#nuovo capitolo
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continuo a dirmi che è tutto ok, sotto controllo, normale
siamo umani, piangere va bene, ma onestamente non pensavo che lasciare un posto di lavoro tossico facesse così male
sembra di lasciare un fidanzato, mi mancheranno tutti
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Buongiorno Tumblr ☺️
#pensieri per la testa#persa tra i miei pensieri#fotografia#foto#scatto fotografico#tovaglietta#colazione#buona colazione#buongiorno#buona giornata#buona domenica#thè#tea#thè caldo#biscotti#un nuovo capitolo#a new chapter#belle#la bella e la bestia#the beauty and the beast#principessa#Disney#disneyana
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Se Damiano fa prisma2 sul serio raga 💀
#io ci credo un po'#un pochino#oppure il nuovo capitolo di sotto il sole di#sotto il sole di taranto#sotto il sole di pizzo calabro#sotto il sole di cernusco sul naviglio
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PRIMA PAGINA Il Riformista di Oggi martedì, 30 luglio 2024
#PrimaPagina#ilriformista quotidiano#giornale#primepagine#frontpage#nazionali#internazionali#news#inedicola#oggi meloni#ombre#cinesi#alla#rapida#della#seta#inaugura#nuovo#capitolo#delle#relazioni#italia#viva#mette#discussione#linea#leader#centinaia#dirigenti#eletti
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Some love for you, stronzo <3
MA 🥹🥹🥹🥹
Thank u ale, ily 😭😭😭🩷🩷🩷
#witchy's ask booth#sai stavo giusto avendo una crisi esistenziale sul fatto di come sto scrivendo il nuovo capitolo dei bandits#mi hai letto nel pensiero lol ne avevo bisogno 😭😭😭
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[...]
«ho raccontato di te, il mio primo amore, al mio vero amore» dissi di punto in bianco.
si girò di scatto a guardarmi, il bicchiere di vino quasi cadde dalle sue mani tremanti, eppure non pensavo che tale frase avesse potuto portare così tanto stupore.
«mi odia?» i suoi occhi vacillarono per una frazione di secondo.
«no, ti ringrazia» dissi sorridendo.
«perchè mai?» stupore e curiosità nel suo sguardo fecero capolinea.
«non sarei la donna che sono adesso grazie a te» ed era veramente così.
chissà se mai avesse pensato a quanto la nostra cosiddetta “prima storia d'amore”, ci avesse cambiato cosi tanto nel corso degli anni, portandoci a quelli che siamo ora.
«sono felice che tu abbia trovato la tua persona, ti brillano gli occhi quando sei con lui o semplicemente parli di lui. e poi vedo come ti guarda, come se fossi la sua luce. ti merita davvero» fece un cenno al soggiorno indicando il mio compagno, nel mentre quest'ultimo giocava con i bambini dell'uomo di cui un tempo, da ragazzina, ero innamorata.
«lo so, per questo lo amo» risposi in tutta sincerità e trasparenza.
se dovessi dire il nome dell'amore, come ci si sente ad essere amati, ma soprattutto amare, direi il nome del mio compagno senza esitazione.
«perchè hai raccontato di me, la persona che ti ha fatto solo stare male?»
«se tu incontrassi una persona in grado di mettere a posto pezzi di un puzzle messi in disordine da qualcun altro, credi davvero che le importerebbe soltanto di comporre il puzzle? o che soltanto ci provasse? o che addirittura si fermi un attimo ad osservare il tavolo in cui sono cosparsi tutti i pezzi, solo per cercare di capire perché lasciare tutto lì senza nemmeno averlo finito?» ammetto che come paragone non aveva alcun senso, eppure un filo logico dietro tutto ciò era ben evidente.
«per i puzzle con tanti pezzi ci vogliono ore ad assemblarlo»
«esatto, così come il cuore rotto di una persona»
«perchè mi stai dicendo tutto questo?» sembrava ferito, o forse semplicemente si rese conto delle mie parole e ciò che intendessi dire.
«per ringraziarti. per dirti quanto mi hai fatto bene, ma allo stesso tempo tanto male. per ringraziarti di avermi fatto capire cosa voglio, ma soprattutto cosa merito. per dirti che sono diventata forte, e non sono più l'ingenua di un tempo»
«se questo nostro amore ti ha reso una persona migliore nonostante il dolore, sono davvero felice che tu stia bene. questo è l'importante»
[...]
«grazie per la cena, è stata davvero una bellissima serata. e soprattutto ringrazia tua moglie, le sue doti culinarie sono strepitose»
«grazie a te di essere venuta, era da un po' che non chiacchieravamo come ai vecchi tempi»
il primo e ultimo abbraccio dopo sette anni di puro silenzio.
un capitolo chiuso.
un nuovo capitolo da scrivere.
ecco il potere del primo amore, farti crescere e capire che il vero amore deve ancora arrivare.
[...]
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Armani
testo di Richard de Combray
introduzione di Arturo Carlo Quintavalle , Postace di Anna Piaggi
edizione a cura di Gini Alhadeff e Graziella Buccellati Piaggi
Franco Maria Ricci, Milano 1982, 224 pagine, 25x37cm, con cofanetto, ISBN 88 216-25931, 6000 copie numerate , copia n.2010
euro 1400,00
email if you want to buy [email protected]
Il libro raccoglie in 121 disegni le creazioni di Giorgio Armani, seguendo l’evoluzione di questo grande astro dello stile. Lo scrittore Richard de Combray ne traccia l’itinerario umano e professionale.
La prima collezione ufficiale di Giorgio Armani, con la sua “griffe”, nel 1975, ha segnato un nuovo capitolo nel modo di vestire contemporaneo e oppone allo stile romantico del periodo un nuovo “tailoring” contemporaneo. Mentre da un lato George Sand ritornava alla ribalta, dall’altro, come omaggio al suo stile “coraggioso”, l’uomo riprendeva, per un momento, una sua storica flamboyance. Questo volume presenta una ricca selezione delle sue invenzioni di stile, raccogliendo disegni nei quali la posa frontale dei figurini è abolita, e abolita è anche la costruzione articolata del corpo secondo modelli proporzionali un tempo accademici, e quindi, a seconda dei tempi, riprogettata secondo formule diverse: figure allungate, figure slanciatissime, figure senza seno e senza natiche oppure con sento e natiche accentuate. Attraverso queste prove grafiche sarà evidente come Armani lasci per strada il rituale stereotipo della “recita di moda” per intraprendere una via personalissima e originale.
01/01/25
#Armani#Giorgio Armani#121 disegni#6000 copie numerate#copia n.2010#Richard de Combray#Anna Piaggi#Arturo Carlo Quintavalle#Gini Alhadeff#fasion books#fashionbooksmilano
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Ansietta delle 4:30 che non mi fa dormire per nuovo super - eccitante e spaventoso - capitolo di vita
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2025: un nuovo capitolo, nuove sfide e nuove speranze. Non so cosa mi aspetta, ma so chi voglio diventare. Questo è l’anno in cui proverò a sorprendere anche me stesso.
