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PRIMA PAGINA De Morgen di Oggi sabato, 21 settembre 2024
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Questa scultura ha a che fare con il mito che spiega la creazione della Via Lattea.
La Via Lattea per i Greci rappresentava del latte perso da Era (Giunone per i Romani) mentre allattava Ercole, che versandosi si sparse nel cielo. Ercole, infatti, era figlio di Zeus e della mortale Alcmenala la quale, per paura di ritorsioni da parte della consorte del re degli dèi, lo abbandonò subito dopo la nascita.
Zeus, che teneva molto al neonato, fece in modo con la complicità di Atena che la moglie stessa lo trovasse fra i campi. Era, inteneritasi, prese immediatamente ad allattarlo rendendolo immortale. Mentre lo allattava, alcune gocce del suo latte finirono sulla volta celeste.
Il termine galassia, che designa oggi ogni gigantesco agglomerato di gas e stelle come la via Lattea, deriva proprio dal greco γάλα, latte, e rimanda direttamente a questo mito.
“Era che allatta Ercole” di Johan Niclas Byström (1783-1848)
Palazzo Reale di Stoccolma, Svezia.
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Storia Di Musica #348 - Jimmy Raney, A, 1957
La Storia della Prestige Records è anche la storia di una intera generazione di musicisti che ebbe la possibilità di incidere, sebbene in modo anticonvenzionale, con la creatura di Bob Weinstock. Weinstock è famoso per altri motivi, su cui ritornerò nelle prossime storie, prima fra tutte la sua estrema "parsimonia" economica, eppure fu un grandissimo talent scout, con un fiuto davvero notevole, tanto che fu fenomenale nel far registrare più cose possibili ad artisti che sapeva sarebbero poi andati verso concorrenti più grandi ed economicamente attrezzati. Oltre a ciò, viveva un eclettismo di produzione che pochissime case editrici avevano: registrò dischi di arpa jazz, duo e trio con strumenti inusuali, persino di musica d' avanguardia (i tre album che Louis Thomas Hardin, conosciuto come Moondog, incise per la Prestige tra il 1956 e il 1957). Il disco di oggi segue un'altra delle passioni di Weinstock, la chitarra jazz. E mise sotto contratto uno dei più fenomenali chitarristi del bop jazz, Jimmy Raney.
Originario del Kentucky, Raney giovanissimo sostituì alla chitarra Tal Farlow, altra leggenda dello strumento e soprannominato Octopus per le sue grandi mani, nel Trio di Red Norvio, altro gigante, vibrafonista, soprannominato Mr. Swing. Parallelamente all'impegno con il trio, è scelto da Stan Getz per una collaborazione che fece scuola, e che regalò a Raney una fortissima fama: nel 1956 vinse il prestigioso concorso della rivista Downbeat come miglior chitarrista del jazz. Eclettico, capace di spaziare tra i vari generi, Raney fu prolifico nonostante due limiti: le sue dipendenze, soprattutto dall'alcool, che lo terranno spesso lontano dalle scene nella seconda parte della sua carriera, e un impedimento fisico, cioè la Sindrome di Menière, una patologia dell'orecchio che gli provocava vertigini, nausee e drammatici momenti dove muoveva in maniera incontrollata gli occhi verticalmente.
