#donne nella poesia
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pier-carlo-universe · 9 days ago
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Anna Sexton: La Poesia del 2025, un tributo ad una grande poetessa. Recensione di Alessandria today
Alessandria today celebra Anna Sexton con una poesia immaginaria e una recensione che ne esplora la profondità e il genio.
Alessandria today celebra Anna Sexton con una poesia immaginaria e una recensione che ne esplora la profondità e il genio. Poesia: Oltre l’Ombra. Il giorno è un pozzo d’ombre,ma io, scalza, vi scendo,cercando nella sua golala mia stessa eco. Il cuore è una bestia selvaggiache urla contro il filo spinato del rimpianto.La notte non è un rifugio,ma un teatro di memorie spezzate. Ho costruito…
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scritturacreativa-85 · 1 month ago
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Il sentiero che conduceva a te
Era un giorno come tanti altri, eppure il vento portava con sé qualcosa di diverso. Mi sembrava di sentire il profumo del cambiamento nell’aria, mescolato all’odore umido del muschio e della terra appena bagnata. Camminavo lungo il sentiero che attraversava la collina dietro casa, un percorso che conoscevo a memoria, eppure quel pomeriggio aveva un sapore diverso. A volte sento che tutto dipende…
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diceriadelluntore · 19 days ago
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Storia Di Musica #354 - Astor Piazzolla, Libertango, 1974
Nello stesso anno in cui in Brasile Jorge Ben iniziava la sua rivoluzione della musica del suo paese, nei territori dei cugini argentini si consumava il più famoso degli assassini musicali (premetto subito in senso simbolico). Fu però un delitto che non portò alla fine, ma alla rinascita e alla rivoluzione di uno mondo magico ma dalle regole ferree, fiero del suo conservatorismo: il tango. Oltre che musica e il più sensuale dei balli, il tango è poesia e cultura. Nessuno sa perchè si chiami tango (dal latino tangere, io tocco) solo che nacque agli inizi del ‘900 nella zona di Rio de la Plata, diffondendosi inizialmente in Uruguay e Argentina. Nella prima metà del secolo, dal punto di vista musicale, il tango si sviluppò come musica da orchestra e canto, con figure leggendarie, come quelle di Carlos Gardel, eroe nazionale argentino (anche se i maligni sostengono che fosse uruguaiano), Roberto Goyeneche o Carlos José Pérez. Il la musica e il canto, malinconico, emotivo, teatrale modellò il genere. Uno che però non amava tanto le fissità musicali fu Astor Pantaleon Piazzolla. Figlio di genitori italiani, Piazzolla visse i primi 16 anni a New York. Studia musica e direzione d’orchestra. Si trasferisce nella seconda metà degli anni 40 in Argentina, dove diviene un virtuoso del bandoneon, lo strumento inventato da Heinrich Band nell’800 e divenuto il principe delle orchestre di tango, che per caso arriva in Argentina al seguito dei marinai tedeschi, che lo tenevano sulle loro navi ad allietare i durissimi e lunghissimi viaggi transoceanici.
Piazzolla era affascinato dall'idea di fondere elementi della musica jazz alle strutture del tango. Fu un parto difficilissimo: ritornò a fine anni '50 a New York prontissimo a diventare musicista di colonne sonore, ma in quel momento la musica era in fermento per la rivoluzione del jazz che Kind Of Blue di Miles Davis e poi il nucleo del free jazz di Ornette Coleman stavano portando. Finì senza un soldo e solo per la generosità di un editore musicale che gli pagò un anticipo su una delle sue canzoni più famose (e che ritroveremo tra poco) ritornò in Argentina. Qui però un infarto lo segna profondamente, tanto che tramite alcuni amici si trasferisce in Italia. Ed è proprio qui, nella culla della sua famiglia, che inizia la rivoluzione: registrò nel 1974 l’album che lo fece conoscere al mondo interno.
Libertango, dall’unione tra libertad (in questo caso espressiva) e tango. Registrato a Milano con una favolosa sezione d’archi diretta da Umberto Benedetti Michelangeli, ma soprattutto con l’innesto di una sezione ritmica di chiara matrice jazz composta dal basso elettrico di Pino Presti e dalla batteria di Tullio de Piscopo, il disco ridisegna il tango, che attraverso le dissonanze del jazz, l’innesto di strumenti elettrici e una nuova idea compositiva diviene Tango Nuevo. I puristi ovviamente gridano allo scandalo, e definiscono Piazzolla el asesino del tango. Persino Borges se ne risentì, e si dice che lo chiamasse Astor Pianola. Fu persino accusato di non essere mai stato argentino, un camorreno, per le sue origine italiane. Ma poco possono le critiche contro la sensualità e dal forza di Libertango, meravigliosa, famosa per l’innumerevole quantità di usi cinematografici e pubblicitari (per esempio, nella pubblicità della Vecchia Romagna, prima del penoso remix di David Guetta). Vi aiuto a capire le differenze: confrontate la sua musica con quella che accompagna una delle scene più famose del cinema degli ultimi 30 anni: quando Al Pacino in Profumo Di Donna balla il tango, si muove sul ritmo di Por Una Cabeza, uno dei classici di Carlos Gardel: il titolo, Per Una Testa in senso letterale, è l'equivalente del nostro Per Un'Incollatura, ed è una brano che gioca sulla metafora della passione del protagonista per le corse dei cavalli comparata per la sua passione per le donne. Piazzolla sciorina partendo da Libertango la sua idea nuova in altri 6 momenti: Meditango, Undertango, Violentango (clamorosa), Novitango e la conclusiva Tristango. A legare il tutto una toccante e magnifica elegia al padre, Adios Nonino, dedicata al padre morto improvvisamente (Nonino era chiamato il Padre, Don Vicente Piazzolla, e in Argentina l’immigrazione italiana ha di fatto sostituito l’abuelo\a spagnolo con nonino\a dall’italiano nonno\a riferito in senso reverenziale alle persone anziane); scritta nel 1959, è la canzone la cui vendita dei diritti gli permise di ritornare in Argentina da New York, viene ripresa e ridisegnata secondo il conjunto electrico del Tango Nuevo, con una forza espressiva ed emozionale senza pari.
