ‘21 - senza lacrime),
la canzone Ave Maria, donna dell’attesa: dal matrimonio di mia sorella ad oggi son passati sette mesi, eppure questa canzone mi fa ancora lo stesso perturbante effetto, scuotendomi ogni santa volta.
Isengard Unleashed dalla colonna sonora del Signore degli Anelli, in particolare, il momento coincidente con la marcia degli Ent (vedi sogni di furiosa rivalsa), dal minuto 2:18,
la comprensione altrui,
ogniqualvolta ho dovuto accompagnare qualcuno all’Eterna Porta e dirgli addio in Spiritfarer,
trovare ricci spiaccicati sulla strada,
gli immarcescibili sensi di colpa per la morte del gattino Figaro, quando avevo cinque anni,
le storie di grandi insegnanti, capaci di lasciare tracce di sé nei loro alunni.
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Ti scrivo dal balcone dove resto ancora un poco questa sera a guardare l’orto al sole di settembre a mangiare pane e olio e foglie piccole di basilico ti scrivo meno fiera di quello che vorresti sono una donna forte sì ma con anche continue tentazioni di non esserlo di lasciarmi sciogliere d’amore al sole e carezzarti e baciarti un po’ di più di quello che tu vuoi ti scrivo dal balcone guardando il fico pieno di frutti e il pero con le foglie malate ho qualche pensiero triste e due o tre sereni.
Vivian Lamarque
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Quirinello, un sogno, forse una favola, spesso un incubo.
Le migliori perle del peggiore, forse il più subdolo, certamente il più nazi-europeista.
"Nessun movimento può mettere in discussione l'Unione Europea."
- Mattarella, 14 settembre 2018
"Nel ventennio fascista non era permesso avere un pensiero autonomo, si doveva soltanto credere."
- Mattarella, 25 aprile 2019
"La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva"
- Mattarella, 25 aprile 2019
"Non si invochi la libertà per sottrarsi dalla VACClNAZlONE, perché quella invocazione equivale alla richiesta di licenza di mettere a rischio la salute altrui e in qualche caso di mettere in pericolo la vita altrui."
- Mattarella, 5 settembre 2021
@ChanceGardiner
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" Nel novembre 1972, Oriana Fallaci riuscì a intervistare Henry Kissinger, che gestiva i destini dell’America in Vietnam. Kissinger si dipinse come «il cowboy che guida la carovana, che entra tutto solo nella città. Come nei western». «Agli americani ciò piace immensamente» aggiunse. Il paragone era ciò che la Fallaci aspettava per trovare una conferma al ritratto di uomo vanitoso che s’era fatto dell’allora potentissimo assistente agli affari esteri di Nixon. Così lei, insistendo sull’argomento, nella domanda successiva completò astutamente l’identikit, accostando Kissinger all’attore Henry Fonda, icona dell’eroe disarmato pronto a menar botte per onesti ideali. E lui lusingato riprese: «Esser solo ha sempre fatto parte del mio stile».
Un’apoteosi. Pubblicata su «L’Europeo», e poi ripresa per intero da numerosi giornali americani, l’intervista creò a Washington un putiferio. Kissinger, che dopo il successo della «diplomazia del ping-pong» con la Cina godeva di una stampa generosa, fu definito un presuntuoso pronto a oscurare Nixon. E la satira dell’uomo con cappellaccio e speroni invase i giornali. Finì per smentire quelle dichiarazioni che gli procurarono un paio di settimane di gelo nei rapporti col presidente: «Non mi sono paragonato a un cowboy solitario, Miss Fallaci ha distorto il mio pensiero: come ho fatto ad accettare quell’intervista, non lo so. È stata la cosa più stupida della mia vita!». La reazione di Oriana fu in tipico Fallaci style. Mandò a Kissinger un lunghissimo e furente telegramma in cui considerava la smentita un insulto alla sua onestà e alla sua professionalità. «Chiunque può ascoltare la registrazione dell’incontro!». La lite è rimasta come uno degli episodi più gustosi nella letteratura delle interviste che la Fallaci ha fatto ai potenti della Terra. Al pari del clamoroso gesto davanti a Khomeini, quando, per reazione al giudizio che l’imam aveva delle donne, si levò il chador. Chi aveva ragione tra Oriana e il cowboy Kissinger? A un anno dalla morte [di Oriana Fallaci], il «Corriere della Sera» ha ritrovato il nastro dell’intervista. Lo custodisce François Pelou, il giornalista della France Presse che fu legato sentimentalmente a Oriana in quegli anni. Il verdetto del dialogo dà sostanzialmente ragione alla Fallaci. Le parole di Kissinger sono più scarne di quanto fu pubblicato da «L’Europeo» e successivamente nel libro Intervista con la storia. Inoltre il politico americano non pronuncia la parola “cowboy”. Ma si definisce effettivamente il condottiero solitario nel Far West: il nocciolo c’è. "
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Brano tratto dall'articolo di Alessandro Cannavò «Fallaci contro Kissinger: aveva ragione lei» pubblicato sul «Corriere della Sera» il 10 settembre 2007, ad un anno dalla morte della giornalista.