Per la Prestige, oltre che come sessionista, incise due dischi, uno in coppia con Kenny Burrell, altro grandissimo chitarrista, (2 Guitars, del 1957), e il disco di oggi, dove come poche volte la chitarra è protagonista in un quartetto jazz. A è composto da diverse sessioni di registrazione, tenute nel mitico Van Gelder Studio di Hackensack, New Jersey, tra il Maggio del 1954 e due giorni, a Febbraio e Marzo del 1955. Insieme a Raney ci sono John Wilson alla tromba, Hall Overton al pianoforte, Teddy Kotick al contrabbasso e due batteristi Art Mardigan (nella registrazione del 1954) e Nick Stabulas (in quelle del 1955). Nei brani si sviluppa tutto l'ecclettismo e la maestria del chitarrista e il suo valore come band leader. Si sperimenta persino l'overdubbing nella spettacolare Minor, brano autografo di Raney, (che si basa sui cambi di accordi di Bernie's Tune); bellissima è anche Double Image (ispirata a There Will Never Be Another You), più un contrappunto selvaggio improvvisato tra Raney e il pianista Hall Overton in On the Square e un'intricata interpretazione della ballata Some Other Spring. John Wilson viene aggiunto alla tromba per la seconda e la terza data in studio, che consistono principalmente di standard. La vivacemente swingante Spring Is Here, una dolce What's New? di Bob Haggart e una delicatissima You Don't Know What Love Is, che dopo il successo come canzone di film anni '40 era diventata in breve tempo uno standard dopo la registrazione che Miles Davis ne fece nel 1954. Gli originali di Raney includono One More For The Mode, una piacevole rielaborazione di un'invenzione in due parti di Johan Sebastian Bach, e Tomorrow, Fairly Cloudy, un bop fiammeggiante. Completano la scaletta due riletture sentite a due classici: A Foggy Day e Someone To Watch Over Me dei superbi George Gershwin e Ira Gershwin.
Raney ebbe una seconda, ma minore, fama all'inizio degli anni '70, quando firmò un contratto per un'altra casa discografica del jazz indipendente, la Xanadu, con cui incise un bellissimo album, Influence, del 1975. Con lui in quegli anni suonava suo figlio Doug, chitarrista anch'egli, e un altro figlio musicista, Jon, cura un sito memoriale, The Raney Legacy, che raccoglie materiale sul padre e figlio chitarristi. Quando morirà, nel maggio del 1995 a soli 67 anni, il New York Times gli dedicherà un lungo articolo omaggio, descrivendolo come "one of the most gifted and influential postwar jazz guitarists in the world".
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“Addio, leggenda”. Lutto nel calcio, è morto un grandissimo campione
[[{“value”:” È stato uno dei protagonisti dell’Olanda del calcio totale. Oggi, lunedì 7 ottobre, il mondo piange Johan Neeskens,… L’articolo “Addio, leggenda”. Lutto nel calcio, è morto un grandissimo campione proviene da Notizie 24 ore. “}]] Read More [[{“value”:”È stato uno dei protagonisti dell’Olanda del calcio totale. Oggi, lunedì 7 ottobre, il mondo piange Johan Neeskens,… L’articolo…
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JS Bach 🎼🎶🇮🇹
In occasione del 339° anniversario della nascita di Johan Sebastian Bach, nato nel 1685 Oggi ricorre l’anniversario della nascita di uno dei compositori più influenti della storia della musica classica, Johann Sebastian Bach. Nato il 21 marzo 1685, a Eisenach, in Germania, il genio musicale di Bach continua a ispirare e affascinare il pubblico di tutto il mondo, anche secoli dopo la sua…
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Svezia, '522 milioni di euro a favore dell'Ucraina'
(ANSA-AFP) – STOCCOLMA, 17 LUG – Il governo svedese si è impegnato oggi a destinare sei miliardi di corone (circa 522 milioni di euro) in aiuti per ricostruire l’Ucraina e facilitare le riforme per aprire la strada all’adesione all’Ue. Il ministro della Cooperazione internazionale allo sviluppo, Johan Forsell, ha dichiarato che i fondi – che saranno distribuiti tra il 2023 e il 2027 – fanno…
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Rosberg X Racing vince anche il secondo round dell’Island X Prix in Sardegna e riapre la lotta per il titolo nell’Extreme E
🔴🔴 Rosberg X Racing vince anche il secondo round dell’Island X Prix in Sardegna e riapre la lotta per il titolo nell’Extreme E
Dopo aver siglato il successo nel primo Island X Prix, disputato ieri, oggi il Rosberg X Racing ha trionfato anche nel secondo round della tappa tricolore dell’Extreme E, un doppio appuntamento co-organizzato dall’Automobile Club d’Italia con la partnership della Regione Sardegna che ha permesso agli svedesi Johan Kristoffersson e Mikaela Ålhin-Kottulinsky di riaprire la stagione 2023. Il…
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Peyo, papà del Puffi
