Tumgik
#oggi johan
Photo
Tumblr media
PRIMA PAGINA De Morgen di Oggi sabato, 21 settembre 2024
0 notes
angelap3 · 2 months
Text
Tumblr media
Questa scultura ha a che fare con il mito che spiega la creazione della Via Lattea.
La Via Lattea per i Greci rappresentava del latte perso da Era (Giunone per i Romani) mentre allattava Ercole, che versandosi si sparse nel cielo. Ercole, infatti, era figlio di Zeus e della mortale Alcmenala la quale, per paura di ritorsioni da parte della consorte del re degli dèi, lo abbandonò subito dopo la nascita.
Zeus, che teneva molto al neonato, fece in modo con la complicità di Atena che la moglie stessa lo trovasse fra i campi. Era, inteneritasi, prese immediatamente ad allattarlo rendendolo immortale. Mentre lo allattava, alcune gocce del suo latte finirono sulla volta celeste.
Il termine galassia, che designa oggi ogni gigantesco agglomerato di gas e stelle come la via Lattea, deriva proprio dal greco γάλα, latte, e rimanda direttamente a questo mito.
“Era che allatta Ercole” di Johan Niclas Byström (1783-1848)
Palazzo Reale di Stoccolma, Svezia.
58 notes · View notes
enzomartinelli · 6 months
Text
JS Bach 🎼🎶🇮🇹
In occasione del 339° anniversario della nascita di Johan Sebastian Bach, nato nel 1685 Oggi ricorre l’anniversario della nascita di uno dei compositori più influenti della storia della musica classica, Johann Sebastian Bach. Nato il 21 marzo 1685, a Eisenach, in Germania, il genio musicale di Bach continua a ispirare e affascinare il pubblico di tutto il mondo, anche secoli dopo la sua…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Svezia, '522 milioni di euro a favore dell'Ucraina'
(ANSA-AFP) – STOCCOLMA, 17 LUG – Il governo svedese si è impegnato oggi a destinare sei miliardi di corone (circa 522 milioni di euro) in aiuti per ricostruire l’Ucraina e facilitare le riforme per aprire la strada all’adesione all’Ue.     Il ministro della Cooperazione internazionale allo sviluppo, Johan Forsell, ha dichiarato che i fondi – che saranno distribuiti tra il 2023 e il 2027 – fanno…
View On WordPress
0 notes
rallytimeofficial · 1 year
Text
Rosberg X Racing vince anche il secondo round dell’Island X Prix in Sardegna e riapre la lotta per il titolo nell’Extreme E
🔴🔴 Rosberg X Racing vince anche il secondo round dell’Island X Prix in Sardegna e riapre la lotta per il titolo nell’Extreme E
Dopo aver siglato il successo nel primo Island X Prix, disputato ieri, oggi il Rosberg X Racing ha trionfato anche nel secondo round della tappa tricolore dell’Extreme E, un doppio appuntamento co-organizzato dall’Automobile Club d’Italia con la partnership della Regione Sardegna che ha permesso agli svedesi Johan Kristoffersson e Mikaela Ålhin-Kottulinsky di riaprire la stagione 2023. Il…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
personal-reporter · 1 year
Text
Peyo, papà del Puffi
Tumblr media
Il creatore dei piccoli gnomi blu, amatissimi da grandi e piccoli… Pierre Andrè Gabriel Culliford nacque a Schaerbeek, un comune della Regione di Bruxelles, il 25 giugno 1928 da Richard Jean Maurice Culliford di origine inglese e Marguerite Marie Kulinckx, belga. Appassionato di fumetti,Culliford si avvicinò all’editoria poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, dopo aver fatto vari lavori saltuari, incluso quello di proiezionista, e all'età di 17 anni divenne colorista presso lo studio di animazione CBA, frequentando artisti quali Morris, André Franquin e Eddy Paape che diventeranno suoi colleghi nella storica rivista Spirou. Peyo scelse il suo pseudonimo dalla parola francese Pierrot, che era stata mal pronunciata da un cugino inglese. Nel 1952  debuttò su Spirou introdotto da Franquin, occupato con il fumetto più importante del settimanale, dove reimpostò in modo innovativo una vecchia serie che aveva già sperimentato dal 1949 su Le Soir, raccontando le avventure medievali e fiabesche del giovane Johan e lo affiancò con successo per la prima volta al piccolo e vivace Solfamì, che divenne il protagonista. Fu nel 1958 che debuttarono i Puffi il cui immenso successo non impedì a Peyo di concentrarsi anche su altre creazioni come Benoit Brisefer e Jacky et Célestin , del quale fu solamente sceneggiatore. I Puffi sono piccole creature blu che vivono in una foresta, che debuttarono come personaggi secondari del fumetto John & Solfami. Questi esserini blu sono molto simili tra loro, per il colore della pelle, pantaloni e cappello bianchi: variano solo in qualche accessorio personale per indicarne il mestiere, il carattere, la personalità da cui deriva il nome proprio del singolo puffo. C’è per esempio Puffo Vanitoso, con un fiore sul cappello e lo specchio sempre in mano, Puffo