#oltre l’ombra
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pier-carlo-universe · 9 days ago
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Anna Sexton: La Poesia del 2025, un tributo ad una grande poetessa. Recensione di Alessandria today
Alessandria today celebra Anna Sexton con una poesia immaginaria e una recensione che ne esplora la profondità e il genio.
Alessandria today celebra Anna Sexton con una poesia immaginaria e una recensione che ne esplora la profondità e il genio. Poesia: Oltre l’Ombra. Il giorno è un pozzo d’ombre,ma io, scalza, vi scendo,cercando nella sua golala mia stessa eco. Il cuore è una bestia selvaggiache urla contro il filo spinato del rimpianto.La notte non è un rifugio,ma un teatro di memorie spezzate. Ho costruito…
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ma-pi-ma · 4 months ago
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Notte oltre la notte,
quando le parole
non scrivono la poesia,
e la poesia senza parole
è la poesia infinita.
Ángeles Carbajal, Insonnia, da L’ombra di altri giorni, 2002
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perpassareiltempo · 8 months ago
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Oltre l’ombra ti denunciano i tuoi occhi, e t’indovino tersa, come una mappa stesa di stupore e desiderio. Datti per morta amore, è una rapina. Le tue labbra o la vita.
Luis Garcia Montero
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poesiablog60 · 10 months ago
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Ognuno deve avere
una stanza tutta per sé.
E un cortile azzurro
dove far passeggiare i dubbi.
Oltre il sole
vivranno il desiderio
e la nostalgia
della prima parola.
E il sorriso
che si è perduto
e che non si ritrova più.
Ma dolce sarà
l’ombra della sera,
dietro le nubi,
aperta come un giglio.
Montserrat Abelló
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perversi95 · 2 months ago
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Ti paragonerò a un dolce incanto,
tu sei più bella e serena al mio sguardo.
Come quei giorni di speranza e canto
che i venti e il tempo sciolgono nel tardo.
La tua luce è più lieve e più infinita,
di un giorno breve, che sfuma e si spegne,
mentre la tua immagine resta scolpita
oltre l’ombra che a ogni cosa giunge.
Ma la tua estate non conoscerà fine,
né svanirà l’ardore del tuo volto;
ché nei versi eterni il ricordo si affina,
oltre la terra, nel vento raccolto.
Finché occhi vedranno, finché un cuore sentirà,
questa bellezza eterna vivrà.
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papesatan · 1 year ago
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briciole
Tornando a casa, ho scorto da lontano l’esile figura di zio Matteo, un uomo ultraottantenne roso dal cancro e dalla solitudine. Raggiunto in pochi passi, gli ho messo un braccio sulle spalle e lui mi ha detto a fil di voce: “Vado dalla compagna, shh”, un soffio trepidante, lo sguardo circospetto ad evitar la limosa invadenza delle comari di paese. L’ho guardato tenero in volto, ormai un fantasma, l’ombra distante di chi era, ancora innamorato. Dopo la morte della moglie, avvenuta ormai oltre dieci anni fa, mio zio non ha mai rinunciato alla felicità d’un nuovo amore, una gioia ritrovata pochi anni dopo grazie ad un circolo per anziani (mio zio a 80 anni più capace di me a 35 ma vabbè). I figli non gli hanno mai perdonato la voglia di continuare a vivere e amare, così quando s’è ammalato hanno sbattuto fuori la compagna e le hanno intimato di non farsi più vedere (questioni d’eredità, immagino). Lui perciò ogni giorno fugge a passettini dal suo letto per andare a trovare la donna che ama. L’ho scortato per un pezzo, affinché nessuno lo fermasse. Meritiamo tutti l’amore, l’arcana malia d’amare ed essere amati - niente di più raro - e mentre lo guardo allontanarsi all’orizzonte, a passi lenti e ostinati, mi chiedo infinitamente stanco se in fondo in fondo lo merito anch’io o se sarò sempre destinato a vivere di briciole e scarti, ringraziando del disturbo.  
