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PRIMA PAGINA Dolomiten di Oggi martedì, 10 dicembre 2024
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Frey Kan è un bambino curioso
Frey Kan è un bambino curioso.
I genitori sono sempre molto fieri di lui. Rispetta tutte le regole, senza mai fare i capricci. Specialmente quando si tratta di andare a letto: sempre alle nove, anche se il resto dei bambini della sua classe sono svegli fino alle dieci per guardare i cartoni. Lui non si lamenta, anche se l'indomani non è un giorno di scuola. In fondo, gli piace.
Frey sa dormire. Sembra tutto al contrario quando si dorme. Di giorno lavora, studia e si stanca a compiere tutte le sue faccende; di notte si riposa, come il papà quando lascia perdere il lavoro e parla di leggi fisiche. Di giorno c'è tanto chiasso a cui badare attenzione, tutt'attorno a lui; di notte è tutto calmo e silenzioso, come la domenica in chiesa subito dopo la comunione. Di giorno deve mantenere gli occhi bene aperti e, se proprio necessario, usare la sua mano per coprirli dalla luce fastidiosa del sole; di notte può chiudere gli occhi, ed è il turno della mano di nascondersi sotto le coperte.
Frey sa fare sogni lucidi. Lo ha imparato tanto tempo fa, così tanto che neanche si ricorda di alcunissimo sogno non lucido. Ma non fa niente, perché non serve a nulla ricordare quando puoi creare tutto quello che vuoi. A dire il vero la base è già tutta pronta quando Frey capisce di essere in un sogno. Un villaggio medievaleggiante, con bastoncini di zucchero al posto di alberi e strade di carbone edibile...
«Sì,» dichiara ad alta voce Frey, «è già successo questo dicembre. Sono in un sogno a tema Natale. Forse perché abbiamo fatto altri lavoretti a scuola stamattina.»
«Che bel bambino, vuoi forse una caramella all'arancia? Ha tanta vitamina C!», gli chiede un torreggiante elfo verde abbassandosi alla sua altezza, imperturbato, come se non avesse sentito le precedenti parole di Frey.
Frey sa parlare. Molto bene, a dirla tutta. Una volta inciampava tra le parole perché doveva essere il più veloce di tutti, ma da quando ha scoperto la dizione ha capito che è più veloce se cerca di fare, molto lentamente, attenzione ad ogni sillaba. Sa anche essere molto molto educato. A scuola gli fanno sempre i complimenti, a parte i compagni invidiosi ovviamente. Le sue maestre gli hanno fatto fare bella figura coi genitori all'incontro scuola-famiglia del primo quadrimestre, e per questo gli hanno regalato un farfallino del suo colore preferito, giallo. Frey nota di averlo addosso proprio in quel momento. Gonfia le sue guance, poi cammina via.
Frey sa andare in bici. Non ha mai imparato, perché non può sporcarsi o sbucciarsi le ginocchia, farsi male è sbagliato perché fa la bua e fa preoccupare la mamma. Quindi non può assolutamente provare, perché se prova rischia di sbagliare. Però sa andarci lo stesso, nei sogni. Frey non fa mai rumore perché non è giusto disturbare i vicini anziani che dormono o la maestra che spiega. Stacca il suo farfallino blu e lo attacca alla bici a mo' di clacson, e con un "poti poti", attraversa la parete di una casa come se non ci fosse, uscendo così dai confini del sogno così com'era.
Frey sa orientarsi. Sa seguire le indicazioni, sa leggere una bussola, sa tradurre una mappa. Conosce il significato di tutti i cartelli stradali, anche se è piccolo. Sa dettagliarti come arrivare ad ogni via della sua città, una volta con un turista ha persino fatto stupire il papà. Chiedigli una nazione, lui ti saprà dire la capitale. Sarà per questo, forse, che quel nero era per Frey una strada. È circondato di stelle mentre corre veloce con la sua bici. Riconosce la Stella Polare, ma non è nella sua direzione che sta andando- no, è altrove. Il villaggio del Natale si fa sempre più piccolo, fino a diventare un'altra stella tra le tante. Frey sa di aver già oltrepassato il confine quando vede, piccola, una figura incappucciata con degli strani baffi a forma di freccia. Non è lui ad averla creata. Farà parte della base?
Frey sa. Sa fare tante, tante cose. Non sa, però, non fare le cose.
«Ciao, Frey. Il mio nome è Uber.»
Il mondo tutto a sinistra di Frey diventa, all'improvviso, un verde sentiero, tutto prato e lontane foreste di frutti. Nel cielo c'è un coloratissimo sole, e si respira una deliziosa aria di campagna, come un misto tra erba spezzata e pecorino appena tagliato dalla forma. A destra, la notte rimane tale.
«Uber, sei parte del sogno?»
«So esserlo.»
«Che intendi?», chiede Frey, un po' spaventato.
«Io sono qui per insegnarti a scegliere, Frey.» La figura alza il suo braccio sinistro, e seguendo la sua mano, ora libera dalle lunghe maniche grigie di Uber, lo sguardo di Frey si ferma sullo spazio dietro di lei. «Per guidarti verso la scelta giusta.»
«Di quale scelta si tratta, Uber?»
Frey sa desiderare.
All'improvviso, alla sinistra di Frey brillano tra le stelle centinaia di fotogrammi in successione. Frey non ha nemmeno il tempo di percepirli, ma sa capirli. Sa pesarne il significato, sa apprezzarne il valore.
«Questa è la tua vita futura, Frey, se sceglierai questa strada. Ti ricordi cos'hai chiesto a Babbo Natale quest'anno che i tuoi genitori ti hanno rivelato che non esiste?, un nuovo robot da cucina, così che la mamma ti possa cucinare la tua torta preferita, la crostata ai frutti di bosco. Qui te l'ha fatta. Vedi?, ha tanta crema, come piace a te. Ti ha anche dato la fetta più grande.
«E la bambina di cui ti sei innamorato, che abita vicino la scuola? Eccovi lì, con i vostri tre figli - oh, eccovi lì di nuovo, anziani, con i vostri nipoti. La mamma e il papà sono così felici con i tuoi figli. Tutti sorridono. È un ritratto davvero idilliaco, ti ricordi la parola?, in questo contesto significa più o meno "senza pensieri".
«E cos'è quello in secondo piano?, ah, già, un pianoforte a mezza coda. Ti è stato comprato in sostituzione della tastiera. Hai continuato a suonare, perché ti piace tanto suonare, giusto?, e allora il papà ha pensato di comprarti un pianoforte a parete per praticare un po' e entrare in conservatorio, poi a mezza coda per continuare. La casa è grande e spaziosa e per gli anni del liceo ci hai invitato gli amici per suonare assieme o discutere di matematica.