Quattrocchi, che contesta tutto, finisce sempre con l’essere buttato fuori dal villaggio con un calcio nel sedere, Puffo Burlone, che regala a i Puffi dei pacchi esplosivi, Puffo Pigrone, che dorme sempre, Puffo Tontolone, che ha sempre la testa fra le nuvole, Puffetta, dai lineamenti delicati, capelli biondi e lunghi e le scarpe con il tacco e  Grande Puffo,  capo della comunità, ha 546 anni, porta una barba bianca e ha i pantaloni ed il cappello rossi. A turbare la vita nel villaggio dei Puffi è Gargamella, uno stregone, che vive in un castello in rovina ai margini della foresta,  accompagnato dalla sua gatta Birba. Nel 1959 Peyo aveva cominciato a occuparsi di disegni animati, realizzando sette episodi con i Puffi tramite lo studio TVA Dupuis, che furono la base per un lungo ciclo televisivo, in onda dal 1981. Realizzato per la rete americana NB Cin coproduzione con la famosissima casa americana Hanna-Barbera e la S.E.P.P. Creata la propria società, Cartoon Creation, nel 1989 Peyo lanciò la rivista Schtroumpfs, a cui seguì la realizzazione di un parco tematico vicino a Metz, a Hagondange, che dal 1991 prende il nome di Walibi-Schtroumpfs, mentre le sue storie dei Puffi si spostavano su un piano sempre più satirico, con temi come la guerra, lo sport, l’adolescenza e lo stare al passo con i tempi. Peyo morì a Bruxelles per un infarto il 24 dicembre 1992, ma i Puffi continuano a vivere ancora oggi, grazie al lavoro dei suoi collaboratore, guidati dal figlio del disegnatore belga Alain. Read the full article
0 notes
marcogiovenale · 1 year
Text
"proponeisis", di johan jönson: per centroscritture, gustav sjöberg traduce e intervista l'autore
Oggi pomeriggio, alle 18, nuova lezione al CentroScritture (online su Zoom): nel contesto degli incontri sugli autori non italiani, studieremo la ricerca letteraria in Svezia, insieme a Gustav Sjöberg, attraverso il libro ProponeisiS, di Johan Jönson (2021).Tutto il programma su https://www.centroscritture.it/corsi
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
tempi-dispari · 2 years
Photo
Tumblr media
New Post has been published on https://www.tempi-dispari.it/2022/10/28/grimner-piu-potenti-che-mai/
Grimner, più potenti che mai
I GRIMNER tornano più potenti che mai. Questa volta hanno aggiunto il metal al folk metal. Le loro radici e le loro influenze del death metal svedese e il loro amore per l’heavy e il power metal si intrecciano con incantevoli melodie folk e cori pagani per creare ancora una volta il loro suono unico, il tutto cantato nella loro lingua madre, lo svedese, come sempre.
��Helvandrarna” (traducibile come “I camminatori dell’inferno”) è il secondo singolo dei GRIMNER, tratto dal quarto disco in studio “Urfader”. Il suono nuovo e fresco di quest’album trasmette davvero ciò che i GRIMNER sono. Riff di chitarra incalzanti, un mix di potenti voci pulite e roche, una batteria martellante, il tutto mescolato con bellissimi e distinti flauti e altri strumenti folk, creano un’atmosfera che si adatta ai racconti degli antichi dei norreni e del folklore.
“Non abbiamo mai messo così tanto impegno nella produzione di un album in precedenza. Davvero, sangue, sudore e lacrime sono stati impiegati per rendere questo disco ciò che è diventato e siamo felici di condividerlo con il mondo. Nel bel mezzo di una pestilenza mondiale, abbiamo lavorato più duramente che mai per portare al mondo qualcosa di cui siamo estremamente orgogliosi. ‘Urfader’ ha richiesto molto da noi, e tutta l’energia e la passione che abbiamo messo in questo disco si può certamente sentire in ogni canzone.  Sono passati quasi cinque anni dalla nostra precedente uscita. Il tempo trascorso su questo album non è stato inutile. In questi ultimi anni abbiamo lavorato meticolosamente su ogni dettaglio per creare quella che consideriamo la nostra più grande raccolta di canzoni fino ad oggi ”.
L’artwork del disco è stato realizzato da Henrik Rosenborg. L’album è stato registrato e mixato da Jakob Hermann ai Top Floor Studios, mentre della masterizzazione si è occupato Jacob Hansen agli Hansen Studios.
La tracklist di “Urfader” è la seguente: Hämtad Av Valkyrior Där Fröet Skall Spira Västerled Ulvhednars Natt Ur Vågorna Helvandrarna Elftevisan Glöd Ivaldes Söner En Sista Sköldborg Tiundaland
I GRIMNER, fondati nel 2008, dimostrano che il passato, fatto di anni di silenzio e pandemie, non è stato inutile: silenzio significa lavoro. Sulla scia di una pestilenza, i GRIMNER riemergono segnati dalla battaglia per portare al mondo nuovi brani e racconti, ispirati come sempre agli antichi miti nordici e alla storia. Allo stesso tempo, questo album aggiunge sicuramente qualcosa di speciale al genere.