Il creatore dei piccoli gnomi blu, amatissimi da grandi e piccoli… Pierre Andrè Gabriel Culliford nacque a Schaerbeek, un comune della Regione di Bruxelles, il 25 giugno 1928 da Richard Jean Maurice Culliford di origine inglese e Marguerite Marie Kulinckx, belga. Appassionato di fumetti,Culliford si avvicinò all’editoria poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, dopo aver fatto vari lavori saltuari, incluso quello di proiezionista, e all'età di 17 anni divenne colorista presso lo studio di animazione CBA, frequentando artisti quali Morris, André Franquin e Eddy Paape che diventeranno suoi colleghi nella storica rivista Spirou. Peyo scelse il suo pseudonimo dalla parola francese Pierrot, che era stata mal pronunciata da un cugino inglese. Nel 1952 debuttò su Spirou introdotto da Franquin, occupato con il fumetto più importante del settimanale, dove reimpostò in modo innovativo una vecchia serie che aveva già sperimentato dal 1949 su Le Soir, raccontando le avventure medievali e fiabesche del giovane Johan e lo affiancò con successo per la prima volta al piccolo e vivace Solfamì, che divenne il protagonista. Fu nel 1958 che debuttarono i Puffi il cui immenso successo non impedì a Peyo di concentrarsi anche su altre creazioni come Benoit Brisefer e Jacky et Célestin , del quale fu solamente sceneggiatore. I Puffi sono piccole creature blu che vivono in una foresta, che debuttarono come personaggi secondari del fumetto John & Solfami. Questi esserini blu sono molto simili tra loro, per il colore della pelle, pantaloni e cappello bianchi: variano solo in qualche accessorio personale per indicarne il mestiere, il carattere, la personalità da cui deriva il nome proprio del singolo puffo. C’è per esempio Puffo Vanitoso, con un fiore sul cappello e lo specchio sempre in mano, Puffo Quattrocchi, che contesta tutto, finisce sempre con l’essere buttato fuori dal villaggio con un calcio nel sedere, Puffo Burlone, che regala a i Puffi dei pacchi esplosivi, Puffo Pigrone, che dorme sempre, Puffo Tontolone, che ha sempre la testa fra le nuvole, Puffetta, dai lineamenti delicati, capelli biondi e lunghi e le scarpe con il tacco e Grande Puffo, capo della comunit��, ha 546 anni, porta una barba bianca e ha i pantaloni ed il cappello rossi. A turbare la vita nel villaggio dei Puffi è Gargamella, uno stregone, che vive in un castello in rovina ai margini della foresta, accompagnato dalla sua gatta Birba. Nel 1959 Peyo aveva cominciato a occuparsi di disegni animati, realizzando sette episodi con i Puffi tramite lo studio TVA Dupuis, che furono la base per un lungo ciclo televisivo, in onda dal 1981. Realizzato per la rete americana NB Cin coproduzione con la famosissima casa americana Hanna-Barbera e la S.E.P.P. Creata la propria società, Cartoon Creation, nel 1989 Peyo lanciò la rivista Schtroumpfs, a cui seguì la realizzazione di un parco tematico vicino a Metz, a Hagondange, che dal 1991 prende il nome di Walibi-Schtroumpfs, mentre le sue storie dei Puffi si spostavano su un piano sempre più satirico, con temi come la guerra, lo sport, l’adolescenza e lo stare al passo con i tempi. Peyo morì a Bruxelles per un infarto il 24 dicembre 1992, ma i Puffi continuano a vivere ancora oggi, grazie al lavoro dei suoi collaboratore, guidati dal figlio del disegnatore belga Alain. Read the full article
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"proponeisis", di johan jönson: per centroscritture, gustav sjöberg traduce e intervista l'autore
Oggi pomeriggio, alle 18, nuova lezione al CentroScritture (online su Zoom): nel contesto degli incontri sugli autori non italiani, studieremo la ricerca letteraria in Svezia, insieme a Gustav Sjöberg, attraverso il libro ProponeisiS, di Johan Jönson (2021).Tutto il programma su https://www.centroscritture.it/corsi
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#cambio di paradigma#CentroScritture#Gustav Sjöberg#intervista#Johan Jönson#lezione#ProponeisiS#scrittura di ricerca#scrittura svedese contemporanea#scritture sperimentali#traduzione
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L'estetica senza etica è cosmetica
Fin da bambino ho sempre avuto una particolare predisposizione per la fotografia; pensate che, benché i miei mi riempissero di attenzioni e di giocattoli, i due due “giochi” che preferivo erano la vecchia reflex e la videocamera di mio padre. Ho passato ore ed ore a giocare con questi due strumenti tanto complessi per me e allo stesso tempo tanto affascinanti, al punto che, oltre ad averli distrutti, ancora oggi quando vedo una fotocamera o una videocamera impazzisco. La fotografia... che mondo affascinante e complesso; ancora più affascinante quando diventa oggetto di una performance. L’artista di cui voglio parlare oggi è venuto a mancare da poco, e nello stesso tempo ha vissuto l’intera esistenza nell’ombra dell’ex compagna, ma, dal mio punto di vista, è stato ideatore di qualcosa di innovativo e geniale.