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"Non di solo pane vive l’uomo."
È giusto che tutti gli uomini abbiano da mangiare, ma è altrettanto giusto che tutti gli uomini abbiano accesso al sapere. Che tutti possano godere i frutti dello spirito umano, perché il contrario significa trasformarli in macchine al servizio dello stato, significa trasformarli in schiavi di una terribile organizzazione sociale.
Io ho visto molti uomini tornare a casa dal lavoro, affaticati
e aspettare il trascorrere dei giorni, sempre con la stessa cadenza, senza che l’anima sia percorsa da un minimo anelito di sapere. Uomini che non riflettono neppure un barlume di quella luce e di quella bellezza alla quale può giungere l’animo umano
dormono il loro sonno sotto terra, poiché è la loro anima ad essere morta perché non conosce amore, né conosce una scintilla di pensiero, e neppure una fede o una minima ansia di liberazione, prerogative imprenscindibili per tutti gli uomini degni di tale nome.
-Federico García Lorca (1898-1936), Libri, Libri!, pp. 10-11. Dal discorso di inaugurazione della biblioteca di Fuente Vaqueros, suo paese natale, settembre 1931
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“Vita di un poeta”
Autore: Andrea Speziali
Dimensione: 100x100 cm
Tecnica: Olio su tela Anno: 2024
L'opera è stata eseguita dall'artista Andrea Speziali (Rimini, 28 settembre 1988) a colori ad acquarelli, tempere e interventi con foglie d’oro e argento. L’autore si ispira ai poeti e al loro pensiero creativo quando scrivono.
www.andreaspeziali.it
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Bambini in guerra che a scuola non tornano | il manifesto
Una bambina legge nella scuola dell’Unrwa usata come rifugio dai palestinesi - foto Ansa
Il primo giorno. Il primo giorno in classe è il primo giorno del mondo nuovo, il nostro pensiero va a Gaza: buco nero dell’umanità, inizio e fine di ogni principio etico e morale sull’esistere
Pubblicato 21 ore fa
Edizione del 12 settembre 2024
Valeria Parrella
Il primo giorno di scuola è importantissimo, è la notizia, perché la scuola salva la vita, come il servizio sanitario nazionale, né più né meno. E certo tra le istituzioni su cui si incardinano le democrazie ci sono entrambi.
E certo un pronto soccorso ti salva la vita sull’urgenza e la scuola pubblica te la salva sulla lunga percorrenza: sul resto dell’esistenza. E certo per noi sono i pilastri, il fondamento, il motivo per cui siamo sicuri che pagare le tasse non è solo un dovere ma anche un diritto, e questa cosa riesce ancora a essere vera, nonostante da anni i governi che si avvicendano non diano importanza né all’uno né all’altra, smantellandoli nel senso e nelle risorse.
Ma, come meritoriamente Cartabellotta ha lanciato l’appello Salviamo il Servizio sanitario nazionale, così ugualmente dobbiamo fare con la scuola pubblica, salvarla dalla fatiscenza delle strutture, dalla privazione delle risorse, dall’ingaggio truffaldino dei docenti, dalle graduatorie umilianti, dall’emigrazione colpevole, dal reclutamento sine ratione dei docenti di sostegno.