Il disco, un successo per la piccola etichetta Carosello che lo sopportò, proietta Piazzolla ai vertici della musica internazionale. Di lì a poco collaborerà con grandi del jazz, dirigerà intere orchestre e spedisce il tango in una dimensione nuova ed internazionale, e che rivitalizzerà il genere, fino alle ultime evoluzioni, tipo i Gothan Project, paladini del tango elettronico. Piazzolla dimostra come è possibile difronte ad un bivio, scegliere una strada pericolosa, rischiosa, ma che può portare a risultati grandiosi. Nel rispetto di se stessi, anche della tradizione, ma che non si ferma davanti alla difficoltà. Che sia di augurio per chiunque legga queste righe.
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occhietti · 1 year ago
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Questa poesia della poetessa libanese Joumana Haddad, la dedico a Giulia e a tutte le altre donne vittime di "bravi ragazzi", vittime di "amori malati", vittime di "raptus di gelosia" e senso del possesso...
SONO UNA DONNA
Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e io avvengo.
Hanno costruito per me una gabbia
affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza di loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà.
La chiave della prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia i
ntorno alle dita del mio desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.
- Joumana Haddad - Sono una donna
Illustrazione Digital Art di Vincenzo Rizzo
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sciatu · 1 year ago
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TAORMINA - PASSEGGIANDO
Nessun poeta può scrivere una poesia su Taormina perché Taormina è già poesia nel suo essere cielo e mare nella luce che la veste nella sua infinita primavera nei mille colori che l’accendono nel suo solare abbraccio perché qui nessun cuore può essere straniero o triste o vestirsi di malinconia o non credere nei sogni mentre parla con il mare dai suoi balconi fioriti da quel gradino del paradiso che è la sua piazza luminosa. Nessuno a Taormina può negare la bellezza o ignorare la felicità o non amare la vita. Perché Taormina è la luce del giorno è i versi di una tragedia nel teatro sospeso sul mare è il fascino dei palazzi medievali arrossati dal sole al tramonto Taormina è il sorriso delle sue bellissime donne è le lingue del mondo che qui trovano casa. Taormina è i suoi vicoli il verde ed i fiori che la vestono è il profumo dei suoi ristoranti l’ironia, la gioia delle scalinate il suo essere nobile e casta sensuale e provocante, sorella e amante ricca e generosa silenzio e musica. Taormina è abbracciare il nord è il lungo sereno viale che vive da levante a ponente è il suo volto rivolto a sud è il centro di tre mari lo specchio di sette cieli il tempo che si ferma la vita che scivola felice su i suoi antichi palazzi. Taormina è il crocevia di ogni poesia d’amore è le stelle d’agosto con cui le sue luci si confondono felici è il sospiro di amanti e poeti è la luna che la veste d’argento le nubi che la sfiorano la serenità che la culla il vento che l’accarezza. Taormina è il bello racchiuso nella sua profumata, antica multicolore, immensa, elegante anima mediterranea
TAORMINA - WALKING: No poet can write a poem about Taormina, because Taormina is already poetry, in its being sky and sea, in the light that dresses it, in its infinite spring, in the thousand colors that light it up in its sunny embrace because here no heart can be foreign or sad, or dress in melancholy, or not believe in dreams, while it speaks with the sea, from its flowered balconies, from that step of paradise, which is its luminous square. No one in Taormina can deny beauty, or ignore happiness, or not love life. Because Taormina is the light of day, it is the verses of a tragedy, in the theater suspended over the sea, it is the charm of the medieval buildings, reddened by the setting sun, Taormina is the smile of its beautiful women it is the languages of the world, which find a home here. Taormina is its alleys, the greenery and flowers that dress it, it is the scent of its restaurants, the irony, the joy of the stairways, its being noble and chaste, sensual and provocative, sister and lover, rich and generous silence and music. Taormina is embracing the north, it is the long serene avenue, which runs from east to west, it is its face facing south, it is the center of three seas the mirror of seven heavens, time that stops, life that slides happily, on its ancient buildings. Taormina is the crossroads of every love poem and the stars of August with which its lights happily merge is the sigh of lovers and poets it is the moon that dresses her in silver, the clouds that touch her, the serenity that cradles her, the wind that caresses her. Taormina is the beauty contained in its fragrant, ancient, multicoloured, immense, elegant Mediterranean soul
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t-annhauser · 7 months ago
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Quanti affitti ho pagato nella mia vita, le mie pigioni, alzarsi presto, dormire tardi per guadagnare un po’ di tempo allo studio, alle fioche luci delle candele di sebo, alla sera leoni, la mattina… sveglia alle 7:00, richiamo alle 7:30, ancora cinque minuti, tutto calcolato, come Fantozzi: tè, fetta di torta fatta in casa, me la preparavo la domenica, poi evacuazione mattutina. Avevo abituato il corpo ad obbedirmi, ricordo delle colonie estive quando si cacava come uccellini fra due burrasche, estote parati. D'inverno il saluto al sole che avremmo rivisto la mattina seguente, come al polo nord, sei mesi di buio, tornare a casa alle 18:30, senza luce, a whiter shade of pale, dei Dik Dik. E poi le mie colleghe, solo raggio di sole nelle tenebre, poi d'estate, quando si mettevano i sandali… ero ingrassato di 15 chili, sembravo l'omino Michelin ma conservavo un mio fascino, beato fra le donne, come il Tannhauser di Wagner. Tutto perduto.