Frank Uwe Laysiepen, in arte Ulay, nasce durante il secondo conflitto mondiale, sotto le bombe degli alleati, figlio di un gerarca nazista. Resta orfano precocemente rimanendo totalmente privo di legami familiari. Come molti suoi coetanei, cresce con il senso di colpa per i padri nazisti e nella tensione provocata dallo smembramento del paese, diviso in due fra territori filo-occidentali (la Germania Ovest) e filo-sovietici (la Germania Est). Vive quindi in maniera conflittuale le proprie origini, tanto da arrivare alla rinuncia del nome e della nazionalità tedesca.Alla fine degli anni sessanta l'insofferenza verso il proprio paese lo spinge ad allontanarsi, lascia la moglie e un figlio piccolo e si trasferisce ad Amsterdam, attratto dal movimento olandese Provo di ispirazione anarchica. Si iscrive alla Kölner Werkschulen di Colonia dove conosce Jürgen Klauke, artista fotografo con cui avvia una collaborazione ispirandosi ai lavori di Pierre Molinier, Hans Bellmer e Hannah Wilke. Presto Ulay inizia a provare interesse per discipline non previste nell'offerta formativa dell'università scelta, pertanto abbandona gli studi per avvicinarsi alla fotografia analogica e all'uso artistico della Polaroid. Intraprende una ricerca sulle nozioni di identità e corpo, documenta la cultura di travestiti e transessuali attraverso foto, aforismi e performance. Progressivamente l'approccio alla fotografia diventa sempre più complesso: l'espressione fotografica viene messa in stretto rapporto con la live performance come nella serie Fototot e in There is a Criminal Touch To Art, entrambe del 1976.
Lo stesso anno alla Galleria de Appel di Amsterdam conosce Marina Abramović, invitata a esibirsi per un programma televisivo dedicato alla performance; è il 30 novembre, data di nascita di entrambi. Tra i due nasce subito un'intesa artistica che sfocia in una profonda e travagliata relazione sentimentale. Realizzano insieme una serie di performances dal titolo Relation Works, una forma estrema di body art, che li porta ad esplorare i limiti della resistenza fisica e psichica. Dopo 12 anni di amore e di sodalizio artistico, decidono di lasciarsi e di sancire la fine del loro rapporto con un'ultima performance, The Wall Walk in China: entrambi percorrono a piedi tutta la grande muraglia cinese partendo dai capi opposti per incontrarsi al centro e dirsi addio. Seguono anni di ostilità e battaglie legali circa i diritti d'autore della produzione artistica: Ulay denuncia Marina per aver venduto autonomamente opere appartenenti ad entrambi. Nel settembre 2016 il giudice gli dà ragione e costringe Marina a versare 250 mila euro all'ex partner per violazione di un contratto firmato nel 1999, che regolamentava l'uso dei lavori realizzati insieme fra il 1976 e il 1988. Dopo la fine della relazione, Ulay concentra la propria attività sul mezzo fotografico affrontando il tema dell'emarginazione e ritornando su quello del nazionalismo. Nel 2009 si trasferisce da Amsterdam a Lubiana; qualche mese più tardi gli viene diagnosticato un cancro. Dopo una serie di trattamenti chemioterapici che migliorano il suo stato di salute, decide di partire con una troupe per visitare i luoghi più importanti della sua vita e incontrare compagni e amici per un ultimo saluto. Da fine 2011 la telecamera lo segue per un anno intero, dall'Istituto di Oncologia di Lubiana fino a Berlino, a New York e alla Amsterdam