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aurozmp · 1 year ago
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ti vorrei dedicare la luna anche se tu ora nel buio della notte non puoi vederla, anche se aprendo gli occhi non potresti guardare e vedere niente oltre l’oscurità e l’ombra che danno gli alberi contro i muri dei palazzi spogli. ti vorrei dedicare la luna quando la sera io guardo in modo fisso il cielo e ti penso mentre conto le stelle e ti abbraccio socchiudendo gli occhi, immaginandomi di tenerti tra le mie braccia stringendoti con la poca forza che rimane al mio cuore. ti vorrei dedicare la luna perché sarebbe l’unica luce a tenerti acceso mentre tutto ti trasmette buio. io ti amo, e non capisco perché tu mi debba trattare così male. io ti dedicherei la luna e tu forse neanche un cerchio giallo in un foglio bianco
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valentina-lauricella · 5 months ago
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Passi tratti da La vigna, di Cesare Pavese.
Ariadne, abbandonata da Teseo dopo l’avventura del labirinto, venne raccolta sull’isola di Nasso da Dionisio di ritorno dall’India, e finì in cielo tra le costellazioni. (Parlano Leucotea e Ariadne).
Leucotea: Ecco, piangi. Così almeno è più facile. Non parlare, non serve. Così se ne vanno sciocchezza e superbia. Così il tuo dolore compare per quello che è. Ma finché il cuore non ti scoppierà, finché non latrerai come una cagna e vorrai spegnerti nel mare come un tizzo, non potrai dire di conoscere il dolore.
Ariadne: M’è già scoppiato… il cuore…
Leucotea: Piangi soltanto, non parlare… Tu non sai nulla. Altro ti attende.
Ariadne: Come ti chiami adesso, ninfa?
Leucotea: Leucotea. Capiscimi, Ariadne. La vela nera se n’è andata per sempre. Questa storia è finita.
Ariadne: E’ la mia vita che finisce.
Leucotea: Altro ti attende. Tu sei sciocca. Non veneravi nessun dio nella tua terra?
Ariadne: Quel dio può ridarmi la nave?
Leucotea: Ti domando che dio conoscevi.
Ariadne: C’è un monte in patria che incuteva spavento anche a quelli della nave. Là sono nati grandi dèi. Li adoriamo. Li ho già tutti invocati, ma nessuno mi aiuta. Che farò? dimmi tu.
Leucotea: Che cosa attendi dagli dèi?
Ariadne: Non attendo più nulla.
Leucotea: E allora ascolta. Qualcuno si è mosso.
Ariadne: Che vuoi dire?
Leucotea: Se ti parlo, qualcuno si è mosso.
Ariadne: Tu sei solo una ninfa.
Leucotea: Può darsi che una ninfa annunci un gran dio.
Ariadne: Chi, Leucotea, chi mai?
Leucotea: Pensi al dio o al bel ragazzo?
Ariadne: Non lo so. Come dici? Io mi prostro agli dèi.
Leucotea: Dunque hai capito. E’ un nuovo dio. E’ il più giovane di tutti gli dèi. Ti ha veduta e gli piaci. Lo chiamano Dioniso.
Ariadne: Nella mia patria si racconta che sull’Ida nascevano dèi. Nessun mortale è mai salito oltre gli ultimi boschi. Noi temiamo anche l’ombra che cade dal monte. Come posso accettare le cose che dici?
Leucotea: Tu hai molto osato, piccola. Non era per te come un dio anche colui dai ricci viola?
Ariadne: Gli ho salvata la vita, a questo dio. Che ne ho avuto?
Leucotea: Molte cose. Hai tremato e sofferto. Hai pensato a morire. Hai saputo che cosa è un risveglio. Ora sei sola e aspetti un dio.
Ariadne: E lui com’è? molto crudele?
Leucotea: Tutti gli dèi sono crudeli. Che vuol dire? Ogni cosa divina è crudele. Distrugge l’essere caduco che resiste. Per svegliarti più forte, devi cedere al sonno. Nessun dio sa rimpiangere nulla.
Ariadne: Il dio tebano… questo tuo… hai detto che uccide ridendo?
Leucotea: Chi gli resiste. Chi gli resiste s’annienta. Ma non è più spietato degli altri. Sorridere è come il respiro per lui.
Ariadne: Non è diverso da un mortale.
Leucotea: Anche questo è un risveglio, bambina. Sarà come amare un luogo, un corso d’acqua, un’ora del giorno. Nessun uomo val tanto. Gli dèi durano finché durano le cose che li fanno. Fin che le capre salteranno tra i pini e i vigneti, ti piacerà e gli piacerai.
Ariadne: Morirò come tutte le capre.
Leucotea: Sulle vigne, di notte, ci sono anche stelle. E’ un dio notturno che ti aspetta. Non temere.