Dobbiamo salvare la nostra scuola dall’indebolimento dell’idea stessa di Scuola, costretta a viversi come un’azienda, con i presidi che si devono chiamare dirigenti. Come se fosse una cosa privata, in cui va meglio chi produce, e di cui però non si sanno valutare i meriti.
E nessuna prova invalsi ha mai provato nulla.
E nessuna corsa alle iscrizioni ha mai provato nulla.
E nessuna graduatoria di «quanti cento alla maturità» ha mai provato nulla.
Da sud a nord la prova di una buona scuola è che ci sono ragazzi che vengono dalle situazioni famigliari più disparate, dalle condizioni economiche e psicofisiche più diverse, e si ritrovano negli stessi banchi, ad ascoltare le stesse parole, a studiare dagli stessi testi, a confrontarsi con le stesse paure, a criticare o amare gli stessi professori.
Entrano insieme ed escono insieme e riescono a dividere tutto. È questa la buona scuola.
Un posto dove sappiamo che i nostri figli sono al sicuro, dove si sentono liberi, dove possono fare domande, ricevere risposte, e anche sconfessarci.
Lì si crea il cittadino, in quel momento lì.
E noi questa cosa la sappiamo, la sappiamo da sempre perché è stato lo strumento con cui si sono emancipate le nostre madri, la sappiamo perché, assieme al voto, è il vero lascito di cui parla Cortellesi nel suo bel film. La sappiamo perché c’è un’ondata di populismo che parte da Trump e arriva a palazzo Chigi in cui si dice il contrario, ci si permettono ignoranze, e grammaticali, e istituzionali, e di contenuti. Si avallano le stesse come se questo garantisse una maggiore aderenza alla realtà. Quando l’unica cosa che garantisce è maggior servaggio. Chi è ignorante può essere condotto, chi studia è libero.
Noi lo sappiamo da sempre, è per questo che mentre ci arrivano nelle chat foto di primi giorni di scuola, di ragazzine con i trolley rosa e giovani genitori alle prese con l’inserimento, il nostro pensiero va a quelle ragazzine a cui è negata l’istruzione, a chi un primo giorno di scuola non ce l’ha perché dei governi oscurantisti vogliono le donne come schiave, e sanno che la prima catena nasce dall’analfabetismo.
Mentre ci arrivano le foto delle nostre bambine che incerte sui passetti vanno a conoscere il mondo il nostro pensiero va a quelle bambine costrette in casa, nei campi, come nei racconti di Carlo Levi: non era molto tempo fa, che una bambina o un asino per portar la gerla erano la stessa cosa, picchiate uguale, asservite uguale, ammogliate senza scelta.
E ma appunto, noi lo guardiamo appena girandoci di 50 anni dietro, ma qui e ora, proprio nello stesso smartphone sul quale ci arrivano le speranze e le emozioni e i saluti delle mamme dei liceali, lì dove ci diciamo «buon primo giorno!» in quello stesso smartphone ci arrivano le immagini senza volto delle stesse bambine, nate qualche meridiano più in là.
Proprio perché sappiamo che il primo giorno di scuola è il primo giorno del mondo nuovo, il nostro pensiero va a Gaza, buco nero dell’umanità, inizio e fine di ogni principio etico e morale sull’esistere. Abominio sotto gli occhi di tutti, luogo perduto- vicino, lontano- dove si scavano a mani nude corpi di altri bambini che la scuola l’avrebbero amata come l’amiamo noi.
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In dipartimento ero solo e non avevo molto da fare, fino a ieri. Diciamo che è stato come stare in smart ma con l'aria condizionata. È il trick che ho utilizzato in questi mesi in quel posto di lavoro che prima era bianco cadaverico e ora è pieno di disegni, poster, mappe. Nessuno si mette in attivo per migliorare il posto in cui lavora o semplicemente gli interessa poco, però ci passi 10 ore al giorno, seduto, davanti a uno schermo. Veramente vuoi che intorno a te ci sia il nulla e non ci sia qualcosa di tuo?