«Ecco, la matematica. Ti sei trasferito a Roma per il liceo, giusto per fare qualcosa che sia più alla tua altezza. Hai studiato tanto e ti sei diplomato a pieni voti. In realtà, nel mentre, ti sei anche divertito molto vincendo alcune gare di matematica. Alcuni erano invidiosi di te, ma sei riuscito a trasformarla in ispirazione con le tue parole gentili. Specialmente dopo la tua laurea, quando sei diventato un ricercatore e hai dato il nome a ben tre diversi teoremi. Alcuni giornali ti hanno chiamato il nuovo Einstein.
«In poche parole,» termina Uber, «scegli la strada a sinistra e otterrai tutto quello che hai sempre desiderato.»
Frey sa brillare. I suoi occhi sicuramente scintillano più di tutte le miriadi di stelle sotto e dietro di lui.
«E per quanto riguarda la strada a destra?», chiede.
«Non lo so.» risponde Uber, riponendo le sue mani nelle maniche.
Frey Kan è un bambino curioso.
#120 storie brevi per una vita più lunga#la storia di oggi è preziosetta. voglio bene a Frey#Frey Kan and he will#scegliete voi quale credete sia il finale della storia. Uber ha guidato anche la vostra di scelta#scrittura#scritture brevi#narrazione#narrazione breve#narrativa#narrativa breve#storia breve
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All’Innovation Center di Hyundai Motor Company è il pensiero a correre fra nuove tecnologie, intelligenza artificiale e robotica
Nella fabbrica Hyundai di Singapore è stato creato un ecosistema con idee da applicare all’esperienza di acquisto del consumatore, a un nuovo modo di produrre, al lavoro umano in fabbrica e allo sviluppo della guida autonoma. Sì, alle “flying cars” che l’immaginario cinematografico ci aveva un po’ troppo anticipato negli anni 60 e che adesso stanno per arrivare davvero. “È una fabbrica di sperimentazione avanzata per il futuro”, ci spiega il ceo Hong-Bum Jung alla vigilia dell’apertura del complesso, a una ventina di minuti dal centro di Singapore. È un edificio moderno e luminoso di sei piani con in cima una pista di prova di 618 metri con due curve paraboliche che ci ricorda il nostro centenario Lingotto. Qui il gruppo Hyundai – sei ore di aereo da Seoul con un’ora di differenza di fuso orario – ha deciso di sperimentare in piccola scala l’assemblaggio della elettrica Ioniq 5, soltanto 30 mila unità all’anno per ora (l’anno prossimo si aggiungerà la Ioniq 6), attraverso l’utilizzo ampio di circa 200 robot e di intelligenza artificiale per un sistema-pilota di produzione che migliori tempi, costi, qualità e riduca l’impronta carbonica. Tutto avviene in un ambiente piuttosto silenzioso per un sito, dove uomini e donne in carne e ossa si contano sulla punta delle dita. Il posto giusto per mettere a punto anche un’inedita esperienza di vendita: il cliente viene accolto al piano terra per personalizzare la sua auto attraverso una digitalizzazione spinta in tempo reale, fra grande flessibilità e intelligenza artificiale. Se poi vuole provarla, lo portano sulla pista dove oggi però tocca a noi qualche giro con un driver a velocità massima costante di 83 chilometri l’ora. Tutto in sicurezza, ma niente di più. Perché un processo di vendita così personalizzato, che comprende anche una originale esperienza immersiva? “Perché l’auto è diventata una estensione della nostra vita”, ci sorride Alpesh Patel, a capo della ricerca dell’Innovation Center, dove governa l’elevata automazione del sistema attraverso una squadra di operatori umani seduti a quadrilatero in una sala al terzo piano. “Sperimentiamo qui un diverso rapporto con il cliente perché è più facile farlo in una piccola città-stato e in un mercato maturo e ricco. La seconda ragione sta nel nome che abbiamo dato al centro, Innovation: Singapore è piena di talenti in questo settore, in Asia è il posto migliore che potevamo trovare. E se i segnali di interazione con i consumatori saranno positivi potremmo decidere di estendere questo processo di acquisto in altri luoghi”. La Smart Factory di Patel assembla idee per tutto il gruppo Hyundai. Sullo sviluppo della guida autonoma, a fianco delle Ioniq 5 normali spuntano le versioni robotaxi, da qui spedite negli Usa per la sperimentazione su strada in partnership con le due maggiore società di ride hailing americane, a Las Vegas sulla Strip con Lyft e a Los Angeles con Uber. Sensori (una trentina, ci dice il direttore dei progetti speciali Cody Kamin), Lidar, telecamere, non sembrano diverse dalle loro concorrenti. Intorno, i pochi lavoratori umani lavorano all’assemblaggio assistiti fisicamente da strumenti tech che, indossati, agevolano i loro movimenti o ne alleggeriscono la fatica. A Singapore si fa ricerca e sperimentazione a tutto campo per la mobilità, aerea compresa. Hyundai ha presentato un primo concept di veicolo a decollo verticale nel 2020 al Ces di Las Vegas e da questa smart factory decollano altre idee per un settore in cui i sudcoreani sono avanti. “Non corriamo per essere i primi sul mercato - ci dice Jaiwon Shin, presidente della divisione Advanced Air Mobility del gruppo Hyundai – ma crediamo che entrarci nel 2028 sia il momento giusto con il prodotto giusto. E qui capiamo meglio i costi, la qualità necessaria e quali processi produttivi più avanzati servono per la produzione”. Da installare prossimamente in America. Read the full article
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Domestic Arapaima, breakcore dalla provincia di Livorno
Domestic Arapaima, un nome, un programma, e non per modo di dire. Il genere proposto dalla one man band livornese è un mix imprevedibile, sbalorditivo e incatalogabile di generi, stili, influenze. Ora si chiama Breakcore. Loro lo chiamavano semplicemente Bilask Music. Si passa dal liscio al black metal all’interno dello stesso brano a velocità supersonica. Se siete interessati a sonorità davvero stimolanti e volete conoscere un mondo in espansione, non dovete fare che continuare a leggere.
Una presentazione per chi non ti conosce
Ciao, sono Francesco Banti, in arte Domestic Arapaima. 182 cm, 80 kg, esporto breakcore dalla provincia di Livorno. Partiamo dal genere che hai scelto. È molto particolare. Un melting pot di infinite influenze e contaminazioni. Come è successo? Decisione consapevole o caso?
Mi dilungherò un po’ più di su questa risposta perché penso sia importante. Il genere breakcore ha subito varie onde di rivoluzione dalle sue prime apparizioni negli anni 90. La cosa che caratterizza maggiormente questo genere è la possibilità di rubare samples da ogni genere in circolazione e trovare un modo per inserirli in un contesto di breaks di batterie velocissimi, distorti e choppati. Secondo me il breakcore è più un modo di approcciarsi alla produzione di una traccia musicale piuttosto che la canzone in sé.