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kon-igi · 2 years ago
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QUANDO MORIRÒ
Quando morirò sarà Marzo, 
il mese in cui il sole ci anticipa il caldo della rinascita 
ma l’ombra ci ricorda che l’inverno
è ancora affamato di gelo.
Quando morirò vorrò delle foglie sospese
tra il mio sguardo e il sole là in alto
affinché esso sgoccioli nel mio cuore
ormai stanco.
Quando morirò
vorrei che tanti mi piangessero
perché solo così saprò
che nessuno mi ha preceduto anzitempo.
Quando sarò morto
vorrò che ascoltiate per me
Il Suonatore Jones
perché diventasse vostro il mio rimpiangere nulla
e poi Mister Tambourine Man
finché non vi sembrerà di vedere
il mio saluto
mentre mi dissolvo nel cielo diamante
oltre le rovine del tempo,
circondato dal mare.
E se quando sarò morto
sarà Dicembre
e non avrò foglie, sole
o canti,
non sia questo per voi cruccio
perché così come il sasso 
lanciato nello stagno
scompare solo agli occhi ma riverbera
per sempre 
nei cerchi sulla sua superficie,
io sopravviverò,
nell’esitazione di chi aspetta l’altro
rimasto indietro,
nella polvere soffiata via
dai miei vecchi pensieri perduti
e nei semi dimenticati
ma mai secchi
lasciati dietro di me.
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susieporta · 1 year ago
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Ognuno deve avere
una stanza tutta per sé.
E un cortile azzurro
dove far passeggiare i dubbi.
Oltre il sole
vivranno il desiderio
e la nostalgia
della prima parola.
E il sorriso
che si è perduto
e che non si ritrova più.
Ma dolce sarà
l’ombra della sera,
dietro le nubi,
aperta come un giglio.
Montserrat Abelló Soler
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maddavvero · 2 years ago
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Real Fabbrica d’armi Torre Annunziata
 Nel 1758 Carlo III di Borbone decretò l’istituzione della Fabbrica d’Armi a Torre Annunziata nei pressi della Real Polveriera e divenne la più importante fabbrica per la fornitura militare di armi bianche e da fuoco di tutto il Regno delle Due Sicilie.
L’attività della fabbrica iniziò nel 1761 e di lì a breve venne fondata a Torre anche la Fonderia o Ferriera ubicata nei pressi de castello dei d’Alagno poco distante dal mare. Dalla Real Fabbrica d’Armi di Torre dipendevano gli stabilimenti di Lancusi dove si fabbricavano lame per sciabole e baionette. Gli altri opifici militari come quelli della Mongiana in Calabria, di Poggioreale e la Real Montatura di Napoli erano tutti uniti da una collaborazione produttiva gestita principalmente dalla struttura di Torre. Della qualità produttiva locale fu testimoniata dalla stampa e dai documenti dell’epoca, che annotano sistematicamente modifiche apportate ad alcune armi di origine francesi e belga conferendo ad esse uno stile “napoletano” le cui soluzioni tecniche furono molto apprezzate in tutta Europa.
La testimonianza storica di questa attività è tuttavia oggi attualmente custodita nella Sala d’Armi sita nell’antico edificio della Real Fabbrica d’Armi . Sono circa 70 le armi da fuoco lunghe conservate tra cui pregiati fucili Vetterli, Martin Rumeno, Doersh-Bauwgatten e Mauser 71, oltre a pistole, sciabole, daghe, baionette e pannelli d’indiscusso valore didattico raffiguranti i diversi stadi di lavorazione delle armi e relativi strumenti di lavoro e attrezzi di verifica-funzionalità. La Real Fabbrica d’Armi di Torre Annunziata, che in seguito assunse il nome di “Spolettificio” subì negli anni successivi, varie trasformazioni produttive. Dal 1947 a pochi anni fa si producevano a Torre Annunziata, oltre alle spolette ed artifizi vari, bombe a mano tipo SRCM mod.35 .
Un progressivo ed inarrestabile smantellamento operativo e cognitivo oggi ha ridimensionato e azzerato del tutto l’utilizzo di tale struttura, relegandola ad una semplice officina di recupero e riparazione di mezzi di trasporto militare. Degli “ingegni” tecnologici che ne erano pieni i vetusti locali, manco più l’ombra, il tutto è stato rimosso. Sono rimasti solo i locali dell’antica struttura architettonica, che sperando in una sana politica di recupero, vengano utilizzati, almeno intelligentemente, in Museo permanente degli Ori di Oplonti. Nel pieno dell’emergenza covid, i locali dello stabile furono utilizzati per la produzione delle mascherine.