Buon Anno 🥂🍾
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TRINITY BLOOD
RAGE AGAINST THE MOONS
(Storia: Sunao Yoshida // Illustrazioni: Thores Shibamoto)
Vol.1 From the Empire
FLIGHT NIGHT - Capitolo 5
Traduzione italiana di jadarnr dai volumi inglesi editi da Tokyopop.
Sentitevi liberi di condividere, ma fatelo per piacere mantenendo i credits e il link al post originale 🙏
Grazie a @trinitybloodbr per il suo prezioso contributo alla revisione sul testo originale giapponese ✨
Sotto il corpo del prete si allargava una pozza di sangue.
“Aha, ecco dove vi eravate cacciati!”
La poca speranza che aveva Jessica svanì all’istante mentre fissava il vampiro apparso sulla porta. Sembrava fosse già completamente guarito dalle ustioni, il suo viso nel chiarore delle due lune non ne mostrava alcuna traccia.
“Ci incontriamo di nuovo eh?” Disse il Duca. “Prima siamo stati interrotti da quell’impiccione, ma ora che dici di continuare da dove eravamo rimasti?”
“A—ahh…” Jessica era paralizzata dalla paura. Cercò di arretrare ma andò a sbattere contro la parete.
“Sii paziente tesoro… dopo che ho finito qui mi prenderò cura di te.” Sghignazzò il vampiro, facendo schioccare le labbra e masticando quello che sembrava del tabacco.
Il Duca tirò fuori il dischetto metallico che aveva usato sul ponte e lo sollevò in alto.
“Cos’è’?” Chiese Jessica curiosa, nonostante la paura.
“Credo sia il codice di accesso al sistema di navigazione. Ma vuoi sapere un segreto? In realtà non so nemmeno io cosa sia. Mi è stato detto di inserirlo nel computer e spingere qualche bottone. Mmhh vediamo…”
“Non lo faccia.”
Dita sottili afferrarono la gamba del vampiro.
E’ il prete! Ma come fa ad essere ancora vivo?
“La prego, ci sono centinaia di persone a bordo di questa nave.” Rantolò il prete.
“Non me ne frega un cazzo di quelle inutili persone!” Urlò il duca, colpendo con un calcio il prete su una tempia. La forza del colpo spedì Abel contro il muro. E lì rimase disteso, come una bambola rotta.
“Sono un Metuselah! Un vampiro! Siamo gli esseri più potenti della terra! Voi siete solo bestiame!! Mi ciberò di voi e poi userò la vostra pelle come un vestito una volta che avrò finito di uccidervi!”
“No…Vi sbagliate… siete umani anche voi…”
“Zitto e muori, inutile animale.” Ringhiò il vampiro.
Il Duca Alfredo iniziò a battere sulla tastiera. “Ho quasi fatto qui, bambolina.” Si rivolse a Jessica, sempre come masticando qualcosa. “Fra poco questa nave sarà finalmente distrutta!”
Jessica mirò al vampiro con un pezzo di tubatura e lo colpì con tutta la forza che aveva in corpo. Ma lui bloccò il colpo a mani nude, senza nemmeno degnarsi di alzare gli occhi dalla tastiera. Alfredo usò la sua mossa contro di lei, torcendole il braccio dietro la schiena senza nemmeno guardarla. Con un minimo movimento del polso, scaraventò Jessica contro il muro. Lei si accasciò sul pavimento.
“J-Jessica” urlò il prete con un verso strozzato.
“Oh cazzo! L’ho uccisa per caso?” Rise il Duca. Poi iniziò a fischiettare una marcia funebre continuando a scrivere sulla tastiera, cercando di non farsi passare il buonumore: il sangue di un morto aveva un sapore orribile.
“Quello cos’è?” Chiese Abel.
La cosa informe che era uscita dalla bocca del vampiro non era per niente tabacco. Era un pezzo di gomma rossa. Era…
“Un palloncino rosso…? Non può essere…” Abel sussurrò sconcertato.
“Questo? Oh, l’ho preso dal ragazzino.” Ripose il Duca. Continuò a scrivere senza prestare alcuna attenzione al palloncino o al prete. “Mi ci sono imbattuto mentre venivo qui. Il suo sangue era delizioso. Era denso, vellutato... Veramente squisito.”
Non fece in tempo ad ad aggiungere altro, perché venne buttato a terra da un forza terrificante. Cadde, squittendo come un maiale. Non riusciva a capire cosa gli stava succedendo.
Un normale essere umano si sarebbe rotto tutti gli arti, mentre il Duca rimase solo un po’ frastornato dall’impatto. Alzò la testa per un attimo, solo per vedere il prete in piedi di fronte a lui.
“Duca Alfredo, è andato troppo oltre.” Disse Abel, incombendo su di lui come un’ombra scura.
Il volto del prete era avvolto nel buio, ma la sua veste era zuppa di sangue.
E ora che ne sarà del sabotaggio? — Si chiese il vampiro.
“Mi spiace ma non posso perdonarla.” Disse il prete.
“Perdonarmi dici?” La rabbia si impadronì del Duca, che si rialzò in piedi. “E cosa succede se non mi perdoni? Subirò per caso una punizione divina?”
“No, l’amore del Signore è infinito, ma…” Nell’oscurità gli occhi del prete cambiarono improvvisamente colore: da quello di un tranquillo lago in inverno passarono ad un rosso scarlatto, come sangue fresco. “Anche se Lui sarebbe in grado di mostrare misericordia… Io non posso.”
“Ahaha! Dillo al tuo Dio quando lo incontrerai in paradiso!”
Alfredo allungò un dito verso Abel, con l’intenzione di usarlo per cavargli un occhio. Non credeva che il prete avrebbe ancora avuto voglia di sproloquiare a proposito di Dio una volta accecato. Pregustò con piacere il rumore del suo dito che andava a scivolare dietro l’orbita del prete, attraverso il bulbo oculare fino al cervello.
Ma non successe nulla.
“Impossibile” sibilò il Duca.
Abel aveva afferrato il braccio del vampiro. Serve la forza di dieci umani per poter bloccare il braccio di un Metuselah. Chi è davvero quest’uomo? Cercò di liberarsi dalla presa del prete ma non ci riuscì. Ma quella non era la sola sorpresa in serbo per il Duca.
“Crusnik-02: operatività autorizzata fino al limite del 40%. Attivazione!” Mormorò Abel, con una voce più scura della notte.