«Gustin», gli feci, «tu mica sei sempre stato così rincoglionito come oggi, abbrutito dalle circostanze, il mestiere, il bere, le sottomissioni più funeste… Te la senti, per un momentino, di tornare alla poesia?… di fare un salterello di cuore e di minchia alla lettura d’un’epopea, tragica certo, ma nobile… sfavillante!… Te ne credi capace?…»
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libriaco · 1 year ago
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Ancora sugli imbecilli
Abbiamo bisogno di voialtri. Voi siete le vittime del nostro piacere e il sottosuolo della nostra grandezza. Siete affondati perché possiamo emergere; vi abbassate perché possiamo salire. Permettetemi di pregare per l'anima vostra, imbecilli convinti e innumerabili. Quando vi contemplo seduti alla tavola di un ben illuminato caffè — le vostre facce hanno bisogno di molto luce — quando vi guardo per le strade e per i teatri, nelle botteghe e nei tranvai, una grande e invincibile tenerezza mi assale e duro fatica a reprimere la tentazione di buttarvi le braccia al collo e di baciarvi le mani. In quei momenti la mia pietà è realmente infinita e debbo nasconderla sotto la più brutale durezza per non umiliarvi più del bisogno. Quando penso a quel che vi manca e vi mancherò per tutto la vita; quante emozioni non sentite; quanti aspetti delle cose non scorgete; quante verità non alienate; quanto bellezza vi sfugge e quanto coraggio vi fa difetto, io, che non ho le lacrime facili, avrei sul serio voglio di piangere. Io so che passate attraverso il mondo senza intuirlo nella sua diversità e solidità; senza fermarvi a contemplare quelle minime cose che son le più grandi nell'emisfero della poesia; senza penetrare né l’anima delle vostre donne né quelle de' vostri compagni e neppure la vostra, la vostra infinitamente piccola anima. Io so che il genio può passarvi accanto, vivo, in carne ed ossa, in parole e in ispirito, e che voi non lo vedete, non siete capaci di vederlo, di avvicinarvi, di parlargli, di andare con lui, di lasciar padre e madre e ogni trascurabile bene per seguirlo all'interno dei suoi proibiti piaceri. Io so che quattro, cinque, dieci idee vi bastano per tutta la vita, vi servono per tutti gli usi quotidiani, per il giorno e per la notte, per l'amante e per il parrucchiere, per parlare e per scrivere, per alzarvi la mattina e per andare a letto la sera e che nel vostro cervello, senza finestre dalla parte del cielo, non hanno diritto d’ingresso che le verità diventate luoghi comuni e l'idee che a forza d'uso son fatte imbecillità. Io so, e lo so con matematica certezza, che pensate coll’altrui pensiero, che vedete cogli occhi degli altri, che giudicate col giudizio degli estranei e che le vostre ammirazioni e i vostri entusiasmi vanno soltanto a quelle cose che qualcuno di voi timbrò ripetutamente col sudicio bollo della fama più infame. Io so tutto questo — ed altro ancora che non dico per dignità — e non dovrei commiserarvi sinceramente dal profondo del cuore? Non crediate ch'io sia cattivo o che mi eserciti nel sarcasmo. Vi amo perché siete il contrappeso necessario dei pochi e la mia pietà è senza nessun sottinteso. E vi amo, vigliaccamente, anche perché ho paura della vostra vicinanza. […] Permettetemi dunque di pregare anche per voi, imbecilli preziosi e desiderabili, almeno una volta. Io non so quali sono le parole che posson farvi piacere e le grazie che ricercate ma lodo e celebro il Signore perché vi dia quel che domandate e perché tutti i vostri desideri siano speditamente esauditi.
G. Papini, Gli imbecilli [1913-1951], Viterbo, Millelire, 2007
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mucillo · 2 months ago
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(Le donne)
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È questa l’ora che amo: l’ora intermedia
né di qui né di là della sera.
L’aria in giardino ha il colore del tè.
E’ questo il momento in cui lavoro meglio,
salgo le scale in due stati d’animo,
in due mondi, portando stoffa o vetro,
lasciando giù qualcosa,
prendendo con me qualcosa che avrei dovuto lasciare giù.
L’ora del cambiamento, della metamorfosi,
delle instabilità che mutano forma.
Il mio momento del sesto senso e della seconda vista
quando nelle parole che scelgo, nei versi che scrivo,
loro mi appaiono davanti come visioni:
donne di lavoro, di piacere, della notte,
vestite di seta del color della stufa, di pizzo, di nulla,
con aghi da ricamo, con libri, con gambe spalancate
.................
Eavan Boland, poetessa irlandese(Dublino 24 9 1944)
da “The Journey”” in Tempo e violenza.
Poesia  estratta da una raccolta che affronta temi femminili quali il ruolo della donna nella cultura, nella società, nel mito, nella storia ma anche temi domestici come il matrimonio, la famiglia, le tensioni quotidiane legate all’identità, alla violenza, al dolore, il tutto però, senza forzature, senza la rabbia storica di certo femminismo.
La pacatezza della narrazione  sembra il modo per elaborare alienazioni e violazioni, in un  racconto della verità umana e poetica delle donne. 
“…ora potevo raccontare la mia storia/ Era diversa dalla storia che si raccontava su di me.