Da oggi inizia un altro capitolo per la storia di questo importante polo napoletano che persegue l’obiettivo di realizzare un innovativo sistema storico-archeologico-ambientale nel centro storico di Torre Annunziata. L’accordo siglato, infatti, prevede di annettere al Sito archeologico di Oplonti alcune porzioni dello Spolettificio non più utili alle attività amministrative del Ministero della Difesa. Negli edifici dello Stabilimento prenderanno vita nuovi spazi: alcuni destinati ai servizi culturali, una scuola di restauro, ampi depositi per i rinvenimenti archeologici, sale espositive e nuove aree per le attività ricettive e di promozione locale.
Per migliorare la viabilità cittadina, inoltre, saranno incentivati gli interventi di mobilità sostenibile. Nello specifico sarà realizzato un nuovo collegamento pedonale fra il Rione Provolera ed il Rione Murattiano attraverso il sottopasso che taglia longitudinalmente lo stabilimento militare, agevolando il percorso che porta i cittadini verso i diversi edifici scolastici collocati sul territorio.
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lunamagicablu · 1 year ago
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«Quando Lui Stesso rivela Se Stesso, Brahman porta nella manifestazione Quello che non può mai essere visto. Come il seme è nella pianta, come l’ombra è nell’albero, come il vuoto è nel cielo, come infinite forme sono nel vuoto- così da oltre l’Infinito viene l’Infinito. L’Infinito viene; e dall’Infinito si estende il finito. La creatura è in Brahman, e Brahman è nella creatura: Sono sempre distinti, eppure sempre uniti. Lui Stesso è l’albero, il seme e il germoglio. Lui Stesso è il fiore, il frutto e l’ombra. Lui Stesso è il sole, la luce e quello che viene illuminato. Lui Stesso è Brahman, creatura e Maya. Lui Stesso è il respiro, la parola e il significato. Lui Stesso è il limite e l’illimitato: e, al di là del limitato e dell’illimitato, Lui è, l’Essere Puro. Lui è la Mente Immanente in Brahman e nella creatura. L’Anima Suprema viene vista dentro l’anima, il Punto viene visto dentro l’Anima Suprema, e dentro al Punto, si vede di nuovo il riflesso. Kabir è benedetto perché ha questa suprema visione!» Opera attribuita a Kabir ************************* "When He Himself reveals Himself, Brahman brings into manifestation What can never be seen. As the seed is in the plant, like the shadow is in the tree, like the void is in the sky, as infinite shapes are in the void- thus from beyond Infinity comes Infinity. The Infinite comes; and from the Infinite extends the finite. The creature is in Brahman, and Brahman is in the creature: They are always distinct, yet always united. He Himself is the tree, the seed and the sprout. He Himself is the flower, the fruit and the shadow. He Himself is the sun, the light and that which is illuminated. He Himself is Brahman, creature and Maya. He Himself is the breath, the word and the meaning. He Himself is the limit and the unlimited: and, beyond the limited and the unlimited, He is, the Pure Being. He is the Mind Immanent in Brahman and in the creature. The Supreme Soul is seen within the soul, the Point is seen within the Supreme Soul, and inside the Punto, the reflection is seen again. Kabir is blessed because he has this supreme vision!" Work attributed to Kabir 
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afnews7 · 15 days ago
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L’agonia delle strips avventurose
#fumetti #outisfumetti #afnewsinfo – http://www.afnews.info segnala: Su oltre 120/140 (circa) comic strips giornaliere pubblicate dai quotidiani USA i personaggi avventurosi sono meno del 10 percento. compresa qualche riproposta in lingua spagnola. Tutti personaggi vintage, qualcuno – per fortuna – ripubblicato dal periodo d’oro, altri l’ombra si se stessi. Dura riconoscerli senza la…
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pier-carlo-universe · 18 days ago
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"Oltre le parole: una poesia inedita come omaggio ad Alda Merini". Recensione di Alessandria today
"Un viaggio nell’anima ispirato dalla grande poetessa, voce eterna della poesia italiana."