“Aaaagh!” Urlò Alfred piegandosi bruscamente all’indietro. Inciampò e cadde. Un dolore acuto lo attraversò tra il pugno ed il braccio: il suo polso ora era avvolto da catene d’oro. I suoi anelli stavano cibandosi della sua carne come se avessero avuto una mente propria. Piccoli spruzzi di sangue apparvero sul suo braccio mentre pezzetti di carne ed osso saltavano in aria attorno a lui. La catena stava facendo a pezzi il suo braccio.
“La mia maaaanoo!” Gracchiò il Duca.
“Fa male, non è vero?” Disse il prete freddamente. I suoi occhi erano di un rosso più scuro del sangue. Un paio di zanne erano improvvisamente apparse sulle sue labbra. “Non è così? Stai soffrendo? Le persone che hai ucciso hanno dovuto sopportare dolori ben peggiori. Ma non ti preoccupare, non ti ucciderò. Seguirò la volontà di Dio. Ti farò solo provare un centesimo della sofferenza che hai inflitto alle persone che hai ucciso.”
Un suono orribile come di carne che si strappava riempì la stanza. Era un rumore disgustoso. Ma non veniva dal Duca. La mano ed il braccio destro di Abel si stavano spaccando in due. Da dentro il buco che ne risultava, apparvero zanne affilate che crescevano attorno ad una mascella scura.
Era una bocca che si contorceva.
E la bocca iniziò a mangiare il pugno destro di Alfredo.
“T—tu…” balbettò il Duca “C—cosa sei tu? Non sei umano.”
“Hai paragonato gli esseri umani al bestiame, giusto? E allora non hai mai pensato: gli esseri umani mangiano la carne degli animali. I vampiri mangiano gli umani. Magari esiste qualcuno che mangia i vampiri.” Sussurrò il prete con labbra rosse come se fossero macchiate di sangue. “Io sono un Crusnik. Un vampiro dei vampiri, se vuoi metterla così”.
“Stronzate!” Urlò Alfredo incredulo. “Io sono un Metuselah. Tutte le creature viventi sulla Terra non sono altro che mangime per noi. Noi abbiamo il diritto di calpestare e divorare tutto! Vá all’inferno cane del Vaticano!”.
Nascosta nella cintura, il Duca nascondeva una sottilissima lama a filo. Il suo bordo era stato affilato fino a farlo diventare dello spessore di un capello ed era in grado di tagliare qualunque cosa. Il filo saltò fuori dalla cintura come fosse un serpente. Abel si protesse il viso con la mano sinistra, ma la lama si era mossa ad una velocità supersonica e gli aveva tagliato via il braccio. Una colonna di sangue schizzò fino al soffitto.
“Debole mortale. ‘Un vampiro dei vampiri’, eh?”
Sanguinante ed in terribile sofferenza, Abel cadde in ginocchio.
Il Duca Alfredo sghignazzò deridendolo.
“Idiota, sei ridicolo! Cosa sei, un essere umano potenziato dalle droghe e dalla tecnologia? Non importa. Me la pagherai lo stesso. Ti taglierò anche l’altro braccio, e poi entrambe le gambe. E poi, mentre starai morendo dissanguato, violenterò la ragazza davanti ai tuoi occhi e ne berrò il sangue. E tu mi pregherai di smetterla. Oh sì che lo farai.”
Abel non batté ciglio. Si alzò semplicemente, raccogliendo il suo braccio dal pavimento. Un rumore di risucchio risuonò in tutta la stanza. La bocca sul braccio di Abel si mosse di nuovo ed iniziò a mangiare il resto del braccio sinistro reciso: dal palmo della mano, al polso, all’avambraccio.
“Stai mangiando te stesso.” Osservò il Duca. “Che cosa disgustosa.”
Mentre consumava il suo ripugnante pasto, il corpo di Abel iniziò a trasformarsi. Cinque forme simili a vermi apparvero dal taglio sulla sua spalla sinistra. Ma non erano vermi, erano cinque dita. Seguirono il palmo della mano, il polso e alla fine tutto il resto delle braccia.
Non era umano. E di sicuro non era un vampiro. Davanti al Duca stava qualcosa oltre la sua comprensione, qualcosa ancora più maledetto di un vampiro.
“Ora ti farò una domanda...” Il mostro, che aveva terminato di alimentarsi e rigenerarsi allo stesso tempo, aprí finalmente bocca. Come dal nulla, apparve tra le sue mani una luccicante falce a doppia lama. “Rispondimi… Per chi stai lavorando?”
Il Duca Alfredo non ci pensò un attimo. Scappò fuori da una finestra e lasciò la nave, correndo freneticamente sulla superficie del pallone di elio.
Chi cazzo è questo tizio?
“E’ inutile, non puoi sfuggirmi.”
Come ha fatto a raggiungermi?
L’aria intorno a loro era gelida, ma il prete se ne stava lì come nulla fosse, non si vedeva nemmeno la condensa del suo respiro.
Alfredo iniziò a piagnucolare, temendo per la sua vita.
Sotto la luce delle lune gemelle, una bocca piena di zanne stava sogghignando.
“Di cosa hai paura, Duca? Non sei forse in cima alla catena alimentare?”
Disperatamente, Alfredo scagliò la sua cintura contro il prete e poi si voltò per scappare. Il suo piano riuscì per metà. Le sue gambe corsero in una direzione… ma la parte superiore del suo corpo cadde dall’altra.
“Aiutami. Ti prego aiutami.” Pregò il vampiro.
Gli occhi di Abel guardarono in basso verso il vampiro mortalmente ferito. “Come ci si sente ad essere bestiame?”
Gli occhi che avevano posto quella domanda non erano umani né vampiri.
Mentre i suoi organi interni scivolavano fuori, il vampiro tentò di scappare via, terrorizzato. Ogni pensiero razionale gli era impossibile.
“Parla.” Ordinò il prete.
Il Duca fu obbligato a rispondere. Iniziò a spifferare tutto quello che aveva giurato di mantenere segreto.
“Il Rosekreuz Orden…”
Il Duca Alfredo sentì come qualcosa che gli strizzava il cuore. Con un suono umido, la sua stessa mano gli si era conficcata nel petto. Alfred continuò a guardare sconcertato mentre la sua mano sinistra, muovendosi di propria volontà come un animale, afferrava il suo cuore fra le costole spezzate.
Cosa cazzo mi sta succedendo?
“Sono stato drogato…? Post ipnotismo?”
Il prete calò la falce cercando di togliere il cuore dalle mani di Alfredo, ma inutilmente. L’organo spappolato era già stato schiacciato come un acino d’uva. Il Duca abbandonò le sue spoglie mortali con un gorgoglìo.
Abel si inginocchiò accanto al vampiro morto, chiuse gli occhi del cadavere e sussurrò: “Culpa perennis aelito ora tuor nominare. I tuoi peccati sono eterni. Ma ora io pregherò per i morti. Una vita é pur sempre una vita, anche quella di un uomo che disprezza gli altri.”