Tutto è iniziato nella città svedese di Motala ad opera del chitarrista e cantante Ted insieme al batterista Henry. Il primo demo “A Call For Battle” (2010) era cantato in inglese, ma fu presto sostituito dalla loro lingua madre, lo svedese. Con l’avanzare del tempo e la pubblicazione di nuovi dischi [l’EP “Färd” (2012), l’EP acustico “De Kom Från Norr” (2015), l’album “Blodshymner” (2014)], i GRIMNER si sono fatti rapidamente un nome, suonando anche di supporto nel tour dei leggendari Korpiklaani in Svezia nel 2015.
Nel 2016 i GRIMNER hanno pubblicato l’apprezzato album “Frost Mot Eld” (Despotz Records), che ha portato un suono totalmente nuovo alla comunità musicale. L’album ha ricevuto recensioni eccezionali in tutto il mondo, con canzoni che ad oggi hanno raggiunto milioni di streaming. Grazie all’album e al loro fantastico concept generale, i GRIMNER sono stati invitati a esibirsi sui palchi dei festival di tutta Europa. Nel 2018 la band ha festeggiato il suo decimo anniversario e il 9 febbraio ha pubblicato il nuovo disco “Vanadrottning” (Despotz Records).
GRIMNER sono: Ted Sjulmark – Voce, chitarra Martin Boe – Voce, chitarra David Fransson – Basso, cori Johan Rydberg – Flauto, mandola Kristoffer Kullberg – Tastiere Henry Persson – Batteria
GRIMNER online: www.facebook.com/Grimnerswe www.instagram.com/grimnerband/ https://spoti.fi/3RweWVz www.grimner.bandcamp.com www.grimnerband.com
0 notes
L'estetica senza etica è cosmetica
Fin da bambino ho sempre avuto una particolare predisposizione per la fotografia; pensate che, benché i miei mi riempissero di attenzioni e di giocattoli, i due due “giochi” che preferivo erano la vecchia reflex e la videocamera di mio padre. Ho passato ore ed ore a giocare con questi due strumenti tanto complessi per me e allo stesso tempo tanto affascinanti, al punto che, oltre ad averli distrutti, ancora oggi quando vedo una fotocamera o una videocamera impazzisco. La fotografia... che mondo affascinante e complesso; ancora più affascinante quando diventa oggetto di una performance. L’artista di cui voglio parlare oggi è venuto a mancare da poco, e nello stesso tempo ha vissuto l’intera esistenza nell’ombra dell’ex compagna, ma, dal mio punto di vista, è stato ideatore di qualcosa di innovativo e geniale. 
Tumblr media
Frank Uwe Laysiepen, in arte Ulay, nasce durante il secondo conflitto mondiale, sotto le bombe degli alleati, figlio di un gerarca nazista. Resta orfano precocemente rimanendo totalmente privo di legami familiari. Come molti suoi coetanei, cresce con il senso di colpa per i padri nazisti e nella tensione provocata dallo smembramento del paese, diviso in due fra territori filo-occidentali (la Germania Ovest) e filo-sovietici (la Germania Est). Vive quindi in maniera conflittuale le proprie origini, tanto da arrivare alla rinuncia del nome e della nazionalità tedesca.Alla fine degli anni sessanta l'insofferenza verso il proprio paese lo spinge ad allontanarsi, lascia la moglie e un figlio piccolo e si trasferisce ad Amsterdam, attratto dal movimento olandese Provo di ispirazione anarchica. Si iscrive alla Kölner Werkschulen di Colonia dove conosce Jürgen Klauke, artista fotografo con cui avvia una collaborazione ispirandosi ai lavori di Pierre Molinier, Hans Bellmer e Hannah Wilke. Presto Ulay inizia a provare interesse per discipline non previste nell'offerta formativa dell'università scelta, pertanto abbandona gli studi per avvicinarsi alla fotografia analogica e all'uso artistico della Polaroid. Intraprende una ricerca sulle nozioni di identità e corpo, documenta la cultura di travestiti e transessuali attraverso foto, aforismi e performance. Progressivamente l'approccio alla fotografia diventa sempre più complesso: l'espressione fotografica viene messa in stretto rapporto con la live performance come nella serie Fototot e in There is a Criminal Touch To Art, entrambe del 1976. 