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fiorescente · 1 year ago
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Cose che ho imparato durante la triennale non correlate al corso di studi:
Disegnare la linea dell'eyeliner più sottile, fare i puntini intorno agli occhi e mettene il giusto nella parte interna dell'occhio
Cucinare il tofu in mille modi + uno
Rilegare quadernetti
Lavorare all'uncinetto
Cucinare le girelle alla cannella vegane
(Forse) ricamare
Come trattare meglio i miei capelli
Fare yoga (un po')
Fare la ganache al cioccolato
Cosa vuol dire "dissonante" (ci devo ancora lavorare)
L'importanza del sostenere tutte le grandi donne che sono le mie amiche
Non si è mai piccoli abbastanza da voler stare coi propri genitori né mai grandi abbastanza da potere e prendere cura
Le persone ricche hanno sempre qualcosa da nascondere
Le poesie di majakowski
Le poesie di ritsos
Le poesie di hikmet
Qualche poesia di éluard
"la destra opprime la sinistra libera" per stringere le viti e non solo
Va bene se ti piace la musica brutta se per te significa qualcosa
Fare le collane con le perline a forma di fiori
Il jazz è molto bello
Vedere the office è sempre più bello ad ogni rewatch
Va bene volersi bene anche se non ci si scrive e anche se non ci si piace tanto
I pupazzetti di sylvanian families vivono nel mondo dei sogni di tutt*
Fare tutto ma proprio tutto da sola: intestare le bollette, fare le pulizie, il bucato, buttare la spazzatura, fare mille traslochi, chiamare l'idraulico
I film dello studio ghibli sono molto belli
La biblioteca è sempre una dimensione a sé
Il miglio è molto buono
Il blu è un colore sempre più bello
Esistono una serie di cose molto belle da poter fare gratis
Anche se non mi sentono forse a loro posso piacere
Usare i social a modo mio, aprirmi un po'
I cristalli vanno attivati
Gli incensi non costano tanto e sono molto buoni
(continua forse)
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canesenzafissadimora · 1 year ago
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Strega. Posseduta. Pazza. Secoli di donne bruciate, esorcizzate, curate, solo perché si rifiutavano di recitare la parte della donna giusta, oppure non ne erano capaci.
Non ne ero capace nemmeno io e per questo, anche se non era più tempo di roghi, mi sentivo uguale a quelle donne torturate, mi pareva quasi di provare sulla mia carne le fiamme e gli anatemi. Non sapevo come fare a essere la donna giusta, non mi piacevano le pentole, i cosmetici e le sete, pensavo di essere strana, pazza, diversa, e si può dire che lo fossi davvero. Perché ero diversa dal personaggio dipinto nel quadro che avrebbe dovuto essere la mia vita: un quadro pieno di bianco. Il bianco delle staccionate, il bianco dei piatti e delle lenzuola, di un filo di perle e di un sorriso perfetto da perfetta moglie e madre. Ci ho provato, a vivere in quel quadro. Ero giovane, non avevo ancora capito chi ero in realtà, ma conoscevo la parte che avrei dovuto recitare, e mi impegnavo a muovermi e a dire le battute nel modo corretto. Ma nella mia testa continuavano a esserci altri colori, altri desideri. C'erano pensieri che credevo, e io credevo che tutti quelli intorno a me, andassero curati, ma invece non dovevo guarirli, ma solo esprimerli, e alla fine ho trovato un modo, il mio modo (la poesia) per strappare la tela e uscire dal quadro, il mio modo per dire e capire chi sono: sono una strega, sono una pazza, sono una donna, sono una persona.
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Anne Sexton
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curiositasmundi · 5 months ago
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Sociologia di Alain Delon
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Ci lasciava, l’altro ieri, Alain Delon. A ottantotto anni il divo francese si è congedato da una vita che, come lui stesso diceva, da tempo gli era diventata estranea e pesante.
Immediatamente i social si sono messi in moto. Celebrazioni, ricordi, considerazioni politiche, estetiche, cinematografiche.
Era fascista, leggo su molti post. E quindi? Mi domando. Fascisti, anzi nazisti, erano Céline, Ezra Pound, Leni Riefenstahl, Von Karajan, Heidegger.
E decisamente reazionari e conservatori furono e sono Errol Flynn, Charlton Heston, il grandissimo Clint Eastwood.
Walter Chiari, Giorgio Albertazzi, Carlo Dapporto, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni e persino Cesare Pavese �� che scrisse due lettere di stima e sottomissione al Duce – furono iscritti alla Repubblica Sociale.
La Sofia nazionale è zia niente di meno che della Mussolini. E non è certo una sinistrorsa. Neanche un esempio di virtù cardinali o artistiche per la verità. Potrei andare avanti ma non credo sia necessario.
Era omofobo e maschilista Delon, scrivono ancora in molti. Beh, trovatemi un uomo degli anni Trenta del secolo scorso che non lo fosse. Persino Che Guevara lo era. Era la cultura del tempo.
Picchiava le donne ed era un pessimo padre. Certo, aspetti deplorevoli e finanche vergognosi. Ma qua se andiamo di morale dovremmo impiccarci tutti.
A cominciare dai cattolici. Per proseguire con comunisti e anarchici. «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» diceva un tale che di queste cose se ne intendeva.
Ma soprattutto, se vogliamo utilizzare la matita rossa e blu del politically correct non solo non campiamo più. Ma l’arte tutta dovremmo metterla in un cesso.
Come purtroppo in questo arbitrario delirio antidialettico contemporaneo sta spesso accadendo.
A maggior ragione se l‘arte la giudichiamo in relazione alla vita suoi creatori. Da Rimbaud a Mozart. Da Picasso a Modigliani. Da Brando a Bette Davis. Da Bukowski a Carmelo Bene.
Fino a quello sregolato soggetto geniale che fu l’artista pallonaro Maradona. Gente per lo più pessima nella vita privata.
Una cosa che non perdono però a Delon è l’aver sparato sui vietnamiti in quanto legionario nella guerra di Indocina.
Ciò detto, stiamo ai fatti. E soprattutto stiamo al Cinema.
Era bellissimo Alain. Non discuto. Anche se a me non diceva molto. Troppo carino. Troppo effeminato.
Come bellezza maschile preferivo Marlon Brando. Che quanto a carisma, fascino e soprattutto bravura attoriale se lo fumava arravogliato dentro ad uno spinello.
Anche come “maledetto” Delon era poca cosa. Vuoi mettere l’angelo luciferino Helmut Berger che girava col pippotto per la cocaina appeso al collo?
Ma Delon piaceva indiscutibilmente ad uomini e donne. A mia madre no. Diceva che era ” ‘na meza femmena”.
A lei, oggi novantenne, piacevano e piacciono uomini più alti e maschi. A me però m’ha fatto curto. Curto ma bello. E maschio. E sì, oramai me lo dico da solo. Che tristezza!
Insomma, a mammà piaceva Rock Hudson. Che quanto a virilità era piuttosto discutibile. E immaginate dunque come ci rimase quando seppe che era gay. Una tragedia.