Il prete si rialzò. Il rosario fece un rumore metallico fra le sue dita, ondeggiando per il vento intenso. “Tutto questo non mi piace.” Disse. “Non mi piace per niente
#abel nightroad#trinity blood#sunao yoshida#rage against the moons#trinity blood novels#flight night#jessica lang#thores shibamoto#traduzione italiana
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torno a roma dopo 5 ore e mezza di autobus, vado a dormire col mal di testa e mi risveglio con il sole. è uno dei motivi per cui vale la pena tornare giù, il sole, che in pianura padana d'inverno si nasconde spesso. lavoro sulla scrivania di quella che una volta era la mia stanza, e ora è un luogo in transizione fra l'accettazione della mia assenza e la nuova designazione a "studio" di mia madre. la sua struttura è la stessa, ma ogni anno si aggiungono nuovi pezzi che non mi appartengono e non servono a me, si generano nuovi ordini in cui posizionare le cose e nuovi utilizzi dei muri e dei vuoti. a questa scrivania cerco di aggiungere le parti mancanti al primo capitolo di quella che fra due anni (si spera) sarà la mia tesi di dottorato. su questa scrivania, dopo natale, devo iniziare a scrivere un paper che non volevo fare ma che devo, perché la supervisor insiste che devo guardare lontano: "è una rivista di classe A" e sono punti per un futuro che in realtà, però, io non so ancora come voglio che sia - e non sono certo di volerlo fatto di calcoli, punteggi e classi. ieri sera, mentre eravamo in macchina tornando dalla stazione, mia madre mi ha raccontato i film natalizi che vede su la 8, in cui la protagonista torna in paese dal suo stressante lavoro in città, si innamora del fioraio e alla fine la gioia trionfa. vorrei essere quel fiorario, o anche la ragazza che torna a casa, sarei anche il panettiere in quella recita, o il ferramenta, in quell'illusione nevicante in cui in paese tutti si aiutano a vicenda e ogni cosa trova il suo posto calmo e rassicurante. ogni tanto mi sforzo di vedere la mia vita con questo sguardo e per qualche giorno mi sembra che funzioni. voglio finire quest'anno provandoci, e non con il ricordo del pianto durato tre ore fatto quattro giorni fa, in cui mi sembrava di sentire tutto il dolore di questo mondo brutale e impietoso addosso. essere un piccolo portatore di pace o anche semplicemente di silenzio, nella mia piccola quotidianità fatta del raggio di persone che incontro, è uno dei quasi-impossibili buoni propositi per il nuovo anno.
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Piango, il capitolo nuovo (e penso ultimo) del comic di TF2 è bellissimo.
Leggendolo così velocemente non ho capito perché la guerra tra Red e Blutarch sia andata all'infinito (dovrò rileggerlo per bene), però lo skip nel futuro è una poesia.
Mi sento quando finii di leggere il signore degli anelli o alla fine di MLP l'amicizia è magica.
Vedere tutti i mercenari amici è stato qualcosa di potente: da un'opera così demenziale non mi sarei mai aspettata un finale così dolce e d'impatto, una bellissima tavolata natalizia.
In fondo volevo che finisse così canonicamente TF2.
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“T x Teso” - Un viaggio tra caos e riflessione
Vi presento T x Teso, il mio nuovo progetto, un fumetto che racconta la storia di un ragazzo stanco della vita, immerso in una realtà frenetica fatta di traffico, colleghi falsi, e una famiglia disfunzionale. Con uno stile ispirato a “Zerocalcare”, il protagonista si destreggia tra battute, sorrisi forzati e riflessioni profonde, cercando di trovare un equilibrio tra amore, rabbia e delusioni passate. Segui Teso nel suo mondo fatto di pensieri confusi e momenti di leggerezza, dove ogni capitolo svela un po’ della sua condanna e della sua ricerca di sé.
Scoprite con me questo nuovo capitolo, fatto di ironia, verità e tante riflessioni sulla vita. 🚗💭
Fatemi sapere se siete interessati a leggere di più su questo piccolo progetto
#cerco compagnia#compagnia#noia compagnia#scrivetemi#scrivimi#dm for noods#dm me#dm me for my content#dms open#noia#txteso#fumetti#fumetto#leggere#books & libraries#libros#libri#frasi libri#leggere libri#citazioni libri#libri consigliati#libri letti
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Non posso dire che la stagione 7B non mi piaccia, trovo che qui siamo stati defraudati da qualcosa di magico!!!!
Legami di sangue
Capitolo 24
«Non dirò che non m’importa di quello che è successo, perché mentirei. E non dirò che non scatenerò il caos, per questo, perché è probabile che lo farò. Ma ti dirò che non c’è niente in questo mondo, o in quello che verrà, che possa allontanarti da me... o che possa allontanare me da te.» Sollevò un sopracciglio. «Ti trovi in disaccordo?» «Oh, no», dissi, ardente. Prese un altro respiro, e abbassò appena le spalle. «Be’, meglio così, perché non sarebbe un bene, per te. Un’ultima domanda», aggiunse, «sei mia moglie?» «Certo che lo sono», gli risposi, attonita. «Come potrei non esserlo?» A quelle parole, il suo viso cambiò; inspirò profondamente e mi prese tra le braccia. Io lo strinsi, forte, e insieme ci lasciammo andare a un enorme sospiro, e ci tranquillizzammo, la sua testa che si chinava sulla mia. Mi baciò i capelli, e io girai la faccia verso la sua spalla, la bocca aperta sulla scollatura della camicia aperta, le ginocchia di entrambi che cedevano lentamente, in preda a un sollievo reciproco. Un attimo dopo eravamo in ginocchio nella terra appena rivoltata, aggrappati l’una all’altro, radicati come un albero, senza foglie e con tanti rami, ma con un unico tronco molto solido. E arrivarono le prime gocce di pioggia. Il suo viso era aperto, adesso, e i suoi occhi erano di un blu limpido, senza preoccupazioni... per il momento, almeno. «Dove possiamo trovare un letto? Ho bisogno di stare con te nudo.» La sua proposta mi trovò perfettamente d’accordo, ma la domanda mi colse alla sprovvista.
…….
«Troverò un posto.» Con un calcio sonoro aprì la porta del nuovo capanno degli attrezzi, e all’improvviso ci ritrovammo immersi in un’oscurità striata di luce, che odorava di tavole scaldate dal sole, di terra, di acqua, di argilla umida e di piante. «Cosa... qui?» Era chiarissimo che non stava cercando un po’ di intimità per altre domande, per discussioni o rimproveri. A tal riguardo, la mia domanda suonò parecchio retorica. In piedi, mi fece girare e cominciò a slacciarmi il corsetto. Sentii il suo alito sul collo nudo, e mi venne la pelle d’oca. «Sei...» cominciai, solo per essere interrotta da uno conciso «Shhh». Tacqui. E sentii quello che aveva sentito lui: i Bartram, che conversavano tra loro.