della sua giovinezza. Ulay tratta la malattia come il più grande e più importante progetto della sua vita, un'occasione per interrogarsi sulla natura della vita, dell'amore, della storia e dell'arte, e per raccontare la propria carriera attraverso interviste, video di archivio, fotografie e riproduzioni dei suoi principali lavori. Ne scaturisce un documentario uscito nel 2013, intitolato Project Cancer, diretto da Damjan Kozole. Durante tutta la carriera rimane fedele al proprio motto: "L'estetica senza etica è cosmetica". Preferisce lavorare senza compromessi, rigoroso e coerente, anche a costo di rimanere ai margini del mercato. Insegnava New Media Art presso l'Università di Arte e Design di Karlsruhe in Germania. Lavorava tra Amsterdam e Lubiana, città dove viveva da 10 anni. Muore il 2 marzo 2020 all'età di 76 anni a causa di un linfoma, conseguente al tumore diagnosticatogli undici anni prima.
“Senza distruzione non c’è creazione e la sua performance ne è letteralmente un esempio: creare fotografie con lo scopo di distruggerle come parte di un’opera d’arte”, scrive Noah Charney in Il museo dell’arte perduta (tr. it. Irene Inserra e Marcella Mancini, Johan & Levi 2019). Da una parte Charney accosta Fototot alla scena iniziale de Il libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera, dall’altra evoca Fototot II, remake del 2012 in cui la galleria viene immersa in un buio pesto. Opera concettuale e post-situazionista, Ulay realizza una sorta di polaroid all’inverso, un medium di cui è stato uno dei primi artisti a servirsi. Il titolo lo riprende da un film-performance di Claes Oldenburg, Fotodeath (1961, 16mm). Estate 1976. Gli spettatori sono invitati a entrare nella galleria de Appel di Amsterdam, uno spazio cieco fondato appena un anno prima. Su tre pareti, sopra la testa della ventina di spettatori, campeggiano nove fotografie in bianco e nero di 1 m x 1 m. Banale il soggetto: una persona intabarrata nel suo cappotto evolve su un viale alberato; è quanto perlomeno s’intravede nella tenue luce giallo-verde, simile a quella utilizzata in camera oscura. Quando la porta della galleria viene chiusa, si accende una lampada ad alogeno. Quello che accade lascia basiti gli spettatori: hanno appena il tempo di cogliere il soggetto che, nell’arco di 15-20 secondi, le stampe fotografiche si anneriscono e svaniscono. In questo modo fanno esperienza di quello che il titolo funereo della performance – Fototot I – promette a chiare lettere: la morte della fotografia o meglio la morte dell’oggettività fotografica, il disvelamento dell’immagine fotografica come mera illusione. Gli spettatori restano soli con queste stampe di grandi dimensioni, monocromi neri che incombono su di loro.
Valerio Hank Vitale
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PRIMA PAGINA El Pais di Oggi martedì, 08 ottobre 2024
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Cronache da ipfp
Il mio turno finisce alle 22
Per me alle 21:57 è già vacanza: ho chiuso la cassa, ho contato i soldi, ho dato le dritte al guardiano notturno e mi sto apprestando a spegnere il computer per scappare a casa a fingere di star sveglia almeno fino alle 23.
Poi, all'improvviso, arriva Lui: biondo, orecchinato, over cinquanta con i bermuda e le infradito, l'aria persa ed un iPhone in mano.
Prendo un gran respiro: anche oggi si fa mezz'ora di straordinario non pagato. Tiriamo avanti.