Ad ogni modo Delon lavorava soprattutto perché di evidente apolinnea bellezza. E perché di lui si innamoravano tanti registi. Oltre ovviamente a tantissime donne e partner sul set.
E allora diciamola tutta. È morto un sogno. E i sogni, si sa, svaniscono all’alba. Lasciando impercettibili, confuse sensazioni.
È morta una leggenda. Ma una leggenda da rotocalco. Un’icona, dicono molti. Piuttosto un’immagine incendiata sulla celluloide, dico io. Come le statue filiformi di Giacometti.
Una storia da gossip in un cinema mitico. Una visione sgranata dal tempo. La visione contemplata dentro uno specchio infranto, che il narciso Alain non seppe ricomporre.
È morto un riflesso d’estate. Una forma plagiata da Apollo. Non certo l’incubo suscitato dal conturbante Dioniso della rinascita. Lo strazio della poesia che lacera l’anima e l’intelligenza, fino a desiderare la morte.
Le sue interpretazioni “memorabili” sono il frutto del lavoro di grandissimi registi. Visconti, Antonioni, Melville, Duvivier, Malle. Non certo della sua raffinata arte recitativa.
Con Delon se ne va, insomma, la bambola Barbie versione maschile del cinema d’oltralpe.
Gli attori, gli artisti, la bellezza crudele che sanguina sono un’ altra faccenda.
Vincenzo Morvillo - via: Contropiano
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colonna-durruti · 1 year ago
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"La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico.
Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
E’ dedita al dissenso: fame e dissenso, sete e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e dissenso, morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei: non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere."
(Mahmoud Darwish – poesia scritta nel 1973)
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occhietti · 4 months ago
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Quando ti diranno che sei pazza ricorda che il quindici o il sedici novembre, è nata Giovanna de Castilla, una regina che non è mai stata pazza. Mai.
Giovanna è stata sposata per sedici anni con un ragazzo che chiamavano il bello, anche se non lo era. (Secondo i ritratti, era piuttosto brutto) Il tipo ha approfittato fin dal primo giorno di tutte le signore della corte. Giovanna si arrabbiava logicamente, perché esigeva un rispetto che a lei non veniva concesso. Né come donna, né come regina, né come moglie. E per questo la chiamavano pazza.
Quando suo marito è morto, Giovanna ha rivendicato il trono di regina di Castiglia che a lei era destinato.
Re Ferdinando, suo stesso padre, non voleva che Giovanna regnasse. Così decise che era pazza. E l'ha rinchiusa. Giovanna, inoltre, era ancora giovane e molto bella. Il re temeva che si sarebbe risposata e avrebbe potuto contare su un uomo che la sostenesse nella lotta per il trono. Meglio rinchiusa.
Quando suo figlio Carlos andò a visitarla, dicono che lei "le ha ceduto graziosamente" il potere. Bugia. Carlos l'ha costretta a firmare e l'ha lasciata lì: rinchiusa. Giovanna era una donna colta, che parlava latino e scriveva poesia. Ma la storia l'ha chiamata Giovanna la pazza e non Giovanna la Prigioniera.
Giovanna de Castilla è una delle tante donne alle quali la storia ha negato la sua vera voce.
La prossima volta che ti chiamano pazza pensa che pazza è la prima cosa che viene detta a una donna quando la si vuole mettere a tacere.
Dobbiamo essere belle, libere…
e pazze.
- Autore sconosciuto
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sciatu · 2 years ago
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Nell’inizio del 1200 la Sicilia è un regno ricco e parte di un impero che andava da Tunisi fino alla Danimarca Palermo era una capitale potente in cui Federico II aveva instaurato una corte forte nelle armi ed evoluta nella cultura, una cultura che non era formata solo dalla quella araba arrivata con i conquistatori nord africani sconfitti dal conte Ruggero ed ora erano sudditi di Federico, e neanche quella provenzale o francese discesa con i Normanni e con le popolazioni lombarde e piemontesi che li avevano seguiti. Era una cultura somma di queste due culture apparentemente opposte ed arricchite da quella bizantina ed ebrea. La stessa lingua, che di quella cultura era la forza, era una lingua unione ed evoluzione di tutti i popoli dell’isola a cui i guerrieri normanni avevano concesso di vivere e di pregare secondo la loro origine. L’amministrazione del regno infatti teneva conto di tutte le diversità che lo costituivano. Così ad esempio, vi erano notai Arabi, notai Ebrei e notai Latini che certificavano e regolavano la vita amministrativa dei privati e dello stato. Tra questi, vi era anche il notaio Jacopo da Lentini, il cui nome appare non solo nel registro notarile dell’epoca, ma anche in importanti atti amministrativi del regno. Essendo parte della forza amministrativa del regno, notar Jacopo era coinvolto anche nella gestione militare ricoprendo l’incarico di comandante della fortezza di Mazzarino. Per questo motivo i suoi contatti con la corte erano assidui e continui. Federico, contrariamente a molti nobili europei, aveva avuto una educazione multiculturale, con insegnanti arabi e latini. Per questo parlava diverse lingue, scriveva libri sull’uccellagione, poesie e ballate che a quel tempo avevano una grande importanza. Le poesie potevano essere imparate facilmente da qualsiasi suddito che non avesse istruzione ed erano uno strumento per veicolare sia le grandi gesta dei cavalieri, che l’amore o la protesta del popolo, la sua rabbia o le sue istanze politiche. Le ballate guidavano le danze dando ritmo ed eleganza ai movimenti di uomini e donne accompagnati dai pochi strumenti musicali di allora. I menestrelli ed i giullari componevano poemi e ballate d’amore secondo la cultura d’origine e l’esperienza dei singoli, spesso in modo ripetitivo e volgare o erudito ed ironico a seconda dei gusti di chi li ospitava. Molti di questi componimenti si concentravano sulla donna, che per i menestrelli e poeti arabi era una conquista, una preda da mostrare o un premio per le battaglie fatte per conquistarla. Per i menestrelli provenzali la donna era una madonna, una nobile dama degna del cavalier che la serviva. Per i poeti siciliani e per Jacopo da Lentini in particolare, la donna è la perfezione che l’uomo non ha; la donna è chi può dare nello stesso tempo la vita e la morte, è la compagna senza di cui il Paradiso stesso non può essere tale. Versi assoluti non per l’amore fine a se stesso, ma per la donna che si ama, versi per un sentimento dominante giustificati dal fatto che per Jacopo la donna è quanto manca all’uomo per aver pace, armonia e la pura bellezza. Jacopo anticipa la Beatrice di quel Dante che considerava i poeti siciliani dei maestri nell’arte del poetare e dell’amare (tutto ciò che gli italiani fanno in poesia, si può dire siciliano). Jacopo è anche il lato oscuro dell’amore, nell’impossibilità di essere amato per quanto si ama, nel dolore che nasce dalla difficoltà di poter rivelare e mostrare quanto di immenso si prova. Il sentimento è una tempesta che nessuno vede, è una forza invisibile