Erano a una certa distanza, sulla veranda posteriore della casa, immaginai, riparata dal sentiero lungo il fiume da una spessa siepe di tassi inglesi. «Non possono sentirci», dissi, anche se abbassai la voce. «Basta parlare», sussurrò lui e, chinandosi in avanti, mi morsicò delicatamente la carne del collo ora esposta. «Shhh», fece ancora, ma dolcemente. In realtà non avevo detto niente, e il suono che avevo emesso era troppo acuto per attirare l’attenzione di una creatura che non fosse un pipistrello di passaggio. Espirai vigorosamente dal naso, e lo sentii ridacchiare con la gola. Un risolino basso, profondo. Il corsetto si aprì, e l’aria fresca attraversò la mussolina umida della sottoveste. Si fermò, una mano sui nastri delle sottogonne, mentre l’altra mi sollevava delicatamente un seno, pesante e libero, e il pollice mi accarezzava il capezzolo duro e tondo come il nocciolo di una ciliegia. Emisi un altro suono, questa volta più basso. Pensai che era una fortuna che fosse mancino, perché era con la sinistra che stava slacciando abilmente i nastri delle sottogonne. Queste caddero in mucchio frusciante attorno ai miei piedi, e d’un tratto – mentre la sua mano sinistra mi sollevava il seno e la sottoveste saliva alle orecchie – ebbi una visione del Giovane Mr Bartram che all’improvviso decideva di aver bisogno di invasare una partita di pianticelle di rosmarino. Probabilmente lo shock non l’avrebbe ucciso, ma... «Se dobbiamo essere puniti», disse Jamie, che evidentemente mi aveva letto nel pensiero, dal momento che mi ero girata e mi stavo coprendo le parti intime come la Venere del Botticelli, «allora ti prenderò nudo.» Con un sorriso si tolse la camicia sporca di terra – la giacca se l’era levata quando mi aveva presa – e si calò i calzoni senza fermarsi a sbottonare la patta. Era abbastanza magro da poterlo fare: i calzoni gli stavano appesi alle anche, e non gli cadevano per miracolo; e intravidi l’ombra delle costole sotto la pelle, quando si chinò per sfilarsi le calze. Si tirò su, e gli misi una mano sul petto. Era umido e caldo, e sotto il mio tocco vidi rizzarsi i pelli rossastri. Sentii il suo profumo caldo, avido, nonostante l’odore agricolo del capanno e il perdurante tanfo di cavolo. «Non così in fretta», sussurrai. Emise un verso scozzese, interrogativo, tese le braccia verso di me e io affondai le dita nei muscoli del suo petto. «Voglio un bacio, prima.» Mise la bocca sul mio orecchio, e le mani sulle mie natiche. «Credi di essere nella posizione di avanzare richieste?» mormorò, stringendo la presa. Non potei non cogliere il tono pungente di quella domanda. «Sì, maledizione», dissi, spostando la mia mano un po’ più in basso. Lui non attirerebbe mai i pipistrelli, pensai. Eravamo occhi negli occhi, avvinghiati, respiravamo l’una il respiro dell’altro, così vicini da vedere le più piccole sfumature di espressione, nonostante la luce debole. Notai quanto fosse serio, al di sotto delle risate... e capii che la sua spavalderia celava un dubbio. «Sono tua moglie», gli sussurrai, sfiorando le sue labbra con le mie. «Lo so», disse sommessamente, e mi baciò. Teneramente. Poi chiuse gli occhi e mi passò le labbra sul viso, senza baciarmi, ma tastando i contorni di zigomo, sopracciglio, mascella, e la pelle morbida sotto l’orecchio. Cercava di conoscermi di nuovo al di là della pelle e del respiro, di conoscermi fino al sangue e alle ossa, fino al cuore che batteva là sotto. Emisi un piccolo verso e cercai la sua bocca con la mia, premendomi contro di lui, i nostri corpi nudi freschi e umidi, i peli che raspavano dolcemente, e la deliziosa solidità di lui che rotolava tra di noi. Ma non si lasciò baciare. Afferrò i miei capelli legati, alla base del collo, mise la mano a coppa attorno alla mia nuca, mentre con l’altra giocava a mosca cieca.
Un rumore sordo, seguito da un tintinnio; indietreggiando, ero finita addosso a una panchina per l’invasamento, e avevo fatto vibrare un vassoio di minuscoli vasetti; le foglie speziate del basilico dolce stavano tremando, agitate. Jamie spinse il vassoio da una parte, poi mi afferrò per i gomiti e mi sollevò, facendomi mettere sulla panchina. «Adesso», disse, senza fiato. «Devo averti adesso.» Mi prese, e io smisi di preoccuparmi del fatto che potessero esserci delle schegge. Lo avvolsi con le gambe, e lui mi fece sdraiare e si chinò sopra di me, le mani appoggiate alla panca, con un verso a metà tra l’estasi e il dolore. Si mosse lentamente, dentro di me, e io ansimai. Il ticchettio della pioggia sul tetto di lamiera lasciò il posto a un rumore assordante, che copriva qualunque verso uscisse dalla mia bocca – ed era una buona cosa, pensai confusa. L’aria era più fresca, ma anche umida; i nostri corpi erano scivolosi, e si sprigionava un calore bruciante laddove la carne toccava altra carne. I suoi movimenti erano lenti, deliberati, e io inarcai la schiena, incitandolo. Per tutta risposta, lui mi afferrò per le spalle, si chinò di più e mi baciò con delicatezza, muovendosi appena. «Non lo farò», sussurrò, e tenne duro quando mi opposi, cercando di spronarlo a quella reazione violenta che desideravo, e di cui avevo bisogno. «Non farai che cosa?» Stavo ansimando. «Non ti punirò», disse, talmente piano che lo udii a malapena, nonostante fosse sopra di me. «Non lo farò, hai capito?» «Non voglio che tu mi punisca, bastardo.» Grugnii per lo sforzo, e sentii scricchiolare l’articolazione della spalla quando provai a liberarmi dalla sua stretta. «Voglio che... Dio, lo sai che cosa voglio!» «Aye.» La mano sinistra lasciò la spalla e scese ad afferrarmi una natica, toccando la carne nel punto in cui eravamo uniti, tesa e scivolosa. Emisi un piccolo verso di resa, e sentii cedere le ginocchia. Lui si tirò fuori, e poi mi penetrò ancora, con tanto vigore da strapparmi un piccolo, acuto grido di sollievo. «Chiedimi di venire nel tuo letto», disse, senza fiato, le mani sulle mie braccia. «E io verrò da te. A tal riguardo, verrò che tu me lo chieda o no. Ma ricorda, Sassenach: io sono il tuo uomo. Sono io che decido come servirti.» «Fallo», dissi. «Ti prego, Jamie. Voglio che tu lo faccia!» Mi afferrò il sedere con entrambe le mani, con tanta forza da lasciarmi dei lividi, e io inarcai la schiena, spingendo il pube verso di lui, mentre tentavo di afferrarlo, le mani che scivolavano sulla sua pelle sudata. «Dio, Claire. Ho bisogno di te!» La pioggia picchiettava forte sul tetto di lamiera, ormai, e un lampo cadde vicino a noi, bianco-blu, dal pungente odore di ozono. Lo cavalcammo insieme, inforcandolo, accecati dalla sua luce, senza fiato, mentre il tuono rombava nelle nostre ossa.