Oggi è arrivato uno di un altro studio, qualche anno fa facevamo ricerca sullo stesso bancone, ora lui è rtda e io cter, diversi ruoli, diversa ricerca, ma il rapporto è rimasto. Quando è oberato e sotto stress, si viene a sedere di fianco e ci rimane 10-15 minuti. Dice che si calma. Dice che io ho questa grande flemma nel fare le cose e che vorrebbe essere un po' più come me. Lui è bravo, di quelli che dopo 2 minuti capisci che sta al posto giusto, sulla ricerca giusta. A settembre deve fare da professore per un corso da 9 cfu (6+3) e oggi cercava un confronto per le slide e per come spiegare certi argomenti ostici. Al ritorno dalla pausa caffè una ragazza dice verso di noi "bei capelli" e poi mi indica. Primo pensiero era che mi stesse prendendo in giro. Secondo pensiero era sul perché era in dipartimento il 29 agosto. Terzo pensiero:"ma veramente?". Avrà visto il dubbio e mi ha detto che avevo veramente un bel taglio di capelli mentre stava facendo un passo verso di me. Ringrazio, sorrido ed entro. In laboratorio il tizio mi chiede perché sono tipo scappato per il complimento sui capelli. Ora io ho un mullet da circa 1 anno e mezzo. Un mullet osceno con i capelli lisci lisci che scendono oltre le spalle. E se mi guardo intorno i mullet ci sono, ma ricci, mai lisci. Un motivo ci sarà? Dico al tizio "se mi hai fatto i complimenti per questo taglio di capelli, sicuro c'è qualcosa che non va". Lui mi guarda e ride come non gli ho mai visto fare. Ovviamente era una battuta-non battuta, non mi sono fermato perché non c'avevo voglia. Però si, sto taglio piace a me e fino a oggi solo a me, e io di sicuro ho qualcosa che non va.
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X-Men '97: il revival sui mutanti Marvel che tutti aspettavamo
La recensione di X-Men '97, revival della storica serie animata sui Mutanti di casa Marvel che torna con un prodotto nostalgico ma intelligentemente aggiornato al presente. Tra animazione, regia e scrittura. Su Disney+.
Bastano gli iconici titoli di testa a confermare l'identità di X-Men '97, molto cara ai figli degli anni '80 e dei primi anni '90. La serie d'animazione classica era conosciuta in Italia come Insuperabili X-Men, in onda dal 1992 al 1997 per cinque ricchissime stagioni. Il suo peso storico è rintracciabile nell'aver aperto la strada allo sviluppo di molte altre serie televisive dedicate ai supereroi della Marvel, prima fra tutte quella di Spider-Man, ma più in generale nell'atto di sdoganare in senso mainstream i gli eroi sul piccolo schermo, sfruttando l'animazione come efficace strumento traspositivo per testare un medium differente.
X Men: un frame della serie animata
Nel settembre del 1997, poi, Insuperabili X-Men trova la sua naturale conclusione in un episodio dai tratti commoventi dedicato al lascito della missione di Charles Xavier ai suoi studenti, ormai cresciuti e diventati supereroi a tutti gli effetti. E proprio da lì riparte X-Men '97 di Marvel Animation: da quell'anno d'interruzione nel passaggio d'eredità morale, come se non fossero passati 27 anni, per raccontare un prodotto di ieri con gli occhi di oggi. Dimostrando quanto difficili e complesse siano le tematiche inclusive e identitarie narrata nella serie.