Mostra tentennante una prenotazione sul suddetto telefono e la mia mente ottenebrata dal sonno, dalla fame e dall'idea della pizza che mi aveva preparato il Yasser, vedendo puntini sopra alle vocali parte col tedesco.
Panico per lui
Panico per me
Mannaggia a Raikkonen vai a vedere che è FINLANDESE! mi dico.
Il signor Johan sospira e in inglese stentato dice "I do not speak..." cerca la parola che non viene e poi esala "TYSKA..."
MOMENTO RIVELAZIONE
Domanda da millemila corone
"Ma sei svedese?" chiedo in un Norvegese che voleva fingersi altro ma che rimane norvegese parlato male.
Annuisce solo.
Comunichiamo non so come e alle 22:03 ho finito il check-in
Collega e guardiano mi guardano come a dire "Ma in che senso?" ed io altrettanto.
Non so cosa ho detto
Forse ho continuato a parlare tedesco senza accorgermene. Nel dubbio buonanotte.
#briciole di flà#cronache da ipfp#mi fingo poliglotta#questo è successo giorni fa ma dovevo raccontarlo
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Viva la “Tosca”, certo. Occorre tornare alla “Tosca” di Luca Ronconi, però, per capire alcuni problemi sulla rappresentazione teatrale
Non andrò a ripercorrere la genesi della Tosca, che vide Margherita Palli quale scenografa e Luca Ronconi regista. Mi concentrerò su di un aspetto. Oggi non si fa che parlare di cornici, rifacendosi a tutta una tradizione che va da Simmel a Stoichita, da Ortega y Gasset ad Ernst Bloch. E così Johan & Levi ha recentemente pubblicato un volume sull’argomento e si attende l’uscita del nuovo numero di Fata Morgana, Quadrimestrale di cinema e visioni, proprio sulla cornice.
Eppure di Ernst Bloch sembra essere sfuggito un passo, contenuto nei meandri delle sue Tracce. Lo riporto come segue: «Siamo a teatro, le candele bruciano sul tavolo nell’ultimo atto del Wallenstein, Wallenstein sottoscrive il contratto con Wrangel: le candele e il tavolo sono veramente candele e tavolo, non recitano. Non erano certo gli stessi, ma candele e tavolo non erano diversi nel momento in cui il Wallenstein reale sottoscrisse l’accordo con il generale reale. Gli uomini di oggi intorno alle candele e al tavolo, insomma i protagonisti di oggi, sono invece degli attori; come mai non si produce alcuna rottura, come mai lo spettatore non sente, illusione per illusione, la differenza di piani esistente in relazione a ciò che viene fatto o preso sul serio? Allora anche le cose recitano?».
Come può questo passo non interrogare la differenza tra una rappresentazione di carattere figurativo, contenuta all’interno del perimetro di una cornice e la rappresentazione teatrale protetta dall’architettura del boccascena?
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L’Orlando Furioso per la televisione (1975), con Ottavia Piccolo ed Edmonda Aldini
Sono stati fatti tentativi per rispondere a questo interrogativo, ma forse non è ancora stata fatta, assecondando le conoscenze di chi scrive, una disamina del problema alla luce del più ampio lavoro di Luca Ronconi. Questi non ha mancato, nelle sue regie, non solo di rifarsi all’arte figurativa (come in Arianna di Nasso, Teatro alla Scala, 2000) ma anche di inserire vere e proprie cornici all’interno del boccascena, come – appunto – in Tosca.
La scelta non è così recente, ma può sicuramente esser fatta risalire a La Valchiria (Teatro alla Scala, 1974), Sigfrido (Teatro alla Scala, 1975), Nabucco (Teatro Comunale di Firenze, 1977). In tutte queste opere cornici d’ordine figurativo subentrano a cornici teatrali.
Memorabile, ma di diverso segno, la rappresentazione del Calderòn al Teatro Metastasio del 1979, in cui fu riprodotto Las Meninas.
Dalle damigelle di Velazquez, passando per un intero ciclo dedicato al celebre dipinto di Pablo Picasso, sino al Calderòn di Luca Ronconi e Pier Paolo Pasolini. Se quella di Picasso è paragonabile ad una rivoluzione, l’operazione attuata dal regista teatrale non è da meno; in quanto obbliga a ripensare la scena nei suoi rapporti e nelle sue differenze nei rispetti dell’arte figurativa.