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Drago, volpe, corvo - cap. I
For @danmei-december, Set Gold, day 2, Lan Xichen (I'm late so what)
If this keeps going beyond the first chapters I'll probably translate it to English.
Titolo: Drago, volpe, corvo - cap. I: caduta
Rating: pg 13ish
Personaggi: Meng Yao, Lan Xichen, Wen assortiti
Genere: AU, fantasy, avventura, animali mitologici. In sostanza mi serviva una scusa per scrivere la mia versione di dragon!chen e fox!yao
Wordcount: 2718
Lan Xichen, un drago celeste in fuga dal Clan Wen, allo stremo delle forze cerca rifugio nella foresta. Meng Yao, che assiste alla sua fuga, decide di aiutarlo.
"Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe."
Con un ringraziamento a @yukidelleran per il confronto e il betaggio!
Capitolo I - caduta
Uno strato di nubi basse offuscava la luce del sole, ancora alto sopra l’orizzonte del grigio cielo invernale. Il vento aveva l’odore asciutto e pungente che precede una nevicata.
Meng Yao si arrampicò su una roccia che sporgeva dal limitare del bosco. Da lì, lo sguardo spaziava sulla valle sottostante e sui tetti già mezzi ricoperti di bianco della cittadina di Yunping. Il cielo a est si era fatto livido e una cortina grigia oscurava l’orizzonte. Presto, avrebbe iniziato a nevicare anche lì.
Chiedendosi se sarebbe riuscito a rientrare a casa prima di venire sorpreso dalla neve, Meng Yao fece per ridiscendere verso il folto degli alberi, quando il vento gli portò un distinto odore di bruciato. Si voltò di scatto - forse veniva dal centro abitato, pensò, ma non vide nulla al di fuori dell’ordinario sopra i tetti di Yunping. Allora, il suo sguardo ansioso spaziò sulla distesa di alberi attorno a lui, senza però notare nulla che potesse allarmarlo ulteriormente, fino a che non lo scorse: un guizzo di fumo, uno sbuffo bianco contro il grigio delle nubi.
Meng Yao aguzzò la vista, ma l’aveva perso. No, eccolo, era ricomparso, era… non era fumo. Si contorceva fuori e dentro le nuvole, e andava facendosi sempre più vicino e più grande. Era inseguito da quelle che sembravano fiamme, fiamme nel cielo…
Meng Yao sentì il pelo rizzarglisi sulla schiena.
Fiamme con le ali - fenici dalle piume scarlatte, avvolte da lingue di fuoco, che guizzavano intorno alla sagoma sinuosa di un drago dei cieli. Il suo corpo era dello stesso colore delle nuvole, ricoperto di scaglie opache che non riflettevano la luce del sole. Pur nella disperazione della sua fuga, il drago fendeva il cielo con eleganza tale che pareva dare forma al vento.
Le fenici lo circondavano e lo ghermivano con becchi e artigli. Di nuovo, l’odore acre di carne bruciata e sangue raggiunse il naso di Meng Yao.
Nonostante la velocità del volo del drago, questo non riusciva mai a distanziare a sufficienza i suoi inseguitori. Cercava di allontanarli con gli artigli, ma tra le zampe anteriori sembrava stringere qualcosa, ed era chiaro che la sua priorità era quella di seminarli. Le fenici - sei, ne contò Meng Yao - però, non demordevano.
Stavano perdendo altitudine e, per un istante, Meng Yao li vide piombare su Yunping, ma il drago si risollevò all’ultimo, riguadagnando quel poco di altezza che gli consentì di non rovinare tra le case, per puntare poi diritto verso il bosco.
Una delle fenici, troppo intraprendente, gli calò sulla fronte e cercò di beccargli gli occhi, ma il drago si liberò di lei con uno schiocco di fauci. Dal cielo iniziarono a piovere cenere e piume scarlatte, che si disfacevano in sbuffi di fumo.
Il drago e i suoi inseguitori sfrecciarono sopra la testa di Meng Yao, facendo stormire i rami degli alberi alle sue spalle e arruffandogli la coda. Qualche istante dopo, si udì lo schianto, la confusione di rami spezzati e lo stridere delle fenici.
La volpe si voltò. Un attimo dopo, sparì nel sottobosco.
❄️❄️❄️
Per un po’, le fenici rimasero a osservare la devastazione provocata dall’impatto, volando in cerchio come uno stormo di avvoltoi. Il drago si era schiantato sulla foresta, lasciando dietro di sé una scia di tronchi divelti, che si assottigliava fino a sparire nel fitto degli alberi. Della bestia, però, non c’era alcuna traccia.
Si appollaiarono sui rami ancora interi di un alto pino, scrutando le ombre al di sotto delle chiome. Ora che non erano avvolte dalle fiamme, il loro piumaggio era di un color mogano scuro, screziato di riflessi dorati. Erano una vista lugubre, con i colli sottili arcuati e le lunghe code che si allungavano tra le sagome dei rami spezzati, scuri contro il cielo sempre più plumbeo.
“Tu, tu e tu,” stridette il capo, indicando col becco i tre sotto di lui. “Setacciate il sottobosco. Quando lo trovate, lanciate un segnale in aria.”
Le tre fenici prescelte calarono a terra. A toccare il suolo, però, non furono i tre uccelli dal piumaggio scarlatto, ma tre uomini dalle lunghe vesti color rosso porpora, con un motivo di soli dorati lungo gli orli. I loro lunghi capelli corvini erano trattenuti sulla nuca da fermagli alti e dorati, appuntiti come lingue di fiamma. Ai loro fianchi pendevano i foderi di spade lunghe, anch’essi decorati d’oro.
Con fare deciso, iniziarono a perlustrare la confusione di corteccia e fronde, muovendosi con attenzione per non rimanere impigliati nei moncherini dei rami che sporgevano ovunque.
“Ancora niente?” La voce risuonò arrogante nel bosco muto, ancora frastornato dallo schianto. L’uomo più massiccio dei tre si guardò attorno con disprezzo. Sarebbe stato praticamente impossibile trovare tracce del drago in quel disastro.