Tumblr media
Lo stesso anno alla Galleria de Appel di Amsterdam conosce Marina Abramović, invitata a esibirsi per un programma televisivo dedicato alla performance; è il 30 novembre, data di nascita di entrambi. Tra i due nasce subito un'intesa artistica che sfocia in una profonda e travagliata relazione sentimentale. Realizzano insieme una serie di performances dal titolo Relation Works, una forma estrema di body art, che li porta ad esplorare i limiti della resistenza fisica e psichica. Dopo 12 anni di amore e di sodalizio artistico, decidono di lasciarsi e di sancire la fine del loro rapporto con un'ultima performance, The Wall Walk in China: entrambi percorrono a piedi tutta la grande muraglia cinese partendo dai capi opposti per incontrarsi al centro e dirsi addio. Seguono anni di ostilità e battaglie legali circa i diritti d'autore della produzione artistica: Ulay denuncia Marina per aver venduto autonomamente opere appartenenti ad entrambi. Nel settembre 2016 il giudice gli dà ragione e costringe Marina a versare 250 mila euro all'ex partner per violazione di un contratto firmato nel 1999, che regolamentava l'uso dei lavori realizzati insieme fra il 1976 e il 1988. Dopo la fine della relazione, Ulay concentra la propria attività sul mezzo fotografico affrontando il tema dell'emarginazione e ritornando su quello del nazionalismo. Nel 2009 si trasferisce da Amsterdam a Lubiana; qualche mese più tardi gli viene diagnosticato un cancro. Dopo una serie di trattamenti chemioterapici che migliorano il suo stato di salute, decide di partire con una troupe per visitare i luoghi più importanti della sua vita e incontrare compagni e amici per un ultimo saluto. Da fine 2011 la telecamera lo segue per un anno intero, dall'Istituto di Oncologia di Lubiana fino a Berlino, a New York e alla Amsterdam della sua giovinezza. Ulay tratta la malattia come il più grande e più importante progetto della sua vita, un'occasione per interrogarsi sulla natura della vita, dell'amore, della storia e dell'arte, e per raccontare la propria carriera attraverso interviste, video di archivio, fotografie e riproduzioni dei suoi principali lavori. Ne scaturisce un documentario uscito nel 2013, intitolato Project Cancer, diretto da Damjan Kozole. Durante tutta la carriera rimane fedele al proprio motto: "L'estetica senza etica è cosmetica". Preferisce lavorare senza compromessi, rigoroso e coerente, anche a costo di rimanere ai margini del mercato. Insegnava New Media Art presso l'Università di Arte e Design di Karlsruhe in Germania. Lavorava tra Amsterdam e Lubiana, città dove viveva da 10 anni. Muore il 2 marzo 2020 all'età di 76 anni a causa di un linfoma, conseguente al tumore diagnosticatogli undici anni prima. 
Tumblr media Tumblr media
“Senza distruzione non c’è creazione e la sua performance ne è letteralmente un esempio: creare fotografie con lo scopo di distruggerle come parte di un’opera d’arte”, scrive Noah Charney in Il museo dell’arte perduta (tr. it. Irene Inserra e Marcella Mancini, Johan & Levi 2019). Da una parte Charney accosta Fototot alla scena iniziale de Il libro del riso e dell’oblio di Milan Kundera, dall’altra evoca Fototot II, remake del 2012 in cui la galleria viene immersa in un buio pesto. Opera concettuale e post-situazionista, Ulay realizza una sorta di polaroid all’inverso, un medium di cui è stato uno dei primi artisti a servirsi. Il titolo lo riprende da un film-performance di Claes Oldenburg, Fotodeath (1961, 16mm). Estate 1976. Gli spettatori sono invitati a entrare nella galleria de Appel di Amsterdam, uno spazio cieco fondato appena un anno prima. Su tre pareti, sopra la testa della ventina di spettatori, campeggiano nove fotografie in bianco e nero di 1 m x 1 m. Banale il soggetto: una persona intabarrata nel suo cappotto evolve su un viale alberato; è quanto perlomeno s’intravede nella tenue luce giallo-verde, simile a quella utilizzata in camera oscura. Quando la porta della galleria viene chiusa, si accende una lampada ad alogeno. Quello che accade lascia basiti gli spettatori: hanno appena il tempo di cogliere il soggetto che, nell’arco di 15-20 secondi, le stampe fotografiche si anneriscono e svaniscono. In questo modo fanno esperienza di quello che il titolo funereo della performance – Fototot I – promette a chiare lettere: la morte della fotografia o meglio la morte dell’oggettività fotografica, il disvelamento dell’immagine fotografica come mera illusione. Gli spettatori restano soli con queste stampe di grandi dimensioni, monocromi neri che incombono su di loro.
Valerio Hank Vitale
18 notes · View notes
chiamatemefla · 5 years
Text
Cronache da ipfp
Il mio turno finisce alle 22
Per me alle 21:57 è già vacanza: ho chiuso la cassa, ho contato i soldi, ho dato le dritte al guardiano notturno e mi sto apprestando a spegnere il computer per scappare a casa a fingere di star sveglia almeno fino alle 23.
Poi, all'improvviso, arriva Lui: biondo, orecchinato, over cinquanta con i bermuda e le infradito, l'aria persa ed un iPhone in mano.