L'X-Factor di un prodotto straordinario
X-Men '97: una scena
X-Men '97 è prima di tutto rivolto alle generazioni che sono cresciute con la serie originale, ma non per questo si può dire disinteressata a un parterre di spettatori più ampio e più giovane. Il fatto è che lo show è in tutto e per tutto la sesta stagione del prodotto anni '90, di cui non funge soltanto da sequel ma recupera anche dinamiche, rivalità, scelte narrative e villain del suo glorioso passato. Lo sdoganamento dei supereroi grazie ai cinecomic ha resto molto più noti i fumetti Marvel tra i nuovi nerd, ed è principalmente su questa conoscenza acquisita e maggiormente diffusa a cui lo Studio ha deciso di aggrapparsi per lo sviluppo di una serie apparentemente nostalgica ma di fatto moderna, rinnovatrice di se stessa, ragionata principalmente su tematiche che dopo trent'anni sono oggi più di ieri fondamentali e dibattute in ambito civile e sociale. È il genere supereroistico che si rende elevato, sfruttando il mezzo dell'animazione per raccontare l'eterna battaglia dei Mutanti per l'accettazione. Stravolge una cifra contenutistica già emozionante e intimista in partenza e adesso più introspettiva, filosofica, con distinti tratti etici e intellettuali che trasudano dalla straordinaria penna di Beu DeMayo, showrunner ed head writer della serie che purtroppo non curerà più il progetto dopo la seconda e già annunciata stagione.
X Men: un frame della serie animata
Il gene mutante, il grande X-Factor di X-Men '97, risiede principalmente in un DNA concettuale che recupera il meglio del prodotto classico per attualizzarlo in ogni suo aspetto, divenendo per Disney+ quello che Castlevania di Warren Ellis rappresenta per Netflix. Ci sono monologhi che vanno riascoltati e interiorizzati, nello show, scambi di battute caustici e sarcastici, relazioni complicate che hanno ancora una loro decisa centralità. E poi molte intuizioni concettuali arrivano a trasformare completamente il senso di un episodio, toccando corde profonde e stuzzicando il pensiero critico dello spettatore. Un valore, questo, che è impossibile ignorare.
Il potere dell'animazione
X Men: un frame della serie animata
Al di là dell'attenzione per storia e dialoghi, comunque, X-Men '97 gode di un'animazione davvero splendida e di un gruppo di protagonisti ancora valido e affascinante. Il merito dell'estetica va tutto a Studio Mir, che è riuscito ad aggiornare il canone stilistico anni '90, mantenendone intatto fascino e carattere ma ripulendone linee e contorni, tratteggiando con decisione i dettagli delle scene e dei personaggi e sfruttando ovviamente tecnologie di sviluppo moderne per confezionare il prodotto. È dunque ricercata la patina televisiva dell'epoca, ma ad esempio la CGI è sfruttata in minima parte, dando ampio e giusto spazio al 2D e all'animazione tradizionale in tutto il suo splendore. Per non tradire la continuità dell'opera, si è poi deciso di mantenere tutti i costumi del tempo, da Ciclope a Wolverine, da Jubilee a Morph (tra l'altro scelta geniale riaverlo nel team, potendosi trasformare in tanti altri X-Men). Il colpo d'occhio maggiore, però, arriva dalle scene d'azione, dove risalta una maggiore fluidità dei movimenti e una regia animata più stilizzata e virtuosa rispetto a trent'anni fa. Altro elemento modernizzante della serie che dà il suo massimo nei team-up dei protagonisti (Wolverine e Gambit, Ciclope e Alfiere).
X-Men '97: una scena
Dei DIeci episodi che compongono questa prima stagione, non ce n'era uno che si potesse dire simile all'altro o che fosse meno interessante. Ognuno di essi guarda a un importante arco narrativo del passato, tra Sentinelle, Magneto o Sinistro, dando comunque modo allo spettatore più spaesato di comprendere gli allacci delle varie storie e di non sentirsi lasciato solo. Possiamo dirci sinceramente colpiti e soddisfatti del progetto X-Men '97, nella speranza che la prossima stagione possa regalarci gli stessi spunti di riflessione e lo stesso spettacolo di questa appena conclusa.
Conclusioni
In conclusione, dietro alla sua apparente aura nostalgica X-Men '97 nasconde una profonda anima intellettuale che si rende evidente soprattutto nella scrittura degli episodi e dei dialoghi, per come tratta alcune tematiche identitarie ed inclusive, per come sfrutta relazioni e rivalità, per le corde che sa toccare. Un prodotto meraviglioso forte di un parterre di protagonisti ben ragionato e di un'animazione rinnova il passato senza tradirlo, mantenendo intatto fascino e carattere della serie classica ma con un tocco aggiuntivo più virtuoso e moderno. Imperdibile.