“Qua!” Gli altri due compagni richiamarono la sua attenzione e lui si mosse per raggiungerli, prendendo a male parole le ramaglie del sottobosco che intralciavano i suoi passi e suscitando la reazione irritata degli altri.
“Wen SuZhang, chiudi quel becco! Ci sentirà arrivare.”
Wen SuZhang non badò al richiamo, osservando con una smorfia di derisione il ritrovamento. Era una scaglia perlacea, grande come una mano, insozzata di fango e sangue.
“E se anche fosse? Non andrà tanto lontano, conciato com’è.”
I tre si rimisero a frugare, finché non si imbatterono in un lembo di terra ancora imbiancata di neve intonsa. In bella vista, in mezzo all’erba secca, c’erano delle inconfondibili orme di stivali, imperlate di sangue ancora rosso.
Con un ghigno soddisfatto, Wen SuZhang e gli altri le seguirono a passo svelto, utilizzando la spada per sfalciare le fronde e i rampicanti secchi che gli impedivano l’avanzata.
Dopo poco tempo, raggiunsero un piccolo torrente. I bordi erano ghiacciati ma, al centro, la corrente fuggiva veloce su un fondo di ciottoli scuri. Le orme finivano sulla sponda. Bastò una ricognizione veloce per capire che non riprendevano nelle immediate vicinanze, sulla riva opposta.
“Maledetti i Lan e la loro ossessione con le acque gelide,” ringhiò Wen SuZhang, rifiutandosi di entrare in acqua e bagnarsi i piedi.
Gli altri due, che avevano perlustrato quel tratto di torrente al suo posto, scrollarono le spalle.
“Dovrà uscirne, prima o poi,” commentò uno dei due. “Noi seguiremo la corrente, tu esplora a monte. Il primo che lo trova lanci un segnale.”
Wen SuZhang grugnì un assenso e si voltò dall’altra parte. Se avesse trovato il drago, avrebbe potuto benissimo affrontarlo da solo. Sicuramente anche il fuggitivo avrebbe dovuto mantenere la sua forma umana per continuare a nascondersi nel folto del bosco e, ferito com’era, non aveva dubbi che avrebbe avuto la meglio su di lui.
Riprese le sembianze di fenice, Wen SuZhang spiccò il volo. Sopra il corso del torrente gli alberi si aprivano, lasciando spazio sufficiente alle sue ali. In quella forma, sarebbe stato più efficiente nella perlustrazione e, soprattutto, avrebbe evitato di insudiciarsi ulteriormente le vesti nel sozzume del sottobosco. Fosse stato per lui, avrebbe appiccato fuoco a tutto per dare bella ripulita a quel posto e per stanare il drago, come già avevano fatto una volta.
Volava basso, completamente concentrato a scrutare gli argini del torrente sotto di lui per localizzare le orme del drago - doveva pur uscire da quel rigagnolo presto o tardi! - perciò si avvide solo all’ultimo momento dell’improvviso guizzo nel sottobosco al suo fianco.
Intuì appena, con la coda dell’occhio, la sagoma fulva che gli balzò addosso, mandandolo a schiantarsi contro la sponda ghiacciata del torrente. Sentì una fitta lancinante al collo e il sapore improvviso del sangue che gli riempiva la gola. Istintivamente, avvampò di fiamme, ma non ebbe nemmeno la soddisfazione di sentire un lamento di dolore da parte del nemico, prima che tutto diventasse definitivamente nero.
❄️❄️❄️
Meng Yao soffocò un guaito, ritraendosi dalla fenice avvolta dalle fiamme. Affondò il muso nell’acqua gelida del torrente e si forbì il naso, mentre osservava il fuoco finire l’opera che lui aveva iniziato. Non sapeva se era più sgradevole l’odore del suo stesso pelo appena strinato che gli riempiva le narici o il sapore del sangue del maledetto Wen che aveva ancora sulla lingua.
In ogni caso, era uno di meno, considerò mentre osservava le fiamme spegnersi, tramutandosi lentamente in una pila di ceneri fumanti.
Si davano tante arie, questi Wen, e agivano sempre come se tutto fosse loro, ma anche la loro arroganza, alla fin fine, si riduceva a un mucchietto di polvere.
Le ceneri erano ancora calde quando Meng Yao ci affondò le zampe. Incurante del fastidio, si dedicò a scavare di buona lena, spargendo tutto quello che restava della fenice nel torrente alle sue spalle, lasciando che venisse trascinato via dalla corrente.
Risorgi dal fango, se ci riesci, pensò Meng Yao, calpestando gli ultimi resti nella fanghiglia che si era creata sulla riva, dove il fuoco aveva sciolto il ghiaccio.
Finito il lavoro, la volpe drizzò orecchie e naso, sempre sull’attenti, ma il bosco era tranquillo. Quando aveva lasciato la scia di impronte nella neve, aveva scommesso sul fatto che si sarebbero divisi al torrente. Quanto avrebbero perseverato gli altri due nella loro ricerca a valle, prima di ritornare indietro?
Avrebbero senz’altro notato i segni di colluttazione sulla sponda del torrente, ma, con un po’ di lavoro, Meng Yao poteva trasformare quei segni nelle tracce dell’inseguito che usciva dal torrente. Del resto, gli Wen si aspettavano di trovare un drago, non una volpe.
❄️❄️❄️
Lan Xichen riaprì gli occhi. Sapeva di aver perso conoscenza per qualche tempo, ma non capiva per quanto a lungo.
La luce si era offuscata, complice il tramonto ormai prossimo e la neve che aveva iniziato a scendere. Sotto di lui, il terreno era duro e gelato. Lentamente, cominciò a muovere le membra intirizzite per alzarsi in piedi, puntellandosi contro la parete rocciosa che gli aveva dato rifugio fino a quel momento.
Come si mosse, venne attraversato da fitte di dolore. Le sue vesti candide erano stracciate in più punti, annerite da bruciature, lerciume e sangue, ma era ancora vivo e, soprattutto, ancora libero.
Non si era allontanato poi tanto dal luogo in cui aveva terminato la sua caduta, era strano che gli Wen non l’avessero ancora trovato. Forse, con il calare della notte, avrebbe avuto una possibilità di allontanarsi e far perdere le sue tracce…
Un fruscio dietro di lui, e Lan Xichen si voltò di scatto in quella direzione, la fedele spada Shuoyue in mano, tutti i muscoli tesi.
Quando si rese conto di chi aveva causato il rumore, però, la sua espressione si ammorbidì. Gli occhi scuri di una volpe lo sbirciavano dal sottobosco, le orecchie ritte sopra il muso fulvo.
“Vai via, piccolo amico,” disse, con voce rauca ma gentile. “Non è posto per te.”
La volpe sembrò capire, perché abbassò le orecchie ai lati della testa e scomparve.
L’istante dopo, dall’altra parte, provenne un improvviso tramestio di foglie, e due voci maschili spezzarono il silenzio della nevicata.