*
Ma dove, sempre nell’avviso di chi scrive, la riflessione ha toccato il suo culmine? Questo è accaduto quando il regista si è trovato ad avere a che fare con il Palazzo Farnese di Caprarola e la resa televisiva dell’Orlando. È allora che l’uomo e l’artista hanno intessuto un fitto dialogo con l’ambiente circostante: la parete affrescata della scala regia, le cornici delle finestre e delle porte, l’assetto architettonico e… last but not least… La Sala del Mappamondo.
Questi fatti richiedono un serio studio, al quale qui si è solo voluto accennare, che unisca le competenze di cultori di belle arti come di studiosi di teatro, di lettere, di architettura e di cartografia. Uno studio che ponga al centro della riflessione i diversi rapporti e ordini della rappresentazione.
Agnese Azzarelli
*In copertina: la “Tosca” secondo Luca Ronconi va in scena alla Scala di Milano il 4 luglio 1997; la scenografia è di Margherita Palli
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Grimner, più potenti che mai
I GRIMNER tornano più potenti che mai. Questa volta hanno aggiunto il metal al folk metal. Le loro radici e le loro influenze del death metal svedese e il loro amore per l’heavy e il power metal si intrecciano con incantevoli melodie folk e cori pagani per creare ancora una volta il loro suono unico, il tutto cantato nella loro lingua madre, lo svedese, come sempre.
“Helvandrarna” (traducibile come “I camminatori dell’inferno”) è il secondo singolo dei GRIMNER, tratto dal quarto disco in studio “Urfader”. Il suono nuovo e fresco di quest’album trasmette davvero ciò che i GRIMNER sono. Riff di chitarra incalzanti, un mix di potenti voci pulite e roche, una batteria martellante, il tutto mescolato con bellissimi e distinti flauti e altri strumenti folk, creano un’atmosfera che si adatta ai racconti degli antichi dei norreni e del folklore.
“Non abbiamo mai messo così tanto impegno nella produzione di un album in precedenza. Davvero, sangue, sudore e lacrime sono stati impiegati per rendere questo disco ciò che è diventato e siamo felici di condividerlo con il mondo. Nel bel mezzo di una pestilenza mondiale, abbiamo lavorato più duramente che mai per portare al mondo qualcosa di cui siamo estremamente orgogliosi. ‘Urfader’ ha richiesto molto da noi, e tutta l’energia e la passione che abbiamo messo in questo disco si può certamente sentire in ogni canzone. Sono passati quasi cinque anni dalla nostra precedente uscita. Il tempo trascorso su questo album non è stato inutile. In questi ultimi anni abbiamo lavorato meticolosamente su ogni dettaglio per creare quella che consideriamo la nostra più grande raccolta di canzoni fino ad oggi ”.
L’artwork del disco è stato realizzato da Henrik Rosenborg. L’album è stato registrato e mixato da Jakob Hermann ai Top Floor Studios, mentre della masterizzazione si è occupato Jacob Hansen agli Hansen Studios.
La tracklist di “Urfader” è la seguente: Hämtad Av Valkyrior Där Fröet Skall Spira Västerled Ulvhednars Natt Ur Vågorna Helvandrarna Elftevisan Glöd Ivaldes Söner En Sista Sköldborg Tiundaland
I GRIMNER, fondati nel 2008, dimostrano che il passato, fatto di anni di silenzio e pandemie, non è stato inutile: silenzio significa lavoro. Sulla scia di una pestilenza, i GRIMNER riemergono segnati dalla battaglia per portare al mondo nuovi brani e racconti, ispirati come sempre agli antichi miti nordici e alla storia. Allo stesso tempo, questo album aggiunge sicuramente qualcosa di speciale al genere.