Perché ci piace
La scrittura e la curatela di Beu DeMayo sono straordinarie.
Ci sono monologhi e riflessioni che lasciano il segno.
Il recupero costante di dinamiche e storie classiche che vengono però adattate al presente.
Lo stile animato è semplicemente meraviglioso.
Gli scontri, le rivalità, i team-up.
Cosa non va
Forse il pubblico di riferimento è principalmente quello che è cresciuto con la serie classica, ma non lasciatevi intimorire: in realtà è aperto a tutti.
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Poesia di https://www.tumblr.com/maripersempre-21
Come gabbiani in volo
i pensieri miei...
il cielo di settembre
promette ancora
qualche scampolo d'estate...
nella silente notte
il pensiero di te
mi tiene compagnia
frugando nella mia anima...
tu sei padrone del mio cuore
sei il solo, l'unico che lo abita...
vorrei perdermi in te
come il giorno al tramonto...
sei tutto ciò che attendo
in ogni mio istante di vita...
e la mia notte si riempie
ancora una volta di te...
M.C.©
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Nato a Husi il 13 settembre 1899, Corneliu Codreanu fu senza dubbio il più atipico dei Capi politici del periodo tra le due guerre, nonché uno dei più carismatici. Nel 1927, fondò la Legione dell’Arcangelo Michele – meglio conosciuta come Guardia di Ferro – e ne fu il “Capitano”: tra mille sacrifici e altrettante avversità, dimostrò di aver dato vita ad un progetto dotato di una propria dottrina, di una propria prassi organizzativa e di un proprio modello politico.
Le sue Camicie Verdi – infatti – ambivano alla creazione di un “uomo nuovo” e di un “nuovo ordine”, la cui mistica religiosa e soprannaturale si reggeva su una rigorosa morale cristiana, sul profondo senso del dovere, su un’ascesi costante e verticale, sulla ferrea disciplina dello spirito legionario, su un forte e tenace attaccamento alla Patria e su un autentico senso della Comunità di popolo.
Codreanu – il cui nome giunse in Italia attraverso la penna di autorevoli giornalisti – esortava i suoi compatrioti a condurre una vita eroica, radicata nella consapevolezza dell’identità dacica e latina. Odiato dal re e dalla classe politica del suo Paese, egli fu al centro della vita politica romena fino alla sua tragica esecuzione, avvenuta nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1938 per ordine del governo del re Carol II, quando il Capitano aveva appena 39 anni. Questa biografia, unica nel suo genere, ripercorre la vita e il pensiero di una delle più complesse figure del XX secolo.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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Se Marcello De Angelis, nella sua carriera politico-cantautorale antisemita, avesse celebrato le stragi di Hamas anziché di Settembre Nero, oltre a conservare il posto alla Regione Lazio, sarebbe anche diventato un'icona del pensiero democratico, come Michela Murgia?
Ma togli pure il punto di domanda retorico!
via https://twitter.com/carmelopalma/status/1696915500708593720
Ah 'sti fassi fessi col mito della Bella Morte che non han capito: per socialisti collettivisti come loro sarebbe solo questione di usare i giusti accenti, senza cambiare granché le idee di fondo, per congiungersi coi VERI EREDI DEL FASCISMO e vivere nel consenso e successo.
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Ti scrivo dal balcone dove resto ancora un poco questa sera a guardare l’orto al sole di settembre a mangiare pane e olio e foglie piccole di basilico ti scrivo meno fiera di quello che vorresti sono una donna forte sì ma con anche continue tentazioni di non esserlo di lasciarmi sciogliere d’amore al sole e carezzarti e baciarti un po’ di più di quello che tu vuoi ti scrivo dal balcone guardando il fico pieno di frutti e il pero con le foglie malate ho qualche pensiero triste e due o tre sereni.
.🦋.