“Un viaggio nell’anima ispirato dalla grande poetessa, voce eterna della poesia italiana.” Poesia: “L’ombra delle parole” Ho posato il silenziosulla tua bocca stanca,tra le pieghe del giornoche si consuma lento.L’amore non ha fretta,si accuccia come un gattosull’orlo della nottee aspetta. Tra le mani mi scivola il tempo,fugge tra gli spazi vuotidelle parole non dette,eppure vibra, come…
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fabianocolucci · 2 months ago
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Capitolo 1: Ho delle faccende in sospeso
La dolce brezza che accoglieva la nave, intenta ad addentrarsi lungo le verdeggianti sponde di Balia Claea, anticipava una giornata che, su molti versi, si prospettava serena e pacifica.
Tra le varie stanze della nave, un pennino scivolava in una danza fluida sul rotolo, raffinando un tratto sottile che riempiva di un suono ipnotico la piccola cabina. Una donna dai lunghi capelli rossi, ramati e scintillanti come fiamme alla luce del sole, era china sulla sua scrittura, completamente immersa.
La luce dorata del primo mattino filtrava attraverso la finestra, avvolgendo i suoi tratti in un alone dorato, contribuendo a conferirle un'aura di mistero che lei apprezzava. I suoi occhi, due scintille penetranti di un verde vivido, erano fissi sul rotolo con un’intensità quasi disarmante, come se stesse tentando di trasmettere qualcosa di inafferrabile con ogni parola.
Di tanto in tanto, il suo sguardo si spostava dalla carta alla finestra, dove il paesaggio si stendeva davanti a lei, cullato dal moto lento della nave. Era un’immagine di quieta maestà: le mura di una città antica emergevano a poco a poco all’orizzonte, il loro profilo che si stagliava contro il cielo terso, come in una promessa di scoperta e mistero. La città si avvicinava, massiccia e imponente, quasi sospesa nel tempo, accarezzata dalla luce del sole che, con il progredire della giornata, tingevano le pietre di una sfumatura calda, quasi dorata. Sentiva il cuore batterle nel petto, spinta da una sorta di anticipazione mista a inquietudine.
Con un gesto delicato, intinse la punta della penna nel calamaio, immergendola nel liquido nero e denso come l’ombra della notte, e continuò a scrivere. Le sue parole scorrevano con eleganza e cura, come se ogni lettera fosse scolpita da pensieri profondi e mai dimenticati.
La mano avanzava sicura, ogni tratto impregnato di un’intima dolcezza. Fece un respiro, quasi come se stesse cercando di catturare la fragranza dell’aria, e iniziò la lettera.
«Care sorelle, mentre scrivo queste parole, osservo la nave che si avvicina a una nuova riva. Il viaggio verso Balia Claea è stato lungo, scandito da giornate di mare e di solitudine, ma ogni volta che metto piede in questa regione è come se tornassi a casa. Questa terra ha un modo tutto suo di abbracciare chi la visita. Vi piacerebbe molto, lo so. Non solo perché qui potete incontrare persone che ci somigliano, con capelli rosso vivo e occhi tanto brillanti da sembrare stelle, ma perché quest’isola ha un’anima accogliente. È un luogo che ti accetta, qualunque sia il peso che porti nel cuore, una terra generosa e imperturbabile, come una vecchia amica che ti stringe a sé senza fare domande.»
La donna posò il pennino, alzando nuovamente lo sguardo verso la città che si delineava oltre il vetro della finestra. Il fiume Darthais, un nastro di liquido argento che si snodava con grazia tra le colline, rifletteva il cielo sereno sopra di lui. Mentre la nave avanzava, i passeggeri si radunavano verso il parapetto, impazienti di avvistare la città che, come una sirena misteriosa, sembrava invitarli e respingerli al tempo stesso. C’era una bellezza sobria, quasi antica, nelle rive del Darthais, i cui riflessi argentati narravano di secoli passati e storie perdute. Il porto di Folach, con i suoi antichi moli e i palazzi di pietra che si affacciavano sull’acqua, portava il peso di racconti mai dimenticati, testimonianze di un passato che continuava a pulsare nelle sue vie strette e acciottolate.
La donna abbassò di nuovo lo sguardo sul rotolo, mentre un sorriso malinconico le addolciva i tratti. Con movimenti lenti, tornò a scrivere, riprendendo il filo dei suoi pensieri, come una tessitrice che annoda un filo invisibile tra passato e presente.