Cerco di spiegarmi peggio: il breakcore si caratterizza per la sua imprevedibilità, un attimo prima stiamo ascoltando batterie a 200 bpm e subito dopo parte un pezzo folk o metal per poi tornare di botto nell’elettronica piu violenta possibile con gabber kick in loop e stabs hardcore che ti spaccano le orecchie. Per essere imprevedibili è necessario costruire una prevedibilità nella testa dell’ascoltatore, per poi togliergliela di colpo.
La bellezza e la difficoltà sta, a parer mio, nel riuscire a collegare adeguatamente questi mondi completamente differenti, e magari, nel frattempo a far ballare qualcuno. Detto questo la consapevolezza di fare breakcore non c’è stata da subito. All’inizio tra di noi la chiamavamo Bilask Music. Come nascono i tuoi brani?
L’idea iniziale era quella di fare come i vari Prodigy, Moby ecc.. che prendevano i sample da canzoni sconosciute per poi costruirci sopra tutto un altro mondo sonoro. Successivamente è stato chiaro che sarebbe stato più divertente creare i sample suonati analogicamente per poi rielaborarli in musica elettronica.
Quindi la canzone viene prima scritta totalmente al pc digitalmente e poi gli strumenti come trombe, fisarmoniche, cornamuse, flauti ecc vengono registrati in studio. In questo caso ho utilizzato molto la piattaforma Fiverr per ingaggiare musicisti per il disco. Tutti i mix sono stati fatti da Samuel Pellegrini che mi ha aiutato moltissimo anche in fase di produzione per quanto riguarda armonie varie e registrazione dei bassi. Invece i master sono stati fatti da Emiliano Pasquinucci alla Solaria mix room. Le tue influenze?
Igorrr e Ruby my Dear uber alles. Ultimamente sto ascoltando moltissime colonne sonore di classici Nei tuoi brani c’è anche una forte ironia. Quanto conta oggi il non prendersi troppo sul serio?
Per quanto riguarda il cosa conta oggi non ti so rispondere. Non me ne occupo. Per quanto riguarda le mie canzoni è fondamentale, inoltre è più divertente scrivere cose allegre. Che cos’è per te la musica?
Comunicazione. Il limite più forte delle proposte musicali attuali?
La mediocrità. La ripetizione costante dei canoni che sembrano funzionare. Come lo si può superare?
Studiando. La musica oggi dovrebbe essere più…?
Meglio. Una band per cui ti piacerebbe aprire?
Igorrr, Ruby my Dear, Culprate, Venetian Snare. Una che vorreste aprisse per te? Igorrr, tra qualche anno. Il tuo concetto di underground?
Il non mainstream. La sua ‘malattia’ peggiore? La cura?
Forse farebbe bene a tutti ascoltare generi variegati, e in questo anche la nicchia dell underground puo essere migliorata, ma non saprei. Una band underground che consiglieresti?
Ottone Pesante. Una mainstream che ancora ti stupisce?
I Rammstein per i live che fanno. Ieri l’idea, oggi il disco, e domani…
si vende il disco. Esattamente al link qui sotto https://sonicbelligeranza.com/2022/10/05/sb11-la-cuadra-by-domestic-arapaima/ Scherzi a parte, il domani riserba un bel tour di tre date in Spagna con Dj Balli di Sonic Belligeranza, l’etichetta che mi produce e che mi sta trovando molte date in giro per l’Italia e L’Europa.
Un’altra data a Vienna a fine settembre e altro che non mancherò di condividere presto. Ma il primo pensiero è sicuramente il secondo album. Una domanda che non ti hanno mai posto ma ti piacerebbe ti fosse rivolta?
Non è che ti andrebbe di aprire al concerto di Igorrr all Amsterdam Arena? Un suggerimento per chi decide di iniziare a suonare oggi?
Studia. Se fossi te ad intervistare, ipotizzando di avere a disposizione anche una macchina del tempo, chi intervisteresti e cosa gli chiederesti?
Gregory Coleman, il batterista che ha creato l’amen Break. E’ morto povero e sconosciuto nonostante l’amen break sia il sample più utilizzato nella storia della musica elettronica. Gli chiederei se è inscritto alla Siae. Un saluto e una raccomandazione a chi ti legge Grazie a chi ha trovato il tempo di leggere e grazie a chi si interessa di questo progetto come Tempi Dispari. Mi raccomando compratemi il disco.
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3 lug 2023 09:03
"IMMIGRAZIONE E ISLAM NON C'ENTRANO CON LA RIVOLTA DELLE BANLIEUE: LE AUTORITÀ HANNO LASCIATO LE PERIFERIE IN MANO AI CRIMINALI CHE CONTROLLANO OGNI CONDOMINIO" - IL FILOSOFO PASCAL BRUCKNER: “CI SONO BANDE ORGANIZZATE, ARMATE E FINANZIATE DA NARCOTRAFFICANTI CHE ALIMENTANO LA NARRAZIONE DEL RAZZISMO E DELLA SEGREGAZIONE PER TENERE IL POTERE NEI QUARTIERI. MACRON VOLEVA L'INTEGRAZIONE CON L'ECONOMIA, PROMUOVENDO UBER E PICCOLI LAVORI. IL PROBLEMA È CHE IL TRAFFICO DI DROGA PERMETTE UN'ASCENSIONE SOCIALE PIÙ RAPIDA. LE SENTINELLE O GLI SPACCIATORI GUADAGNANO IN UN GIORNO COME UNA CHAUFFEUR IN UN MESE” -
Estratto dell’articolo di Cesare Martinetti per “la Stampa”
Pascal Bruckner, filosofo e polemista, ha sulla rivolta francese uno sguardo crudo e non accomodante. […]
Monsieur Bruckner, cos'è cambiato dalla rivolta delle banlieue del 2005?
«Il cambiamento più grande è che la grande maggioranza dell'opinione pubblica è ostile ai manifestanti».
Si vede con la colletta a favore del poliziotto che ha sparato. Perché?
«Le violenze e i saccheggi intollerabili. Dal 2005 lo Stato ha speso miliardi di euro nelle banlieue e si raccontano menzogne colossali. Vengono assaltati persino gli asili nido, le scuole, le mediateche, gli ospedali, i servizi sociali, come se si volessero distruggere gli aiuti arrivati nei quartieri».
Non è certo la maggioranza della popolazione che assalta e saccheggia. Chi manovra tutto questo?
«Ci sono bande molto organizzate, armate e finanziate da narcotrafficanti che alimentano la narrazione del razzismo e della segregazione per tenere il potere nei quartieri, condominio per condominio».
Chi sono i violenti?
«Vandali, piccoli ladri e i grandi svaligiatori, che hanno assaltato metodicamente i centri commerciali rubando apparecchi elettronici, computer, telefoni, ma anche abiti. Poi ci sono le gang criminali che approfittano della situazione per attaccare commissariati di polizia e municipi. E poi c'è un terzo gruppo: i terroristi ecologici di estrema sinistra alleati con i ragazzi di banlieue che attaccano i simboli del potere, come le caserme dei pompieri o la Gendarmerie».