🔸Vivian Lamarque
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I. Un giorno di settembre, il mese azzurro, tranquillo sotto un giovane susino io tenni l'amor mio pallido e quieto tra le mie braccia come un dolce sogno. E su di noi nel bel cielo d'estate c'era una nube ch'io mirai a lungo: bianchissima nell'alto si perdeva e quando riguardai era sparita. 2. E da quel giorno molte lune trascorsero nuotando per il cielo. Forse i susini ormai sono abbattuti: Tu chiedi che ne è di quell'amore? Questo ti dico: più non lo ricordo. E pure certo, so il tuo pensiero. Pure il suo volto più non lo rammento, questo rammento: l'ho baciato un giorno. 3. Ed anche il bacio avrei dimenticato senza la nube apparsa su nel cielo. Questa ricordo e non potrò scordare: era bianca e scendeva giù dall'alto. Forse i susini fioriscono ancora e quella donna ha forse sette figli, la nuvola fiorì solo un istante e quando riguardai sparì nel vento. Bertolt Brecht, Libro di devozioni domestiche, Ricordo di Maria A., trad. it. di Roberto Fertonani, Einaudi, 1964
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Vertigini Letterarie
Leggendo Robinson, l'inserto domenicale de la Repubblica, mi è capitata nella sempre bellissima intervista a fine inserto di Antonio Gnoli questa risposta: la letteratura è insieme all'arte il più straordinario serbatoio di immagini e di suggestioni. Certi romanzi spiegano la geografia meglio di un geografo. Queste parole sono state dette, appunto, da un grande geografo italiano, Franco Farinelli. E mi sembrano perfette per parlare un po' di questa carta geografica della letteratura del '900 che è questo libro, che mi ha tenuto tutto il mese di Settembre sulle sue pagine.
Ho scoperto il nome di William Gaddis anni fa, dopo aver letto quel capolavoro che è L'Incanto del Lotto 49 di Thomas Pynchon. Del misterioso autore di quel libro non si sanno che poche cose, fotografie solo da giovane studente, tanto che alcuni sospettarono che fosse uno pseudonimo di Gaddis. Questa è leggenda, Pynchon esiste davvero, ma è vero invece che tutti e due sono i pilastri del post-modernismo letterario americano, che ha incantato tutta una serie di scrittori diventati iconici, con romanzi quali L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon (1973), Infinite Jest di David Foster Wallace (1996) e Underworld di Don De Lillo (1997) o Le Correzioni di Jonathan Franzen (2001).
Le Perizie è un libro mondo, scritto nel 1955 (1220 pagine) che è stato riproposto da Il Saggiatore dopo quasi 50 anni dalla prima edizione Mondadori, che all'epoca lo divideva in due volumi (1967). Racconta la storia di Wyatt, un giovane del New England cresciuto dal padre pastore protestante e la Zia Mary, ultra calvinista, nel ricordo di sua madre Camilla, morta in un viaggio in Spagna. Wyatt scopre di avere un talento particolare nel disegno, tanto che una volta arrivato a New York viene ingaggiato come falsificatore di antichi quadri rinascimentali fiamminghi da un ricco uomo d'affari, Recktall Brown (il cui nome è tutto un programma). Tutto intorno a questa vicenda gira un gruppo di personaggi secondari e delle loro storie, tra scrittori in cerca di successo, attrici, artisti, poeti, critici d'arte che tra feste senza senso e dissertazioni esistenziali si interrogano sul ruolo dell'arte, degli artisti e del loro senso nel mondo. Le perizie del titolo è un sottile gioco semantico: sono sia quelle tecniche che certificano l'autenticità di un'opera d'arte, ma sono anche in senso più ampio una disamina infinita che vede i personaggi coinvolti in un interrogarsi minuzioso sulla crisi del pensiero filosofico occidentale, dalla metafisica aristotelica alla storia dell’alchimia, dalla storia delle dottrine religiose alla storia dell’arte moderna.
Quello di Gaddis fu volutamente un tentativo di scrivere un libro che andasse oltre, sia in termini strutturali che soprattutto linguistici. È l'apoteosi della citazione, di oscuri pittori fiamminghi del 1500, di testi scritti da santi eretici, di luoghi veri e immaginari, in un mix che si pone a metà strada tra il Faust e Finnegans Wake. All'epoca fu un fiasco, tanto che Gaddis per oltre venti anni abbandonerà la letteratura e lavorerà come pubblicitario per grandi gruppi industriali americani, come l'IBM. Ritornerà al romanzo solo venti anni dopo, con un'opera forse ancora più audace, JR, che però stavolta fu un successo, tanto che vincerà nel 1976 il prestigioso National Book Awards, premio che Gaddis vincerà ancora nel 1994 con A Frolic Of His Own (non tradotto in Italiano).