impalpabile che attrae come quella di una calamita e a cui nessuno può sottrarsi, è un destino che non arriva mai a compimento. Per poter meglio dire quello che prova Jacopo crea una nuova forma di poesia, rivoluzionaria per quel tempo: il sonetto. Il sonetto forse non è altro che una ballata minore che si apre e che racconta con due quartine di versi e giudica e riassume con due terzine di versi finali. Le rime, vicine ed immediate battono un tempo che la metrica incalza facendo diventare il tutto efficiente ed elegante. Dante, Petrarca avrebbero usato il sonetto con tocchi e forme celestiali, Shakespeare avrebbe fatto raggiungere al sonetto vette ineguagliabili, Trilussa lo avrebbe trasformato in uno ironico schiaffo alla sua società di allora a dimostrare la straordinarietà di un mezzo che ha affascinato e aiutato migliaia di poeti a creare il loro cammino poetico. Noi conosciamo le opere di Jacopo grazie alla traduzione che ne fecero i poeti toscani nell’ italiano della loro epoca. I versi di Jacopo erano però scritti nel siciliano della corte di Federico, un siciliano evoluto che nella traduzione in italiano perde forza e freschezza. Ad esempio, nel tradure i poemi siciliani, i poeti toscani hanno dovuto inventare la famosa “rima siciliana” una rima che in italiano non lo è ma che lo sarebbe stata se fosse stata scritta in siciliano. Malgrado questa limitazione, le poesie di Jacopo ci raccontano l’eleganza di un tempo e la modernità di un sentimento dove l’amore non è un ideale ma una persona, dove i propri sentimenti sono l’eco della vita e, nello stesso tempo, una forza che ci innalza e ci abbatte, ci salva, ci distrugge, ci domina e che non riusciamo mai a saziare per come vorremmo o dovremmo. Questo era Jacopo da Lentini, notaio, burocrate, castellano e poeta, ai tempi del grande Federico Stupor Mundi.
In the early 1200s Sicily was a rich kingdom and part of an empire that ranged from Tunis to Denmark. Palermo was a powerful capital in which Frederick II had established a court strong in arms and evolved in culture, a culture that was not formed only by the Arab culture which arrived with the North African conquerors defeated by Count Roger and were now subjects of Frederick, nor the Provençal or French descent with the Normans and with the Lombard and Piedmontese populations who had followed them. It was a sum culture of these two apparently opposite cultures and enriched by the Byzantine and Jewish one. The language itself, which was the strength of that culture, was a language of union and evolution of all the peoples of the island to whom the Norman warriors had allowed to live and pray according to their origins. In fact, the administration of the kingdom took into account all the differences that made it up. Thus, for example, there were Arab notaries, Jewish notaries and Latin notaries who certified and regulated the administrative life of individuals and the state. Among these, there was also the notary Jacopo da Lentini, whose name appears not only in the notarial register of the time, but also in important administrative deeds of the kingdom. Being part of the administrative force of the kingdom, notar Jacopo was also involved in military management, holding the position of commander of the fortress of Mazarin. For this reason his contacts with the court were assiduous and continuous. Federico, contrary to many European nobles, had had a multicultural education, with Arab and Latin teachers. For this he spoke several languages, wrote books on fowling, poems and ballads that were of great importance at that time. Poems could be easily learned by any subject who had no education and were a tool to convey both the great deeds of the knights, and the love or protest of the people, their anger or their political demands. The ballads led the dances giving rhythm and elegance to the movements of men and women accompanied by the few musical instruments of the time. The minstrels and jesters composed love poems and ballads according to the culture of origin and the experience of the individuals, often in a repetitive and vulgar or erudite and ironic way according to the tastes of their hosts. Many of these poems focused on the woman, who for Arab minstrels and poets was a conquest, a prey to be displayed or a prize for the battles waged to conquer her. For Provençal minstrels, the woman was a madonna, a noble lady worthy of the cavalier who served her. For Sicilian poets and for Jacopo da Lentini in particular, woman is the perfection that man does not have; the woman is who can give life and death at the same time, she is the companion without whom Paradise itself cannot be such. Absolute verses not for love as an end in itself, but for the woman who loves herself, verses for a dominant feeling justified by the fact that for Jacopo the woman is what she is missing from the man to have peace, harmony and pure beauty. Jacopo anticipates the Beatrice of that Dante who considered Sicilian poets masters in the art of poetry and love (everything that Italians do in poetry can be said to be Sicilian). Jacopo is also the dark side of love, in the impossibility of being loved as much as he loves himself, in the pain that arises from the difficulty of being able to reveal and show how immense one feels. Feeling is a storm that no one sees, it's an impalpable invisible force that attracts like a magnet and that no one can escape, it's a destiny that never comes to fruition. In order to better express what he feels, Jacopo creates a new form of poetry, revolutionary for that time: the sonnet. The sonnet is perhaps nothing more than a minor ballad that opens and tells with two quatrains of lines and judges and summarizes with two tercets of final lines. The rhymes, close and immediate, beat a tempo that the metric presses, making everything efficient and elegant. Dante, Petrarca would have used the sonnet with celestial touches and forms, Shakespeare would have made the sonnet reach unparalleled heights, Trilussa would have transformed it into an ironic slap on his society at the time to demonstrate the extraordinary nature of a medium that has fascinated and helped thousands of poets to create their own poetic path. We know Jacopo's works thanks to the translation that the Tuscan poets made of them into the Italian of their time. However, Jacopo's verses were written in the Sicilian of Federico's court, an evolved Sicilian that loses strength and freshness in the Italian translation. For example, in translating Sicilian poems, the Tuscan poets had to invent the famous "Sicilian rhyme", a rhyme that is not a rhyme in Italian but would have been if it had been written in Sicilian. Despite this limitation, Jacopo's poems tell us about the elegance of the past and the modernity of a feeling where love is not an ideal but a person, where one's feelings are the echo of life and, at the same time, a force that lifts us up and knocks us down, saves us, destroys us, dominates us and that we can never satiate as we would like or should. This was Jacopo da Lentini, notary, bureaucrat, castellan and poet, at the time of the great Federico Stupor Mundi.