E questo succede da molti anni nei quartieri.
«La cosa preoccupante è che la Francia è un Paese veramente malato perché tutti i conflitti sociali diventano rivolte. È un Paese che ha da sempre la tradizione della violenza, […] dalle guerre di religione, alle "dragonate" nel regno di Luigi XV, alla Rivoluzione, al 1870… È un Paese fondato sulla violenza. Oggi però penso che sia dovuto alla mancanza di autorità dello Stato».
Ma come, è un sistema presidenziale con un presidente accusato di autoritarismo.
«Viviamo da cinquant'anni le dimissioni dello Stato. Dopo De Gaulle, tutti i poteri pubblici, di destra e di sinistra hanno distolto lo sguardo dalle banlieue, dall'islam radicale, dall'immigrazione e adesso paghiamo il conto di questo abbandono. Macron ha ereditato una situazione deteriorata da molto tempo».
Quindi il modello francese dell'integrazione è fallito?
«[…] si parla solo di banlieue ma c'è tutta una borghesia di origine magrebina o africana che si è affermata molto bene. […] Le banlieue sono soprattutto un problema sociale di relegazione. […]».
Ma cos'ha fatto Macron per i giovani delle banlieue?
«Una scommessa non assurda e cioè avviare l'integrazione attraverso l'economia promuovendo Uber e piccoli lavori che hanno funzionato. Il problema è che il traffico di droga permette un'ascensione sociale molto più rapida. Le sentinelle o gli spacciatori guadagnano in un giorno come una chauffeur in un mese. Il narcotraffico diffuso sta conquistando i quartieri in tutta l'Europa, Belgio, Olanda…».
C'è un Paese europeo che secondo lei ha saputo affrontare meglio l'immigrazione?
«La Germania è meglio come sempre. E poi ha un modello sociale di concertazione che è la sua forza economica: sindacati molto potenti che discutono e fanno sciopero solo eccezionalmente. In Francia per prima cosa si fa sciopero, si manifesta, si spacca tutto e poi si dialoga. […]».
Chi è stato il presidente migliore?
«Chirac perché non ha fatto niente. Era molto popolare, mangiava, stringeva le mani, sorrideva. Macron soffre di un deficit di empatia, è molto distante, è un banchiere che pensa razionalmente, ma le passioni francesi sono totalmente irrazionali. […]».
[…] «[…] il suo bilancio è molto negativo, io ho votato per lui e me ne sono pentito. […] Macron […] è molto bravo in economia, infatti la Francia va molto bene[…]».
In questa situazione si avvantaggia molto Marine Le Pen. Lei pensa che possa vincere nel 2027?
«Sì, può vincere, non ha nemmeno bisogno di fare campagna. Sarebbe una soluzione cattiva per la Francia, ha pochissima competenza in economia e in diplomazia e poi è molto vicina a Putin, che in questo momento è imbarazzante. L'estrema sinistra di Mélenchon è insurrezionale[…] ». […]
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Siamo a Montauk, l'estate non è ancora iniziata e Maddie sta già piena di casini - le hanno sequestrato la macchina per delle multe non pagate, ma senza la macchina non può lavorare come autista Uber e arrotondare lo stipendio che prende come cameriera, e senza quei soldi in più non riesce a stare dietro alle tasse di proprietà sulla casa che ha ereditato dalla madre dopo la sua morte… Un annuncio su Craiglist sembra però fare al suo (disperato) caso: Laird e Allison, una coppia di ricchi newyorchesi con casa sulle spiagge di Montauk, cerca un "aiuto" per il figlio Percy, a loro modo di vedere troppo inesperto e impreparato ad affrontare la vita al college a cui accederà a settembre. Se Maddie riuscirà a farlo uscire dal suo guscio, svezzandolo a livello emotivo e sessuale, avrà in cambio una Buick Regal. E così tutti i suoi problemi si risolveranno. O forse no.
Un film (in Italiano anche pellicola) è una serie di immagini che, dopo essere state registrate su uno o più supporti cinematografici e una volta proiettate su uno schermo, creano l'illusione di un'immagine in movimento.[1] Questa illusione ottica permette a colui che guarda lo schermo, nonostante siano diverse immagini che scorrono in rapida successione, di percepire un movimento continuo.
Il processo di produzione cinematografica viene considerato ad oggi sia come arte che come un settore industriale. Un film viene materialmente creato in diversi metodi: riprendendo una scena con una macchina da presa, oppure fotografando diversi disegni o modelli in miniatura utilizzando le tecniche tradizionali dell'animazione, oppure ancora utilizzando tecnologie moderne come la CGI e l'animazione al computer, o infine grazie ad una combinazione di queste tecniche.
L'immagine in movimento può eventualmente essere accompagnata dal suono. In tale caso il suono può essere registrato sul supporto cinematografico, assieme all'immagine, oppure può essere registrato, separatamente dall'immagine, su uno o più supporti fonografici.
Con la parola cinema (abbreviazione del termine inglese cinematography, "cinematografia") ci si è spesso normalmente riferiti all'attività di produzione dei film o all'arte a cui si riferisce. Ad oggi con questo termine si definisce l'arte di stimolare delle esperienze per comunicare idee, storie, percezioni, sensazioni, il bello o l'atmosfera attraverso la registrazione o il movimento programmato di immagini insieme ad altre stimolazioni sensoriali.[2]
In origine i film venivano registrati su pellicole di materiale plastico attraverso un processo fotochimico che poi, grazie ad un proiettore, si rendevano visibili su un grande schermo. Attualmente i film sono spesso concepiti in formato digitale attraverso tutto l'intero processo di produzione, distribuzione e proiezione.
Il film è un artefatto culturale creato da una specifica cultura, riflettendola e, al tempo stesso, influenzandola. È per questo motivo che il film viene considerato come un'importante forma d'arte, una fonte di intrattenimento popolare ed un potente mezzo per educare (o indottrinare) la popolazione. Il fatto che sia fruibile attraverso la vista rende questa forma d'arte una potente forma di comunicazione universale. Alcuni film sono diventati popolari in tutto il mondo grazie all'uso del doppiaggio o dei sottotitoli per tradurre i dialoghi del film stesso in lingue diverse da quella (o quelle) utilizzata nella sua produzione.
Le singole immagini che formano il film sono chiamate "fotogrammi". Durante la proiezione delle tradizionali pellicole di celluloide, un otturatore rotante muove la pellicola per posizionare ogni fotogramma nella posizione giusta per essere proiettato. Durante il processo, fra un frammento e l'altro vengono creati degli intervalli scuri, di cui però lo spettatore non nota la loro presenza per via del cosiddetto effetto della persistenza della visione: per un breve periodo di tempo l'immagine permane a livello della retina. La percezione del movimento è dovuta ad un effetto psicologico definito come "fenomeno Phi".