«Il viaggio di andata sta per terminare, e, come sempre, il mio pensiero corre a voi due. È difficile per me credere che non siate più delle ragazzine. Ormai siete cresciute, avete l’età che avevo io quando ho cominciato a vagare per il mondo, cercando avventure da vivere e storie da raccontare. Vi immagino accanto a me, pronte a partire verso terre sconosciute. Forse, la prossima volta, potrete davvero essere al mio fianco. È un desiderio che porto nel cuore da anni, sin da quando vi rimboccavo le coperte, mentre mi chiedevate di raccontarvi una storia prima di dormire. Mi piacerebbe così tanto vivere un’avventura insieme a voi, non soltanto per le risate e i racconti, ma per mostrarvi il mondo come io stessa l’ho scoperto: con meraviglia, e un pizzico di timore.»
Si fermò, come colpita dalla dolcezza di quei pensieri, e rilesse lentamente quanto aveva scritto. Sentiva quasi il calore di quei ricordi avvolgerla, ricordi di notti trascorse a raccontare storie di terre lontane alle sue sorelle minori che, con gli occhi sognanti, si addormentavano cullate dalle sue parole. Poi, con un’ombra negli occhi che sembrava appesantire il suo sorriso, aggiunse le ultime righe.
«Ora devo andare. La città di Folach mi attende, e il mio cuore sa che ciò che mi aspetta qui non è un semplice ritorno. Ci sono questioni da risolvere, faccende che da tempo richiedono la mia attenzione. Ho bisogno di impedire che questa faccenda diventi vana. So che finché non le avrò affrontate, la mia permanenza sarà inquieta, quasi in sospeso. Spero di potervi dare presto mie notizie, anche se non posso promettere che sarò di ritorno entro pochi giorni. Potrebbero passare mesi prima che torni a scrivervi. Ma sappiate che il mio pensiero sarà sempre con voi, ovunque io vada. Con amore, la vostra cara sorella maggiore…»
Con un sospiro, la donna posò il pennino e lasciò che l’inchiostro si asciugasse sul rotolo. Il silenzio era quasi palpabile, rotto solo dal rumore ovattato delle onde che lambivano lo scafo della nave. Continuava a guardare le parole scritte, come se potesse infonderle di vita o preservarle dalla polvere del tempo. Si era persa in quei pensieri quando un lieve bussare alla porta la distolse bruscamente dal silenzio.
La porta si aprì appena prima che potesse rispondere, e una voce esitante spezzò il silenzio nella cabina. «Ma...»
La donna sussultò, i suoi occhi di colpo spalancati in attesa di provare un forte timore. Quindi, si voltò verso l’uscio, dove una giovane figura si profilava con aria incerta e rispettosa. Davanti a lei stava una ragazza alta e minuta, dai lineamenti delicati, con i capelli neri raccolti in una treccia che scivolava leggera su una spalla. La tunica grigia che indossava, dal bordo leggermente sfilacciato e con le maniche rattoppate, parlava di umiltà ma anche di tenacia. Gli occhi marroni della ragazza erano stanchi ma vivaci, pieni di una curiosità che pareva travalicare ogni esitazione.
«Che succede?» domandò la donna, abbassando il rotolo e fissando con attenzione l’altra, cercando di cogliere l’emozione dietro la sua espressione.
La ragazza avanzò un poco, abbassando il capo in un gesto quasi di scuse. «Mi chiedevo… come mai non siete ancora pronta per l’arrivo, signorina. Tutti si stanno preparando, e il porto di Folach è ormai vicino.»
Un sorriso appena accennato increspò le labbra della donna. «Stavo terminando una lettera per le mie sorelle. Vorrei poter essere più presente per loro, ma ogni volta che parto il tempo non è mai dalla mia parte.»
La ragazza abbassò lo sguardo, in un misto di rispetto e timidezza. «Mi scuso per avervi interrotta, signorina.»
«Non c’è bisogno di tutta questa formalità, Lady Talulah» replicò la donna con un tono gentile e comprensivo. «Abbiamo condiviso questo viaggio, e mi sembra giusto poterci chiamare per nome, senza barriere.»
Talulah si arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo per un istante, quasi intimidita. «In verità, signorina… una delle ragioni della mia esitazione è che… mi ero dimenticata del vostro nome.»
La donna sorrise indulgente, un sorriso che le illuminava il volto. Restò in silenzio per qualche istante, guardando il rotolo ancora una volta, prima di risponderle. «Capita, quando i giorni si confondono sul mare. Mi chiamo Vana.»