Prendo un gran respiro: anche oggi si fa mezz'ora di straordinario non pagato. Tiriamo avanti.
Mostra tentennante una prenotazione sul suddetto telefono e la mia mente ottenebrata dal sonno, dalla fame e dall'idea della pizza che mi aveva preparato il Yasser, vedendo puntini sopra alle vocali parte col tedesco.
Panico per lui
Panico per me
Mannaggia a Raikkonen vai a vedere che è FINLANDESE! mi dico.
Il signor Johan sospira e in inglese stentato dice "I do not speak..." cerca la parola che non viene e poi esala "TYSKA..."
MOMENTO RIVELAZIONE
Domanda da millemila corone
"Ma sei svedese?" chiedo in un Norvegese che voleva fingersi altro ma che rimane norvegese parlato male.
Annuisce solo.
Comunichiamo non so come e alle 22:03 ho finito il check-in
Collega e guardiano mi guardano come a dire "Ma in che senso?" ed io altrettanto.
Non so cosa ho detto
Forse ho continuato a parlare tedesco senza accorgermene. Nel dubbio buonanotte.
9 notes · View notes
pangeanews · 5 years
Text
Viva la “Tosca”, certo. Occorre tornare alla “Tosca” di Luca Ronconi, però, per capire alcuni problemi sulla rappresentazione teatrale
Non andrò a ripercorrere la genesi della Tosca, che vide Margherita Palli quale scenografa e Luca Ronconi regista. Mi concentrerò su di un aspetto. Oggi non si fa che parlare di cornici, rifacendosi a tutta una tradizione che va da Simmel a Stoichita, da Ortega y Gasset ad Ernst Bloch. E così Johan & Levi ha recentemente pubblicato un volume sull’argomento e si attende l’uscita del nuovo numero di Fata Morgana, Quadrimestrale di cinema e visioni, proprio sulla cornice.
Eppure di Ernst Bloch sembra essere sfuggito un passo, contenuto nei meandri delle sue Tracce. Lo riporto come segue: «Siamo a teatro, le candele bruciano sul tavolo nell’ultimo atto del Wallenstein, Wallenstein sottoscrive il contratto con Wrangel: le candele e il tavolo sono veramente candele e tavolo, non recitano. Non erano certo gli stessi, ma candele e tavolo non erano diversi nel momento in cui il Wallenstein reale sottoscrisse l’accordo con il generale reale. Gli uomini di oggi intorno alle candele e al tavolo, insomma i protagonisti di oggi, sono invece degli attori; come mai non si produce alcuna rottura, come mai lo spettatore non sente, illusione per illusione, la differenza di piani esistente in relazione a ciò che viene fatto o preso sul serio? Allora anche le cose recitano?».
Come può questo passo non interrogare la differenza tra una rappresentazione di carattere figurativo, contenuta all’interno del perimetro di una cornice e la rappresentazione teatrale protetta dall’architettura del boccascena?
*
L’Orlando Furioso per la televisione (1975), con Ottavia Piccolo ed Edmonda Aldini
Sono stati fatti tentativi per rispondere a questo interrogativo, ma forse non è ancora stata fatta, assecondando le conoscenze di chi scrive, una disamina del problema alla luce del più ampio lavoro di Luca Ronconi. Questi non ha mancato, nelle sue regie, non solo di rifarsi all’arte figurativa (come in Arianna di Nasso, Teatro alla Scala, 2000) ma anche di inserire vere e proprie cornici all’interno del boccascena, come – appunto – in Tosca.
La scelta non è così recente, ma può sicuramente esser fatta risalire a La Valchiria (Teatro alla Scala, 1974), Sigfrido (Teatro alla Scala, 1975), Nabucco (Teatro Comunale di Firenze, 1977). In tutte queste opere cornici d’ordine figurativo subentrano a cornici teatrali.
Memorabile, ma di diverso segno, la rappresentazione del Calderòn al Teatro Metastasio del 1979, in cui fu riprodotto Las Meninas.
Dalle damigelle di Velazquez, passando per un intero ciclo dedicato al celebre dipinto di Pablo Picasso, sino al Calderòn di Luca Ronconi e Pier Paolo Pasolini. Se quella di Picasso è paragonabile ad una rivoluzione, l’operazione attuata dal regista teatrale non è da meno; in quanto obbliga a ripensare la scena nei suoi rapporti e nelle sue differenze nei rispetti dell’arte figurativa.
*
Ma dove, sempre nell’avviso di chi scrive, la riflessione ha toccato il suo culmine? Questo è accaduto quando il regista si è trovato ad avere a che fare con il Palazzo Farnese di Caprarola e la resa televisiva dell’Orlando. È allora che l’uomo e l’artista hanno intessuto un fitto dialogo con l’ambiente circostante: la parete affrescata della scala regia, le cornici delle finestre e delle porte, l’assetto architettonico e… last but not least… La Sala del Mappamondo.