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Consegne cibo a domicilio: Uber Eats Italia chiude
Il servizio di consegne cibo a domicilio non sembra essere più un mercato appetibile. A dirlo sono i responsabili della comunicazione di Uber Eats nel loro comunicato con il quale annunciano la chiusura del ramo d'azienda in Italia. Non si è avuta una crescita in linea con le aspettative, si legge nella nota. Che la rivoluzione digitale stia avvertendo la sua prima crisi? Consegne cibo a domicilio: dalla pandemia alla chiusura di Uber Eats Italia Durante il lockdown, lo ricorderete, per gustare una pizza, un panino o una qualunque specialità da ristorante, bisognava prenotare ciò che si desiderava, recarsi in loco per il ritiro e gustare tutto a casa. L'alternativa era farsi consegnare a casa quanto ordinato. Ogni le attività di ristorazione, dalla più grande alla più piccola, ha messo in piedi, dall'oggi al domani, il suo servizio di consegna a domicilio. La pandemia è stata anche l'epoca in cui il digitale ci ha aiutato ad affrontare i momenti più difficili. Potremmo dire, senza tema di smentita, che oggi esista un'app per ogni nostro bisogno. Ed ecco che le app per il "delivery" sono sorte come funghi o semplicemente le abbiamo scoperte e imparato a utilizzare. Non è un mistero che tutte le aziende legate al mondo digitale a partire dagli anni della pandemia hanno aumentato notevolmente il loro giro di affari. Le abitudini acquisite per necessità, infatti, si sono rivelate molto comode anche a emergenza finita. Evidentemente non abbastanza. Le imprese digitali, financo il colosso Amazon, non è stato immune dalla tagliola dei licenziamenti. Ora tocca a Uber Eats. La chiusura di Uber Eats Italia Il 15 giugno Uber Eats ha comunicato la dismissione del servizio di consegne a domicilio del cibo in Italia. Dopo sette anni (erano presenti infatti dal 2016), la crescita ottenuta non è stata in linea con le aspettative per cui la chiusura è l'unica scelta anche se difficile come si legge nella nota ufficiale. Una crescita ottenuta grazie alla presenza in 60 città in tutte le regioni del Paese e alla partnership di migliaia di ristoranti e di rider. Uber non abbandona l'Italia, si legge ancora nella nota, dove saranno ancora attivi i servizi di trasporto che rappresentano la punta di diamante dell'azienda. Cosa accadrà ora Uber non abbandonerà neanche i propri dipendenti del ramo Eats poiché, ha assicurato, farà il possibile per loro "in conformità con le leggi vigenti, assicurando al contempo una transizione senza problemi per tutti i nostri ristoranti ed i corrieri che utilizzano la nostra piattaforma". I sindacati, dal canto loro, denunciano che la maggior parte dei dipendenti si troverà, già a partire dal prossimo mese, senza lavoro e senza reddito (la chiusura del servizio, infatti, scatterà già dai primi giorni di luglio). Secondo quanto affermato dalla segretaria confederale Cgil Francesca Re David "I lavoratori inquadrati come collaboratori occasionali e a partita Iva, che sono la forza lavoro utilizzata per la consegna del cibo, pur perdendo l'attività lavorativa non avranno diritto agli ammortizzatori sociali né ad alcun sostegno pubblico per un'eventuale ricollocazione". Le nostre riflessioni sul mondo del lavoro di oggi le abbiamo già espresse qualche tempo fa. La storia ci parla di rivoluzione industriale, l'attualità di rivoluzione digitale, quando si parlerà di rivoluzione sociale? In copertina foto di postcardtrip da Pixabay Read the full article
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Oggi vorrei mangiare carne sintetica in un ristorante neoliberista gestito da una multinazionale straniera, che sia raggiungibile con Uber e accetti solo pagamenti con carte di credito. Avete qualche buon indirizzo da suggerirmi?
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Uscendo da redazioni e retrobotteghe, la vedete la correlazione tra deterioramento progressivo delle relazioni internazionali e take over delle leader, da Merkel a Lagarde etc.etc. giù fino alle Sanna e alle Von Der Leyen ?
SOLO COINCIDENZE? NOI DI VOYAGER CREDIAMO DI NO.
(Non è colpa (solo) delle donne: è la prevalenza culturale dell'estrogeno in questa epoca decadente. Un tempo era rigettato orrendamente (ma che è, hai il ciclo?), oggi invece è à la page: desideri e sentimienti uber alles. Anche per gli ometti quacquaracquà smartphonizzati: il testosterone è roba da incivili. Le prime a ribellarsi, a reagire con violenza all'estrogeno in eccesso, mai al testosterone, sono proprio le donne ).
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Negli anni '90 dicevano "Non salire in auto con degli sconosciuti" Nei primi anni 2000 dicevano "Non accettare incontri da gente trovata su internet" ...oggi abbiamo UBER.