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klimt7 · 1 year ago
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Femminismo e poesia in Croazia: “Non leggi le donne” di Olja Savičević Ivančević
Il corso di lingua croata all’università di Udine avvicina gli studenti di mediazione culturale al mondo della traduzione, grazie alla guida della docente e traduttrice Elisa Copetti. Durante una lezione, poche settimane fa, è stata proposta questa poesia. Leonora Raijć ed io, che frequentiamo il corso, ci siamo occupate della traduzione di “Ne čitaš žene”, da cui siamo rimaste profondamente colpite per la sua immediatezza e per la sua forza nel mettere a nudo dei passaggi cruciali nella relazione uomo/donna. L’autrice ha inoltre accettato di rispondere ad alcune nostre domande in una intervista, che riportiamo integralmente.
“Normalmente non leggo le donne, ma mi piace il tuo libro��
È da qui, da questa affermazione, che è nata la poesia “Ne čitaš žene” (Non leggi le donne), come risposta. Ed è presto diventata un manifesto femminista nel mondo letterario croato.
La poesia di Olja Savičević Ivančević, nota autrice croata contemporanea, scatta un’istantanea, con rabbia e rassegnazione allo stesso tempo, della situazione delle donne nel panorama letterario croato, e non solo. Versi che esprimono, in uno spazio e un tempo dilatati, tutto quanto le donne hanno subito nel mondo della letteratura, da sempre appannaggio prevalentemente maschile. “Non leggi le donne” parla agli uomini, ma possiamo sentirci coinvolti tutti e tutte dalle parole dell’autrice.
Quante volte, come lettori o lettrici, ci siamo fermati a riflettere davvero sul numero di autrici donne presenti sugli scaffali del nostro salotto, nelle antologie scolastiche o nei programmi accademici, in vetrina nelle librerie o semplicemente nella nostra memoria? In un’intervista a Nova.rs, l’autrice spiega come la scrittura femminile rimanga ancora sinonimo di qualcosa di quasi banale, meno serio e impegnato rispetto alla produzione letteraria maschile. Mostra inoltre come sia necessario mettere in discussione il canone che ha condannato all’invisibilità molte donne colte e di talento, anche ai giorni nostri.
Dati e contraddizioni sulla situazione in Italia
Ma qual è la situazione femminile nel mondo letterario italiano? Emerge un quadro molto simile a quello che Savičević Ivančević mette in evidenza per la Croazia. Nel nostro paese, i programmi scolastici e accademici menzionano pochissime scrittrici: solo il 5% dei titoli proposti nei corsi universitari è scritto da donne. Un canone molto presente e rigido è quello per cui le opere considerate universali siano state scritte tutte da uomini. E questo è in controtendenza rispetto a chi legge e consuma la produzione letteraria. È infatti un dato noto che le donne leggano mediamente più degli uomini: come si coniuga questo con le statistiche? Quanto chiedono, le donne, di leggere altre donne?
Un punto cruciale che può favorire una nuova modalità di percezione delle donne nel mondo letterario è sicuramente l’educazione, ovvero ciò che avviene nell’ambito delle relazioni familiari e scolastiche, e come queste tendono o meno a trasmettere messaggi di equivalenza. Ed è attraverso la capacità di filtrare le comunicazioni dall’esterno in cui siamo tutti immersi, tutto il tempo (social media, internet e società stessa) che si delinea una nuova possibilità per smascherare ed indebolire la disuguaglianza. Rispetto ad alcuni decenni fa la narrazione di genere è profondamente cambiata, tuttavia il discorso patriarcale non è scomparso, né dissolto, e molto spesso si ripresenta in modi difficilmente identificabili.
La raccolta di poesie “Divlje i tvoje”
Ci si immerge completamente in questa visione durante la lettura della settima raccolta di Olja Savičević Ivančević, “Divlje i tvoje” (Selvagge e tue) pubblicata da Fraktura nel 2020, una lettura seducente sia per gli appassionati di poesia sia per i lettori che si avvicinano più raramente alla produzione in versi. Una posizione scomoda quella dell’autrice, come è da sempre quella di chi scrive, che presuppone uno sguardo vigile e un’attenta critica della realtà: preserva con forza emozioni come l’amore e l’amicizia, affronta le relazioni di genere, nel tentativo di decostruire gli ordini sociali canonizzati. Lo fa con una particolare cura al legame tra il passato e il presente, tra l’io e l’altro, accogliendo e considerando che si tratta di polarità solo immaginate dalla mente: noi e gli altri, gli altri e noi si confondono e, ad un livello di esperienza profonda e interiore, si rivelano essere uno.
Il tutto pervaso da una intrinseca prospettiva femminile e femminista: la necessità dell’uguaglianza di genere nel presente, ma anche la correzione delle ingiustizie del passato e la consapevolezza di quanto l’educazione giochi un ruolo determinante nella graduale dissoluzione degli schemi patriarcali che ancora pervadono il nostro mondo.