Questi fatti richiedono un serio studio, al quale qui si è solo voluto accennare, che unisca le competenze di cultori di belle arti come di studiosi di teatro, di lettere, di architettura e di cartografia. Uno studio che ponga al centro della riflessione i diversi rapporti e ordini della rappresentazione.
Agnese Azzarelli
*In copertina: la “Tosca” secondo Luca Ronconi va in scena alla Scala di Milano il 4 luglio 1997; la scenografia è di Margherita Palli
L'articolo Viva la “Tosca”, certo. Occorre tornare alla “Tosca” di Luca Ronconi, però, per capire alcuni problemi sulla rappresentazione teatrale proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/345Unpf
1 note · View note
lamilanomagazine · 2 years
Text
Qualifiche MotoGP: pole di Marquez, secondo Zarco e terzo Binder
Tumblr media
Qualifiche MotoGP: pole di Marquez, secondo Zarco e terzo Binder.   È stata una qualifica all’insegna della pioggia sulla pista giapponese di Motegi. Il temporale rovina le sessioni di tutte le categorie: viene cancellata la FP3 della MotoGP e viene interrotta la qualifica della Moto2 a 10 minuti dalla fine con una bandiera rossa. Le qualifiche della MotoGP iniziano con un’ora di ritardo. Si inizia con la consueta Q1 che tiene conto dei risultati delle prove libere del sabato. I piloti scendono in pista e continuano a girare senza mai fermarsi ai box, essendo la pista completamente bagnata, per cercare di trovare il feeling con la moto. Il taglio del Q1 lo passano Johan Zarco e Jorge Martin, compagni di squadra nel team Ducati Pramac. Bezzecchi, del team di Valentino Rossi, è tredicesimo. Solo quindicesima posizione sulla griglia di partenza per Enea Bastianini, vincitore della gara precedente ad Aragon, protagonista di una scivolata. Il Q2 va in scena sulla falsa riga del Q1: i piloti scendono in pista e continuano a girare per trovare confidenza sulla pista che è in condizioni precarie. Sono tutti appesi su filo; è la sensibilità del pilota che deve fare la differenza. In condizioni del genere è Marquez su Honda a firmare la pole position in 1’55”214, davanti a Zarco su Ducati e Binder su Ktmcon un distacco di tre decimi. Nona posizione per il leader del mondiale Fabio Quartararo su Yamaha e dodicesima posizione per Pecco Bagnaia, complici i numerosi errori che non gli hanno permesso di siglare un tempo degno di nota accumulando un distacco di oltre due secondi. Domani sarà una gara tutta da vivere, con i leader del mondiale che partiranno indietro sulla griglia cercando di risalire al vertice e lottare per le posizioni che contano, sperando in condizioni diverse da quelle di oggi. Marquez è tornato e alla seconda gara si mette subito là davanti e chissà se riuscirà a riconfermarsi anche in gara. Una cosa è certa, il Giappone regala spettacolo.... Read the full article
0 notes
marcogiovenale · 2 years
Text
"proponeisis", di johan jönson: per centroscritture, gustav sjöberg traduce e intervista l'autore
Oggi pomeriggio, alle 18, nuova lezione al CentroScritture (online su Zoom): nel contesto degli incontri sugli autori non italiani, studieremo la ricerca letteraria in Svezia, insieme a Gustav Sjöberg, attraverso il libro ProponeisiS, di Johan Jönson (2021).Tutto il programma su https://www.centroscritture.it/corsi
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
Text
24 Marzo 2021
Oggi nasceva il grande e soprattutto unico Dario Fo, a mio parere una delle più grandi menti italiane
E invece moriva colui che anche da me stesso viene considerato uno dei migliori calciatori di tutti i tempi con nulla da invidiare anche a Maradona e Pelè: Johan Cruijff
Entrambe due grandi perdite per il mondo :(
0 notes
patrizio-ag · 4 years
Photo
Tumblr media
#disponibile su #gumroad in #paywhatyouwant https://gumroad.com/products/LnPmt/edit Uno dei più famosi studiosi del gioco come oggetto di ricerca delle #scienzeumane resta, anche a distanza di quasi un  secolo, Johan #Huizinga con il suo lavoro «#Homoludens». Ancora oggi Huizinga si ritrova citato in qualsiasi lavoro di ricerca scritto con serie intenzioni. È però molto meno #contestualizzato e #analizzato nelle sue concezioni fondamentali, cosa che spesso può portare a prendere per buona ogni cosa lasciata scritta. In questo breve articolo espongo in modo oggettivo la posizione di Huizinga di fronte al fenomeno #ludico in genere, mostrando anche le sue basi #filosofiche nel tentativo di illustrare come evitare le incomprensioni. https://www.instagram.com/p/CF1k-KaoImJ/?igshid=y389b380ixfs
0 notes
babivilla · 7 years
Text
TUTTO ARRIVA NEL MOMENTO PERFETTO, NON UN ATTIMO PRIMA, NE UNO DOPO...STA A TE VIVERLO!