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PRIMA PAGINA Dolomiten di Oggi mercoledì, 30 ottobre 2024
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Le colpe degli italiani di Francesco Erspamer Viva la democrazia. All’americana. In cui vota meno della metà degli aventi diritto e per stravincere basta la metà di quella metà (che ai miei tempi corrispondeva a un quarto degli elettori e dunque una netta minoranza mentre adesso i quotidiani la descrivono come una maggioranza assoluta, quasi bulgara); e a chi si accontenta di vincere basta ancora meno, visto che con il consenso di un decimo degli elettori si può andare al ballottaggio, dopo di che per fare il pieno si tratterà solo di scatenare i media per terrorizzare i cittadini e convincerli che la sinistra toglierebbe loro il SUV d’ordinanza e la destra rimanderebbe a casa la badante pagata 500 euro al mese. Anche a livello di preferenze; ai personaggi che vedete nell’immagine sopra sono bastate poche migliaia di preferenze per risultare i più votati e venire osannati dai giornalisti. Ma questo sistema non è stato imposto agli italiani, neppure a quelli che adesso si autoassolvono disertando le urne. Deriva direttamente da una famigerata legge, quella n. 81 del 25 marzo 1993, che introdusse il sistema maggioritario e l’elezione diretta del sindaco (un presidenzialismo locale, in attessa di cambiare la Costituzione e di introdurlo a livello nazionale); legge frettolosamente approvata da Camera e Senato con il sostegno di quasi tutti i partiti, a cominciare da una DC prossima a dissolversi per confluire nel liberismo berlusconismo e da un PDS e un PSI già convertiti al liberismo liberal alla Blair e alla Clinton. Non ci fu nessuna protesta popolare: tutti contenti di buttare a mare una tradizione politica che, fra inevitabili errori e numerosi episodi di corruzione, aveva assicurato un costante progresso civile, economico e culturale; improvvisamente la gradualità del processo parve agli italiani intollerabile: non dimentico che la promessa che conquistò la gente fu quella di conoscere il sindaco (e di lì a poco il presidente del consiglio) il giorno dopo le elezioni. La fretta e il personalismo (non più partiti! meglio i ricchi e famosi) presero il posto della politica e bastarono pochi anni per stravolgere il sistema. Non mi pare peraltro che la metà abbondante di cittadini che ha rinunciato al dovere civico di votare (no, non è un diritto, parola abusata che ormai significa “licenza”) abbia nostalgia della politica; se no potrebbe pretendere un ritorno a un proporzionale puro, grazie al quale esprimere le sue preferenze e vedersi rappresentata nei consigli comunali e in Parlamento, invece di cedere passivamente il potere a chi può comprarsi (letteralmente) un piccolo ma sufficiente numero di voti. Al contrario, è pronta a sprofondare nel qualunquismo assoluto imparato sui social (tutti controllati da miliardari americani) e attraverso gli spettacoli televisivi e sportivi che appunto dai primi anni novanta spacciano individualismo ed edonismo. La politica ha a che vedere con la collettività (la polis) e con le responsabilità che la sua gestione comporta, non solo per chi governa ma anche per chi lo lascia governare. Troppa fatica, troppo impegno, troppi sacrifici; bisognerebbe informarsi e poi riflettere, rinunciando magari a un po’ di pornografia o alla partita in diretta della Premier League. Una visione pessimista? Certo. Il pessimismo dell’analisi è indispensabile a chi voglia fare qualcosa; sono i conformisti e i collaborazionisti a essere convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili. L’Italia resta un paese straordinario ma esclusivamente per le virtù delle precedenti generazioni: chi ci abita oggi vive di rendita sperperando quel patrimonio culturale e morale, quando non partecipi attivamente alla sua distruzione perché attratto dal modello americano (e infatti fa acquisti anzi shopping su Amazon, preferisce il caffè di Starbucks, va in giro su Uber invece che sui mezzi pubblici, non legge libri ma solo tweet, ha sostituito la religione con il culto delle celebrity, se ne frega dei diritti collettivi e difende coi denti le libertà private, soprattutto idolatra il denaro e il successo). Perché non dovrei essere pessimista? La speranza viene dopo. Pessimismo della ragione e ottimismo della volontà, diceva Gramsci, malato e incarcerato in un’Europa che si stava fascistizzando a furor di popolo. So che ci sono tante persone di buona volontà, anche in Italia, e la possibilità di lottare con loro, malgrado le gigantesche difficoltà e l’inerzia di buona parte della popolazione (nel migliore dei casi; purtroppo ci sono anche milioni di autentici stronzi), mi dà gioia e fiducia. Di questa lotta non vedrò i risultati ma per l’appunto non sono un liberista americanizzato, preoccupato solo di sé stesso; li vedranno i miei figli o i loro figli, quando inattesa arriverà l’occasione, imprevista, e chi si farà trovare pronto potrà approfittarne. E mi basta.
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Il metaverso sta aprendo nuovi spazi di manovra per gli hacker
Il 2022 ha registrato un record di attacchi informatici. Con 1.862 violazioni segnalate da parte di enti sanitari, finanziari, governativi ed energetici: un’evidenza che dimostra come le dimensioni dell’azienda non ne determinino l’immunità da minacce informatiche sempre più complesse e ramificate. In quest’anno abbiamo assistito a due delle più significative violazioni nel settore delle criptovalute e verso molti brand di consumo come Uber, American Airlines, North Face e Door Dash. Per effetto del consolidamento del modello di lavoro ibrido e delle crescenti tensioni politiche internazionali, sistemi di difesa, centri dati e infrastrutture digitali saranno tutte indiscriminatamente a rischio. Come rilevato da Giulio Virnicchi, Global Consulting Practice di Experian: «Con il continuo aumento delle superfici di violazione e la moltiplicazione dei dispositivi utilizzati per lavoro, intrattenimento e transazioni, aumentano anche le vulnerabilità che possono essere sfruttate dagli attori malevoli. Non sorprende che le aziende impieghino ancora più di 200 giorni in media per rilevare un’intrusione: pertanto, il tempo necessario per identificare e difendersi da un attacco informatico continuerà a essere un punto dolente nelle strategie delle imprese e non ci saranno molti passi avanti nei prossimi 10 anni». Trend 2023: la curiosità per metaverso è in aumento Gartner ha previsto che, entro il 2026, il 25% della popolazione trascorrerà almeno un’ora al giorno nel metaverso. Tuttavia, mentre i consumatori e le aziende acquisiscono familiarità con questa tecnologia nascente, gli hacker esperti di ecosistemi digitali hanno già trovato il modo di sfruttarne le vulnerabilità. I dispositivi come cuffie VR e occhiali AR raccolgono costantemente informazioni sui movimenti, le abitudini e le preferenze degli utenti e possono persino registrarne l’aspetto e la voce: informazioni che, combinate con altri dati personali, possono potenzialmente aggravare l’impatto di un hack. Gli individui e le aziende devono procedere con cautela nella sperimentazione del metaverso e ricordare che le regole di sicurezza del mondo online 2D si applicano anche al regno virtuale. I cyberattacchi pioveranno dallo spazio La nostra crescente dipendenza dalle tecnologie satellitari, l’aumento del numero di satelliti nello spazio e la mancanza di una supervisione normativa fanno sì che la probabilità che i satelliti vengano violati sia elevata e che gli effetti di queste violazioni possano essere molto ampi. Ci sono oltre 4500 satelliti attivi in orbita ad oggi, e altre migliaia saranno lanciati nello spazio nel prossimo futuro. I satelliti tradizionali non vengono aggiornati facilmente o regolarmente con patch e altre correzioni di sicurezza, ed esistono anche quelli dismessi, ancora in orbita, che possono essere violati. Le organizzazioni con risorse spaziali, o anche la NASA, dovranno rafforzare le protezioni e rimanere costantemente vigili e aggiornate per non trovarsi sotto attacco. Anche gli hacker usano l’AI L’intelligenza artificiale è un’innovazione straordinaria che può dare un contributo positivo in molti ambiti della nostra vita. È un potente alleato per le aziende in termini di difesa, ma lo è anche per gli hacker. Prendiamo, ad esempio, il vettore di attacco preferito dagli hacker: le e-mail di phishing. Utilizzando l’AI, queste possono essere generate in maniera più mirata e personalizzata per la vittima, diventando quindi altamente credibili. Le organizzazioni possono proteggersi adottando un modello “zero-trust” e incrementando la propria attenzione al traffico web. Il furto di identità si è evoluto oltre il furto di password La tecnologia deepfake consente ai criminali informatici di rubare le immagini e le sembianze reali degli individui e di impersonarli per raggiungere i propri scopi. Si tratta di una modalità di raggiro in continuo aumento: in un recente sondaggio di VMware, il 66% degli intervistati ha riferito di aver subito attacchi di questo tipo negli ultimi 12 mesi, in crescita del 13% rispetto al 2021. In futuro, il deepfake potrebbe non essere più utilizzato solo in maniera goliardica, per scherzi e meme, ma potremmo assistere alla pianificazione di attacchi più strategici da parte di Paesi in conflitto e di hacker globali che sfrutteranno l’immagine e la voce di individui di alto profilo, come i leader mondiali o le celebrità, per diffondere disinformazione e provocare il caos. Non solo metaverso e deepfake: guerre a terra e nel cyberspazio Quest’anno, oltre a metaverso e deepfake, abbiamo assistito al primo uso strategico della guerra informatica a complemento degli interventi sul campo. In futuro, questa modalità di conflitto ibrida sarà sempre più presente. Non solo: è possibile che una nazione possa scegliere di condurre un attacco informatico come prima mossa per paralizzare l’opposizione prima ancora di mettere piede nel territorio avversario. Ciò potrebbe portare a una riduzione delle forze armate sul campo e a un aumento dell’impiego di specialisti informatici anche nel settore della difesa. Basti pensare che l’esercito degli Stati Uniti ha previsto di raddoppiare le dimensioni delle sue forze cibernetiche in servizio attivo, portandole a circa 6.000 unità entro la fine del decennio. Read the full article
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Yesterday I got pretty drunk, said something that I shouldn’t have, told you that I really loved you, you do not reciprocate those feelings but that’s ok I’ll be fine anyway.