Tra i suoi più grandi ammiratori c'è Jonathan Franzen, che ha intitolato il suo podcast e blog personale Mr Difficult, non a caso, dato che era il soprannome di Gaddis per via del suo stile barocco, a tratti schizofrenico, imperscrutabile e con la caratteristica, unica e singolare, di caratterizzare i personaggi per uno stile riconoscibile nel linguaggio (per spiegarmi meglio, come quei tic linguistici che si hanno, il ripetere spesso un intercalare, un modo di dire e così via). Nel 2002 Franzen scrisse sul New Yorker un articolo, intitolato Mr. Difficult: William Gaddis and the Problem of Hard-to-Read Books, in cui divide i lettori in due gruppi: gli Status Model, che cercano in un romanzo una forma d'arte, e i Contract Model, che cercano in un romanzo una forma di intrattenimento. In Gaddis lo sfoggio, nel caso de Le Perizie, di citazioni erudite, rimandi all'antropologia, all’esoterismo, alla teologia cristiana o alla pittura fiamminga sono segnali paradigmatici di Status Model, e fu questa analisi stilistica che portò lo stesso Franzen a passare dal romanzo forbito (e a tratti indimenticabile) ma "difficile" da leggere che fu Le Correzioni a quello più semplice strutturalmente e più godibile che fu il successivo Crossroads.
Leggendolo, ho detto alle mie amicizie di lettura che non lo avrei consigliato a nessuno, sebbene sia stata una delle letture più incredibili della mia vita. Perchè c'è uno sforzo intellettuale che, e non so nemmeno se sia in fondo un problema, non è solitamente più richiesto per lo meno in un momento personale di riflessione come può esserlo una lettura.
Lascio l'ultima riflessione alla traduzione: fu opera già nel 1967 del grande Vincenzo Mantovani, uno dei più grandi traduttori di autori anglofoni della nostra editoria, scomparso l'anno scorso. Lui aveva un amore viscerale per Gaddis, che mi rendo conto era una sfida da rompicapo per un traduttore ma che per lo stesso motivo era amatissimo da chi queste sfide le accettava. Lo stesso Mantovani lavorò per 15 anni alla traduzione di JR, che è in pratica un romanzo dialogo su un giovane genio adolescente che scopre un modo per fare soldi nella finanza, ma non trovò mai un editore disposto a pubblicarlo. Ci riuscì solo nel 2009, grazie alle Alet di Padova, che tra l'altro non pubblica più, rendendo introvabile questo altro romanzo così sui generis e forse per questo così fondamentale.
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🍁Settembre, si per me l’anno comincia adesso e sarà pieno di cambiamenti, una stagione piena di cose nuove e di rinascita. Dopotutto, in questi mesi ho imparato che non sarà così male cambiare vita e non posso che essere più che fiera di me di avere preso questa decisione. Dentro di me ci stava il pensiero “cos’hai da perdere? Hai qualcosa qui che ti trattiene più della tua voglia di andartene? No.” Ed è rendendomi conto di questo che me ne andrò senza rimpianti, continuando a essere me stessa sempre, ovunque io vada e comunque vada. Questa estate sono stata piena di sale sulla pelle perché come mi rigenera il mare, niente. Ho fatto dei viaggi incredibili e ne continuerò a fare altri perché viaggiare mi rende viva e piena di vita. Porterò sempre con me certi momenti e certe persone nonostante la distanza ed il tempo, nonostante mi lasci tutto alle spalle. Non sarà facile questo cambiamento, perché la vita è imprevedibile, ma sono pronta a tutto. Pronta per conoscere un nuovo mondo, riscoprire me stessa e cercare di essere più serena, perché dopo tanto, me lo merito. A noi.🤞🏻✈️👩🏼
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