Ore 6,45 Dopo aver dribblato con classe una terrificante comitiva over 60 di Chiara provenienza sarda al buffet della colazione (sono riuscita e sembrare cordiale e gentile senza aprire bocca mezza volta e non rivelare la mia provenienza, tra questi e i giappi Mata Hari me spiccia casa) mi sono diretta al centro visitatori di Petra che dista BEN 300 mt dal mio hotel, tenendo incrociate le dita di mani e piedi nella speranza che il sito fosse aperto nonostante la pioggia notturna. E dal tornello d'ingresso in poi c'è stato solo silenzio, il rumore dei miei passi, ed i miei occhi umidi di commozione nell'altra restare il siq da sola. Non sapevo dove dirigere lo sguardo, mi sembrava davvero di camminare dentro al set di un film: le due pareti di roccia rossa che in alcuni punti quasi si toccano, la strada pavimentata da secoli, gli alberi cresciuti nelle spaccature, il cielo azzurro in alto tra i due bordi di pietra lavata di fresco, ed ogni tanto in lontananza una vetta illuminata dal sole. 2km di emozioni durate un attimo, e all'improvviso da una fenditura e' apparso IL TESORO, il respiro mi si è rotto per un attimo e sono rimasta incantata a bocca aperta a guardarlo per 5 minuti buoni, gli occhi si sono soffermati sulle colonne perfette, i capitelli ed il frontone squisitamente decorati, i bordi taglienti delle cornici, le foglie d'acanto, i segni lasciati nella roccia dagli scalpellini...non esistono parole per l'emozione, mi dispiace... E sarà stato questa perdita di controllo che mi ha fatto dire sì ad una guida beduina, Issah, con gli occhi bistrati di kohl, la pelle scura e la kefiah, che mi ha proposto di accompagnarmi a vedere il tesoro dall'alto: i 45minuti più lunghi e devastanti della mia vita passati a saltellare come uno stambecco per crepacci e salite percorribili solo perché la pietra e' di origine sabbiosa e quindi sotto le scarpe ha un grip esagerato! Il punto d'arrivo però meritava davvero la sfacchinata, così sono rimasta per un po' appesa lassù, su uno sprone di roccia a guardare giù questa meraviglia che piano piano si illuminava coi raggi di un sole che litigava con le nuvole, a farmi compagnia i corvi in alto, l'abbaiare dei cani selvatici, ed una gattina che ha trovato comodissime le mie gambe per farsi coccolare. La discesa e' stata in solitaria (eh sì perché con le guide beduine funziona così: paghi a tratta!) e mooooolto più rilassante della salita, complice una fantastica scala scavata nella roccia rossa dai nabatei! Ok dai, si poteva fare anche all'andata ma non avrei digerito così velocemente la colazione e non avrei avuto i panorami mozzafiato che invece mi sono capitati! Nella discesa ho incontrato anche uno dei tre "sacrifici" del sito, che mi hanno dato l'idea di quella che doveva essere la sensazione di Pocahontas sulla sua roccia a strapiombo. Ma sulla questione "sacrifici" una piccola digressione storica bisogna farla: intanto stiamo parlando di Petra, la capitale dei Nabatei che erano di stanza qui almeno un secolo prima di cristo, e già questo, se pensiamo alla raffinatezza delle facciate la dice lunghissima sulla popolazione in questione, che era così avanti da avere addirittura due acquedotti lungo le pareti di pietra, uno superiore per l'acqua da bere, ed uno inferiore per tutti gli altri usi! I nabatei credevano nella vita oltre la morte ed è per questo che avevano costruito questa città dei morti dove le tombe assomigliavano a palazzi (quelle di ricchi e nobili, perché quelle dei poveri erano una grotta e via senza tanti fronzoli) , i sacrifici di animali al dio Dushara si facevano in alto per essere a lui più vicini, ed addirittura avevano un anfiteatro da 3000posti per le cerimonie religiose! All'interno le tombe (tipo 1400 in tutto il sito e ancora gli archeologi stanno scavando) erano molto scarne, stanze rettangolari con nicchie per gli idoli e buche per le salme, e davanti alle buche, a seconda del numero di defunti, fori perfettamente rotondi. Gli abitanti vivevano nella città contigua, in case di mattoni. All'arrivo dei romani anche Petra finì sotto il loro dominio, e questi aggiunsero alle terme già esistenti un mercato, il decumano colonnato, un ninfeo, e in tempi successivi una chiesa bizantina con tanto di mosaici (e che ci vogliamo privare? Non mi parrebbe il caso). Ora, andati via i romani, fatte un po' di guerre varie, mettiamoci pure un paio di terremoti devastanti, Petra scompare ai più! Esiste, ed è una città sacra per i beduini che tengono chiunque lontano, complice anche il siq che ne fa un luogo praticamente inaccessibile! E qui entra in gioco il giovane Johan Ludwig Buckhardt, nato in Svizzera si trasferì ad Aleppo e si convertì all'Islam diventando Sheik