La televisione è accesa e manda l’ennesimo episodio di una sitcom che sto seguendo senza veramente prestarci troppa attenzione. I miei occhi sono immersi nel contenuto del bicchiere che tengo in mano, piuttosto traballante ora che ci faccio caso. Questo vino che ho comprato fa abbastanza schifo, eppure fa il suo lavoro. Lo lascio roteare un paio di volte nel calice, osservando le bollicine frizzare piano e poi disperdersi veloci nel liquido dorato; poi prendo un sorso, allungando il braccio oltre il bordo del divano per prendere la bottiglia ai miei piedi. L’etichetta - di un pacchiano nero con scritte oro - ne decanta i sentori floreali e le note agrumate, ricamando la denominazione con descrizioni di vitigni e fermentazioni. Faccio una smorfia e ne verso ancora un po’ nel bicchiere: con 12% di grado alcolico non c’era dubbio che mi sarei ubriacata, ed era proprio a questo che volevo arrivare.
Perché non ho il coraggio di affrontare la situazione. Ho passato gli ultimi sei anni della mia vita a parlargli di tutto eppure non riesco a dirgli questo, questo piccolo insignificante dettaglio che mi sta mangiando viva da sei mesi. E ad essere sincera è anche stupido che io mi faccia tutti questi problemi, dato tutto quello che ci siamo detti in precedenza.
Do un’occhiata alla finestra e poi all’orologio che mi brilla sul polso. Sono le due del mattino. È tardi, penso riportando gli occhi alla tv, anche se ormai la mia concentrazione è andata a farsi benedire. Quante notti passate al telefono, a parlare di tutto e di niente, a starci accanto attraverso le linee telefoniche.
Probabilmente lui avrà appena finito di lavorare, magari sta tornando a casa. Ricordo di un paio di anni fa, quando rientrava ad orari assurdi e mi chiamava nel cuore della notte perché gli facessi compagnia; inevitabilmente finivamo col prenderci in giro ma non riattaccavo mai prima che arrivasse a casa sano e salvo.
Ho messo il cellulare a faccia in giù sul tavolino da caffè perché potessi trattenermi dal fare cazzate, ma questo era circa tre bicchieri di Sauvignon fa e adesso sono poco lucida e troppo emotiva per prendere qualsiasi decisione razionale. Comunque, mi trattengo. La nostra ultima telefonata notturna non è stata decisamente la più piacevole, anche se era iniziata così bene.
————
“Ciao. Come mai mi chiami a quest’ora?”
“Ehi è così che mi rispondi? Nemmeno un ‘come stai?’ o un ‘che piacere sentirti’?” Sorrisi come una scema al finestrino dell’auto.
“Te l’avrei detto se fosse stato un piacere davvero”
“Ah si? Va bene, allora non ti chiamo più” e lo sentii allontanarsi dal ricevitore. Per un attimo temetti che riattaccasse, quindi m’affrettai a ripescarlo.
“Dai! Come stai, mio caro? Per quale motivo mi stai chiamando?”
“Bene, grazie. Tu come stai?” Sospirai, vedendo le strade di una notturna Parigi scorrere oltre il vetro.
“Stanca, ho appena finito di lavorare. Allora?”
“Hai lavorato tanto? E comunque niente, volevo rompere le scatole a qualcuno e ti ho chiamato” e di nuovo un sorriso.
“Ah adesso funziona cosi? Mi fa piacere!” punzecchiai, sapendo quanto lo divertisse darmi sui nervi
“Eh si funziona così. Dove sei, ti disturbo?”
“No. Sono in Uber, sto tornando a casa. Tu?”
“Ho staccato da poco, sto bevendo una birretta con dei colleghi”
“Capito.” Ci fu un piccolo momento di silenzio.
“E poi volevo sentirti”Il primo tuffo al cuore.
“Ah si eh?”
“Si. Perché, non posso?” avrei potuto dire che stava facendo un sorrisetto malizioso anche a tutti quei kilometri di distanza, talmente lo conoscevo bene.
“No figurati, ci mancherebbe altro.”
————
Sbatto le palpebre per riprendermi dai miei pensieri e affondo la mano nella ciotola dei popcorn. Adoro mangiarli ma detesto doverli preparare, e mi sono resa conto che dopo averci dedicato più di mezz’ora del mio tempo non li ho quasi toccati per tutta la sera, troppo occupata a bere per pensare a riempirmi lo stomaco.
Un po’ come la mia relazione con Blake: lo amavo ma detestavo come mi faceva sentire, e dopo aver impiegato due anni a cercare di farla funzionare sul serio mi sono accorta tardi che non sarebbe mai andata come volevo io perché ero troppo persa nell’immaginare come avrebbe potuto essere.
La serie prosegue con un nuovo episodio e sembra cadere proprio a pennello con in mio stato d’animo. Uno dei protagonisti si è innamorato dell’altro, che però non lo ha capito. Com’è assurda la vita. Tutto attorno a noi ci bombarda con le definizioni giuste e sbagliate d’amore, ci riempie di film, canzoni, serie, video, storie di amori sbagliati e complicati che però in qualche modo succedono e talvolta funzionano. Ma la verità è che non basta amarsi per essere felici. Non è sufficiente provare un sentimento del genere per qualcun altro, bisogna avere la situazione dalla propria parte. Può succedere come no, e a volte devi combattere perché succeda, faticare per far incastrare pronostici e karma. Ma quando succede, alla fine quello che ti serve è il coraggio. Senza coraggio va tutto a puttane, e mi pare di esserne diventata così esperta da poter tenere delle conferenze a riguardo.