Un leggero sospiro di sollievo sfuggì dalle labbra di Talulah. «Lady Vana, grazie per la comprensione. La città è vicina, e la giornata promette di essere meravigliosa. Non vedo l’ora di scoprire Folach al vostro fianco.»
Vana si alzò lentamente, lisciando con le mani la sua veste di lino color crema, decorata con ricami azzurri che sembravano quasi fondersi con la luce morbida che penetrava dalla finestra. In un gesto fugace, si concesse un’ultima occhiata al rotolo.
Sapeva che una volta lasciata quella cabina, sarebbe stata difficile ritrovare la serenità per scrivere, ma l’attesa di ciò che l’attendeva in quella città vibrava nel suo cuore come un richiamo irresistibile. Era un misto di speranza e di apprensione.
Fece cenno a Talulah di seguirla, e insieme lasciarono la cabina, addentrandosi nei corridoi della nave, dove i marinai si affrettavano tra nodi e corde, la loro energia pervasa dall’euforia di un nuovo approdo. L’aria portava con sé un profumo intenso di salsedine e di resina, mentre il lento scorrere del Darthais sembrava accarezzare la nave con la sua brezza lieve e carezzevole.
Appena sbarcate, Talulah si fermò, rapita dalla maestosità della città che le si parava dinanzi. Folach si distendeva davanti a loro, con le sue mura antiche e i vicoli tortuosi, quasi protetta da un alone di mistero. Le strade acciottolate erano animate da figure di viaggiatori, mercanti, abitanti e curiosi, ognuno con la propria storia che scorreva sotto la superficie della vita di tutti i giorni.
«Lady Vana,» mormorò Talulah, lo sguardo pieno di meraviglia, «com’è questa città? Siete già stata qui?»
«Qualche volta,» rispose Vana, lasciando che un velo di mistero avvolgesse le sue parole. «È un luogo antico, Folach. Una città che ha storie da raccontare a chi è pronto a raccoglierle. Ma solo se le chiedi con rispetto e pazienza.»
Talulah la guardava, incuriosita, come affascinata dal suono di ogni parola. «E voi? Quali storie cercate qui?»
Un sorriso enigmatico increspò le labbra di Vana, mentre proseguiva con passo tranquillo, conducendo la ragazza lungo i vicoli di quella città misteriosa, dove ogni angolo sembrava nascondere un segreto. «Forse, una storia che non ho ancora ascoltato,» disse, preparandosi ad affrontare quel che l’avrebbe accolta.
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oltrearcobaleno · 2 months ago
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La straordinaria vita di John Forbes Nash, Jr. tra genio matematico e schizofrenia
John Forbes Nash, Jr., nato il 13 giugno 1928 a Bluefield, è stato un matematico statunitense di straordinario talento, noto per i suoi contributi pionieristici nella teoria dei giochi e per il suo percorso di vita segnato dalla lotta con la schizofrenia.Grazie alle sue innovative intuizioni matematiche, Nash ricevette il Premio Nobel per l’economia nel 1994, in riconoscimento del suo lavoro rivoluzionario sui modelli di equilibrio in sistemi non cooperativi. Tuttavia, il suo talento era offuscato da una malattia mentale debilitante, che incise profondamente sulla sua vita personale e professionale.
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L’inizio della genialità: infanzia e formazione
Nash mostrò sin da piccolo un’intelligenza sopra la media e un’indole introversa. A Bluefield, nella sua infanzia e adolescenza, si distingueva per il suo amore per i libri piuttosto che per le attività sociali o i giochi con i coetanei. La sua famiglia, composta dal padre ingegnere e dalla madre colta e determinata, lo incoraggiava ad esplorare il mondo della scienza. Fin dai primi anni di scuola, Nash era affascinato dalla matematica e dai numeri, tanto che, a soli 14 anni, lesse il libro I grandi matematici di Eric Temple Bell, un’opera che suscitò in lui l’interesse per il famoso teorema di Fermat e lo spinse a cercare di dimostrarlo da solo.
La sua ascesa accademica continuò a Princeton, dove, oltre alla teoria dei giochi, approfondì la topologia e l’algebra, sviluppando abilità straordinarie nella risoluzione di problemi complessi. Durante questo periodo, formulò i fondamenti della teoria dei giochi non cooperativi, che divennero successivamente conosciuti come “equilibrio di Nash”. Questo concetto, cruciale nella teoria dei giochi, permette di prevedere strategie di comportamento in situazioni di conflitto e competizione, e trova applicazioni in economia, politica, e altre discipline.