“Maledizione a questa neve, finirà col coprire tutte le tracce. Quei due faranno meglio a trovarli in fretta, sia il drago che Wen SuZhang.”
“Quel SuZhang fa sempre di testa sua.”
“Meglio che mi porti la testa del Lan, o sarà la sua a cadere.”
Lan Xichen si appiattì contro la parete. A giudicare dai rumori, i due Wen stavano venendo proprio verso di lui, forse attirati dal riparo offerto dalla roccia.
Lan Xichen fu loro addosso prima che potessero rendersi conto della sua presenza.
La lama di Shuoyue balenò e si conficcò nel petto del primo Wen, che cadde riverso con un rantolo soffocato. Prima che Lan Xichen potesse ritrarla per affrontare il secondo, però, questo lo attaccò con furia.
Per un soffio, Shuoyue sviò l’affondo del nemico, ma Lan Xichen subì il contraccolpo, barcollando all’indietro. Solo l’impatto con la parete di roccia alle sue spalle gli impedì di cadere ma, ora, non aveva più spazio di manovra. Fece appena in tempo a rendersene conto che si ritrovò la punta della lama del guerriero Wen a un soffio dalla gola.
“Dimmi dove hai nascosto quello che hai rubato, e ti concederò una morte rapida,” gli ringhiò quello in faccia.
Lan Xichen deglutì, fissando di rimando il nemico da sotto le ciocche di capelli che gli si erano incollati al volto. Poteva prendersi la sua vita, ma non quello che aveva portato in salvo da Gusu.
“Non posso rubare ciò che già appartiene al mio clan.”
“Quello che ancora non avete capito,” sibilò l’altro, premendo la lama contro la gola di Lan Xichen, che avvertì distintamente il metallo graffiargli la pelle, “è che se gli Wen decidono che qualcosa è di loro proprietà, questa lo diventa.”
“Dovrai impegnarti a cercarla, allora,” rispose Xichen, gelido come la nevicata.
Il viso del guerriero Wen si contrasse in una smorfia di rabbia. L'istante dopo, i suoi occhi si dilatarono improvvisamente.
Lan Xichen sentì il rumore soffice di una lama che affondava nella carne e l’odore del sangue che sgorgava, accompagnato da un rantolo e da un’improvvisa sensazione di bagnato sulle vesti. Solo quando il guerriero Wen si afflosciò di fronte a lui, si rese conto che non era stata la sua gola ad essere tagliata.
Al posto del suo nemico comparve un ragazzo snello, di bassa statura, avvolto in una veste color sabbia. Il nuovo venuto osservò il guerriero rantolare qualche istante ancora e poi rimanere immobile ai suoi piedi. Allora sollevò gli occhi su Lan Xichen e si produsse in un profondo inchino, le mani che ancora stringevano il pugnale sanguinante unite di fronte a sé.
“Vi chiedo umilmente perdono per avervi sporcato le vesti con il sangue del vostro nemico.”
Lan Xichen sbatté le palpebre, colto alla sprovvista. Istintivamente, allungò una mano per sfiorare il gomito del giovane e bloccarlo.
“Come potrei fartene una colpa?” Lan Xichen lanciò un’occhiata ai suoi vestiti, ora quasi completamente scarlatti. “Se non fosse stato per te, sarei ricoperto nel mio, di sangue.”
Rialzando lo sguardo, incontrò quello del suo salvatore. Aveva due grandi occhi neri, che lo scrutavano intenti. Si rese conto di aver già visto quello sguardo, ma mentre cercava di capire dove, venne colto da un giramento di testa.
Fu l’altro, ora, ad afferrarlo per i gomiti per non fargli perdere l’equilibrio e guidarlo mentre appoggiava la schiena alla parete.
“E’ tutto a posto, devo solo recuperare le forze,” ma la sua voce risuonò debole alle sue stesse orecchie.
Il ragazzo si voltò a guardare il bosco attorno a loro, e Lan Xichen ebbe l’impressione che fiutasse il vento.
“Con tutto il rispetto, penso che dovremmo andare via da qui al più presto,” disse, tornando a rivolgersi al drago con il capo chino ma con una certa urgenza della voce. “Se vorrete seguirmi, conosco un posto sicuro; non è lontano.”
Lan Xichen annuì, rendendosi conto di stare usando Shuoyue per puntellarsi e rimanere in equilibrio. Un’improvvisa debolezza gli aveva pervaso tutto il corpo e gli rendeva difficile anche soltanto tenere gli occhi aperti.
“Dovremmo prima liberarci di questi due corpi. Sarebbe saggio bruciarli, ma il fumo e il fuoco attirerebbero l’attenzione degli Wen rimasti. Li nasconderò, se avrete la pazienza di attendermi. La neve coprirà le nostre impronte,” stava dicendo il suo salvatore, e Lan Xichen lo sentiva affaccendarsi là attorno, impegnato a rovistare nei cespugli, forse per trovare un nascondiglio consono.
Quando l’altro giovane gli passò davanti per andare a prendere uno dei due corpi, Xichen si allungò per sfiorargli una manica e richiamare la sua attenzione.
“Ascoltami, c’è… c’è una cosa…” ma le parole gli vennero meno tra le labbra. Ebbe appena la consapevolezza di un braccio che gli circondava la vita, prima di ripiombare nell’incoscienza.
❄️❄️❄️
Lan Xichen si risvegliò qualche tempo dopo, avvolto dal buio e dal tepore.
Nonostante non riuscisse a vedere nulla, ebbe la netta impressione di trovarsi in un posto molto angusto. La sensazione, però, non era spiacevole, anzi, gli dava un senso di sicurezza.
Su di sé sentiva il peso confortante delle coperte e avvertiva distintamente qualcosa di caldo premuto contro il suo fianco. Allungò una mano, con cautela - tutti i suoi sensi erano offuscati dal dolore e dalla stanchezza - fino a che le sue dita non sfiorarono una folta pelliccia. Ne seguirono il contorno tracciando un cerchio, indovinando il contorno aguzzo di un paio di orecchie abbassate.La volpe del bosco, pensò Lan Xichen nel dormiveglia. Rasserenato da quella conclusione, si riaddormentò, cullato dal buio e dal tepore.
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I giudici di Bologna ritengono che i criteri adottati dal Governo per valutare la sicurezza dei Paesi di provenienza degli immigrati non siano compatibili con il diritto europeo. Dal momento che non si terrebbe abbastanza conto dei "diritti delle minoranze", il tribunale di Bologna ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia europea sterilizzando l'azione, a dirla tutta già deboluccia, del Governo in materia di immigrazione.
Insomma, a quanto pare la nostra (s)fortunata rubrica #giudicicontrolagiustizia non basta più: ora bisogna aprire un nuovo capitolo dedicato ai #giudicipergliscafisti.
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