Ibrahim bin Abdullah, maestro di travestimenti si infiltrò tra i beduini fingendo di voler sacrificare una capra e riuscì ad entrare (primo europeo nella storia) a Petra....non contento scopri anche la foce del Nilo, il tempio di Ramses II e si infiltrò alla Mecca, forse per quest'ultima bravata morì di dissenteria a Londra a 33anni, ma questa è un'altra storia. Torniamo a noi, cioè a me che sono riuscita a trovare percorsi alternativi lontano dalla sparuta folla ed ho potuto godere quasi in totale solitudine della meraviglia di questo sito in cui gli unici rumori sono stati quelli del belare dei greggi di capre portati in giro dai bambini, o del ragliare di qualche asino stufo di portare avanti e indietro i turisti più delicati, il fruscio delle foglie dei pochi alberi (c'è un pistacchio di ben 450anni in ottima forma tra le crepe del ninfeo), o i richiami dei beduini da grotta a grotta, sì perché le tombe sono state abitate dalle tribù beduine per secoli, ed è solo da poco che il governo gli ha imposto di spostarsi nel centro abitato, qualcuno tuttavia ha rifiutato e vive ancora orgogliosamente nelle grotte, parecchie delle quali durante il giorno ospitano comunque asini e caprette. Ero così presa dalle pennellate rosse e gialle della pietra che mi sono persa lungo le mura bizantine, tanto che mentre mi arrampicavo mi sono sentita chiamare da una beduina sbalordita che sbucassi dal nulla che mi ha offerto un tè caldissimo che devo dire, con l'arietta frizzantina di oggi è cascato a fagiolo; dalla sua tenda sono passata alla zona "romana" della città , tra templi colonnati e chiese mosaicate, per restare a bocca aperta davanti ad uno dei pochissimi palazzi non scavati di Petra: una meraviglia di 23mt chiamata romanticamente dai locali "il palazzo della figlia del faraone" (in realtà nabateo poi passato in uso ai romani). Il cielo non prometteva davvero nulla di buono, così dopo rapida contrattazione (le mie radici partenopee da queste parti danno il meglio di se) ho provato l'ebbrezza della scalata agli 800scalini scavati nella roccia per raggiungere il monastero....a dorso d'asino! E sulla cima un vento sferzante ed una piccola grandinata, devo dire che in questo viaggio non mi sto davvero facendo mancare nulla! La discesa a piedi lungo la via processionale, oggi piena dei colori delle bancarelle beduine, lungo il profondo wadi e' stata fantastica, ed una delle cose che più mi resteranno nel cuore di questa giornata, oltre ad una spremuta di limone e menta, la pietra donatami da una monella, i sorrisi fantastici e le chiacchiere con i veri padroni del luogo, e i bicchieri del tè più buono mai bevuto, sarà il profumo del legno di ginepro che bruciava nei bracieri per riscaldare le tende dei venditori e far fumare i bollitori di rame ormai annerito dall'uso. Cercando di andare controcorrente avevo lasciato per ultima l'esportazione della via principale e delle tombe reali, uno spettacolo senza uguali degno coronamento di una giornata pazzesca passata a saltellare tra pietre, scale e ponti improbabili fatti con le traverse dei binari (poi uno si chiede come mai la ferrovia non funziona!) col naso sempre in su a rimirare timpani, colonne e parvenze di statue consumate dal vento, che a furia di soffiare ha scalfito la parte dorata più superficiale delle facciate, scoprendo quelle venature spettacolari che, oggi più che mai perché lavate dalla pioggia, gli danno l'aspetto di sete preziose e marmi pregiati! Lentamente ho fatto ritorno al tesoro, e mi sono seduta a guardarlo una volta ancora, continuava a non sembrarmi vero e non riuscivo a staccarmi. Sono restata lì a rimirare la strana umanità che continuava incredibilmente ad uscire dal siq mescolarsi con guide, cammelli e cammellieri, cani, bambini urlanti e chissà ancora cosa (il tutto sotto l'occhio altero di questa meraviglia di roccia sabbiosa) fino a quasi non sentire più le dita dal freddo, così ho alzato gli occhi verso il frontone per l'ultima volta, mi sono girata verso il siq e l'ho percorso al contrario, senza più volgere indietro lo sguardo, un moderno Lot, fino al mio albergo da dove mi sono resa conto di essere partita 11ore prima. Cosa si può aggiungere ad una giornata così? Sinceramente faccio fatica ad esprimere tutto quello che mi è passato tra testa e cuore e rischierei di diventare melensa o scontata, quindi lo tengo per me. Forse è stato un dono anche il non poterla visitare di notte, sarebbe stato sicuramente bellissimo ma non mi avrebbe permesso di vivere Petra come ho fatto oggi, al mio ritmo ed al mio modo, lasciando sempre lo spazio agli incontri (di ore o di attimi) che sono stati la parte più bella di questo viaggio meraviglioso.
3 notes · View notes