Non leggi le donne
Dici che non leggi le donne
Cosa potrebbero dirti 
Ti hanno insegnato a parlare
Ti hanno insegnato a camminare
Ti hanno insegnato a mangiare
Ti hanno insegnato a pisciare
Ti hanno insegnato a fare l’amore
In realtà cosa potrebbero 
Dire di te
E della tua esperienza
Tutti questi secoli
non ne hanno messa al mondo
Una che fosse grande
Come il grande scrittore
A cui lavava le calze 
Dici che non leggi le donne
Le donne ti hanno insegnato a leggere
Insegnato a scrivere
Insegnato a vivere
In realtà, ragazzo
Tutto questo è stato
Nel migliore dei casi
Un lavoro inutile
[ Olja Savičević Ivančević ]
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parmenida · 7 months ago
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Da schiava dell'harem a favorita del sultano, a una delle donne più potenti e influenti nella storia ottomana: così si riassume l'ascesa di 𝗥𝗼𝘅𝗲𝗹𝗮𝗻𝗮, figura straordinaria e controversa, che suggestionò molto l'immaginario europeo.
Hürrem Sultan, nota come Roxelana ("la Rossa"), si chiamava in origine Alexsandra Lisowska ed era nata tra il 1506 e il 1510 nell'attuale Ucraina. Fu fatta prigioniera e venne portata al mercato degli schiavi di Istanbul. Qui venne acquistata dal gran visir Ibrahim Pascià, che era molto amico del sultano Solimano il Magnifico, al quale la regalò. Secondo altre versioni, la donò prima invece al padre di Solimano, Selim, che, non essendo più in età per goderne, la cedette al figlio.
Solimano aveva quattro concubine ufficiali, le "ikbal", ovvero le madri degli eredi al trono. Pur confusa tra altre circa 300 schiave, Roxelana riuscì ad attirare l'attenzione del sultano, che la ribattezzò Hürrem, "la gioiosa", divenendo oggetto di gelosia da parte delle rivali.
Il suo fascino le derivava, oltre che dalla chioma biondo-rossa e dallo sguardo, anche dalla prontezza di spirito e dalla sua abilità di narratrice.
A poco a poco, Solimano le concesse sempre più spesso di accompagnarlo nelle sue apparizioni pubbliche, finché la donna fu in grado di ottenere ciò che nessuna concubina prima di lei aveva avuto. Finché, con grande sorpresa e disappunto della corte, nel 1534 il sultano la sposò.
L'intesa fra i due doveva essere fortissima. Poiché Solimano trascorreva la maggior parte del suo tempo nelle campagne militari, e aveva bisogno di una persona di fiducia in grado di fornirgli le informazioni sulla situazione a palazzo, scelse Roxelana come corrispondente. Hürrem acquisì potere, influenzando la politica dell'impero.
La Roxelana a cui il sultano dedicò intense poesie d'amore, doveva essere, a quanto pare, anche una donna fredda e determinata: mal tollerando l'influenza crescente del potentissimo Ibrahim Pascià sul sovrano, nel 1536 riuscì a farlo uccidere. Poi - si racconta - indusse il sovrano a far assassinare il suo primogenito, Mustafa, favorendo così la successione dei propri figli Bayezid e Selim. Che però, dopo la morte della madre, si scagliarono l'uno contro l'altro.
Roxelana morì il 18 aprile 1558. Nel decorso della malattia, allo scopo di non disturbare la quiete della sposa, il sultano ordinò di bruciare tutti gli strumenti musicali del palazzo. Inoltre, non si allontanò mai dal letto dell'amata, fino al suo ultimo giorno.
✍ A lei aveva dedicato questi versi:
𝘛𝘳𝘰𝘯𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘮𝘪𝘰 𝘳𝘪𝘧𝘶𝘨𝘪𝘰 𝘴𝘰𝘭𝘪𝘵𝘢𝘳𝘪𝘰, 𝘮𝘪𝘢 𝘳𝘪𝘤𝘤𝘩𝘦𝘻𝘻𝘢, 𝘮𝘪𝘰 𝘢𝘮𝘰𝘳𝘦, 𝘮𝘪𝘢 𝘭𝘶𝘤𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘓𝘶𝘯𝘢.
𝘔𝘪𝘢 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘴𝘪𝘯𝘤𝘦𝘳𝘢 𝘢𝘮𝘪𝘤𝘢, 𝘮𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘪𝘥𝘦𝘯𝘵𝘦, 𝘮𝘪𝘢 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘢 𝘦𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘯𝘻𝘢, 𝘮𝘪𝘢 𝘚𝘶𝘭𝘵𝘢𝘯𝘢, 𝘮𝘪𝘰 𝘴𝘰𝘭𝘰 𝘦 𝘶𝘯𝘪𝘤𝘰 𝘢𝘮𝘰𝘳𝘦.
𝘓𝘢 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘣𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘳𝘢 𝘭𝘦 𝘣𝘦𝘭𝘭𝘦…
𝘔𝘪𝘢 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢𝘷𝘦𝘳𝘢, 𝘮𝘪𝘰 𝘢𝘮𝘰𝘳𝘦 𝘥𝘢𝘭 𝘷𝘰𝘭𝘵𝘰 𝘭𝘪𝘦𝘵𝘰, 𝘮𝘪𝘰 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰, 𝘮𝘪𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘢, 𝘧𝘰𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘦𝘨𝘳𝘢…
𝘔𝘪𝘢 𝘱𝘪𝘢𝘯𝘵𝘢, 𝘮𝘪𝘢 𝘥𝘰𝘭𝘤𝘦, 𝘮𝘪𝘢 𝘳𝘰𝘴𝘢, 𝘭𝘢 𝘴𝘰𝘭𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘮𝘪 𝘳𝘦𝘤𝘢 𝘢𝘧𝘧𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰…
(Poesia di Solimano a Roxelana)
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