————
“È un peccato che tu non ti fidi.”
“Non ho mai detto che non mi fiderei di te”
“No, però delle relazioni a distanza tu non ti fidi.” a questo punto gesticolai nel vuoto e quasi al buio del mio salotto, mentre mi sembrava di rivivere la stessa conversazione per l’ennesima volta.
“È solo che… è difficile per me dopo...”
“...dopo quello che hai passato con la tua ex. Lo so Blake, ma io non sono come lei”
“Non ho mai detto che sei come lei, assolutamente” come al solito mise le mani avanti, e come al solito la cosa non fece che irritarmi
“E allora qual è il problema vero? Dimmelo. Voglio saperlo.”
“È... complicato” sbuffai esasperata, portandomi una mano nei capelli.
“Ho bisogno di saperlo, me lo devi dire.”
————
Non ero preparata a quello che mi disse dopo, e a ripensarci adesso forse non lo sarei mai stata per come le cose si svelarono. Come si può amare una persona dopo che ti ha fatto tanto male? Puoi amare qualcuno che decide di ferirti consapevolmente, non dettato dalla collera o dalla delusione? È passato poco ma ricordo ancora quella notte, probabilmente è per questo che passo tutte le altre da sola a fissare il soffitto o a bere vino scadente. Può essere che cerchi di affogare nei fiumi dell’alcool per ovviare al bere le mie lacrime. E nel frattempo mi dico che non posso essere davvero incazzata perché l’ho obbligato a dirmelo, ho insistito affinché parlasse. Quindi immagino che sia un concorso di colpe.
E se non posso essere incazzata, e non c’è nulla da vendicare o da rimpiangere, cosa mi resta?
La delusione, forse. La ferita.
E la consapevolezza che se mi avesse amata mi avrebbe risparmiato una tale sofferenza.
————
“Avremmo potuto farla funzionare. Saremmo potuti stare insieme ed essere felici, ma tu ti fai condizionare da una cosa del genere e io non riesco proprio a capire perché. Mi sembra assurdo.”
“Lo so, e tu non centri, è un mio problema. È per questo che volevo venire da te.”
“Per cosa?”
“Per provarci davvero. Nonostante le mie paure io sarei venuto, e ti avrei detto di provarci ma adesso lo so che con quello che ti ho detto è cambiato tutto” Cercai di riprendere il mio respiro perso fra i singhiozzi, invano.
“Saresti venuto qui a dirmi di provarci senza dirmi di questa cosa? E come avresti fatto più avanti, su quali basi avremmo costruito una relazione io e te così?”
“Io... l’avrei superata”
“Quindi l’avresti superata più avanti ma non sei riuscito a farlo negli ultimi due anni...” ci fu un lungo silenzio, riempito dai flebili versi di chi piange da entrambi i lati della cornetta.
“È per questo che non volevo dirtelo, perché sapevo che ti avrei fatto del male.” Piangeva anche lui, e anche nel bel mezzo di quel dolore così opprimente non dubitai che fossero lacrime vere.
“No, va bene. Dovevo saperlo, e poi ho insistito io nel chiedertelo.” Presi il fiato e la dignità necessari per ricompormi e dire qualcosa, qualsiasi cosa mi concedesse di concludere quanto prima quella chiamata, perché sapevo che più tempo restavo al telefono, più pezzi ci sarebbero stati da raccogliere. E allo stesso tempo, masochisticamente, non volevo riattaccare.
“...”
“Va bene, io... io starò bene. Ho solo bisogno di tempo però. Devi darmi un po’ di tempo.”
————
E di tempo me ne aveva concesso, devo riconoscerglielo. Fu la settimana peggiore della mia vita, il mio inferno personale; ancora oggi quando soffro ripenso a quel momento e mi dico che ho attraversato il cerchio di fuoco e son riuscita a non bruciare completamente. Quando lo richiamai aveva una voce sfinita, e devo ammettere che lo feci solo per vomitargli addosso tutta la mia rabbia: ho imparato a posteriori che non serve a niente e che ci vuole tempo per tutto. E quando la sofferenza si è placata ed ho rivisto la pace, ho provato a considerare la situazione da tutte le prospettive.
Quindi, ho capito.
Niente è nero o bianco a questo mondo; e le sfumature te le perdi quando vedi le cose da troppo vicino.
Netflix mi chiede se sto ancora guardando e francamente non ricordo nemmeno quando ho smesso: perciò con non poco sforzo spengo tutto e la stanza cade in penombra. Mi sono accorta che ha iniziato a piovere. Com’è giusto che sia.
Non avrei dovuto bere così tanto; la mia capacità di giudizio è offuscata e tutto quello che riesco a pensare è quanto muoio dalla voglia di risentire la sua voce. Credo che adesso nel mio cuore ci sia solo mancanza: vorrei che mi stringesse e mi dicesse che tra noi non è cambiato niente.
E anche se questo vino fa schifo sta facendo il suo effetto, mannaggia il mondo.
Prendo il cellulare dal tavolino e me lo rigiro tra le mani, stando attenta a non avviare la chiamata quando capito davanti al suo numero in rubrica. Prendo un altro sorso e contemplo le mie opzioni: mi piace pensare di averne molteplici, quando in questa versione della realtà fatta di bollicine aromatiche ne ho - di fatto - solo due.
O lo chiamo. Oppure no.
Lascio che la mia testa ciondoli da una parte all’altra un paio di volte, poi la smetto quando mi accorgo che mi sta salendo una leggera nausea. Ho finito le parti del corpo da torturare: le pellicine sono tutte tirate e sono abbastanza sicura che se non fossi talmente anestetizzata sentirei il labbro inferiore dolere. Non contenta, mi sono anche scavata un solco dietro l’orecchio sinistro, che nonostante tutto brucia parecchio.
È inutile che ci giro intorno, lo so pure da ubriaca.
Che cosa spero di ottenere?
Inoltrare una nuova chiamata adesso sarebbe autoinfliggersi una punizione tutta nuova, e nonostante tutta la mia mancanza di autostima riservo ancora un briciolo di amor proprio necessario a frenarmi.
Che Dio solo sa se ho bisogno di questo adesso.
Scuoto la testa nel tentativo di scacciare i brutti pensieri e chiudo gli occhi, le palpebre diventate pesanti e un po’ umide grazie all’ebbrezza e all’oscurità. Spengo lo schermo del cellulare e, a fatica, mi tiro su dal divano e mi trascino verso la camera da letto.
Questa prima decisione è un buon segno, penso, prendendo un respiro profondo nel buio.
Una delle poche mosse egoistiche della mia vita.
Forse sto iniziando a guarire.
Me lo auguro con ogni frammento di cuore.
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