La schizofrenia: l’ombra su un genio
A partire dal 1959, il cammino di Nash cambiò radicalmente con l’insorgenza della schizofrenia, una malattia mentale che lo costrinse a numerosi ricoveri in ospedali psichiatrici. Inizialmente, Nash si era presentato ai colleghi con un giornale sostenendo che contenesse messaggi cifrati indirizzati solo a lui. Questa fu una delle prime manifestazioni della schizofrenia, che divenne ben presto una presenza costante nella sua vita, portandolo a sviluppare paranoie e allucinazioni. Nash vedeva complotti ovunque, e spesso affermava di essere un’entità speciale, come l’imperatore dell’Antartide o persino il piede sinistro di Dio.
Con il progredire della malattia, Nash e la sua famiglia affrontarono un lungo periodo di difficoltà. Tra ricoveri e trattamenti intensivi, come lo shock insulinico e la clorpromazina, il matematico perse il suo incarico accademico e vide la sua vita privata sgretolarsi. Tuttavia, la sua resilienza e l’amore della moglie Alicia furono determinanti per la sua graduale ripresa. Verso gli anni ’70, Nash rifiutò di continuare la terapia farmacologica e imparò a gestire i sintomi della schizofrenia senza farmaci, conducendo una vita in bilico tra momenti di lucidità e ricadute. Con il passare degli anni, riuscì a mantenere un equilibrio, integrandosi nuovamente nell’ambiente accademico.
La rinascita e il Nobel
Dopo decenni di lotta, gli anni ’90 segnarono una rinascita per Nash. Finalmente libero dai sintomi più gravi della schizofrenia, poté tornare a dedicarsi alla matematica e fu accolto con entusiasmo dalla comunità accademica internazionale. Il conferimento del Premio Nobel per l’economia nel 1994 simboleggiò il culmine della sua rinascita e della sua straordinaria carriera. La decisione della Commissione Nobel di premiarlo evidenziava l’importanza delle sue scoperte, che avevano influenzato profondamente l’economia e la teoria dei giochi. Nash ricevette il premio come riconoscimento per i suoi contributi giovanili, ma anche come simbolo della sua vittoria contro la schizofrenia.
La storia di Nash tra letteratura e cinema
La vita di Nash fu resa celebre dal libro di Sylvia Nasar Il genio dei numeri, pubblicato nel 1998, e successivamente dal film A Beautiful Mind, diretto da Ron Howard nel 2001. Il film, che valse diversi Oscar, narra in modo romanzato la lotta di Nash contro la schizofrenia e il suo ritorno alla normalità, grazie anche al supporto della moglie Alicia. Interpretato da Russell Crowe, A Beautiful Mind portò al grande pubblico la straordinaria storia di Nash, sebbene con alcune semplificazioni e modifiche narrative rispetto alla realtà.
Il ritorno alla matematica e il Premio Abel
Oltre al Nobel, nel 2015 Nash fu insignito del prestigioso Premio Abel per i suoi contributi nella teoria delle equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari e le loro applicazioni in analisi geometrica, un riconoscimento che sottolineava ancora una volta la sua immensa portata come matematico. La schizofrenia era ormai un’ombra lontana per Nash, che aveva raggiunto una serenità tale da poter accettare premi e riconoscimenti senza l’interferenza della malattia.
L’epilogo di una vita straordinaria
Il 23 maggio 2015, a ottantasei anni, John Nash morì insieme alla moglie Alicia in un tragico incidente stradale nel New Jersey. I due stavano tornando in taxi dall’aeroporto di Newark, dopo aver ritirato il Premio Abel in Norvegia, quando la loro auto fu coinvolta in un incidente. Così si concluse la straordinaria vita di Nash, un uomo che, nonostante le difficoltà causate dalla schizofrenia, riuscì a contribuire in modo indelebile alla matematica e alla teoria dei giochi, lasciando un’eredità che continua a ispirare studiosi e persone in tutto il mondo.
In sintesi, John Nash rappresenta uno dei più complessi e affascinanti esempi di genio e fragilità, una figura che ha mostrato al mondo come la schizofrenia, pur essendo una malattia debilitante, non debba necessariamente impedire a una persona di contribuire in modo significativo alla società. Grazie ai suoi risultati in ambito matematico e alla sua lotta contro la schizofrenia, Nash continua ad essere ricordato come uno degli esempi più straordinari di resilienza e di potere del pensiero umano.
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