Tutto è iniziato nella città svedese di Motala ad opera del chitarrista e cantante Ted insieme al batterista Henry. Il primo demo “A Call For Battle” (2010) era cantato in inglese, ma fu presto sostituito dalla loro lingua madre, lo svedese. Con l’avanzare del tempo e la pubblicazione di nuovi dischi [l’EP “Färd” (2012), l’EP acustico “De Kom Från Norr” (2015), l’album “Blodshymner” (2014)], i GRIMNER si sono fatti rapidamente un nome, suonando anche di supporto nel tour dei leggendari Korpiklaani in Svezia nel 2015.
Nel 2016 i GRIMNER hanno pubblicato l’apprezzato album “Frost Mot Eld” (Despotz Records), che ha portato un suono totalmente nuovo alla comunità musicale. L’album ha ricevuto recensioni eccezionali in tutto il mondo, con canzoni che ad oggi hanno raggiunto milioni di streaming. Grazie all’album e al loro fantastico concept generale, i GRIMNER sono stati invitati a esibirsi sui palchi dei festival di tutta Europa. Nel 2018 la band ha festeggiato il suo decimo anniversario e il 9 febbraio ha pubblicato il nuovo disco “Vanadrottning” (Despotz Records).
GRIMNER sono: Ted Sjulmark – Voce, chitarra Martin Boe – Voce, chitarra David Fransson – Basso, cori Johan Rydberg – Flauto, mandola Kristoffer Kullberg – Tastiere Henry Persson – Batteria
GRIMNER online: www.facebook.com/Grimnerswe www.instagram.com/grimnerband/ https://spoti.fi/3RweWVz www.grimner.bandcamp.com www.grimnerband.com
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Qualifiche MotoGP: pole di Marquez, secondo Zarco e terzo Binder
Qualifiche MotoGP: pole di Marquez, secondo Zarco e terzo Binder. È stata una qualifica all’insegna della pioggia sulla pista giapponese di Motegi. Il temporale rovina le sessioni di tutte le categorie: viene cancellata la FP3 della MotoGP e viene interrotta la qualifica della Moto2 a 10 minuti dalla fine con una bandiera rossa. Le qualifiche della MotoGP iniziano con un’ora di ritardo. Si inizia con la consueta Q1 che tiene conto dei risultati delle prove libere del sabato. I piloti scendono in pista e continuano a girare senza mai fermarsi ai box, essendo la pista completamente bagnata, per cercare di trovare il feeling con la moto. Il taglio del Q1 lo passano Johan Zarco e Jorge Martin, compagni di squadra nel team Ducati Pramac. Bezzecchi, del team di Valentino Rossi, è tredicesimo. Solo quindicesima posizione sulla griglia di partenza per Enea Bastianini, vincitore della gara precedente ad Aragon, protagonista di una scivolata. Il Q2 va in scena sulla falsa riga del Q1: i piloti scendono in pista e continuano a girare per trovare confidenza sulla pista che è in condizioni precarie. Sono tutti appesi su filo; è la sensibilità del pilota che deve fare la differenza. In condizioni del genere è Marquez su Honda a firmare la pole position in 1’55”214, davanti a Zarco su Ducati e Binder su Ktmcon un distacco di tre decimi. Nona posizione per il leader del mondiale Fabio Quartararo su Yamaha e dodicesima posizione per Pecco Bagnaia, complici i numerosi errori che non gli hanno permesso di siglare un tempo degno di nota accumulando un distacco di oltre due secondi. Domani sarà una gara tutta da vivere, con i leader del mondiale che partiranno indietro sulla griglia cercando di risalire al vertice e lottare per le posizioni che contano, sperando in condizioni diverse da quelle di oggi. Marquez è tornato e alla seconda gara si mette subito là davanti e chissà se riuscirà a riconfermarsi anche in gara. Una cosa è certa, il Giappone regala spettacolo.... Read the full article
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"proponeisis", di johan jönson: per centroscritture, gustav sjöberg traduce e intervista l'autore
Oggi pomeriggio, alle 18, nuova lezione al CentroScritture (online su Zoom): nel contesto degli incontri sugli autori non italiani, studieremo la ricerca letteraria in Svezia, insieme a Gustav Sjöberg, attraverso il libro ProponeisiS, di Johan Jönson (2021).Tutto il programma su https://www.centroscritture.it/corsi
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